Antonio Pazzoni



TEUZZONE


(da un dramma di Apostolo Zeno

messo in musica da Antonio Vivaldi)



Personaggi:


TRONCONE, imperatore della Cina tenore

TEUZZONE, suo figlio soprano

ZIDIANA, sposa ma non moglie di Troncone alto

ZELINDA, principessa tartara alto

CINO, governatore del regno soprano

SIVENIO, generale del regno basso

EGARO, capitano delle guardie alto

ARGONTE, principe tartaro tenore

CORO di soldati, guardie e popolo

L'azione si svolge nella capitale dell'Impero della Cina, in epoca imprecisata



ATTO PRIMO


Scena I


Campo di battaglia illuminato di notte. Padiglione reale ove sta Troncone

ferito, appoggiato a grand'asta.

Troncone, Cino, Sivenio.


Troncone: Nostro, amici, è il trionfo. Ingo ribelle

cadde, e la pace al nostro Impero è resa.

Ruoti or la falce, e tronchi

i miei stami vitali invida Parca:

quello di mie vittorie

l'ultimo è dei miei dì. Più nobil fine

non poteami dal Cielo esser prescritto:

s'applauda; vissi assai, se moro invitto.

Cino: Lascia, o Signor, che su le regie piume,

posta all'esame la ferita...

Troncone: Eh, Cino,

morire in piedi un Re sol dee. Tu primo

del voler nostro interprete e custode,

prendi, su, questo foglio

chiuso dal regio impronto.

Chiamo l'erede alla corona, accresco

titoli al sangue, e alla Natura applaudo.

Gli da il testamento sigillato.

Cino: Bacio la man che a tanto onor m'innalza.

Troncone: E tu Sivenio, o primo

duce del campo, al cui valor tenute

di non lievi trofei son le nostr'armi,

prendi: il regal sigillo

nella tua man depongo, e tu lo rendi

a chi dovrà le leggi impor del trono.

Gli da il sigillo reale.

Sivenio: Chino a terra la fronte, e bacio il dono.

Troncone: Ma già vien meno il cor, perpetua notte

mi toglie il giorno, il favellar... m'è rotto.

Nel nuovo erede

chiedo in ultimo don la vostra fede.

Muore, e si chiudono l'ali del padiglione.



Scena II

Zidiana che esce dal suo padiglione piangendo, poi Egaro.



Zidiana: Al fiero mio tormento

par che pianga il ruscel, languisca il fiore.


[dopo l'arioso di Zidiana la partitura reca un'aria dello stesso personaggio

che non è compresa nel libretto:]

Alma mia, fra tanti affanni

a che giova il lagrimar?

Dopo l'impeto de' pianti

ci mostriamo più costanti,

e si pensi anco a regnar. (da capo)

Egaro: Reina, egli è ben giusto il tuo dolore,

se perdi in un momento e regno, e sposo.

Zidiana: Fabbro è ognun di sua sorte: io già che seppi

il diadema acquistar, saprò serbarlo.

Egaro: Nobil, ma vana speme.

Zidiana: Pria che fossi reina,

sai che per me avvampar Sivenio e Cino.

Egaro: Di questo cielo i fermi poli.

Zidiana: Il foco

cercò sfera maggior; nel re mio sposo

alzò la fiamma e dilatò la vampa.

Egaro: Che pro? Rompono l'armi

il nodo maritale.

Zidiana: Ed in un punto

vergine, sposa, vedova già sono.

Egaro: A lasciar già vicina,

asceso appena, è mal gustato il trono.

Zidiana: Lasciar il trono? Ah, pria

mi si strappi dal sen l'alma e la vita.

Caro Teuzzon, perdona

se t'insidio l'onor della corona.

Egaro: Qual pietà, qual affetto!

Zidiana: Amo Teuzzone; il Cielo,

che ben vedea quanto l'amassi, intatta

mi toglie al padre e mi preserva al figlio.

Egaro: Strano amor!

Zidiana: Vuò regnar per regnar seco,

vuò ch'egli abbia il diadema

da me, non dal suo sangue, e a me frattanto

servan le fiamme altrui. Cino s'inganni,

Sivenio si lusinghi,

e per regnar tutto si tenti alfine;

l'amante in braccio e la corona al crine.

Egaro: Come suol la navicella

tra le Sirti e la procella

sospirar l'amato lido,

tal si lagna il tuo bel cor.

Gran nocchiero è il dio di Gnido,

ma nel mare della speme

a fugar l'aure serene

move i nembi reo timor. (da capo)




Scena III

Sivenio e Zidiana.



Sivenio: Ne' miei lumi, o reina,

legger ben puoi la comun sorte e 'l danno.

Zidiana: (a parte) Cominci da costui l'opra e l'inganno.

(forte) Nel regio sposo, o duce,

molto perdei. Pur, se convien ne' mali

temprar le pene e raddolcir il pianto,

sol col mio re, non mio consorte ancora,

una fiamma s'è spenta

ch'illustre mi rendea, ma non contenta.

Sivenio: Ahimè, che più non lice all'amor mio

a quel d'una regina alzar i vanni.

Zidiana: I miei voti seconda, e tua mi giuro.

Sivenio: Come?

Zidiana: Serbami un trono

che il Ciel mi diede, e non soffrir, se m'ami,

che abbietta io serva, ove regnai sovrana.

Altri m'abbi regina,

tu m'abbi sposa. A che tacer? Che pensi?

Sivenio: Non ascriver, s'io tacqui, il tacer mio

a rimorso o a viltà. Facile impresa

m'è una guerra svegliar dubbia e feroce;

ma agli estremi rimedi

tardi s'accorra, e giovi

tentar vie più sicure e men crudeli.

Zidiana: Quai fien queste?

Sivenio: Conviene

Cino anche trar nelle tue parti.

Zidiana: Egli arde

per me d'amore.

Sivenio: E per Teuzzon di sdegno.

Zidiana: L'odio dunque l'irriti.

Sivenio: E l'amor lo lusinghi, o mia regina.

Zidiana: Mal può, perché ben ama,

gli affetti simular l'anima mia.

Sivenio: La prim'arte in chi regna il finger sia.

Zidiana: Fingasi, se ti piace; e tu con Cino

primo l'opra disponi, offri, prometti.

Io, poco avvezza, intanto

seguirò l'arti; ma te sol, mio caro,

tutta fida, amorosa,

sposo e re abbraccerò, regina e sposa.

Tu, mio vezzoso,

diletto sposo,

mi sii fedele,

e son contenta.

Mio sia quel core,

e del nemico

destin crudele

l'ira e il furore

non mi spaventa. (da capo)


[La partitura offre a questo punto un'aria alternativa di Zidiana (Caro

adorato bene), cassata da Vivaldi].



Scena IV

Sivenio e Cino.



Sivenio: Signor, te appunto io qui attendea.

Cino: Gran duce!

Sivenio: Poss'io scoprirmi alla tua fede?

Cino: Impegno

nel segreto il mio onor. Parla, t'ascolto.

Sivenio: Del re l'infausta morte

periglio comun: molti e molti anni

noi regnammo con lui. Teuzzon, suo figlio,

ci riguardò come nemici, e in noi

a gran colpa imputò l'amor del padre.

Cino: È vero; ma impotente è l'odio nostro.

Sivenio: Siegui i miei voti, e preveniamo i mali.

Cino: Ne addita il modo.

Sivenio: Allor ch'è vuoto il soglio,

sai che non basta al più vicino erede

il titolo del sangue.

Vuol la legge, e vuol l'uso

che lo confermi, in chiare note espresso,

il real testamento, e che deporsi

deggia in sua mano il regio impronto; or ambi

Troncon morendo a nostra fè commise.

D'ambi a nostro piacer possiam disporre,

e tor con arte il regno

a chi per noi tutto è livore e sdegno.

Cino: Ma come il foglio aprir, come il real[e]

carattere mentirne?

Sivenio: Consenti all'opra, e n'assicuro i mezzi.

Cino: In chi cadranno i nostri voti?

Sivenio: In quella

che del tuo amor fu meta.

Cino: Nella regina?

Sivenio: Appunto.

Poi farò sì che del favor eccelso

ella il premio ti renda in farti sposo.

Cino: (a parte) Qual assalto, o mio cor!

Sivenio: Pensa, e trionfa

d'un inutil timore;

e soddisfa egualmente

nel tuo illustre destin l'odio e l'amore.

In trono assiso

ben vince amore

con frode e core

fiera beltà;

e s'egli prega,

pregando lega

la crudeltà.

Di quel nemico

trionferà

fè lusinghiera

non più sincera,

dando l'assalto

con cuor di smalto

che fingerà. (da capo)



Scena V

Cino solo.



Cino: Innocenza, ragion, vorrei che ancora

in quest'alma regnaste;

ma s'ora deggio in sacrificio offrirvi

l'ambizïon, l'amore e la vendetta,

perdonatemi pur: mi sono a core,

più che i vostri trofei, le mie ruine,

e mi siete tiranne, e non regine.

Taci per poco ancora,

ingrato cor spietato,

e lascia che favelli

di fido amante il cor.


Al bel che t'innamora

ritornerai costante,

tanto più grato amante

quanto più traditor. (da capo)




Scena VI

Luogo de' sepolcri.

Teuzzone, poi Zelinda con seguito.



Teuzzone: Ove giro il mesto sguardo

trovo pena e trovo orrore.

Zelinda, oh Dio, Zelinda,

tanto in vano aspettata

e tanto sospirata,

pur qui ti rivedrò. Sei lune, e sei

corsero già dal giorno

che nel tartaro cielo io ti lasciai.

Vieni, che qui doglioso,

sposa e amante t'attendo, amante e sposo.


[A questo punto la sola partitura reca un duetto fra Teuzzone e Zelinda (Che

amaro tormento), seguito da un breve recitativo di Teuzzone (È impossile, o

cara) - entrambi cassati da Vivaldi].


Zelinda: O sposo, o dolce

di quest'alma fedele unica speme;

o felice momento

che dilegui il mio affanno e il mio spavento.

Teuzzone / Zelinda: (a due) Lega pietoso amore

con bel nodo alma ad alma, e core a core.

Zelinda: Ma qual dolor v'ha, che non lascia intero

alla tua gioia il corso?

Teuzzone: Negar nol so: il Genitor mi tolse

empia immatura morte: ah, tu perdona

s'ora divide i suoi tributi il ciglio

tra gl'uffici d'amante e quel di figlio.

Zelinda: Del tuo duol degno è il padre.

Teuzzone: Or or con sacra

pompa verrà qui alla sua tomba il regno

per onorarne il funeral primiero.

Zelinda: Io, se v' assenti, ad ogni sguardo ignota

ne osserverò la strana pompa e 'l rito.

Teuzzone: Poi, quando alzato m'abbia

al comando sovrano

col pubblico voler quello del padre,

vieni sposa, ed accresci

del fausto dì col tuo bel volto i rai.

In offrirti le porpore...

Zelinda: Eh, Teuzzone;

tutto, tutto il mio orgoglio

regnar sul tuo cor, non sul tuo soglio.




Scena VII

Teuzzone, Zidiana, Cino, Sivenio, Egaro.

Popoli e soldati cinesi dalla città con insegne reali, spoglie guerriere, stendardi, ombrelle.


Coro: Da gl'Elisi ove posate

risorgete, alme reali,

e il maggior de' vostri figli,

ombre avite, ombre immortali,

d'onorar non vi sdegnate.

Teuzzone: Perché l'ora più fausta al tuo riposo

splenda, o mio genitore, arda e consumi

queste la viva fiamma

figlie di puro sol candide perle.

Zidiana: Io vi getto l'amare

memorie del mio amore.

Cino: Ed io le ricche

spoglie de' tuoi trionfi.

Sivenio: Io d'ostro...

Egaro: Io d'oro...

Sivenio: ...spargo la vampa...

Egaro: e il sacrificio onoro.

Coro: Da gl'Elisi ove posate

risorgete, alme reali,

e il maggior de' vostri figli,

ombre avite, ombre immortali,

d'onorar non vi sdegnate.





Scena VIII

Zidiana, Sivenio e Cino.


Sivenio: (piano, a Zidiana) D'arte e d'inganno ecco, reina, il tempo.

Zidiana: (piano, a Sivenio) Ma te non turbi intanto

un geloso timor. Già sai ch'io fingo.

Cino: (a parte) Siete in porto, o miei voti,

se l'aureo scettro e il caro bene io stringo.

Zidiana: Cino, l'amor, con cui m'è gloria al fine

ricompensar tua fede,

io non vorrei che interpretassi a fasto.

Ragion mi move ad accettar la destra

che mi ferma sul trono.

Godrò d'esser regina

per esser tua. Da quel poter, cui piacque

innalzarmi agli Dei,

cader senza tua colpa io non potrei.

Cino: Per una sorte onde m'invidii il Cielo

non ricuso cimenti;

o cadrò esangue, o tu sarai reina.

Zidiana: Oh, come dolce allora

fia l'abbracciarti!

Sivenio: (piano, a Zidiana) O Dio, troppo amorosa

seco favelli.

Zidiana: (piano, a Sivenio) E' tutto inganno, il sai.

Cino: Miglior sorte in amor chi può aver mai?

Zidiana: Più non s'indugi; andiamo, o Prence, e svelto

cada di mano al fier Teuzzon lo scettro.

Sivenio: Lascia ch'io teco adempia

il dover di vassallo.

Cino: Anzi d'amico.

Sivenio: Mio re t'adoro.

Cino: In amistà t'abbraccio.

Zidiana: (a parte) E due cori così prendo ad un laccio.

(a Cino) Sarò tua, regina e sposa.

(a Siveno) Non temere, ch'io l'inganno.

(a parte) So ben io qual fa per me.

(a Cino) Ama pur, bocca amorosa

(a Sivenio) Sebben fingo, io non l'adoro;

(a parte) ma se fingo so perché. (da capo)




Scena IX

Zelinda sola.



Zelinda: Udiste, o Cieli, udiste; e che far posso,

donna sola e straniera in tal periglio?

Suggeritemi, o Dei, forza e consiglio.

Per non solite vie tentar conviene

la comune salute.

Miei fidi, si taccia

la sorte mia; voi nella reggia il passo,

cauti e occulti v'aprite. Ove fia d'uopo,

al vostro braccio avrò ricorso. Argonte

solo mi segua ove m'inspira il Cielo,

e verran meco ardir, costanza e zelo.

Partono i soldati e resta uno.

La timida cervetta,

che fugge il cacciator,

va errando per timor

per la foresta.

Tal io colma d'affanni,

in mezzo a tanti inganni

errando vado ognor,

confusa dal timor

che il sen m'infesta. (da capo)




Scena X


Anfiteatro preparato per la dichiarazione del nuovo imperatore, con trono

reale, popolo spettatore e sedili.

Zidiana, Teuzzone, Cino, Sivenio ed Egaro. Popolo e soldati.

Sivenio: Pria che del morto re l'alto si spieghi

voler sul nuovo erede,

serbar le prische leggi ognun qui giuri.

Zidiana: Alma bella che vedi il mio core,

sarà eterna la fè che prometto.

Teuzzone: Anche estinto, mio padre diletto,

m'avrai figlio d'ossequio e d'amore.

Sivenio: Col mio labbro giura il campo.

Cino: Giura Cino, e giura il regno.

(vanno a sedere)

Questo, o principi, o duci,

chiuso dal regio impronto,

del morto Troncon l'alto decreto;

gia l'apro e leggo, udite:

(legge)

"Noi, della Cina imperator, Troncone,

vogliamo - e serva di destin la legge -

che dopo noi sovra il Cinese impero

passi la nostra autorità sovrana

in chi n'ha la virtù. Regni Zidiana.

Teuzzone: (si leva con impeto) Zidiana?

Cino: A chiare note,

leggi, Troncone ei stesso scrisse.

Teuzzone: Il padre?

...Regni Zidiana.

Sivenio: Ed a Zidiana, o prence,

supremo voler ch'io porga il sacro

riverito sigillo.

Ubbidisco, o regina, e adoro il cenno.

Coro: Viva Zidiana, viva.

Zidiana scende sul trono.

Zidiana: Cinesi, i re temuti

non fa il sesso, ma il core.

Norma delle mie leggi

sarà il pubblico bene. A' vostri sonni

veglieran le mie cure;

pia, giusta, e tale insomma

che non abbia a pentirsi

del suo amor, di sua scelta, il re mio sposo.

Cercherò sol nel vostro il mio riposo.

Egaro: Magnanimi pensieri!

Cino: Io primo in grado

gl'altri precedo, e voi,

gran ministri del regno,

meco giurate e vassallaggio, e fede.

Egaro: Seguo l'invito, e l'umil bacio imprimo.

Sivenio: Dell'armi io primo duce

rendo a' minori esempio,

e in bacio riverente il giusto adempio.

Cino: (a Teuzzone) Principe, a che più tardi?

Suddito della legge

tu pur nascesti; a giurar vieni, e vieni...

Teuzzone: Che vassallo? Che fede?

Cinesi, i Numi invoco,

di quel trono usurpato alme custodi,

che voi siete ingannati ed io tradito.

In che errai? Quando offesi

la chiarezza del sangue,

l'amor paterno e le speranze vostre?

Ah, che solo m'esclude

l'altrui perfidia; e ch'io lo soffra? E voi

lo soffrirete? Il Cielo,

protettor di ragione e d'innocenza,

meco sarà, meco sarà virtude,

meco ardir, meco fè.

Chi del giusto è amator segua il suo re.

Come fra' turbini

scendono i fulmini,

fra le stragi e le ruine

sul tuo crine

questa spada, empio ribelle,

tutta sdegno piomberà.

E l'orgoglio,

atterrato a' pie' del soglio,

le mie glorie segnerà. (da capo)





Scena XI

Zidiana, Cino, Sivenio ed Egaro.



Cino: Custodi, il contumace

s'arresti, anzi s'uccida.

Zidiana: S'uccida?

Sivenio: Sì, che puote

esser reo di più mali

l'indugio del comando.

Zidiana: O Dei!

Egaro: Regina,

vacilla il tuo destin s'egli non cade.

Sivenio: Il tuo primo periglio è la pietade.

Ite veloci ad eseguire il cenno.




Scena XII

Zelinda e suddetti.



Zelinda: Fermate, iniqui, e non osate a' danni

del vostro re volger le spade e l'ire.

E tu, donna, se brami

regnar felice, or non voler che il regno

da una colpa cominci.

Cino: (a parte) Che ardir!

Egaro: (a parte) Che volto!

Sivenio: O tu, che osi cotanto,

non so se d'ira o da follia sospinta,

parla: chi sei?

Zelinda: Tal sono,

che risponder non degno ad uom sì iniquo.

Sivenio: Non la esenti al castigo

il poco senno, il debil sesso. A forza

tosto...

Zelinda: Guardami, e temi

d'offender nel mio seno

le Deità più sacre. Io, che ad Amida

son vergine diletta,

tutto so, tutto vedo, e l'opra mia

quasi raggio del sol vien di là sopra.

Sivenio: Invan...

Zidiana: Sivenio, il Cielo

mai non si tenti, e in chi i doni ne vanta

si rispetti l'audacia anche del vanto.

Vanne, ed a me costanti

tu del campo fedel conferma i voti.

Della reggia in difesa

Egaro vegli. Cino,

tu osserva il prence, e quanto

egli tenta previeni; indi le pompe

di questo giorno a noi sì sacro, in cui

nacque col maggio il mondo,

sia tua cura dispor. La comun pace

e me stessa confido al vostro affetto.

Egaro: Ubbidirò qual deggio.

Cino: Pria che la fè mancherà l'alma in petto.

Mi va scherzando in sen

un placido seren

che mi lusinga il cor,

e mi consola.

Già certo, il mio goder

fa bello il mio piacer,

e tutto il mio timor

all'alma invola. (da capo)


Zidiana: Sivenio, in te confido

la più forte ragion di mie speranze,

ché quanto caro sei, tanto sei fido.

Sivenio: Non paventa giammai le cadute

chi, fedele seguace d'amore,

vanta in petto coraggio e valor.

E se cade, cadendo da forte,

l'avversa sua sorte

incontra con fasto,

né [mai] teme di morte l'orror. (da capo)




Scena XIII

Zidiana e Zelinda.



Zidiana: Tu, s'egli è ver che tanto

giungi addentro ne' cori, e tanto vedi,

chiaro saprai s'altro più tema il mio

che di Teuzzon la morte e la ruina.

Zelinda: Regna sovra i tuoi sensi, e sei regina.

Zidiana: Ah, che dentro di noi

freme il nostro tiranno.

Zelinda: Ragione imperi, ed il tiranno è vinto.

Zidiana: Impotente ragion!

Zelinda: Sì, dove il cieco

desio di dominar regge a sua voglia.

Zidiana: O il tutto non intendi, o il peggio taci

di mia viltà.

Zelinda: Quando gli errori in parte

dissimulo d'un core,

assolvo il volto tuo da un gran rossore.

Zidiana: Ah, sii pietosa, o donna,

come sei saggia: vanne,

và, ten priego, a Teuzzon; digli che alfine

l'ire deponga, digli

che non ricusi in dono

ciò che in retaggio ei chiede.

Regni, ma per me regni, e l'abbia a grado.

Zelinda: Che?

Zidiana: Renda...

Zelinda: Segui!

Zidiana: Amor, Zidiana, il regno.

Ohimè...

Zelinda: Taci e sospiri?

Zidiana: (a parte) O silenzio, o sospiro

vergognoso e loquace!

Và, digli... Ah, che assai dissi!

S'intende un cor, quando sospira e tace.



Scena XIV

Zelinda sola.



Zelinda:

Mio core, io non m'inganno; una rivale

scopro nella regina,

né mai con pace una rival si trova.

Ma non sarei sì amante

se non fossi gelosa. In traccia io vado

del mio Teuzzon. Lontano

dai cari lacci onde m'avvinse amore

non sa vivere il core.

Ti sento, sì ti sento

a palpitarmi in sen,

speranza lusinghiera.

E dice al mesto cor:

qual rapido balen

cangerà il tuo martor;

costante spera. (da capo)





ATTO SECONDO



Scena I

Sala.

Teuzzone con soldati.


Teuzzone: Di trombe guerriere

al fiero fragore

si mostri, mie schiere,

l'usato valore.

Ho vinto, fidi, ho vinto,

se meco siete: io veggio

già dal vostro valor domo l'inganno

e, trofeo di virtù, veggio di fronte

cadere al fasto i mal rapiti allori.

Andiam: più che al cimento

vi fo scorta al trionfo. Al vostro zelo

la ragione combatte e serve il Cielo.



Scena II


Zelinda e Teuzzone.


Zelinda: Ove, o prence, fra l'armi?

Teuzzone: O Dei! Zelinda?

Zelinda: Senza me dove, o sposo?

Teuzzone: A vincere o morire. Addio, mia cara.

Zelinda: Ferma, ché se vuoi regno io te l'arreco;

se morte, ho core anch'io per morir teco.

Teuzzone: Non far co' tuoi timori

sì funesti presagi a' miei trionfi.

Zelinda: Qual trionfi t'infingi,

debole, e contro tanti?

Teuzzone: E che! Vuoi tu che ceda?

Zelinda: Non è ceder vendette il maturarle.

Teuzzone: Un empio è mezzo vinto.

Zelinda: Egli è più da temer, ché alla vittoria

se non giova la forza, usa l'inganno

Teuzzone: Ed il Cielo?

Zelinda: Non sempre

la parte ch'è più giusta è la più forte.

Teuzzone: Ma un'ignobile vita è sol mia morte.

Zelinda: Morte vuoi? Vanne pur, crudele, oh Dei!

Teuzzone: Piange Zelinda; o barbari nemici,

le vostre vene mi pagheran quel pianto.

Zelinda: Ma signor, poiché nulla

ti rimuove dall'armi, almen permetti

che anche pugnino teco

i Tartari miei fidi e pugni Argonte;

e fra i rischi e le stragi

fida ti seguirà la tua Zelinda.

Su, mi si rechi elmo, lorica e brando.

Per soffrir l'armi e per vibrarle in campo

avrò vigore anch'io,

o prenderlo saprò dall'amor mio.

Teuzzone: Eh, mia cara, non sono

per quel tenero sen l'armi che chiedi.

Argonte ti rimanga. Il mio destino

non è ben certo, e se nel Cielo è forse

stabilito ch'io cada,

ti riconduca al padre e ti consoli.

Zelinda: E mi credi sì vil, che alla tua tomba

sopravviver potessi?

Teuzzone: Lascia i tristi presagi, e dammi, o cara,

un addio men funesto.

Zelinda: Il cor si spezza.

Mio caro, ah! Non fia questo,

Cieli, se v'è pietà, l'ultimo amplesso.

Teuzzone: No, mio ben, nol sarà. Tu resta, io vado;

tu a combatter coi voti, ed io con l'armi.

O tornerò con la corona in fronte

più degno ad abbracciarti,

o, di questa già scarco inutil salma,

verrò spirto amoroso

a cercar nel tuo volto il mio riposo.

Tornerò, pupille belle,

sposo, amante, a rimirarvi.

E se vuol la morte mia

del destin la tirannia,

verrò in ombra a consolarvi. (da capo)



Scena III

Zelinda sola.



Zelinda: Parte il mio sposo? Oh Dio!

Io più nol rivedrò? Già d'ogni intorno

mi s'affollano orrori. Udir già parmi

il fiero suon dell'armi:

miro l'ire, le stragi, e miro - oh Dio! -

tutto piaghe languir l'amato bene.

Teuzzon, ferma; deh, ferma!

Dove vai? Dove sei?

Deh, ti movi a pietà de' pianti miei.

Un'aura lusinghiera

mi va dicendo: spera,

ché forse tornerà

la calma al core.

Talor d'iniqua sorte

contro d'un petto forte

non val la crudeltà

d'empio rigore. (da capo)





Scena IV

Reggia.

Zidiana con guardie.


Zidiana: Teuzzon vuol armi ed ire? All'ire, all'armi!

Questa è forse la via

di piacere al crudel: l'esser crudele.

Miei fidi, ite là, dove

più feroce è la pugna.

Teuzzon cercate, in lui volgete i passi;

piagatelo, uccidetelo... Ah no, tanto

viver se li consenta,

ch'io giunga a dirgli ingrato, ed ei mi senta.



Scena V

Zelinda e Zidiana.


Zelinda: Regina, a te mi guida...

Zidiana: Dimmi, piace all'ingrato

forse più del mio scettro e del mio core

il cimento e l'orrore?

Zelinda: Che le dirò?

Zidiana: Libera parla, esponi

com'ei ti ricevè, che fè, che disse?

Non tacer ciò che serve ad irritarmi.

Zelinda: Teuzzon...

Zidiana: ...vuol armi ed ire? All'ire, all'armi!

Zelinda: Non ascolta ragion sdegno ch'è cieco.

Il tuo sia da regina: odimi, e poi

serba l'ire, se puoi.

Zidiana: Tuoi detti attendo.

Zelinda: (a parte) Giovi il mentir. (forte:) Per tuo comando, in traccia

fui di Teuzzon, ma giunsi

ch'era accesa la mischia, e il vidi - ahi! - tinto

non so se del suo sangue, o dell'altrui.

Zidiana: Né gli esponesti allora...

Zelinda: Come potea vergine imbelle aprirsi

fra le stragi il sentier? Parlar d'amore

ove Marte fremea? Misero prence!

Cinto il lasciai di cento ferri e cento,

oggetto di pietade e di spavento.




Scena VI

Egaro e dette.


Egaro: Mia sovrana, ai tuoi voti

propizio è il cielo; or sei regina, hai vinto.

Zelinda: Ma del prence che avvenne?

Zidiana: Che di Teuzzon?

Zelinda: Morto egli è forse?

Egaro: Ei vive,

ma volte in lui l'armi, le forze e l'ire,

gli tolgon le difese, e non l'ardire.

Zelinda: Cadrà se tardi... Ah, nol soffrir...

Zidiana: Vi sento,

teneri affetti. Egaro,

và, riedi al campo, i cenni miei vi reca:

salvisi il prence, e basti

ch'ei prigioniero al mio poter si renda;

così pietà m'impone.

Egaro: (piano a Zidiana) E non amore?

Zidiana: (piano ad Egaro) Tu l'arcano ne sai, salva il mio core.

Egaro: Parto veloce.




Scena VII

Zidiana e Zelinda


Zidiana: Amica,

qual pietà per Teuzzon, qual turbamento?

Zelinda: Nella sua morte il tuo dolor pavento.

Zidiana: E credi tu che al fine

ceda l'alma orgogliosa a' miei desiri?

Zelinda: Vuoi ch'io libera parli e senza inganno?

Zidiana: Sì, ten priego.

Zelinda: Il suo core

non è facil trofeo, Zelinda il tiene;

Zelinda, a cui gran tempo

die' nel tartaro ciel fede di sposa.

Zidiana: E sprezzata sarò per altra amante?

Zelinda: Lo vinceranno i tuoi

favori eccelsi e il suo destin presente;

non disperare: amore

per sentiero di pene

guida i seguaci suoi,

e quanto più bramato,

tanto è più grato ancor d'un core il dono.

(a parte) Se mi tradisce, ahi!, che di morte io sono.



Scena VIII

Egaro e Zidiana.


Egaro: Sospese il tuo comando

a' tuoi guerrieri in su la man feroce

la morte di Teuzzon; l'hai prigioniero.

Ma troppo importa il far ch'ei cada estinto

a Sivenio ed a Cino.

Zidiana: E' in balia del mio amore il suo destino.

Và, tu ne sii custode,

e dall'odio il difendi e dalla frode.

Egaro: La gloria del tuo sangue

vedo che oppressa langue

d'una morte all'orror

aspra e spietata.


Forse pietoso amore

donerà calma al core,

se ti mostri costante

e non ingrata. (da capo)



Scena IX

Zidiana, Sivenio e Cino.


Zidiana: Mercè al vostro valor, che su la fronte

mi fermò la corona, oggi alla mia

felicità nulla più manca, o duci.

Sivenio: Mancavi ancor la miglior gemma, e questa,

questa sarà...

Cino: Che?

Sivenio: Di Teuzzon la testa.

Zidiana: La testa sua?

Sivenio: Tu impallidisci e tremi?

Zidiana: Fregio della vittoria è la clemenza.

Sivenio: Clemenza intempestiva

toglier ci può della vittoria il frutto.

Zidiana: Lui prigionier temer si dee?

Sivenio: Si dee

la sua vita temer, la sua sciagura.

Cino: V'assento anch'io, ma si maturi il colpo.

Sivenio: Nuoce all'opera talor lungo consiglio,

ed il lento riguardo è un gran periglio.

Zidiana: Orsù, mi rendo: mora,

mora Teuzzon, ma giusta sembri al regno

la man che lo condanna:

le sue colpe all'esame

pongansi ormai; legge le pesi, e dia

la sentenza fatal ragion, non odio.

Giudici voi ne siate, e il gran decreto

poi la destra real segni e soscriva.

Sivenio: Sì, giudicato ei mora.

Zidiana: (a parte) E amato viva.

Cino: Ma del mio amor, regina...


[L'aria di Cino stampata a questo punto nel libretto (Vedi le mie catene)

non è musicata nella partitura torinese; al suo posto ne sta un'altra, essa

pure cassata da Vivaldi, della quale rimane leggibile solo la seconda parte].


Sivenio: Qui tosto il reo si guidi

Cino: Tutto abbiam vinto, amico, e pur non posso

vincere i miei rimorsi.

Sivenio: Dei regnar, dei goder, e hai cor sì vile?

Cino: Aver ci basti un innocente oppresso;

nol vogliamo anche estinto.

Sivenio: Ecco il prence, suoi giudici sediamo:

condannato egli sia.

Non mancano al poter giammai pretesti;

ogni nostro delitto è già suo fallo,

e non abbi riguardo un reo vassallo.


Scena XI

Teuzzone, Egaro con guerrieri, e suddetti.


Sivenio: Teuzzon, rendasi questo

onore al tuo natal: siediti.

Teuzzone: Iniquo,

non pensar che comando

ti dia sopra di me la mia sciagura.

Sono il tuo re; tal mi rispetta, e siedo.

Egaro: Generosa virtù!

Sivenio: Tal siedi e parli

perché t'è ignoto ancor che reo ten vieni

al tuo giudice innanzi.

Teuzzone: Voi miei giudici? Voi? Due bassi e vili

vapori della terra osan cotanto?

Da' miei stessi vassalli

giudicato io sarò? Qual legge umana,

qual divina il permette?

Altro giudice un re non ha che il Cielo.

Cino: Chi dare il può, questo poter ci diede.

Zidiana...

Teuzzone: E' usurpatrice.

Sivenio: E' tua regina,

e al suo voler t'inchina.

Teuzzone: Perfido! Che il mio core

giustifichi per tema un tradimento?

Cin: (a parte) Rimprovero crudele, al cor ti sento.

Sivenio: Contender seco è un avvilir il grado.

Tuo ufficio, Egaro, sia

segnar le accuse, le difese e gli atti

del giudizio sovrano.

Egaro: M'accingo all'opra.

Teuzzone: Empio giudizio insano!

Sivenio: Teuzzon, per te del regno

son infrante le leggi, a' voti estremi

del genitor disubbidisti, il sacro

giuramento a sprezzar cieca ti mosse

avidità d'impero;

ribel l'armi impugnasti, e i nostri acciari

fuman per te di civil sangue ancora.

Gravi son le tue colpe;

tu ne reca, se n'hai, le tue discolpe.

Teuzzone: Dell'opre mie non deggio

render ragione a tribunal sì iniquo.

Cino: Tua nuova colpa è questo

silenzio contumace.

Sivenio: E mancan le difese a reo che tace.

Cino: O rispondi, o ne attendi

il giusto irrevocabile decreto.

Teuzzone: Ma decreto sì indegno,

che orror faccia alla terra e infamia al regno.

Egaro: (a parte) Se nol salva l'amor...

Sivenio: Scrivasi, Egaro,

la fatale sentenza.

Cino: (a parte) Giudicata così muor l'innocenza?

Teuzzone: Duci, soldati, popoli, a voi parlo.

A voi m'appello dalla legge iniqua.

Tutte fa le mie colpe

chi le condanna; io taccio,

giudice lui, né 'l suo giudizio approvo.

Se scolparmi ricuso,

voi, che del vuoto soglio

l'anime siete, e di chi l'empie il braccio,

siate giudice mio. Ragion vi rendo

di mia innocenza, e poi giustizia attendo.

Sivenio: Tu segna ancor l'alto decreto.

Cino: O Numi!

Teuzzone: Se in me d'ira civile...

Sivenio: Tacciasi. A reo convinto e condannato

più non lice produr vane discolpe.

Teuzzone: Suddito infame!

Sivenio: Egaro,

si riconduca alla prigion primiera.

Poco là dureran le tue ritorte,

ché a disciorle verrà, verrà la morte.

Teuzzone: Sì, ribelle andrò, morirò;

ma più fiero verrò dall'abisso

animando a battaglia, a vendetta

ogni mostro, ogni furia, ogni cor.

Empio duol che mi serpi nel seno,

scaglia pur la fatale saetta

a finire il mio acerbo dolor. (da capo)



Scena XII

Cino e Sivenio.


Cino: Niega eseguir la destra

del core i cenni.

Sivenio: Eh, scrivi;

ché preferir conviene

a sterile virtude utile colpa.

Cino: Gran desio di regnar, sei mia discolpa.

Sivenio: Alla regina or vado. Abbia il decreto

l'ultimo assenso, e cada,

cada il rival indegno

che contender ci può Zidiana e il regno.

Non temer, sei giunto in porto,

già sparita è la procella,

che rubella

il naufragio minacciò.

Ora in quella resti assorto

vano orgoglio,

che quel soglio

di calcar folle tentò. (da capo)

Cino: Scrissi; che vuoi di più, brama crudele?

Che vuoi di più, superbo mio pensiero?

Per te son traditor, empio, infedele.

Ma alfin, per un bel volto

che prigionier mi rese,

caro è il delitto, amabile la frode.

Chi non è in libertà ragion non ode.

Nel suo carcere ristretto,

pien d'affetto,

l'usignol cantando va.

Col soave, dolce canto

piange intanto

la perduta libertà. (da capo)



Scena XIII

Zelinda e Zidiana.


Zelinda: Condannato è, reina,

l'innocente amor tuo.

Zidiana: S'egli fia l'amor mio, sarà innocente.

Zelinda: Senza la tua pietà, morto il compiango.

Zidiana: Pietà si chiede? Ei me ne dia l'esempio.

Zelinda: Ma...

Zidiana: Qui è Sivenio.

Zelinda: (a parte) Scellerato ed empio.



Scena XIV

Sivenio e suddette.


Sivenio: Contumace alle leggi,

ribelle alla corona,

convinto Teuzzon.

Sivenio: Convien punirlo;

e punirlo di morte

che sia pubblica e grave al par del fallo.

Zidiana: Giusta sentenza!

Zelinda: (a parte) Traditor vassallo!

Sivenio: Né differir più lice.

Zidiana: Facciasi.

Zelinda: (a parte) O me infelice!

Sivenio: Qui dunque alla condanna

dia la destra real l'alto consenso.

Zelinda: Custodi, a me si rechi

onde il foglio vergar.

Zelinda: Dov'è il tuo amore?

Zidiana: Già stabilii ciò che far deggia il core.

Sivenio: Ecco il fatal decreto...

Zidiana: Colà il deponi.

Sivenio: ... e a' piedi

v'imprimi il nome eccelso.

Zelinda: (a parte) Odo e non moro?

Zidiana: Imprimerollo, e per Teuzzon saranno

i caratteri miei note di sangue.

Zelinda: (a parte) Alma, non v'è più speme.

Sivenio: Scrivi.

Va al tavolino e prende la sentenza.

Zidiana: Sí.

Sivenio: (a parte) Mio riposo,

ed è grandezza mia ch'egli sen mora.

Zidiana: Ma...

Sivenio: Già scrivesti?

Zidiana: Non è tempo ancora

Depone la sentenza sul tavolino.

Zelinda: Respiro.

Sivenio: Attendi forse...

Zidiana: Vanne; pria che il dì cada

il foglio segnerò. Chi siede in trono

questa aver puote autorità sui rei.

Sivenio: Troppo...

Zidiana: Và, già intendesti i sensi miei.




Scena XV

Zidiana e Zelinda.


Zidiana: Arde Sivenio, e tollerarlo è forza.

Zelinda: E Cino ancora è fra i delusi amanti.

Zidiana: Lusingarlo a me giova.

Zelinda: (a parte) E a me saperlo.

(forte:) Ma del caro tuo prence?

Zidiana: Qui mi si guidi, e ne sia scorta Egaro

per le vie più segrete.

Zelinda: Che far risolvi?

Zidiana: Ei sia,

in così avversa sorte,

arbitro di sua vita e di sua morte.

Tu là ascosa sarai,

testimon de' suoi sensi.

Zelinda: (a parte) Ahimè, perduto

ho il caro ben[e].

Zidiana: Che pensi?Forse ti spiace, o pur disperi - o Dio! -

ch'io possa trionfar dell'amor mio?

Zelinda: Guarda in quest'occhi, e senti

ciò che ti dice il cor.

Se ben il labbro tace,

il core, ch'è loquace,

geme pel tuo dolor. (da capo)




Scena XVI

Zidiana, Egaro; poi Teuzzone, e Zelinda nascosta.


Zidiana: Due seggi qui.

Egaro: Reina, eccoti il prence.

Zidiana: Seco mi lascia, e ad ogni passo intanto

si divieti l'ingresso... O Dei, t'arresta.

Egaro... Ahi, qual rossore?

Egaro: O d'amar lascia, o ardisci; ché a chi perde

un felice momento,

non resta del piacer che il pentimento.

Zidiana: S'ami dunque, e s'ardisca.

Teuzzone: E sino a quando

saran le mie sciagure

spettacolo e trionfo ai miei nemici?

Zidiana: Io tua nemica? Fammi

più di giustizia. A tuo sollievo stendo

la stessa man da cui ti credi oppresso.

Teuzzone: Non mi lascia temer salda costanza,

né mi lascia sperar rigida stella.

Zidiana: E pur, se nol ricusi,

al tuo, che ora è mio, trono il Ciel ti chiama.

Teuzzone: Per qual sentier?

Zidiana: Non ti sia grave, o prence,

meco seder.

Teuzzone: Che sarà mai?

Zidiana: (a parte) Ma donde

muoverò i primi assalti?

Parlar deve a quell'alma

la regina o l'amante?

La lusinga o il terror?

Teuzzone: Tuoi detti attendo.

Zidiana: Senza colpa del labbro

vorrei, Teuzzon, vorrei

che intender tu potessi

il linguaggio del cor ne gl'occhi miei.

Teuzzone: (a parte) Oscuro favellar.

Zidiana: Mira più attento

de' lumi il turbamento,

e intenderai che d'amor peno e moro.

Teuzzone: E che? Il morto tuo sposo è il tuo martoro?

Zidiana: Morto il mio sposo? Ah no, ch'egli in te vive,

e lo vedo, e li parlo, e ancor l'adoro.

Sì, ancor l'adoro! Ma più bel, ma degno

più degli affetti miei,

giovane, amabil, fiero; e quel tu sei.

Teuzzone: (a parte) Stelle! Numi! Che ascolto? (forte:) Ah, ti scordasti

chi a me fu genitor, chi a te fu sposo.

Zidiana: E amando in te ciò che di lui ci resta

in che, dimmi, l'offendo? E' tanto eccesso

che sia amante del figlio

chi del padre fu sposa, e non mai moglie?

Caro amor mio...

Teuzzone: Zidiana,

usa altri sensi, o alla prigion men riedo.

Zidiana: Sì; altri sensi userò, ma quelli, ingrato,

che mi detta il dolor d'un tuo disprezzo.

Su, conosci, o crudel, dopo il mio amore

tutt'anco il mio furore.

Regina e vincitrice

ho ragione, ho poter sulla tua vita.

Vanne misero, e leggi,

leggi quel foglio, e vedi

qual mano irriti e quale amor disprezzi.

Teuzzone: (a parte) L'alma i suoi mali a tollerar s'avvezzi.

Si leva e va al tavolino, dove legge la sentenza.

Zelinda si lascia vedere.

Zidiana: (a parte) Or mi sovvien. Zelinda è che mi rende

difficile trofeo quel cor che bramo.

Teuzzone: Lessi. Si vuol mia morte. (a parte)

Teuzzone torna a sedere; alzando gli occhi vede Zelinda.

(a parte) Ah, qui Zelinda!

Zidiana: E solo manca il mio

nome a compir la capital sentenza.

Di', vuoi soglio o feretro?

Mi vuoi giudice o sposa?

Scegli, e pieghi il tuo fato

là dove piega il tuo voler. Risolvi:

qui te stesso condanna, o qui t'assolvi.

Teuzzone: (attratto verso Zelinda, senza badare a ciò che dice Zidiana)

Amabili sembianze

dell'idol mio...

Zidiana: Cari soavi accenti,

conforto di quest'alma,

uscite pur da quel bel labbro, e in seno

d'amorosa speranza...

Sei pur ritroso. O Dei! Perché rubella

al tuo labbro è la man?

Teuzzone: Che disse il labbro

onde speri il tuo affetto?

Zidiana: Amabile ti sembro,

idolo tuo m'appelli;

e non è questo un dir ch'io speri, o caro?

Teuzzone: (guardando Zelinda) Eh, ch'io gli accenti allora a te volgea

a te, cor di quest'alma, o mia Zelinda.

Zidiana: E parli a chi non t'ode?

Zelinda gli fa cenno che taccia.

Teuzzone: Io l'ho presente.

Zelinda si ritira

Zidiana: Dove?

Teuzzone: La bella idea mi sta nel core.

(a parte) L'idolo mio quasi tradisti, amore.

Zidiana: Quest'idea si cancelli.

Teuzzone: Non giunge a tanto il tuo poter.

Zidiana: Lo faccia,

se nol puote il mio amore, il tuo periglio.

Teuzzone: Mai spergiuro sarò per vil timore.

Zidiana: Ne sarà prezzo il trono mio...

Teuzzone: L'aborro.

Zidiana: ...il viver tuo ...

Teuzzone: Più la mia fè m'è cara.

Zidiana: ...la tua innocenza.

Teuzzone: Al Cielo

n'appartien la difesa.

Zidiana: Meglio ancor pensa, ancora

questo momento alla pietà si doni.

Fa tu la tua sentenza: o morte, o soglio.

Teuzzone: Torno a' miei ceppi, e tu soscrivi il foglio.



Scena XVII

Zidiana e Zelinda


Zidiana: T'ubbidirò, spietato, e sul quel foglio

scriverò le vendette. (va al tavolino)

Zelinda: Ove ti porta

cieco furor?

Zidiana: Dove! Me 'l chiedi? L'ire

ei proverà d'una beltà schernita. (scrive)

Zelinda: Scampo non veggio più per la sua vita.

Zidiana: Segnato è il foglio; ei morirà.

Zelinda: Regina,

odimi.

Zidiana: Ei mi sprezzò.

Zelinda: Ma al primo assalto

vuoi che ti ceda un cor? Nuovi ne tenta.

Zidiana: Espormi al disonor d'altro rifiuto?

Zelinda: Fa che a Teuzzon mi si conceda il passo,

e 'l disporrò al tuo amor.

Zidiana: Tanto prometti?

Zelinda: Sì. Tu sospendi intanto

la morte sua.

Zidiana: Custodi,

nella prigion diasi a costei l'ingresso.

Ma se m'inganni?

Zelinda: Ogni pietà s'esigli;

siano ancor co' suoi giorni i miei recisi.

Zidiana: Risorgete, speranze!

Zelinda: (a parte) Ahi, che promisi!

Zidiana: Ritorna a lusingarmi

la mia speranza infida,

e Amor per consolarmi

già par che scherzi e rida,

volando e vezzeggiando

intorno a questo cor.

Ma poi, sebben altero,

il pargoletto arciero

già fugge e lascia l'armi

a fronte del mio amor. (da capo)





ATTO TERZO



Scena I

Bosco attiguo al palazzo imperiale.

Zelinda, poi Cino.



Zelinda: Già disposti i miei fidi

per unirsi al destin del caro sposo,

nulla più resta all'opra; ma sen viene

Cino: prima ch'io vada

al carcere fatal, giovi usar seco

l'arte. Un credulo amor si disinganni,

e dell'evento abbi la cura il Cielo.

Cino: Quanto costi al mio riposo,

empia brama, ingiusta speme!

Sorte infida e amor geloso

mi spaventa e mi dà pena.

Zidiana: Cino...

Cino: Vergine saggia.

Zelinda: Errai; dovea

dirti Signore, e Re?

Cino: Bene a me incerto.

Zelinda: In breve accrescerà sangue innocente

i diletti all'amore, i fregi agl'ostri.

Cino: I detti tuoi mi fan confuso e lieto.

Zelinda: Così ti parla al core

ambizione ed amore.

Misero, e non intendi

qual col mio labbro a te favelli il vero?

Re del Cinese Impero,

sposo a colei che adori,

godrà un rival di tue fatiche il frutto,

e a te fia che rimanga

sol d'infamia e 'l rimorso, e l'onta, e il lutto.

Cino: Come? O Dei! Qual rival? Cino infelice!

Zelinda: Più non dirò. Vanne; a Sivenio il chiedi,

a Sivenio, che gode

più dell'inganno tuo che del suo amore.

Tant'è soave oggetto

un tradito rival, povero core.

Con palme ed allori

t'invita la gloria,

con serti di fiori

t'alletta l'amor.

Ma, povero amante,

con doppia vittoria

invano tu speri

dar pace al tuo cor. (da capo)



Scena II

Cino, poi Sivenio.



Cino: Cieli! Ch'io 'l creda? E sarà vero? Ei giunge...

Sivenio: Sono in porto le nostre

felicità. Segnò Zidiana il foglio:

oggi morrà Teuzzone.

Cino: Tanto giubilo, o duce?

Odio egli è solo? O ne ha gran parte amore?

Sivenio: Amor?

Cino: Sì. Tua speranza

non è ciò che è mio acquisto: un letto, un soglio?

Sivenio: (a parte) Qual favellar!

Cino: Ti turbi?

Sivenio: (a parte) Morrà Teuzzon; di che ho timor? Sì, parlo

libero e franco. Sono

già mio possesso il talamo ed il trono.

Cino: Son tuo possesso?

Sivenio: Tanto

promise al mio valor la tua regina.

Cino: Sivenio, con la vita

ceder solo poss'io le mie speranze;

né dei miei scherni altiero andrai.

Sivenio: Cotesti

impeti dono a un disperato affetto,

e all'antica amistà l'ire perdono.

Cino: Che perdon? Che amistà? Sù, qui decida

la tua spada e la mia

chi di scettro e d'amor più degno sia.



Scena III

Zidiana e li suddetti.



Zidiana: Principi, onde tant'ire? E qual furore

vi spinge all'armi?

Siverio./ Cino: (a due) Amore.

Zidiana: (a parte) Ohimè!

Cino: La tua beltà ci fa rivali.

Sivenio: Ed or rivalità ci fa nemici.

Cino: Sol la morte dell'uno

fia riposo dell'altro.

Sivenio: E questo ferro...

Zidiana: Tanto su gl'occhi miei? Più di rispetto

alla vostra sovrana. (a parte:) Ahi, che far deggio?

Sivenio: Orsù, tutta, o regina,

la mia ragion nel tuo piacer rimetto.

Cino: Vi assento.

Sivenio: Or di': con qual mercé ti piace

ricompensar della mia fede il zelo?

Cino: Conferma a lui che tua bontà compagno

teco m'elesse ad impor leggi al mondo.

Zidiana: Dirò. Cino... Sivenio... (a parte:) Io mi confondo.

Sivenio: Che più tacer, regina?

Cino: La mia felicità che più sospendi?

Zidiana: (a parte:) Malfermo ancora è 'l mio destin. Costoro

ne son tutto il sostegno.

Nessun s'irriti, arte mi giovi e ingegno.

Sivenio, è vero: a te promisi affetti.

Sivenio: Udisti?

Zidiana: A te, non niego,

Cino, giurai d'amarti;

né fu il labbro mendace.

Sivenio: Sì...

Cino: Ma...

Zidiana: Datevi pace.

Io qui spergiura

non sarò a voi; d'entrambi

pari è il grado, la gloria, il zel, l'amore.

Ad entrambi del pari

deggio gli affetti miei, del par gli avrete.

Sivenio: Ma come?

Cino: Non intendo!

Zidiana: Dite. Lice ad un re, che in Cina imperi

l'aver più mogli?

Sivenio: L'uso il concede.

Zidiana:.: All'uso

chi die' vigor?

Cino: La legge.

Zidiana: Chi stabilì la legge?

Sivenio: De' regnanti

l'autorità sovrana.

Zidiana: Or chi ha tra voi l'alto poter?

SIV./ Cino: (a due) Zidiana.

Zidiana: E Zidiana, che or regna,

altre leggi far può?

Sivenio: Regna, e può farle.

Zidiana: In pari grado, in pari amor ben tosto

ambo...

Cino: Che?

Zidiana: Non son io vostra sovrana?

Sivenio: Il sei.

Zidiana: Del par sarete...

Basta...

Sivenio: Segui...

Cino: Che mai?

Zidiana: Già m'intendete.

(a Cino) Sì, per regnar...

(a Sivenio)Sì per goder...

(a Cino) diletto sposo...

(a Sivenio) volto amoroso...

t'attendo in sen.

(a Cino) poi

(a Sivenio) Povero amante,

tanto costante,

il premio godi

delle tue frodi,

mio caro ben. (da capo)




Scena IV

Cino e Sivenio



Cino: (a parte) Il colpo mi stordì.

Sivenio: (a parte) Fingasi. (forte:) Amico,

all'arbitrio real m'accheto e applaudo,

mio compagno t'accetto.

(a parte:) Ma chi seppe disfarsi

d'un legittimo re, saprà anche meglio

un ingiusto rival toglier di vita.

Cino: O speranze deluse! O fè schernita!

Son fra scogli e fra procelle

debil legno combattuto,

sposto a' venti in alto mar.

Or m'innalzo, or son perduto,

e fra l'onde al cor rubelle

temo ogn'ora naufragar. (da capo)





Scena V

Sivenio solo.


Sivenio: Ah, Sivenio crudel - ché tal ben deggio

nomarti con ragion - torna in te stesso;

mira una volta di qual sangue hai sete.

Questi è il figlio innocente

di Troncon tuo monarca;

di lui parte più cara

non potea consignarti,

se alla tua fè creduta

fidò col figlio ancora il regno tutto.

L'altro che tenti di tradire è Cino,

gran ministro ed amico.

Pensa e rifletti... Indietro,

malnati e molli affetti,

vi detesto e v'aborro:

pensier che non consenta

col desio di regnar, folle pensiero.

Amo Zidiana, ma di amor sì forte,

che non mira il suo bel, ma del suo trono

la parte più temuta e più gloriosa.

Sì, sì; voglio seguir con franco ardire

il destin che mi guida, e parmi ormai

stringer lo scettro e dar le leggi al mondo.

Vo', a dispetto d'invidia

e d'un sognato onore,

montar sul soglio e farmi re e signore.

Base al regno e guida al trono,

ciò che giova si comande;

le virtù, le leggi sono

freno al vil, non meta al grande. (da capo)




Scena VI

Prigione sotterranea.

Teuzzone, poi Zelinda.



Teuzzone: Antri cupi, infausti orrori,

rispondete a' miei martiri,

se il mio ben più non rivedo.

Voi tacete?

Deh, mi dite se sospiri

per pietà de' miei dolori,

e contento io morirò.

Zelinda: A che m'astringi, amor? Teuzzone, io vengo...

Teuzzone: Zelinda? O Numi! Ed è pur ver che ancora

ti rimiri e ti abbracci, anima mia?

Zelinda: Tua più non mi chiamar; questa si ceda

sospirata fortuna ad altra amante,

o si ceda più tosto alla tua vita.

Vivi, e benché d'altrui, vivi felice.

Teuzzone: Io d'altra?

Zelinda: Sì, ben veggio

che il tuo cor si fa gloria

d'essermi fido ne' respiri estremi.

Ma te n'assolvo. Un gran timor tel chiede:

nulla pavento più che la tua fede.

Teuzzone: Caro mio ben, quanto più m'ami infido,

tanto meriti più ch'io sia fedele.

Questo è il sol tuo comando

che non ha sul mio cor tutto il potere.

Perdonami un error ch'è gloria mia:

se non son di Zelinda io vuò morire.

Zelinda: Ahimè!

Teuzzone: Parla; se posso,

ubbidirò.

Zelinda: Zidiana

t'ama, dal tuo disprezzo

nasce il tuo rischio e il suo furor; se amarla

non puoi, t'infingi almeno...

Teuzzone: Finger? No! S'è viltà manco all'onore,

s'è perfidia, all'amore.

Questo non posso, e quel non deggio.

Zelinda: Il dei

se m'ami, e 'l puoi.

Teuzzone: Qual frutto

trarrei da un vile inganno,

se non morir più tardi e con più scorno?

T'amo più di me stesso,

ma più dell'onor mio non posso amarti.

Zelinda: Crudel, più non s'oppone

la mia pietà. Già dal tuo esempio apprendo

com'esser forte; il tuo destin s'affretti.

Sovra te cada il colpo,

ma sol non cada. Alla rival feroce

una vittima accresca anche Zelinda.

Teuzzone: Ferma!

Zelinda: Tu del tuo fato

arbitro resta; io lo sarò del mio.

L'onor tu ascolta, io l'amor seguo. Addio.




Scena VII

Zidiana e li suddetti.


Zidiana: T'arresta.

Zelinda: O Dei!

Zidiana: Sdegna più lunghi indugi

il destin di Teuzzone e l'amor mio.

Vuolmi ei nemica o amante?

Vengo da te a saperlo

su gli occhi suoi. Poi me n'accerti anch'egli.

Zelinda: Ah, che dirò?

Zidiana: Tu abbassi i lumi, e chiude

tronco sospir gli accenti? Intendo, intendo:

con quell'alma ostinata

vana è la tua pietà, vano il mio amore.

Me 'l dice il tuo silenzio ed il mio core.

Zelinda: Ei cederà, ma tempo...

Zidiana: Tempo non v'è. Qui morte o vita...

Teuzzone: E morte,

morte qui scelgo.

Zelinda: (a parte) Anima mia, sii forte.

Zidiana: Perfido, ingrato, ciò che chiedi avrai.

Egaro, olà!




Scena VIII

Egaro e detti.


Egaro: Regina...

Zidiana: Alla sua pena

tosto si guidi il reo; dove la reggia

splende in lieti apparati

cada l'indegno capo

tronco. Ah, Teuzzon, per la tua vita ancora

v'è un momento. Tu stesso

salvati; il puoi, le furie mie disarma.

Zelinda: E ten priega per me la tua Zelinda.

Egaro: Il momento già passa.

Teuzzone: N'uso in mio pro. Zidiana,

premio dell'amor tuo quella ti resti

usurpata corona,

che l'altrui frode a me dal crin divelse.

E tu, che hai dei miei casi,

tanta pietà, vanne, ti prego, vanne

alla dolce mia sposa

con l'avviso fatal della mia morte.

Dille che si consoli

col rimembrar la pura fè, che meco

viene alla tomba, ed in quel punto istesso

questo per me le arreca ultimo amplesso.

Dille che il viver mio

col suo bel nome

io chiuderò.

Poi dagli Elisi,

ombra dolente,

pietosi baci

le recherò.


[Di una precedente versione dell'aria, su testo poetico parzialmente

differente, rimangono in partitura l'esordio (cassato da Vivaldi) e una

ulteriore strofa, viceversa assente dal libretto:]


Sì, godi e regna;

ma sul tuo core,

pien di furore,

l'orrende faci

io scuoterò. (da capo)



Scena IX

Zidiana e Zelinda.


Zidiana: Vanne, spietato, vanne

quella pena a incontrar che ti è dovuta.

Zelinda: Non più pianto, non più; sangue mi chiede

l'atroce piaga. Unisci

la rivale all'amante,

crudel regina, ed a Teuzzon Zelinda.

Zidiana: Zelinda... Che?

Zelinda: Nel mio dolor, nel mio

furor la riconosci; in me finisca,

barbara, il tuo delitto.

Qui l'odio tuo sarà più giusto; dammi,

dammi una morte in dono:

la tua rival, la tua nemica io sono.

Zidiana: (a parte) Vedi Zidiana, vedi

a qual fè s'appoggiar le tue speranze!

(forte:) Perfida! Or l'arte intendo.

Tu quella sei ch'inspira il Ciel? Tu quella...

Basta, sovvengon tutte

l'empie tue frodi all'amor mio tradito,

e nel tuo sen nol lascerò impunito.

Zelinda: Piacemi l'odio tuo, sfogalo appieno;

sfogalo, e te ne assolvo in questo seno.

Zidiana: Resta pur qui fra l'ombre, e custodisci

l'idea di mie vendette.

Io parto a maturarle, e debitrice

parto alla mia rival d'un gran dispetto.

Zelinda: Armiam, tu d'ira, io di fermezza il petto.

Zidiana: Già libero e disciolto

tengo dai lacci il core,

or che fuggita sono

dalla rete crudel del Dio d'amore.

Io sembro appunto

quell'augelletto,

che alfin scampò

da quella rete,

che ritrovò

nascosta tra le fronde.

Pur alfin sciolto,

solo soletto

volando va.

E libero non sa

donar pace al suo cuor,

se nel passato impegno

ei si confonde. (da capo)



Scena X

Zelinda sola.


Zelinda: Chi sa, stelle, chi sa che di mie vene

l'umor non basti ad ammorzar quell'ire

che minacciano oltraggio all'alma mia?

Felice me, se tanto

ottien da voi la mia pietade e il pianto.

Ho nel seno un doppio ardore

di speranza e di timore,

or sì dolce, or sì crudele,

che il mio labbro dir nol può.

E alla voce lusinghiera

d'una speme menzognera,

crudo amor, irato Cielo,

più resistere non so. (da capo)



Scena XI

Nuvolosa con ara nel mezzo, preparata per il sacrifizio.

Zidiana, Cino, Sivenio, Egaro, popoli; tutti coronati di fiori.


Zidiana: Liete voci, amiche trombe,

festeggiamo un sì bel dì.

Di sue glorie il Ciel rimbombe

poiché il mondo partorì.

Sivenio: L'aura, l'erba, l'onda, il fiore

Cino: nacque a un punto e l'abbellì,

(a due) e di gioia dolce amore

poi lo sparse e lo nutrì.

Coro: Liete voci, amiche trombe,

festeggiamo un sì bel dì.

Di sue glorie il Ciel rimbombe

poiché il mondo partorì.

Cino: Al Nume che, in crearlo

sotto il manto ferin di vil giumento,

il suo immenso poter chiuse e coperse,

alzata è l'ara.

Zidiana: Al sacrificio illustre

stien le vittime pronte, e pronto il ferro.

Sivenio: In Teuzzon cada il reo.

Egaro: (a parte) D'ingiustizia e d'amor fiero trofeo.

Zidiana: Tu leggerai la sua condanna, o Cino.

Cino: E l'empio si stordisca al suo destino.



Scena XII

Teuzzone fra le guardie, e li suddetti.


Teuzzone: Spettacoli funesti!

Si fissa in voi senza terrore il guardo.

Sivenio: Per meritar pietade in van sei forte.

Zidiana: Ma con che spaventarti avrà la morte.

(ad Egaro:) Eseguiscasi il cenno.

Egaro: (a parte) L'empietà e la virtù pugnar qui denno.

Zidiana: Popoli, al reo Teuzzon v'ha un reo maggiore

ch'unir si dee. Col vanto

di saper sovrumano osò poc'anzi

noi schernire e gli Dei;

il sacrilego, l'empio ecco in costei.



Scena XIII

Zelinda e suddetti.


Zidiana: Ed è in costei ben giusto

che di vindice Astrea cadan le pene.

Teuzzone: Che sento! Ohimè... o Zelinda...

Zelinda: Amato bene! (si abbracciano)

Sivenio: Qui morrà anch'essa.

Teuzzone: Perfido! Ah, Cinesi!

Temasi in sì bel sangue il rischio vostro.

Questa è Zelinda; sì Zelinda è questa,

del tartaro monarca inclita figlia,

quella che a me promessa...

Sivenio: Che più? Siasi qual vuole.

Qui errò, qui si condanna, e mora anch'essa.

Cino: (a parte) Fiero cor!

Egaro: (a parte) Dura legge!

Teuzzone: Or tutta cede

la mia costanza; io ti vedrò morire,

ed io sarò cagion della tua morte?

Zelinda: Priva di te, mia vita,

come viver potrei?

Sivenio: Non più dimore.

Teuzzone: Solo, deh! morir fammi, e te n'assolvo.

Zelinda: Tutte in me stanca l'ire, e tel perdono.

Sivenio: No, no; morrete entrambi: è tal la legge.

Ministri, olà!

Che più si tarda?

Cino: (a parte) Tacqui abbastanza. (forte) Ormai

la sentenza fatal leggasi, o duce.

Sivenio: Fia giusto.

Cino: N'apro

il regio impronto: or voi,

popoli qui raccolti, udite, udite.

Egaro: Ma chi fia l'empio, e il traditor punite.

Cino: (legge) "Sangue, virtù, dovere

voglion che dopo noi regni Teuzzone.

Il nostro erede ei solo sia. Troncone."

Zelinda: Come?

Teuzzone: Che?

Zidiana: (a parte) Son tradita!

Egaro: O Dei!

Sivenio: (a parte) Che ascolto?

Cino: Questo, Cinesi, questo

dell'estinto regnante è il voto estremo.

Tutte segnò nel foglio

l'alta sua man le fide note. Il guardo

giudice qui ne sia. Ciascun qui legga.

Teuzzone è il vostro re. Base l'inganno

fu dell'altrui grandezza: un fatal foglio

dal regio nome impresso,

che all'infido Sivenio

in uso del suo grado il re già diede,

quasi perir fe' l'innocenza. A voi

la salvezza s'aspetta.

Vendetta, vendetta.



Scena Ultima

Sparisce la nuvolosa, e comparisce reggia maestosa.

Argonte con più guerrieri.


Sivenio: Che farò?

Egaro: Siam perduti.

Zidiana: Ohimè, che miro!

Argante: Olà! L'ira s'affreni. A voi sol basti

dell'inganno il trionfo.

Teuzzone: Sì, vi basti ch'io viva

e mi si renda il trono;

faccia le mie vendette il mio perdono.

Egaro: O d'eroica pietade inclito vanto!

Zelinda: O d'eccelsa virtù ben raro esempio!

Argante: Dell'orrendo misfatto

la cagion si punisca

nel traditor Sivenio.

Teuzzone: Ei sol s'arresti,

e in cieca torre al suo destin si serbi.

Sivenio: Trammi dal petto il core,

ch'io non pavento, e ognor sarò qual fui.

T'odiai, t'aborro, e sin dal crudo Averno

verrà a turbarti i sonni,

ombra d'orrore e tuo nemico eterno. (parte)

Egaro: Feroce cor!

Zidiana: Indegno

di tue grazie il mio fallire.

Teuzzone: Ormai

si ponghino in oblio

le andate offese; è tanta

la mia felicità, ch'ella m'opprime.

Ma di questa ne siete

parte e cagione, principessa e sposa.

Zelinda: Dolce mio ben! (s'abbracciano)

Teuzzone: Quanto ti deggio, o Cino!

Cino: Se de' miei falli, o sire,

l'idea cancelli, io tutta

n'ho da te la mercede.

Teuzzone: In questo cor ricevi

un segno del mio affetto,

e il premio del tuo amor, della tua fede.

Coro: In sen della virtude,

contrario Ciel, tu puoi

versar da' lumi tuoi

la crudeltà.

Ché il barbaro destino,

ripieno di rossor,

al chiaro vincitor

poi servirà.



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