Tomo secondo



LIBRO NONO



I - Qui comincia il VIIII libro: conta come nella città di Firenze fu fatto il secondo popolo, e più grandi mutazioni che per cagione di quello furono poi in Firenze, seguendo dell'altre novitadi universali che furono in que' tempi

Negli anni di Cristo MCCLXXXXII, in calen di febbraio, essendo la città di Firenze in grande e possente stato e felice in tutte cose, e' cittadini di quella grassi e ricchi, e per soperchio tranquillo, il quale naturalmente genera superbia e novità, sì erano i cittadini tra·lloro invidiosi e insuperbiti, e molti micidii e fedite e oltraggi facea l'uno cittadino all'altro, e massimamente i nobili detti grandi e possenti, contra i popolani e impotenti, così in contado come in città faceano forze e violenze nelle persone e ne' beni altrui, occupando. Per la qual cosa certi buoni uomini mercatanti e artefici di Firenze che voleano bene vivere si pensarono di mettere rimedio e riparo alla detta pestilenzia; e di ciò fu de' caporali intra gli altri uno valente uomo, antico e nobile popolano, e ricco e possente, ch'avea nome Giano della Bella, del popolo di Sa·Martino, con séguito e consiglio d'altri savi e possenti popolani. E faccendosi in Firenze ordine d'arbitrato in correggere gli statuti e le nostre leggi, sì come per gli nostri ordini consueto era di fare per antico, sì ordinarono certe leggi e statuti molto forti e gravi contro a' grandi e possenti che facessono forze o violenze contro a' popolari, radoppiando le pene comuni diversamente, e che fosse tenuto l'uno consorto de' grandi per l'altro, e si potessono provare i malificii per due testimoni di pubblica voce e fama, e che·ssi ritrovassono le ragioni del Comune: e quelle leggi chiamarono gli ordinamenti della giustizia. E acciò che fossono conservati e messi ad esecuzione, sì ordinarono che oltre al novero de' VI priori i quali governavano la città fosse uno gonfaloniere di giustizia di sesto in sesto, mutando di II in II mesi, come si fanno i priori, e sonando le campane a martello, e congregandosi il popolo a dare il gonfalone della giustizia nella chiesa di San Piero Scheraggio, che prima non s'usava. E ordinarono che niuno de' priori potesse essere di casa de' nobili detti grandi, che 'mprima ve n'avea sovente de' buoni uomini mercatanti, tutto fossono de' potenti. E la 'nsegna del detto popolo e gonfalone fu ordinato il campo bianco e la croce vermiglia. E furono eletti M cittadini partiti per sesti con certi banderai per contrade, con L pedoni per bandiera, i quali dovessono essere armati, e ciascuno con soprasberga e scudo della 'nsegna della croce, e trarre ad ogni romore e richesta del gonfaloniere a casa, o a palazzo, de' priori, e per fare esecuzione contro a' grandi; e poi crebbe il numero de' pedoni eletti in MM, e poi in IIIIm. E simile ordine di gente d'arme per lo popolo e colla detta insegna s'ordinò in contado e distretto di Firenze, che·ssi chiamavano le leghe del popolo. E 'l primo de' detti gonfalonieri fu uno Baldo de' Ruffoli di porte del Duomo; e al suo tempo uscì fuori gonfalone con arme a disfare i beni d'uno casato detti Galli di porte Sante Marie, per uno micidio che uno di loro avea fatto nel reame di Francia nella persona d'uno popolano. Questa novità di popolo e mutazione di stato fu molto grande alla città di Firenze, e ebbe poi molte e diverse sequele in male e in bene del nostro Comune, come innanzi per gli tempi faremo menzione. E questa novità e cominciamento del popolo non sarebbe venuta fatta a' popolani per la potenzia de' grandi, se non fosse che in que' tempi i grandi di Firenze non furono tra·lloro in tante brighe e discordie, poi che' Guelfi tornarono in Firenze, com'erano allora ch'egli avea grande guerra tra gli Adimari e' Tosinghi, e tra i Rossi e' Tornaquinci, e tra i Bardi e' Mozzi, e tra i Gherardini e' Manieri, e tra i Cavalcanti e' Bondelmonti, e tra certi de' Bondelmonti e' Giandonati, e tra' Visdomini e' Falconieri, e tra i Bostichi e' Foraboschi, e tra' Foraboschi e' Malispini, e tra' Frescobaldi insieme, e tra la casa de' Donati insieme, e più altri casati.



II - Come il popolo di Firenze feciono pace co' Pisani, e molte altre notabili cose

L'anno seguente MCCLXXXXIII quegli che reggeano il popolo di Firenze per fortificare loro stato di popolo e affiebolire il podere de' grandi e de' possenti, i quali molte volte acrescono e vivono delle guerre, richesti da' Pisani di pace, i quali per le guerre erano molto affieboliti e abbassati, il popolo di Firenze non guardando a·cciò, alla detta pace assentirono, mandandone i Pisani il conte Guido da Montefeltro loro capitano, e disfaccendo il castello del Ponte ad Era, e avendo i Fiorentini libera franchigia in Pisa sanza pagare niente di loro mercatantie. E alla detta pace furono i Lucchesi, e' Sanesi, e tutte le terre della lega di parte guelfa di Toscana. E nota che infino a questo tempo, e più addietro, era tanto il tranquillo stato di Firenze, che di notte non si serravano porte alla città, né avea gabelle in Firenze; e per bisogno di moneta, per non fare libbra, si venderono le mura vecchie, e' terreni d'entro e di fuori a chi v'era acostato. E per l'ordine del popolo molte giuridizioni si raquistarono per lo Comune, che Poggibonizzi si recò tutto all'obedienza del Comune, ch'avea giuridizione per sé, e Certaldo, e Gambassi, e Catignano; e tolsesi a' Conti la giuridizione di Viesca e del Terraio, e Ganghereta, e Moncione, e Barbischio, e 'l castello di Lori, e casa Guicciardi; e in Mugello molte possesioni le quali aveano occupate i Conti, e gli Ubaldini, e altri gentili uomini; e raquistossi lo spedale di San Sebbio, ch'era del Comune, occupato per grandi uomini. E sopra queste cose fu caporale uno valente e leale popolano d'Oltrarno chiamato Caruccio del Verre. Sì che nel cominciamento del popolo si fece molto di bene comune, e a ciascuno a cui fosse per addietro occupata possesione per gli potenti, di fatto fu renduta. In questo tempo che 'l popolo di Firenze era fiero e in caldo e signoria, essendo fatto in Firenze uno eccesso e malificio, e quello cotale che 'l fece si fuggì e stava nella terra di Prato, per lo Comune di Firenze fu mandato a quello Comune che rimandasse lo sbandito. Eglino per mantenere loro libertà nol vollono fare; per la quale cosa il Comune di Prato fu condannato per lo Comune di Firenze in libbre Xm, e rendessono il malifattore, mandandovi uno messo solamente con una lettera. I Pratesi disubbidienti, si bandì l'oste per guastare Prato; e già mossa la camera dell'arme del Comune, e le masnade a cavallo e a piè, i Pratesi recarono i danari, e menarono il malfattore, e pagarono la condannagione; e così di fatto facea le cose l'acceso popolo di Firenze.



III - D'uno grande fuoco che fu in Firenze nella contrada di Torcicoda

Nel detto anno del MCCLXXXXIII s'apprese uno grande fuoco in Firenze nella contrada detta Torcicoda, tra San Piero Maggiore e San Simone, e arsonvi più di XXX case con grande dammaggio, ma non vi morì persona. E nel detto tempo si feciono intorno a San Giovanni i pilastri de' gheroni di marmi bianchi e neri per l'arte di Calimala, che prima erano di macigni, e levarsi tutti i monumenti e sepolture e arche di marmo ch'erano intorno a San Giovanni per più bellezza della chiesa.



IV - Come si cominciò la guerra intra il re di Francia e quello d'Inghilterra

Nel detto anno MCCLXXXXIII, avendo avuta battaglia e ruberia in mare tra' Guasconi ch'erano uomini del re d'Inghilterra e' Normandi che sono sotto il re di Francia, della quale i Normandi ebbono il peggiore, e vegnendosi a dolere della ingiuria e dammaggio ricevuto da' Guasconi al loro re di Francia, lo re fece richiedere il re Adoardo d'Inghilterra, il quale per risorto tenea la Guascogna dovendone fare omaggio al re di Francia, che dovesse fare fare l'amenda alle sue genti, e venire personalmente a·ffare omaggio della detta Guascogna al re di Francia, e se ciò non facesse a certo termine a·llui dato, il re di Francia col suo consiglio de' XII peri il privava del ducato di Guascogna. Per la qual cosa il re Adoardo, il quale era di grande cuore e prodezza, e per suo senno e valore fatte di grandi cose oltremare e di qua, isdegnò di non volere fare personalmente il detto omaggio, ma mandò in Francia messer Amondo suo fratello, che facesse per lui, e soddisfacesse il dammaggio ricevuto per la gente del re di Francia. Ma per l'orgoglio e covidigia de' Franceschi, il re Filippo di Francia nol volle accettare, per avere cagione di torre al re d'Inghilterra la Guascogna lungamente conceputa e disiderata. Per la qual cosa si cominciò aspra e dura guerra tra' Franceschi e gl'Inghilesi in terra e in mare, onde molta gente morirono, e furono presi e diserti dall'una parte e dall'altra, come innanzi per gli tempi faremo menzione. E 'l seguente anno il re Filippo di Francia mandò in Guascogna messere Carlo di Valos suo fratello con grande cavalleria, e prese Bordello e molte terre e castella sopra il re d'Inghilterra, e in mare mise grande navilio in corso sopra gl'Inghilesi.



V - Come fu eletto e fatto papa Cilestino quinto, e come rifiutò il papato

Negli anni di Cristo MCCLXXXXIIII, del mese di luglio, essendo stata vacata la Chiesa di Roma dopo la morte di papa Niccola d'Ascoli più di due anni, per discordia de' cardinali ch'erano partiti, e ciascuna setta volea papa uno di loro, essendo i cardinali in Perugia, e costretti aspramente da' Perugini perché eleggessono papa, come piacque a·dDio, furono in concordia di non chiamare niuno di loro collegio, e elessono uno santo uomo ch'avea nome frate Piero dal Morrone d'Abruzzi. Questi era romito e d'aspra vita e penitenzia, e per lasciare la vanità de·mondo, ordinati più santi monisterii di suo ordine, sì se n'andò a·ffare penitenzia nella montagna del Morrone, la quale è sopra Sermona. Questi eletto e fatto venire e coronato papa, per riformare la Chiesa fece di settembre vegnente XII cardinali, grande parte oltramontani, a·ppetizione e per consiglio del re Carlo re di Cicilia e di Puglia; e ciò fatto, n'andò colla corte a Napoli, il quale dal re Carlo fu ricevuto graziosamente e con grande onore; ma perch'egli era semplice e non litterato, e delle pompe del mondo non si travagliava volentieri, i cardinali il pregiavano poco, e parea loro che a utile e stato della Chiesa avere fatta mala elezione. Il detto santo padre aveggendosi di ciò, e non sentendosi sofficiente al governamento della Chiesa, come quegli che più amava di servire a·dDio e l'utile di sua anima che l'onore mondano, cercava ogni via come potesse rinunziare il papato. Intra gli altri cardinali della corte era uno messer Benedetto Guatani d'Alagna molto savio di scrittura, e delle cose del mondo molto pratico e sagace, il quale aveva grande volontà di pervenire alla dignità papale, e quello con ordine avea cercato e procacciato col re Carlo e co' cardinali, e già da·lloro la promessa, la quale poi gli venne fatta. Questi si mise dinanzi al santo padre, sentendo ch'egli avea voglia di rinunziare il papato, ch'egli facesse una nuova decretale, che per utilità della sua anima ciascuno papa potesse il papato rinunziare, mostrandoli assemplo di santo Clemente, che quando santo Pietro venne a morte lasciò ch'apresso a·llui fosse papa; e quegli per utile di sua anima non volle essere, e fu in luogo di lui in prima santo Lino, e poi santo Cleto papa; e così come il consigliò il detto cardinale, fece papa Cilestino il detto decreto; e ciò fatto, il dì di santa Lucia di dicembre vegnente, fatto concestoro di tutti i cardinali, in loro presenza si trasse la corona e il manto papale, e rinunziò il papato, e partissi della corte, e tornossi ad essere eremita, e a·ffare sua penitenzia. E così regnò nel papato V mesi e VIIII dì papa Cilestino. Ma poi il suo successore messer Benedetto Guatani detto di sopra, il quale fu poi papa Bonifazio, si dice, e fu vero, il fece prendere a la montagna di Santo Angiolo in Puglia di sopra a Bestia, ove s'era ridotto a·ffare penitenzia, e chi dice ne voleva ire in Ischiavonia, e privatamente nella rocca di Fummone in Campagna il fece tenere in cortese pregione, acciò che·llui vivendo non si potesse apporre alla sua lezione, però che molti Cristiani teneano Cilestino per diritto e vero papa, nonostante la sua rinunziazione, opponendo che sì fatta dignità come il papato per niuno decreto non si potea rinunziare, e perché santo Clemente rifiutasse la prima volta il papato, i fedeli il pur teneano per padre, e convenne poi che pur fosse papa dopo santo Cleto. Ma ritenuto preso Cilestino, come avemo detto, in Fummone, nel detto luogo poco vivette; e quivi morto, fu soppellito in una piccola chiesa di fuori di Fummone dell'ordine di suoi frati poveramente, e messo sotterra più di X braccia, acciò che 'l suo corpo non si ritrovasse. Ma alla sua vita, e dopo la sua morte, fece Iddio molti miracoli per lui, onde molta gente aveano in lui grande devozione; e poi a·ccerto tempo appresso dalla Chiesa di Roma e da papa Giovanni XXII fu canonizzato, e chiamato santo Piero di Morrone, come innanzi al detto tempo fareno menzione.



VI - Come fu eletto e fatto papa Bonifazio ottavo

Nel detto anno MCCLXXXXIIII messer Benedetto Guatani cardinale, avendo per suo senno e segacità adoperato che papa Celestino avea rifiutato il papato, come adietro nel passato capitolo avemo fatta menzione, seguì la sua impresa, e tanto adoperò co' cardinali e col procaccio del re Carlo, il quale avea l'amistà di molti cardinali, spezialmente di XII nuovi eletti per Celestino, e istando in questa cerca, una sera di notte isconosciuto con poca compagnia andòe al re Carlo, e dissegli: "Re, il tuo papa Celestino t'ha voluto e potuto servire nella tua guerra di Cicilia, ma nonn-ha saputo; ma se tu adoperi co' tuoi amici cardinali ch'io sia eletto papa, io saprò, e vorrò, e potrò"; promettendogli per sua fede e saramento di mettervi tutto il podere della Chiesa. Allora lo re fidandosi in lui, gli promise e ordinò co' suoi XII cardinali che gli dessero le loro boci. E essendo alla lezione messer Matteo Rosso e messer Iacopo della Colonna, ch'erano capo delle sette de' cardinali, s'accorsono di ciò, incontanente gli diedono le loro, ma prima messer Matteo Rosso Orsini; e per questo modo fu eletto papa nella città di Napoli la vilia della Natività di Cristo del detto anno; e incontanente che fue eletto si volle partire di Napoli colla corte, e venne a Roma, e là si fece coronare con grande solennità e onore in mezzo gennaio. E ciò fatto, la prima provisione che fece, sentendo che grande guerra era cominciata tra 'l re Filippo di Francia e·re Adoardo d'Inghilterra per la quistione di Guascogna, sì mandò oltre i monti due legati cardinali, perché gli pacificassono insieme; ma poco v'adoperarono, che' detti signori rimasono in maggiore guerra che di prima. Questo papa Bonifazio fue della città d'Alagna, assai gentile uomo di sua terra, figliuolo di messer Lifredi Guatani, e di sua nazione Ghibellino; e mentre fu cardinale, protettore di loro, spezialmente de' Todini; ma poi che fu fatto papa molto si fece Guelfo, e molto fece per lo re Carlo nella guerra di Cicilia, con tutto che per molti savi si disse ch'egli fu partitore della parte guelfa, sotto l'ombra di mostrarsi molto Guelfo, come innanzi ne' suoi processi manifestamente si potrà comprendere per chi fia buono intenditore. Molto fu magnanimo e signorile, e volle molto onore, e seppe bene mantenere e avanzare le ragioni della Chiesa, e per lo suo savere e podere molto fu ridottato e temuto; pecunioso fu molto per agrandire la Chiesa e' suoi parenti, non faccendo coscienza di guadagno, che tutto dicea gli era licito quello ch'era della Chiesa. E come fu fatto papa anullò tutte le grazie de' vacanti fatte per papa Celestino, chi non avesse la possesione; fece fare il nipote al re Carlo conte di Caserta, e due figliuoli del detto suo nipote, l'uno conte di Fondi e l'altro conte di Palazzo. Comperò il castello delle Milizie di Roma, che fu il palazzo d'Attaviano imperadore, e quello crescere e reedificare con grande spendio, e più altre forti e belle castella in Campagna e in Maremma. E sempre la sua stanza fue il verno in Roma, e la state a la prima in Rieti e Orbivieto, ma poi il più in Alagna per agrandire la sua cittade. Lasceremo alquanto di dire del detto papa, seguendo di tempo in tempo delle novità dell'altre parti del mondo, e massimamente di quelle di Firenze, onde molto ne cresce materia.



VII - Quando si cominciò a fondare la nuova chiesa di Santa Croce di Firenze

Negli anni di Cristo MCCLXXXXIIII, il dì di santa Croce di maggio, si fondò la grande chiesa nuova de' frati minori di Firenze detta Santa Croce, e a la consegrazione della prima pietra che si mise ne' fondamenti, vi furono molti vescovi e parlati e cherici e religiosi, e la podestà, e 'l capitano, e' priori, e tutta la buona gente di Firenze, uomini e donne, con grande festa e solennitade. E cominciarsi i fondamenti prima da la parte di dietro ove sono le cappelle, però che prima v'era la chiesa vecchia, e rimase all'oficio de' frati infino che furono murate le cappelle nuove.



VIII - Come fu cacciato di Firenze il grande popolare Giano della Bella

Nel detto anno MCCLXXXXIIII, del mese di gennaio, essendo di nuovo entrato in signoria de la podesteria di Firenze messer Giovanni da Luccino da Commo, avendo dinanzi uno processo d'una accusa contro a messer Corso de' Donati, nobile e possente cittadino de' più di Firenze, per cagione che 'l detto messer Corso dovea avere morto uno popolano, famigliare di messer Simone Galastrone suo consorto, a una mischia e fedite le quali aveano avute insieme, e quello famigliare era stato morto; onde messer Corso Donati era andato dinanzi con sicurtà della detta podestà, a' prieghi d'amici e signori, onde il popolo di Firenze attendea che la detta podestà il condannasse. E già era tratto fuori il gonfalone della giustizia per fare l'esecuzione, e egli l'asolvette; per la qual cosa in sul palagio della podestà letta la detta prosciogligione, e condannato messer Simone Galastrone delle fedite, il popolo minuto gridò: "Muoia la podestà!"; e uscendo a corsa di palagio, gridando: "A l'arme a l'arme, e viva il popolo!", gran parte del popolo fu in arme, e spezialmente il popolo minuto; e trassono a casa Giano de la Bella loro caporale; e elli, si dice, gli mandò col suo fratello al palagio de' priori a seguire il gonfaloniere della giustizia; ma ciò non feciono, anzi vennero pure al palagio della podestà, il quale popolo a furore con arme e balestra assaliro il detto palagio, e con fuoco misono nelle porte, e arsolle, e entrarono dentro, e presono e rubarono la detta podestà e sua famiglia vituperosamente. Ma messer Corso per tema di sua persona si fuggì di palagio di tetto in tetto, ch'allora non era così murato; de la quale furia i priori, ch'erano assai vicini al palagio della podestà, dispiacque, ma per lo isfrenato popolo nol poterono riparare. Ma racquetato il romore, alquanti dì appresso i grandi uomini che non dormivano in pensare d'abattere Giano de la Bella, imperciò ch'egli era stato de' caporali e cominciatori degli ordini della giustizia, e oltre a·cciò, per abassare i grandi, volle torre a' capitani di parte guelfa il suggello e 'l mobile della parte, ch'era assai, e recarlo in Comune, non perch'egli non fosse Guelfo e di nazione Guelfo, ma per abassare la potenzia de' grandi; i quali grandi vedendosi così trattare, s'acostarono in setta col consiglio del collegio de' giudici e de' notari, i quali si teneano gravati da·llui, come addietro facemmo menzione, e con altri popolani grassi, amici e parenti de' grandi, che non amavano che Giano de la Bella fosse in Comune maggiore di loro, ordinarono di fare uno gagliardo uficio de' priori; e venne loro fatto, e trassesi fuori prima che 'l tempo usato. E ciò fatto, come furono all'uficio, sì ordinarono col capitano del popolo, e feciono formare una notificagione e inquisizione contro al detto Giano de la Bella e altri suoi consorti e seguaci, e di quegli che furono caporali a mettere fuoco nel palagio, opponendo com'egli aveano messa la terra a romore, e turbato il pacifico stato, e assalita la podestà contro agli ordini della giustizia; per la qual cosa il popolo minuto molto sì conturbò, e andavano a casa Giano della Bella, e proffereagli d'esser co·llui in arme a difenderlo, o combattere la terra. E il suo fratello trasse in Orto Sammichele uno gonfalone dell'arme del popolo; ma Giano ch'era uno savio uomo, se non ch'era alquanto presuntuoso, veggendosi tradito e ingannato da coloro medesimi ch'erano stati co·llui affare il popolo, e veggendo che·lla loro forza con quella de' grandi era molto possente, e già raunati a casa i priori armati, non si volle mettere alla ventura della battaglia cittadinesca, e per non guastare la terra, e per tema di sua persona non volle ire dinanzi, ma cessossi, e partì di Firenze a dì V di marzo, isperando che 'l popolo i·rimetterebbe ancora in istato; onde per la detta accusa, overo notificagione, fu per contumace condannato nella persona e isbandito, e in esilio morì in Francia (ch'avea a·ffare di là, ed era compagno de' Pazzi), e tutti i suoi beni disfatti, e certi altri popolani accusati co·llui; onde di lui fu grande danno alla nostra cittade, e massimamente al popolo, però ch'egli era il più leale e diritto popolano e amatore del bene comune che uomo di Firenze, e quegli che mettea in Comune e non ne traeva. Era presuntuoso e volea le sue vendette fare, e fecene alcuna contra gli Abati suoi vicini col braccio del Comune, e forse per gli detti peccati fu, per le sue medesime leggi fatte, a torto e sanza colpa da' non giusti giudicato. E nota che questo è grande esemplo a que' cittadini che sono a venire, di guardarsi di non volere essere signori di loro cittadini né troppo presuntuosi, ma istare contenti a la comune cittadinanza, che quegli medesimi che·ll'aveano aiutato a farlo grande per invidia il tradiranno e penseranno d'abattere; esse n'è veduta isperienza vera in Firenze per antico e per novello, che chiunque s'è fatto caporale di popolo o d'università è stato abattuto, però che·llo 'ngrato popolo mai non rende altri meriti. Di questa novitade ebbe grande turbazione e mutazione il popolo e la cittade di Firenze, e d'allora innanzi gli artefici e' popolani minuti poco podere ebbono in Comune, ma rimase al governo de' popolani grassi e possenti.



IX - Quando si cominciò a fondare la chiesa maggiore di Santa Reparata

Nel detto anno MCCLXXXXIIII, essendo la città di Firenze in assai tranquillo stato, essendo passate le fortune del popolo per le novità di Giano della Bella, i cittadini s'accordarono di rinnovare la chiesa maggiore di Firenze, la quale era molto di grossa forma e piccola a comparazione di sì fatta cittade, e ordinaro di crescerla, e di trarla addietro, e di farla tutta di marmi e con figure intagliate. E fondossi con grande solennitade il dì di santa Maria di settembre per lo legato del papa cardinale e più vescovi, e fuvi la podestà e capitano e' priori, e tutte l'ordini delle signorie di Firenze, e consagrossi ad onore d'Iddio e di santa Maria, nominandola Santa Maria del Fiore, con tutto che mai no·lle si mutò il primo nome per l'universo popolo, Santa Reparata. E ordinossi per lo Comune a la fabbrica e lavorio de la detta chiesa una gabella di danari IIII per libbra di ciò che usciva della camera del Comune, e soldi II per capo d'uomo; e il legato e' vescovi vi lasciarono grandi indulgenzie e perdonanze a chi vi facesse aiuto e limosina.



X - Come messer Gianni di Celona venne in Toscana vicario d'imperio

Nel detto anno MCCLXXXXIIII uno valente e gentile uomo della casa del conte di Borgogna, che·ssi chiamava messer Gianni di Celona, a sommossa della parte ghibellina di Toscana e col loro favore, impetrò da Alberto d'Osteric re de' Romani d'essere vicario d'imperio in Toscana; e ciò fatto, passò in Italia con Vc Borgognoni e Tedeschi a cavallo, e arrivò nella città d'Arezzo; e in quella cogli Aretini, e' Romagnuoli, e' ribelli di Firenze, cominciò a·ffare guerra a' Fiorentini e Sanesi, e stette bene uno anno. A la fine non piaccendo a' Ghibellini perch'era di lingua francesca, furono in sospetto di lui; per la qual cosa poi per procaccio di papa Bonifazio, a petizione del Comune di Firenze e de' Guelfi di Toscana, per accordo si partì con sua gente, e tornossi in Borgogna l'anno MCCLXXXXV, ed ebbe dal Comune di Firenze XXXm fiorini d'oro, e simile per rata da l'altre terre guelfe di Toscana, per mandarlo via. Nel detto anno MCCLXXXXIIII morì in Firenze uno valente cittadino il quale ebbe nome ser Brunetto Latini, il quale fu gran filosafo, e fue sommo maestro in rettorica, tanto in bene sapere dire come in bene dittare. E fu quegli che spuose la Rettorica di Tulio, e fece il buono e utile libro detto Tesoro, e il Tesoretto, e la Chiave del Tesoro, e più altri libri in filosofia, e de' vizi e di virtù, e fu dittatore del nostro Comune. Fu mondano uomo, ma di lui avemo fatta menzione però ch'egli fue cominciatore e maestro in digrossare i Fiorentini, e farli scorti in bene parlare, e in sapere guidare e reggere la nostra repubblica secondo la Politica.



XI - Come fu canonizzato santo Luis re che fu di Francia

Nel detto anno MCCLXXXXIIII papa Bonifazio co' suoi frati cardinali nella città d'Orbivieto canonizzò la memoria del buono Luis re di Francia, il quale morì per la Cristianitade sopra la città di Tunisi, trovando per vere testimonianze di lui sante opere a la sua vita e a la sua fine, e avendo Iddio mostrati di lui aperti miracoli.



XII - Come i grandi di Firenze misono la città a romore per rompere il popolo

A dì VI del mese di luglio, l'anno MCCLXXXXV, i grandi e possenti della città di Firenze veggendosi forte gravati di nuovi ordini de la giustizia fatti per lo popolo, e massimamente di quello ordine che dice che l'uno consorto sia tenuto per l'altro, e che·lla pruova della piuvica fama fosse per due testimoni; e avendo in sul priorato di loro amici, sì procacciarono di rompere gli ordini del popolo. E prima sì·ssi pacificarono insieme de' grandi nimistà tra·lloro, spezialmente tra gli Adimari e' Tosinghi, e tra' Bardi e' Mozzi; e ciò fatto, feciono a certo dì ordinato raunata di gente, e richiesono i priori che' detti capitoli fossono corretti; onde della città di Firenze fu tutta gente a romore e a l'arme, i grandi per sé a cavalli coverti, e co·lloro séguito di contadini e d'altri masnadieri a piè in grande quantità; e schierarsi parte di loro nella piazza di Santo Giovanni, ond'ebbe la 'nsegna reale messer Forese degli Adimari; parte di loro a la piazza a Ponte, ond'ebbe la 'nsegna messer Vanni Mozzi; e parte in Mercato Nuovo, ond'ebbe la 'nsegna messer Geri Spini, per volere correre la terra. I popolani s'armarono tutti co' loro ordini e insegne e bandiere, e furono in grande numero, e asserragliarono le vie della città in più parti, perché i cavalieri non potessono correre la terra, e raunarsi al palagio della podestà e a casa de' priori, che stavano allora nella casa de' Cerchi dietro a San Brocolo; e trovossi il popolo sì possente, e ordinati di forza e d'arme e di gente, e diedono compagnia a' priori, perch'erano sospetti, de' maggiori e de' più possenti e savi popolani di Firenze, uno per sesto. Per la qual cosa i grandi non ebbono niuna forza né podere contra loro, ma il popolo avrebbe potuto vincere i grandi, ma per lo migliore e per non fare battaglia cittadinesca, avendo alcuno mezzo di frati di buona gente dall'una parte a l'altra, ciascuna parte si disarmò, e la cittade si racquetò sanza altra novità, rimagnendo il popolo in suo stato e signoria, salvo che, dove la pruova de la piuvica fama era per II testimoni, si mise fossono per III; e ciò feciono i priori contra volontà de' popolani, ma poco appresso si rivocò e tornò al primo stato. Ma pur questa novitate fue la radice e cominciamento dello sconcio e male istato della città di Firenze che ne seguì apresso, che da indi innanzi i grandi mai non finarono di cercare modo d'abattere il popolo a·lloro podere; e' caporali del popolo cercarono ogni via di fortificare il popolo e d'abassare i grandi, fortificando gli ordini della giustizia; e feciono torre a' grandi le loro balestra grosse, e comperate per lo Comune; e molti casati che nonn erano tiranni e di non grande podere trassono del numero de' grandi e misono nel popolo, per iscemare il podere de' grandi e crescere quello del popolo. E quando i detti priori uscirono dell'uficio, fu loro picchiate le caviglie dietro, e gittati de' sassi, perch'erano stati consenzienti a favorare i grandi; e per questo romore e novitadi si mutò nuovo stato di popolo in Firenze, onde furono capo Mancini, e Magalotti, Altoviti, Peruzzi, Acciaiuoli, e Cerretani, e più altri.



XIII - Come lo re Carlo fece pace col re Giamo d'Araona.

Negli anni di Cristo MCCLXXXXV morì il re Anfus d'Araona, per la cui morte don Giamo suo fratello, il quale s'avea fatto coronare e tenea l'isola di Cicilia, cercò sua pace colla Chiesa e col re Carlo, e per mano di papa Bonifazio si fece in questo modo; che 'l detto don Giamo togliesse per moglie la figliuola del re Carlo, e rifiutasse la signoria di Cicilia, e lasciasse gli stadichi che 'l re Carlo avea lasciati in Aragona, ciò erano Ruberto e Ramondo e Giovanni suoi figliuoli con altri baroni e cavalieri provenzali; e 'l papa col re Carlo promise di fare rinunziare Carlo di Valos, fratello del re di Francia, il privilegio che papa Martino quarto gli avea fatto del reame d'Araona; e perché a·cciò consentisse, gli diè il re Carlo la contea d'Angiò e la figliuola per moglie. E per ciò fornire andò il re Carlo in Francia in persona, e lui tornando coll'accordo fatto e co' suoi figliuoli, i quali avea diliberi di pregione, sì passò per la città di Firenze, ne la quale era già venuto da Napoli per farglisi incontro Carlo Martello re d'Ungheria suo figliuolo, e con sua compagnia CC cavalieri a sproni d'oro, Franceschi, e Provenzali, e del Regno, tutti giovani, vestiti col re d'una partita di scarlatto e verde bruno, e tutti con selle d'una assisa a palafreno rilevate d'ariento e d'oro, co l'arme a quartieri a gigli ad oro, e acerchiata rosso e d'argento, cioè l'arme d'Ungaria, che parea la più nobile e ricca compagnia che anche avesse uno giovane re con seco. E in Firenze stette più di XX dì, attendendo il re suo padre e' frategli, e da' Fiorentini gli fu fatto grande onore, e egli mostrò grande amore a' Fiorentini, onde ebbe molto la grazia di tutti. E venuto il re Carlo, e Ruberto, e Ramondo, e Giovanni suoi figliuoli in Firenze col marchese di Monferrato, che dovea avere per moglie la figliuola del re, fatti in Firenze più cavalieri, e ricevuto molto onore e presenti da' Fiorentini, il re con tutti i figliuoli si tornò a corte di papa e poi a Napoli. E ciò fatto, e messo a seguizione per lo papa e per lo re Carlo tutto il contratto della pace, don Giamo si partì di Cicilia e andossene in Araona, e del reame si fece coronare; ma di cui si fosse la colpa, o del papa o di don Giamo, il re Carlo si trovò ingannato, che dove lo re Carlo si credette riavere l'isola di Cicilia a queto, partitosene don Giamo, Federigo sequente suo fratello vi rimase signore, e a' Ciciliani se ne fece coronare contra volontà della Chiesa dal vescovo di Cefalona, onde il papa mostrò grande turbazione contro al re d'Araona e Federigo suo fratello, e fecelo citare a corte, il quale re Giamo vi venne l'anno appresso, come innanzi faremo menzione.



XIV - Come la parte guelfa furono per forza cacciati di Genova

Nel detto anno si cominciò grande guerra tra' cittadini di Genova, tra la parte guelfa, ond'erano capo i Grimaldi, e la parte ghibellina, ond'eran capo gli Ori e Spinoli; e ciò parve che si scoprisse per invidia tra·lloro, e per la signoria della terra: ché la state medesima aveano fatta la più grande e la più ricca armata in mare sopra i Viniziani che mai facesse Comune, che più di CLX galee furono, sanza gli altri legni grossi e sottili, che furono più di C, e ciascuna parte e casato armando a gara l'uno dell'altro si sforzaro; e allora fu Genova e il suo podere nel maggiore colmo ch'ella fosse mai, che poi sempre vennono calando. E parve che in quello stuolo si cominciasse la discordia, che non passarono più innanzi che Messina, ch'aveano ordinato d'andare infino a Vinegia; e tornati a Genova, cominciarono tra·lloro battaglia cittadinesca, la quale durò da L dì, saettandosi e combattendosi di dì e di notte, onde molti ne moriro d'una parte e d'altra, e in più parti de la città misono fuoco, e arse la Riva quasi tutta, e la chiesa maggiore di Santo Lorenzo, e più case e palazzi. A la fine quegli di casa d'Oria, e gli Spinoli, e' loro seguaci, sotto trattato di triegua si fornirono di molta gente nuova di Lombardia e della riviera, e trovarsi sì forti, che per forza ne cacciarono i Grimaldi e' loro seguaci guelfi; e ciò fu di gennaio nel MCCLXXXXV.



XV - De' fatti de' Tarteri di Persia

Nel detto anno essendo imperadore de' Tarteri di Persia e del Turigi Baido Cane, fratello che fu d'Argon Cane, onde addietro in alcuna parte facemmo menzione; e se Argon amò i Cristiani, questo Baido fu cristianissimo e nimico de' Saracini; per la qual cosa i Saracini di suo paese con certi signori di Tarteri feciono con ispendio e gran promesse che Casano suo nipote e figliuolo che fu d'Argon si rubellò da·llui, e venne in campo con grande oste de' Tarteri e Saracini contro a·llui per combattere. Baido veggendosi da gran parte de' suoi tradito, si mise a fuggire, il quale da Casano fue seguito, e sconfitto, e morto. E 'l detto Casano fatto signore colla forza de' Saracini, come detto avemo, incontanente mutò condizione, e come prima avea amati i Saracini e odiati i Cristiani, così apresso fu amico de' Cristiani e nimico de' Saracini, e distrusse tutti coloro che·ll'aveano consigliato di fare male a' Cristiani, e appresso fece molto di bene per la Cristianità per raquistare la Terrasanta, come innanzi al tempo faremo menzione.



XVI - Come Maghinardo da Susinana isconfisse i Bolognesi, e prese la città d'Imola

Negli anni di Cristo MCCLXXXXVI, in calen di aprile, Maghinardo da Susinana, onde addietro facemmo menzione, avendo guerra co' Bolognesi per cagione della presa di Forlì e d'altre terre di Romagna, onde i Bolognesi aveano la signoria, e fatta lega col marchese Azzo da Ferrara, il quale simigliante avea guerra co' Bolognesi, coll'aiuto di sua gente e de' Ghibellini di Romagna, vegnendo con oste sopra la città d'Imola ov'erano i Bolognesi co·lloro forza, combattendo co·lloro gli sconfisse con grande danno de' presi e de' morti, e prese la detta città d'Imola con molti Bolognesi che v'erano dentro.



XVII - Come il popolo di Firenze fece fare la terra di Castello San Giovanni e Castello Franco in Valdarno

Nel detto anno essendo il Comune e popolo di Firenze in assai buono e felice stato, con tutto che i grandi avessono incominciato a contradiare il popolo, come detto avemo, il popolo per meglio fortificarsi in contado, e scemare la forza de' nobili e de' potenti del contado, e spezialmente quella de' Pazzi di Valdarno e degli Ubertini ch'erano Ghibellini, si ordinò che nel nostro Valdarno di sopra si facessono due grandi terre e castella; l'uno era tra Fegghine e Montevarchi, e puosesi nome Castello Santo Giovanni, e l'altro in casa Uberti a lo 'ncontro passato l'Arno, e puosongli nome Castello Franco, e francarono tutti gli abitanti de' detti castelli per X anni d'ogni fazzione e spese di Comune, onde molti fedeli de' Pazzi e Ubertini, e di quegli da Ricasoli, e de' Conti, e d'altri nobili, per esser franchi si feciono terrazzani de' detti castelli; per la qual cosa in poco tempo crebbono e multiplicaro assai, e fecionsi buone e grosse terre.



XVIII - Come lo re Giamo d'Araona venne a Roma, e papa Bonifazio gli privileggiò l'isola di Sardigna

Nel detto anno alla richesta di papa Bonifazio il re Giamo d'Araona venne a Roma al detto papa, e menò seco la reina Gostanza sua madre e figliuola che fu del re Manfredi, e messer Ruggieri di Loria suo amiraglio, a' quali il papa fece grande onore e ricomunicogli; e 'l detto re Giamo si scusò della 'mpresa che don Federigo suo fratello avea fatta della signoria di Cicilia, come non era essuta di sua saputa né di suo consentimento, giurando in mano del papa in presenza del re Carlo che a richiesta del re Carlo e' sarebbe personalmente, e con sua gente e forza, contro a don Federigo suo fratello ad aiutare racquistare l'isola di Cicilia; e simile promessa e saramento fece fare a messer Ruggieri di Loria suo amiraglio. Per la quale cosa il papa fece il detto re Giamo ammiraglio e gonfaloniere della Chiesa in mare, quando si facesse il passaggio d'oltremare, e privileggiollo del reame dell'isola di Sardigna, conquistandolo sopra i Pisani o chi v'avesse signoria; e fece il detto papa che 'l re Carlo perdonò ogni offesa ricevuta da messere Ruggieri di Loria, e fecelo suo ammiraglio; per la qual cosa sappiendo don Federigo, gli tolse tutte sue rendite e onori ch'avea in Cicilia, e al nipote, opponendogli tradigione, fece tagliare la testa.



XIX - Come il conte di Fiandra e quello di Bari si rubellarono al re di Francia

Nel detto anno il conte Guido di Fiandra e il conte di Bari genero del re d'Inghilterra si rubellarono dal re di Francia per oltraggi ricevuti dal re e da sua gente, e allegarsi col re Adoardo d'Inghilterra. E intr'altre principali cagioni della rubellazione del conte di Fiandra si fu perch'egli avea maritata la figliuola al figliuolo del re d'Inghilterra sanza consentimento del re; onde non piaccendo al re, mandò per lo conte e per la contessa di Fiandra, e poi per la figliuola; e quando furono a Parigi, lo re fece ritenere la detta donzella in cortese pregione, perché non fosse moglie del suo nimico, e poco tempo appresso ella morì; e dissesi che fu fatta morire di veleno. Il conte vedendo ritenuta sua figlia, e egli da·re in leggere guardia lasciato, si partì privatamente di Parigi e fuggìsi in Fiandra, e dolendosi a' figliuoli e a la sua gente del torto che gli facea il re di sua figlia, fece le sue terre rubellare al re; e in Lilla mise a guardia Ruberto suo primo figliuolo, e a Doai Guiglielmo secondo figliuolo, e a Coltrai messere Gianni di Namurro suo figliuolo; e il conte rimase a la guardia di Bruggia, e 'l duca di Brabante suo nipote a la guardia di Guanto. Per la qual cosa il re di Francia con grande oste andòe in Fiandra con la maggiore parte di sua baronia, e con più di Xm cavalieri e popolo innumerabile, e puosesi a oste a Lilla, ne la quale era messer Ruberto di Fiandra e 'l siri di Falcamonte de la Magna con più soldati tedeschi, i quali difendeano la terra francamente. In questa stanza il conte d'Artese isconfisse i Fiaminghi a Fornes, e lo re d'Inghilterra arrivò in Fiandra, come si tratterà nel seguente capitolo; per la qual cosa, e ancora perché la villa di Lilla non era bene proveduta né fornita di vittuaglia, s'arrendéo la terra al re di Francia, andandone sano e salvo messer Ruberto di Fiandra con tutti i soldati tedeschi. E avuta il re di Francia Lilla, prese la sua gente Bettona e più altre ville di Fiandra, e fece poi lo re di Francia cavalcare le terre del conte di Bari, e ardere e guastare.



XX - Come il conte d'Artese isconfisse i Fiamminghi a Fornes, e come il re d'Inghilterra passò in Fiandra

Nel seguente anno MCCLXXXXVII, essendo cresciuta la guerra al re di Francia per lo re d'Inghilterra, e per la rubellazione del conte di Fiandra e di quello di Bari, come detto avemo di sopra, sì feciono lega ancora contro a·llui col re Attaulfo d'Alamagna, e mandogli il re d'Inghilterra XXXm marchi di sterlini, acciò che venisse con suo isforzo in Fiandra per assalire il reame di Francia; e così promise e giurò, e lo re d'Inghilterra promise di venirvi in persona; e vennero alquanti cavalieri tedeschi in Fiandra al soldo de' Fiamminghi, i quali volendo co' Fiamminghi insieme assalire la contea d'Artese, il conte d'Artese con grande cavalleria di Franceschi tornato di Guascogna in Artese per la detta guerra cominciata per gli Fiamminghi, essendo al conte d'Artese già renduta la villa di Berghe a la marina, si fece loro incontro a Fornes in Fiandra, e quivi combattendo insieme, onde i Fiamminghi e' Tedeschi furono sconfitti, e morìvi il conte Guiglielmo di Giulieri, e Arrigo conte dal Bemonte, e 'l siri di Gaura, e più altri baroni e cavalieri tedeschi e fiamminghi con più di IIIm tra a piè e a cavallo vi furono morti e presi. E dopo la detta sconfitta il conte d'Artese prese Fornes, e feciono le comandamenta tutte le terre della marina e la valle di Cassella. In questo il re Adoardo d'Inghilterra con grande navilio, e con M e più buoni cavalieri e con gente d'arme a piè assai, e arrivò in Fiandra al porto della Stuna, sì come avea promesso per la lega fatta col re d'Alamagna e col conte di Fiandra, e prese la villa di Bruggia, la quale fue abandonata da' Franceschi, però che non v'avea fortezza né di muro né di fossi; e poi n'andò a Guanto, però che Bruggia non era forte, e gli grandi borgesi di Bruggia eran tutti della parte del re, onde non si fidava di stare in Bruggia. A Guanto era il conte di Fiandra per attendere il re d'Alamagna, il quale per più moneta, si disse, ch'ebbe dal re di Francia, non venne, come avea promesso e giurato; e chi disse che il detto re d'Alamagna rimase per guerra che 'l re di Francia per suoi danari e promessa di parentado gli fece muovere al duca d'Osteric; e a questo diamo più fede. Onde il re Adoardo veggendosi ingannato e tradito, overo fallito dal re d'Alamagna, e sentendo il grande podere del re di Francia, e com'era già mosso con tutta sua baronia, avuta Lilla, per venire contro a·llui a Guanto, e già era a Coltrai in Fiandra; per la qual cosa il re d'Inghilterra non s'affidò di dimorare in Fiandra, però che venuto il re di Francia con sua oste, il convenia essere soppreso o assediato in Bruggia o in Guanto, o venire a battaglia co·llui; e dapoi che non era venuto il re d'Alamagna con sua gente, non avea podere d'uscire a campo contro al re di Francia, e però si partì di Fiandra in grande fretta, e tornossi con sua gente inn-Inghilterra, e lasciò il conte di Fiandra in Guanto in male stato e da tutti abandonato. Lo re di Francia perché s'appressava il verno, e avea novelle come il re Carlo di Puglia venia in Francia in servigio del re d'Inghilterra, e per commessione del papa, per mettere accordo intra·llui e·re Adoardo, suoi congiunti, parenti, e amici, sì·ssi tornò in Francia con tutta sua oste, lasciando grande guernigione di gente d'arme a cavallo e a piè ne le dette terre, e fece fare a Lilla e a Coltrai forti castelli. E tornato in Francia, il re Carlo ordinò dal re di Francia al re Adoardo d'Inghilterra e 'l conte di Fiandra triegue per due anni, rimanendo al re di Francia per patti Bruggia, e Lilla, e Coltrai, e altre ville, le quali terre di Fiandra erano già all'obedienzia e guadagnate per lo re di Francia; e per dispensagione del papa il re d'Inghilterra prese per moglie la serocchia del re di Francia, e accordogli di pace insieme.



XXI - Come papa Bonifazio privò del cardinalato messer Iacopo e messer Piero della Colonna

Negli anni di Cristo MCCLXXXXVII, a dì XIII del mese di maggio, tenendosi papa Bonifazio molto gravato da' signori Colonnesi di Roma, perché in più cose l'aveano contastato per isdegno di loro maggioranza, ma più si tenea il papa gravato, perché messer Iacopo e messer Piero de la Colonna cardinali gli erano stati contradi a la sua lezione, mai non pensò se non di mettergli al niente. E in questo avenne che Sciarra de la Colonna loro nipote, vegnendo al mutare della corte di... a le some degli arnesi e tesoro de la Chiesa, le rubò e prese, e menolle in... Per la qual cagione agiugnendovi la mala volontade conceputa per adietro, il detto papa contro a·lloro fece processo in questo modo: che' detti messer Iacopo e messer Piero de la Colonna diacani cardinali del cardinalato e di molti altri benifici ch'aveano da la Chiesa gli dispuose e privò; e per simile modo condannò e privò tutti quegli de la casa de' Colonnesi, cherici e laici, d'ogni beneficio ecclesiastico e secolare, e scomunicolli, che mai non potessono avere beneficio; e fece disfare le case e' palazzi loro di Roma, onde parve molto male a' loro amici romani; ma non poterono contradire per la forza del papa e degli Orsini loro contrari; per la quale cosa si rubellarono al tutto dal papa e cominciarono guerra, però ch'egli erano molto possenti, e aveano gran séguito in Roma, e era loro la forte città di Pilestrino, e quella di Nepi, e la Colonna, e più altre castella. Per la qual cosa il papa diede la indulgenza di colpa e pene chi prendesse la croce contro a·lloro, e fece fare oste sopra la città di Nepi, e il Comune di Firenze vi mandò in servigio del papa VIc tra balestrieri e pavesari crociati co le sopransegne del Comune di Firenze; e tanto stette l'oste a l'assedio, che la città s'arendé al papa a patti, ma molta gente vi morì e amalò per corruzzione d'aria ch'ebbe nella detta oste.



XXII - Come Alberto d'Osteric sconfisse e uccise Ataulfo re d'Alamagna, e com'egli fue eletto re de' Romani

Negli anni di Cristo MCCLXXXXVIII, del mese di giugno, avendo i prencipi d'Alamagna privato Ataulfo della lezione dello 'mperio per cagione della sua dislealtà, e perché s'era legato col re di Francia per sua moneta, e tradito il re d'Inghilterra e il conte di Fiandra, come addietro avemo fatta menzione, e ancora per procaccio d'Alberto dogio d'Osteric, figliuolo che fu del re Ridolfo, per avere la lezione con ordine e trattato del re Adoardo, e con molta sua moneta data al detto Alberto per fare vendetta del tradimento commesso per lo detto Ataulfo re d'Alamagna; e ciò fatto, il detto dogio Alberto con sua potenzia di gente d'arme venne contro al detto Ataulfo, e in campo combatté co·llui, e sconfisselo, e rimase il detto Ataulfo morto nella detta battaglia con molta di sua gente; e avuta Alberto la detta vittoria, si fece eleggere re de' Romani, e poi confermare a papa Bonifazio.



XXIII - Come i Colonnesi vennero a la misericordia del papa, e poi si rubellarono un'altra volta

Nel detto anno, del mese di settembre, essendo trattato d'accordo da papa Bonifazio a' Colonnesi, i detti Colonnesi, cherici e laici, vennero a Rieti ov'era la corte, e gittarsi a piè del detto papa a la misericordia, il quale perdonò loro, e assolvetteli della scomunicazione, e volle gli rendessono la città di Penestrino; e così feciono, promettendo loro di ristituirgli in loro stato e dignità, la qual cosa non attenne loro, ma fece disfare la detta città di Penestrino del poggio e fortezze ov'era, e fecene rifare una terra al piano, a la quale puose nome Civita Papale; e tutto questo trattato falso e frodolente fece il papa per consiglio del conte da Montefeltro, allora frate minore, ove gli disse la mala parola: "Lunga promessa coll'attendere corto etc.". I detti Colonnesi trovandosi ingannati di ciò ch'era loro promesso, e disfatta sotto il detto inganno la nobile fortezza di Penestrino, innanzi che compiesse l'anno si rubellarono dal papa e da la Chiesa, e 'l papa gli scomunicò da capo con aspri processi; e per tema di nonn esser presi o morti, per la persecuzione del detto papa, si partirono di terra di Roma, e isparsonsi chi di loro in Cicilia, e chi in Francia, e in altre parti, nascondendosi di luogo in luogo per non esser conosciuti, e di non dare di loro posta ferma, spezialmente messer Iacopo e messer Piero ch'erano stati cardinali; e così stettono inn-esilio mentre vivette il detto papa.



XXIV - Come i Genovesi sconfissono i Viniziani in mare.

Nel detto anno, a dì VIII di settembre, essendo grande guerra in mare tra i Genovesi e' Viniziani, ciascuno fece armata, i Genovesi di CX galee, e' Viniziani di CXX galee; e' detti Genovesi, ond'era capitano e amiraglio messer Lamba d'Oria, passarono la Cicilia e misonsi nel golfo, con intendimento d'andare infino a la città di Vinegia, se in altro luogo non trovassono i Viniziani; ma come furono in Ischiavonia, trovarono l'armata de' detti Viniziani a l'isola de la Scolcola, ov'ebbe tra' due stuoli aspra e dura battaglia; a la fine furono sconfitti i Viniziani, e molti ne furono morti e presi, e LXX corpi di loro galee ne furono menate co' pregioni in Genova.



XXV - De' grandi tremuoti che furono in certe città d'Italia

Nel detto anno furono molti tremuoti in Italia, spezialmente nella città di Rieti e in quella di Spuleto, e in Toscana nella città di Pistoia, ne le quali cittadi caddono molte case, e palazzi, e torri, e chiese, e fu segno del giudicio di Dio, del futuro pericolo, e aversitadi, che poco appresso si cominciò in più parti d'Italia, e spezialmente nelle dette nominate cittadi, come innanzi per gli tempi faremo menzione.



XXVI - Quando si cominciò il palazzo del popolo di Firenze ove abitano i priori

Nel detto anno MCCLXXXXVIII si cominciò a fondare il palagio de' priori per lo Comune e popolo di Firenze, per le novità cominciate tra 'l popolo e' grandi, che ispesso era la terra in gelosia e in commozione, a la riformazione del priorato di due in due mesi, per le sette già cominciate, e i priori che reggeano il popolo e tutta la repubblica non parea loro essere sicuri ove abitavano innanzi, ch'era ne la casa de' Cerchi bianchi dietro a la chiesa di San Brocolo. E colà dove puosono il detto palazzo furono anticamente le case degli Uberti, ribelli di Firenze e Ghibellini; e di que' loro casolari feciono piazza, acciò che mai non si rifacessono. E perché il detto palazzo non si ponesse in sul terreno de' detti Uberti coloro che·ll'ebbono a far fare il puosono musso, che fu grande difalta a lasciare però di non farlo quadro, e più discostato da la chiesa di San Piero Scheraggio.



XXVII - Come fu fatta pace tra 'l Comune di Genova e quello di Vinegia

Negli anni di Cristo MCCLXXXXVIIII, del mese di maggio, pace fu tra' Genovesi e' Viniziani, e ciascuno riebbe i suoi pregioni con que' patti che piacquero a' Genovesi. Intra gli altri vollono che infra XIII anni niuno Viniziano non navicasse nel mare Maggiore di là da Gostantinopoli e nella Soria con galee armate, onde i Genovesi ebbono grande onore, e rimasono in grande potenza e felice stato, e più che Comune o signore del mondo ridottati in mare.



XXVIII - Come fu fatta pace tra 'l Comune di Bologna e 'l marchese da Esti e Maghinardo da Susinana per gli Fiorentini

Nel detto tempo e anno essendo stata lunga e grande guerra tra 'l Comune di Bologna e' suoi usciti, e col marchese Azzo da Esti, il quale signoreggiava la città di Ferrara, e quella di Reggio, e quella di Modona, e con Maghinardo da Susinana grande signore in Romagna, i quali erano a una lega contro a' Bolognesi, per procaccio e industria de' Fiorentini, amici dell'una parte e dell'altra, pace fu fatta, e basciarsi insieme i sindachi de le parti ne la città di Firenze; e i Fiorentini furono promettitori e mallevadori a la detta pace per l'una parte e per l'altra, con solenni carte e promessioni.



XXIX - Come il re Giamo d'Araona con Ruggieri di Loria e con l'armata del re Carlo sconfissono i Ciciliani a capo Orlando.

Nel detto anno avendo lo re Carlo fatta sua armata per andare sopra l'isola di Cicilia di XL galee, ond'era ammiraglio messer Ruggieri di Loria, e richesto per papa Bonifazio e per lo re Carlo il re Giamo d'Araona che aseguisse la promessa per lui fatta per li patti della pace, come adietro facemmo menzione, venne di Catalogna con XXX galee armate, e accozzatosi a Napoli coll'armata del re Carlo, e con Ruggieri di Loria loro ammiraglio, tutti insieme n'andarono verso Cicilia. Don Federigo co' suoi Ciciliani sentendo il detto apparecchiamento, fece suo isforzo, e armò LX galee, e col suo ammiraglio messer Federigo d'Oria si misono in mare. E a capo Orlando in Cicilia s'accozzaro in mare le dette armate a dì IIII del mese di luglio, e dopo la grande e aspra battaglia l'armata de' Ciciliani fue sconfitta, e tra morti e presi più di VIm uomini e XXII corpi di galee; per la qual cosa si mostrò palesemente che 'l detto re Giamo e Ruggieri di Loria furono fedeli e leali a la promessa fatta al papa e al re Carlo. Bene si disse che se lo re Giamo avesse voluto, don Federigo suo fratello rimanea preso in quella battaglia, però che·lla sua galea fue nelle sue mani, e era finita la guerra di Cicilia; o che fosse di sua volontà o di sua gente catalana, il lasciarono fuggire e scampare.



XXX - Come fu fatta pace tra' Genovesi e' Pisani

Nel detto anno, del mese d'agosto, fu fatta pace tra' Genovesi e' Pisani, la qual guerra era durata XVII anni e più, onde i Pisani molto erano abassati e venuti a piccolo podere; e quasi come gente ricreduta feciono a' Genovesi ogni patto che seppono domandare, dando loro parte in Sardigna, e la terra di Bonifazio in Corsica, e che' Pisani non dovessono navicare con galee armate infra XV anni, e de' pregioni che vennero in Genova de' Pisani, quando furono lasciati, non erano vivi che apena il X.



XXXI - Quando di prima si cominciarono le nuove mura de la città di Firenze

Nel detto anno, a dì XXVIIII di novembre, si cominciarono a fondare le nuove e terze mura della città di Firenze nel Prato d'Ognesanti; e furono a benedire e fondare la prima pietra il vescovo di Firenze, e quello di Fiesole, e quello di Pistoia, e tutti i prelati e riligiosi, e tutte le signorie e ordini di Firenze con innumerabile popolo. E murarsi allora da la torre sopra la gora infino a la porta del Prato, la qual porta era prima cominciata insino l'anno MCCLXXXIIII, coll'altre porte mastre di qua da l'Arno, insieme, come adietro facemmo menzione; ma per molte averse novità che furono appresso stette buono tempo che non vi si murò più innanzi che quelle mura de la fronte del Prato.



XXXII - Come il re di Francia ebbe a queto tutta Fiandra, e in pregione il conte e' figliuoli

Nel detto anno MCCLXXXXVIIII, fallite le triegue dal re di Francia e 'l conte di Fiandra, lo re mandò in Fiandra messer Carlo di Valos suo fratello con grande oste e cavalleria, il quale giunto a Bruggia cominciò guerra al conte ch'era in Guanto, e a tutte le terre della marina che teneano col conte, e con più battaglie in più parti vinte per la gente di messer Carlo contra i Fiamminghi s'arenderono a messer Carlo, salvo Guanto, ov'era il conte cogli suoi figliuoli messer Ruberto e messer Guiglielmo, abandonati dagli amici e da' signori, e eziandio da' loro borgesi. Per la qual cosa trattato ebbono con messer Carlo di fare onore al re di rendersi a·llui, promettendo messer Carlo sopra sé di guarentirgli e rimettergli in amore del re, e in loro stato e signoria. E compiuto il trattato, renderono Guanto, ch'è de le più forti terre del mondo, e le loro persone a messer Carlo; il quale entrato in Guanto, il conte Guido e messer Ruberto e messer Guiglielmo suoi figliuoli tradì, e gli mandò presi a Parigi. La qual cosa per l'universo mondo fu tenuta grande dislealtà a sì fatto signore. E ciò fatto per messere Carlo, e avuta tutta a queto la contea di Fiandra, lasciò messer Giache, fratello del conte di San Polo, al tutto signore in Fiandra per lo re con grande cavalleria, e messer Carlo si tornò in Francia. E il detto messer Giache cominciò in Fiandra aspra signoria, e radoppiare sopra il popolo assise, e gabelle, e male tolte, onde il popolo forte si tenea gravato. Avenne che per la Pasqua di Risoresso vegnente lo re di Francia andòe a suo diletto in Fiandra per provedere il suo conquisto e fare festa; e giunto in Bruggia, gli fu fatto grande onore, e simile a Guanto, e Ipro, e l'altre buone terre; e tutti si vestirono di nuovo ad arte e mestieri d'una assisa, faccendo più diversi giuochi e feste, e per lo re e sua baronia giostre; e la tavola ritonda si fece a Guidendalla, maniere del conte, onde d'Alamagna e d'Inghilterra vi vennono più baroni e cavalieri a giostrare. Ma questa festa fu fine di tutte quelle de' Franceschi a' nostri tempi, ché come la fortuna si mostrò al re di Francia e a' suoi allegra e felice, così poco tempo appresso volse sua ruota nel contrario, come innanzi al tempo faremo menzione. E l'originale cagione, oltre al peccato per lo re e suo consiglio commesso ne la presura e morte della innocente damigella di Fiandra, e poi il tradimento fatto contro al conte Guido e' suoi figliuoli presi, si fu che al partire che 'l re fece di Fiandra gli artefici e popolo minuto gli domandarono grazia, che fossono alleggiati delle importabili gravezze che messer Giache di San Polo e' suoi faceano loro, e oltre a·cciò i grandi borgesi delle ville, che tutti gli mangiavano; non furono uditi dal re, se non come il popolo d'Israel dal re Roboam, ma maggiormente tormentati da' borgesi e dagli uficiali del re, onde appresso seguì il giudicio di Dio quasi improviso, come al tempo intenderete.



XXXIII - Come il re di Francia s'imparentò col re Alberto d'Alamagna

Nel detto anno MCCLXXXXVIIII dopo il conquisto che 'l re di Francia fece di Fiandra Alberto d'Osteric re de' Romani fece parentado col re Filippo di Francia, e diede per moglie al figliuolo primogenito la figliuola del detto re di Francia; e ciò fu per l'amistà cominciata, e servigio fatto al re di Francia per lo re Alberto contro Ataulfo re de' Romani, come adietro è fatta menzione.



XXXIV - Come il prenze di Taranto fu sconfitto in Cicilia.

Nel detto anno, in calen di dicembre, Filippo prenze di Taranto e figliuolo del re Carlo secondo, essendo passato in su l'isola di Cicilia con VIc cavalieri e con XL galee armate, la maggiore parte Napoletani e gente del Regno, per guerreggiare l'isola, ed era all'assedio a la città di Trapali; e don Federigo d'Araona che tenea Cicilia era con sua gente, de la quale era capitano don Brasco d'Araona, e stavano in su 'l monte di Trapali, veggendo il male reggimento del detto prenze e di sua gente, a loro posta scesono del detto monte, e co·lloro vantaggio presono la battaglia, ne la quale il detto prenze fu sconfitto, e preso egli e grande parte di sua gente.



XXXV - Come Casano signore de' Tartari sconfisse il soldano de' Saracini, e prese la Terrasanta in Soria

Nel detto anno, del mese di gennaio, Casano imperadore de' Tartari venne in Soria sopra il soldano de' Saracini, e menò seco CCm tra Tarteri e Cristiani a cavallo e a piè per condotta del re d'Erminia e di quello di Giorgia, cristianissimi e nimici de' Saracini, per racquistare la Terrasanta. Il soldano sentendo loro venuta, venne d'Egitto in Soria con più di Cm Saracini a cavallo, sanza l'altra sua oste di Soria ch'era infinita; e scontrarsi insieme i detti eserciti, e la battaglia fu grande e terribile. A la fine per senno e valentia del detto Casano, il quale si tenne a piede con grande parte de la sua buona gente infino che' Saracini ebbono tanto saettato, ch'egli ebbono voti i loro turcassi di saette, e acciò che' Saracini non potessono risaettare sopra i suoi le loro saette, ordinò che tutte quelle di sua gente fossono sanza cocca, e le corde di suoi archi con pallottiera, che poteano saettare le loro e quelle de Saracini. E ciò fatto, con ordine, a certo suo segno fatto montarono a cavallo, e aspramente assalirono i Saracini per modo che assai tosto gli mise in isconfitta e in fugga; ma molti Saracini vi furono morti e presi, e lasciarono tutto il loro campo e arnesi di grande ricchezza. E ciò fatto, quasi tutte le terre di Soria e di Gerusalem si renderono al detto Casano, e divotamente andò a visitare il santo Sepolcro; e ciò fatto, non potendo guari dimorare in Soria, convenendogli tornare in Persia al Turigi, per guerra che gli era cominciata da altri signori de' Tartari, sì mandò suoi ambasciadori in ponente a papa Bonifazio VIII, e al re di Francia, e agli altri re cristiani, che mandassono de' signori e gente cristiana a ritenere le città e terre di Soria e della Terrasanta ch'egli avea conquistate; la quale ambasciata fue intesa, ma male messa a seguizione, perché per lo papa e per gli altri signori de' Cristiani s'intendea più alle singulari guerre e quistioni tra·lloro, ch'al bene comune della Cristianità; che con poca gente e piccola spesa si racquistava e tenea per gli Cristiani la Terrasanta conquistata per Casano, la quale con grande vergogna, e non sanza merito di pena, per gli Cristiani s'abandonò. Onde partito di Soria il detto Casano, poco tempo appresso i Saracini si ripresono Gerusalem e l'altre terre di Soria. Il detto Casano fue figliuolo d'Argon Cane, onde addietro in alcuna parte facemmo menzione. Questi fu piccolo e isparuto di sua persona, ma virtudioso fu molto, e savio, e pro' di sua persona, e aveduto in guerra, cortesissimo e largo donatore, amico grandissimo de' Cristiani, e elli e molti di sua buona gente si fece per la fede di Cristo battezzare. E la cagione perché Casano divenne Cristiano nonn-è da tacere, ma da farne notabile memoria in questo nostro trattato a deficazione della nostra fede, per lo bello miracolo ch'avenne. Quando Casano fu fatto imperadore, si fece cercare per avere moglie per la più bella femmina che si trovasse, non guardandosi per tesoro o per altro, e però mandò suoi ambasciadori per tutto levante; e trovandosi la più bella la figliuola del re d'Erminia, e quella adimandata, il padre l'acettò, in quanto piacesse a la pulcella. Quella molto savia rispuose ch'era contenta al piacere del padre, salvo ch'ella volea essere libera di potere adorare e coltivare il nostro signore Gesù Cristo, bene che 'l marito fosse pagano; e così fu promesso e accettato per gli ambasciadori di Casano. Il re d'Erminia mandò la figliuola con frate Aiton suo fratello, e con altri frati e religiosi, e con ricca compagnia di cavalieri, e donne, e damigelle; e venuta a Casano, molto gli piacque, e fu in sua grazia e amore, e assai tosto concepette di lui, e al tempo debito partorìo, come piacque a·dDio, la più orda e orribile creatura che mai fosse veduta, e quasi per poco nonn-avea forma umana. Casano contristato di ciò, tenne consiglio co' suoi savi, per gli quali fu diliberato che la donna avea commesso avolterio, e fu giudicata ch'ella colla sua creatura fosse arsa. E apparecchiato il fuoco in presenza di Casano, a cui molto ne doleva, e di tutto il popolo della città, la donna chiese grazia di volere sua confessione e comunione, sì come fedele Cristiana, e la creatura battezzare e fare Cristiano. Fu conceduta la grazia, e come la creatura fu battezzata nel nome del Padre, e del Filio, e del santo Spirito, in presenza del padre e di tutto il popolo, incontanente il fanciullo divenne il più bello e grazioso che mai fosse veduto. Del detto miracolo Casano fu molto allegro, e con gran festa la 'mperadrice e 'l figliuolo furono diliberi da morte; e Casano e tutto il popolo si battezzarono e feciono Cristiani. E non voglio che tu lettore ti maravigli perché scriviamo che Casano fosse quasi con CCm Tartari a cavallo, che il vero fu così, e ciò sapemmo da uno nostro Fiorentino e vicino di casa i Bastari, nudrito infino piccolo fanciullo in sua corte, e di qua per lui al papa e a' re de' Cristiani venne per ambasciadore con altri de' Tarteri, che ciò testimonò e a noi disse. E nonn-è da maravigliare però, però che quasi tutti i Tarteri vanno a cavallo e nonne a piè; e' loro cavagli sono piccoli, e mai non bisogna loro ferro in piè, né orzo né altra biada, ma vivono d'erbaggio e di fieno, lasciandogli pascere come pecore; e uno de' Tarteri ne mena seco X o XX o più de' detti cavagli, secondo ch'è possente; e va l'uno dietro a l'altro sanza altra guida; e sono con sottili briglie sanza freno, e povera sella d'una bardella e piccole scaglie incamutate. Armati sono di cuoio cotto e d'archi e saette; e vivonsi di carne cruda o poco cotta, e di pesce, e di sangue di bestie, e latte e burro con poco pane, e le più volte sanza pane; e quando hanno sete e non trovassono acqua, segnano l'uno de' loro cavagli e beonsi il sangue, e ispesso l'uccidono e 'l si mangiano; e giacciono e dormono sanza letto, se non il tappeto sopra la terra, e sempre stanno a campo, e molto sono obbedienti e fedeli al loro signore, e fieri e crudeli in arme, sì che al signore de' Tarteri è più leggere di menare seco in oste CCm de' Tarteri a cavallo, che non sarebbe al re di Francia Xm. Avemo sì lungo detto de' costumi de' Tarteri per trarre d'ignoranza coloro che di loro fatti non sanno; ma chi più ne vorrà sapere legga il trattato di frate Aiton d'Erminia e i·libro del Milione di Vinegia, come in altra parte in questo libro avemo detto.



XXXVI - Come papa Bonifazio VIII diè perdono a tutti i Cristiani ch'andassono a Roma l'anno del giubileo MCCC

Negli anni di Cristo MCCC, secondo la Nativitade di Cristo, con ciò fosse cosa che si dicesse per molti che per adietro ogni centesimo d'anni della Natività di Cristo il papa ch'era in que' tempi facie grande indulgenza, papa Bonifazio VIII, che allora era appostolico, nel detto anno a reverenza della Natività di Cristo fece somma e grande indulgenza in questo modo: che qualunque Romano visitasse infra tutto il detto anno, continuando XXX dì, le chiese de' beati appostoli santo Pietro e santo Paolo, e per XV dì l'altra universale gente che non fossono Romani, a tutti fece piena e intera perdonanza di tutti gli suoi peccati, essendo confesso o si confessasse, di colpa e di pena. E per consolazione de' Cristiani pellegrini ogni venerdì o dì solenne di festa si mostrava in Santo Piero la Veronica del sudario di Cristo. Per la qual cosa gran parte de' Cristiani ch'allora viveano feciono il detto pellegrinaggio così femmine come uomini, di lontani e diversi paesi, e di lungi e d'apresso. E fue la più mirabile cosa che mai si vedesse, ch'al continuo in tutto l'anno durante avea in Roma oltre al popolo romano CCm pellegrini, sanza quegli ch'erano per gli cammini andando e tornando, e tutti erano forniti e contenti di vittuaglia giustamente, così i cavagli come le persone, e con molta pazienza, e sanza romori o zuffe: ed io il posso testimonare, che vi fui presente e vidi. E de la offerta fatta per gli pellegrini molto tesoro ne crebbe a la Chiesa e a' Romani: per le loro derrate furono tutti ricchi. E trovandomi io in quello benedetto pellegrinaggio ne la santa città di Roma, veggendo le grandi e antiche cose di quella, e leggendo le storie e' grandi fatti de' Romani, scritti per Virgilio, e per Salustio, e Lucano, e Paulo Orosio, e Valerio, e Tito Livio, e altri maestri d'istorie, li quali così le piccole cose come le grandi de le geste e fatti de' Romani scrissono, e eziandio degli strani dell'universo mondo, per dare memoria e esemplo a quelli che sono a venire presi lo stile e forma da·lloro, tutto sì come piccolo discepolo non fossi degno a tanta opera fare. Ma considerando che la nostra città di Firenze, figliuola e fattura di Roma, era nel suo montare e a seguire grandi cose, sì come Roma nel suo calare, mi parve convenevole di recare in questo volume e nuova cronica tutti i fatti e cominciamenti della città di Firenze, in quanto m'è istato possibile a ricogliere, e ritrovare, e seguire per innanzi istesamente in fatti de' Fiorentini e dell'altre notabili cose dell'universo in brieve, infino che fia piacere di Dio, a la cui speranza per la sua grazia feci la detta impresa, più che per la mia povera scienza. E così negli anni MCCC tornato da Roma, cominciai a compilare questo libro a reverenza di Dio e del beato Giovanni, e commendazione della nostra città di Firenze.



XXXVII - Come il conte Guido di Fiandra con due suoi figliuoli s'arendeo al re di Francia. e come furono ingannati e messi in pregione

Nel detto anno, del mese di maggio, essendo ad oste sopra Fiandra messer Carlo di Valos, fratello del re Filippo di Francia, il conte Guido di Fiandra molto anziano e vecchio, fece trattato co·llui di venire con due suoi maggiori figliuoli a la misericordia del re di Francia, rendendoli paceficamente il rimanente della terra di Fiandra ch'egli tenea. Il detto messer Carlo promise che se ciò facesse di fargli fare grazia, e rendere la pace dal re, e ristituirlo in suo stato; il quale conte s'affidòe a·llui, e gli rendé Bruggia e Guanto e l'altre terre di Fiandra, e con Ruberto e Guiglielmo suoi figliuoli vennero col detto messer Carlo a Parigi, e gittarsi a la misericordia, e a' piè del re; il quale re per malvagio consiglio, non asseguendo cosa che a·lloro fosse promessa, sanza nulla grazia gli fece mettere in pregione. Per lo quale tradimento e dislealtà grande male ne venne a la casa di Francia e a' Franceschi in brieve tempo appresso, come Innanzi la nostra storia de' fatti di Fiandra farà menzione.



XXXVIII - Come si cominciò parte nera e bianca prima nella città di Pistoia

In questi tempi essendo la città di Pistoia in felice e grande e buono stato secondo il suo essere, e intra gli altri cittadini v'avea uno lignaggio di nobili e possenti che si chiamavano i Cancellieri, non però di grande antichità, nati d'uno ser Cancelliere, il quale fu mercatante e guadagnò moneta assai, e di due mogli ebbe più figliuoli, i quali per la loro ricchezza tutti furono cavalieri, e uomini di valore e da bene; e di loro nacquero molti figliuoli e nipoti, sì che in questo tempo erano più di C uomini d'arme, ricchi e possenti e di grande affare, sicché non solamente i maggiori di Pistoia, ma de' più possenti legnaggi di Toscana. Nacque tra·lloro per la soperchia grassezza, e per susidio del diavolo, isdegno e nimistà tra 'l lato di quelli ch'erano nati d'una donna a quelli dell'altra; e l'una parte si puosono nome i Cancellieri neri, e l'altra i bianchi. E crebbe tanto che si fedirono insieme, non però di cosa innorma, e fedito uno di que' del lato de' cancellieri bianchi, que' del lato de' Cancellieri neri per avere pace e concordia co·lloro mandarono quegli ch'avea fatta l'offesa a la misericordia di coloro che·ll'aveano ricevuta, che ne prendessono l'amenda e vendetta a·lloro volontà; i quali del lato de' Cancellieri bianchi ingrati e superbi, non avendo in loro pietà né carità, la mano dal braccio tagliaro in su una mangiatoia a quegli ch'era venuto a la misericordia. Per lo quale cominciamento e peccato non solamente si divise la casa de' Cancellieri, ma più micidi ne nacquero tra·lloro, e tutta la città di Pistoia se ne divise, che l'uno tenea coll'una parte e l'altro coll'altra, e chiamavansi parte bianca e nera, dimenticata tra·lloro parte guelfa e ghibellina; e più battaglie cittadine, con molti pericoli e micidi, ne nacquero e furono in Pistoia; e non solamente in Pistoia, ma poi la città di Firenze e tutta Italia contaminaro le dette parti, come innanzi potrete intendere e sapere. I Fiorentini per tema che per le dette parti di Pistoia non surgesse rubellazione de la terra a sconcio di parte guelfa, s'intramisono d'aconciargli insieme, e presono la signoria della terra, e l'una parte e l'altra de' Cancellieri trassono di Pistoia, e mandarono a' confini in Firenze. La parte de' Neri si ridussono a casa de' Frescobaldi Oltrarno, e la parte de' Bianchi si ridussono a casa i Cerchi nel Garbo, per parentadi ch'aveano tra·lloro. Ma come l'una pecora malata corrompe tutta la greggia, così questo maladetto seme uscito di Pistoia, istando in Firenze corruppono tutti i Fiorentini e partiro, che prima tutte le schiatte e' casati de' nobili, l'una parte tenea e favorava l'una parte, e gli altri l'altra, e appresso tutti i popolari. Per la qual cosa e gara cominciata, non che i Cancellieri per gli Fiorentini si racconciassono insieme, ma i Fiorentini per loro furono divisi e partiti, multiplicando di male in peggio, come seguirà appresso il nostro trattato.



XXXIX - Come la città di Firenze si partì e si sconciò per le dette parti bianca e nera

Nel detto tempo essendo la nostra città di Firenze nel maggiore stato e più felice che mai fosse stata dapoi ch'ella fu redificata, o prima, sì di grandezza e potenza, e sì di numero di genti, che più di XXXm cittadini avea nella cittade, e più di LXXm distrittuali d'arme avea in contado, e di nobilità di buona cavalleria e di franco popolo e di ricchezze grandi, signoreggiando quasi tutta Toscana; il peccato della ingratitudine, col susidio del nimico dell'umana generazione, de la detta grassezza fece partorire superba corruzzione, per la quale furono finite le feste e l'alegrezze de' Fiorentini, che infino a que' tempi stavano in molte delizie, e morbidezze, e tranquillo, e sempre in conviti, e ogn'anno quasi per tutta la città per lo calen di maggio si faceano le brigate e le compagnie d'uomini e di donne, di sollazzi e balli. Avenne che per le 'nvidie si cominciarono tra' cittadini le sette; e una principale e maggiore s'incominciò nel sesto dello scandalo di porte San Piero, tra quegli della casa de' Cerchi e quegli de' Donati, l'una parte per invidia, e l'altra per salvatica ingratitudine. De la casa de' Cerchi era capo messer Vieri de' Cerchi, e egli e quegli di sua casa erano di grande affare, e possenti, e di grandi parentadi, ricchissimi mercatanti, che la loro compagnia era de le maggiori del mondo; uomini erano morbidi e innocenti, salvatichi e ingrati, siccome genti venuti di piccolo tempo in grande stato e podere. Della casa de' Donati era capo messer Corso Donati, e egli e quelli di sua casa erano gentili uomini e guerrieri, e di non soperchia ricchezza, ma per motto erano chiamati Malefami. Vicini erano in Firenze e in contado, e per la conversazione de la loro invidia co la bizzarra salvatichezza nacque il superbio isdegno tra·lloro, e maggiormente si raccese per lo mal seme venuto di Pistoia di parte bianca e nera come nel lasciato capitolo facemmo menzione. E' detti Cerchi furono in Firenze capo della parte bianca, e co·lloro tennero della casa degli Adimari quasi tutti, se non se il lato de' Cavicciuli; tutta la casa degli Abati, la quale era allora molto possente, e parte di loro erano Guelfi e parte Ghibellini; grande parte de' Tosinghi, ispezialmente il lato del Baschiera; parte di casa i Bardi, e parte de' Rossi, e così de' Frescobaldi, e parte de' Nerli e de' Mannelli, e tutti i Mozzi, ch'allora erano molto possenti di ricchezza e di stato, tutti quegli della casa degli Scali, e la maggiore parte de' Gherardini, tutti i Malispini, e gran parte de' Bostichi, e Giandonati, de' Pigli, e de' Vecchietti, e Arrigucci, e quasi tutti i Cavalcanti, ch'erano una grande possente casa, e tutti i Falconieri, ch'erano una possente casa di popolo. E co·lloro s'accostarono molte case e schiatte di popolani e artefici minuti, e tutti i grandi e popolani ghibellini; e per lo séguito grande ch'aveano i Cerchi il reggimento della città era quasi tutto in loro podere. De la parte nera furono tutti quegli della casa de' Pazzi quasi principali co' Donati, e tutti i Visdomini, e tutti i Manieri, e' Bagnesi, e tutti i Tornaquinci, e gli Spini, e' Bondelmonti, e' Gianfigliazzi, Agli, e Brunelleschi, e Cavicciuoli, e l'altra parte de' Tosinghi, e tutto il rimanente; e parte di tutte le case guelfe nominate di sopra, ché quegli che non furono co' Bianchi per contrario furono co' Neri. E così de le dette due parti tutta la città di Firenze e 'l contado ne fu partita e contaminata. Per la qual cagione la parte guelfa, per tema che le dette parti non tornassono in favore de' Ghibellini, sì mandarono a corte a papa Bonifazio, che·cci mettesse rimedio. Per la qual cosa il detto papa mandò per messer Vieri de' Cerchi, e come fue dinanzi a·llui, sì 'l pregò che facesse pace con messer Corso Donati e colla sua parte, rimettendo in lui le differenze, e promettendoli di mettere lui e' suoi in grande e buono stato, e di fargli grazie spirituali come sapesse domandare. Messere Vieri tutto fosse nell'altre cose savio cavaliere, in questo fu poco savio, e troppo duro e bizzarro, che della richesta del papa nulla volse fare, dicendo che non avea guerra con niuno; onde si tornò in Firenze, e 'l papa rimase molto isdegnato contro a·llui e contro a sua parte. Avenne poco appresso che andando a cavallo dell'una setta e dell'altra per la città armati e in riguardo, che con parte de' giovani de' Cerchi era Baldinaccio degli Adimari, e Baschiera de' Tosinghi, e Naldo de' Gherardini, e Giovanni Giacotti Malispini co·lloro seguaci più di XXX a cavallo; e cogli giovani de' Donati erano de' Pazzi, e Spini, e altri loro masnadieri; la sera di calen di maggio, anno MCCC, veggendo uno ballo di donne che si facea nella piazza di Santa Trinita, l'una parte contra l'altra si cominciarono a sdegnare, e a pignere l'uno contro a l'altro i cavagli, onde si cominciò una grande zuffa e mislea, ov'ebbe più fedite, e a Ricoverino di messer Ricovero de' Cerchi per disaventura fu tagliato il naso dal volto; e per la detta zuffa la sera tutta la città fu per gelosia sotto l'arme. Questo fue il cominciamento dello scandalo e partimento della nostra città di Firenze e di parte guelfa, onde molti mali e pericoli ne seguiro appresso, come per gli tempi faremo menzione. E però avemo raccontato così stesamente l'origine di questo cominciamento de le maladette parti bianca e nera, per le grandi e male sequele che ne seguiro a parte guelfa e a' Ghibellini, e a tutta la città di Firenze, eziandio a tutta Italia: e come la morte di messer Bondelmonte il vecchio fu cominciamento di parte guelfa e ghibellina, così questo fue il cominciamento di grande rovina di parte guelfa e della nostra città. E nota che l'anno dinanzi a queste novitadi erano fatte le case del Comune, che cominciano a piè del ponte Vecchio sopra l'Arno verso il castello Altrafonte, e per ciò fare si fece il pilastro a piè del ponte, e convenne si rimovesse la statua di Marte; e dove guardava prima verso levante, fu rivolta verso tramontana, onde per l'agurio degli antichi fu detto: "Piaccia a·dDio che la nostra città non abbia grande mutazione".



XL - Come il cardinale d'Acquasparta venne per legato del papa per racconciare Firenze, e non lo potéo fare

Per le sopradette novitadi e sette di parte bianca e nera, i capitani della parte guelfa e il loro consiglio, temendo che per le dette sette e brighe parte ghibellina non esaltasse in Firenze, che sotto titolo di buono reggimento già ne facea il sembiante, e molti Ghibellini tenuti buoni uomini erano cominciati a mettere in su gli ufici, e ancora quegli che teneano parte nera, per ricoverare loro stato, sì mandarono ambasciadori a corte a papa Bonifazio a pregarlo che per bene della cittade e di parte di Chiesa vi mettesse consiglio. Per la qual cosa incontanente il papa fece legato a·cciò seguire frate Matteo d'Acquasparta, suo cardinale Portuense, dell'ordine de' minori, e mandollo a Firenze, il quale giunse in Firenze del seguente mese di giugno del detto anno MCCC, e da' Fiorentini fu ricevuto a grande onore. E lui riposato in Firenze, richiese balìa al Comune di pacificare insieme i Fiorentini; e per levare via le dette parti bianca e nera volle riformare la terra, e raccomunare gli ufici, e quegli dell'una parte e dell'altra ch'erano degni d'essere priori mettere in sacchetti a sesto a sesto, e trargli di due in due mesi, come venisse la ventura; che per le gelosie de le parti e sette incominciate non si facea lezione de' priori per le capitudini dell'arti, che quasi la città non si commovesse a sobuglio, e talora con grande apparecchiamento d'arme. Quegli della parte bianca che guidavano la signoria de la terra, per tema di non perdere loro stato e d'essere ingannati dal papa e dal legato per la detta riformazione, presono il peggiore consiglio e non vollono ubbidire; per la qual cosa il detto legato prese isdegno, e tornossi a corte, e lasciò la città di Firenze scomunicata e interdetta.



XLI - De' mali e de' pericoli che seguirono a la nostra città appresso

Partito il legato di Firenze, la città rimase in grande gelosia e in male stato. Avenne che del mese di dicembre seguente, andando messer Corso Donati e' suoi seguaci e que' della casa de' Cerchi e' loro seguaci armati a una morta di casa i Frescobaldi, isguardandosi insieme l'una parte e l'altra, si vollono assalire, onde tutta la gente ch'era a la morta si levarono a romore; e così fuggendo e tornando ciascuno a casa sua, tutta la città fu ad arme, faccendo l'una parte e l'altra grande raunata a casa loro; messer Gentile de' Cerchi, Guido Cavalcanti, Baldinaccio e Corso degli Adimari, Baschiera della Tosa, e Naldo de' Gherardini con loro consorti e seguaci a cavallo e a piè, corsono a porte San Piero a casa i Donati, e non trovandogli a porte San Piero, corsono a San Piero Maggiore, ov'era messer Corso co' suoi consorti e raunata, da' quali furono riparati, e rincacciati, e fediti con onta e vergogna de' Cerchi e de' loro seguaci; e di ciò furono condannati l'una parte e l'altra dal Comune. Poi poco appresso essendo certi de' Cerchi in contado a Nepozzano e Pugliano, e in quelle loro contrade e poderi, volendo tornare a Firenze, que' della casa de' Donati raunata loro amistà a Remole, contesono il passo, e ebbevi fedite e assalti d'una parte e d'altra; per la qual cosa l'una parte e l'altra furono accusati e condannati della raunata e assalti; e quegli di casa i Donati la maggior parte per non potere pagare andarono dinanzi, e furono messi in pregione. Que' de' Cerchi volendo fare a·lloro esemplo, dicendo messer Torrigiano di Cerchio: "Per questo non ci vinceranno, come feciono i Tedaldini, che gli consumarono per pagare le condannagioni"; sì fece andare gli suoi dinanzi, e sostenuti in pregione contra volere di messer Vieri de' Cerchi e degli altri savi della casa, che conosceano la complessione e morbidezza de' loro giovani; avenne che uno maladetto ser Neri degli Abati soprastante di quella pregione, mangiando co·lloro, fece venire uno presente d'uno migliaccio avelenato, del quale mangiarono, onde poco appresso in due dì morirono due de' Cerchi bianchi, e due de' Neri, e Piggello Portinari, e Ferraino de' Bronci, e di ciò non fue nulla vendetta.



XLII - Di quello medesimo

Essendo la città di Firenze in tanto bollore e pericoli di sette e di nimistà, onde molto sovente la terra era a romore e ad arme, messer Corso Donati, Ispini, Pazzi, e parte de' Tosinghi, e Cavicciuli, e loro seguaci, grandi e popolani di loro setta di parte nera, co' capitani di parte guelfa ch'allora erano al loro senno e volere si raunarono nella chiesa di Santa Trinita, e ivi feciono consiglio e congiura di mandare ambasciadori a corte a papa Bonifazio, acciò che commovesse alcuno signore della casa di Francia, che gli rimettesse in istato, e abattesse il popolo e parte bianca, e in ciò spendere ciò che potessono fare; e così misono a seguizione; onde sappiendosi per la città per alcuna spirazione, il Comune e 'l popolo si turbò forte, e fune fatta inquisizione per la signoria, onde messer Corso Donati che n'era capo fu condannato nell'avere e persona, e gli altri caporali che furono a·cciò in più di XXm libbre, e pagarle. E ciò fatto, furono mandati a' confini Sinibaldo fratello di messer Corso, e de' suoi, e messer Rosso, e messer Rossellino della Tosa, e degli altri loro consorti; e messer Giachinotto e messer Pazzino de' Pazzi e di loro giovani, e messer Geri Spini e de' suoi al castello della Pieve. E per levare ogni sospetto il popolo mandò i caporali dell'altra parte a' confini a Serrezzano: ciò fu messer Gentile, e messer Torrigiano, e Carbone de' Cerchi, e di loro consorti, Baschiera de la Tosa e de' suoi, Baldinaccio degli Adimari e de' suoi, Naldo de' Gherardini e de' suoi, Guido Cavalcanti e de' suoi, e Giovanni Giacotti Malespini. Ma questa parte vi stette meno a' confini, che furono revocati per lo 'nfermo luogo, e tornonne malato Guido Cavalcanti, onde morìo, e di lui fue grande dammaggio, perciò ch'era come filosafo, virtudioso uomo in più cose, se non ch'era troppo tenero e stizzoso. In questo modo si guidava la nostra città fortuneggiando.



XLIII - Come papa Bonifazio mandò in Francia per messer Carlo di Valos

Tornato a corte di papa il legato frate Matteo d'Acquasparta, e informato papa Bonifazio del male stato e dubitoso della città di Firenze, e poi per le novità seguite dopo la partita del legato, come detto avemo, e per infestagione e spendio de' capitani di parte guelfa e de' detti confinati, ch'erano al castello della Pieve presso a la corte, e di messer Geri Spini (ch'egli e la sua compagnia erano mercatanti di papa Bonifazio, e del tutto guidatori) co·lloro procaccio e studio, e di messer Corso Donati che seguiva la corte, sì prese per consiglio il detto papa Bonifazio di mandare per messer Carlo di Valos fratello del re di Francia, per doppio intendimento; principalmente per aiuto del re Carlo per la guerra di Cicilia, dando intendimento al re di Francia e al detto messer Carlo di farlo eleggere imperadore de' Romani, e di confermarlo, o almeno per autorità papale e di santa Chiesa di farlo luogotenente d'imperio per la Chiesa, per la ragione ch'ha la Chiesa vacante imperio; e oltre a questo gli diè titolo di paciario in Toscana, per recare co la sua forza la città di Firenze al suo intendimento. E mandato in Francia per lo detto messer Carlo suo legato, il detto messer Carlo con volontà del re suo fratello venne, come innanzi faremo menzione, colla speranza d'essere imperadore per le promesse del papa, come detto avemo.



XLIV - Come i Guelfi furono cacciati d'Agobbio, e poi come ricoveraro la terra, e cacciarne i Ghibellini

Nel detto anno, del mese di maggio, la parte ghibellina d'Agobbio colla forza degli Aretini e de' Ghibellini de la Marca, per tradimento ordinato ne la terra, cacciarono i Guelfi d'Agobbio e uccisonne assai; ma poi, a dì XXIIII di giugno vegnente, i Guelfi usciti d'Agobbio colla forza de' Perugini entrarono in Agobbio, e ricoverarono loro stato, e cacciarne i Ghibellini con grande danno e uccisione di loro.



XLV - Come la parte nera furono cacciati di Pistoia.

Negli anni di Cristo MCCCI, del mese di maggio, la parte bianca di Pistoia coll'aiuto e favore de' Bianchi che governavano la città di Firenze ne cacciarono la parte nera, e disfeciono le loro case, palazzi, e possessioni, intra l'altre una forte e ricca possessione de' palazzi e torri ch'erano de' Cancellieri neri, che si chiamava Dammiata.



XLVI - Come gl'Interminelli e' loro seguaci furono cacciati di Lucca

Nel detto anno, e in quello tempo, essendo la città di Lucca molto insollita per la mutazione di Pistoia, e per le parti bianca e nera, la casa degl'Interminelli di Lucca co·lloro seguaci Mordicastelli, e que' del Fondo, e altri di loro setta, i quali teneano parte bianca, e s'accostavano co' Ghibellini e' Pisani, credendo fare così in Lucca come i Cancellieri bianchi in Pistoia, sì uccisono messer Obizzo degli Obizzi giudice. Per la qual cosa la città di Lucca corse ad arme, e trovandosi la parte nera e' Guelfi di Lucca più possenti, sì ne cacciarono di Lucca combattendo gl'Interminelli e' loro seguaci, e disfeciono le loro possessioni, e misono fuoco nella contrada che si chiamava il fondo di porta San Cervagio, e arsonvi più di C case. E così si venne spandendo la maladetta parte per Toscana.



XLVII - Come i Guelfi usciti di Genova per pace furono rimessi in Genova

Nel detto anno i Genovesi feciono pace co' Grimaldi e gli altri loro usciti guelfi e col re Carlo, e rimisorgli in Genova, e riebbono il castello di Monaco che 'l teneano gli usciti, e colla forza del re Carlo faceano grande guerra a' Genovesi. Nel detto anno fu guerra e battaglia tra i Veronesi e 'l vescovo di Trento, onde i Veronesi ebbono il peggiore e furono sconfitti. E nel detto anno poco appresso morì messer Alberto de la Scala capitano e signore di Verona, e grande tiranno in Lombardia, e appresso di lui rimasono signori messer Cane e gli altri figliuoli del detto messer Alberto, tutto fossono assai di piccola etade; ma innanzi che morisse fece cavalieri VII tra' suoi figliuoli e nipoti, ch'avea il maggiore meno di XII anni.



XLVIII - Come aparve in cielo una stella commata

Nel detto anno, del mese di settembre, apparve in cielo una stella commata con grandi raggi di fummo dietro, apparendo la sera di verso il ponente, e durò infino al gennaio, de la quale i savi astrolagi dissono grandi significazioni di futuri pericoli e danni a la provincia d'Italia, e a la città di Firenze, e massimamente perché la pianeta di Saturno e quella di Marti in quello anno s'erano congiunte due volte insieme nel mese di gennaio e di maggio nel segno del Leone, e la luna scurata del detto mese di gennaio similemente nel segno del Leone, il quale s'atribuisce a la provincia d'Italia. E bene asseguì la significazione, come innanzi leggendo potrete comprendere; ma singularmente si disse che la detta commeta significò l'avento di messer Carlo di Valos, per la cui venuta molte rivolture ebbe la provincia d'Italia e la nostra città di Firenze.



XLIX - Come messer Carlo di Valos di Francia venne a papa Bonifazio, e poi venne in Firenze e caccionne la parte bianca

Nel detto anno MCCCI, del mese di settembre, giunse ne la città d'Anagna in Campagna, ov'era papa Bonifazio co la sua corte, messer Carlo conte di Valos e fratello del re di Francia con più conti e baroni, e da Vc cavalieri franceschi in sua compagnia, avendo fatta la via da Lucca ad Anagna sanza entrare in Firenze, perché n'era sospetto; il quale messer Carlo dal papa e da' suoi cardinali fu ricevuto onorevolemente; e venne ad Anagna lo re Carlo e' suoi figliuoli a parlamentare co·llui e a onorarlo; e 'l papa il fece conte di Romagna. E trattato e messo in assetto col papa e co·re Carlo il passaggio di Cicilia a la primavera vegnente, per la principale cagione perch'era mosso di Francia, il papa non dimenticato lo sdegno preso contro a la parte bianca di Firenze, non volle che soggiornasse e vernasse invano, e per infestamento de' Guelfi di Firenze, sì gli diede il titolo di paciaro in Toscana, e ordinò che tornasse a la città di Firenze. E così fece, colla sua gente, e con molti altri Fiorentini e Toscani e Romagnuoli, usciti e confinati di loro terra per parte guelfa e nera. E venuto a Siena e poi a Staggia, que' che governavano la città di Firenze, avendo sospetto di sua venuta, tennero più consigli di lasciarlo entrare nella città o no. E mandandogli ambasciadori, e egli con belle e amichevoli parole rispondendo come venia per loro bene e stato, e per mettergli in pace insieme; per la qual cosa quegli che reggeano la terra, tutto fossono a parte bianca, si vocavano e voleansi tenere Guelfi, presono partito di lasciarlo venire. E così il dì d'Ognesanti MCCCI entrò messer Carlo in Firenze, disarmata sua gente, faccendogli i Fiorentini grande onore, vegnendogli incontro a processione, e con molti armeggiatori con bandiere, e coverti i cavagli di zendadi. E lui riposato e soggiornato in Firenze alquanti dì, sì richiese il Comune di volere la signoria e guardia de la cittade, e balìa di potere pacificare i Guelfi insieme. E ciò fu asentito per lo Comune, e a dì V di novembre nella chiesa di Santa Maria Novella, essendosi raunati podestà, e capitano, e' priori, e tutti i consiglieri, e il vescovo, e tutta la buona gente di Firenze, e della sua domanda fatta proposta e diliberata, e rimessa in lui la signoria e la guardia della città. E messer Carlo dopo la sposizione del suo aguzzetta di sua bocca accettò e giurò, e come figliuolo di re promise di conservare la città in pacifico e buono stato; e io scrittore a queste cose fui presente. Incontanente per lui e per sua gente fu fatto il contradio, che per consiglio di messer Musciatto Franzesi, il quale infino di Francia era venuto per suo pedoto, sì come era ordinato per gli Guelfi neri, fece armare sua gente, e innanzi che messer Carlo fosse tornato a casa, ch'albergava in casa i Frescobaldi Oltrarno; onde per la detta novitade di vedere i cittadini la sua gente a cavallo armata, la città fu tutta in gelosia e sospetto, e a l'arme grandi e popolani, ciascuno a casa de' suoi amici secondo suo podere, abarrandosi la città in più parti. Ma a casa i priori pochi si raunarono, e quasi il popolo fue sanza capo, veggendosi traditi e ingannati i priori e coloro che reggeano il Comune. In questo romore messer Corso de' Donati, il qual era isbandito e rubello, com'era ordinato, il dì medesimo venne in Firenze da Peretola con alquanto séguito di certi suoi amici e masnadieri a piè, e sentendo la sua venuta i priori e' Cerchi suoi nemici, vegnendo a·lloro messer Schiatta de' Cancellieri, ch'era in Firenze capitano per lo Comune di CCC cavalieri soldati, e volea andare contro al detto messer Corso per prenderlo e per offenderlo, messer Vieri caporale de' Cerchi non aconsentì, dicendo: "Lasciatelo venire", confidandosi nella vana speranza del popolo, che 'l punisse. Per la qual cosa il detto messer Corso entrò ne' borghi della cittade, e trovando le porte de le cerchie vecchie serrate, e non potendo entrare, sì se ne venne a la postierla da Pinti, ch'era di costa a San Piero Maggiore tra le sue case e quelle degli Uccellini, e quella trovando serrata cominciòe a tagliare, e dentro per gli suoi amici fu fatto il somigliante, sì che sanza contasto fu messa in terra. E lui entrato dentro schierato in su la piazza di San Piero Maggiore, gli crebbe genti e séguito di suoi amici, gridando: "Viva messere Corso e 'l barone!", ciò era messer Corso, che così il nomavano; ed egli veggendosi crescere forza e séguito, la prima cosa che fece, andòe a le carcere del Comune, ch'erano nelle case de' Bastari nella ruga del palagio, e quelle per forza aperse e diliberò i pregioni; e ciò fatto, il simile fece al palazzo de la podestà, e poi a' priori, faccendogli per paura lasciare la signoria e tornarsi a·lloro case. E con tutto questo stracciamento di cittade, messer Carlo di Valos né sua gente non mise consiglio né riparo, né atenne saramento o cosa promessa per lui. Per la qual cosa i tiranni e malfattori e isbanditi ch'erano nella cittade, presa baldanza, e essendo la città sciolta e sanza signoria, cominciarono a rubare i fondachi e botteghe, e le case a chi era di parte bianca, o chi avea poco podere, con molti micidii, e fedite faccendo ne le persone di più buoni uomini di parte bianca. E durò questa pestilenzia in città per V dì continui con grande ruina della terra. E poi seguì in contado, andando le gualdane rubando e ardendo le case per più di VIII dì, onde in grande numero di belle e ricche possessioni furono guaste e arse. E cessata la detta ruina e incendio, messer Carlo col suo consiglio riformarono la terra e la signoria del priorato di popolani di parte nera. E in quello medesimo mese di novembre venne in Firenze il sopradetto legato del papa, messer Matteo d'Acquasparta cardinale, per pacificare i cittadini insieme, e fece fare la pace tra que' della casa de' Cerchi e gli Adimari e' loro seguaci di parte bianca co' Donati e' Pazzi e' loro seguaci di parte nera, ordinando matrimoni tra·lloro; e volendo raccomunare gli ufici, quegli di parte nera co la forza di messer Carlo non lasciarono, onde il legato turbato si tornò a corte, e lasciòe interdetta la cittade. E la detta pace poco durò, che avenne il dì di pasqua di Natale presente, andando messer Niccola de' Cerchi bianchi al suo podere e molina con suoi compagni a cavallo, passando per la piazza di Santa Croce, che vi si facea il predicare, Simone di messer Corso Donati, nipote per madre del detto messer Niccola, sospinto e confortato di mal fare, con suoi compagni e masnadieri seguì a cavallo il detto messer Niccola, e giugnendolo al ponte ad Africo l'assalì combattendo; per la qual cosa il detto messer Niccola sanza colpa o cagione, né guardandosi di Simone, dal detto suo nipote fu morto e atterrato da cavallo. Ma come piacque a·dDio, la pena fu apparecchiata a la colpa, che fedito il detto Simone dal detto messer Niccola per lo fianco, la notte presente morìo; onde tutto fosse giusto giudicio, fu tenuto grande danno, che 'l detto Simone era il più compiuto e virtudioso donzello di Firenze, e da venire in maggiore pregio e stato, ed era tutta la speranza del suo padre messer Corso, il quale della sua allegra tornata e vittoria ebbe in brieve tempo doloroso principio di suo futuro abbassamento. In questo tempo poco appresso, non possendo la città di Firenze posare, essendo pregna dentro del veleno della setta de' Bianchi e Neri, convenne che partorisse doloroso fine; onde avenne che·ll'aprile vegnente con ordine e con trattato fatto per gli Neri uno barone di messer Carlo, ch'avea nome messer Piero Ferrante di Linguadoco, cercò cospirazione co' detti della casa de' Cerchi, e con Baldinaccio degli Adimari, e Baschiera de' Tosinghi, e Naldo Gherardini, e altri loro seguaci di parte bianca, di volergli con suo séguito e di sua gente rimettere in istato, e tradire messer Carlo, con grandi impromesse di pecunia; onde lettere e co·lloro suggelli furono fatte, overo falsificate, le quali per lo detto messer Piero Ferrante, com'era ordinato, furono portate a messer Carlo. Per la qual cosa i detti caporali di parte bianca, ciò furono tutti quegli della casa de' Cerchi bianchi da porte San Piero, Baldinaccio e Corso degli Adimari, con quasi tutto il lato de' Bellincioni, Naldo de' Gherardini col suo lato della casa, Baschiera de' Tosinghi col suo lato de la detta casa, alquanti di casa i Cavalcanti, Giovanni Giacotto Malispini e' suoi consorti, questi furono i caporali che furono citati, e non comparendo, o per tema del malificio commesso, o per tema di non perdere le persone sotto il detto inganno, si partiro de la città, acompagnati da' loro aversari; e chi n'andò a Pisa, e chi ad Arezzo e Pistoia, accompagnandosi co' Ghibellini e nimici de' Fiorentini. Per la qual cosa furono condannati per messer Carlo come ribelli, e disfatti i loro palazzi e beni in città e in contado, e così di molti loro seguaci grandi e popolani. E per questo modo fue abattuta e cacciata di Firenze la 'ngrata e superba parte de' Bianchi, con séguito di molti Ghibellini di Firenze, per messer Carlo di Valos di Francia per la commessione di papa Bonifazio, a dì IIII d'aprile MCCCII, onde a la nostra città di Firenze seguirono molte rovine e pericoli, come innanzi per gli tempi potremo leggendo comprendere.



L - Come messer Carlo di Valos passò in Cicilia per fare guerra per lo re Carlo, e fece ontosa pace

Nel detto anno MCCCII, del mese d'aprile, messer Carlo di Valos fornito in Firenze quello perché era venuto, cioè sotto trattato di pace cacciata la parte bianca di Firenze, si partì, e andonne a corte, e poi a Napoli; e là trovato lo stuolo e apparecchiamento fatto per lo re Carlo di più di cento tra galee e uscieri e legni grossi, sanza i sottili, per passare in Cicilia, sì si ricolse in mare, e in sua compagnia Ruberto duca di Calavra figliuolo del re Carlo con più di MD cavalieri. E apportato in Cicilia al porto di..., scese in terra per guerreggiare l'isola, ma don Federigo di Raona signore di Cicilia, non possendo resistere né comparire a la forza di messer Carlo in mare né in terra, con suoi Catalani si mise a fare guerra guerriata a messer Carlo, andandoli fuggendo innanzi di luogo in luogo, e talora di dietro a impedirgli la vittuaglia, per modo che in poco tempo sanza acquistare terra neuna di rinomo, se non Termole, messer Carlo e sua gente furono per malatia di loro e de' cavagli, per difalta di vittuaglia, quasi straccati. Per la qual cosa per necessitade convenne che si partisse con suo poco onore. E veggendo che altro non potea, messer Carlo sanza saputa del re Carlo ordinò una dissimulata pace con don Federigo, cioè ch'egli prendesse per moglie la figliuola del re Carlo detta Alienora, e che, quando la Chiesa e 'l re Carlo gli atassono acquistare altro reame, ch'egli lascerebbe a queto al re Carlo l'isola di Cicilia; e se non, sì·lla dovesse tenere per dote della moglie tutta sua vita, e appresso la sua morte i suoi figliuoli lasciare l'isola al re Carlo e a sue rede, dando loro Cm once d'oro. La qual cosa fatta, e promessa e giurata per le parti, e tornato messer Carlo coll'armata a Napoli, e mandatagli la figliuola del re Carlo, sì la sposò; ma poi di promessa fatta nulla s'aseguìo: e così per contradio si disse per motto: "Messer Carlo venne in Toscana per paciaro, e lasciòe il paese in guerra; e andòe in Cicilia per fare guerra, e reconne vergognosa pace". Il quale il novembre vegnente si tornò in Francia, scemata e consumata sua gente e con poco onore.



LI - Come si cominciò la compagna di Romania.

Nel detto anno MCCCII, partito messer Carlo di Cicilia e rimasa l'isola in pace, una grande gente di soldati catalani, genovesi, e altri italiani istati in Cicilia a la detta guerra per l'una parte e per l'altra, si partirono di Cicilia con XX galee e altri legni, onde feciono loro capitano uno frate Ruggieri dell'ordine de' Tempieri, uomo dissoluto, e di sangue, e crudele, e passarono in Romania per conquistare terra, e puosonsi nel reame di Salome e quello distrussono, e guastarono la Grecia infino in Gostantinopoli, e crescendo il loro podere d'ogni colletta di gente latina, fuggitivi, dissoluti, e paterini, e d'ogni setta scacciati, vivendo illibitamente fuori d'ogni legge, si chiamaro la Compagna, stando e vivendo in corso e in guerra a la roba d'ogni uomo; e ciò ch'aquistavano era comune, distruggendo e rubando ciò che trovavano, sanza ritenere città, o castella, o casale che prendessono, ma quelle rubate ardendo e guastando. E così durò la detta dissoluta compagna più di XII anni, uccidendo più loro signori, e rimutandoli in poco tempo chi più avea séguito o podere. A la fine tornaro sopra le terre del dispoto, cioè il reame di Macedonia, e quelle distrussono; e poi ne vennero nel ducato d'Atena, e rubellarsi dal conte di Brenna ch'era duca d'Atena, e loro capitano e signore, e per quistioni da·llui a·lloro si combatterono insieme, e sconfissono il detto duca loro signore, e a·llui tagliarono la testa, e presono le terre sue, e di quelle della Morea; e quegli signoraggi tra·lloro si partirono; e disabitarono e distrussono gli antichi fii de' Franceschi, che que' signoraggi teneano, e le loro donne e figliuole che a·lloro piacquero ritennero e le presono per mogli, e rimasono abitanti e paesani della terra. E così le delizie de' Latini, acquistate anticamente per gli Franceschi, i quali erano i più morbidi e meglio stanti che in nullo paese del mondo, per così dissoluta gente furono distrutte e guaste. Lasceremo de' fatti di Romania e di Cicilia, e torneremo a le novità che sursono in Firenze e in Toscana per la cacciata de' Bianchi di Firenze.



LII - Come i Fiorentini e' Lucchesi feciono oste sopra la città di Pistoia, e come ebbono per assedio il castello di Serravalle

Nel detto anno MCCCII, del mese di maggio, essendo la città di Pistoia ribellata a' Fiorentini e a' Lucchesi per la cacciata de' Bianchi di Firenze e degl'Interminelli di Lucca, e parte di loro detti usciti ridotti in Pistoia per fare guerra, il Comune di Firenze e quello di Lucca di concordia feciono oste a la città di Pistoia, e furonvi di Firenze tra cavallate e soldati M cavalieri e VIm pedoni, e di Lucca più di VIc cavalieri e bene Xm pedoni; e la città di Pistoia guastarono intorno intorno, istandovi ad assedio per XXIII dì. Dentro a Pistoia era messer Tosolato degli Uberti loro capitano di guerra con IIIc cavalieri, e guardò e difese bene la cittade. A la fine veggendo i Lucchesi che la stanza di Pistoia era speranza vana di potere per forza o per assedio avere la città, s'accordaro di ritrarsi adietro co·lloro oste, e di porsi all'assedio del castello di Serravalle, ch'era de' Pistolesi ed era molto forte; e così fu fatto. E al detto assedio rimasono le due sestora delle cavallate di Firenze, rimutandosi a tempo a tempo con parte di loro soldati e gente a piè assai, tenendo i Fiorentini il loro campo di verso Pistoia. E quello castello combattuto, e con più difici grossi che gittavano dentro macerato, ma per tutto ciò non s'arendea, però che dentro v'avea più di IIIIc de' maggiori e de' migliori cittadini di Pistoia, i quali difendeano il castello, e al continuo assalivano il campo vigorosamente, a la fine per mala provisione di vittuaglia a tanta gente, quanta avea dentro tra Pistolesi e terrazzani e forestieri, ch'era più di MCC uomini, sanza le femmine e' fanciulli, fallì loro; per la qual cosa per necessità di vivanda s'arrenderono pregioni al Comune di Lucca a dì VI di settembre del detto anno; onde più di CCC Pistolesi n'andarono legati pregioni a la città di Lucca, e gli altri terrazzani rimasono fedeli de' Lucchesi, i quali Lucchesi vi feciono una nuova e forte rocca da la parte loro di Valdinievole, e uno grosso muro da la rocca vecchia di qua ov'è la pieve a la Nuova, per tenere meglio il detto castello a·lloro ubbidienza, recandogli a loro contado.



LIII - Come i Fiorentini ebbono il castello di Piano di Trevigne e più altre castella ch'aveano rubellate i Bianchi.

Nella stanza del detto assedio di Pistoia si rubellò a' Fiorentini il castello di Piano di Trevigne in Valdarno per Carlino de' Pazzi di Valdarno, e in quello col detto Carlino si rinchiusono de' migliori nuovi usciti Ghibellini e Bianchi di Firenze, grandi e popolani, e faceano grande guerra nel Valdarno; per la qual cosa fu cagione di levarsi l'oste da Pistoia, lasciando i Fiorentini il terzo della loro gente all'assedio di Serravalle in servigio de' Lucchesi, come detto avemo, e tutta l'altra oste tornata in Firenze, sanza soggiorno n'andarono del mese di giugno in Valdarno e al detto castello di Piano, e a quello istettono, e assediarono per XXVIIII dì. A la fine per tradimento del sopradetto Carlino e per moneta che n'ebbe i Fiorentini ebbono il castello. Essendo il detto Carlino di fuori, fece a' suoi fedeli dare l'entrata del castello, onde molti vi furono morti e presi, pure de' migliori usciti di Firenze. E ciò fatto, tornati a Firenze con questa vittoria, sanza soggiorno andarono popolo e cavalieri di Firenze in Mugello sopra i signori Ubaldini, i quali co' Bianchi e co' Ghibellini s'erano rubellati al Comune di Firenze, e guastarono i loro beni di qua da l'alpe e di là. E tornati in Firenze, la state medesima cavalcarono in Valdigrieve sopra il castello di Monte Agliari e di Monte Aguto, i quali aveano rubellati que' della casa de' Gherardini, ch'erano di parte bianca, e quelle due castella s'arrenderono a patti, salve le persone, al Comune di Firenze, le quali il Comune di Firenze fece disfare. E nel detto anno i Fiorentini ebbono gran vittoria in ogni loro oste e cavalcata che feciono, bene aventurosamente perseguitando in ogni parte gli usciti bianchi e' ghibellini con loro distruzzione.



LIV - Come l'isola d'Ischia gittò maraviglioso fuoco

Nel detto anno MCCCII l'isola d'Ischia, la quale è presso a Napoli, gittò grandissimo fuoco per la sua solfaneria, per modo che gran parte dell'isola consumò, e guastò infino al girone d'Ischia; e molte genti, e bestiame, e la terra medesima per quella pestilenzia morirono e si guastarono. E molti per iscampare fuggirono a l'isola di Procita e a quella di Capri, e a terra ferma a Napoli, e a Baia, e a Pozzuolo, e in quelle contrade; e durò la detta pestilenzia più di due mesi. Lasceremo alquanto de' nostri fatti di Firenze e di que' d'Italia, e faremo incidenza e disgressione per raccontare grandi e maravigliose novitadi che a questo tempo avennero ne·reame di Francia, cioè nelle parti di Fiandra, le quali sono bene da notare e da farne ordinata memoria nel nostro trattato.



LV - Come il popolo minuto di Bruggia si rubellò dal re di Francia, e uccisono i Franceschi

Come noi lasciammo adietro nel capitolo, che 'l re di Francia ebbe al tutto la signoria di Fiandra, e in sua pregione il conte e due suoi figliuoli l'anno MCCLXXXXVIIII, e lasciato guernito di sua gente e di suoi balii il paese, e che gli artefici minuti di Bruggia, come sono tesserandoli e foloni di drappi, e beccari, e calzolai, e altri, fossono uditi a ragione per la loro petizione data a lo re, e adirizzati di loro pagamenti per gli loro lavorii, e dell'assise de la terra, le quali erano loro incomportabili; la detta gente de la Comune non fu udita né adirizzati; ma i balii del re a preghiera de' grandi borgesi e per loro moneta i caporali de' detti artefici e popolo minuto, i quali erano i principali Piero le Roi tesserandolo e Giambrida beccaio, con più di XXX de' maggiori di loro mestieri e arti misono in pregione in Bruggia. E nota che 'l detto Piero le Roi fu il capo e commovitore de la Comune, e per sua franchezza fu sopranominato Piero le Roi, e in fiammingo Connicheroi, cioè Piero lo re. Questo Piero era tessitore di panni povero uomo, e era piccolo di persona e sparuto, e cieco dell'uno occhio, e d'età di più di LX anni; lingua francesca né latina non sapea, ma in sua lingua fiamminga parlava meglio, e più ardito e stagliato che nullo di Fiandra e per lo suo parlare commosse tutto il paese a le grandi cose che poi seguiro, e però è bene ragione di fare di lui memoria. E per la presa di lui e de' suoi compagni il popolo minuto di Bruggia corsono la terra e combatterono il borgo, cioè il castello ove stanno gli schiavini e' rettori della terra, e uccisono de' borgesi, e per forza trassono di pregione i loro caporali. E ciò fatto, di questa querela si fece triegua e appello a Parigi dinanzi al re, e durò bene uno anno la quistione; e a la fine per moneta spesa per gli grandi borgesi di Fiandra intorno a la corte del re il popolo minuto ebbono la sentenzia incontro; onde venuta la novella a Bruggia, que' de la Comuna si levarono da capo a romore e ad arme; ma per paura delle masnade e de' grandi borgesi si partirono di Bruggia, e andarne a la terra del Damo ivi presso a III miglia, e quella corsono, e uccisono il balio e' sergenti che v'erano per lo re, e rubarono i grandi borgesi de la terra, e uccisorne; e ciò fatto, come genti disperati e in furia, vennero a la terra d'Andiborgo e feciono il somigliante; e poi ne vennero al maniere del conte che si chiama Mala, presso a Bruggia a tre miglia, che v'era dentro il balio di Bruggia e da LX sergenti del re, e quella fortezza per forza presono, e sanza misericordia o redenzione quanti Franceschi dentro avea misero a morte. I grandi borgesi di Bruggia veggendo così adoperare e crescere la forza al minuto popolo, temettono di loro e de la terra; incontanente mandarono in Francia per soccorso; per la qual cosa lo re incontanente vi mandò messer Giacomo di San Polo sovrano balio di tutta Fiandra, con MD cavalieri franceschi, e con sergenti assai; e giunti a Bruggia, presono e fornirono i palagi de l'Alle del Comune e tutte le fortezze de la terra con guernigione di loro genti d'arme, istando la terra di Bruggia in grande sospetto e guardia. E crescendo la forza e l'ardire al minuto popolo, come piacque a·dDio, per pulire il peccato de la superbia e avarizia de' grandi borgesi e abattere l'orgoglio de' Franceschi, quegli artefici e popolo minuto ch'erano rimasi in Bruggia feciono tra·lloro giura e cospirazione di disperarsi per uccidere i Franceschi e' grandi borgesi, e mandarono per gli loro isfuggiti a la terra del Damo e quella d'Andiborgo, ond'erano loro capi e maestri Piero le Roi e Giambrida, che venissono a Bruggia, li quali cresciuti in baldanza per la vittoria e uccisione per loro cominciata contro a' Franceschi, a bandiere levate, e le femmine come gli uomini, vennero in Bruggia la notte di... com'era ordinato; e poteallo fare, però che lo re avea fatti abattere i fossi e porte di Bruggia. E giunti nella terra, dandosi nome con que d'entro, e gridando in loro linguaggio fiamingo, che da' Franceschi nonn-erano intesi; "Viva la Comune, e a la morte de' Franceschi!", abarraro le rughe de la terra. Per la qual cosa si cominciò la dolorosa pestilenzia e morte de' Franceschi, per modo che qualunque Fiammingo avea in sua casa nullo Francesco, o l'uccidea, o 'l menava preso a la piazza dell'Alla, ove la Comune era raunata e armata, e là giugnendo i presi, come tonnina in pezzi erano tagliati e morti. Sentendo i Franceschi levato il romore, e armandosi per raunarsi insieme, si trovavano da' loro osti tolti i freni, e le selle de' cavalli nascose. E più ne faceano le femmine che gli uomini; e chi era montato a cavallo trovava le rughe abarrate, e gittati loro i sassi da le finestre, e morti per le vie. E così durò tutto il giorno la detta persecuzione, ove morirono, che con ferri, e che di sassi, e d'esser gittati gli uomini dalle finestre delle torri e palazzi dell'Alle, ov'erano in fortezze più di MCC Franceschi a cavallo e più di MM sergenti a piede, onde tutte le rughe e piazze di Bruggia erano piene di corpi morti, e di sangue e carogna de' Franceschi, che più di tre dì gli penarono a sotterrare, portandogli in carra fuori della terra, e gittandogli in fosse a' campi; e de' grandi borgesi assai vi furono morti, e tutte loro case rubate. Messer Giache di San Polo con pochi fuggendo scampò, perch'abitava presso all'uscita della terra; e questa pestilenzia fu uno... del mese di..., gli anni di Cristo MCCCI.



LVI - De la grande e disaventurosa sconfitta che' Franceschi ebbono a Coltrai da' Fiaminghi

Dopo la detta rubellazione di Bruggia e morte de' Franceschi i maestri e' capitani della Comune di Bruggia, parendo loro avere fatte e cominciate grandi imprese, e grande misfatto contro a·re di Francia e sua gente, e considerando di non potere per loro medesimi sostenere sì gran fascio, essendo sanza il loro signore e sanza altro aiuto, sì mandarono in Brabante per lo giovane Guiglielmo di Giulieri, fratello dell'altro messer Guiglielmo di Giulieri che morì per la sconfitta di Fornes ad Arazzo in pregione del conte d'Artese, come adietro facemmo menzione. Questo Guiglielmo era nato per madre della figliuola del vecchio conte Guido di Fiandra, e figliuolo del conte di Giulieri di Valdireno, ed era gran cherico. Sì tosto come fu richesto da que' di Bruggia, per vendicare il suo fratello da' Franceschi, lasciò la chericia e venne in Fiandra, e da que' di Bruggia fu ricevuto a grande onore, e fatto loro signore. Incontanente fece gridare oste sopra la villa e terra di Guanto, che si tenea per lo re; ma la terra era forte de le più del mondo per sito e per mura, fossi, e riviere, e paduli, sicché il loro assalto fue invano; onde si partirono e andarono a le terre del Franco di Bruggia de le marine di Fiandra, e quelle quasi tutte con poca fatica recaro in loro signoria, come fu le Schiuse, Nuovoporto, Berghe, e Fornes, e Gravalingua, e più altre ville; onde gran popolo crebbe a que' di Bruggia. E ciò sentendo il giovane Guido figliuolo del conte di Fiandra della seconda donna, nato della contessa di Namurro, venne in Fiandra, e accozzossi con Guiglielmo di Giulieri suo nipote, e furono insieme fatti signori e guidatori del popolo di Fiandra ribello del re di Francia; e tornando da le terre delle marine, ebbono a patti Guidendalla, il ricco maniere del conte, ove avea più di Vc Franceschi. E ciò fatto, venne messer Guido a oste sopra Coltrai con XVm di Fiaminghi a piè, e ebbe la terra, salvo il castello del re, ch'era molto forte e guernito de' Franceschi a cavallo e a piè. Guiglielmo di Giulieri andòe all'assedio al castello di Cassella con parte dell'oste, e in questa istanza quegli della terra d'Ipro e di Camua di loro volontà s'arendero a messer Guido di Fiandra, onde crebbe gran podere a' Fiaminghi, e ingrossossi l'oste a Coltrai. Quegli del castello che v'erano per lo re, si difendeano francamente, e co·lloro ingegni e difici disfeciono e arsono gran parte della terra di Coltrai; ma per lo improviso assedio de' Fiamminghi non erano guerniti di vittuaglia quanto bisognava loro; e però mandarono in Francia al re per soccorso tostano, onde il re sanza indugio vi mandò il buono conte d'Artese suo zio e de la casa di Francia, con più di VIIm cavalieri gentili uomini, conti, e duchi, e castellani, e banderesi, onde de' caporali fareno menzione, e con XLm sergenti a piè, de' quali erano più di Xm balestrieri. E giunti sopra il colle il quale è di contro a Coltrai, verso la via che va a Tornai, in su quello s'acamparono, presso del castello a mezzo miglio. E per fornire le spese della cominciata guerra di Fiandra lo re di Francia, per male consiglio di messer Biccio e Musciatto Franzesi nostri contadini, sì fece peggiorare e falsificare la sua moneta, onde traeva grande entrata, però che ella venne peggiorando di tempo in tempo, sì che la recò a la valuta del terzo, onde molto ne fu abominato e maldetto per tutti i Cristiani; e molti mercatanti e prestatori di nostro paese ch'erano co·lloro moneta in Francia ne rimasono diserti. Il buono e valente giovane messer Guido di Fiandra, veggendo l'esercito de' Franceschi a cavallo e a piè che gli erano venuti adosso, e conoscendo ch'egli non potea schifare la battaglia, o abandonare la terra di Coltrai e l'assedio del castello, e lasciandolo e tornando a Bruggia col suo popolo era morto e confuso, sì mando per messer Guiglielmo di Giulieri ch'era all'assedio di Cassella che lasciasse l'assedio, e colla sua oste venisse a·llui, e così fu fatto; e trovarsi insieme con XXm uomini a piè, che nullo v'avea cavallo per cavalcare se non i signori. E diliberato al nome di Dio e di messer san Giorgio di prendere la battaglia, uscirono della terra di Coltrai, e levarono il loro campo, ch'era di là dal fiume de la Liscia, e passarono in su uno rispianato poco di fuori della terra, per lo cammino che va a Guanto, e quivi si schieraro incontro a' Franceschi; ma segacemente presono vantaggio, che a traverso di quella pianura corre uno fosso che raccoglie l'acque della contrada e mette nella Liscia, il quale è largo il più V braccia e profondo III, e sanza rilevato che si paia di lungi, che prima v'è altri su, che quasi s'acorga che v'abbia fossato. In su quello fosso dal loro lato si schieraro a modo d'una luna come andava il fosso, e nullo rimase a cavallo, ma ciascuno a piè, così i signori e' cavalieri come la comune gente, per difendersi da la percossa delle schiere de' cavalli de' Franceschi, e ordinarsi uno con lancia (che l'usano ferrate, tegnendole a guisa che si tiene lo spiedo a la caccia del porco salvatico), e uno con uno grande bastone noderuto come manica di spiedo, e dal capo grosso ferrato e puntaguto, legato con anello di ferro da ferire e da forare; e questa salvaggia e grossa armadura chiamano godendac, cioè in nostra lingua buono giorno. E così aringati uno ad uno, che altre poche armadure aveano da offendere o da difendere, come genti povere e non usi in guerra, come disperati di salute, considerando il grande podere de' loro nimici, si vollono innanzi conducere a morire al campo, che fuggire e essere presi e per diversi tormenti giudicati: feciono venire per tutto il campo uno prete parato col corpo di Cristo, sì che ciascuno il vide, e in luogo di comunicarsi, ciascuno prese uno poco di terra e si mise in bocca. Messer Guido di Fiandra e messer Guiglielmo di Giulleri andavano dinanzi a le schiere confortandogli e amonendo di ben fare, ricordando loro l'orgoglio e superbia de' Franceschi, e 'l torto che faceano a' loro signori e a·lloro, e a quello che verrebbono per le cose fatte per loro, se' Franceschi fossono vincitori; e mostrando loro ch'essi combatteano per giusta causa, e per iscampare loro vita e di loro figliuoli, e che francamente dovessero principalmente intendere pure amazzare e fedire i cavalli. E messer Guido di sua mano in su 'l campo fece cavaliere il valente Piero le Roi con più di XL de la Comune, promettendo, se vincessono, a ciascuno dare retaggio di cavaliere. Il conte d'Artese capitano e duca dell'oste de' Franceschi, veggendo i Fiamminghi usciti a campo, fece stendere il campo suo, e scese più al piano contro a' nemici, e ordinò i suoi in X schiere in questo modo: che de la prima fece guidatore messer Gianni di Barlas con MCCCC cavalieri soldati, Provenzali, Guasconi, Navarresi, Spagnuoli, e Lombardi, molto buona gente; de la seconda fece conduttore messere Rinaldo d'Itria valente cavaliere con Vc cavalieri; la terza schiera fu di VIIc cavalieri, onde fu capitano messer Rau di Niella, conestabile di Francia; la quarta battaglia fu di VIIIc cavalieri, la quale guidava messer Luis di Chiermonte della casa di Francia; la quinta, il conte d'Artese generale capitano con M cavalieri; la sesta, il conte di San Polo con VIIc cavalieri; la settima, il conte d'Albamala, e il conte di Du, e il ciamberlano di Francavilla con M cavalieri; l'ottava, messer Ferri figliuolo del duca de·Loreno, e il conte di Sassona con VIIIc cavalieri; la nona battaglia guidava messer Gottifredi fratello del duca di Brabante, e messer Gianni figliuolo del conte d'Analdo con Vc cavalieri brabanzoni e anoieri; la decima fu di CC cavalieri e di Xm balestrieri, la quale guidava messere Giache di san Polo con messer Simone di Piemonte e Bonifazio di Mantova, con più d'altri XXXm sergenti d'arme a piè, Lombardi, Franceschi, e Provenzali, e Navarresi, detti bidali, con giavellotti. Questa fu la più nobile oste di buona gente che mai facesse il detto re di Francia, dov'era il fiore de la baronia e baccelleria de' cavalieri de·reame di Francia, di Brabante, d'Analdo, e di Valdireno. Essendo aringate le battaglie dell'una parte e dell'altra per combattere, messer Gian di Burlas, e messer Simone di Piemonte, e Bonifazio, capitani di soldati e balestrieri forestieri, molto savi e costumati di guerra, furono al conastabole e dissono: "Sire, per Dio lasciamo vincere questa disperata gente e popolo di Fiaminghi sanza volere mettere a pericolo il fiore della cavalleria del mondo. Noi conosciamo i costumi de' Fiaminghi: e' sono usciti di Coltrai come disperati d'ogni salute, o per combattere o per fuggirsi, e sono acampati di fuori, e lasciato nella terra i loro poveri arnesi e vivanda. Voi starete schierati co la vostra cavalleria, e noi co' nostri soldati che sono usi di fare assalti e correrie, e co' nostri balestrieri, e cogli altri pedoni, che n'avemo due cotanti di loro, enterremo tra loro e la terra di Coltrai, e gli assaliremo da più parti, e terregli in badalucchi e scheremugi gran parte del dì. I Fiaminghi sono di grande pasto, e tutto dì sono usi di mangiare e di bere; tegnendoli noi in bistento e digiuni, gli straccheremo, e non potranno durare, perché non si potranno rinfrescare; si partiranno del campo a rotta da·lloro schiere, e come voi vedrete ciò, spronate loro adosso con vostra cavalleria, e avrete la vittoria sanza periglio di vostra gente". E di certo così veniva fatto, ma a cui Idio vuole male gli toglie il senno, e per le peccata commesse si mostra il giudicio di Dio; e intra gli altri peccati il conte d'Artese avea dispregiate le lettere di papa Bonifazio, e con tutte le bolle gittate nel fuoco. Udito questo consiglio il conastabole, sì gli piacque e parve buono, e venne co' detti conostaboli al conte d'Artese, e dissegli il consiglio, e come gli parea il migliore. Il conte d'Artese rispuose per rimproccio: "Pru diable, ce sont de guiglie di Lombars, e vos conostable aves ancore du pol del lu"; cioè volle dire ch'e' non fosse leale al re, perché la figliuola era moglie di messer Guiglielmo di Fiandra. Allora il conestabole irato per lo rimproccio udito, disse al conte: "Sire, se vos verres u gie irai vos ires bene avant". E come disperato, stimandosi d'andare a la morte, fece muovere sue bandiere, e brocciò a·ffedire francamente, non prendendosi guardia, né sappiendo del fosso a traverso dov'erano schierati i Fiamminghi, come adietro facemmo menzione. E giugnendo sopra il detto fosso, i Fiamminghi ch'erano dall'una parte e dall'altra cominciarono a fedire di loro bastoni detti godendac a le teste de' destrieri, e facevagli rivertire e ergere adietro. Il conte Artese e l'altre schiere e battaglie de' Franceschi, veggendo mosso a fedire il conastabole con sua gente, il seguiro l'uno appresso l'altro a sproni battuti, credendo per forza de' petti de' loro cavalli rompere e partire la schiera de' Fiamminghi; a·lloro avenne tutto per contrario, che per lo pingere e urtare, i cavagli dell'altre schiere per forza pinsono il conostabole, e il conte Artese, e sua schiera a traboccare nel detto fosso l'uno sopra l'altro; e 'l polverio era grande, che que' di dietro non poteano vedere, né per lo romore de' colpi e grida intendere i·loro fallo, né·lla dolorosa isventura di loro feditori; anzi credendo ben fare pignevano pure innanzi urtando i loro cavagli, per modo ch'eglino medesimi per l'ergere e cadere di loro cavagli l'uno sopra l'altro s'afollavano, e faceano affogare e morire gran parte, o i più, sanza colpo di ferri, o di lance, o di spade. I Fiamminghi ch'erano aserrati e forti in su la proda del fosso, veggendo traboccare i Franceschi e' loro cavagli, non intendeano ad altro che amazzare i cavalieri, e' loro cavagli isfondare e isbudellare, sicché in poco d'ora non solamente fu ripieno il fosso d'uomini e di cavagli, ma fatto gran monte di carogna di quegli. Ed era sì fatto giudicio, che' Franceschi non poteano dare colpo a' loro nemici, ma eglino medesimi afollavano, e uccideano l'uno l'altro per lo pignere che faceano, credendo per urtare rompere i Fiaminghi. Quando i Franceschi furono quasi tutte loro schiere radossati l'uno sopra l'altro, e confusi per modo che per loro medesimi convenia o che traboccassono co' loro cavagli, o fossono sì stretti e annodati a schiera che non si poteano reggere, né andare innanzi né tornare adietro, i Fiaminghi ch'erano freschi, e poco travagliati i capi de' corni de la loro schiera, onde dell'uno era capitano messer Guido di Fiandra, e dell'altro messer Guiglielmo di Giulieri, gli quali in quello giorno feciono maraviglie d'arme di loro mano, essendo a piè, passaro il fosso, e rinchiusono i Franceschi, per modo che uno vile villano era signore di segare la gola a' più gentili uomini. E per questo modo furono sconfitti e morti i Franceschi, che di tutta la sopradetta nobile cavalleria non iscampò se non messer Luis di Chiermonte, e il conte di San Polo, e quello di Bologna con pochi, perché si disse che non si strinsono al fedire; onde sempre portarono poi grande onta e rimproccio in Francia. Tutti gli altri duchi, conti, e baroni, e cavalieri furono morti in su il campo, e alquanti fuggendo per le fosse e maresi morti furono; in somma più di VIm cavalieri, e di pedoni a piè sanza numero, rimasono morti a la detta battaglia sanza menarne nullo a pregione. E questa dolorosa e sventurata sconfitta de' Franceschi fue il dì di santo Benedetto, a dì XI di luglio, gli anni di Cristo MCCCII; e non sanza grande giudicio divino, però che fu quasi uno impossibile avenimento. E bene ci cade la parola che Dio disse al popolo suo d'Israel, quando la potenzia e moltitudine di loro nimici venia loro adosso, i quali erano con piccola forza a·lloro comparazione, e temendo di combattere, disse: "Combattete francamente, ché la forza della battaglia nonn-è solo ne la moltitudine de le genti, anzi è in mia mano, però ch'io sono lo Idio Sabaoth, cioè lo Idio dell'oste". Di questa sconfitta abassò molto l'onore, e lo stato, e fama de l'antica nobilità e prodezza de' Franceschi, essendo il fiore della cavalleria del mondo isconfitta e abbassata da' loro fedeli, e la più vile gente che fosse al mondo, tesserandi, e folloni, e d'altre vili arti e mestieri, e non mai usi di guerra, che per dispetto e loro viltade da tutte le nazioni del mondo i Fiaminghi erano chiamati conigli pieni di burro; e per queste vittorie salirono in tanta fama e ardire, ch'uno Fiamingo a piè con uno godendac in mano avrebbe atteso due cavalieri franceschi.



LVII - Di quale lignaggio furono i presenti conti e signori di Fiandra

Dapoi ch'avemo innarrato le grandi novità e battaglie cominciate tra 'l re di Francia e 'l conte di Fiandra e' suoi, e seguiranno appresso per gli tempi, ne pare convenevole di raccontare dell'esser e legnaggio de' detti conti, però che feciono grandi cose, e di loro furono valenti signori. Questi conti non sono per lignaggio mascolino dello stocco degli antichi conti di Fiandra, onde fue il buono primo imperadore Baldovino che conquistò Gostantinopoli, e 'l valente conte Ferrante, il quale si combatté collo imperadore Otto insieme col buono re Filippo il Bornio, come adietro facemmo menzione; e fu suo non solamente Fiandra, ma la contea d'Analdo, e Vermandois, e Tiracia infino presso a Compigno. E quegli primi conti portarono l'arme agheronata gialla e nera; ma questi d'oggi ne nacquero per femmina in questo modo. Quando morì il detto conte Ferrante, di lui non rimase figliuolo maschio, ma solo una piccola figlia femmina chiamata Margherita. Questa rimase a guardia e tuteria d'uno savio cherico, ch'avea nome messer Gian d'Avenes, figliuolo del signore di Don piero in Borgogna, overo Campagna, e per suo senno avea guidato il conte Ferrante e tutto il suo paese. Questi ritenne la signoria per la fanciulla; e quand'ella fue in età, si giacque co·llei, e ebbene uno figliuolo chiamato Gianni; e per coprire la vergogna di lui e della damigella lasciòe la chericia, e sposò la contessa Margherita a moglie, e poi n'ebbe uno figliuolo, e questi fue il presente valente e buono Guido conte di Fiandra; e poco apresso morìo messer Gian d'Avenes, e rimase la detta contessa Margherita co' detti due suoi figliuoli, e non riprese marito; e guidava molto saviamente sua terra e paese, e quando bisognò, andò in arme com'uno cavaliere, e fu molto savia e ridottata donna, e fece molte buone leggi e costume in Fiandra che ancora s'oservano. Avenne, quando Gianni e Guido suoi figliuoli furono cavalieri, ciascuno volea esser conte di Fiandra, onde piato ne nacque ne la corte del re di Francia, e convenne ne fosse sentenzia; e citata la contessa Margherita al giudicio innanzi al re, disse che Guido era degno d'essere conte di Fiandra, però ch'egli era nato di matrimonio, e Gianni no; onde crucciato Gianni, ch'era il maggiore, inanzi al re di Francia e suo consiglio in presenza della madre disse: "Dunque sono io figliuolo della più ricca puttana del mondo?". La contessa, come savia, si gabbò delle parole, e rispuose a Gianni: "Io non ti posso torre Analdo di tuo retaggio, ma io ti voglio torre che a la tua arme, ch'è il campo ad oro e leone nero, a·leone tu non facci mai unghioni né lingua, perché la tua è stata villana; e Guido voglio il porti tutto intero". E così fu giudicato e confermato per lo re di Francia e per gli dodici peri. Onde di messer Gianni sono discesi i conti d'Analdo, e di messer Guido conte di Fiandra messere Ruberto di Bettona, e messer Guiglielmo e messer Filippo della sua prima donna avogada di Bettona; e della seconda donna figliuola del conte di Luzzimborgo e contessa di Namurro, la quale contea fece comperare per gli figliuoli al conte di Fiandra, sì nacquero messer Gianni conte di Namurro, e il buono messer Guidone, e messer Arrigo di Fiandra; del quale Guidone la nostra storia ha parlato ne la detta sconfitta di Coltrai, e parlerà ancora in più parti di loro prodezze e valentie, e però ne paiono degni di loro nazione avere voluto fare memoria.



LVIII - Come lo re di Francia rifece sua oste, e con tutto suo podere venne sopra i Fiaminghi; e tornossi in Francia con poco onore

Dopo la detta sconfitta di Coltrai incontanente s'arrendero a messer Guido di Fiandra quegli di Guanto, e que' di Lilla, e Doai, e Cassella, sì che non rimase terra né villa piccola né grande in Fiandra, che non tornasse a le comandamenta di messer Guido; e per la detta vittoria la Comuna d'ogni terra di Fiandra presono ardire e signoria, e cacciarne i loro grandi borgesi, perché amavano i Franceschi; e non tanto in Fiandra, simile avenne in Brabante, e in Analdo, e in tutte loro circustanzie, per lo favore della Comuna di Fiandra. Come in Francia fue la dolorosa novella della detta sconfitta, nonn-è da domandare se v'ebbe dolore e lamento, che non v'ebbe villa, castello, maniero, o signoraggio, che per gli cavalieri e scudieri che rimasono morti a Coltrai non v'avesse dame e damigelle vedove. Lo re di Francia, passato il dolore, fece come valente signore, che incontanente fece bandire oste generale per tutto il reame; e per fornire sua guerra sì fece falsificare le sue monete; e la buona moneta del tornese grosso, ch'era a XI once e mezzo di fine, tanto il fece peggiorare, che tornò quasi a metade, e simile la moneta prima; e così quelle dell'oro, che di XXIII e mezzo carati le recò a men di XX, faccendole correre per più assai che non valeano: onde il re avanzava ogni dì libbre VIm di parigini e più, ma guastò e disertò il paese, che la sua moneta non tornò a la valuta del terzo. E fornito lo re, e apparecchiata la sua grande e ricca oste, si mosse da Parigi, e del mese di settembre presente del detto anno MCCCII, fue ad Arazzo in Artese con più di Xm cavalieri, e con più di LXm pedoni; e in Italia mandò per messer Carlo di Valos suo fratello, che rimossa ogni cagione dovesse tornare in Francia; e così fece poco appresso. I Fiaminghi sentendo l'apparecchio e venuta del re di Francia, mandaro in Namurro per lo conte messer Gianni figliuolo del conte di Fiandra, e maggiore di messer Guido, il quale era molto savio e valente; e lui venuto, il feciono loro generale capitano dell'oste, e come gente calda, e baldanzosa della vittoria da Coltrai, s'apparecchiaro di tende, e padiglioni, e trabacche, con tutto che assai aveano di quelle de' Franceschi; e ciascuna terra e villa per sé si soprasegnaro di soprasberghe e d'arme, e ciascuno mestiere per sé, e raunarsi a Doai, e furono più di LXXXm uomini a piè bene armati e soprasegnati, e con tanto carreggio che portava il loro arnese, che copria tutto il paese, e in somma era a vedere la più bella e ricca oste di gente a piè, che mai fosse tra' Cristiani. Lo re di Francia colla sua grande e nobile oste uscì fuori d'Arazzo per entrare in Fiandra, e acampossi a una villa che si chiama Vetri, tra Doai e Arazzo, e era sì grande, che tenea di giro più di X miglia. I Fiaminghi come franca gente, e bene guidati e condotti, non attesero l'oste a Doai, ma uscirono di Doai, e s'afrontarono incontro a l'oste del re, gridando dì e notte: "Battaglia, battaglia!", e innanimati di combattere, e sovente aveano insieme scarmugi e badalucchi, e non v'avea Fiammingo a piè con suo godendac in mano che non attendesse il cavaliere francesco, per la baldanza presa sopra loro, e' Franceschi per contradio inviliti. E ciò fu del mese d'ottobre, nel quale cominciò grandi piogge, e 'l paese è pieno di paduli e di fosse, e sempre terreno che mai non si puote osteggiare il verno; onde il carreggio del re ch'aducea la vivanda all'oste per li fondati cammini non poteano venire, né i cavalieri co·lloro cavalli apena uscire del campo. Per la quale confusione l'oste del re venne in tanti difetti, e di vittuaglia e d'altro, che non poterono più tenere campo, e convenne che di necessità si levasse da oste, con sua grande onta e vergogna, faccendo triegua per uno anno: e tornossi addietro ad Arazzo, e poi a Parigi, con grande spendio, e con grande mortalità de' suoi cavagli. Alcuno disse in Francia che intra l'altre cagioni della partita dell'oste del re fu per inganno del re Adoardo d'Inghilterra, il quale amava i Fiaminghi, e per favoragli disse a la moglie, la quale era serocchia del re di Francia, in segreto segacemente e con frode: "Io temo che 'l re di Francia non riceva vergogna e pericolo in questa oste, ch'io sento che vi sarà tradito da certi suoi baroni medesimi". La reina prese a vero la parola, e incontanente la significò al re di Francia suo fratello, ond'egli entrò in sospetto e gelosia de' suoi baroni, ma non sapea di cui, e partissi per lo modo che detto avemo con onta e vergogna: e potrebbe esser stata l'una cagione e l'altra della sua partita. E partita l'oste del re, i Fiaminghi si tornarono in loro terre con grande festa e allegrezza. Avemo sì distesamente innarrate queste storie di Fiandra, perché furono nuove e maravigliose, e noi ci trovammo in quegli tempi nel paese, che con oculata fede vedemmo e sapemmo la veritade. Lasceremo alquanto di questa materia, infino che verranno i tempi del termine e fine di questa guerra tra 'l re di Francia e' Fiaminghi, che fu assai piccolo tempo appresso, e torneremo a nostra materia a raccontare le novità d'Italia e della nostra città di Firenze che furono in quegli tempi, seguendo nostro trattato.



LIX - Come Folcieri da Calvoli podestà di Firenze fece tagliare la testa a certi cittadini di parte bianca

Nel detto anno MCCCII, essendo fatto podestà di Firenze Folcieri da Calvoli di Romagna, uomo feroce e crudele, a posta de' caporali di parte nera, i quali viveano in grande gelosia, perché sentivano molto possente in Firenze la parte bianca e ghibellina, e gli usciti iscriveano tutto dì, e trattavano con quegli ch'erano loro amici rimasi in Firenze, il detto Folcieri fece subitamente pigliare certi cittadini di parte bianca e Ghibellini; ciò furono messer Betto Gherardini, e Masino de' Cavalcanti, e Donato e Tegghia suo fratello di Finiguerra da Sammartino, e Nuccio Coderini de' Galigai, il quale era quasi un mentacatto, e Tignoso de' Macci; e a petizione di messer Musciatto Franzesi, ch'era de' signori della terra, volloro essere presi certi caporali di casa gli Abati suoi nimici, i quali sentendo ciò si fuggiro e partiro di Firenze, e mai poi non ne furono cittadini; e uno massaio de le Calze fu de' presi, oppognendo loro che trattavano tradimento nella città co' Bianchi usciti. O colpa o non colpa, per martorio gli fece confessare che doveano tradire la terra e dare certe porte a' Bianchi e Ghibellini; ma il detto Tignoso de' Macci per gravezza di carni morì in su la colla. Tutti gli altri sopradetti presi gli giudicò, e fece loro tagliare le teste, e tutti quegli di casa gli Abati condannare per ribelli, e disfare i loro beni, onde grande turbazione n'ebbe la città, e poi ne seguì molti mali e scandali. E nel detto anno fue gran caro di vittuaglia, e valse lo staio del grano in Firenze a la rasa soldi XXII di soldi... il fiorino d'oro.



LX - Come la parte bianca e' Ghibellini usciti di Firenze vennero a Pulicciano, e partirsene in isconfitta

Nel detto anno, del mese di marzo, i Ghibellini e' Bianchi usciti di Firenze co la forza de' Bolognesi che si reggeano a parte bianca, e coll'aiuto de' Ghibellini di Romagna e degli Ubaldini, vennero in Mugello con VIIIc cavalieri e VIm pedoni, ond'era capitano Scarpetta degli Ordilaffi da Forlì, e presono sanza contasto il borgo e poggio di Pulicciano, e assediarono una fortezza che vi teneano i Fiorentini, credendo ivi fare capo grosso, e recare il Mugello sotto loro obbedienza, e poi stendersi co·lloro forza a la città di Firenze. Saputa la novella in Firenze, subitamente cavalcaro in Mugello popolo e cavalieri con tutta la forza de la cittade; e giunti al borgo, e venuti i Lucchesi e l'altra amistà, e di là uscendo ischierati e messi in ordine per andare a' nemici, i cavalieri di Bologna sentendo la sùbita venuta de' Fiorentini, e trovandosi ingannati da' Bianchi usciti di Firenze ch'aveano loro fatto intendere che' Fiorentini per tema di loro amici rimasi dentro non ardirebbono d'uscire della terra, si tennono traditi, e con paura grande sanza niuno ordine si partiro da Pulicciano di Mugello, e andarsene a Bologna, onde i Bianchi e' Ghibellini usciti rimasono rotti e scerrati, e partirsi una notte sanza colpo di spada come sconfitti, lasciando tutti i loro arnesi, e più di loro gittarono l'arme, e rimasonvi de' morti e presi de' migliori per certi iscorridori iti innanzi. Intra gli altri notabili e orrevoli cittadini e antichi Guelfi e fattisi Bianchi vi fu preso messer Donato Alberti giudice, e Nanni di Ruffoli da le porte del vescovo. Nanni vegnendo preso, fu morto da uno de' Tosinghi, e a messer Donato Alberti tagliato il capo, per quella legge medesima ch'egli avea fatta e messa in ordine di giustizia quando egli regnava ed era priore. E col detto messer Donato Alberti furono menati presi e tagliate le teste a due de' Caponsacchi, e uno degli Scolari, e Lapo de' Cipriani, e a Nerlo degli Adimari, e altri intorno di X di piccolo affare; per la quale rotta i Bianchi e' Ghibellini usciti molto abassaro.



LXI - Incidenza, contando come messer Maffeo Visconti fu cacciato di Melano

Nel detto anno MCCCII, a dì XVI di giugno, messer Maffeo Visconti capitano di Milano fu cacciato della signoria. La cagione fue ch'egli e' figliuoli al tutto voleano la signoria di Milano, e a messer Piero Visconti, e gli altri suoi consorti, e agli altri cattani e varvassori non participava nullo onore. Per la qual cosa scandalo nacque in Milano, e' signori de la Torre colla forza del patriarca d'Aquilea, con grande oste vennero sopra Milano, e co·lloro messer Alberto Scotti di Piagenza, e il conte Filippone da Pavia, e messer Antonio da Fosseraco di Lodi. Messer Maffeo uscì contro a·lloro, ma per la quistione ch'avea co' suoi fue male seguito, e non avea podere contro a' nemici; onde messer Alberto Scotti si fece mezzano per fare accordo, e ingannò e tradì messer Maffeo, che rimessosi in lui, gli tolse la signoria del capitanato, onde messer Maffeo per onta non volle tornare in Milano; ma sanza battaglia si tornarono in Milano i signori della Torre, e rimasono signori di Milano messer Mosca e messer Guidetto di messer Nappo della Torre. E poco appresso morto messer Mosca, il detto messer Guidetto si fece fare capitano di Milano, e menò aspramente la sua signoria, e fue molto temuto e ridottato, e perseguitò molto il detto messer Maffeo e' figliuoli, sì che gli recò quasi a niente, e convenia s'andassono tapinando in diversi luoghi e paesi, e a la fine per loro sicurtà si ridussono a uno piccolo castello in ferrarese, ch'era de' marchesi da Esti suoi parenti, che Galasso suo figliuolo avea per moglie la serocchia del marchese. E sappiendolo messere Guidetto de la Torre, capitano di Milano e suo nimico, sì volle sapere novelle di lui e di suo stato, e disse a uno accorto e savio uomo di corte: "Se tu vuogli guadagnare uno palafreno e una roba vaia, andrai in tal parte ov'è messer Maffeo Visconti, e espia di suo stato". E per ischernirlo li disse: "Quando tu se' per prendere commiato da·llui, faragli due questioni: la prima, che tu il domandi come gli pare stare, e che vita è la sua; la seconda, quand'e' crede potere tornare in Milano". Il ministriere entrò in cammino e venne a messer Maffeo, e trovollo in assai povero abito secondo suo antico stato; e al dipartirsi da·llui, il pregò che gli facesse guadagnare uno palafreno e una roba vaia; rispuose che volentieri, ma non da·llui, che non l'avea; disse: "Da voi no·lla voglio io, ma rispondetemi a due questioni ch'io vi farò"; e dissele come gli furono imposte. Il savio intese da cui venieno, e rispuose subito molto saviamente; a la prima disse: "Parmi stare bene, però ch'io so vivere secondo il tempo". A la seconda rispuose, e disse: "Dirai al tuo signore, messer Guidetto, che quando i suoi peccati soperchieranno i miei io tornerò in Milano". Tornato l'uomo di corte a messer Guidetto, e rapportata la risposta, disse: "Bene hai guadagnato il palafreno e la roba, che bene sono parole del savio uomo messer Maffeo".



LXII - Come si cominciò la quistione e nimistà tra papa Bonifazio e 'l re Filippo di Francia

Nel detto tempo, benché fosse cominciato assai dinanzi la sconfitta di Coltrai lo sdegno del re di Francia contro a papa Bonifazio, per cagione che la promessa che 'l detto papa avea fatta al re e a messer Carlo di Valos suo fratello di farlo essere imperadore quando mandò per lui, come addietro facemmo menzione, la qual cosa non attenne, quale che si fosse la cagione, anzi nel detto anno medesimo avea confermato a re de' Romani Alberto d'Osteric figliuolo che fu del re Ridolfo; per la qual cosa il re di Francia forte si tenne ingannato e tradito da·llui, e per suo dispetto ritenea e facea onore a Stefano della Colonna suo nimico, il quale era in Francia sentendo la discordia mossa, e lo re favorava lui e' suoi a suo podere. E oltre a·cciò il re fece pigliare il vescovo di Palmia in Carcascese, opponendogli ch'era paterino, e ogni vescovado vacante del reame godeva i beni, e voleva fare le 'nvestiture. Onde papa Bonifazio, il quale era superbo e dispettoso, e ardito di fare ogni gran cosa, come magnanimo e possente ch'egli era e si tenea, veggendosi fare quegli oltraggi al re, mescolò lo sdegno co la mala volontà, e fecesi al tutto nimico del re di Francia. E in prima per giustificare sue ragioni fece richiedere tutti i grandi parlati di Francia che dovessono venire a corte; ma il re di Francia contradisse, e non gli lasciò partire, onde il papa maggiormente s'inanimò contro al re, e trovò per sue ragioni e decreti che 'l re di Francia, come gli altri signori cristiani, dovea riconoscere da la sedia appostolica la signoria del temporale, come dello spirituale: e per questo mandò in Francia per suo legato uno cherico romano arcidiacano di Nerbona, che protestasse e amonisse lo re sotto pena di scomunicazione di ciò fare, e di riconoscere da·llui, e se ciò non facesse, lo scomunicasse, e lasciasse lo 'nterdetto. E 'l detto legato vegnendo nella città di Parigi, il re non gli lasciò piuvicare le sue lettere e privilegi, anzi gliele tolse la gente del re, e accomiatarlo del reame. E venute le dette lettere papali innanzi al re e suoi baroni al tempio, il conte d'Artese, ch'allora vivea, per dispetto le gittò nel fuoco e arsele, onde grande giudicio glie n'avenne, e lo re ordinò di fare guardare tutti i passi di suo reame, che messo o lettere di papa non entrasse in Francia. Sentendo ciò papa Bonifazio, iscomunicò per sentenzia il detto Filippo re di Francia. E lo re di Francia per giustificare sé, e per fare suo appello, fece in Parigi uno grande concilio di cherici e prelati e di tutti i suoi baroni, discusando sé, e opponendo a papa Bonifazio più accuse con più articoli di resia, e simonia, e omicidia, ed altri villani peccati, onde di ragione dovea esser disposto del papato. Ma l'abate di Cestella non volle consentire all'apello, anzi si partì, e tornossi in Borgogna, male del re di Francia: e per così fatto modo si cominciò la discordia da papa Bonifazio al re di Francia, la quale ebbe poi male fine; onde poi nacque grande discordia tra·lloro, e seguìne molto male, come appresso faremo menzione. In questi tempi avenne in Firenze una cosa bene notabile, che avendo papa Bonifazio presentato al Comune di Firenze uno giovane e bello leone, ed essendo nella corte del palagio de' priori legato con una catena, essendovi venuto uno asino carico di legne, veggendo il detto leone, o per paura che n'avesse, o per lo miracolo, incontanente assalì ferocemente il leone; con calci tanto il percosse, che l'uccise, non valendoli l'aiuto di molti uomini ch'erano presenti. Fu tenuto segno di grande mutazione e cose a venire, ch'assai n'avennero in questi tempi alla nostra città. Ma certi alletterati dissono ch'era adempiuta la profezia di Sibilla, ove disse: "Quando la bestia mansueta ucciderà il re delle bestie, allora comincerà la disoluzione della Chiesa etc."; e tosto si mostrò in papa Bonifazio medesimo, come si troverrà nel seguente capitolo.



LXIII - Come il re di Francia fece prendere papa Bonifazio in Anagna a Sciarra della Colonna, onde morì il detto papa pochi dì appresso

Dopo la detta discordia nata tra papa Bonifazio e il re Filippo di Francia ciascuno di loro procacciò d'abattere l'uno l'altro per ogni via e modo che potesse: il papa d'agravare il re di Francia di scomuniche e altri processi per privarlo del reame; e con questo favorava i Fiamminghi suoi ribelli, e tenea trattato col re Alberto della Magna, e studiandolo che passasse a Roma per la benedizione imperiale, e per fare levare il regno al re Carlo suo consorto, e al re di Francia fare muovere guerra a' confini di suo reame da la parte d'Alamagna. Lo re di Francia da l'altra parte non dormia, ma con grande sollecitudine, e consiglio di Stefano della Colonna e d'altri savi Italiani e di suo reame, mandò uno messer Guiglielmo di Lungreto di Proenza, savio cherico e sottile, con messer Musciatto de' Franzesi in Toscana, forniti di molti danari contanti, e a ricevere da la compagnia de' Peruzzi, allora suoi mercatanti, quanti danari bisognasse, non sappiendo eglino perché. E arrivati al castello di Staggia, ch'era del detto messere Musciatto, ivi stettono più tempo, mandando ambasciadori, e messi, e lettere, e faccendo venire le genti a·lloro di sagreto, faccendo intendente al palese che v'erano per trattare accordo dal papa al re di Francia, e perciò aveano la detta moneta recata: e sotto questo colore menarono il trattato segreto di fare pigliare in Anagna papa Bonifazio, ispendendone molta moneta, corrompendo i baroni del paese e' cittadini d'Anagna; e come fu trattato venne fatto: che essendo papa Bonifazio co' suoi cardinali e con tutta la corte ne la città d'Anagna in Campagna, ond'era nato e in casa sua, non pensando né sentendo questo trattato, né prendendosi guardia, e s'alcuna cosa ne sentì, per suo grande cuore il mise a non calere, o forse, come piacque a Dio, per gli suoi grandi peccati, del mese di settembre MCCCIII, Sciarra della Colonna con genti a cavallo in numero di CCC, e a piè di sua amistà assai, soldata de' danari del re di Francia, colla forza de' signori da Ceccano, e da Supino, e d'altri baroni di Campagna, e de' figliuoli di messer Maffio d'Anagna, e dissesi co l'assento d'alcuno de' cardinali che teneano al trattato, e una mattina per tempo entrò in Anagna colle insegne e bandiere del re di Francia, gridando: "Muoia papa Bonifazio, e viva il re di Francia!"; e corsono la terra sanza contasto niuno, anzi quasi tutto lo 'ngrato popolo d'Anagna seguì le bandiere e la rubellazione; e giunti al palazzo papale, sanza riparo vi saliro e preso lo palazzo, però che 'l presente assalto fu improviso al papa e a' suoi, e non prendeano guardia. Papa Bonifazio sentendo il romore, e veggendosi abandonato da tutti i cardinali, fuggiti e nascosi per paura o chi da mala parte, e quasi da' più de' suoi famigliari, e veggendo che' suoi nimici aveano presa la terra e il palazzo ove egli era, si cusò morto, ma come magnanimo e valente, disse: "Da che per tradimento, come Gesù Cristo, voglio esser preso e mi conviene morire, almeno voglio morire come papa"; e di presente si fece parare dell'amanto di san Piero, e colla corona di Gostantino in capo, e colle chiavi e croce in mano, in su la sedia papale si puose a sedere. E giunto a·llui Sciarra e gli altri suoi nimici, con villane parole lo scherniro, e arrestarono lui e la sua famiglia, che co·llui erano rimasi: intra gli altri lo schernì messer Guiglielmo di Lunghereto, che per lo re di Francia avea menato il trattato, dond'era preso, e minacciollo di menarlo legato a Leone sopra Rodano, e quivi in generale concilio il farebbe disporre e condannare. Il magnanimo papa gli rispuose ch'era contento d'essere condannato e disposto per gli paterini com'era egli, e 'l padre e·lla madre arsi per paterini; onde messer Guiglielmo rimase confuso e vergognato. Ma poi, come piacque a Dio, per conservare la santa dignità papale, niuno ebbe ardire o non piacque loro di porgli mano adosso, ma lasciarlo parato sotto cortese guardia, e intesono a rubare il tesoro del papa e della Chiesa. In questo dolore, vergogna e tormento istette il valente papa Bonifazio preso per gli suoi nimici per III dì; ma come Cristo al terzo dì risucitò, così piacque a·llui che papa Bonifazio fosse dilibero, che sanza priego o altro procaccio, se non per opera divina, il popolo d'Anagna raveduti del loro errore, e usciti de la loro cieca ingratitudine, subitamente si levaro a l'arme, gridando: "Viva il papa, e muoiano i traditori!"; e correndo la terra ne cacciarono Sciarra della Colonna e' suoi seguaci, con danno di loro di presi e de' morti, e liberato il papa e sua famiglia. Papa Bonifazio vedendosi libero e cacciati i suoi nimici, per ciò non si rallegrò niente, però ch'avea conceputo e addurato nell'animo il dolore della sua aversità: incontanente si partì d'Anagna con tutta la corte, e venne a Roma a Santo Pietro per fare concilio, con intendimento di sua offesa e di santa Chiesa fare grandissima vendetta contra il re di Francia, e chi offeso l'avea; ma come piacque a Dio, il dolore impetrato nel cuore di papa Bonifazio per la 'ngiuria ricevuta gli surse, giunto in Roma, diversa malatia, che tutto si rodea come rabbioso, e in questo stato passò di questa vita a dì XII d'ottobre, gli anni di Cristo MCCCIII, e nella chiesa di San Piero a l'entrare delle porte, in una ricca cappella fattasi fare a sua vita, onorevolemente fue soppellito.



LXIV - Ancora diremo de' morali ch'ebbe in sé papa Bonifazio

Questo papa Bonifazio fu savissimo di scrittura e di senno naturale, e uomo molto aveduto e pratico, e di grande conoscenza e memoria; molto fu altiero, e superbo, e crudele contro a' suoi nimici e aversari, e fue di grande cuore, e molto temuto da tutta gente, e alzò e agrandì molto lo stato e ragioni di santa Chiesa, e fece fare a messer Guiglielmo da Bergamo, e a messer Ricciardo di Siena cardinali, e a messer Dino Rosoni di Mugello, sommi maestri in legge e decretali, e egli co·lloro insieme, ch'era grande maestro in decreto e in divinità, il sesto libro delle decretali, il quale è quasi lume di tutte le leggi e decreti. Magnanimo e largo fu a gente che gli piacesse, e che fossono valorosi, vago molto della pompa mondana secondo suo stato, e fu molto pecunioso, non guardando né faccendosi grande né stretta coscienza d'ogni guadagno, per agrandire la Chiesa e' suoi nipoti. Fece al suo tempo più cardinali suoi amici e confidenti, intra gli altri due suoi nipoti molto giovani, e uno suo zio fratello che fue della madre, e XX tra vescovi e arcivescovi suoi parenti e amici della piccola città d'Anagna di ricchi vescovadi, e l'altro suo nipote e' figliuoli, ch'erano conti, come adietro facemmo menzione, lasciò loro quasi infinito tesoro; e dopo la morte di papa Bonifazio loro zio furono franchi e valenti in guerra, faccendo vendetta di tutti i loro vicini e nimici, ch'aveano tradito e offeso a papa Bonifazio, spendendo largamente, e tegnendo al loro propio soldo CCC buoni cavalieri catalani, per la cui forza domarono quasi tutta Campagna e terra di Roma. E se papa Bonifazio vivendo avesse creduto che fossono così pro' d'arme e valorosi in guerra, di certo gli avrebbe fatti re o gran signori. E nota che quando papa Bonifazio fu preso la novella fu mandata al re di Francia per più corrieri in pochi giorni, per grande allegrezza, e capitando i primi corrieri ad Ansiona di là da la montagna di Briga, il vescovo d'Ansiona, il quale allora era uomo d'onesta e santa vita, udendo la novella quasi stupì, istando uno pezzo in silenzio contemplando, per l'amirazione che gli parve della presura del papa, e tornando in sé, disse palese dinanzi a più buona gente: "Il re di Francia farà di questa novella grande allegrezza, ma i' ho per ispirazione divina che per questo peccato n'è condannato da Dio; e grandi e diversi pericoli e aversità con vergogna di lui e di suo lignaggio gli averranno assai tosto; e egli e' figliuoli rimarranno diretati del reame". E questo sapemmo poco tempo appresso passando per Ansiona da persone degne di fede che vi furono presenti a udire. La quale sentenzia fu profezia in tutte le sue parti, come appresso per gli tempi, raccontando de' fatti del detto re di Francia e de' figliuoli, si potrà trovare il vero. E nonn-è da maravigliare della sentenzia di Dio, che, con tutto che papa Bonifazio fosse più mondano che non richiedea alla sua dignità, e fatte avea assai delle cose a dispiacere di Dio, Idio fece pulire lui per lo modo che detto avemo, e poi l'offenditore di lui pulì, non tanto per l'offesa della persona di papa Bonifazio, ma per lo peccato commesso contro a la maestà divina, il cui cospetto rappresentava in terra. Lasceremo di questa materia, ch'ha avuto sua fine, e torneremo alquanto adietro a raccontare de' fatti di Firenze e di Toscana, che furono ne' detti tempi assai grandi.



LXV - Come i Fiorentini ebbono il castello del Montale, e come feciono oste a Pistoia co' Lucchesi insieme

Nell'anno di Cristo MCCCIII, del mese di maggio, i Fiorentini ebbono il castello del Montale presso di Pistoia a quattro miglia, cavalcandovi una notte subitamente, e fu loro dato per tradimento di certi terrazzani, che n'ebbono IIIm fiorini d'oro, per trattato di messer Pazzino de' Pazzi, che v'era vicino per la sua posessione di Palugiano. Il quale castello era molto forte di sito, e di mura, e di torri; e come i Fiorentini l'ebbono, il feciono abattere e disfare infino nelle fondamenta, e la campana di quello Comune, ch'era molto buona, la feciono venire in Firenze, e puosesi in su la torre del palagio della podestà per campana de' messi, e chiamossi la Montanina. E disfatto il Montale, del detto mese medesimo i Fiorentini dall'una parte e' Lucchesi da l'altra feciono oste a la città di Pistoia, e guastarla intorno intorno, e furono MD cavalieri e VIm pedoni, e tornarsi a casa sanza contasto niuno. In questo anno morì a Bologna il savio e valente uomo messer Dino Rosoni di Mugello, nostro cittadino, il quale fu il maggiore e il più savio legista che fosse infino al suo tempo. E in questo medesimo tempo morì in Bologna maestro Taddeo detto da Bologna, ma era stato per suo matrimonio nostro cittadino, il quale fue sommo fisiziano sopra tutti quegli de' Cristiani.



LXVI - Come fu eletto papa Benedetto XI

Dopo la morte di papa Bonifazio il collegio de' cardinali raunati insieme per eleggere nuovo papa, come piacque a Dio, in pochi dì furono in concordia, e chiamarono papa Benedetto XI, a dì XXII d'ottobre nel detto anno MCCCIII. Questi fu di Trevigi di piccola nazione, che quasi non si trovò parente, e nudrìsi in Vinegia, quand'era giovane cherico, a insegnare a' fanciugli de' signori da ca' Corino; poi fu frate predicatore, uomo savio e di santa vita, e per la sua bontà e onesta vita per papa Bonifazio fu fatto cardinale, e poi papa. Ma vivette in su 'l papato mesi otto e mezzo; ma in questo piccolo tempo cominciò assai buone cose, e mostrò gran volere di pacificare i Cristiani. E prima fece accordo dalla Chiesa al re di Francia, e ricomunicò il detto re, e confermò ciò che papa Bonifazio avea fatto, e mandò a Firenze frate Niccolaio da Prato cardinale ostiense per legato, per pacificare i Fiorentini co' loro usciti, come innanzi faremo menzione.



LXVII - Come il re Adoardo d'Inghilterra riebbe Guascogna, e sconfisse gli Scotti

In questo anno Aduardo re d'Inghilterra fece accordo col re Filippo di Francia, e riebbe la Guascogna faccendonegli omaggio, e ciò assentì lo re di Francia, per la tenza ch'avea colla Chiesa per la presura che fece fare di papa Bonifazio, e per la guerra de' Fiaminghi, acciò che 'l detto re d'Inghilterra non gli fosse contro. E in questo anno medesimo il detto re Aduardo essendo malato, gli Scotti corsono inn-Inghilterra; per la qual cosa il re si fece portare in bara, e andò ad oste sopra gli Scotti, e sconfissegli, e quasi ebbe in sua signoria tutte le terre di Scozia, se non quelle de' maresi e d'aspre montagne, ove rifuggiro i ribelli scotti col loro re, il quale avea nome Ruberto di Bosco, di piccolo lignaggio fattosi re.



LXVIII - Come in Firenze ebbe grande novità e battaglia cittadina, per volere rivedere le ragioni del Comune

Nel detto anno MCCCIII, del mese di febbraio, i Fiorentini tra·lloro furono in grande discordia, per cagione che messer Corso Donati non gli parea esser così grande in Comune come volea, e gli pareva esser degno; e gli altri grandi e popolani possenti di sua parte nera aveano presa più signoria in Comune che a·llui non parea, e già preso isdegno co·lloro, o per superbia, o per invidia, o per volere essere signore, sì fece di nuovo una sua setta acostandosi co' Cavalcanti, che i più di loro erano Bianchi, dicendo che voleva si rivedessono le ragioni del Comune, di coloro ch'aveano avuti gli ufici e la moneta del Comune a minestrare; e feciono capo di loro messer Lottieri vescovo di Firenze, ch'era de' figliuoli della Tosa del lato bianco, con certi grandi contra i priori e 'l popolo; e combattési la città in più parti e più dì, e armarsi più torri e fortezze de la città al modo antico per gittarsi e saettarsi insieme; e in su la torre del vescovado si rizzò una manganella gittando a' suoi contradi vicini. I priori s'aforzaro di gente d'arme di città e di contado, e difesono francamente il palagio, che più assalti e battaglie furono loro date; e col popolo tennero la casa de' Gherardini con grande séguito di loro amici di contado, e la casa de' Pazzi e quella degli Spini, e messer Tegghia Frescobaldi col suo lato; e furono uno grande soccorso al popolo, e morinne messer Lotteringo de' Gherardini d'uno quadrello a una battaglia ch'era in porte Sante Marie. Altra casa de' grandi non tenne col popolo, ma chi era col vescovo e con messer Corso, e chi non gli amava si stava di mezzo. Per la quale disensione e battaglia cittadina molto male si commise in città e contado di micidii, e d'arsioni, e ruberie, sì come in città sciolta e rotta, sanza niuno ordine di signoria, se non chi più potea far male l'uno a l'altro; e era la città tutta piena di sbanditi, e di forestieri, e contadini, ciascuna casa colla sua raunata; e era la terra per guastarsi al tutto, se non fossono i Lucchesi che vennero a Firenze a richiesta del Comune con grande gente di popolo e cavalieri, e vollono in mano la quistione e la guardia della città; e così fu loro data per necessità balìa generale, sì che XVI dì signoreggiarono liberamente la terra, mandando il bando da loro parte. E andando il bando per la città da parte del Comune di Lucca, a molti Fiorentini ne parve male, e grande oltraggio e soperchio, onde uno Ponciardo de' Ponci di Vacchereccia diede d'una spada nel volto al banditore di Lucca quando bandiva, onde poi non feciono più bandire da·lloro parte, ma adoperarono sì, ch'a la fine racquetaro il romore, e ciascuna parte feciono disarmare, e misono in quieto la terra, chiamando nuovi priori di concordia, rimanendo il popolo in suo stato e libertade, sanza fare nulla punizione di misfatti commessi, se non chi ebbe il male s'ebbe il danno. E per arrota alla detta pestilenzia fu l'anno gran fame, e valse lo staio del grano a la rasa più di soldi XXVI di soldi LII il fiorino d'oro in Firenze, e se non che 'l Comune e que' che governavano la città si providono dinanzi, e aveano fatto venire per mano di Genovesi di Cicilia e di Puglia bene XXVIm di moggia di grano, gli cittadini e' contadini non sarebbono scampati di fame: e questo traffico del grano fue coll'altre una delle cagioni di volere rivedere la ragione del Comune per la molta moneta che vi corse; e certi, a diritto o a torto, ne furono calonniati e infamati. E questa aversità e pericolo della nostra città non fu sanza giudicio di Dio, per molti peccati commessi per la superbia, invidia e avarizia de' nostri allora viventi cittadini, che allora guidavano la terra, e così di ribelli di quella come di coloro che·lla governavano, ch'assai erano peccatori; e non ebbe fine a questo, come innanzi per gli tempi si potrà trovare.



LXIX - Come il papa mandò in Firenze per legato il cardinale da Prato per fare pace, e come se ne partì con onta e con vergogna

Nella detta discordia tra' Fiorentini papa Benedetto con buona intenzione mandò a Firenze il cardinale da Prato per legato per pacificare i Fiorentini tra·lloro, e simile co' loro usciti e tutta la provincia di Toscana; e venne in Firenze a dì X del mese di marzo MCCCIII, e da' Fiorentini fu ricevuto a grande onore e con grande reverenza, come coloro che parea esser partiti e in male stato, e coloro ch'aveano stato e volontà di ben vivere amavano la pace e la concordia, e era converso per gli altri. Questo messer Niccolao cardinale della terra di Prato era frate predicatore, molto savio di Scrittura e di senno naturale, sottile, e sagace, e aveduto, e grande pratico, e di progenia de' Ghibellini era nato, e mostrossi poi che molto gli favorò, con tutto ch'a la prima mostrò d'avere buona intenzione e comune. Come fu in Firenze, in piuvico sermone e predica nella piazza di San Giovanni mostrò i privilegi de la sua legazione, ed ispuose il suo intendimento ch'avea, per comandamento del papa, di pacificare i Fiorentini insieme. I buoni uomini popolani che reggeano la terra, parendo loro stare male per le novità e romori e battaglie ch'aveano in que' tempi mosse e fatte i grandi contro al popolo per disfarlo e abattere, sì·ss'acostarono col cardinale a volere pace, e per riformagione degli opportuni consigli gli diedono piena e libera balìa di fare pace tra' cittadini d'entro e' loro usciti di fuori, e di fare i priori e' gonfalonieri e signorie de la terra a sua volontà. E ciò fatto, intese a procedere e a fare fare pace tra' cittadini, e rinnovò l'ordine di XVIIII gonfalonieri de le compagnie al modo dell'antico popolo vecchio, e chiamò i gonfalonieri, e diè loro i gonfaloni al modo e insegne che sono oggi, sanza rastrello della 'nsegna del re di sopra; per la quale nuova informazione del cardinale il popolo si riscaldò e raforzò molto, e' grandi n'abassaro, e mai non finaro di cercare novitadi e opporre al cardinale per isturbare la pace, perché i Bianchi e' Ghibellini non avessono stato né podere di tornare in Firenze, e per potere godere i beni loro messi in Comune per ribelli, e in città e in contado. Per tutto questo il cardinale non lasciò di procedere a la pace, per l'aiuto e favore ch'avea dal popolo, e fece venire in Firenze XII sindachi degli usciti, due per sesto, uno de' maggiori Bianchi e uno Ghibellino, i nomi de' quali sono questi [...] e fecegli albergare nel borgo di San Niccolò, e·legato albergava ne' palazzi de' Mozzi da San Grigorio, e sovente gli avea a consiglio co' caporali guelfi e neri di Firenze, per trovare i modi e sicurtà de la pace, e ordinare parentadi tra gli usciti e' grandi d'entro. In questi trattati, a' possenti Guelfi e Neri parea a·lloro guisa che 'l cardinale sostenesse troppo la parte de' Bianchi e de' Ghibellini; ordinarono sottilmente per iscompigliare il trattato di mandare una lettera contrafatta col suggello del cardinale a Bologna e in Romagna agli amici suoi Bianchi e Ghibellini, che rimossa ogni cagione e indugio, dovessono venire a·fFirenze con gente d'arme a cavallo e a piè in suo aiuto; e chi disse pure, che fue vero, che 'l cardinale vi mandò; onde di quella gente venne infino a Crespino, e di tali in Mugello. Per la quale venuta in Firenze n'ebbe grande sombuglio e gelosia, e·legato ne fu molto ripreso e infamato: o avesse colpa o no, se ne disdisse al popolo. Per questa gelosia, e ancora per tema ch'ebbono d'essere offesi i XII sindachi bianchi e ghibellini, si partirono di Firenze, e andarsene ad Arezzo, e la gente che veniva al legato per suo comandamento si tornarono adietro a Bologna e in Romagna, e raquetarono la gelosia alquanto in Firenze. Coloro che guidavano la terra consigliarono il cardinale per levare sospetto ch'egli se n'andasse a Prato, e acconciasse i Pratesi insieme, e simile i Pistolesi, e intanto si piglierebbe modo in Firenze de la generale pace degli usciti. Il cardinale non possendo altro, così fece, e in buona fe' o no ch'avesse intenzione, se n'andò a Prato, e richiese i Pratesi che si rimettessono in lui, e che gli voleva pacificare. I caporali di parte nera e' Guelfi di Firenze veggendo le vestigie del cardinale, ch'egli favorava molto i Ghibellini e' Bianchi per rimettergli in Firenze, e vedeano che con questo il popolo il seguiva, avendo sospetto che non tornasse a pericolo di parte guelfa, ordinarono co' Guazzalotri da Prato, possente casa e di parte nera e molto Guelfi, di fare cominciare in Prato scisma e riotta contra 'l cardinale, e levare romore nella terra; onde il cardinale veggendo i Pratesi male disposti, e temendo di sua persona, sì si parti di Prato, e iscomunicò i Pratesi, e interdisse la terra, e vennesene a Firenze, e fece bandire oste sopra Prato, e diede perdonanza di colpa e di pena chi andasse sopra i Pratesi, e molti cittadini se n'aparecchiaro per andarvi a cavallo e a piè, gente ch'erano in fede e più Ghibellini che Guelfi, e andarono infino a Campi. In questa ordine dell'oste gente assai si raunaro in Firenze di contadini e forestieri, e cominciò a crescere il sospetto e gelosia a' Guelfi, onde molti ch'a la prima aveano tenuti col cardinale, si furono rivolti per gli sdegni che vedeano, e i grandi di parte nera, e simile quegli che piaggiavano col cardinale, si guernirono d'arme e di gente, e la città fu tutta scompigliata e per combattersi insieme. I·legato cardinale veggendo che non potea fornire suo intendimento di fare oste a Prato, e la città di Firenze disposta a battaglia cittadina tra·lloro, e di quegli ch'aveano tenuto co·llui fattisi contradi, prese sospetto e paura, e subitamente si partì di Firenze a dì IIII di giugno MCCCIIII, dicendo a' Fiorentini: "Dapoi che volete essere in guerra e in maladizione, e non volete udire né ubbidire il messo del vicaro di Dio, né avere riposo né pace tra voi, rimanete colla maladizione di Dio e con quella di santa Chiesa", scomunicando i cittadini, e lasciando interdetta la cittade, onde si tenne che per quella maladizione, o giusta o ingiusta, non fosse sentenzia e gran pericolo della nostra cittade per l'aversità e pericoli che·ll'avennero poco appresso, come innanzi faremo menzione.



LXX - Come cadde il ponte alla Carraia, e morivvi molta gente

In questo medesimo tempo che 'l cardinale da Prato era in Firenze, ed era in amore del popolo e de' cittadini, sperando che mettesse buona pace tra·lloro, per lo calen di maggio MCCCIIII, come al buono tempo passato del tranquillo e buono stato di Firenze, s'usavano le compagnie e brigate di sollazzi per la cittade, per fare allegrezza e festa, si rinnovarono e fecionsene in più parti de la città, a gara l'una contrada dell'altra, ciascuno chi meglio sapea e potea. Infra l'altre, come per antico aveano per costume quegli di borgo San Friano di fare più nuovi e diversi giuochi, sì mandarono un bando che chiunque volesse sapere novelle dell'altro mondo dovesse essere il dì di calen di maggio in su 'l ponte alla Carraia, e d'intorno a l'Arno; e ordinarono in Arno sopra barche e navicelle palchi, e fecionvi la somiglianza e figura dello 'nferno con fuochi e altre pene e martori, e uomini contrafatti a demonia, orriboli a vedere, e altri i quali aveano figure d'anime ignude, che pareano persone, e mettevangli in quegli diversi tormenti con grandissime grida, e strida, e tempesta, la quale parea idiosa e spaventevole a udire e a vedere; e per lo nuovo giuoco vi trassono a vedere molti cittadini; e 'l ponte alla Carraia, il quale era allora di legname da pila a pila, si caricò sì di gente che rovinò in più parti, e cadde colla gente che v'era suso; onde molte genti vi morirono e annegarono, e molti se ne guastarono le persone, sì che il giuoco da beffe avenne col vero, e com'era ito il bando, molti n'andarono per morte a sapere novelle dell'altro mondo, con grande pianto e dolore a tutta la cittade, che ciascuno vi credea avere perduto il figliuolo o 'l fratello; e fu questo segno del futuro danno che in corto tempo dovea venire a la nostra cittade per lo soperchio delle peccata de' cittadini, sì come appresso faremo menzione.



LXXI - Come fu messo fuoco in Firenze, e arsene una buona parte della cittade

Partito il cardinale da Prato di Firenze per lo modo che detto avemo adietro, la città rimase in male stato e in grande scompiglio, ché·lla setta che teneva col cardinale, ond'erano caporali i Cavalcanti e' Gherardini, Pulci e' Cerchi bianchi del Garbo, ch'erano mercatanti di papa Benedetto, con séguito di più case di popolo, per tema che' grandi non rompessono il popolo, s'avessono la signoria, e ciò furono delle maggiori case e famiglie de' popolani di Firenze, com'erano Magalotti, e Mancini, Peruzzi, Antellesi, e Baroncelli, e Acciaiuoli, e Alberti, Strozzi, Ricci, e Albizzi, e più altri, ed erano molto guerniti di fanti e gente d'arme. I contradi erano di parte nera, i principali, messer Rosso della Tosa col suo lato de' Neri, messer Pazzino de' Pazzi con tutti i suoi, la parte degli Adimari che si chiamano Cavicciuli, e messer Geri Spini e' suoi consorti, e messer Betto Brunelleschi; messer Corso Donati si stava di mezzo, perch'era infermo di gotte, e per lo sdegno preso con questi caporali di parte nera; e quasi tutti gli altri grandi si stavano di mezzo, e' popolani, salvo i Medici e' Giugni, ch'al tutto erano co' Neri. E cominciossi la battaglia tra' Cerchi bianchi e' Giugni alle loro case del Garbo, e combattevisi di dì e di notte. A la fine si difesono i Cerchi coll'aiuto de' Cavalcanti e Antellesi, e crebbe tanto la forza de' Cavalcanti e Gherardini, che co' loro seguaci corsono la terra infino in Mercato Vecchio, e da Orto Sa·Michele infino a la piazza di San Giovanni sanza contasto o riparo niuno, però ch'a·lloro crescea forza di città e di contado; però che·lla più gente di popolo gli seguivano, e' Ghibellini s'acostavano a·lloro; e venieno in loro soccorso que' da Volognano con loro amici con più di M fanti, e già erano in Bisarno. E di certo in quello giorno eglino avrebbono vinta la terra, e cacciatone i sopradetti caporali di parte guelfa e nera, i quali aveano per loro nemici, perché si disse ch'aveano fatta tagliare la testa a messer Betto Gherardini, e a Masino Cavalcanti, e agli altri, come addietro facemmo menzione. E come erano in sul fiorire e vincere in più parti della terra ove si combatteva i loro nimici, avenne, come piacque a Dio, o per fuggire maggiore male, o permise per pulire i peccati de' Fiorentini, che uno ser Neri Abati, cherico e priore di San Piero Scheraggio, uomo mondano e dissoluto, e ribello e nimico de' suoi consorti, con fuoco temperato in prima mise fuoco in casa i suoi consorti in Orto Sammichele, e poi in Calimala fiorentina in casa i Caponsacchi presso a la bocca di Mercato Vecchio. E fu sì empito e furioso il maladetto fuoco col conforto del vento a tramontana che traeva forte, che in quello giorno arse le case degli Abati e de' Macci, e tutta la loggia d'Orto Sammichele, e casa gli Amieri, e Toschi, e Cipriani, e Lamberti, e Bachini, e Buiamonti, e tutta Calimala, e le case de' Cavalcanti, e tutto intorno a Mercato Nuovo e Santa Cecilia, e tutta la ruga di porte Sante Marie infino al ponte Vecchio, e Vacchereccia, e dietro a San Piero Scheraggio, e le case de' Gherardini, e de' Pulci, e Amidei, e Lucardesi, e di tutte le vicinanze di luoghi nomati quasi infino ad Arno; e insomma arse tutto il midollo, e tuorlo, e cari luoghi della città di Firenze, e furono in quantità, tra palagi e torri e case, più di MVIIc. Il danno d'arnesi, tesauri, e mercatantie fu infinito, però che in que' luoghi era quasi tutta la mercatantia e cose care di Firenze, e quella che non ardea, isgombrandosi, era rubata da' malandrini, combattendosi tuttora la città in più parti, onde molte compagnie, e schiatte, e famiglie furono diserte, e vennono in povertade per la detta arsione e ruberia. Questa pistolenza avenne a la nostra città di Firenze a dì X di giugno, gli anni di Cristo MCCCIIII, e per questa cagione i Cavalcanti, i quali erano de le più possenti case di genti, e di posessioni, e d'avere di Firenze, e' Gherardini grandissimi in contado, i quali erano caporali di quella setta, essendo le loro case e de' loro vicini e seguaci arse, perdero il vigore e lo stato, e furono cacciati di Firenze come rubelli, e' loro nemici raquistarono lo stato, e furono signori della terra. E allora si credette bene che i grandi rompessono gli ordini della giustizia del popolo, e avrebbollo fatto, se non che per le loro sette erano partiti e in discordia insieme, e ciascuna parte s'abracciò col popolo per non perdere istato. Convienne ancora lasciare alquanto a raccontare dell'altre novitadi che in questi tempi furono in più parti, perché ancora ne cresce materia dell'averse fortune della nostra città di Firenze.



LXXII - Come i Bianchi e' Ghibellini vennero a le porte di Firenze, e andarne in isconfitta

Tornato il cardinale da Prato al papa ch'era a Perugia co la corte, sì·ssi dolfe molto di coloro che reggeano la città di Firenze, e molto gli abominò dinanzi al papa e al collegio de' cardinali di più crimini e difetti, mostrandogli peccatori uomini, e nimici di Dio e di santa Chiesa, e raccontando il disinore e 'l tradimento ch'aveano fatto a santa Chiesa, volendogli porre in buono stato e pacefico; per la qual cosa il papa e' suoi cardinali si turbarono forte contra i Fiorentini, e per consiglio del detto cardinale da Prato fece il papa citare XII de' maggiori caporali di parte guelfa e nera che fossono in Firenze, i quali guidavano tutto lo stato della cittade, i nomi de' quali furono questi: messer Rosso della Tosa, messer Corso Donati, messer Pazzino de' Pazzi, messer Geri Spini, messer Betto Bruneleschi [...] che dovessono venire dinanzi a·llui sotto pena di scomunacazione e privazione di loro beni; i quali obbedienti incontanente v'andaro con grande compagnia di loro amici e famigliari molto onorevolemente, e furono più di CL a cavallo, per iscusarsi al papa di quello che 'l cardinale da Prato avea loro messo adosso. E in questa richesta e citazione di tanti caporali di Firenze il cardinale da Prato sagacemente si pensò uno grande tradimento contro a' Fiorentini, che incontanente scrisse per sue lettere a Pisa, e a Bologna, e in Romagna, ad Arezzo, a Pistoia, e a tutti i caporali di parte ghibellina e bianca di Toscana e di Romagna, che si dovessono congregare con tutte le loro forze e degli amici a piè e a cavallo, e in uno dì nomato venire con armata mano a la città di Firenze, e prendere la terra, e cacciarne i Neri e coloro ch'erano stati contro a·llui, e che ciò era di coscienza e volontà del papa (la qual cosa era grande bugia e falsità, che 'l papa di ciò non seppe niente), confortando ciascuno che venissono securamente, perché la città era fiebole e aperta da più parti, e che per sua industria n'avea tratti, e fatti citare a corte tutti i caporali di parte nera, e dentro avea gran parte che risponderebbono loro, e darebbono la terra, e che facessono la loro raunata e venuta segreta, e tosto. I quali avute queste lettere furono molto allegri, e confortandosi del favore del papa, ciascuno a suo podere si guernì, e mosse a venire verso Firenze a la giornata ordinata. E prima due dì, per la grande volontade, tutta l'altra ragunata de' Bianchi e Ghibellini vennero verso Firenze per modo sì segreto che furono a la Lastra sopra Montughi in quantità di MVIc cavalieri e di VIIIIm pedoni innanzi che in Firenze si credesse per la più gente, però ch'egli non lasciavano venire a·fFirenze niuno messo che ciò anunziasse; e se fossono scesi a la città il dì dinanzi, sanza dubbio aveano la terra, però che non v'avea nulla provedenza, né guernigione d'arme né difesa. Ma egli s'arestarono la notte ad albergo a la Lastra e a Trespiano infino a fontebuona per attendere messer Tolosato degli Uberti capitano di Pistoia, il quale facea la via a traverso dell'alpe con CCC cavalieri pistolesi e soldati, e con molti a piede; e veggendo la mattina che non venia, gli usciti di Firenze si vollono studiare di venire a la terra, credendolasi avere sanza colpo di spada; e così feciono, lasciando i Bolognesi a la Lastra, che per loro viltà, o forse perché a' Guelfi ch'erano tra·lloro non piacea la 'mpresa: vegnendo l'altra gente, entraro nel borgo di San Gallo sanza nulla contasto, che allora non erano a la città le cerchie delle mura nuove, né' fossi, e le vecchie mura erano schiuse e rotte in più parti. E entrati dentro a' borghi, ruppono uno serraglio di legname con porta fatto nel borgo, il quale fue abandonato da' nostri e non difeso, del quale gli Aretini trassono il chiavistello della detta porta, e per dispetto de' Fiorentini il portarono ad Arezzo, e puosollo nella loro chiesa maggiore di Santo Donato. E venuti i detti nemici giù per le borgora verso la cittade, si schieraro in su 'l Cafaggio di costa a' Servi, e furono più di XIIc di cavalieri e popolo grandissimo, per molti contadini seguitigli, e di que' d'entro Ghibellini e Bianchi usciti a·lloro aiuto; la quale fu per loro mala capitaneria, come diremo appresso, che si puosono in luogo sanza acqua; ché se si fossono schierati in su la piazza di Santa Croce, aveano il fiume e l'acqua per loro e per gli cavagli, e la Città Rossa d'intorno fuori delle mura vecchie, ch'era tutta acasata da starvi al sicuro ogni grande oste, ma a cui Iddio vuole male gli toglie il senno e l'accorgimento. Come la sera dinanzi si seppe la novella, in Firenze ebbe grande tremore e sospetto di tradimento, e tutta la notte si guardò la terra; ma per lo sospetto chi andava qua, e chi là, sanza ordine niuno, isgombrando ciascuno le sue case. E di vero si disse che delle maggiori e migliori case di Firenze di grandi, e de' popolani, e' Guelfi seppono il detto trattato, e promesso aveano di dare la terra; ma sentendo la gran forza de' Ghibellini di Toscana e nimici del nostro Comune, i quali erano venuti co' nostri usciti, temettono forte di loro medesimi, e d'esserne poi cacciati e rubati, sì rimossono proposito, e intesono a la difensa cogli altri insieme. Certi de' nostri caporali usciti con parte della gente, si partirono di Cafaggio dalla schiera, e vennero a la porta delli Spadari, e quella combattero e vinsono, e entraro delle loro insegne e di loro infino presso a la piazza di San Giovanni; e se la schiera grossa ch'era in Cafaggio fosse venuta appresso verso la terra, e assalita alcuna altra porta, di certo non aveano riparo. Ne la piazza di San Giovanni erano raunati tutti i valenti uomini e' Guelfi che intendeano a la difensione della città, non però grande quantità, forse CC cavalieri e Vc pedoni, e con forza delle balestra grosse ripinsono i nimici fuori della porta, e con danno d'alquanti presi e morti. La novella andò a la Lastra a' Bolognesi per loro spie, e rapportarono che i loro erano rozzi e sconfitti, incontanente, sanza saperne il certo, che non era però vero, si misono in via, chi meglio potéo fuggire; e scontrandogli messer Tosolato con sua gente in Mugello, che venia e sapea il vero, gli volle ritenere e rimenare indietro. Non ebbe luogo né per prieghi né per minacce. Quelli de la loro schiera grossa del Cafaggio, avuta la novella da la Lastra, come i Bolognesi s'erano partiti in rotta, come piacque a·dDio, incontanente impauriro, e per lo disagio di stare infino dopo nona a schiera a la fersa del sole, e gran caldo ch'era, e non aveano acqua a sofficienza per loro e per loro cavalli, cominciarono a partirsi e andare via in fugga, gittando l'armi sanza asalto o caccia di cittadini, che quasi e' non uscirono loro dietro, se non certi masnadieri di volontà; onde molti de' nimici ne morirono per ferri e per traffelare, e rubati l'arme e' cavalli, e certi presi furono impiccati nella piazza di San Gallo, e per la via in su gli alberi. Ma di certo si disse che con tutta la partita de' Bolognesi, e fossono stati fermi insino a la venuta di messer Tosolato, che 'l poteano sicuramente fare per lo piccolo podere de' cavalieri difenditori ch'avea in Firenze, ancora avrebbono vinta la terra. Ma parve opera e volontà di Dio, e che fossono amaliati, perché la nostra città di Firenze non fosse al tutto diserta, rubata, e guasta. Questa non proveduta vittoria e scampamento della città di Firenze fue il dì di santa Margherita, a dì XX del mese di luglio, gli anni di Cristo MCCCIIII. Avenne fatta sì stesa memoria, perché a·cciò fummo presenti, e per lo grande rischio e pericolo di che Dio iscampò la città di Firenze, e perché i nostri discendenti ne prendano esemplo e guardia.



LXXIII - Come gli Aretini ripresono il castello di Laterino, che 'l teneano i Fiorentini

Nel detto anno MCCCIIII, a dì XXV del mese di luglio, essendo la città di Firenze in tante aversitadi e fortune, gli Aretini cogli Ubertini e' Pazzi di Valdarno vennero con tutto loro podere di gente d'arme a cavallo e a piede al castello di Laterino, il quale teneano i Fiorentini, e aveano tenuto lungo tempo per forza, e quello coll'aiuto de' terrazzani fu loro dato; e la rocca la quale aveano fatta fare i Fiorentini, l'avea in guardia messere Gualterotto de' Bardi, perch'era venuto a Firenze per le novitadi che v'erano state, convenne s'arrendesse pochi dì appresso, però ch'era rimasa mal fornita, e per le novità di Firenze non aspettavano soccorso. E alcuno disse che gli Ubertini suoi parenti il ne tradiro e ingannaro, e chi disse che lo 'nganno fu fatto al Comune. De la quale perdita del castello spiacque molto a' Fiorentini, però ch'era molto forte, e in una contrada che tenea molto a freno gli Aretini.



LXXIV - Ancora di novitadi che furono in Firenze ne' detti tempi

Nel detto anno, a dì V d'agosto, essendo preso nel palagio del Comune di Firenze Talano di messer Boccaccio Cavicciuli degli Adimari per malificio commesso, onde dovea essere condannato, i suoi consorti, tornando la podestade con sua famiglia da casa i priori, l'asaliro con arme, e fedirono malamente, e di sua famiglia furono morti e fediti assai; e' detti Cavicciuli entrarono in palagio, e per forza ne trassono il detto Talano sanza contasto niuno, e di questo malificio non fu giustizia né punizione niuna; in sì corrotto stato era allora la città di Firenze. E la podestà, ch'aveva nome messer..., per isdegno si partìo, e tornossi a casa sua co la detta vergogna, e la città rimase sanza rettore; ma per necessità i Fiorentini feciono in luogo di podestà XII cittadini, due per sesto, uno grande e uno popolano, i quali si chiamarono le XII podestadi, e ressono la cittade infino a tanto che venne la nuova podestade.



LXXV - Come i Fiorentini feciono oste e presono il castello delle Stinche e Montecalvi, che 'l teneano i Bianchi

Nel detto anno e mese d'agosto, essendo la città di Firenze retta per le XII podestadi, ordinarono oste per perseguitare i Bianchi e' Ghibellini, i quali aveano rubellate più fortezze e castella nel contado di Firenze, e intra gli altri era rubellato il castello delle Stinche in Valdigrieve a petizione de' Cavalcanti, al quale andò la detta oste, e puoservi l'assedio, e combatterlo, e per patti s'arrendero pregioni, e 'l castello fu disfatto, e' pregioni ne furono menati in Firenze, e messi nella nuova pregione fatta per lo Comune su 'l terreno degli Uberti di costa a San Simone; e per lo nome di que' pregioni venuti dalle Stinche, che furono i primi che vi furono messi, la detta pregione ebbe nome le Stinche. E disfatto il castello, e partita la detta oste, ne venne in Valdipesa, e assediaro Montecalvi, il quale aveano rubellato i Cavalcanti, e quello assediato e combattuto, s'arenderono salve le persone; ma uscendone uno figliuolo di messer Banco Cavalcanti, per uno de' figliuoli della Tosa fu morto, onde ebbono grande biasimo per la sicurtà data per lo Comune, e nulla giustizia per lo Comune ne fu. Lascereno alquanto de le nostre averse novità di Firenze, e faremo incidenza, tornando alquanto di tempo adietro per raccontare la fine della guerra dal re di Francia a' Fiaminghi, la quale lasciammo adietro.



LXXVI - Incidenza, tornando alquanto adietro a racontare delle storie de' Fiaminghi

Negli anni di Cristo MCCCIII i Fiamminghi co·lloro oste grandissima corsono il paese d'Artese faccendo grande dammaggio, e arsono il borgo d'Arches fuori di Santo Mieri, e puosonsi a campo nel bosco di là dal fiume de la Liscia. I Franceschi ch'erano in Santo Mieri, più di IIIIm uomini a cavallo e gente a piede assai col maliscalco di Francia, saviamente ingannarono i Fiamminghi, che parte di loro al di lungi dell'oste si misono in guato una notte, e l'altra cavalleria e gente de' Franceschi assalirono i Fiaminghi da la parte del borgo d'Artese. I Fiaminghi vigorosamente tutti si misono a la 'ncontra de' Franceschi, e cominciarono la zuffa; gli altri Franceschi ch'erano nell'aguato uscirono al di dietro sopra i Fiamminghi, i quali veggendosi assalire improviso, si misono in isconfitta, e rimasorne morti più di IIIm, gli altri si fuggirono al poggio di Casella. In questo medesimo anno e tempo il buono messer Guido di Fiandra, il quale per retaggio della madre v'usava ragione sopra la contea d'Olanda e d'Isilanda, la quale tenea il conte d'Analdo suo cugino, prima coll'aiuto e forza de' Fiaminghi corse parte della contea d'Analdo, e poi con grande oste e navilio passò in Isilanda, e prese la terra di Midelborgo, e quasi tutto il paese e quelle isole d'intorno, salvo la terra di Silisea, la quale era molto forte e bene guernita. In questo anno venne di Puglia in Fiandra messer Filippo figliuolo del conte Guido di Fiandra, e lasciò e rifiutò al re Carlo di Puglia il contado di Tieti, di Lanciano, e de la Guardia in Abruzzi, il quale egli tenea in fio dal re e per dote de la moglie, per soccorrere il padre e' frategli e il suo paese di Fiandra, e amò meglio d'essere povero cavaliere sanza terra, per aiutare e soccorrere la sua patria e avere onore, che rimanere in Puglia ricco signore. Incontanente che fue in Fiandra da' Fiamminghi fu fatto signore e capitano di guerra, il quale usò in Italia e in Toscana e in Cicilia a le nostre guerre; fu molto sollecito e franco, però che alquanto era di testa, e coll'oste de' Fiamminghi andò sopra Santo Mieri, e corse e distrussono gran parte del paese infino a la marina; e poi assediò la guasta terra dell'antica città di Ternana in Artese, però ch'era sanza mura, pur cinta di fosse, e dentro v'erano in guardia CC cavalieri lombardi, e MD pedoni toscani e lombardi e romagnuoli con lance lunghe e tutti bene armati a la nostra guisa, onde i paesani di là si maravigliavano molto, e di loro aveano grande spavento; i quali avea fatti venire di Lombardia messer Musciatto Franzesi e messer Alberto Scotti di Piagenza, la quale era una buona masnada e valente, e d'onde i Fiaminghi più temeano. E credendogli i Fiaminghi avere presi in Ternana, però che per moltitudine di loro, ch'erano più di cinquantamilia, aveano presa per forza la porta, e valico il fosso, i Lombardi e' Toscani faccendo serragli e sbarre ne la ruga de la terra, ritegnendo e combattendo co' Fiamminghi, sì gli risistettono tutto il giorno; ma crescendo la potenza de' Fiamminghi per la moltitudine loro, compresono tutta la terra d'intorno, salvo da la parte del fiume, e credendosi avere circondati e presi tutti i Lombardi sanza riparo; ma i Lombardi e' Toscani, come savi e maestri di guerra, feciono uno bello e sùbito argomento al loro scampo, e a ingannare i Fiaminghi; ciò che ch'eglino stiparono due case l'una incontro a l'altra, le quali erano in capo del ponte del fiume de la Liscia che correa di costa a la terra, e vegnendo ritegnendo la battaglia manesca co' Fiaminghi, lasciandosi perdere di serraglio in serraglio al loro scampo e ritratta, come furono presso al ponte misono fuoco nelle dette case stipate, e valicarono il ponte sani e salvi, e di là dal fiume stavano schierati sonando loro stormenti, e faccendo schernie de' Fiaminghi, e saettando loro; e poi ricolti tutti, se n'andarono a la terra d'Aria in Artese, e poi a la città di Tornai. I Fiaminghi per la forza del gran fuoco non ebbono podere di seguirgli, onde rimasono con onta e vergogna scornati dello 'nganno de' Lombardi, e per cruccio misono fuoco, e guastarono e arsono tutta la città di Ternana; e poi sanza soggiorno se n'andarono per Artese guastando il paese, e puosonsi ad oste a la forte e ricca città di Tornai quasi intorno intorno con loro grande esercito, e crescendo loro oste. Ma la città era bene guernita di buona cavalleria e de le masnade de' Lombardi e Toscani, che poco o niente gli curavano; ma di continuo le dette masnade uscivano fuori della terra, e assalivano l'oste de' Fiaminghi di dì e di notte, dando loro molto affanno e sollecitudine, e faccendo romire la grandissima oste; e com'erano cacciati da' Fiaminghi, si riduceano in su i fossi di fuori sotto la guardia de le torri de la città e de' loro balestrieri ordinati in su le mura; e nulla altra gente facie guerra a' Fiaminghi, e di cui più temessono; e per questo modo sovente gabbavano i Fiaminghi. In questa stanza dell'asedio di Tornai lo re di Francia molto straccato di spendio, per trattato del conte di Savoia si presono triegue per uno anno da·llui a' Fiaminghi, e levossi l'assedio da Tornai; e 'l conte Guido di Fiandra fu lasciato di pregione sotto sicurtà di saramento e di stadichi, e di ritornare in pregione infra certo tempo; e andò così vecchio com'era in Fiandra con grande allegrezza per vedere suo paese libero da la signoria de' Franceschi, e fare festa a' suoi discendenti e buona gente del paese. E ciò fatto, disse ch'omai non curava di morire, quando a·dDio piacesse; e per lo saramento si tornò in pregione a Compigno, e poco stante si morì e rendé l'anima a·dDio in aggio di più di LXXX anni, come valente e savio uomo, e buono signore; e lui morto, il corpo suo fu recato in Fiandra, e soppellito a grande onore.



LXXVII - Come fu sconfitto e preso in mare messer Guido di Fiandra colla sua armata da l'amiraglio del re di Francia

Fallite le triegue dal re di Francia a' Fiaminghi l'anno appresso MCCCIIII, lo re di Francia fece uno grande apparecchiamento di molti baroni per andare in Fiandra, con più di XIIm buoni cavalieri gentili uomini, e con più di Lm pedoni; e col detto esercito e con grande fornimento passò in Fiandra. In mare fece suo amiraglio messer Rinieri de' Grimaldi di Genova, valente e franco uomo e bene aventuroso in guerra di mare, il quale da Genova venne nel mare di Fiandra con XVI galee bene armate al soldo del re per guerreggiare per terra e per mare i Fiaminghi, per levare l'assedio da la terra di Cirigea in Fiandra, a la quale era il buono e valente messer Guido di Fiandra con più di XVm Fiaminghi sanza quegli del paese di sua parte. E corseggiarono, e fatta gran guerra a le terre marine di Fiandra, e preso molto navilio con mercatantia di Fiamminghi per lo detto amiraglio sì andò per soccorrere Sirisea con XX navi armate a Calese, e colle dette XVI galee. Messer Guido di Fiandra veggendolo venire, lasciò fornito in terra l'asedio a Silisea con Xm Fiaminghi, e armò LXXX navi, overo cocche, al modo di quello mare, fornite con castella per battaglia, e in ciascuna il meno C uomini fiaminghi e del paese, e egli in persona con molta buona gente salì in su la detta armata e navilio, avendo il detto messer Rinieri Grimaldi e' Genovesi per niente, per lo poco navile ch'avea a comparazione del suo; ma non istimava quello che portavano in mare le galee de' Genovesi armate. Sì s'afrontarono insieme, e l'asalto fu grande e forte e furioso del navilio di messer Guido per gli Fiaminghi, per lo soprastare che le sue navi colle castella armate faceano a le galee dell'amiraglio. Ma messer Rinieri conoscendo il modo del combattere di quelle navi, e de la marea e ritratta che fae quello mare per lo fiotto, sì si ritrasse adietro a·rremi colle sue galee, e lasciò le sue navi per abandonate, le quali erano armate di genti di quella marina; onde la maggiore parte furono prese e isbarattate, e credevasi messer Guido e' Fiaminghi avere vittoria de' suoi nemici, e messo l'amiraglio in fugga. Ma il savio amiraglio attese colle sue galee tanto che tornò il fiotto co la piena marea, com'è costume di quello mare; e la sua gente rinfrescata venne con forte rema de le sue galee come cavagli correnti, e con molti balestrieri a moschetti in su ciascuna galea assalendo e saettando le cocche e navi de' Fiaminghi, onde molti furono fediti e morti. I Fiaminghi non costumati di sì fatto assalto e battaglia, e non potendo per forza di vele tornare adietro né ire innanzi, isbigottirono molto. I Genovesi co·lloro navilio mescolandosi tra 'l navilio de' Fiaminghi, sì si misono IIII galee co l'amiraglio a combattere la grande cocca dello stendale ov'era messer Guido di Fiandra co' suoi baroni, e quella per forza di saettamento e per prestezza di genti co le spade in mano sagliendo da più parti in su la cocca, quella presono con molti fediti e morti da ciascuna parte, e messer Guido, tra gli altri ch'erano rimasi, s'arendero pregioni. E presa la nave di messer Guido, l'altre furono tutte sconfitte, e la maggiore parte prese. E per abondante la gente de' Fiaminghi ch'erano all'assedio della terra di Sirisea furono assediati eglino, e per difetto di vittuaglia chi fuggì a pericolo di morte, e chi s'arrendéo pregione; e messer Guido con molti altri ne fu menato preso in Francia e a Parigi. Questa pericolosa e grande sconfitta ebbono i Fiaminghi a l'uscita del mese d'agosto, gli anni di Cristo MCCCIIII. In questo medesimo tempo certi di Baiona in Guascogna co·lloro navi, le quali chiamano cocche, passarono per lo stretto di Sibilia, e vennero in questo nostro mare corseggiando, e feciono danno assai; e d'allora innanzi i Genovesi e' Viniziani e' Catalani usaro di navicare co le cocche, e lasciarono il navicare delle navi grosse per più sicuro navicare, e che sono di meno spesa: e questo fue in queste nostre marine grande mutazione di navilio.



LXXVIII - Come lo re di Francia sconfisse i Fiaminghi a Monsimpeveri

Ne la detta state, innanzi la sopradetta sconfitta di messere Guido di Fiandra, i Fiaminghi sentendo la venuta del re di Francia facea sopra loro, feciono grande apparecchiamento d'oste, e furono più di LXm, e co' loro signori e capitani, messer Filippo di Fiandra, e messer Gianni conte di Namurro, e messer Arrigo suo fratello, e messer Guiglielmo di Giulieri, cogli altri baroni di Fiandra, e di Namurro, e d'Alamagna, e altri loro amici vennero co·lloro oste a Lilla e a le frontiere per contradiare al re e a sua gente l'entrata in Fiandra. La gente del re vegnendo da la parte di Tornai, feciono una grande punga al passo del ponte a Guandino in su la Liscia per passare il fiume, e fuvi morto il valente cavaliere messer Gianni Buttafuoco di que' di Gianville con più altri cavalieri franceschi, ma a la fine i Franceschi furono vincitori del passo, e valicò il re con tutta sua oste, e acampossi tra Lilla e Doagio nella valle del luogo detto Monsimpevero. I signori di Fiandra co·lloro oste scesono di Monsimpevero ov'erano acampati, e stesono loro alberghi e tende, e acamparsi nella piaggia sanza dirizzare tende o trabacche, con intenzione di venire a la battaglia incontanente, per le novelle ch'aveano già della sconfitta d'Isilanda di messer Guido; e puosonsi a la rincontra del re di Francia e di sua oste, e scesono tutti a piè, chi avea cavallo, apparecchiati di combattere; e aveano tanto carreggio, che di loro carri per loro fortezza e sicurtade si chiusono intorno intorno tutta loro oste, che girava più di III miglia, e lasciarono al campo V uscite. Ma intanto feciono mala capitaneria di guerra, che quando istesono i loro padiglioni e trabacche levandosi dal poggio di Monsimpeveri, tutto torciarono e caricarono co' loro arnesa e vittuaglia in su le loro carra, e quasi eglino medesimi s'assediarono e aseccarono; onde i Franceschi assalendogli al continuo in quella giornata con XIIII battaglie, ciò sono schiere, ch'aveano fatte di loro cavalleria, che di ciascuna era guidatore e capitano uno de' maggiori signori di Francia, tegnendoli a badalucchi e agirandogli d'intorno co·lloro schiere ordinate, sonando trombe e nacchere al continuo, molto gli affannavano; e eglino rinchiusi nel carrino, poco si poteano aiutare e offendere i Franceschi. E oltre a questo, faccendo venire i Franceschi i loro pedoni, e spezialmente i bidali, ciò sono Navarresi, Guasconi, e Provenzali, e con altri di Linguadoco, leggeri d'arme, con balestra e co' loro dardi e giavellotti a fusone, e con pietre pugnerecce conce a scarpelli a Tornai, onde il re avea fatti venire in su più carra, assaliro il carreggio de' Fiaminghi, e in più parti lo 'ntorniaro e rubaro, e istando in su' carri de' Fiaminghi saettando e gittando pietre e dardi alle schiere, onde molto forte affriggeano il popolo di Fiandra; e massimamente perché 'l tempo era caldissimo, e il fornimento di bere e di mangiare di Fiaminghi, che poco possono stare digiuni, era loro malagevole, e non ordinato da potere avere, però ch'era in su' carri, onde molto furono confusi. E stando in questo tormento infino presso al vespro, non potendo più durare, quasi come disperati di salute, alquanti di loro co' loro signori e capitani ordinarono d'uscire della bastita de' carri, e assalire l'oste de' Franceschi; e il buono messer Guiglielmo di Giulleri con certi eletti di Bruggia e del Franco di Bruggia fue una schiera, e messer Filippo di Fiandra con certi di quegli di Guanto e del paese un'altra schiera, e messer Gianni conte di Namurro con certi di quegli d'Ipro e de la marina furono un'altra schiera. E subitamente, non prendendosi guardia di ciò i Franceschi, uscirono a uno segno e grido del loro campo da tre parti, con gran furia e romore assalendo i Franceschi; e fue sì grande e forte l'assalto de' Fiaminghi, che messer Carlo di Valos, e il conte di San Polo, e più altre schiere furono rotte, e misonsi in volta. In buono messer Guiglielmo di Giulleri con que' di Bruggia e del Franco se n'andarono diritto al padiglione e logge del re di Francia con sì gran furia, uccidendo chiunque si parava loro innanzi, sì che non ebbono quasi nullo contrasto; sì furono al padiglione del re, trovando gli arosti e la vivanda della cena de' Franceschi a fuoco, e quelle tutte rubaro e mangiarono, e andando cercando la persona del re, il trovarono isproveduto e quasi disarmato, a piè, che indosso non avea arme, se non uno ghiazzerino; e perché nol trovarono coll'armi reali indosso, nol conobbono, che di certo morto l'avrebbono, che n'aveano il podere, e avrebbono finita la loro guerra, se Idio l'avesse asentito; e pur così sconosciuto, ebbe lo re troppo affare a montare a cavallo; e furongli morti a' piè parecchi grandi borgesi di Parigi, ch'aveano l'uficio di metterlo a cavallo. Ma come fu montato, cominciò a sgridare i suoi e dare loro conforto, e di suo corpo fare maraviglie d'arme, come quegli ch'era forte, e di fazzione di corpo il meglio fornito che nullo Cristiano che al suo tempo vivesse; sicché in poca d'ora ebbe sì riscosso da' nemici, e messigli in volta, e ricoverato il campo. E messer Carlo suo fratello e gli altri baroni che co·lloro schiere de' cavalieri fuggieno, sentendo che il re con sua schiera tenea campo, tornaro adietro e ingrossaro la battaglia del re, e fu sì possente, che mise in rotta e in isconfitta i Fiamminghi. E in quella punga rimase morto il buono messer Guiglielmo di Giulieri con più cavalieri, e baroni, e buoni borgesi ch'erano co·llui, ma non sanza grande dammaggio de' Franceschi, e che in quello assalto morìo il conte d'Alzurro, e 'l conte di Sansurro, e messer Gianni figliuolo del duca di Borgogna, e più altri baroni e cavalieri in quantità di MD e più, e di Fiaminghi vi rimasono morti più di VIm, e lasciaro tutto il loro carrino e arnese; e durò l'aspra battaglia infino a la notte con torchi accesi. E di certo per virtù solo della persona del re i Franceschi vinsono e ebbono vittoria della detta battaglia: e messer Filippo di Fiandra con gran parte de' Fiaminghi si fuggiro, e ricoverarono la notte in Lilla, e messer Gian di Namurro e messer Arrigo suo fratello fuggirono la notte a Ipro, e rimaso lo re co' Franceschi vincitori in su 'l campo. L'altro dì appresso ordinò che' Franceschi morti fossono soppelliti, e così fu fatto in una badia la quale è ivi di costa al piano ove fu la battaglia, e fece decreto e gridare sotto pena del cuore e d'avere ch'a nullo corpo de' Fiaminghi fosse data sepoltura, ad asemplo e perpetuale memoria. E io scrittore ciò posso testimoniare di vero, che a pochi dì appresso fui in su 'l campo dove fue la battaglia, e vidi tutti i corpi morti ancora non intaminati. E la detta battaglia fu all'uscita del mese di settembre, gli anni di Cristo MCCCIIII.



LXXIX - Come poco appresso la sconfitta di Monsimpevero i Fiaminghi tornaro per combattere col re di Francia, e ebbono buona pace

L'altro dì appresso che 'l re di Francia ebbe la vittoria de' Fiaminghi sì si partì di quello luogo ove fue la battaglia, e con tutta sua oste si puose all'asedio a la terra di Lilla, ov'era rinchiuso e rimaso messer Filippo di Fiandra con certa buona gente d'arme per difendere la terra; e quella tutta circundata, sì che nullo ne potea uscire né entrare; e girava l'oste del re più di VI miglia, e fece rizzare molti difici e torri di legname per combattere la terra e 'l castello, il quale era molto forte e bello, fatto per lo re a la prima guerra; e di certo sanza lungo dimoro si credea lo re avere la villa e 'l castello per forza o per fame. In questo stante avenne grande maraviglia, e bene da farne nota e ricordanza; che tornato messer Gianni di Namurro a Bruggia, e richesti quelli del paese al soccorso di Lilla, non isbigottiti né ispaurati de le due grandi sconfitte ricevute così di corto a Sirisea in mare né a Monsimpevero, ma con grande ardire e buono volere tutti quelli del paese lasciando ogni loro arte e mestiere s'apparecchiarono di venire a l'oste; e in tre settimane dopo la sconfitta ebbono rifatti i padiglioni e trabacche; e chi non ebbe panno lino, sì le fece di buone bianche d'Ipro e di Guanto. E raunaro di tutto il paese il carreggio e tutti i fornimenti d'oste, e armossi nobilemente, e tutti per compagnie d'arti e di mestieri, con soprasberghe nuove di fini drappi divisata l'una compagnia da l'altra; e furono bene Lm d'uomini d'arme, e tutti si giurarono insieme di mai non tornare a·lloro casa, ch'egli avrebbono buona pace dal re, o di combattersi co·llui e con sua gente, però che meglio amavano di morire a la battaglia che vivere in servaggio. E così caldi e disperati ne vennero al ponte a Guarestona sopra la Liscia presso di Lilla, e acamparsi incontro all'oste del re di Francia; e per loro araldi (ciò sono uomini di corte) feciono richiedere lo re di battaglia. Quando lo re vide venuto così grande esercito de' Fiaminghi in così poco di tempo, e così disposti a battaglia, si maravigliò molto, e temette forte, avendo assaggiato a Monsimpevero la loro disperata furia; e richiese suo consiglio de' suoi baroni, de' quali non v'ebbe niuno sì ardito che non avesse temenza, dicendo al re: "Bene che Idio ci desse di loro la vittoria, non sarebbe sanza grande pericolo de la nostra gente e cara baronia, però che si combatteranno come gente disperata". Per la qual cosa il duca di Brabante, ch'era venuto come mezzano nell'oste del re col conte di Savoia insieme, si tramisono d'acordo e pace dal re e' Fiamminghi; e come piacque a·dDio, e per la tema de' Franceschi, la pace fue fatta e confermata in questo modo: che' Fiaminghi rimarrebbono in loro franchigia e libertà per lo modo antico e consueto, e ch'eglino riavrebbono i loro signori liberi delle carcere de·re di Francia, ciò era messer Ruberto di Bettona primogenito del conte Guido di Fiandra, e che succedea a essere conte, e messer Guiglielmo di Fiandra, e messer Guido di Namurro suoi fratelli, e più altri baroni e cavalieri e borgesi fiaminghi presi; e che il re ristituirebbe al conte d'Universa, figliuolo del detto messere Ruberto conte di Fiandra, la contea d'Universa e quella di Rastrello, le quali il re di Francia per la guerra gli avea tolte e levate. D'altra parte i Fiaminghi, per patti della pace e amenda al re, lasciavano a queto tutta la parte di Fiandra dal fiume della Liscia verso Francia che parlano piccardo, cioè Lilla, Doai, e Orci, e Bettona, con più villette; e oltre a·cciò pagare al re in certi termini libbre CCm di buoni parigini. E così fu giurata e promessa, e messa a seguizione, e in questo modo ebbe fine la dura e aspra guerra da·re di Francia a' Fiaminghi. Lasceremo di questa materia, ch'hae avuto suo fine, e torneremo a nostra, a dire de' fatti d'Italia e de la nostra città di Firenze, ch'assai novità vi furono in questi tempi. E prima de la morte di papa Benedetto, e di quelli che succedette appresso.



LXXX - Come morì papa Benedetto, e de la nuova lezione di papa Clemento quinto

Negli anni di Cristo MCCCIIII, a dì XXVII del mese di luglio, morì papa Benedetto nella città di Perugia, e dissesi di veleno; che stando egli a sua mensa a mangiare, gli venne uno giovane vestito e velato in abito di femmina servigiale delle monache di Santa Petornella di Perugia, con un bacino d'argento, iv'entro molti begli fichi fiori, e presentogli al papa da parte della badessa di quello monestero sua devota. Il papa gli ricevette a gran festa, e perché gli mangiava volentieri, e sanza farne fare saggio, perch'era presentato da femmina, ne mangiò assai, onde incontanente cadde malato, e in pochi dì morìo, e fu soppellito a grande onore a' frati predicatori, ch'era di quello ordine, in Santo Arcolano di Perugia. Questi fue buono uomo, e onesto e giusto, e di santa e religiosa vita, e avea voglia di fare ogni bene, e per invidia di certi de' suoi frati cardinali, si disse, il feciono per lo detto modo morire; onde Idio ne rendé loro, se colpa v'ebbono, assai in brieve giusta e aperta vendetta, come si mostrerrà appresso. Ché dopo la morte del detto papa nacque scisma, e fue grande discordia infra 'l collegio de' cardinali d'eleggere papa, e per loro sette erano divisi in due parti quasi iguali; dell'una era capo messere Matteo Rosso degli Orsini con messer Francesco Guatani nipote che fu di papa Bonifazio, e dell'altra erano caporali messer Nepoleone degli Orsini dal Monte e 'l cardinale da Prato, per rimettere i loro parenti e amici Colonnesi inn-istato, e erano amici del re di Francia, e pendeano in animo ghibellino. E essendo stati per tempo di più di nove mesi rinchiusi e costretti per gli Perugini perché chiamassono papa, e non poteano avere concordia, a la fine trovandosi il cardinale da Prato con messer Francesco cardinale de' Guatani in segreto luogo, disse: "Noi facciamo grande male e guastamento della Chiesa a non chiamare papa". E messer Francesco disse: "E non rimane per me". Quello da Prato rispuose: "E s'io ci trovassi buono mezzo, saresti contento?". Rispuose di sì; e così ragionando insieme vennero a questa concordia, per industria e sagacità del cardinale da Prato, trattando col detto messer Francesco Guatani in questo modo gli diede il partito che l'uno collegio per levare ogni sospetto eleggesse tre oltramontani, sofficienti uomini al papato, cui a·lloro piacesse, e l'altro collegio infra XL dì prendesse l'uno di que' tre, cui a·lloro piacesse, e quegli fosse papa. Per la parte di messer Francesco Guatani fu preso di fare la lezione, credendosi prendere il vantaggio, e elesse tre arcivescovi oltramontani, fatti e criati per papa Bonifazio suo zio, molto suoi amici e confidenti, e nemici del re di Francia loro aversaro, confidandosi, che l'altra parte prendesse, d'avere papa a·lloro senno e loro amico; infra quegli tre fu l'arcivescovo di Bordello il primo più confidente. Il savio e proveduto cardinale da Prato si pensò che meglio si potea fornire il loro intendimento a prendere messer Ramondo del Gotto arcivescovo di Bordello, che nullo degli altri, con tutto che fosse creatura del papa Bonifazio, e non amico del re di Francia, per offese fatte a' suoi nella guerra di Guascogna per messer Carlo di Valos; ma conoscendolo uomo vago d'onore e di signoria, e ch'era Guascone, che naturalmente sono cupidi, che di leggeri si potea pacificare col re di Francia; e così presono il partito segretamente, e per saramento egli e la sua parte del collegio, e ferme dall'uno collegio all'altro le carte e cautele de le dette convenenze e patti, per sue lettere propie e degli altri cardinali di sua parte scrissono al re di Francia, e inchiuse dentro sotto loro suggelli i patti e convenenze e commessione da·lloro a l'altra parte del collegio, e per fidati e buoni corrieri ordinati per gli loro mercatanti (non sentendone nulla l'altra parte) mandarono da Perugia a Parigi in XI dì, amonendo e pregando il re di Francia per lo tinore delle loro lettere che s'egli volesse racquistare suo stato in santa Chiesa, e rilevare i suoi amici Colonnesi, che 'l nimico si facesse ad amico, ciò era messer Ramondo del Gotto arcivescovo di Bordello, l'uno de' tre eletti più confidenti dell'altra parte, cercando e trattando co·llui patti larghi per sé e per gli amici suoi, però che in sua mano era rimessa la lezione dell'uno di que' tre cui a·llui piacesse. Lo re di Francia avute le dette lettere e commessioni, fu molto allegro e sollicito a la 'mpresa. In prima mandate lettere amichevoli per messi in Guascogna a messer Ramondo del Gotto arcivescovo di Bordello, che gli si facesse incontro, che gli volea parlare; e infra i presenti VI dì fu il re personalmente con poca compagnia e segreta conferito col detto arcivescovo di Bordello, in una foresta badia nella contrada di San Giovanni Angiolini; e udita insieme la messa, e giurata in su l'altare credenza, lo re parlamentò co·llui, e con belle parole, di riconciliarlo con messer Carlo, e poi sì gli disse: "Vedi arcivescovo, i' ho in mia mano di poterti fare papa s'io voglio, e però sono venuto a te: e perciò, se tu mi prometterai di farmi sei grazie ch'io ti domanderò, io ti farò questo onore; e acciò che tu sie certo ch'io n'ho il podere", trasse fuori e mostrogli le lettere e le commessioni dell'uno collegio de' cardinali e dell'altro. Il Guascone covidoso della dignità papale, veggendo così di subito come nel re era al tutto di poterlo fare papa, quasi stupefatto de l'alegrezza gli si gittò a' piedi, e disse: "Signore mio, ora conosco che m'ami più che uomo che sia, e vuomi rendere bene per male: tu hai a comandare e io a ubidire, e sempre sarò così disposto". Lo re il rilevò suso, e basciollo in bocca, e poi gli disse: "Le sei speziali grazie ch'io voglio da te sono queste. La prima, che tu mi riconcilii perfettamente colla Chiesa, e facci perdonare del misfatto ch'io commisi de la presura di papa Bonifazio. Il secondo, di ricomunicare me e' miei seguagi. Il terzo articolo, che mi concedi tutte le decime del reame per V anni, aiuto a le mie spese ch'i' ho fatte per la guerra di Fiandra. Il quarto, che tu mi prometti di disfare e anullare la memoria di papa Bonifazio. Il quinto, che tu rendi l'onore del cardinalato a messer Iacopo e a messer Piero de la Colonna, e rimettigli in istato, e fai co·lloro insieme certi miei amici cardinali. La sesta grazia e promessa mi riservo a luogo e a tempo, ch'è segreta e grande". L'arcivescovo promise tutto per saramento in sul Corpus Domini, e oltre a·cciò gli diè per istadichi il fratello e due suoi nipoti; e lo re giurò a·llui e promise di farlo eleggere papa. E ciò fatto, con grande amore e festa si partiro, menandone i detti stadichi sotto coverta d'amore e di riconciliargli con messer Carlo, e tornossi lo re a Parigi; e incontanente riscrisse al cardinale da Prato e agli altri di suo collegio ciò ch'avea fatto, e che sicuramente eleggessono papa messer Ramondo del Gotto arcivescovo di Bordello, siccome confidente e perfetto amico. E come piacque a Dio, la bisogna fue sì sollecita, che in XXXV dì fu tornata la risposta del detto mandato a la città di Perugia molto segreta. E avuta il cardinale da Prato la detta risposta, la manifestò al segreto al suo collegio, e richiese cautamente l'altro collegio che quando a·lloro piacesse, si congregassono in uno, ch'eglino voleano oservare i patti, e così fu fatto di presente. E raunati insieme i detti collegi, e come fu bisogno a retificare e confermare l'ordine de' detti patti con vallate carte e saramenti fu fatto solennemente. E ciò fatto, per lo detto cardinale da Prato proposta saviamente una autorità de la santa Scrittura, che a·cciò si confacea, e per l'autorità a·llui commessa per lo modo detto, elesse papa il sopradetto messer Ramondo dal Gotto arcivescovo di Bordello; e quivi con grande allegrezza da ciascuna parte fue accettato e confermato, e cantato con grandi voci Te Deum laudamus etc., non sappiendo la parte di que' di papa Bonifazio lo 'nganno e 'l tranello com'era andato, anzi si credeano avere per papa quello uomo di cui più si confidavano: e gittate fuori le polizze della lezione, gran contasto e zuffe ebbe tra·lle loro famiglie, che ciascuno dicea ch'era amico di sua parte. E ciò fatto, e usciti i cardinali di là ov'erano inchiusi, incontanente ordinaro di mandargli la lezione e decreto oltre i monti là dov'egli era. Questa lezione fu fatta a dì V di giugno, gli anni di Cristo MCCCV, ed era stata vacata la sedia appostolica X mesi e XXVIII dì. Avemo fatta sì lunga menzione di questa lezione del papa per lo sottile e bello inganno come fatta fue, e per esemplo del futuro, e però che gran cose ne seguirono appresso, come per inanzi faremo al tempo del suo papato e del successore memoria. E questa lezione fu cagione perché il papato rivenne agli oltramontani e la corte n'andò oltre i monti, sicché del peccato commesso per gli cardinali italiani della morte di papa Benedetto, se colpa v'ebbono, e della frodolente lezione furono bene gastigati da' Guasconi, come diremo appresso.



LXXXI - De la coronazione di papa Clemento quinto, e de' cardinali che fece

Portata la lezione e 'l decreto a l'eletto papa arcivescovo di Bordello infino in Guascogna dov'egli era, accettò il papato allegramente, e fecesi nominare papa Clemento quinto, e incontanente mandò per sue lettere citando tutti i cardinali, che sanza indugio venissono a la sua coronazione a Leone sopra il Rodano in Borgogna, e simile richiese il re di Francia, e 'l re d'Inghilterra, e quello d'Araona, e tutti i nomanati baroni di là da' monti, che fossono a la sua coronazione. De la quale richesta e citazione la maggiore parte de' cardinali italiani si tennero gravati e forte ingannati, credendosi che avuto il decreto venisse a Roma a coronarsi; e messer Matteo Rosso degli Orsini, ch'era il priore de' cardinali e il più atempato, e che più malvolentieri si partiva da Roma, avedutosi dello inganno ch'egli e la sua parte aveano avuto di questa lezione, disse al cardinale da Prato: "Venuto se' a la tua di conducerne oltre i monti, ma tardi ritornerà la Chiesa in Italia, sì conosco fatti i Guasconi". E venuto il papa e' suoi cardinali a·lLeone sopra Rodano, fue consecrato e coronato papa il dì di santo Mattino a dì XI di novembre, gli anni di Cristo MCCCV, in presenza del re Filippo di Francia, e di messer Carlo di Valos, e di molti baroni, il quale, come promesso gli avea, il ricomunicò e ristituì in ogni onore e grazia di santa Chiesa, la quale gli aveva levata papa Bonifazio, e donogli le decime di tutto il suo reame per V anni; e a richesta del detto re per le presenti digiune, a dì XVII del mese di dicembre, fece XII cardinali tra Guasconi e Franceschi, amici e uficiali del re, intra' quali, come promesso avea, fece cardinali messer Iacopo e messer Piero de la Colonna, e ristituigli in ogni grazia ch'avea loro tolta e levata papa Bonifazio; e confermò al re Giamo d'Araona il privilegio che gli avea dato papa Bonifazio del reame di Sardigna. E ciò fatto, se n'andò con suoi cardinali e con tutta la corte a la sua città di Bordello, ove tutti gl'Italiani, così bene i cardinali come gli altri, furono male veduti e trattati, secondo il grado de la loro dignità, però che tutto guidavano i cardinali guasconi e franceschi. Nel detto verno fue grandissimo freddo per tutto, e spezialmente oltre i monti, che ghiacciò il Rodano, sì che su vi si potea passare a piè e a cavallo, e tutti i grandi fiumi, e il Reno, e la Mosa, e Senna, e l'Era, e lo Scalto ad Anguersa; e eziandio ghiacciò il mare di Fiandra, ed a le marme d'Olanda e Silanda e Danesmarce più di tre leghe infra mare, che fu gran maraviglia. Lasceremo alquanto de' fatti del papa al presente, e torneremo a nostra materia de' fatti di Firenze.



LXXXII - Come i Fiorentini e' Lucchesi assediarono e vinsono la città di Pistoia

Negli anni di Cristo MCCCV, avendo i Fiorentini avute le mutazioni dette adietro de la cacciata de' Bianchi a le porte, e quella parte bianca e ghibellina scacciata e vinta in tutte parti quasi di Toscana, salvo de la città di Pistoia, la quale si tenea per parte bianca col favore de' Pisani, e degli Aretini, e eziandio de' Bolognesi, i quali si reggeano a parte bianca, si dubitaro che non crescesse la loro potenzia sostegnendo Pistoia, sì·ssi providono e chiamaro loro capitano di guerra Ruberto duca di Calavra, figliuolo e primogenito rimaso del re Carlo secondo, il quale venne in Firenze del mese d'aprile del detto anno con una masnada di CCC cavalieri araonesi e catalani, e molti mugaveri a piè, la quale fu molto bella gente, e avea tra·lloro di valenti e rinomati uomini di guerra; il quale da' Fiorentini fu ricevuto a modo di re molto onorevolemente. E riposato alquanto in Firenze, s'ordinò l'oste sopra la città di Pistoia per gli Fiorentini e Lucchesi e gli altri della compagnia di parte guelfa di Toscana: e mossono bene aventurosamente col detto duca loro capitano a dì XX del presente mese di maggio; e' Lucchesi e l'altra amistà vennero da l'altra parte, e circundarono la città intorno intorno co le dette osti, e guastarla d'intorno; e poco tempo appresso l'afossaro e steccaro al di fuori con più battifolli, sì che nullo vi potea entrare né uscire; dentro v'erano tutti i Pistolesi bianchi e ghibellini, e messer Tosolato degli Uberti con masnada di CCC cavalieri e pedoni assai, soldati per gli Bianchi e Ghibellini di Toscana. E stando i Fiorentini nella detta oste intorno a Pistoia, si teneano un'altra piccola oste in Valdarno di sopra a l'assedio del castello d'Ostina, il quale aveano fatto rubellare i Bianchi; e quello ebbono a patti i Fiorentini del presente mese di giugno, e feciongli disfare le mura e le fortezze. Per la detta oste ch'era sopra la città di Pistoia messer Nepoleone degli Orsini cardinale e 'l cardinale da Prato, a petizione de' Bianchi e Ghibellini, richiesono papa Chimento ch'egli si dovesse interporre di mettere pace tra' Fiorentini e' loro usciti, com'avea cominciato il suo antecessoro papa Benedetto per bene del paese d'Italia, e ch'egli facesse levare l'oste da Pistoia: onde il detto papa mandò due suoi legati cherici guasconi, e del mese di settembre furono in Firenze e nell'oste; e comandarono al Comune, e simile al duca Ruberto, e a' Lucchesi, e agli altri capitani dell'oste, che si dovessono levare da l'assedio di Pistoia sotto pena di scomunicazione. Al quale comandamento i Fiorentini e' Lucchesi furono disubidienti e non si partirono dall'assedio di Pistoia; per la qual cosa i detti legati iscomunicaro i rettori de la cittade e' capitani dell'oste e puosono lo 'nterdetto a la città di Firenze e al contado. Il duca Ruberto per non disubbidire al papa si partì dell'oste con sua privata famiglia, e andonne a corte a Bordello, e lasciò nell'oste il suo maliscalco, messer Dego de la Ratta catalano, e tutti i cavalieri i quali v'avea menati al servigio de' Fiorentini e al loro soldo; e' Fiorentini e' Lucchesi, ricrescendo l'assedio al continuo, e' convenia che tutti i cittadini v'andassono o mandassono come toccava per vicenda, o pagassono una imposta per capo d'uomo com'era tassato, la quale si chiamò la Sega. Nel detto assedio ebbe molti assalti e badalucchi a cavallo e a piè, e dammaggio dell'una parte e dell'altra, però che dentro avea franche masnade; e chiunque era preso che n'uscisse, a l'uomo era tagliato il piè, e a la femmina il naso, e ripinto adietro nella città per uno ser Lando d'Agobbio, crudele e dispietato oficiale, il quale per gli Fiorentini fu sopranomato Longino. E così istette e durò la detta oste tutta la vernata, non lasciando per nevi né per piove né ghiacci. A la fine vegnendo a que' d'entro meno la vivanda, e sentendo che di Bologna era cacciata la parte bianca, avendo perduta ogni speranza di soccorso, sì s'arendero salve le persone, e tennonsi insino a tanto che nulla vi rimase a mangiare, avendo mangiati i cavagli, e pane di saggina e di semola, nero come mora e duro come ismalto, e quello ancora fallito; e ciò fu a dì X del mese d'aprile, gli anni di Cristo MCCCVI. E renduta la terra, se n'uscirono le masnade e' caporali de' Bianchi e Ghibellini. E avuta la detta vittoria di Pistoia, i Fiorentini e' Lucchesi feciono tagliare le mura della città e gli steccati, e rovinare ne' fossi; e più torri e fortezze feciono disfare; e il contado di Pistoia partiro per metade, e la parte di verso levante e del monte di sotto con tutte le castella e 'l piano infino presso a la città ebbono in parte i Fiorentini, privileggiandolsi a perpetuo. E feciono disfare la rocca di Carmignano per levarlasi da la vista di Firenze, la quale i Fiorentini aveano comperata da messer Musciatto Franzesi, che gliel'avea data messer Carlo di Valos, quando fue paciaro in Toscana. E' Lucchesi ebbono da la parte di ponente da la città in là verso Serravalle, e tutta la montagna di sopra; e la signoria della città di Pistoia rimase a' Fiorentini e Lucchesi, dell'uno podestà, e dell'altro capitano. E per questo modo fue abattuta la superbia e grandezza de' Pistolesi, e puliti de' loro peccati, e recati a tanto servaggio. E ciò fatto, tornarono i Fiorentini in Firenze con grande allegrezza e trionfo; e a messer Bino Gabrielli d'Agobbio, allora podestà di Firenze e capitano dell'oste, entrando in Firenze, gli fu recato sopra capo il palio di drappo ad oro per gli cavalieri di Firenze a piede a modo di re; e per simile modo feciono i Lucchesi a la loro tornata in Lucca. Nel detto anno dell'asedio di Pistoia fu grande caro in Toscana, e valse in Firenze lo staio del grano a la misura rasa mezzo fiorino d'oro.



LXXXIII - Come la città di Modena e di Reggio si rubellarono al marchese da Esti, e come furono cacciati i Bianchi e' Ghibellini di Bologna

Nel detto anno MCCCV, del mese di febbraio, si rubellaro al marchese Azzo da Esti la città di Modona e quella di Reggio, le quali per lungo tempo l'avea tenute e signoreggiate tirannescamente, e ressonsi a Comune, e in loro libertade. E nel detto anno, in calen di marzo, reggendosi la città di Bologna a parte bianca, e avendo compagnia co' Bianchi e' Ghibellini di Toscana e di Romagna, il popolo di Bologna, il quale naturalmente è guelfo, non piacendo loro sì fatto reggimento e compagnia co' Ghibellini di Toscana e di Romagna loro antichi nemici, e per conforto e soducimento de' Guelfi di Firenze, levaro la città a romore, con armata mano cacciarono de la città e del contado i caporali di parte bianca, e' Ghibellini tutti, e usciti di Firenze, e isbandirli per ribelli; e ordinaro che neuno Bianco o Ghibellino si lasciasse trovare in Bologna, o nel distretto, sotto pena dell'avere e della persona, andandoli cercando e uccidendo co·lloro bargello, diputato per lo popolo sopra·cciò con gran séguito di masnadieri. E feciono i Bolognesi incontanente lega e compagnia co' Fiorentini e co' Lucchesi e cogli altri Guelfi di Toscana.



LXXXIV - Come si levò in Lombardia un fra Dolcino con grande compagnia d'eretici, e furono arsi

Nel detto anno MCCCV nel contado di Noara in Lombardia uno frate Dolcino, il quale non era frate di regola ordinata, ma fraticello sanza ordine, con errore si levò con grande compagnia d'eretici, uomini e femmine di contado e di montagne di piccolo affare, proponendo e predicando il detto frate Dolcino sé essere vero appostolo di Cristo, e che ogni cosa dovea essere in carità comune, e simile le femmine esser comuni, e usandole non era peccato. E più altri sozzi articoli di resia predicava, e opponeva che 'l papa, e cardinali, e gli altri rettori di santa Chiesa non oservavano quello che doveano né la vita vangelica, e ch'egli dovea esser degno papa. E era con séguito di più di IIIm uomini e femmine, standosi in su le montagne vivendo a comune a guisa di bestie; e quando falliva loro vittuaglia, prendevano e rubavano dovunque ne trovavano; e così regnò per due anni. A la fine rincrescendo a quegli che 'l seguivano la detta dissoluta vita, molto scemò sua setta, e per difetto di vivanda, e per le nevi ch'erano, fu preso per gli Noaresi e arso con Margherita sua compagna, e con più altri uomini e femmine che co·llui si trovaro in quelli errori.



LXXXV - Come papa Clemento fece legato in Italia messer Nepoleone degli Orsini cardinale, e come fue male ricevuto

Ne l'anno MCCCVI, avendo rapporto papa Clemento da' legati ch'egli mandò in Firenze come i suoi comandamenti non erano ubiditi di levare l'oste da Pistoia, sì·ssi indegnò contro a' Fiorentini, e per sodducimento e consiglio del cardinale da Prato sì fece legato e paciaro generale in Italia messer Nepoleone degli Orsini dal Monte, cardinale, e diegli grandi privilegi e autoritadi: il quale si partì da Leone sopra Rodano, e passò i monti, e mandando a' Fiorentini che voleva venire in Firenze per fare pace e concordia da loro e i loro usciti, e quegli che reggeano la città per sospetto di lui nol vollono ricevere; onde da capo gli riscomunicò, e confermò lo 'nterdetto, e andonne a la città di Bologna del mese di maggio, e volea somigliantemente pacificare i Bolognesi insieme, e rimettere in Bologna i loro usciti bianchi e ghibellini. Quegli che reggeano la terra, avendo preso sospetto di lui, perché parea che favorasse i Bianchi e' Ghibellini, e per sodducimento de' Fiorentini, di Bologna villanamente l'acommiataro, minacciato per lo bargello de la persona se non votasse la terra. Il quale sanza indugio si partì, e andonne a la città d'Imola in Romagna, che si tenea per gli Bianchi e' Ghibellini; e andandone per lo contado di Bologna, gli furono rubati e tolti molti de' suoi arnesi e some; per la qual cosa il detto legato aspramente procedette contro a·lloro per iscomunica e interdetto de la terra, e privogli dello Studio, e scomunicò qualunque scolaio andasse allo Studio a Bologna.



LXXXVI - Come i Fiorentini assediaro e ebbono il forte castello di Monte Accenico e disfeciollo, e feciono fare la Scarperia

Nel detto anno, del mese di maggio, i Fiorentini andarono ad oste sopra 'l castello di Monte Accenico in Mugello, e puosonvi l'assedio; il quale castello era de' signori Ubaldini, e era molto bello e ricco, e fortissimo di sito e di doppie mura, però che·ll'avea loro fatto edeficare con grande spendio e diligenzia il cardinale Ottaviano loro consorto; nel quale castello s'erano ridotti gran parte degli Ubaldini, e quasi tutti i ribelli bianchi e ghibellini usciti di Firenze, e faceano guerra e soggiogavano tutto il Mugello e infino all'Uccellatoio. E al detto castello stette l'oste infino a l'agosto, gittandovi difici e faccendovi cave; ma tutto era invano, se non che gli Ubaldini tra·lloro vennero in discordia, e il lato di messer Ugolino da senno il patteggiaro co' Fiorentini per mano di messer Geri Spini loro parente, e diedollo per promessa di XVm fiorini d'oro, onde di gran parte n'ebbono male pagamento. E quegli che v'erano dentro l'abandonaro, e andarne sani e salvi; e 'l castello fue tutto abattuto e disfatto per gli Fiorentini, che non vi rimase casa né pietra sopra pietra. E feciono fare i Fiorentini giuso al piano di Mugello, nel luogo detto la Scarperia, una terra per fare battifolle agli Ubaldini, e torre i loro fedeli, e feciolli franchi, acciò che Monte Accenico mai non si potesse riporre. E cominciossi la detta terra a edificare a dì VII di settembre, gli anni di Cristo MCCCVI, e puosolle nome Santo Barnaba. E ciò fatto, del mese d'ottobre vegnente i Fiorentini cavalcarono co·lloro oste oltre l'alpe, e guastarono tutte le terre degli Ubaldini, perch'aveano fatta guerra e ritenuti i Bianchi e' Ghibellini.



LXXXVII - Come i Fiorentini rafortificaro il popolo, e feciono il primo esecutore degli ordini de la giustizia

Nel detto anno MCCCVI, del mese di dicembre, parendo a' popolani di Firenze che i loro grandi e possenti avessero presa forza e baldanza per la guerra fatta e vittorie avute contra i Bianchi e' Ghibellini usciti di Firenze, sì vollono riformare il popolo di Firenze, e chiamarono XVIIII gonfalonieri de le compagnie, e che tutti i popolani per contrade com'erano ordinati, quando bisogno fosse, traessono con arme a loro gonfalone, e a l'oferta della festa di santo Giovanni andassono co' detti gonfaloni; che in prima s'andava ciascuno de le XXI arti per loro, e sotto il loro gonfalone de la detta arte. E ciò ordinato e messo in ordine di giustizia, e' diedono loro XVIIII gonfaloni al modo d'insegne de l'antico popolo vecchio, e poi al tempo che 'l cardinale da Prato venne in Firenze, erano rinovellati. Bene erano al suo tempo XX gonfaloni, che n'era uno balzano in San Piero Scheraggio, che lasciaro; e dove al tempo de·legato da Prato nonn-avea ne' gonfaloni null'altra insegna se non dell'arme delle compagnie e del popolo, sì vi s'agiunse sopra ciascuno gonfalone il rastrello dell'arme del re Carlo, e chiamossi il buono popolo guelfo. E del mese di marzo vegnente per fortificamento di popolo feciono venire in Firenze l'essecutore degli ordinamenti de la giustizia, il quale dovesse inchiedere e procedere contro a' grandi che offendessono i popolani. E il primo esecutore che venne in Firenze ebbe nome Matteo, e fue della città d'Amelia di terra di Roma, e fu valente uomo e molto temuto da' grandi, e fatto cavaliere per lo popolo; de le quali novitadi e reformazione di popolo i grandi si tennero forte gravati.



LXXXVIII - Di grande guerra che si cominciò al marchese da Ferrara, e come morìo

Nel detto anno MCCCVI i Veronesi, Mantovani, e Bresciani feciono lega insieme, e grande guerra mossono al marchese Azzo da Esti ch'era signore di Ferrara, per sospetto preso di lui, ch'egli non volesse esser signore di Lombardia, perch'avea presa per moglie una figliuola del re Carlo; e corsono la sua terra, e tolsongli più di sue castella. Ma l'anno appresso, fatto suo isforzo, e con aiuto de la gente di Piemonte del re Carlo, fece oste grande sopra loro, e corse le loro terre, e fece loro grande dammaggio. Ma poco tempo appresso amalò e si morì il detto marchese Azzo in grande miseria e istento; il quale era stato il più leggiadro e ridottato e possente tiranno che fosse in Lombardia, e di lui non rimase figliuolo neuno madornale, e la sua terra e signoria rimase in grande quistione tra frategli e nipoti, e uno suo figliolo bastardo ch'avea nome messer Francesco, il quale i Viniziani molto favoravano, perch'era nato di Vinegia; e molta briga e guerra con danno de' Viniziani ne seguì appresso, come innanzi per gli tempi faremo menzione.



LXXXIX - Come messer Nepoleone Orsini legato venne ad Arezzo, e dell'oste che Fiorentini feciono a Gargosa

Negli anni di Cristo MCCCVII messer Nepoleone degli Orsini legato per la Chiesa si partì di Romagna, e passò in Toscana, e venne a la città d'Arezzo, e dagli Aretini fu ricevuto a grande onore; e stando in Arezzo raunò tutti i suoi amici e fedeli di terra di Roma, de la Marca, e del Ducato, e di Romagna, e gli usciti bianchi e ghibellini di Firenze e dell'altre terre di Toscana, in quantità di MDCC cavalieri e popolo grandissimo, per fare guerra a' Fiorentini. I Fiorentini sentendo sua venuta e raunata, sì·ssi guernirono, e richiesono gli amici, e trovarsi nel torno di IIIm cavalieri e più di XVm pedoni, e partìsi di Firenze del mese di maggio, non attendendo che·legato e sua gente gli asalisse, e co·lloro oste n'andarono francamente in sul contado d'Arezzo, e tennero la via di Valdambra, guastando il paese; e presono più castella del Comune d'Arezzo e degli Ubertini, e feciolle disfare. E andando verso Arezzo, si puosono a oste al castello di Gargosa, e quello strinsono con battaglie e difici, e erano per averlo. Ma il legato per levarsi d'adosso la detta oste, con savio consiglio de' buoni capitani di guerra ch'erano co·llui, si partì d'Arezzo con tutta sua cavalleria e gente, e fece la via da Bibbiena per lo Casentino, e venne infino al castello di Romena, mostrando di scendere l'alpe, e di venire a la città di Firenze, dando suono che gli dovea essere data la terra. I Fiorentini sentendo sua venuta, ebbono grande paura e gelosia, e feciono grande guardia nella terra, e rimandarono nell'oste a Gargosa per la loro cavalleria e gente; ma innanzi che i messi vi giugnessono, que' dell'oste sentiro la partita che·legato fece d'Arezzo, e come facea la via del Casentino; temendo de la città di Firenze, incontanente si ricolsono, e la sera quasi di notte si partirono disordinatamente, e tutta la notte cavalcarono chi meglio ne potea venire. La quale partita de' Fiorentini e di loro amici fue sanza alcuno danno, ma non sanza grande vergogna di mala condotta e di grande pericolo. Che se il legato avesse lasciati in Arezzo CCC cavalieri e M pedoni, e alla levata de' Fiorentini gli avessono assaliti, ne tornavano sconfitti. E per lo detto modo chi prima e chi poi si tornarono in Firenze; e saputo ciò, il legato si tornò con sua gente inn-Arezzo. Dopo queste cose i·legato andò a Chiusi e al castello della Pieve, e più trattati d'accordo ebbe co' Fiorentini, i quali mandaro a·llui loro ambasciadori, cercando di rimettere in Firenze i Bianchi e' Ghibellini con certi patti, e pacificarli insieme. E dopo molte rivolture, i Fiorentini non fidandosi, e tegnendo il legato in vana speranza, tutto il trattato tornò in niente. Per la qual cosa il legato veggendosi non ubbidito e scemato il suo podere, con poco onore si partì di Toscana, e tornossi oltre i monti a la corte, lasciando i signori che reggeano Firenze scomunicati, e la città e 'l contado interdetta. E rimasi i Fiorentini male disposti, del presente mese di luglio del detto anno feciono sopra i cherici una grande e grave imposta; e perché non voleano pagare, più ingiurie furono fatte a' cherici, e a' loro osti e fittaiuoli, e pure convenne che pagassono. E la Badia di Firenze, andandovi l'uficiale isattore con sua famiglia, i monaci chiusono le porte, e sonarono le campane; per la qual cosa dal popolo minuto e da' malandrini, con sospignimento di loro possenti vicini grandi e popolani che non gli amavano, furono corsi a furore, e tutti rubati. E poi il Comune, perch'aveano sonato, volea tagliare il campanile da piè, e disfecionne di sopra presso che la metade; la quale furia fue molto biasimata per la buona gente di Firenze.



XC - Come morìo il buono re Adoardo d'Inghilterra

Nel detto anno MCCCVII, del mese di giugno, morìo il buono e valente Adoardo re d'Inghilterra, il quale fue uno de' valorosi signori e savio de' Cristiani al suo tempo, e bene aventuroso in ogni sua impresa di là da mare contra i Saracini, e in suo paese contra gli Scotti, e in Guascogna contro a Franceschi, e al tutto fu signore dell'isola d'Irlanda e di tutte le buone terre di Scozia, salvo che 'l suo rubello Ruberto di Busto, fattosi re degli Scotti, si ridusse con suoi seguagi a' boschi e montagne di Scozia, il quale dopo la morte del detto Adoardo fece gran cose contro agl'Inghilesi. Appresso la morte del buono re Adoardo, Adoardo suo primogenito prese per moglie Isabella figliuola del re Filippo di Francia; diedono compimento a l'accordo de la quistione di Guascogna, e isposata la detta donna del mese di gennaio presente, la quale era delle belle donne del mondo, e poi la Pasqua di Risoresso vegnente si fece coronare, egli e la reina, con grande festa e onore.



XCI - Come il re di Francia andò a Pittieri a papa Chimento per fare condannare la memoria di papa Bonifazio

Nel detto anno e mese di giugno MCCCVII, essendo papa Chimento venuto co la corte a petizione del re di Francia a la città di Pettieri, il detto re di Francia con tre suoi figliuoli, e con messer Carlo di Valos e messer Luisi suoi fratelli, e con molti altri baroni e cavalieri, e col conte di Fiandra e' suoi figliuoli e fratelli vennero a Pittieri: e dato per lo papa compimento e fermezza a la pace del re di Francia al conte di Fiandra e' Fiaminghi, il re di Francia richiese al papa la quinta cosa che s'aveva fatta promettere, quando il re gli promise di farlo fare papa, cioè ch'egli condannasse la memoria di papa Bonifazio, e facesse ardere le sue ossa e corpo; e fece opporre contra lui a' suoi cherici e avogadi XLIII articoli di resia, profferendo di provagli; onde il papa e' suoi cardinali furono in grande turbazione per la detta richesta, però che 'l re volea o per ragione o per forza fornire le pruove, e come detto è adietro, il papa gliel'avea promesso e giurato; e di ciò si pentea molto, ma non s'osava scoprire contra 'l volere del re, e torto e abassamento de la Chiesa gli parea fare, se l'asentisse, però che in papa Bonifazio di ragione non si trovava nulla memoria di resia, ma si trovava per lo VI libro de le decretali ch'egli fece comporre, molto cattolico e utile, e per papa Bonifazio si trovava molto esaltata la santa Chiesa e le sue ragioni; e ancora più, del collegio de' cardinali v'avea di quegli ch'avea fatti papa Bonifazio, e 'l cardinale da Prato intra gli altri era uno di quegli; e se la memoria di papa Bonifazio fosse dannata, conveniva che fossono disposti del cardinalato. Per la qual cosa, così la setta de' cardinali ch'aveano tenuto col re di Francia in questo caso erano contro a·llui, come quegli della setta del nipote di papa Bonifazio. E stando la Chiesa in questa contumacia e perseguizione fatta per lo re, il papa non sapea che si fare, che male gli parea a rompere il suo saramento e promessa fatta al re, e peggio gli parea a corrompere e guastare la Chiesa di Roma. A la fine strignendosi di ciò a segreto consiglio col savio cardinale da Prato, che sapea le sue segrete promesse, sì gli disse: "Qui nonn-ha che uno rimedio, cioè che ti conviene dissimulare col re, e che tu gli dichi che, perché quello ch'egli domanda di papa Bonifazio sia forte caso a passare per la Chiesa, e parte del collegio de' cardinali non vi s'accordino, conviene di necessità, e ancora più acconcio del suo intendimento, e più abbominazione de la memoria di papa Bonifazio, che le pruove degli articoli ch'egli gli oppone si facciano in concilio generale, e fia più autentico e fermo. E per non avere contasto, sì metterai dinanzi al collegio che per più grandi e utili cose, in bene e istato di santa Chiesa e de' Cristiani che bisogni si faccia in concilio generale; e che in quello farai pienamente quello che domanda. E 'l detto concilio ordina e componi a la città di Vienna, per più comune luogo a' Franceschi, e Inghilesi, e Tedeschi, e Italiani, e a quegli di Linguadoco; e a questo non ti potrà opporre né contradiare: e ciò faccendo, tu e la Chiesa sarai in tua libertà; e partendoti di qui e andando a Vienna, sì sarai fuori de le sue forze e di suo reame". Al papa piacque molto il consiglio, e miselo a seguizione, e fece la risposta al re: onde il re si tenne forte gravato, ma non potendo il re a·cciò bene contradire, promettendogli il papa che bene il servirebbe, e faccendogli molte altre grazie e richeste, acconsentìe, credendosi sì adoperare al concilio a Vienna, che gli verrebbe fatto il suo intendimento. E così si tornò a Parigi, e mandò Luis suo primo figliuolo in Navarra con grande compagnia di baroni e cavalieri, e fecelo a la città di Pampalona coronare del reame di Navarra; e 'l papa piuvicato di fare concilio, e diterminatolo d'ivi a tre anni a Vienna, con tutta la corte poco tempo appresso uscì del reame di Francia, e venne a Vignone in Proenza nelle terre del re Ruberto.



XCII - Come e per che modo fu distrutta l'ordine e magione del Tempio di Gerusalem per procaccio del re di Francia

Nel detto anno MCCCVII, innanzi che 'l re di Francia si partisse da la corte a Pittieri, sì accusò e dinunziò al papa per sodducimento de' suoi uficiali, e per cupidigia di guadagnare sopra loro, il maestro del Tempio e la magione di certi crimini ed errori che al re fu fatto intendente che' Tempieri usavano. Il primo movimento fu per uno priore di Monfalcone di tolosana de la detta ordine, uomo di mala vita ed eretico, e per gli suoi difetti messo in Parigi in perpetuale carcere per lo suo maestro. E trovandovisi dentro con uno Noffo Dei nostro Fiorentino, pieno d'ogni magagne, sì come uomini disperati d'ogni salute, e maliziosi e rei, con trovare la detta falsa accusa, e per guadagnare e uscire di pregione per l'aiuto del re. Ma ciascuno di loro feciono mala fine poco appresso: Noffo impiccato, e 'l priore morto a ghiado. Per fare al re guadagnare la misono innanzi a' suoi uficiali, e' detti il misono dinanzi al re; onde per sua avarizia si mosse il re, e sì ordinò e fecesi promettere segretamente al papa di disfare l'ordine de' Tempieri, opponendo contro a·lloro molti articoli di resia: ma più si dice che fu per trarre di loro molta moneta, e per isdegni presi col maestro del Tempio e colla magione. Il papa per levarsi d'adosso il re di Francia, per la richesta ch'egli avea fatta del condannare papa Bonifazio, come avemo detto dinanzi, o ragione o torto che fosse, per piacere al re gli asentì di ciò fare; e partito il re, in uno dì nomato per sue lettere, fece prendere tutti i Tempieri per l'universo mondo, e staggire tutte le loro chiese e magioni e possessioni, le quali erano quasi innumerabili di podere e ricchezze; e tutte quelle del reame di Francia fece occupare il re per la sua corte, e a Parigi fece prendere il maestro del Tempio, il quale avea nome fra Giache de' signori da Mollai in Borgogna, con LX frieri cavalieri e gentili uomini, opponendo contro a·lloro certi articoli di resia, e certi villani peccati contra natura ch'usavano tra·lloro; e che alla loro professione giuravano d'atare la magione a diritto e a torto, e a uno modo quasi come idolari, e isputavano nella croce, e che quando il loro maestro si consegrava era di nascoso e privato, e non si sapea il modo; e opponendo che i loro anticessori per tradimento feciono perdere la Terrasanta, e prendere a la Monsura il re Luis e' suoi. E sopra ciò fatte dare per lo re certe pruove, gli fece tormentare di diversi tormenti perché confessassono; e non si truova che niente volessono di ciò confessare né riconoscere. E tegnendoli più tempo in pregione a grande stento, e non sappiendo dare fine al loro processo, a la fine di fuori di Parigi da Santo Antonio, e parte a San Luis in Francia, in uno grande parco chiuso di legname, LVI de' detti Tempieri fece legare ciascuno a uno palo, e cominciare a mettere loro il fuoco da' piè e a le gambe a poco a poco, e l'uno innanzi a l'altro amonendogli che quale di loro volesse raconoscere l'errore e' peccati loro opposti potesse scampare; e in su questo martorio confortati da' loro parenti e amici che riconoscessono, e non si lasciassono così vilmente morire e guastare, niuno di loro il volle confessare; e con pianti e grida scusandosi com'erano innocenti e fedeli Cristiani, chiamando Cristo e santa Maria e gli altri santi, col detto martorio tutti ardendo e consumando finirono loro vita. E riserbato il maestro loro, e 'l fratello del Dalfino d'Alvernia, e fra Ugo di Paraldo, e un altro de' maggiori de la magione, e istati uficiali e tesorieri del re di Francia, furono menati a Pittieri dinanzi al papa, e fuvi il re di Francia, e promesso loro grazia se riconoscessono il loro errore e peccato, alcuna cosa si dice ne confessaro; e tornati a Parigi, e venuti due legati cardinali per dare la sentenzia e condannare l'ordine sotto la detta confessione, e per dare alcuna disciplina al detto maestro e' suoi compagni, essendo incontro a Nostra Dama di Parigi in su grandi pergami, e letto il processo, il detto maestro del Tempio si levò in piè gridando che fosse udito: e fatto silenzio per lo popolo, si disdisse che mai quelle resie e peccati loro opposti nonn-erano state vere, e che l'ordine di loro magione era santa e giusta e cattolica, ma ch'egli era ben degno di morte, e voleala sofferire in pace, però che per paura e per lusinghe del papa e del re, in alcuna parte l'aveano per inganno loro confessate. E rotto il sermone e non compiuto di dare sentenzia, si partiro i cardinali e gli altri parlati di quello luogo. E avuto consiglio col re, il detto maestro e suoi compagni in su l'Isola di Parigi dinanzi a la sala del re per lo modo degli altri loro frieri furono messi a martirio, ardendo il maestro a poco a poco, e sempre dicendo che la magione e loro religione era cattolica e giusta, accomandandosi a Dio e a santa Maria; e simile fece il fratello del Dalfino; fra Ugo di Paraldo e l'altro per paura del martorio confessaro e raffermaro quello ch'aveano detto dinanzi dal papa e al re, e scamparo, ma poi moriro miseramente. E per molti si disse che furono morti e distrutti a torto e a peccato, e per occupare i loro beni, i quali poi per lo papa furono privileggiati, e dati a la magione dello Spedale, ma convennegli loro ricogliere e ricomperare dal re di Francia e dagli altri prencipi e signori, e con tanta quantità di moneta, che cogli 'nteressi corsi poi la magione dello Spedale fu ed è più povera che non era prima del loro propio, o che Idio il dimostrasse per miracolo. E lo re di Francia e' suoi figliuoli ebbono poi molte vergogne e aversitadi, e per questo peccato, e per quello della presura di papa Bonifazio, come innanzi si farà menzione. E nota che la notte appresso che'l detto maestro e'l compagno furono martorizzati, per frati e altri religiosi le loro corpora e ossa come relique sante furono ricolte, e portate via in sacri luoghi. In questo modo fu distrutta e messa a niente la ricca e possente magione del Tempio di Gerusalem gli anni di Cristo MCCCX. Lasceremo de' fatti di Francia, e torneremo a' nostri fatti d'Italia.



XCIII - Di novitadi e sconfitte che furono in Romagna e in Lombardia

Nel detto anno MCCCVII, del mese d'agosto, essendo i Guelfi a l'assedio a Brettinoro, la lega de' Ghibellini di Romagna raunati insieme co·lloro amistà sconfissono li Guelfi; e furonne tra morti e presi più di MM tra piè e a cavallo. E l'aprile vegnente MCCCVIII il popolo de la città di Parma con trattato d'Orlando de' Rossi e de' suoi cacciarono di Parma messer Ghiberto da Coreggio, il quale n'era signore; per la qual cosa s'acompagnò co' Mantovani e' Veronesi, e imparentossi co' signori della Scala; e del mese di giugno vegnente il detto messer Ghiberto venne verso Parma co la forza di messere Cane della Scala, e con quella de' Mantovani e Parmigiani. I Parmigiani uscendo contro a·lloro furono sconfitti, e 'l detto messer Ghiberto tornò in Parma e funne signore, e caccionne i Rossi e' suoi nemici, e fece mozzare la testa a XXVIIII popolani, i quali erano stati caporali a la sua cacciata.



XCIV - Come fue morto il re Alberto de la Magna

Nel detto anno MCCCVIII, in calen di maggio, lo re Alberto d'Alamagna, che s'attendea d'essere imperadore, fu morto a ghiado da uno suo nipote a tradigione a uno valicare d'uno fiume scendendo de la nave, per cagione che 'l detto re Alberto gli occupava il retaggio de la parte sua del ducato d'Osteric. Lasceremo alquanto delle cose de' forestieri, e torneremo a raccontare de le novitadi che ne' detti tempi furono nella nostra città di Firenze.



XCV - Come una podestà di Firenze si fuggì col suggello dell'Ercore del Comune

Nel detto anno MCCCVIII, essendo podestà di Firenze uno messer Carlo d'Amelia fratello del primo esecutore degli ordini della giustizia, avendo egli e sua famiglia fatte in Firenze molte baratterie, e guadagnerie, e pessime opere, e già di ciò molto scoperto, temendosi al suo sindicato esser condannato e ratenuto, la notte di santo Giovanni del mese di giugno furtivamente si fuggì con sua privata famiglia, onde fu condannato per baratteria. E per riavere pace e danari dal Comune sì ne portò seco il suggello del Comune, dov'era intagliata l'imagine dell'Ercore, e tennelo più tempo, istimandosi che 'l Comune il traesse di bando, e ricomperasselo molta moneta: onde il Comune il mise in abandono operando altro suggello e notificandolo in tutte parti, sì che non fosse data fede a quello suggello. A la fine il suo fratello gliele tolse, e rimandollo in Firenze, e d'allora innanzi s'ordinò che né podestà né priori tenessono suggello di Comune, ma fecionne cancelliere e guardiano i frati conversi di Settimo, che stanno nella camera dell'arme del palagio de' priori.



XCVI - Come fu morto il nobile e grande cittadino di Firenze messer Corso de' Donati

Nel detto anno MCCCVIII, essendo nella città di Firenze cresciuto scandolo tra' nobili e potenti e popolani di parte nera che guidavano la città per invidia di stato e di signoria, come si cominciò al tempo del romore della ragione, come addietro facemo memoria; questo invidioso portato convenne che partorisse dolorosa fine, che per le peccata della superbia, e invidia, e avarizia, e altri che regnavano tra·lloro erano partiti in setta; e dell'una era capo messer Corso de' Donati con séguito d'alquanti nobili e di certi popolani, e intra gli altri quegli della casa di Bordoni, e dell'altra erano capo messer Rosso della Tosa, messere Pazzino de' Pazzi, e messer Geri Spini, e messer Betto Brunelleschi co' loro consorti, e con quegli de' Cavicciuli, e di più altri casati grandi e popolani, e la maggiore parte de la buona gente della cittade, i quali aveano gli ufici e 'l governamento de la terra e del popolo. Messer Corso e' suoi seguagi parendo loro esser male trattati degli onori e ofici a·lloro guisa, parendogli essere più degni, però ch'erano stati i principali ricoveratori dello stato de' Neri e cacciatori della parte bianca; ma per l'altra parte si disse che messer Corso volea essere signore della cittade e non compagnone; quale che si fosse il vero o la cagione, i detti, e quegli che reggeano il popolo, l'aveano in odio e a grande sospetto, dapoi s'era imparentato con Uguiccione della Faggiuola, Ghibellino e nimico de' Fiorentini; e ancora il temeano per lo suo grande animo e podere e séguito, dubitando di lui che non togliesse loro lo stato e cacciasse de la terra, e massimamente perché trovarono che 'l detto messere Corso avea fatta lega e giura col detto Uguiccione da la Faggiuola suo suocero, e mandato per lui e per suo aiuto. Per la qual cosa, e per grande gelosia, subitamente si levò la cittade a romore, e sonarono i priori le campane a martello, e fu ad arme il popolo e' grandi a piè e a cavallo, e le masnade de' Catalani col maliscalco del re, ch'era a posta di coloro che guidavano la terra. E subitamente, com'era ordinato per gli sopradetti caporali, fu data una inquisizione overo accusa a la podestà, ch'era messer Piero de la Branca d'Agobbio, incontro al detto messer Corso, opponendogli come dovea e volea tradire il popolo, e sommettere lo stato della cittade, faccendo venire Uguiccione da Faggiuola co' Ghibellini e nimici del Comune. E la richesta gli fu fatta, e poi il bando, e poi la condannagione: in meno d'una ora, sanza dargli più termine al processo, messer Corso fu condannato come rubello e traditore del suo Comune, e ancontanente mosso da casa i priori il gonfalone della giustizia con podestà, capitano, e esecutore, co·lloro famiglie e co' gonfaloni de le compagnie, col popolo armato e le masnade a cavalio a grido di popolo per venire a le case dove abitava messer Corso da San Piero Maggiore per fare l'esecuzione. Messer Corso sentendo la persecuzione che gli era mossa e chi disse per esser forte a fornire il suo proponimento, attendendo Uguiccione de la Faggiuola con grande gente, che già n'era giunta a Remole - sì s'era aserragliato nel borgo di San Piero Maggiore a piè de le torri del Cicino, e in Torcicoda, e a la bocca che va verso le Stinche, e a la via di San Brocolo con forti isbarre, e con genti assai suoi consorti e amici armati, e con balestra, i quali erano rinchiusi nel serraglio al suo servigio. Il popolo cominciò a combattere i detti serragli da più parti, e messer Corso e' suoi a difendere francamente: e duròe la battaglia gran parte del dì, e fue a tanto, che con tutto il podere del popolo, se i·rinfrescamento de la gente d'Uguiccione, e gli altri amici di contado invitati per messer Corso gli fossono giunti a tempo, il popolo di Firenze avea quello giorno assai a·ffare; ché, perché fossono assai, erano male in ordine e non molto inn-accordo, però ch'a parte di loro non piacea. Ma sentendo la gente d'Uguiccione come messer Corso era assalito dal popolo, si tornaro adietro, e' cittadini ch'erano nel serraglio si cominciarono a partire, onde rimase molto sottile di genti, e certi del popolo ruppono il muro del giardino di contro alle Stinche, e entrarono dentro con grande gente d'arme. E veggendo ciò messer Corso e' suoi, e che 'l soccorso d'Uguiccione e degli altri suoi amici gli era tardato e fallito, sì abandonò le case, e fuggìsi fuori de la terra, le quali case dal popolo incontanente furono rubate e disfatte, e messer Corso e' suoi perseguiti per alquanti cittadini a cavallo e Catalani mandati in pruova che 'l pigliassono. E per Boccaccio Cavicciuli fu giunto Gherardo Bordoni in sull'Africo, e morto, e tagliatagli la mano, e recata nel corso degli Adimari, e confitta a l'uscio di messer Tedici degli Adimari suo consorto, per nimistade avuta tra·lloro. Messer Corso tutto solo andandosene, fue giunto e preso sopra a Rovezzano da certi Catalani a cavallo, e menandolne preso a Firenze, come fue di costa a San Salvi, pregando quegli che'l menavano, e promettendo loro molta moneta se lo scampassono, i detti volendolo pure menare a Firenze, sì com'era loro imposto da' signori, messer Corso per paura di venire a le mani de' suoi nemici e a essere giustiziato dal popolo, essendo compreso forte di gotte ne le mani e ne' piedi, si lasciò cadere da cavallo. I detti Catalani veggendolo in terra, l'uno di loro gli diede d'una lancia per la gola d'uno colpo mortale, e lasciarollo per morto: i monaci del detto monistero il ne portaro ne la badia, e chi disse che inanzi che morisse si rimise ne le mani di loro in luogo di penitenzia, e chi disse che il trovar morto; e l'altra mattina fu soppellito in San Salvi con piccolo onore e poca gente, per tema del Comune. Questo messer Corso Donati fue de' più savi, e valente cavaliere, e il più bello parlatore, e 'l meglio pratico, e di maggiore nominanza, e di grande ardire e imprese ch'al suo tempo fosse in Italia, e bello cavaliere di sua persona e grazioso, ma molto fu mondano, e di suo tempo fatte in Firenze molte congiurazioni e scandali per avere stato e signoria; e però avemo fatto de la sua fine sì lungo trattato, però che fu grande novità a la nostra cittade, e seguirne molte cose appresso per la sua morte, come per gl'intendenti si potrà comprendere, acciò che sia assempro a quegli che sono a venire.



XCVII - Come arse la chiesa di Laterano di Roma

Nel detto anno MCCCVIII, del mese di giugno, s'apprese il fuoco ne' palagi papali di Santo Giovanni Laterano di Roma, e arsono tutte le case de' calonaci, e tutta la chiesa e circuito, e non vi rimase ad ardere se non la piccola cappelletta in volte di Sancto Sanctorum, ove si dice ch'è la testa di santo Piero e quella di santo Paolo, e molte relique di santi: e ciò fu con grandissimo dammaggio di tesoro e d'arnesi, sanza lo 'nfinito danno della chiesa e palazzi e case. Poi sappiendolo papa Chimento, l'anno appresso, vi mandò suoi uficiali con grande quantità di moneta, e la detta chiesa fece ristorare, e rifare più bella e più ricca che non era prima, e simile i palazzi papali e le case de' calonaci, e penarsi a·ffare parecchi anni, e costarono molto tesoro a la Chiesa.



XCVIII - Come i grandi di Samminiato disfeciono il loro popolo

Nel detto anno MCCCVIII, del mese d'agosto, i grandi di Samminiato del Tedesco, come sono Malpigli e Mangiadori, per soperchi ricevuti dal popolo di Samminiato, overo perché 'l popolo gli tenea corti, per modo che non poteano signoreggiare la terra a·lloro senno, sì s'accordaro insieme e feciono venire loro amistà di fuori, e con armata mano combattero col popolo e sconfissongli, e molti n'uccisono e presono, e a certi caporali feciono tagliare la testa, e tutti i loro ordini arsono, e la campana del popolo feciono sotterrare, e tennero poi il popolo in grande servaggio infino che le dette due case non ebbono discordia tra·lloro.



XCIX - Come i Tarlati furono cacciati d'Arezzo, e rimessivi i Guelfi

Nel detto anno MCCCVIII, del mese di gennaio, il popolo d'Arezzo con aiuto e favore d'Uguiccione da Faggiuola che badava d'esserne signore cacciarono de la cittade i signori di Pietramala, detti Tarlati, per soperchi e oltraggi che faceano a' cittadini; e poco appresso vi rimisono la parte guelfa, che quegli di Pietramala n'aveano tenuti fuori per XXI anni; e quegli che signoreggiavano la cittade, ch'erano mischiati Guelfi e Ghibellini, si faceano chiamare la parte Verde; e mandarono loro ambasciadori a·fFirenze, e feciono pace co' Fiorentini, come i Fiorentini la seppono divisare; ma poco tempo durò questo stato in Arezzo, ché vi tornarono i Tarlati.



C - Come gli Ubaldini tornarono a ubidienza del Comune di Firenze

In questo medesimo tempo i signori Ubaldini s'accordarono co' Fiorentini, e vennero in Firenze a·ffare reverenza e le comandamenta del Comune, e sodaro la cittadinanza di tenere il passaggio de l'alpi sicuro per idonei mallevadori. E 'l Comune di Firenze dimise e perdonò loro ogni misfatto, e accettogli per cittadini e distrittuali, loro, e' loro fedeli e terre, e che in ogni atto e fazioni dovessono fare al Comune come distrittuali e cittadini.



CI - Per che modo fue eletto imperadore di Roma Arrigo conte di Luzzimborgo

Nel detto anno MCCCVIII, essendo morto lo re Alberto de la Magna, come dicemmo addietro, per la cui morte vacava lo 'mperio, e i lettori de la Magna erano in grande discordia tra·lloro di fare la lezione, lo re di Francia, sentendo la detta vacazione, sì·ssi pensò che gli verrebbe fornito il suo intendimento con poca fatica per la sesta promessa che gli avea fatta papa Chimento segretamente, quando gli promise di farlo fare papa, come adietro facemmo menzione; e raunò suo segreto consiglio con messer Carlo di Valos suo fratello, e quivi scoperse il suo intendimento, e i·lungo disiderio ch'egli avea avuto di fare eleggere a la Chiesa di Roma a re de' Romani messer Carlo di Valos, e eziandio vivendo Alberto re de la Magna, co la sua forza e podere e dispendio, e col podere del papa e de la Chiesa: ch'altre volte per antico avea rimossa la lezione de' Greci ne' Franceschi, e de' Franceschi negli Italiani, e degl'Italiani negli Alamanni, ora maggiormente ci dee venire fatto, dapoi che vaca lo 'mperio, e massimamente per la detta promessa e saramento che gli avea fatta papa Clemento, quando il fece fare papa. E scoperse tutto il segreto contratto co·llui, e fatto ciò, domandò il loro consiglio e fece giurare credenza. A questa impresa fue lo re confortato per tutti gli suoi consiglieri, e che in ciò s'aoperasse tutto il podere de la corona e di suo reame, sì che venisse fatto, sì per l'onore di messer Carlo di Valos che n'era degno, e perché l'onore e dignità dello 'mperio tornasse a' Franceschi, sì come fu per antico lungo tempo per gli loro anticessori, Carlo Magno e gli suoi successori. Inteso per lo re e per messer Carlo il conforto e buon volere del suo consiglio, sì furono molto allegri, e ordinaro che sanza indugio lo re e messer Carlo con grande forza di baroni e cavalieri d'arme andassono a Vignone al papa innanzi che gli Alamanni facessono altra lezione, mostrando e dando boce che la sua andata fosse per la richesta fatta contra la memoria di papa Bonifazio; e che quando il re fosse a corte, richiedesse al papa la sesta segreta promessa, cioè d'eleggere e confermare imperadore di Roma messer Carlo di Valos, e trovassesi sì forte di sua gente, che nullo cardinale né altri, né eziandio il papa, non l'ardisse a rifusare. E ciò ordinato, sì comandò a' baroni e cavalieri che s'aparecchiassono d'arme e di cavagli a fare compagnia al re per andare a la corte a Vignone, e quegli del siniscalco di Proenza fossono apparecchiati, e doveano essere in numero di più di VIm cavalieri d'arme. Ma come piacque a Dio, per non volere che la Chiesa di Roma fosse al tutto sottoposta a la casa di Francia, questo apparecchiamento del re e il suo intendimento fu fatto segretamente assentire al papa per uno del segreto consiglio del re di Francia. Il papa temendo della venuta del re con tanta forza, e ricordandosi della sua promessa fatta, riconoscendo ch'era molto contraria a la libertà della Chiesa, sì ebbe segreto consiglio solamente con messer d'Ostia cardinale da Prato, che già aveano preso isdegno col re di Francia per le disordinate richeste, e perché se la Chiesa avesse condannata la memoria di papa Bonifazio, ciò ch'avea fatto era casso e annullato, e 'l cardinale di Prato fue per Bonifazio fatto cardinale con certi altri, come detto avemo in altra parte. Il detto cardinale udendo quello che sentia il papa della 'ntenzione e della venuta del re di Francia, sì disse: "Padre santo, qui nonn-ha che uno remedio, cioè che innanzi ti faccia la richesta il re, per te s'ordini co' prencipi de la Magna segretamente e con istudio ch'eglino facciano lezione d'imperio". Al papa piacque il consiglio, ma disse: "Cui volemo per imperadore?". Allora il cardinale molto antiveduto, non tanto solamente per la libertà della Chiesa, quanto a sua propietà e di sua parte ghibellina rilevare in Italia, disse: "Io sento che 'l conte di Luzzimborgo è oggi il migliore uomo de la Magna, e il più leale e il più franco, e più cattolico, e non mi dubito, se viene per te a questa dignità, ch'egli non sia fedele e obbediente a te e a santa Chiesa, e uomo da venire a grandissime cose". Al papa piacque per la buona fama che sentia di lui; disse: "Questa lezione come si può fornire per noi segretamente, mandando lettere con nostra bolla, che nol senta il collegio de' nostri frati cardinali?". Rispuose il cardinale: "Fa' a·llui e a' lettori tue lettere col piccolo e segreto suggello, e io scriverò loro per mie lettere più a pieno il tuo intendimento, e manderolle per mio famigliare"; e così fu fatto. E come piacque a·dDio, giunti i messaggi ne la Magna e presentate le lettere, in otto dì i prencipi de la Magna furono congregati a Midelborgo, e ivi sanza niuno discordante elessero a re de Romani Arrigo conte di Luzzimborgo; e ciò fu per la industria e studio del detto cardinale, che scrisse a' prencipi infra l'altre parole: "Fate d'essere in accordo del tale, e sanza indugio, se non, io sento che la lezione e la signoria dello 'mperio tornerà a' Franceschi". Fatto ciò, la lezione fu pubblicata in Francia e in corte di papa incontanente; non sappiendo il modo il re di Francia, che facea l'apparecchiamento per andare a corte, si tenne ingannato, e mai non fu poi amico del detto papa.



CII - Come Arrigo imperadore fue confermato dal papa

Nel detto anno, essendo fatta la lezione d'Arrigo di Luzzimborgo a re de' Romani, sì mandò a Vignone a corte a papa Clemento per la sua confermazione il conte di Savoia suo cognato e messer Guido di Namurro fratello del conte di Fiandra suo cugino, i quali dal papa e da' cardinali onorevolemente furono ricevuti, e del mese d'aprile MCCCVIIII, per lo papa il detto Arrigo fue confermato a imperadore, e ordinato che 'l cardinale dal Fiesco e 'l cardinale di Prato fossono legati in Italia e in sua compagnia quando venisse di qua da' monti, comandando da parte de la Chiesa che da tutti fosse ubbidito. Incontanente che' suo' ambasciadori furono tornati co la confermagione del papa, se n'andò ad Asia la Cappella in Alamagna con tutta la baronia e prelati d'Alamagna, e fuvi il duca di Brabante, e 'l conte di Fiandra, e 'l conte d'Analdo, e più baroni di Francia, e ad Asia per l'arcivescovo di Cologna onorevolemente e sanza nullo contasto fu de la prima corona coronato il dì de la Epifania MCCCVIII a re de' Romani.



CIII - Come i Viniziani presono la città di Ferrara e poi la perdero

Nel detto anno MCCCVIII, a dì X di gennaio, i Viniziani presono per forza di loro navilio la città di Ferrara, la quale era de la Chiesa di Roma, e cacciarne messer Francesco da Esti; per la qual cosa dal sopradetto papa furono scomunicati, e contra loro fatto gran processo, e a chi desse aiuto a la Chiesa fu fatta grande indulgenza per due legati del papa che vennero in Lombardia, i quali coll'aiuto de' Bolognesi e della lega di Lombardia de la parte della Chiesa racquistarono Ferrara, salvo il Castello Tedaldo ch'era in capo della terra, molto forte e grande, che rimase a' Viniziani; e in quello mese i Viniziani furono sconfitti a Francolino, ch'erano venuti per assediare Ferrara, per la gente della Chiesa.



CIV - Come il maestro dello Spedale prese l'isola di Rodi

Nell'anno MCCCVIII, del mese di febbraio, i frieri dello Spedale ebbono grandi privilegi dal detto papa Chimento di grandi perdonanze a chi facesse loro aiuto al conquisto d'oltremare, e per Italia andarono predicando, e raunarono moneta assai, e poi la state vegnente il loro maestro da Napoli fece suo passaggio, e presono l'isola di Rodi in Turchia con grande danno de' Saracini e de' Greci.



CV - Come il re d'Araona s'apparecchiò di venire in Sardigna

Nel detto anno e mese, apparecchiandosi il re d'Araona di venire a prendere Sardigna, e avea richesti i Fiorentini e' Lucchesi e la taglia di Toscana di fare compagnia co·lloro a guerreggiare i Pisani, i detti Pisani gli mandarono loro ambasciadori in tre galee con molta moneta, onde il detto re si rimase de la detta impresa.



CVI - Come i Guelfi furono cacciati di Prato, e poi lo racquistarono

Nell'anno MCCCVIIII, a dì VI d'aprile, i Bianchi e' Ghibellini di Prato ne cacciarono fuori i Guelfi e' Neri; il seguente dì fu per loro ricoverato coll'aiuto de' Fiorentini e de' Pistolesi, e per gli Fiorentini vi fu messa la signoria.



CVII - Come i Tarlati tornarono inn-Arezzo e cacciarne i Guelfi

Nel detto anno, a dì XXIIII del mese d'aprile, i Tarlati d'Arezzo co·lloro parte ghibellina tornarono in Arezzo, e cacciarne fuori i Guelfi e' Verdi, e uccisonne assai, e ruppono la pace ch'aveano co' Fiorentini.



CVIII - Quando morì il re Carlo secondo

Nel detto anno, il dì di Pentecosta, a dì III di maggio, morì il re Carlo secondo, il quale fu uno de' larghi e graziosi signori ch'al suo tempo vivesse, e nel suo regno fu chiamato il secondo Allessandro per la cortesia; ma per altre virtù fu di poco valore, e magagnato in sua vecchiezza disordinatamente in vizio carnale, e d'usare pulcelle, iscusandosi per certa malattia ch'avea di venire misello; e lui morto, a Napoli fu soppellito a grande onore.



CIX - De' segni ch'aparirono in aria

Nel detto anno MCCCVIIII, a dì X di maggio, di notte, quasi al primo sonno, apparve in aria uno grandissimo fuoco, grande in quantità d'una grande galea, correndo da la parte d'aquilone verso il meriggio con grande chiarore, sì che quasi per tutta Italia fu veduto, e fu tenuto a grande maraviglia; e per gli più si disse che fu segno de la venuta dello 'mperadore.



CX - Come i Fiorentini ricominciarono guerra ad Arezzo

Nel detto anno, dì XXIII di maggio, cavalcarono i Fiorentini CC cavallate e certi pedoni, e la masnada de' Catalani col maliscalco del duca al Monte San Savino, che si tenea per gli Fiorentini, e di là andaro in sul contado d'Arezzo ardendo e guastando, e furono infino a le porte d'Arezzo, e feciono dannaggio assai. Poi a dì VIII di giugno si tornarono in Firenze sani e salvi.



CXI - Come i Lucchesi vollono disfare Pistoia, e' Fiorentini furono contradianti

Nel detto anno, in calen di giugno, i Lucchesi vennero a Serravalle, popolo e cavalieri, innanimati di disfare Pistoia al tutto, o almeno la loro metade; la qual cosa a' Fiorentini non piacque, parendo loro spietata e crudel cosa. Diedono parola a' Pistolesi che si difendessono, e a chi di Firenze gli volesse aiutare, sì che coll'aiuto di messer Lippo Vergellesi, che tenea il castello de la Sambuca, essendo i Lucchesi già a Pontelungo, gli ripararo con danno e vergogna di loro. Per la qual cosa i Fiorentini aconsentiro a' Pistolesi che rifermassono la terra; i quali in due dì rimondarono i fossi e rifeciono gli steccati con bertesche intorno a la città, e a·cciò furono uomini, e donne, e preti, e fanciulli, che fu tenuto gran cosa. La quale benignità e pietà de' Fiorentini tornò loro poi per più volte molto contradia, con grandi pericoli e spendii de' Fiorentini, sì come innanzi per gli tempi si farà menzione, e più volte poi fu più commendata la furia de' Lucchesi, che la piatà e astinenza de' Fiorentini.



CXII - Come il re Ruberto fu coronato del regno di Cicilia e di Puglia

Anno MCCCVIIII, del mese di giugno, il duca Ruberto, allora primogenito del re Carlo, andò per mare da Napoli in Proenza a la corte con grande navilio di galee e grande compagnia, e fue coronato a re di Cicilia e di Puglia da papa Clemento il dì di santa Maria di settembre del detto anno, e aquetato di tutto il presto che la Chiesa avea fatto al padre e a l'avolo per la guerra di Cicilia, il quale si dice ch'erano più di CCC migliaia d'once d'oro. Nel detto mese e anno i Guelfi furono cacciati d'Amelia per la forza de' Colonnesi.



CXIII - Come gli Ancontani furono sconfitti dal conte Fedrigo

Nel detto anno e mese di giugno il conte Fedrigo da Montefeltro con quegli da Iegi, e d'Osimo, ed altri Marchigiani ghibellini sconfissono gl'Ancontani ch'erano a oste sopra il contado di Iegi: furonne tra presi e morti, tra di cavallo e di piè, più di Vm.



CXIV - Come messer Ubizzino Spinoli fu cacciato di Genova e sconfitto

Nel detto anno MCCCVIIII, dì XI di giugno, essendo messer Ubizzino Spinoli signore di Genova, e cacciatine più tempo dinanzi i Guelfi, e poi gli Ori e loro séguito, e gli Spinoli suoi consorti da basso, e la terra tenea quasi a guisa di tiranno, i detti usciti, così i Guelfi come i Ghibellini, fatta lega e compagnia vennero co·lloro isforzo di gente a cavallo e a piè assai infino in Ponzevera per rientrare in Genova. Il detto messer Ubizzino con suo isforzo di gente a cavallo e popolo di Genova a piè si fece a lo 'ncontro, gli usciti vigorosamente assalendo il popolo di Genova, il quale era partito, e male seguiro messer Ubizzino, ma si misono in fugga, onde fu sconfitto con piccola mortalità di gente: si fuggì in Serravalle co' suoi seguagi. Gli Ori, e' Grimaldi, e gli altri usciti si rientraro in Genova sanza fare altra novità, se non che feciono disfare il castello di Luccoli ch'era in Genova, del detto messer Ubizzino.



CXV - Come i Viniziani furono sconfitti a Ferrara

Nel detto anno, a l'uscita di luglio, i Fiorentini mandarono cavalieri e pedoni in servigio de la Chiesa al cardinale Pelagrù nipote e legato del papa, il quale era al soccorso di Ferrara, che v'erano i Viniziani per comune ad oste per terra e per acqua, onde il detto legato ebbe a grande grado da' Fiorentini, ch'erano interdetti da la Chiesa, e però non lasciaro il servigio. Poi il settembre vegnente la gente del legato co' Fiorentini e Bolognesi combattero co' Viniziani e sconfissongli a dì XXVII d'agosto prossimo, onde rimasono tra morti e presi e anegati in Po de' Viniziani più di VIm uomini, e perdero al tutto Ferrara e 'l Castello Tedaldo. Poi l'anno appresso tornando il detto legato in Toscana, venne in Firenze, e per li Fiorentini gli fu fatto grande onore, e presentargli IIm fiorini d'oro, e 'l carroccio gli andò incontro con grande processione; per la qual cosa e servigio fatto il detto legato assolvette i Fiorentini de la 'nterdizione e scomunica, e riconciliogli colla Chiesa della discordia dove gli aveva messi messer Nepoleone, come adietro si fece menzione, e rendé l'oficio a' Fiorentini a dì XXVI di settembre, anno detto.



CXVI - De la guerra de' Volterrani e que' di San Gimignano

Nel detto anno MCCCVIIII, del mese d'agosto, si cominciò grande guerra tra' Volterrani e que' di San Gimignano per quistione di loro confini; e ciascuno fece suo isforzo di più di VIIc cavalieri per parte, e durò la guerra più mesi con grande spendio e dammaggio dell'una parte e dell'altra, d'arsioni e di guasto e di più avisamenti. I Fiorentini e' Sanesi assai si travagliaro d'aconciargli insieme; quando volea l'uno non volea l'altro, che si tenea soverchiato. A la fine i Fiorentini vi cavalcaro con grande isforzo, dicendo d'esser contra la parte che non volesse l'acordo. Quegli dibattuti di spese e della guerra, si rimisono ne' Fiorentini; e per gli Fiorentini fue giudicata e terminata la quistione, e messi i termini a' confini, e ciascuno a' suoi termini fece una fortezza, e fu fatta la pace. E nel detto mese d'agosto, scurò tutta la luna; e po' l'ultimo dì di gennaio scurò gran parte del sole, e 'l febbraio seguente ancora scurò la luna. Nel detto anno fu grande dovizia di pane e vino: valse lo staio del grano in Firenze soldi VIII, e 'l cogno del mosto in certe parti meno di soldi XL.



CXVII - Come gli Orsini di Roma furono sconfitti da' Colonnesi

Nel detto anno, del mese d'ottobre, si riscontraro certi degli Orsini e di Colonnesi e di loro seguaci, in quantità di CCCC a cavallo, fuori di Roma, e combatterono insieme, e' Colonnesi furono vincitori, e fuvi morto il conte dell'Anguillara, e presi VI degli Orsini, e messer Riccardo de la Rota degli Anibaldeschi ch'era in loro compagnia.



CXVIII - Come gente d'Arezzo furono sconfitti dal maliscalco de' Fiorentini

Nel detto anno, di febbraio, il re Ruberto mandò in Firenze sua bandiera al suo maliscalco ch'era in Firenze con CCC cavalieri catalani, che in prima che fosse coronato a re, il suo detto maliscalco portava pure pennone della sopransegna del duca.

Il detto maliscalco per provare la bandiera e per andare in servigio di que' de la Città di Castello, i quali aveano richesti i Fiorentini d'aiuto contra gli Aretini, con sua gente a cavallo e a piè, con III de' maggiori di Firenze per sesto, e con certi pedoni eletti, si partiro di Firenze martidì a dì X di febbraio, e furono intorno di CCCL cavalieri e VIc pedoni. Feciono la via di Valdarno e poi per Vallelunga a l'olmo d'Arezzo, guastando per lo contado d'Arezzo. Gli Aretini, popolo e cavalieri, e usciti di Firenze, con Uguiccione da Faggiuola loro capitano sotto Cortona si pararono loro dinanzi credendogli avere sorpresi, gli assaliro per loro feditori, i quali dal detto maliscalco e Fiorentini furono rotti, e Uguiccione col popolo si fuggì ad Arezzo inn-isconfitta, e rimansovi morti Vanni de' Tarlati, e Cione de' Gherardini, e uno de' Pazzi di Valdarno con più altri, e tre di loro bandiere ne vennero co' pregioni a Firenze. Con tutta la vittoria, fue tenuta folle andata, perché si misono in forte passo e ne la forza de' nimici.



CXIX - Come i Fiorentini feciono oste ad Arezzo

Nell'anno MCCCX, dì VIII di giugno, i Fiorentini co·lloro amistà in quantità di IIm cavalieri e popolo a piè grandissimo si partirono di Firenze per andare ad oste ad Arezzo. Prima si partissono vennono lettere e messi da Arrigo imperadore, comandando a' Fiorentini che l'oste non andasse sopra Arezzo, con ciò sia cosa ch'ell'era sua terra, e ch'egli intendea di pacificargli insieme a la sua venuta in Italia. Per la qual cosa in Firenze n'ebbe quistione, che chi volea e chi non volea che l'oste v'andasse. A la fine il popolo pur vinse ch'ell'andasse, e andò infino al vescovado vecchio d'Arezzo; e quivi si fermò il campo guastando intorno la terra; e più battaglie si diedono a la terra; e gran parte degli steccati da quella parte per gli Fiorentini s'abattero; e dissesi per molti che la terra s'arebbe avuta per forza, però che gli Aretini erano in fiebole stato, se non che certi grandi di Firenze per nudrire la guerra e moneta che n'ebbono - se 'l vero fu - non l'assentirono. A la fine si partì l'oste, e lasciaro uno battifolle molto forte presso ad Arezzo a due miglia al poggio ch'è sopra l'olmo, fornito di genti cogli usciti d'Arezzo, il quale fece loro molta guerra; e' Fiorentini tornarono in Firenze sani e salvi dì XXV di luglio, anno detto.



CXX - Come gli ambasciadori d'Arrigo re de' Romani vennero in Firenze

Nel detto anno, dì III di luglio, vennero in Firenze messer Luis di Savoia eletto sanatore di Roma con II prelati cherici d'Alamagna e messer Simone Filippi da Pistoia, ambasciadori dello 'mperadore, richeggendo il Comune di Firenze che s'aparecchiassono di fargli onore a la sua coronazione, e che gli mandassero loro ambasciadori a Losanna; e richiesono e comandaro che l'oste ch'era ad Arezzo si dovesse partire. Fu per gli Fiorentini fatto un grande e bello consiglio, ove saviamente spuosero loro ambasciata. Risponditore fu fatto per lo Comune messer Betto Bruneleschi, il quale prima rispuose con parole superbe e disoneste, onde da' savi fu biasimato; poi per messer Ugolino Tornaquinci saviamente risposto, e cortesemente. Contenti si partiro a dì XII di luglio, e andarono nell'oste de' Fiorentini ad Arezzo, e feciono il somigliante comandamento si partisse l'oste; la quale non si partì per ciò. Rimasersi in Arezzo i detti ambasciadori assai indegnati contro a' Fiorentini.



CXXI - Di miracolosa gente che s'andarono battendo in Italia

Nel detto anno apparì grande maraviglia, che si cominciò in Piemonte, e venne per Lombardia e per la riviera di Genova, e poi per Toscana, e poi quasi per tutta Italia, che molta gente minuta, uomini e femmine e fanciulli sanza numero, lasciavano i loro mestieri e bisogne, e colle croci innanzi s'andavano battendo di luogo in luogo, gridando misericordia, e faccendo fare l'uno a l'altro molte paci, tornando più genti a penitenzia. I Fiorentini e più altre città non gli lasciarono entrare in loro terre, ma gli scacciavano dicendo ch'era male segnale nella terra ove intrassero. E nel detto tempo, a di XII di maggio, il re di Francia fece a Parigi ardere il maestro del Tempio con LIIII suoi frieri de' maggiori de la magione, opponendo loro resia; ma i più dissono che fu loro fatto torto per occupare le loro possesioni, e a la loro morte riconoscendosi e confessandosi buoni Cristiani.

 

LIBRO DECIMO



I - Qui comincia il libro X: come Arrigo conte di Luzzimborgo fu fatto imperadore

Arrigo conte di Luzzimborgo imperiò anni IIII, mesi VII e dì XVIII, da la prima corona infino a la sua fine. Questi fue savio e giusto e grazioso, prode e sicuro in arme, onesto e cattolico; e di piccolo stato che fosse per suo lignaggio, fue di magnanimo cuore, temuto e ridottato; e se fosse vivuto più lungamente avrebbe fatte grandissime cose. Questi fu eletto a imperadore per lo modo scritto addietro, e incontanente ch'ebbe la confermazione dal papa si fece coronare in Alamagna a re; e poi tutte le discordie de' baroni de la Magna pacificò, con sollecito intendimento di venire a Roma per la corona imperiale, e per pacificare Italia de le diverse discordie e guerre che v'erano, e poi di seguire il passaggio oltremare in racquistare la Terrasanta, se Dio gliel'avesse conceduto. Questi stando in Alamagna per pacificare i baroni, e fornirsi di moneta e di gente per passare i monti, Vincislao re di Boemmia morì, del quale non rimase nulla reda maschio, se non due figliuole; l'una già moglie del dogio di Chiarentana, l'altra per consiglio de' suoi baroni diè per moglie a Giovanni suo figliuolo, e lui ne coronò re di Boemmia, e lasciollo in suo luogo in Alamagna.



II - Come parte guelfa fu cacciata di Vinegia

Nell'anno MCCCX, del mese di giugno, fatta congiura in Vinegia per quegli della casa di Querini, e per messer Bruiamonte de lo Scopolo di Vinegia col loro séguito, per abbattere il dogio ch'allora era in Vinegia da ca' Grandanigo e' suoi seguaci, quasi recata la terra a parte, Guelfi e Ghibellini si combattero per le dette parti ne la città. A la fine que' da ca' Querini e loro séguito Guelfi furono vinti e cacciati della terra, e guasti i loro palazzi (e fue la prima disfazione di casa che fosse mai fatta in Vinegia), e certi di loro caporali presi furono dicollati, e co·lloro due gentili uomini di Firenze, uno degli Adimari, e uno de' Sizii, ch'erano in loro compagnia.



III - De le profezie di maestro Arnaldo da Villanuova

Nel detto anno MCCCX maestro Arnaldo da Villanuova di Proenza gran savio filosafo in Parigi questionava, e annunziava per argomenti de le profezie di Daniello e de la Sibilla Eritea che l'avento d'Anticristo e persecuzione de la Chiesa dovea essere tra 'l MCCC e 'l MCCCC, quasi intorno al LXXVI anno, e di ciò fece uno libro il quale intitolò Della speculazione de l'avento Anticristi, per la qual cosa fu tenuto nuovo errore di fede. Partissi di Parigi per tema dello 'nquisitore, però che gli altri maestri di Parigi il faceano perseguitare, e andonne in Cicilia a don Federigo, e poi in suo servigio morì in mare, andando per ambasciadore a corte di papa.



IV - Come in Ferrara si fece congiura per ribellare la terra a la Chiesa

Nel detto anno, del mese di luglio, congiurazione si fece in Ferrara per rubellare la terra a la Chiesa, e quasi l'aveano rubellata. Il legato cardinale Pelagrù subitamente la soccorse coll'aiuto de' Bolognesi; e mostrando di riformare la terra, fece consiglio de' cittadini in Castello Tedaldo, e ritenne XXXVI de' migliori e maggiori de la terra, e subitamente gli fece impiccare in sulla piazza di Ferrara; e poi a dì XXII d'agosto il detto cardinale venne in Firenze, e fugli fatto grande onore da' Fiorentini, come dicemmo adietro.



V - Come i Todini furono sconfitti da' Perugini

Nel detto anno e mese di luglio i Perugini feciono oste a Todi, e mandarono per aiuto a' Fiorentini, i quali vi mandarono il mariscalco del re, ch'era al loro soldo, con CCC cavalieri. I Todini uscirono fuori a battaglia, e furono sconfitti con grande danno di loro gente, di morti e presi assai per lo valore del detto maliscalco e di sue masnade.



VI - Come i Guelfi furono cacciati di Spuleto

Nel detto mese di luglio furono cacciati i Guelfi di Spuleto per Currado di Nastagio di Filigno, grande capitano di parte ghibellina, co la forza de' Todini. Poi i Perugini per più tempo feciono oste e guerra assai a Spuleto; poi l'anno appresso accordo fu tra·lloro e' Todini e gli Spuletini, e rimessi i Guelfi in Todi e in Spuleto.



VII - Come Arrigo imperadore si partì de la Magna per passare in Italia

Nel detto anno MCCCX lo 'mperadore venne a Losanna del mese di... con poca gente, attendendo il suo isforzo e l'ambascerie de le città d'Italia, e ivi dimorò più mesi. Sentendo ciò i Fiorentini, ordinaro di mandargli una ricca ambasceria, e simigliante i Lucchesi, e' Sanesi, e l'altre terre della lega di Toscana; e già erano eletti gli ambasciadori, e levati i panni per le robe per loro vestire onoratamente. Per certi grandi Guelfi di Firenze si sturbò l'andata, temendo che sotto inganno di pace lo 'mperadore non rimettesse gli usciti ghibellini in Firenze e gli ne facesse signori; e in questo si prese il sospetto, e appresso lo sdegno, onde seguì grande pericolo a tutta Italia, che essendo gli ambasciadori di Roma e que' di Pisa e dell'altre città a Losanna in Savoia, lo 'mperadore domandò perché non v'erano que' di Firenze; per gli ambasciadori degli usciti di Firenze fu risposto al signore ch'egli aveano sospetto di lui. Allora disse lo 'mperadore: "Male hanno fatto, che nostro intendimento era di volere i Fiorentini tutti, e non partiti, a buoni fedeli, e di quella città fare nostra camera e la migliore di nostro imperio". E di certo si seppe da gente ch'erano appresso di lui ch'elli era infino allora con puro animo in mantenere quegli che reggeano Firenze in loro stato, e gli usciti n'aveano grande paura; che d'allora innanzi per questo isdegno e per mala informazione de' suoi ambasciadori venuti a·fFirenze, e de' Ghibellini, e Pisani, s'apprese al contradio. Per la qual cosa, l'agosto presente, i Fiorentini entrati in sospetto feciono M cavalieri cittadini di cavallate, e si cominciarono a guernire di soldati e di moneta, e a fare lega col re Ruberto e con più città di Toscana e di Lombardia, per isturbare la venuta e coronazione dello imperadore; e' Pisani acciò che passasse, sì mandarono LXm fiorini d'oro, e altrettanti gli promisono quando fosse in Pisa; e con questo aiuto si mosse da Losanna, ché da·ssé non era ricco signore di moneta.



VIII - Come il re Ruberto venne in Firenze tornando da la sua coronazione

Nel detto anno MCCCX, di XXX di settembre, il re Ruberto venne in Firenze tornando da Vignone, dov'era la corte del papa, da la sua coronazione: albergò in casa de' Peruzzi dal Parlagio, e da' Fiorentini gli fu fatto grande onore, e armeggiata, e presenti grandi di moneta, e dimorò in Firenze infino a XXIIII dì d'ottobre per riconciliare i Guelfi insieme, ch'erano divisi per sette intra·lloro, e per trattare al riparo dello 'mperadore. In riconciliargli poco potéo adoperare; tanto era l'errore cresciuto tra·lloro, come adietro è fatta menzione.



IX - Come Arrigo imperadore entròe in Italia, e ebbe la città di Milano

Nell'anno MCCCX, all'uscita di settembre, lo 'mperadore si partì da Losanna con sua gente, e passò la montagna di Monsanese, e all'entrata d'ottobre arrivò a Torino in Piemonte; appresso giunse ne la città d'Asti, dì X d'ottobre. Per gli Astigiani fu ricevuto pacificamente per signore, andandogli incontro con grande processione e festa, e tutte le discordie tra gli Astigiani pacificò. In Asti attese sue genti, e inanzi si partisse ebbe presso a IIm oltramontani a cavallo. In Asti soggiornò più di due mesi, però che in quello tempo tenea la signoria di Milano messer Guidetto de la Torre, uomo di grande senno e podere, il quale avea tra soldati e cittadini più di IIm uomini a cavallo, e per sua forza e tirannia teneva fuori di Milano i Visconti e loro parte ghibellina, e eziandio l'arcivescovo suo consorto con più altri Guelfi. Questo messer Guidetto avea lega co' Fiorentini e cogli altri Guelfi di Toscana e di Lombardia, e contendea la venuta dello 'mperadore, e sarebbegli venuto fatto, se non che' suoi consorti medesimi co·lloro séguito condussero lo 'mperadore a venire a Milano col consiglio del cardinale dal Fiesco legato del papa. Messer Guidetto non possendo al tutto riparare, asentì a la sua venuta contra sua voglia; e così entrò lo 'mperadore in Milano la villa de la festa di Natale, e il dì di Bifania, dì VI di gennaio, fu coronato in Santo Ambruogio da l'arcivescovo di Milano de la seconda corona del ferro onorevolemente egli e la moglie. E a la detta coronazione furono gli ambasciadori quasi di tutte le città d'Italia, salvo quegli di Firenze e di loro lega. E dimorando in Milano, pacificò tutti i Milanesi insieme, e rimisevi messer Maffeo Visconti e sua parte, e l'arcivescovo e' suoi, e ogni uomo che n'era di fuori. E quasi tutte le città e signori di Lombardia vennero a fare le comandamenta, e dargli grande quantità di moneta; e in tutte le terre mandò suo vicaro, salvo Bologna e Padova, ch'erano contra lui a la lega de' Fiorentini.



X - Come i Fiorentini chiusono di fossi le nuove cerchie della cittade

Nel detto anno, il dì di santo Andrea, i Fiorentini per tema della venuta dello 'mperadore sì ordinarono a chiudere la città di fossi da la porta a San Gallo infino a la porta di Santo Ambruogio, overo detta la Croce a Gorgo, e poi infino al fiume d'Arno: e poi, da la porta di San Gallo infino a quella dal Prato d'Ognesanti erano già fondate le mura, sì le feciono inalzare VIII braccia. E questo lavoro fu fatto sùbito e in poco tempo, la qual cosa fermamente fu poi lo scampo de la città di Firenze, come innanzi si farà menzione; imperciò che la città era tutta schiusa, e le mura vecchie quasi gran parte disfatte, e vendute a' prossimani vicini per allargare la città vecchia, e chiudere i borghi e la giunta nuova.



XI - Come quegli de la Torre furono cacciati di Milano

Nel detto anno, dì XI del mese dì febbraio, veggendosi messer Guidetto de la Torre fuori de la signoria di Milano, e Maffeo Visconti e gli altri suoi nimici assai innanzi a lo 'mperadore, si pensò di rubellare a lo 'mperadore la città di Milano, che v'avea col signore poca cavalleria, ch'era andata e sparta per le città di Lombardia, e sarebbegli venuto fatto, se non che Maffeo Visconti, molto savio, ne fece aveduto lo 'mperadore e 'l maliscalco suo e 'l conte di Savoia. Per la qual cosa la città si levò a romore e ad arme, e alcuna battaglia v'ebbe: altri dissono che messere Maffeo Visconti per suo senno e sagacità lo 'ngannò per farlo sospetto de lo 'mperadore, vegnendo a·llui segretamente, e dolendosi de la signoria dello 'mperadore e de' Tedeschi, mostrando ch'amasse meglio la libertà di Milano che sì fatta signoria; e innanzi volea lui per signore che lo 'mperadore, e ch'egli co' suoi gli darebbe ogni aiuto e favore per cacciarne lo 'mperadore. Al quale trattato messer Guidetto intese, fidandosi dell'antico nimico, per volontà di ricoverare suo stato e signoria, o che fosse per li suoi peccati, ch'assai n'avea; e approvossi la risposta di messer Maffeo, la quale gli fece per l'uomo di corte, come contammo adietro. Messer Maffeo sotto la detta promessa il tradì, e tutto il palesò a lo 'mperadore e al suo consiglio; e a questo diamo assai fede per quello ne sentimo poi da savi Lombardi ch'allora erano in Milano. E per questa cagione fu richesto dallo 'mperadore messere Guidetto de la Torre che si scusasse; non comparì, ma si partì con suoi seguaci di Milano, opponendo che non avea colpa del tradimento, ma che' suoi nimici gli aveano ciò apposto per distruggerlo e cacciarlo di Milano. Per gli più si credé pure che colpa avesse, però ch'egli era in lega co' Fiorentini e co' Bolognesi e coll'altre città guelfe, e si disse che ne dovea avere moneta assai da' Fiorentini e loro lega. Ma quale si fosse la cagione, e incontanente per le dette sodduzioni sì rubellò a lo 'mperadore la città di Chermona, dì XX di febbraio, e questa rubellazione e l'altre di Lombardia furono di certo con industria e spendio de' Fiorentini per dare tanto a·ffare in Lombardia a lo 'mperadore che non potesse venire in Toscana. In questo tempo i Ghibellini di Brescia cacciarono fuori i Guelfi, e simigliante avenne in Parma; per la qual cosa lo 'mperadore mandò suo vicario e gente in Brescia, e fece fare l'accordo, e rimettere i Guelfi nella terra, i quali poco appresso veggendosi forti ne la terra, e rubellata Chermona, e confortati da' Fiorentini e Bolognesi con danari e grandi impromesse, cacciarono i Ghibellini di Brescia, e al tutto si rubellarono a lo 'mperadore, e s'apparecchiaro di farli guerra.



XII - Come in Firenze ebbe grande caro, e altre novitadi

Nel detto anno MCCCX, dal dicembre al maggio vegnente, in Firenze ebbe grandissimo caro, che lo staio del grano valse uno mezzo fiorino d'oro, ed era tutto mischiato di saggina. E in questo tempo l'arti e la mercatantia non istette in Firenze mai peggio, e spese di Comune grandissime, e gelosie e paure per l'avento dello 'mperadore. In quello tempo, a l'uscita di febbraio, i Donati uccisono messer Betto Brunelleschi, e poco appresso i detti Donati e' loro parenti e amici raunati a San Salvi disotterraro messer Corso Donati, e feciono gran lamento e l'uficio come allora fosse morto, mostrando che per la morte di messer Betto fosse fatta la vendetta, e ch'egli fosse stato consigliatore della sua morte, onde tutta la città ne fu quasi ismossa a romore.



XIII - Come in Firenze vennono orlique di santo Barnaba

Nel MCCCXI, dì XIII d'aprile, vennero in Firenze reliquie del beato appostolo santo Barnaba, le quali mandò da corte di papa il cardinale Pelagrù al Comune di Firenze, perché sapea che' Fiorentini l'aveano in grande devozione. E fune fatta in Firenze grande reverenza e solennità, e furono riposte nell'altare di Santo Giovanni.



XIV - Come lo 'mperadore assediò Chermona, e sua gente ebbe Vincenza

Nel detto anno, dì XII del mese d'aprile, faccendo lo 'mperadore oste sopra Chermona, mandò il vescovo di Ginevra suo cugino con IIIc cavalieri oltramontani, e co la forza di messer Cane de la Scala di Verona subitamente tolse la città di Vincenza a' Padovani, e quegli ch'erano di Padova nel castello per paura sanza difendersi abandonarono la fortezza, la quale perdita fue grande isbigottimento a' Padovani e a tutta loro parte; per la qual cosa poco tempo appresso s'acconciarono collo imperadore, e diedongli la signoria di Padova, e Cm fiorini d'oro in più paghe, e 'l suo vicaro ricevettono. Il detto vescovo di Ginevra andò poi a Vinegia e richiese i Viniziani da parte de lo 'mperadore d'aiuto: feciongli grande onore, e donargli per comperare pietre preziose per la sua corona libbre M di viniziani grossi. E in Vinegia di que' danari e d'altri si fece la corona e la sedia imperiale molto ricca e nobile, d'ariento dorata la sedia, e d'oro con molte pietre preziose la corona.



XV - Come lo 'mperadore ebbe la città di Chermona

Nel MCCCXI, dì XX d'aprile, essendo lo 'mperadore ad oste a Chermona, essendo la città molto stretta perché s'erano male proveduti per la loro sùbita ribellazione, rendero la città a lo 'mperadore a misericordia per trattato dell'arcivescovo di Ravenna, il quale gli ricevette e perdonò loro, e fece disfare le mura e tutte le fortezze de la città, e di moneta forte gli gravò. E avuta Chermona, incontanente andò ad oste sopra la città di Brescia a dì XIIII di maggio, e là si trovò con più isforzo e con maggiore cavalleria e migliore ch'egli avesse mai, che di vero si trovò più di VIm buoni uomini di cavallo, i IIIIm e più, Tedeschi e Franceschi e Borgognoni e gentili uomini, e gli altri, Italiani; che auto lui Milano e poi Chermona, più grandi signori de la Magna e di Francia il vennero a servire, e chi a soldo, e molti per amore. E di certo s'allora avesse lasciata la 'mpresa de l'assedio di Brescia e venutosene in Toscana, egli aveva a queto Bologna, Firenze, Lucca, e Siena, e poi Roma, e 'l regno di Puglia, e tutte le terre contrarie, però che non erano forniti né proveduti, e gli animi de le genti molto variati, perché 'l detto imperadore era tenuto giusto signore e benigno. Piacque a Dio ristesse a Brescia, il quale assedio molto il consumò di genti e di podere per grande pestilenzia di morte e malatie, come innanzi farò menzione.



XVI - Come i Fiorentini per la venuta dello 'mperadore trassono di bando tutti i Guelfi

Nel detto anno, a dì XXVI d'aprile, avendo i Fiorentini novelle come Vincenza e Chermona erano rendute a lo 'mperadore, e come andava all'asedio di Brescia, per fortificarsi feciono appresso dicreto e ordine, e trassono di bando tutti i cittadini e contadini guelfi di che che bando si fosse, pagando certa piccola gabella: feciono più ordini di leghe in città e in contado e coll'altre terre guelfe di Toscana.



XVII - Come i Fiorentini con tutte le terre guelfe di Toscana feciono lega insieme contra lo 'mperadore

Nel detto anno MCCCXI, in calen di giugno, i Fiorentini, Bolognesi, Sanesi, Lucchesi, Pistolesi, e' Volterrani, e tutte l'altre terre guelfe di Toscana feciono parlamento e fermarono lega insieme, e fermarono taglia de' cavalieri, e giurarsi insieme a la difensione e contasto dello 'mperadore. E appresso, a dì XXVI di giugno, i Fiorentini mandarono a Bologna il maliscalco del re con IIIIc cavalieri catalani, ch'erano al loro soldo per la guardia di Bologna, e per contastare a lo 'mperadore se venisse da quella parte; e simigliante vi mandaro i Sanesi e' Lucchesi, e dimorarvi più mesi tra in Bologna e in Romagna in servigio del re Ruberto.



XVIII - Come il re Ruberto fece pigliare per inganno i Ghibellini di Romagna

Nel detto anno, dì VIII di luglio, venne in Firenze messer Giliberto da Santiglia con CC cavalieri catalani e Vc mugaveri a piè, che gli mandava il re Ruberto in Romagna per visconte, però che 'l papa avea fatto lo re conte di Romagna. Come fu di là, co la forza del maliscalco prese tutti i caporali ghibellini di Forlì, e di Faenza, e d'Imola, e dell'altre terre di Romagna, e misegli in pregione perché non gli rubellassono la terra, e acomiatòne tutti i Ghibellini e' Bianchi usciti di Toscana che v'erano.



XIX - Come il marchese del papa prese Fano e Pesaro

Nel detto anno, a l'entrante di settembre, il marchese ch'era ne la Marca per lo papa prese la città di Fano e quella di Pesaro, che s'erano rubellate a la Chiesa.



XX - Come lo 'mperadore Arrigo ebbe la città di Brescia per assedio

Nel detto anno MCCCXI, essendo lo 'mperadore ad oste a Brescia, più assalti v'ebbe, ove morì gente assai di que' d'entro e di que' di fuori, intra' quali fu morto a uno assalto, d'uno quadrello di balestro grosso, messer Gallerano di Luzzimborgo, fratello carnale e maliscalco dello 'mperadore, e più altri baroni buoni cavalieri; onde fu grande spavento a tutta l'oste. E per quella baldanza i Bresciani uscendo ispesso fuori ad assalire l'oste, del mese di giugno parte di loro furono rotti e sconfitti, e furonne presi da XL de' maggiori della terra, e morti ben CC, intra' quali presi fue messere Tebaldo Brusciati, il quale era capo della gente d'entro, e uomo di grande valore, ed era stato amico dello 'mperadore, e avealo rimesso in Brescia quando ne furono cacciati i Guelfi: fecelo isquartare a quattro cavagli come traditore, e più altri fece dicapitare, onde il podere de' Bresciani molto affiebolìo; ma però que' d'entro non lasciarono la difensione della città. In quello assedio si corruppe l'aria per la puzza de' cavalli e della lunga stanza del campo, onde v'ebbe grandissima infermità e d'entro e di fuori, e amalaro gran parte degli oltramontani, e molti grandi baroni vi morirono, e se ne partirono per la malatia, e morirne poi in cammino. Intra gli altri vi morì il valente messer Guido di Namurro fratello del conte di Fiandra, che fu capo de' Fiamminghi a la sconfitta di Coltrai, uomo di gran valore e rinnomea; per la quale cagione i più dell'oste consigliavano lo 'mperadore se ne partisse. Egli sentendo maggiormente la difalta dentro, sì de la 'nfertà e mortalità, e sì di vittuaglia, si fermò di non partirsi, ch'egli avrebbe la terra. Quegli di Brescia, fallendo loro la vivanda, per mano del cardinale dal Fiesco si renderono a la misericordia dello 'mperadore a dì XVI di settembre nel detto anno. Com'ebbe la città, le fece disfare tutte le mura e le fortezze, e condannogli in LXXm fiorini d'oro, e con gran fatica in più tempo per loro male stato gli ebbe; e C de' migliori della città, grandi e popolari, mandò a' confini in diverse parti. Partito dall'oste da Brescia con sua grande perdita e dammaggio, che il quarto de la sua gente non gli era rimasa, e quella gran parte inferma, fece suo parlamento in Chermona. Quivi per sodduzione e conforto de' Pisani e de' Ghibellini e Bianchi di Toscana, si fermò di venire a Genova e là riformare suo stato, e in Milano lasciò per vicaro e capitano messer Maffeo Visconti, e in Verona messer Cane della Scala, e in Mantova messer Passerino di Bonaposi, e in Parma messer Ghiberto da Coreggia, e così in tutte l'altre terre di Lombardia lasciò a tiranni, non possendo altro per lo suo male stato, e da ciascuno ebbe moneta assai, e brivileggiogli de le dette signorie.



XXI - Come i Fiorentini e' Lucchesi guernirono le frontiere per la venuta dello 'mperadore

Nel detto anno, a dì XVII d'ottobre, i Fiorentini sentendo che·llo 'mperadore venia a Genova, presono in guardia il castello e la rocca di Samminiato del Tedesco, e fornirlo di cavalieri e di pedoni, e mandarono gente a Volterra, acciò che non si rubellasse per gli Ghibellini a lo 'mperadore o a sua parte; e' Lucchesi fornirono tutte le castella di Lunigiana e del Valdarno di ponente.



XXII - Come papa Chimento diede legati a lo 'mperadore Arrigo che 'l coronassono

Negli anni di Cristo MCCCXI papa Chimento a la richesta de lo 'mperadore, non potendo in persona venire a Roma a coronarlo per cagione del concilio ordinato, mandò il vescovo d'Ostia cardinale da Prato legato, che potesse in ciò come la persona del papa; il quale fu co·llui in Genova del mese...; e mandò il detto papa legato in Ungheria messer Gentile da... cardinale per coronare Carlo Rimberto, figliuolo che fu di Carlo... nipote del re Ruberto, del reame d'Ungheria, e per dargli ... favore della Chiesa. E così fece, e dimorovvi più tempo in Ungheria il detto cardinale, tanto ch'ebbe conquistato quasi tutto il paese il detto Carlo, e lui coronato paceficamente. E alla sua tornata in Italia del detto cardinale ebbe comandamento dal papa che tutto il tesoro della Chiesa ch'era a Roma e in altre terre del Patrimonio conducesse di là da' monti a·llui, il quale così fece infino a la città di Lucca. Di là no·llo potéo più innanzi conducere per terra né per mare, perché la riviera di Genova così per terra come per mare era tutta scommossa a guerra per le parti, Guelfi e Ghibellini, per la venuta dello 'mperadore. Lasciollo in Lucca nella sagrestia di San Friano, il quale tesoro fu poi rubato per gli Ghibellini, come innanzi faremo menzione.



XXIII - Come papa Chimento fece concilio a Vienna in Borgogna, e canonizzò santo Lodovico figliuolo del re Carlo

Nel detto anno MCCCXI, per calen di novembre, il detto papa Chimento celebrò concilio a Vienna in Borgogna per la promessa fatta al re di Francia, per cagione della quistione mossa per lo detto re contra la memoria di papa Bonifazio, come adietro facemmo menzione, ov'ebbe più di CCC vescovi, sanza gli abati e prelati; e durò infino... In quello concilio si dichiarò che papa Bonifazio era stato cattolico, e non in caso di resia ove il re di Francia gli mettea adosso, e trovossi modo per contentare il re di Francia, e fecesi dicreto che per offesa che 'l re di Francia avesse fatta al detto papa Bonifazio o a la Chiesa mai a·llui né a sue rede potesse essere opposto né dato briga; e ordinossi che tutti i beni e possessioni ch'erano state della magione del Tempio, fossono della magione dello Spedale, le quali convenne che la magione dello Spedale ricomperasse grandissimo tesoro da·re e da' signori che·ll'aveano occupate; onde la magione dello Spedale si credette essere ricca, e per lo grande debito venne in male stato. Al detto concilio fu il re di Francia e più signori, e fecionvisi più costituzioni, e si cominciò il settimo libro de' decretali. E compiuto il concilio, il papa se n'andò a Bordello. In quello concilio fu canonizzato a santo Lodovico arcivescovo di Tolosa, frate minore, figliuolo del re Carlo e primogenito, e fratello del re Ruberto, e per essere religioso lasciò l'onore mondano e la corona del reame. Fu uomo benigno e di santa vita, e molti miracoli mostrò Iddio per lui, e prima a sua vita e poi.



XXIV - Come lo 'mperadore Arrigo venne nella città di Genova

Nel detto anno MCCCXI, a dì XXI d'ottobre, lo 'mperadore venne di Lombardia a Genova con VIc cavalieri di sua gente oltramontani, sanza i Lombardi. Per gli Genovesi fu ricevuto come loro signore onorevolemente, e fattagli gran festa, e datogli al tutto la signoria della terra; che fu tenuto grande cosa, essendo la libertà e la potenza de' Genovesi sì grande, come nulla città de' Cristiani in mare e in terra. Il detto imperadore pacificò tutte le discordie de' Genovesi, e rimisevi messer Ubizzino Spinoli e' suoi seguaci, che n'erano fuori per rubegli, e fece fare pace tra·lloro e gli Ori e loro parte: donargli i Genovesi alla sua venuta Lm fiorini d'oro, e alla 'mperadrice XXm.



XXV - Come in Arezzo venne vicario d'imperio

Negli anni MCCCXI, del mese d'ottobre, venne ad Arezzo vicaro dello 'mperadore uno gentile uomo di Padova: pacificò gli Aretini insieme, e rimisevi dentro i Guelfi, e poco appresso vi morì di rema.



XXVI - Come in Firenze vennero ambasciadori dello 'mperadore, e furonne cacciati

Nel detto anno e mese d'ottobre venieno a Firenze messer Pandolfo Savelli di Roma e altri cherici per ambasciadori dello 'mperadore; furono a la Lastra sopra Montughi, i priori di Firenze mandarono loro che non entrassono in Firenze, e si partissono. I detti non volendosi partire, furono rubati per malandrini di Firenze, con consentimento segreto de' priori; e con rischio delle persone fuggendo, se n'andarono per la via di Mugello ad Arezzo, richeggendo poi in Arezzo tutti i nobili e' signori e' Comuni di Toscana che s'apparecchiassono d'esser a la coronazione dello 'mperadore a Roma.



XXVII - Come i Fiorentini mandarono loro masnade in Lunigiana per contradiare i passi a lo 'mperadore

Nel detto anno, del mese d'ottobre, sentendo i Fiorentini che lo 'mperadore era partito di Lombardia e ito verso Genova, feciono tornare da Bologna il maliscalco co' loro soldati, e feciongli andare in Lunigiana a Pietrasanta e a Serrezzano con altra buona gente di Firenze e di Lucca a guardare il passo di Porta Beltramo e la via della marina, perché lo 'mperadore non potesse venire a Pisa.



XXVIII - Come in Genova morì la 'mperadrice

Nel detto anno, del mese di novembre, morì in Genova la 'mperadrice moglie dello 'mperadore, la quale era tenuta buona e santa donna; fue figliuola del duca di Brabante; e soppellissi a' frati minori con grande onore.



XXIX - Come lo 'mperadore fece suo processo contra i Fiorentini

Nel detto anno e mese lo 'mperadore fece in Genova suo processo contro a' Fiorentini, che se infra XL dì non gli mandassono XII buoni uomini con sindaco e pieno mandato ad ubbidirlo, che gli condannava in avere e in persona dove fossono trovati. Non vi mandò il Comune di Firenze, ma a tutti i Fiorentini mercatanti ch'erano in Genova comandato fue si dovessono partire, e così feciono; ma poi ogni mercatantia che si trovò in Genova in nome de' Fiorentini fue impacciata per la corte dello 'mperadore.



XXX - Di scandalo ch'ebbe in Firenze tra' lanaiuoli

Nel detto anno e mese i lanaiuoli di Firenze vennono tra·lloro in grande divisione e sette per cagione del consolato, e fune quasi a romore la città.



XXXI - Come il re Ruberto mandò gente a' Fiorentini per contastare lo 'mperadore

Nel detto anno, dì XV di dicembre, il re Ruberto mandò a Firenze CC de' suoi cavalieri ch'erano in Romagna, perché i Fiorentini e' Lucchesi potessono meglio contastare il passo a lo 'mperadore; ond'era capitano il conte di Luni da Raona.



XXXII - Come la città di Brescia si rubellò a lo 'mperadore

Nel detto anno, a l'uscita di dicembre, i Guelfi di Brescia rientrarono nella terra per ribellarla da la signoria dello 'mperadore. Cavalcovvi messer Cane della Scala con suo isforzo, e cacciogline fuori con grande loro dammaggio. E nel detto mese di dicembre messer Ghiberto da Coreggio, che tenea Parma, si rubellò da la signoria dello imperadore; e simile feciono i Reggiani; e' Fiorentini, e l'altra lega de' Guelfi di Toscana, mandarono loro aiuto di gente a cavallo.



XXXIII - Come in Firenze ebbe grande novità per la morte di messere Pazzino de' Pazzi

Nel detto anno, dì XI di gennaio, avenne in Firenze che messere Pazzino de' Pazzi, uno de' maggiori caporali che reggea la città e più amato dal popolo, andando a falcone in isola d'Arno a cavallo sanza guardia con suoi falconieri e famigliari, Paffiera de' Cavalcanti l'uccise, coll'aiuto de' Brunelleschi e d'altri masnadieri in sua compagnia a cavallo, a tradimento, secondo si disse, però che messer Pazzino da·lloro non si guardava; e ciò fece per vendetta di Masino de' Cavalcanti e di messer Betto Brunelleschi, dando colpa al detto messer Pazzino gli avesse fatti morire. Per la quale cosa, recato il corpo suo morto al palagio de' priori per più infamare i Cavalcanti, la città si mosse tutta a romore e ad arme, e col gonfalone del popolo in furia sì corse a casa i Cavalcanti, e misevisi fuoco, e da capo furono cacciati di Firenze i Cavalcanti. E per questa cagione il popolo di Firenze alle spese del Comune fece IIII de' Pazzi cavalieri, dotandoli de' beni e rendite del Comune.



XXXIV - Come la città di Chermona si rubellò dallo imperadore

Nel detto anno MCCCXI, dì X del detto mese di gennaio, i Chermonesi si rubellarono a la signoria dello 'mperadore, e cacciarne fuori sua gente e 'l suo vicario, e ciò fu per soddotta de' Fiorentini, che ancora v'aveano loro ambasciadore a trattare ciò, promettendo a' Chermonesi grande aiuto di danari e di gente; ma male fu loro per gli Fiorentini attenuto.



XXXV - Come il maliscalco dello 'mperadore giunse in Pisa, e cominciò guerra a' Fiorentini

Nel detto anno, dì XXI di gennaio, messer Arrigo di Namurro fratello del conte Ruberto di Fiandra, maliscalco dello 'mperadore, giunse per mare in Pisa con poca gente, e a due dì appresso uscì di Pisa con sua gente di qua dal Ponte ad Era, e tutte le some de' Fiorentini che venieno da Pisa fece prendere e rimenare in Pisa; onde i Fiorentini ebbono grande danno. Per questa cagione i Fiorentini mandarono gente a cavallo e a piede a la guardia di Samminiato e di quella frontiera.



XXXVI - Come i Padovani si rubellarono dalla signoria dello 'mperadore

Nel detto anno, dì XV di febbraio, i Padovani col conforto de' Fiorentini e Bolognesi si rubellarono da la signoria dello 'mperadore, e cacciarne il suo vicario e sua gente; e a romore uccisono messer Guiglielmo Novello loro cittadino, e gran capo di parte ghibellina in Padova.



XXXVII - Come lo 'mperadore Arrigo venne nella città di Pisa

Nel detto anno, a dì XVI del mese di febbraio, lo 'mperadore si partì di Genova per mare con XXX galee per venire a Pisa: per fortuna di tempo gli convenne dimorare in Portoveneri XVIII dì; poi di là arrivò a Porto Pisano, e in Pisa entrò a dì VI di marzo MCCCXI, e da' Pisani fu ricevuto come loro signore, faccendogli grande festa e processione, e al tutto gli diedono la signoria della città, faccendoli grandi doni di moneta per fornire sua gente, che gran bisogno n'aveva. In Pisa dimorò infino a dì XXII d'aprile MCCCXII, attendendo gente nuova di suo paese. In questo dimoro in Pisa il maliscalco suo colla sua gente molte cavalcate e asalti fece sopra le terre e castella de' Lucchesi e di Samminiato del Tedesco, sanza tenere campo o assedio. In quelle cavalcate presono il castello di Buti e la valle che teneano i Lucchesi; altro aquisto non vi fece di terra alcuna. In Pisa si trovò con MD cavalieri oltramontani cogl'infrascritti baroni e signori: l'arcivescovo di Trievi suo fratello carnale, il vescovo di Legge fratello del conte di Bari suo cugino, il duca di Baviera, il conte di Savoia suo cognato, il conte di Forese, messer Guido fratello del Dalfino di Vienna, messer Arrigo fratello del conte di Fiandra suo maliscalco e cugino, messer Ruberto figliuolo del detto conte di Fiandra, il conte d'Alvagna d'Alamagna chiamato Luffo Mastro, cioè in latino Mastro Siniscalco, uomo di grande valore, e più altri conti de la Magna non conosciuti da noi, castellani e banderesi assai, ciascuno di questi signori con sua gente, e molti Italiani, Lombardi e Toscani. I Fiorentini e gli altri Toscani sentendolo in Pisa, s'aforzarono di cavalieri e di gente in grande quantità per contastallo.



XXXVIII - Come gli Spuletini furono sconfitti da' Perugini

Nel detto anno MCCCXI, dì XXVIII di febbraio, gli Spuletini, ch'erano a parte ghibellina, furono sconfitti da' Perugini, e assai ne furono tra presi e morti.



XXXIX - Della raunata che 'l re Ruberto e la lega di Toscana feciono a Roma per contastare la coronazione d'Arrigo imperadore

Nell'anno MCCCXII, del mese d'aprile, sentendo il re Ruberto l'aparecchiamento che il re d'Alamagna facea in Pisa per venire a Roma per coronarsi, sì mandò innanzi a Roma, a la richesta e colla forza degli Orsini, messer Gianni suo fratello con VIc cavalieri catalani e pugliesi, e giunsono in Roma dì XVI d'aprile; e mandò a' Fiorentini e Lucchesi e Sanesi e l'altre terre di Toscana ch'erano in lega co·llui che vi mandassono loro isforzo; onde v'andarono a dì VIIII di maggio MCCCXII di Firenze CC cavalieri di cavallate de' migliori cittadini, e 'l maliscalco del re Ruberto, ch'era al loro soldo, con CCC cavalieri catalani e M pedoni, molto bella gente, ond'ebbe la 'nsegna reale messer Berto di messer Pazzino de' Pazzi, valente e savio giovane cavaliere, e a Roma morì al servigio del re e del Comune di Firenze. E di Lucca v'andarono CCC cavalieri e M pedoni; e Sanesi CC cavalieri e VIc pedoni; e molti d'altre terre di Toscana e di terra di Roma vi mandarono gente. I quali tutti furono in Roma a dì XXI di maggio MCCCXII al contasto della coronazione dello imperadore, e colla forza de' detti Orsini di Roma e di loro seguaci presono Campidoglio, e messer Luis di Savoia sanatore per forza ne cacciarono: presono le torri e fortezze a piè di Campidoglio sopra la Mercatantia, e fornirono Castello Adriano detto Santagnolo, e la chiesa e' palagi di San Piero; e così più della metade di Roma e la meglio popolata, e tutto Trastevero ebbono per forza e signoria. I Colonnesi e loro séguito che teneano la parte dello imperadore teneano Laterano, Santa Maria Maggiore, Culiseo, Santa Maria Ritonda, le Milizie, e Santa Savina; e così ciascuna parte imbarrata e aserragliata con grandi fortezze. E dimorandovi la gente de' Fiorentini, il dì di santo Giovanni Batista, loro principale festa, feciono correre in Roma palio di sciamito chermisi, sì come usano il detto dì in Firenze.



XL - Come lo 'mperadore Arrigo si partì di Pisa e andò a Roma

Nel detto anno, dì XXIII d'aprile, il re d'Alamagna si partì di Pisa con sua gente in quantità di MM cavalieri e più, e fece la via per Maremma, e poi per lo contado di Siena e per quello d'Orbivieto sanza soggiornare; e sanz'altro contrasto se n'andò a Viterbo e quello ebbe sanza contradio, però ch'era nella signoria de' Colonnesi. E passando lui per lo contado d'Orbivieto, i Filippeschi d'Orbivieto col loro séguito di Ghibellini cominciarono battaglia nella città contro a' Monaldeschi e gli altri Guelfi d'Orbivieto per dare la terra a lo 'mperadore. I Guelfi trovandosi forti e ben guerniti, combatterono vigorosamente innanzi che' Ghibellini avessono la forza della gente dello 'mperadore, sì gli vinsono e cacciarono della città, con molti morti e presi di loro parte. Soggiornando poi più giorni lo re d'Alamagna in Viterbo, perché non potea avere l'entrata de la porta di San Piero di Roma, e ponte Emale sopra Tevero era guernito e guardato per la forza degli Orsini, a la fine si partì di Viterbo, e in su Montemalo s'attendò, e poi per forza della sua gente di fuori, e di quella de' Colonnesi e di loro séguito d'entro, assaliro le fortezze e guardie di ponte Emale, e per forza le vinsono, e così entrò in Roma a dì VII di maggio, e andonne a Santa Savina ad albergo.



XLI - Come messer Galeasso Visconti di Milano prese la città di Piagenza

Nel detto anno MCCCXII, essendo i Guelfi della città di Piagenza in grande divisione tra·lloro, messer Alberto Scotti ch'era capo dell'una setta si elesse per loro podestà per VI mesi messer Galeasso Visconti figliuolo del capitano di Milano. Compiuto il termine, il detto messer Galeasso sotto spezie d'ambasceria mandò a Milano il detto messer Alberto Scotto, e X de' maggiori Guelfi, e X Ghibellini, e a Milano furono ritenuti i Guelfi; poi messer Galeasso con CC cavalieri che gli vennono da Melano, coll'aiuto de' Ghibellini, e massimamente di quegli della casa di Landa, corse la terra e fecesene fare signore, e caccionne i Guelfi, dì XXIIII di luglio del detto anno.



XLII - Come i Fiorentini levarono in isconfitta i Pisani da Cerretello

Nel detto anno, a dì XX di maggio, essendo i Pisani ad assedio d'uno loro castello in Valdera, ch'avea nome Cerretello, vi cavalcarono i Fiorentini da Vc cavalieri di cavallate, e le loro masnade di Catalani, e levargli da oste in isconfitta, e furonne assai morti e presi di gente a piede.



XLIII - Come Arrigo di Luzzimborgo fu coronato imperadore in Roma

Nel detto tempo, dimorando il re de' Romani in Roma più tempo per potere venire per forza a la chiesa di San Piero a coronarsi, più battaglie feciono la sua gente contra quegli del re Ruberto e de' Toscani che 'l contradiavano, e per forza vinsono e racquistarono Campidoglio, e le fortezze sopra la Mercatantia, e le torri di San Marco. E di certo si crede ch'avrebbe vinta in gran parte della punga, se non che uno giorno, a dì XXVI di maggio, a una gran battaglia il vescovo di Legge con più baroni d'Alamagna, avendo rotte le sbarre, e correndo la terra infino presso al ponte Santangiolo, la gente del re Ruberto con quella de' Fiorentini partendosi di Campo di Fiore per vie traverse, per costa fediro a la detta gente che cacciava, e ruppongli, e più di CCL cavalieri ne furono tra morti e presi, intra' quali fu il detto vescovo di Legge preso, e menandolo uno cavaliere in groppa di suo cavallo disarmato a messer Gianni fratello de·re Ruberto, uno Catalano a cui era stato morto il fratello in quella caccia il fedì dietro a le reni d'uno stocco, onde giugnendo a Castello Santangiolo, poco stette morì; onde fu grande danno, però che era signore di gran valore e di grande autorità. Per la detta perdita e sconfitta la gente del re Ruberto e loro séguito presono gran vigore, e quella del re d'Alamagna il contradio. Veggendo il signore che l'urtare non facie per lui, e che ne perdea sua gente e suo onore, avendo prima mandato al papa per licenza che' cardinali il potessono coronare in quale chiesa di Roma a·lloro piacesse, sì·ssi diliberò di coronarsi in San Giovanni Laterano; e in quella fu coronato per lo vescovo d'Ostia cardinale da Prato, e per messer Luca dal Fiesco e messer Arnaldo Guasconi cardinali, il dì di san Piero in Vincola, dì primo d'agosto MCCCXII, con grande onore, da quella gente ch'erano co·llui, e da quegli Romani ch'erano di sua parte. E coronato lo 'mperadore Arrigo, pochi giorni appresso se n'andò a Tiboli a soggiornare, e lasciò Roma imbarrata e in male stato, e ciascuna parte tenea le sue contrade afforzate e guernite. De' suoi baroni si partì, fatta la coronazione, il dogio di Baviera e sua gente, e altri signori de la Magna che·ll'aveano servito, sicché con pochi oltramontani rimase.



XLIV - Come lo 'mperadore si partì di Roma per venire in Toscana

Poi si partì lo 'mperadore da Tiboli, e venne con sua gente a Todi, e da' Todini fu ricevuto onorevolemente e come loro signore, però che teneano sua parte. I Fiorentini e gli altri Toscani, sentendo che lo 'mperadore s'era partito di Roma e facea la via verso Toscana, incontanente mandarono per la loro gente ch'era a Roma, per esser più forti a la sua venuta. E tornata la detta gente, i Fiorentini e l'altre terre di Toscana si guernirono le loro fortezze di cavalieri e di gente, per risistere a la venuta dello 'mperadore, temendo forte della sua forza, e faccendo più confinati, Ghibellini e sospetti; e' Fiorentini crebbono il numero delle loro cavallate in XIIIc, e soldati aveano col maliscalco e con altri da VIIc, sicché circa MM cavalieri aveano; e ciascuna altra città e terra di Toscana de la lega del re Ruberto e di parte guelfa s'erano isforzati di gente d'arme per tema dello 'mperadore.



XLV - Come lo 'mperadore venne a la città d'Arezzo, e poi come venne verso la città di Firenze

Del detto mese d'agosto, nel MCCCXII, si partì lo 'mperadore da Todi e venne per lo contado di Perugia guastando e ardendo, e per forza prese la sua gente Castiglione Chiusino sopra i·lago, e di là venne a Cortona, e poi ad Arezzo, e dagli Aretini fu ricevuto a grande onore. E in Arezzo fece sua raunanza per venire sopra la città di Firenze, e subitamente si partì d'Arezzo, e entrò in sul contado di Firenze a dì XII di settembre, e di presente gli fu renduto il castello di Caposelvole in su l'Ambra, ch'era de' Fiorentini. E poi si puose ad oste al castello di Montevarchi, il qual era bene guernito di gente, soldati a cavallo e a piè, e di vittuaglia: a quello fece dare più battaglie, e votare i fossi dell'acqua per riempiere. Quegli della terra veggendo ch'erano sì forte combattuti, e avea la terra le mura basse, che i cavalieri dello 'mperadore a piè combattendo, e colle scale salendo a le mura, non temendo saettamento né gittamento di pietre, sì isbigottirono forte, e maggiormente sentendo che' Fiorentini non gli soccorreano, sì s'arendero il terzo dì a lo 'mperadore. Avuto Montevarchi, sanza dimoro venne ad oste a Castello San Giovanni, e per simigliante modo gli si rendéo, e presevi da LXX cavalieri catalani soldati de' Fiorentini; e così sanza riparo ne venne nel borgo di Fegghine.



XLVI - Come i Fiorentini furono quasi sconfitti al castello de l'Ancisa da lo 'mperadore

I Fiorentini, sentendo lo 'mperadore partito d'Arezzo, incontanente cavalcaro popolo e cavalieri di Firenze, sanza attendere altra amistà, al castello de l'Ancisa in su l'Arno, e furono intorno di XVIIIc di cavalieri e gente a piè assai, e a l'Ancisa s'acamparo per tenere il passo a lo 'mperadore. Egli sentendo ciò, con sua gente armata venne nel piano de l'Ancisa in su l'isola d'Arno che si chiama il Mezzule, e richiese i Fiorentini di battaglia. I Fiorentini non sentendosi di numero di cavalieri guari più che quegli dello 'mperadore, e erano sanza capitano, non si vollono mettere a la ventura de la battaglia, credendosi per lo forte passo riparare lo 'mperadore, che non potesse valicare verso Firenze. Lo 'mperadore veggendo che' Fiorentini non voleano combattere, per consiglio de' savi uomini di guerra usciti di Firenze si prese la via del poggio di sopra a l'Ancisa, per istretti e forti passi valicò il castello, e venne da la parte verso Firenze. Veggendo l'oste de' Fiorentini la sua mossa, dubitando non venisse a la città di Firenze, parte di loro col maliscalco del re e sue masnade si partirono da l'Ancisa per essergli dinanzi al cammino. Il conte di Savoia e messer Arrigo di Fiandra, ch'erano venuti innanzi a prendere il passo, sotto a Montelfi vigorosamente fediro a quelli ch'erano a la frontiera, e col vantaggio ch'aveano del poggio gli misono in volta e in isconfitta, seguendogli parte di loro infino nel borgo de l'Ancisa. La rotta de' Fiorentini fu più per lo sbigottimento del sùbito assalto, che per dammaggio di gente; che tra tutti non vi morirono XXV uomini di cavallo, e meno di C a·ppiede; e quasi tutti quegli oltramontani che per forza vennono cacciando infino nel borgo rimasono morti. Ma pure la gente dello 'mperadore rimasono vincenti de la punga, i Fiorentini molto impauriti; e quella notte lo 'mperadore s'atendò di qua da l'Ancisa verso Firenze due miglia. I Fiorentini rimasono nel castello de l'Ancisa quasi assediati e con poco fornimento di vittuaglia sì fattamente, che se lo 'mperadore fosse stato fermo a l'assedio, i Fiorentini ch'erano ne l'Ancisa erano quasi tutti morti e presi. Ma come piacque a Dio, lo 'mperadore prese consiglio la notte d'andarsene al diritto a la città di Firenze, credendolasi avere sanza contasto, lasciandosi l'oste de' Fiorentini adietro ne l'Ancisa, come assediati e molto impauriti e peggio ordinati.



XLVII - Come lo 'mperadore Arrigo si puose ad oste a la città di Firenze

E così il seguente giorno, dì XVIIII di settembre MCCCXII, lo 'mperadore venne ad oste a la città di Firenze, ardendo la sua gente quanto si trovavano innanzi; e così passò il fiume d'Arno allo 'ncontro ov'entra la Mensola, e attendossi a la badia di Santo Salvi forse con M cavalieri. L'altra sua gente rimase in Valdarno, e parte a Todi, i quali gli vennero poi. E vegnendo per lo contado di Perugia, da' Perugini furono assaliti e quegli si difesono: con danno e vergogna de' Perugini passarono. E giunse lo 'mperadore sì sùbito, che i più de' Fiorentini non poteano credere vi fosse in persona; ed erano sì ismarriti per tema della loro cavalleria, ch'era rimasa a l'Ancisa quasi come isconfitti, che se lo 'mperadore o sua gente in su la sùbita venuta fossono venuti a le porte, le trovavano aperte e male guernite; e per gli più si crede ch'avrebbe presa la città. Tuttora i Fiorentini, veggendo l'arsioni delle case per lo cammino facea, a suono di campana s'armarono il popolo e co' gonfaloni delle compagnie vennero ne la piazza de' loro priori, e 'l vescovo di Firenze con cavagli de' cherici s'armò, e trasse a la difensione de la porta di Santo Ambruogio e di fossi, e tutto il popolo a piede co·llui, e serraro le porte, e ordinarono i gonfalonieri e loro gente su per gli fossi a le poste a la guardia de la città di dì e di notte. E dentro a la città, da quella parte, puosono uno campo con padiglioni, logge e trabacche, acciò che la guardia fosse più forte, e feciono steccati su per fossi d'ogni legname e bertesche in assai brieve tempo. E così dimoraro in grande paura i Fiorentini due dì, che' loro cavalieri e oste tornarono da l'Ancisa per diverse vie per Valle di Robbiano e da Santa Maria in Pianeta a Montebuoni di notte tempore. Giunti in Firenze, la città si rassicurò: e' Lucchesi vi mandarono a l'aiuto e guardia de la città VIc cavalieri e IIIm pedoni, e' Sanesi VIc cavalieri e IIm pedoni, e' Pistolesi C cavalieri e Vc pedoni, e' Pratesi L cavalieri e IIIIc pedoni, e' Volterrani C cavalieri e IIIc pedoni, e Colle e San Gimignano e Samminiato ciascuno L cavalieri e CC pedoni, i Bolognesi IIIIc cavalieri e M pedoni. Di Romagna vi vennono tra di Rimine e di Ravenna e di Faenza e Cesena e l'altre terre guelfe CCC cavalieri e MD pedoni, e d'Agobbio C cavalieri, e da la Città di Castello L cavalieri. Di Perugia non vi venne aiuto per la guerra ch'aveano co' Todini e Spuletini. E così infra VIII dì posto l'assedio per lo 'mperadore, si trovarono i Fiorentini co·lloro amistà più di IIIIm uomini a cavallo, e gente a piè sanza numero. Lo 'mperadore era con XVIIIc cavalieri, gli VIIIc oltramontani, e M Italiani, di Roma, de la Marca, del Ducato, d'Arezzo, e di Romagna, e de' conti Guidi, e di quegli di Santa Fiore, e usciti di Firenze, e gente a piè assai; però che' nostri contadini da la parte ov'e' possedea, tutti seguivano il suo campo. E fu quell'anno il più largo e uberoso di tutte vittuaglie che fosse XXX anni adietro. A l'assedio dimorò lo 'mperadore infino a l'ultimo dì del mese d'ottobre, guastando il contado tutto da la parte di levante, e fece gran danno a' Fiorentini sanza dare battaglia niuna a la città, stando in isperanza d'averla di concordia; e tutto l'avesse combattuta, era sì guernita di gente a cavallo, che due tanti e più n'aveva a la difensione della città che di fuori, e gente a piè per ognuno IIII. E rassicurarsi sì i Fiorentini, che i più andavano disarmati, e teneano aperte tutte l'altre porte, fuori che da quella parte; e entrava e usciva la mercatantia, come se non v'avesse guerra. Dell'uscire fuori i Fiorentini a battaglia, o per viltà o per senno di guerra, o per non avere capo, in nulla guisa si vollono mettere a la fortuna del combattere, che assai aveano il vantaggio, s'avessono avuto buono capitano, e tra·lloro più uniti che non erano. Ben feciono una cavalcata a Cerretello, che v'erano tornati i Pisani a oste, e ancora gli ne levarono a modo di sconfitta del mese d'ottobre. Lo 'mperadore fu malato più giorni a San Salvi, e veggendo non potea avere la città per accordo, né la battaglia non voleano i Fiorentini.



XLVIII - Come lo 'mperadore si partì dall'asedio da San Salvi e andonne a San Casciano, e poi a Poggibonizzi

Lo 'mperadore con sua oste si partì la notte vegnendo la Tusanti, ardendo il campo, valicò Arno per la via ond'era venuto, e acampossi nel piano d'Ema di lungi a la città da III miglia. Né già per sua levata i Fiorentini non uscirono la notte della città, ma sonarono le campane, e ogni gente fu ad arme; e per quello si seppe poi, la gente dello 'mperadore ebbono gran tema della levata, che la notte non fossono assaliti dinanzi o a la retroguardia da' Fiorentini. La mattina vegnente una parte de' Fiorentini andarono al poggio di Santa Margherita sopra il campo dello 'mperadore, e a modo di badalucchi più assalti gli feciono, de' quali ebbono il peggiore: e con vergogna là dimorato III giorni, si partì, e andonne con sua oste in sul borgo di San Casciano presso a la città VIII miglia; per la qual cosa i Fiorentini feciono afossare il crescimento del sesto d'Oltrarno, ch'era fuori delle mura vecchie, in calen di dicembre MCCCXII. E stando lo 'mperadore a San Casciano, gli vennono in aiuto i Pisani ben Vc cavalieri e IIIm pedoni, e M balestrieri di Genova, e giunsono a dì XX di novembre. A San Casciano dimorò infino a dì VI di gennaio sanza fare a' Fiorentini altro assalto se non di correrie e guasto e arsioni di case per lo contado, e prese più fortezze de la contrada; né perciò i Fiorentini non uscirono fuori a battaglia, se non in correrie e scheremugi, quando a danno dell'una parte e quando dell'altra, da non farne gran menzione, se non ch'a una avisaglia a Cerbaia di Valdipesa furono i nostri rotti da' Tedeschi, e morì uno degli Spini, e uno de' Bostichi, e uno de' Guadagni per loro franchezza in questa stanza, ch'erano d'una compagnia di volontà a una insegna campo verde e banda rossa con capitano, e chiamavansi i cavalieri della Banda, de' più pregiati donzelli di Firenze, e assai feciono d'arme. Ma in quella stanza i Fiorentini s'aleggiarono di gran parte di loro amistà, e dierono loro commiato, e allo 'mperadore medesimo mancò gente, e per lo suo lungo dimoro e per disagio di freddo si cominciò nel campo a San Casciano grande infermeria e mortalità di gente, la quale corruppe la contrada forte, e infino in Firenze seguì parte; per la qual cagione si partì lo 'mperadore con sua oste da San Casciano, e andonne a Poggibonizzi, e prese il castello di Barberino e di San Donato in Poggio, e più altre fortezze: a Poggibonizzi ripuose il castello in sul poggio, come solea essere anticamente, e puosegli nome Castello Imperiale. Là dimorò infino a dì VI di marzo, e gli fallò molto la vittuaglia, e soffersevi gran soffratta egli e tutta sua oste, che' Sanesi dall'una parte e' Fiorentini da l'altra gli aveano chiuse le strade, e IIIc soldati del re Ruberto erano in Colle di Valdelsa, che 'l guerreggiavano al continuo; e tornando da Casoli CC cavalieri dello 'mperadore, furono sconfitti da' cavalieri del re ch'erano in Colle dì XIIII di febbraio MCCCXII. E d'altra parte il maliscalco co' soldati de' Fiorentini era a guerreggiarlo in San Gimignano, sì che lo stato dello 'mperadore scemò molto, sì che quasi non gli rimasono M uomini a cavallo, che messer Ruberto di Fiandra se ne partì con sua gente, e da' Fiorentini fu combattuto di costa a Castello Fiorentino, e morta e presa di sua gente gran parte, e egli con pochi si fuggì, con tutto ch'assai tenne campo, e assai diè a·ffare a quella gente l'assaliro, ch'erano per uno quattro, ed ebbonne vergogna.



XLIX - Come lo 'mperadore si partì da Poggibonizzi e si tornò in Pisa, e fece molti processi contro a' Fiorentini

Lo 'mperadore veggendosi così assottigliato e di gente e di vittuaglia, e eziandio di moneta, che nulla gli era rimaso da spendere, se non che ambasciadori del re Federigo di Cicilia, i quali apportarono a Pisa e vennono a·llui a Poggibonizzi per fermare lega co·llui incontro al re Ruberto, gli diedono XXm dobbre d'oro. Con quelle pagati i debiti, si partì da Poggibonizzi, e sanza soggiorno si tornò a Pisa a dì VIIII di marzo MCCCXII assai in male stato di sé e di sue genti; ma questa somma virtude ebbe in sé, che mai per aversità quasi non si turbò, né per prosperità ch'avesse non sì vanagloriò. Tornato lo 'mperadore in Pisa, fece grandi e gravi processi sopra i Fiorentini di torre a la città ogni giuridizione e onori, disponendo tutti giudici e notari, e condannando il Comune di Firenze in Cm marchi d'ariento, e' più grandi cittadini e popolari che reggeano la città nell'avere e persone e ne' loro beni, e che i Fiorentini non potessero battere moneta d'oro né d'argento; e consentì per privilegio a messer Ubizzino Spinola di Genova e al marchese di Monferrato che potessono battere in loro terre i fiorini d'oro contraffatti sotto il conio di quegli di Firenze; la qual cosa da' savi gli fu messa in grande difalta e peccato, che per cruccio e mala volontà ch'avesse contro a' Fiorentini non dovea niuno privileggiare che battessono fiorini falsi.



L - Come lo 'mperadore condannò il re Ruberto

Sopra il re Ruberto fece simigliantemente grandi processi, condannandolo nel reame di Puglia e della contea di Proenza, e lui e sue rede nelle persone, come traditori dello 'mperio; i quali processi furono poi cassi e annullati per papa Giovanni XXII. E stando lo 'mperadore in Pisa, messer Arrigo di Fiandra suo maliscalco cavalcò in Versilia, in Lunigiana con VIIIc cavalieri e VIm pedoni, e per forza prese Pietrasanta dì XXVIII di marzo MCCCXIII. I Lucchesi, i quali erano a Camaiore collo sforzo de' Fiorentini, e non ardirono a contastare, si tornarono in Lucca. E Serrezzano, che 'l teneano i Lucchesi, s'arrenderono a' marchesi Malispini che teneano collo imperadore.



LI - Come lo 'mperadore s'apparecchiò per andare nel Regno contro al re Ruberto, e si partì di Pisa

Fatto ciò, prese consiglio lo 'mperadore di non urtare co' Fiorentini e cogli altri Toscani, che poco n'avea avanzato, ma peggiorato suo stato; ma di farsi dal capo, e d'andare sopra il re Ruberto con tutto suo isforzo, e torregli il Regno; e se venuto gli fosse fatto, si credea essere signore d'Italia; e di certo così sarebbe stato, se Idio non avesse riparato, come faremo menzione. Egli s'allegò col re Federigo, che tenea l'isola di Cicilia, e co' Genovesi, e ordinò che ciascuno a giorno nomato avesse in mare grande navilio di galee armate; in Alamagna e in Lombardia mandò per gente nuova, e così richiese tutti i suoi sudditi e' Ghibellini d'Italia. In questo soggiorno in Pisa raunò moneta assai, e non dormendo, tuttora al suo maliscalco facea guerreggiare Lucca e Samminiato, ma poco n'avanzò. Nella state MCCCXIII che soggiornò in Pisa, venutogli suo isforzo, si trovò con più di MMD cavalieri oltramontani, i più Alamannì, e Italiani ben MD. I Genovesi armarono a sua richesta LXX galee, onde fu amiraglio messer Lamba d'Oria, e venne col detto stuolo in Porto Pisano, e parlò a lo 'mperadore; e poi n'andò verso il Regno a l'isola di Ponzo. Il re Federigo armò L galee, e il giorno nominato, dì V d'agosto MCCCXIII, lo 'mperadore si partì di Pisa; e quello dì medesimo si trovò, lo re Federigo si partì coll'armata di Messina, e con M cavalieri si puose in su la Calavra, e prese la città di Reggio, e più altre terre.



LII - Come lo 'mperadore Arrigo morìo a Bonconvento nel contado di Siena

Partito lo 'mperadore di Pisa, passò su per l'Elsa e combatté Castello Fiorentino, e nol potéo avere: passò oltre tra Poggibonizzi e Colle infino a Siena lungo le porte. In Siena avea gente assai; e cavalieri di Firenze alquanti per badalucchi uscirono per la porta di Cammollia, ed ebbonne il peggiore, e furono ripinti per forza nella città; e così Siena in grande paura, lo 'mperadore valicò la città, e puosesi a campo a Monte Aperti in su l'Arbia. Là cominciò amalare, con tutto che infino a la partita di Pisa si sentisse; ma per non fallire la partita sua al giorno ordinato, si mise a cammino. Poi andò in piano di Filetta per bagnarsi al bagno a Macereto, e di là andò al borgo a Bonconvento, di là da Siena XII miglia. Là agravò forte, e come piacque a·dDio, passò di questa vita il dì di santo Bartolomeo, dì XXIIII d'agosto MCCCXIII.



LIII - Conta come morto lo 'mperadore si divise la sua oste, e' suoi baroni ne portarono il corpo a la città di Pisa

Morto lo 'mperadore Arrigo, la sua oste, e' Pisani, e tutti i suoi amici ne menarono grande dolore, e' Fiorentini, Sanesi, e' Lucchesi, e quegli di loro lega ne feciono grande allegrezza. Incontanente, lui morto, si partirono gli Aretini e gli altri Ghibellini della Marca e di Romagna dell'oste da Bonconvento, ne la quale avea gente grandissima a cavallo e a piede. I suoi baroni e' cavalieri pisani con loro gente sanza soggiorno passarono per la Maremma col corpo suo, e recarlo in Pisa: là con grande dolore, e poi con grande onore il soppellirono al loro Duomo. Questa fu la fine dello 'mperadore Arrigo. E non si maravigli chi legge, perché per noi è continuata la sua storia sanza raccontare altre cose e avenimenti d'Italia e d'altre province e reami; per due cose: l'una, perché tutti i Cristiani, ed eziandio i Saracini e' Greci, guardavano al suo andamento e fortuna, e per cagione di ciò poche novità notabili erano in nulla parte altrove; l'altra, per le diverse e varie grandi fortune che gl'incorsono in sì piccolo tempo ch'egli visse, che di certo si credea per gli savi che se la sua morte non fosse stata sì prossimana, al signore di tanto valore e di sì grandi imprese com'era egli, avrebbe vinto il Regno e toltolo al re Ruberto, che piccolo apparecchiamento avea al riparo suo. Anzi si disse per molti che 'l re Ruberto no·ll'avrebbe atteso, ma itosene per mare in Proenza; e appresso s'avesse vinto il Regno come s'avisava, assai gli era leggere di vincere tutta Italia, e dell'altre province assai.



LIV - Come Federigo detto re di Cicilia venne per mare a la città di Pisa

Federigo di Cicilia, il qual era in mare con suo stuolo, come fatta è menzione, agiuntosi già co' Genovesi, sentendo de la morte dello 'mperadore, venne in Pisa, e non avendo potuto vedere lo 'mperadore vivo, sì 'l volle vedere morto. I Pisani per dotta de' Guelfi di Toscana e del re Ruberto sì vollono il detto don Federigo fare loro signore: non volle la signoria, ma per sua scusa domandò loro molto larghi patti fuori di misura, con tutto che per gli più si credette che, bene che' Pisani gli avessono fatti, non avrebbe voluto lasciare la stanza di Cicilia per signoreggiare Pisa; e così sanza grande dimoro si tornò in Cicilia. I Pisani rimasi molto sconsolati e in paura, vollono fare signore il conte di Savoia e messer Arrigo di Fiandra: nullo volle ricevere; ma tutti i caporali e' baroni ch'erano collo imperadore si partirono e tornarono in loro paesi. Altri cavalieri tedeschi e brabanzoni e fiamminghi co·lloro bandiere rimasono al soldo de' Pisani intorno di mille a cavallo. E i Pisani non potendo avere altro capitano, elessono Uguiccione da Faggiuola di Massa Trabara, il quale era stato per lo 'mperadore vicaro in Genova. Questi venne a Pisa e prese la signoria, e appresso, col séguito de' cavalieri tedeschi che vi rimasono, fece in Toscana grandissime cose, come innanzi si farà menzione.



LV - Come il conte Filippone di Pavia fu sconfitto a Piagenza

Nel detto anno MCCCXIII, del mese d'agosto, il conte Filippone di Pavia co la parte guelfa vegnendo sopra Piagenza, che·lla tenea messer Galeasso Visconti, fu sconfitto e preso.



LVI - Come i Fiorentini diedono la signoria di Firenze al re Ruberto per cinque anni

Nel detto anno MCCCXIII, ancora vivendo lo 'mperadore, i Fiorentini parendo loro essere in male stato, sì per la forza dello 'mperadore e di loro usciti, e ancora dentro tra·lloro per le sette nate per cagione delle signorie, si diedono al re Ruberto per V anni, e poi appresso si raffermarono per III. E così VIII anni appresso il re Ruberto n'ebbe la signoria, mandandovi di VI in VI mesi suo vicario; e 'l primo fu messer Iacomo di Cantelmo di Proenza, che venne in Firenze del mese di giugno MCCCXIII. E per simile modo appresso feciono i Lucchesi e' Pistolesi e' Pratesi di darsi alla signoria del re Ruberto. E di certo fu lo scampo de' Fiorentini, che per le grandi divisioni tra' Guelfi insieme, se 'l mezzo della signoria del re non fosse stata, guasti e stracciati s'arebbono tra·lloro, e cacciata parte.



LVII - Come gli Spinoli furono cacciati di Genova

Nel detto anno, del mese di febbraio e di marzo, essendo morto lo 'mperadore, e partito Uguiccione da Faggiuola di Genova, i Genovesi ghibellini tra·lloro ebbono grande discordia per invidia degli ufici e signoria della terra; che gli Orii ch'erano possenti, e gli Spinoli somigliante, ciascuno volea essere il maggiore. Per la qual cosa vennero a battaglia cittadina insieme, la quale durò per XX dì continui molto pericolosa, che tutta la città era partita, l'una parte cogli Ori, e l'altra cogli Spinoli; nella quale battaglia molti ebbe morti d'una parte e d'altra. A la fine misono fuoco combattendo, onde arsero più di IIIc case nel migliore della città; e dibattuti di tanta pestilenza, gli Spinoli non tanto per forza cacciati, ma per isdegno si partirono della città, e andarne a Bazzalla; e la terra rimase a la signoria di quegli d'Oria e de' Grimaldi che teneano co·lloro, e feciono stato comune di popolo, e durò più anni.



LVIII - Come Uguiccione signore in Pisa fece molta guerra a' Lucchesi sì che misono i Ghibellini usciti per isforzata pace in Lucca

Nel detto anno MCCCXIII, essendo Uguiccione in Pisa per signore appresso la morte dello 'mperadore colla masnada tedesca, non istette ozioso, ma innanzi ch'a·lloro fosse cominciata guerra, vigorosamente assalirono i Lucchesi e' Samminiatesi, cavalcandogli molto spesso infino a le porte, ardendo e guastando; e in più avisamenti sempre n'ebbono i Lucchesi il peggiore, però che per la loro discordia tra' Guelfi medesimi, per sette fatte per invidia di loro signorie, male intendeano a seguire l'antica loro buona sollecitudine e unità e vittorie, ma scemando loro cavallate e soldati; per la qual cosa a' Fiorentini convenia portare tutto il fascio e la spesa, sovente cavalcando a Lucca, popolo e cavalieri, a la loro difensione. Ma Uguiccione co' Pisani essendo di presso, partiti i Fiorentini, incontanente gli cavalcava, sì che molto gli afrisse; e per la loro divisione de la quale era capo dell'una setta messer Luti degli Obizzi, e dell'altra messer Arrigo Berarducci, contra la volontà de' Fiorentini pace feciono co' Pisani, rendendo loro Ripafratta e più altre castella de' Pisani, ch'anticamente aveano sopra loro guadagnate, e rimisono in Lucca quegli della casa degl'Interminegli e loro séguito; onde i Fiorentini molto isdegnarono e furono crucciosi.



LIX - Della morte di papa Chimento

Nell'anno MCCCXIIII, dì XX d'aprile, morì papa Chimento: volendo andare a Bordello in Guascogna, passato il Rodano a la Rocca Maura in Proenza, amalò e morì. Questi fu uomo molto cupido di moneta, e simoniaco, che ogni benificio per danari s'avea in sua corte, e fu lussurioso; che palese si dicea che tenea per amica la contessa di Pelagorga bellissima donna, figliuola del conte di Fusci. E lasciò i nipoti e suo lignaggio con grandissimo e innumerabile tesoro. E dissesi che, vivendo il detto papa, essendo morto uno suo nipote cardinale cu' egli molto amava, costrinse uno grande maestro di negromanzia che sapesse che dell'anima del nipote fosse. Il detto maestro, fatte sue arti, uno cappellano del papa molto sicuro fece portare a' dimonia, i quali il menarono a lo 'nferno, e mostrargli visibilemente uno palazzo, iv'entro uno letto di fuoco ardente, nel quale era l'anima del detto suo nipote morto, dicendogli che per la sua simonia era così giudicato. E vide nella visione fare un altro palazzo a la 'ncontra, il quale gli fu detto si facea per papa Clemento; e così rapportò il detto cappellano al papa, il quale mai poi non fu allegro, e poco vivette appresso: e morto lui, lasciato la notte in una chiesa con grande luminara, s'accese e arse la cassa, e 'l corpo suo da la cintola in giù.



LX - Come Uguiccione co' Pisani presono la città di Lucca, e rubarono il tesoro della Chiesa

Nel detto anno MCCCXIIII, essendo i Ghibellini rimessi in Lucca, Uguiccione molto tegnendo corti i Lucchesi, che rendessono i beni loro, e' Guelfi di Lucca che gli s'aveano apropiati non gli voleano rendere, per lo detto Uguiccione tradimento fu ordinato in Lucca cogl'Interminelli, che v'erano rimessi, e con Quartigiani e Pogginghi e Onesti. E subitamente a dì XIIII di giugno nel detto anno, la terra sì misono a romore, combattendo insieme, e giugnendo Uguiccione a le porte co' Pisani e loro isforzo per la detta parte, gli fu data la postierla del Prato. Onde entrò nella terra con sua gente il vicaro del re Ruberto, messer Gherardo da Sa·Lupidio de la Marca, e gli altri Guelfi di Lucca male in accordo e peggio forniti di cavalieri e di gente; e bene ch'avessono mandato per soccorso a' Fiorentini, i quali già venuti a Fucecchio, ma il loro soccorso fu tardi, perché Uguiccione co' Pisani aveano corsa la terra. Per la qual cosa il vicaro del re Ruberto e gli altri Guelfi non potendo resistere, uscirono di Lucca e vennonne a Fucecchio, e a Santa Maria a Monte, e l'altre castella del Valdarno, e la città di Lucca per gli Pisani e' Tedeschi fu corsa e spogliata d'ogni ricchezza, che per VIII dì durò la ruberia così agli amici come a' nemici, pur chi più avea forza, con molti micidii e incendii. E oltre a·cciò il tesoro della Chiesa di Roma, che 'l cardinale messer Gentile da Montefiore de la Marca avea per comandamento del papa tratto di Roma e di Campagna e del Patrimonio, e avevalo lasciato in San Friano di Lucca, per lo detto Uguiccione e sue masnade tedesche, e per gli Pisani tutto fu rubato e portato in Pisa. E non si ricorda di gran tempi passati che una città avesse una sì grande aversità e perdite per parte che vi rientrasse com'ebbe la città di Lucca d'avere e di persone.



LXI - Come messer Piero fratello del re Ruberto venne in Firenze per signore

Nel detto anno e mese di giugno i Fiorentini avendo novelle della perdita di Lucca, furono molto crucciosi e scommossi, e già avendo dinanzi gl'indizii, s'erano mossi al soccorso, ma giunsono tardi, ché Uguiccione co' Pisani erano più vicini, e prima fornirono d'avere Lucca. I Fiorentini, essendo perduta Lucca, presono poi le castella di Valdarno che ancora si teneano a parte guelfa, ciò furono Fucecchio, Santa Maria a Monte, Montecalvi, Santa Croce, e Castello Franco, e Montetopoli; e in Valdinievole, Montecatini e Montesommano; ma Serravalle, in su la perdita di Lucca, per nigrigenza e avarizia de' Pistolesi, non volendo spendere CCC fiorini d'oro per dare a le masnade che 'l teneano, dagli usciti di Pistoia fu preso; e così Toscana apparecchiata a grande guerra per la rivoluzione della città di Lucca. I Fiorentini mandarono incontanente in Puglia al re Ruberto che mandasse loro uno de' frategli con gente a cavallo e per loro capitano. Il re Ruberto sanza in dugio mandò a·fFirenze messer Piero suo minore fratello, giovane molto grazioso e savio e bello, con CCC uomini di cavallo, e con savio consiglio di suoi baroni; e giunse in Firenze a dì XVIII d'agosto del detto anno: da' Fiorentini fu ricevuto a grande onore come loro signore, dandoli del tutto la signoria della città, e faceva i priori e tutti gli uficiali di Firenze. E fu sì grazioso apo i Fiorentini, che se fosse vivuto, per gli più si dice che' Fiorentini l'avrebbono fatto loro signore a vita.



LXII - Come il re Ruberto andò con grande stuolo sopra Cicilia, e assediò la città di Trapali

Nel detto anno MCCCXIIII il re Ruberto per vendicarsi di don Federigo di Cicilia che alla venuta dello 'mperadore gli avea rotta pace, e allegatosi co·llui, e prese le sue terre in Calavra, sì fece una grande armata a Napoli, che tra di Proenza e di Puglia e de·Regno e Genovesi armò CXX galee, e tra uscieri e legni grossi da portare cavagli e arnesi d'oste presso di C, sì che CC e più legni a gabbia fu lo stuolo, e con MM cavalieri e gente a piè senza numero. Egli in persona col prenze Filippo e con messer Gianni suoi fratelli si partirono di Napoli col detto stuolo del mese d'agosto del detto anno, e puose in Cicilia a Castello a Mare, e per forza l'ebbe; e poi a la città di Trapali puose l'assedio per mare e per terra, e quella credendosi di presente avere per trattati fatti prima ch'e' si movesse, da' cittadini di Trapali ingannato tue, che sotto i detti trattati fatti fare a posta di don Federigo fu tanto lo 'ndugio della partita del re Ruberto, ch'egli fornì Trapali di gente e di vittuaglia, e rafforzò la città per modo che per battaglia, che più e più ve ne diè il re Ruberto, no·lla potéo avere: e per lungo stallo e male tempo di pioggia, e l'oste mal fornita di vittuaglia per lo tempo contrario, grande infermeria e mortalità fu nell'oste. Il re Ruberto veggendo non potea avere la città, né combattere non volea don Federigo co·llui in mare né in terra, fatta fu triegua per tre anni tra·lloro, e così si partì il re Ruberto con sua oste assai peggiorato, e sanza nulla aquistare: di là tornò in Napoli il dì di calen di gennaio, anno MCCCXIIII, e più galee delle sue afondarono in mare colla gente, perch'erano state nuove e non riconce in sì lungo soggiorno.



LXIII - Come i Padovani furono sconfitti a Vincenza da messer Cane della Scala

Nel detto anno MCCCXIIII, dì XVIII di settembre, essendo i Padovani con tutto loro isforzo, andarono a Vincenza, e presono i borghi, e assediavano la terra. Messer Cane signore di Verona subitamente venne in Vincenza con poca gente assalì i Padovani; e eglino male ordinati, confidandosi de la presa de' borghi, sì furono sconfitti, e molti di loro presi e morti.



LXIV - Come i Fiorentini feciono pace cogli Aretini

Nel detto anno MCCCXIIII, a dì XXVIII di settembre, i Fiorentini e' Sanesi e tutta la lega di parte guelfa di Toscana feciono pace cogli Aretini per mano di messer Piero figliuolo del re Carlo in Firenze, ch'abitava in casa i Mozzi a capo del ponte Rubaconte.



LXV - Come apparve una stella commeta in cielo

Nel detto anno MCCCXIIII apparve una commeta di verso settantrione quasi a la fine del segno de la Vergine, e durò più di VI semmane, e secondo che dissono gli astrologi, significò molte novità e pestilenze ch'appresso furono, e la morte del re di Francia e di suoi figliuoli, che morirono poco appresso.



LXVI - Della morte di Filippo re di Francia e di suoi figliuoli

Nel detto anno MCCCXIIII, del mese di novembre, il re Filippo re di Francia, il quale avea regnato XXVIIII anni, morì disaventuratamente, che essendo a una caccia, uno porco salvatico gli s'atraversò tra gambe al cavallo in su ch'era, e fecelne cadere, e poco appresso morì. Questi fu de' più belli uomini del mondo, e de' maggiori di persona, e bene rispondente ogni membro, savio da·ssé e buono uomo era, secondo laico, ma per seguire suoi diletti, massimamente in caccia, sì non disponea le sue virtù al reggimento del reame, anzi le commettea in altrui, sicché le più volte si reggea per male consiglio, e quello credea troppo, onde assai pericoli recò al suo reame. Questi lasciò III figliuoli: Luis re di Navarra, Filippo conte di Pettieri, e Carlo conte de la Marcia. Tutti questi furono in poco tempo l'uno appresso l'altro re di Francia, succedendo l'uno a l'altro per morte. E poco innanzi che il re Filippo loro padre morisse, avenne loro grande e vituperevole isventura, che le mogli di tutti e tre si trovarono in avolterio; e sì erano ciascuno di loro de' più begli Cristiani del mondo. La moglie de·re Luis fu figliuola del duca di Borgogna. Questi quando fu re di Francia la fece strangolare con una guardanappa, e poi prese a moglie la reina Crementa, figliuola che fu di Carlo Martello figliuolo del re Carlo secondo. La seconda e la terza donna di loro furon serocchie e figliuole del conte di Borgogna, e rede della contessa d'Artese. Filippo conte di Pettieri per disdette de la sua, e che l'amava molto, la si ritolse per buona e per bella: Carlo conte della Marcia, mai non rivolle la sua, ma la tenne in pregione. Questa sciagura si disse ch'avenne loro per miracolo, per lo peccato regnato in quella casa di prendere a moglie loro parenti, non guardando grado, o forse per lo peccato commesso per lo loro padre della presura di papa Bonifazio, come il vescovo d'Ansiona profetizzò, secondo dicemmo addietro.



LXVII - Della lezione che fu fatta in Alamagna di due imperadori, l'uno il dogi di Baviera, e l'altro quello d'Osteric

Nel detto anno MCCCXIIII per li prencipi de la Magna fu fatta lezione di due re de la Magna. L'uno fu il fratello del dogi di Baviera chiamato Lodovico, uomo valoroso e franco. Questi ebbe più boci, ciò fu quella dell'arcivescovo di Maganza e di quello di Trievi, e quella del re Giovanni di Buemmia e del dogio di Sassogna, e quella del marchese di Brandimborgo. Federigo d'Osteric ebbe quella dell'arcivescovo di Cologna e quella del dogio di Baviera nimico del fratello. Queste ebbe certe, e ebbe quella del dogio di Chiarentana, il quale dicea dovea essere re di Boemmia di ragione, perch'avea per moglie la prima figliuola di Vincislao reda. E ebbe la boce d'uno de' marchesi di Brandimborgo, che dicea ch'era di ragione marchese, ma non possedea. Ma Lodovico più presso era di ragione imperadore, se non che 'l dogio di Baviera suo fratello per promessione fatta diè la sua boce co' detti altri lettori a Federigo dogio d'Osteric, de la quale isvariata lezione grande scandalo surse in Alamagna tra l'uno eletto e l'altro, e tra 'l dogio di Baviera e Lodovico eletto suo fratello, e più assembramenti e guerre ebbe tra·lloro.



LXVIII - Come Uguiccione signore di Pisa fece gran guerra a le terre vicine

Nell'anno MCCCXIIII, avendo Uguiccione da Faggiuola co' Pisani e' Tedeschi presa la città di Lucca, come adietro è fatta menzione, tutte le castella che' Lucchesi aveano de' Pisani possedute infino al tempo del conte Ugolino rendé al Comune di Pisa, de le quali i Pisani feciono disfare Asciano e Cuosa, e Castiglione di Valdiserchio, e Nozzano, e 'l ponte a Serchio, e ritennero il castello di Ripafratta, il Mutrone, e 'l Viereggio di su la marina, e Rotaia, e 'l borgo di Serrezzano. E in questo medesimo tempo e nel caldo di tanta vittoria il detto Uguiccione colla masnada de' Tedeschi cavalcando sovente sopra i Pistolesi infino a Carmignano, e sopra i Volterrani, e per tutta Maremma, e sopra Samminiato, e per assedio ebbe il castello di Cigoli e di più altre loro castella, e molto gli affrisse, e poi si puose ad asedio a Montecalvi, che 'l tenevano i Fiorentini: per non essere soccorso si rendéo a Uguiccione e a' Pisani, salve le persone.



LXIX - Come coronato il re Luis di Francia, andò ad oste sopra i Fiaminghi, ma niente v'aquistò

Nell'anno MCCCXV, il dì di san Giovanni Batista di giugno, Luis si coronò re di Francia colla reina Crementa sua moglie. Incontanente che fu coronato, fece bandire oste sopra i Fiamminghi, rompendo triegue e pace che il re Filippo suo padre avea fatte co·lloro; e in persona con tutta la baronia di Francia, in numero di Xm o più cavalieri e popolo innumerabile, andò in Fiandra, e puosesi a campo a Coltrai. Il conte Ruberto di Fiandra co' suoi Fiamminghi gli vennono a lo 'ncontro a Coltrai per combattere co·llui. Come piacque a Dio, del mese d'agosto cadde tanta piova (e 'l paese di Fiandra è come marese), che 'l carreggio che apportava la vittuaglia a l'oste de' Franceschi non potea uscire di cammino, e le tende e' padiglioni de la detta oste sì circondati d'acque e di pantano, che non poteva appena andare l'uomo dall'uno padiglione a l'altro; sì che per lo difetto de la vittuaglia, e per lo guastamento del campo, convenne che il re di Francia si partisse da oste del mese di settembre, con vergogna e con gran dammaggio quasi di tutti i loro arnesi. E poi il detto conte di Fiandra con sua oste andò infino a Cassella e Santo Mieri per assediare la terra, e se non che quegli de le buone ville non vollono più vergogna fare al re, elli avrebbono potuto correre tutto Artese sanza contasto neuno.



LXX - Come Uguiccione signore di Lucca e di Pisa fece porre l'assedio al castello di Montecatini

Nel detto anno Uguiccione da Faggiuola co la forza delle masnade de' Tedeschi, signore al tutto di Pisa e di Lucca, trionfando per tutta Toscana, fece porre oste e assedio a Montecatini in Valdinievole, il quale teneano i Fiorentini dopo la perdita di Lucca, e quello guernito di buona gente, con battifolli fu molto distretto, sì che gran difetto aveano di vittuaglia. I Fiorentini mandato nel Regno per lo prenze Filippo di Taranto fratello del re Ruberto, per contastare la rabbia d'Uguiccione e de' Pisani e de' Tedeschi, quegli venne a Firenze dì XI di luglio, con Vc cavalieri al soldo de' Fiorentini con messer Carlo suo figliuolo contra voglia del re Ruberto, conoscendo il suo fratello per più di testa che savio, e con questo non bene aventuroso di battaglie, ma il contradio; e se' Fiorentini avessono voluto più indugiare, il re Ruberto mandava a Firenze il duca suo figliuolo con più ordine e con più consiglio e migliore gente: ma la fretta de' Fiorentini, co lo studio della contradia fortuna, gli fece pure volere il prenze, onde a·lloro seguì grande dammaggio e disinore.



LXXI - Come il prenze di Taranto venuto in Firenze, i Fiorentini uscirono ad oste per soccorrere Montecatini, e furono sconfitti da Uguiccione de la Faggiuola

Venuto il prenze di Taranto e 'l figliuolo in Firenze, Uguiccione con tutto suo isforzo di Pisa e di Lucca, e del vescovo d'Arezzo, e de' conti da Santa Fiore, e di tutti i Ghibellini di Toscana e usciti di Firenze, e con aiuto de' Lombardi da messer Maffeo Visconti e da' figliuoli, il quale Uguiccione fue con novero di XXVc e più di cavalieri, e popolo grandissimo, venne all'assedio del detto castello di Montecatini. I Fiorentini per quello soccorrere raunarono grande oste, richeggendo tutta loro amistà: vi furono Bolognesi, Sanesi, Perugini, de la Città di Castello, d'Agobbio, e di Romagna, e di Pistoia, di Volterra, e di Prato, e di tutte l'altre terre guelfe e amici di Toscana, in quantità, co la gente del prenze e di messer Piero, di XXXIIc di cavalieri, e gente a piè grandissima, e partirsi di Firenze dì VI d'agosto. E venuta la detta oste de' Fiorentini e del prenze in Valdinievole a la 'ncontra di quella d'Uguiccione, più dì stettono affrontati, il fossato della Nievole in mezzo, con più assalti e badalucchi. I Fiorentini con molti capitani e con poca ordine i nemici aveano per niente; Uguiccione e sua gente con tema grande, e per quella faceano grande guardia e savia condotta. Uguiccione avendo novelle che i Guelfi delle sei migliaia del contado di Lucca per sodduzione de' Fiorentini venieno verso Lucca, e già aveano rotta la scorta e la strada onde venia la vittuaglia a l'oste d'Uguiccione, prese per consiglio di levarsi dall'assedio, e di notte si ricolse, e fece ardere i battifolli, e venne con sua gente schierata in sul congiugnimento dello spianato dell'una oste e dell'altra, a intenzione, se 'l prenze e sua oste non si dilungasse, di valicare e andarsene a Pisa; e se 'l volessono contrastare, d'avere l'avantaggio del campo, e di prendere la ventura della battaglia. Il prenze e' Fiorentini e loro oste veggendo ciò, in sul giorno si levarono da campo, e istendero loro padiglioni e arnesi, e 'l prenze malato di quartana, con poca provedenza non tenendo ordine di schiere per lo sùbito e improviso levamento di campo, s'affrontarono con i nimici, credendogli avere in volta. Uguiccione veggendo non potea schifare la battaglia, fece assalire le guardie dello spianato, ch'erano i Sanesi e' Colligiani e altri, a' suoi feditori intorno di CL cavalieri, ond'era capitano col pennone imperiale messer Giovanni Giacotti Malespini rubello di Firenze, e 'l figliuolo d'Uguiccione, e quegli Sanesi e Colligiani sanza contrasto ruppero e trascorsono infino a la schiera di messer Piero ch'era colla cavalleria de' Fiorentini. Quivi i detti feditori furono rattenuti, e quasi tutti tagliati e morti, e rimasevi morto il detto messer Giovanni, e 'l figliuolo d'Uguiccione e loro compagnia, e abattuto il pennone imperiale, con molta buona e franca gente.



LXXII - Ancora de la detta battaglia e sconfitta de' Fiorentini e del prenze

Essendo cominciato l'assalto, e Uguiccione veduto il male sembiante di fuggire che feciono i Sanesi e' Colligiani per la percossa de' suoi feditori, incontanente fece fedire la schiera de' Tedeschi, ch'erano da VIIIc cavalieri e più, e quegli rabbiosamente assalendo la detta oste male ordinata, che per la sùbita levata gran parte de' cavalieri non erano armati di tutte loro armi, e' pedoni male in ordine, anzi al fedire che feciono i Tedeschi di costa, i gialdonieri lasciarono cadere le loro lance sopra i nostri cavalieri, e misonsi in fugga; la quale intra l'altre fu gran cagione della rotta dell'oste de' Fiorentini, che la detta schiera de' Tedeschi pignendo innanzi gli misono in volta con poco ritegno, salvo dalla schiera di messer Piero e de' Fiorentini, che assai sostennono; a la perfine furono sconfitti. Ne la quale battaglia morì messer Piero fratello del re Ruberto, e non si ritrovò mai il corpo suo; e morìvi messere Carlo figliuolo del prenze, e 'l conte Carlo da Battifolle, e messer Caroccio e messer Brasco d'Araona conostaboli de' Fiorentini, uomini di gran valore; e di Firenze vi rimasono quasi di tutte le grandi case e di grandi popolari, in numero di CXIIII tra morti e presi cavalieri delle cavallate, e di Siena, di Bologna, e di Perugia e dell'altre terre di Toscana e di Romagna pur de' migliori; ne la qual battaglia furono di tutte genti morti tra uomini a cavallo e a piede da IIm e presi da MD. Il prenze con tutta l'altra gente si fuggì, chi verso Pistoia, e chi verso Fucecchio, e chi per la Cerbaia, onde molti capitando a' pantani della Guisciana, del sopradetto numero de' morti sanza colpi annegarono assai. Questa dolorosa sconfitta fu il dì di santo Giovanni dicollato, dì XXVIIII d'agosto MCCCXV. Fatta la detta sconfitta, il castello di Montecatini s'arrendéo a Uguiccione, e 'l castello di Montesommano, i quali teneano i Fiorentini; e quegli che dentro v'erano se n'andarono sani e salvi per patti.



LXXIII - Come Vinci e Cerreto Guidi si rubellarono a' Fiorentini

Come la detta sconfitta fu fatta, i signori d'Anghiano rubellarono dal Comune di Firenze il loro castello di Vinci, e Baldinaccio degli Adimari rubello di Firenze rubellò il castello di Cerreto Guidi di Greti; e fuggendo i Fiorentini e gli altri de la detta sconfitta, ne presono e rubarono assai; e poi per più tempo fatta compagnia con Uguiccione, e poi con Castruccio di Lucca, grande guerra feciono al contado di Firenze in quella contrada, e più volte vi furono rotti e ricevettono danno i soldati di Firenze e que' d'Empoli, e di Pontormo, e del paese per le masnade de' Tedeschi di Lucca. A la fine per patti e per danari essendo tratto di bando Baldinaccio e altri, con vergogna del Comune di Firenze, renderono le dette castella a' Fiorentini.



LXXIV - Come il re Ruberto mandò in Firenze per capitano il conte Novello

Nel detto anno i Fiorentini per la detta sconfitta non isbigottiti, ma vigorosamente la loro città di Firenze riformarono e d'ordini e di forza di gente d'arme e di moneta, e steccarsi i fossi per la loro difensione, e mandarono al re Ruberto per uno capitano di guerra, il quale sanza indugio mandò a·fFirenze il conte d'Andria e di Montescaglioso detto conte Novello de la casa del Balzo, con CC cavalieri; e costì stettono al riparo della fortuna d'Uguiccione sanza perdere stato o signoria o castello o altra tenuta, onde i Ghibellini e usciti di Firenze si trovarono ingannati, che si credeano avere vinta la terra fatta la sconfitta: ed e' fu il contradio, che già per ciò non fu il danno sì grande, che essendo in Firenze, paresse v'avesse mai avuta sconfitta, non lasciando gli artefici di fare i loro lavori continuo.



LXXV - Come Uguiccione fece tagliare la testa a Banduccio Bonconti e al figliuolo, grandi cittadini di Pisa

Nell'anno MCCCXVI, del mese di marzo, trionfando Uguiccione della detta vittoria, e avendo la signoria di Pisa e di Lucca, volendo come tiranno al tutto dominare sanza contasto, fece pigliare in Pisa Banduccio Bonconti e 'l figliuolo, uomo di grande senno e autoritade, e molto creduto da' suoi cittadini, perché per bene del suo Comune contrastava a la sua tirannia, gli fece subitamente dicapitare, opponendo loro falsamente che teneano trattato col re Ruberto; onde i Pisani forte s'indegnarono contra Uguiccione, ma per la sua forza e signoria nullo l'ardiva a contastare. Facciamne menzione per quello che·nn'avenne poi.



LXXVI - Come i Fiorentini si divisono tra·lloro per sette, e feciono bargello

Nel detto anno MCCCXVI i Fiorentini volendosi fortificare e riparare a la forza d'Uguiccione, mandarono in Francia ambasciadori e sindachi per fare venire per loro capitano messer Filippo di Valos figliuolo di messer Carlo di Francia con VIIIc cavalieri franceschi, il quale per la turbazione della morte del re Luis di Francia suo cugino non venne; e ancora v'ebbe sturbo e difetto per le sette che nacquero grandissime tra' Fiorentini, che l'una parte de' Guelfi amavano la signoria de·re Ruberto e de' Franceschi, e gli altri il contradio e' voleano; e mandarono in Alamagna per lo conte di Liutimberghe perché menasse Vc cavalieri tedeschi, e simigliante non vennero, e volentieri avrebbono tolta la signoria data al re Ruberto. Onde in Firenze si cominciò grande scisma e parte tra' Guelfi; e dell'una parte che disamavano la signoria del re Ruberto erano capo messer Simone della Tosa con certi grandi, e' Magalotti con certi popolari, i quali al tutto co·lloro isforzo e séguito signoreggiavano la terra; e se non fosse per la tema d'Uguiccione, certamente la parte del re Ruberto n'avrebbono cacciata fuori della città; e mandarne il conte Novello con sua gente, che non era ancora dimorato in Firenze che IIII mesi capitano di guerra, e dovea dimorare uno anno: e sì era in Firenze vicaro in luogo di podestà e capitano per lo re Ruberto, ma poco podere v'avea, però che la setta contraria aveano la forza e signoria del priorato e degli altri offici e ordini de la terra. E per meglio signoreggiare la terra ed essere più temuti, la detta setta reggente criò e fece uno bargello ser Lando d'Agobbio, uomo carnefice e crudele; e il dì di calen di maggio MCCCXVI gli diedono il gonfalone e la signoria; il quale continuo stava con Vc fanti armati con mannaie a piè del palagio de' priori, e subitamente mandava pigliando Ghibellini e rubelli e loro figliuoli e altri cui gli piacea di fatto, in città e in contado, e sanza giudicio ordinale di fatto gli facea a' suoi fanti tagliare colle mannaie; e così fece a' cherici sacri della casa degli Abati, e a uno giovane innocente della casa de' Falconieri, e a più altri di basso affare; onde il comune popolo di Firenze isbigottiti della guerra di fuori d'Uguiccione, e de la tirannesca e crudele signoria d'entro, ciascuno vivea in paura, così i Guelfi come i Ghibellini, i quali non erano di quella setta, e la città era caduta in pessimo stato; se non che Idio vi provide con corto rimedio, come innanzi farà menzione.



LXXVII - Come si murarono parte delle mura di Firenze, e fecesi una mala moneta

Nel detto anno e tempo, sotto la signoria del detto bargello, in Firenze si compierono di murare le mura dal prato d'Ognesanti a San Gallo, e fecesi una moneta falsa in Firenze, ch'era quasi tutta di rame bianchita d'ariento di fuori, e contavasi l'uno danari VI, che non valea danari IIII, e chiamarsi bargellini: fu molto biasimata per gli buoni uomini.



LXXVIII - Come Uguiccione da Faggiuola fu cacciato della signoria di Pisa e di Lucca, e come Castruccio di prima ebbe la signoria di Lucca

Nel detto anno MCCCXVI, dì X d'aprile, essendo in Lucca per signore il figliuolo d'Uguiccione da Faggiuola, Castruccio della casa degl'Interminelli (non perciò de' migliori della casa, ma era di grande ardire e séguito), avendo fatto in Lunigiana certe ruberie e micidi contra volontà d'Uguiccione, preso fu in Lucca dal figliuolo d'Uguiccione per giustiziare. Quelli per la forza de' suoi consorti e séguito non l'osava né ardia a·ffare: mandò per Uguiccione suo padre, e egli venne a Lucca con parte di sua cavalleria per seguire la detta giustizia. Sì tosto come fu in sul Monte San Giuliano, il popolo di Pisa si levò a romore per soperchi ricevuti, e per la morte di Banduccio Bonconti e del figliuolo, onde forte s'erano gravati della signoria d'Uguiccione, onde fu capo Coscetto dal Colle franco popolare, e corsono con arme e con fuoco al palagio ove stava Uguiccione e sua famiglia, gridando: "Muoia il tiranno d'Uguiccione"; e così rubarono e uccisono tutta sua famiglia, e rimutaro stato nella terra, e feciono loro signore il conte Gaddo de' Gherardeschi, uomo savio e di gran podere. Uguiccione trovandosi in Lucca, quasi la terra scommossa per rubellarsi contra lui per la cagione di Castruccio, e avendo novelle da Pisa che' Pisani s'erano rubellati, per paura si partì egli e 'l figliuolo e sua gente, e andarsene verso Lombardia nelle terre del marchese Spinetta, e poi a Verona a messer Cane della Scala. Castruccio scampato, a grido fu fatto signore di Lucca per uno anno, coll'aiuto e favore di messer Pagano di Quartigiani, Pogginghi, e Onesti, e con patto che 'l detto messer Pagano fosse signore in contado, e compiuto l'anno, scambiare la signoria. Ma Castruccio per essere al tutto signore, gli colse cagione, e cacciollo di Lucca e del contado; e tali sono i meriti de' tiranni. E così in picciolo tempo a Uguiccione fu mutata la fortuna, e l'una città e l'altra tratta de la sua tirannica signoria. Questo fu il guidardone che lo 'ngrato popolo di Pisa rendé a Uguiccione da Faggiuola, che gli avea vendicati di tante vergogne, e racquistate loro tutte loro castella e dignità, e rimisigli nel maggiore stato, e più temuti da' loro vicini che città d'Italia.



LXXIX - Come il conte da Battifolle fu vicario in Firenze, e caccionne il bargello, e mutòe stato in Firenze

Nel detto anno MCCCXVI gran parte de' Guelfi grandi e popolani di Firenze ch'aveano data la signoria al re Ruberto, i quali erano gran parte di tutte le maggiori schiatte de la terra, e co·lloro quasi tutti i mercatanti e artefici, parea loro male stare per la signoria del bargello, segretamente si dolfono per lettere e ambasciadori al re Ruberto, e richiesollo ch'egli facesse vicario di Firenze il conte Guido da Battifolle; il quale dal re fu accettato e fatto. E 'l detto conte del mese di luglio del detto anno venne a Firenze, e prese la signoria per lo re. L'altra setta che signoreggiava la città nel priorato, che non amavano la signoria del re Ruberto, volentieri l'avrebbero contastato; ma il conte da Battifolle era sì Guelfo e sì possente vicino, che no·ll'ardirono a contastare a la sua venuta in Firenze. Ma poco pote' aoperare i·lloro contradio per la sua signoria, per la forza del bargello, e perché tutti e VII i priori e gonfaloniere erano di quella setta, e' gonfalonieri delle compagnie dell'arti di Firenze. Ma avenne in quello tempo che la figliuola del re Alberto de la Magna, serocchia del dogio d'Osteric, andava a marito a Carlo duca di Calavra figliuolo del re Ruberto, e passò per Firenze: incontro per acompagnarla venne l'arcivescovo di Capova cancelliere del re, e messer Gianni fratello del re Ruberto, e 'l conte camerlingo, e 'l conte Novello con cavalieri in numero di CC. Venuti in Firenze, per lo conte da Battifolle vicario del re, e per gli altri cittadini ch'amavano la sua signoria, si dolfono a quegli signori della signoria del bargello, e mostrarono com'era contra l'onore e stato del re; onde avenne che si tramisono d'accordo e per parole e per minacce che' Guelfi si raccomunassono insieme de la signoria, e convenne che si facesse; sì che a la lezione de' priori, che venia in mezzo ottobre, che VII erano già fatti di quella setta che reggea la città, convenne che VI altri de la parte del re s'agiugnessono a quegli. E come quegli signori furono co la donna a Napoli, e fatto asapere al re lo stato di Firenze e la signoria del bargello, incontanente mandò il re a Firenze che la detta signoria s'abbattesse, e 'l bargello più non fosse; e così fu fatto. E partissi il bargello di Firenze del mese d'ottobre MCCCXVI, però che la parte del re col podere del conte da Battifolle vicario avea già sì presa forza, che non che di disfare l'oficio del bargello, ma la seguente lezione de' XIII priori furono quasi tutti de la parte ch'amavano la signoria del re; e così al tutto il conte da Battifolle con quella parte rimasono signori, e si mutò stato in Firenze sanza nulla altra turbazione o cacciamento di genti. La quale gente di vero tennero la città in assai pacifico e tranquillo stato più tempo appresso, onde la città s'avanzò e migliorò assai; e per lo detto conte da Battifolle vicario s'ordinò e cominciò e fece gran parte del palagio nuovo ove sta la podestà. E nel detto anno, del mese di gennaio, a la signoria del detto conte nacque al Terraio in Valdarno uno fanciullo con due corpi così fatto, e fu recato in Firenze, e vivette più di XX dì; poi morì a lo spedale di Santa Maria della Scala, l'uno prima che l'altro: e volendo essere recato vivo a' priori ch'allora erano, per maraviglia non vollono ch'entrasse in palagio, recandolsi a pianta e sospetto di sì fatto mostro, il quale secondo l'oppenione degli antichi ove nasce era segno di futuro danno.



LXXX - Conta di grande fame e mortalità ch'avenne oltremonti

Nel detto anno MCCCXVI grande pestilenzia di fame e mortalità avenne nelle parti di Germania, cioè nella Magna di sopra verso tramontana, e stesesi in Olanda, e in Frisia, e in Silanda, e in Brabante, e in Fiandra, e in Analdo, e infino ne la Borgogna, e in parte di Francia; e fu sì pericolosa, che più che 'l terzo de la gente morirono, e da l'uno giorno a l'altro quegli che parea sano era morto. E 'l caro fu sì grande di tutte vittuaglie e di vino, che se non fosse che di Cicilia e di Puglia vi si mandò per mare per gli mercatanti per lo grande guadagno, tutti morieno di fame. Questa pestilenzia avenne per lo verno dinanzi, e poi la primavera e tutta la state fu sì forte piovosa, e 'l paese è basso, che l'acqua soperchiò e guastò ogni sementa. Allora le terre affogarono sì, che più anni appresso quasi non fruttarono, e corruppe l'aria. E dissono certi astrolaghi che la cometa ch'aparve dinanzi nel MCCCXIIII fu segno di quella pestilenzia, ch'ella dovea venire perché la sua infruenzia fu sopra quegli paesi. E in quello tempo la detta pestilenzia contenne simigliante in Romagna e in Casentino infino in Mugello.



LXXXI - Della lezione di papa Giovanni XXII

Giovanni XXII, nato di Caorsa di basso affare, sedette papa anni XVIII, mesi II e dì XXVI. Questi fu eletto dì VII d'agosto MCCCXVI in Vignone da' cardinali, essendo stata vacazione bene di due anni, e tra·lloro in grande discordia, però che' cardinali guasconi, ch'erano una gran parte del collegio, voleano la lezione in loro, e gli cardinali italiani e franceschi e provenzali non aconsentieno, sì erano stati a punto del Guascone. Dopo la molta contesa, quasi come in mezzano, rimisono l'una parte e l'altra le boci in costui, credendosi i Guasconi la rendesse al cardinale di Bidersi ch'era di loro nazione, o al cardinale Pelagrù. Questi con assentimento degli altri Italiani e Provenzali, e per trattato di messer Nepoleone Orsini cardinale, capo di quella setta contro a' Guasconi, la diede a·ssé medesimo, per ordinato modo secondo i decretali. Questi fue uno povero cherico, e di nazione del padre ciabattiere, e col vescovo d'Arli cancelliere del re Carlo secondo s'allevò, e per sua bontà e sollecitudine essendo in grazia del re Carlo, e a sua spensaria il fece studiare, e poi il re il fece fare vescovo di Vergiù; e morto l'arcivescovo d'Arli messer Piero da Ferriera cancelliere e suo maestro, il re Ruberto il fece in suo luogo cancelliere; e poi con suo studio e sagacità mandando lettere da parte del re Ruberto a papa Chimento di sua raccomandigia, de le quali il re, si disse, non seppe neente; per le quali lettere il detto vescovo di Vergiù fu promutato e fatto vescovo di Vignone, e poi cardinale per lo suo senno e studio; onde il re Ruberto innanzi che fosse cardinale era male di lui, e aveali tolto il suggello, perch'egli avea suggellate le dette lettere in suo favore al detto papa Chimento sanza sua coscienza. Questo papa Giovanni fu coronato in Vignone il dì di santa Maria, dì VIII di settembre, anno MCCCXVI. Poi fu grande amico del re Ruberto, e egli di lui; e per lui fece di grandi cose, come innanzi farà menzione. Questo papa diede compimento al settimo libro de le decretali, il quale avea cominciato papa Clemento, e rinovellò la Pasqua e festa del sagramento del corpo dì Cristo con grandi indulgenzie e perdoni, chi fosse a celebrare gli ufici sacri a ogn'ora, e diè perdono generale a tutti i Cristiani di XL dì per ogni volta che si facesse reverenza quando il prete nominasse Gesù Cristo; questo fece poi nell'anno MCCCXVIII.



LXXXII - Come il re Ruberto e' Fiorentini feciono pace co' Pisani e' Lucchesi

Nell'anno MCCCXVII, del mese d'aprile, pace fu fatta dal re Ruberto a' Pisani e Lucchesi, e simigliante la fece fare il detto re a' Fiorentini e Sanesi e Pistolesi, e tutta la lega di parte guelfa di Toscana; e con tutto che per gli Guelfi malvolentieri si facesse per la sconfitta ricevuta da·lloro, e dando biasimo al re Ruberto di viltà, sì 'l fece per gran senno e provedenza, e per pigliare lena e forza per sé e per gli Fiorentini, e non urtare co' nimici a la fortuna de la loro vittoria, e per altri maggiori intendimenti, come innanzi farà menzione. I patti ebbe il re da' Pisani che quando facesse generale armata, gli darebbono V galee armate, o la moneta che costassono, e volle facessono in Pisa una cappella e spedale per l'anime de' morti a la sconfitta da Montecatino a perpetua memoria; e ancora di questo fu ripreso, e lo re la fece fare a gran provedenza. I Fiorentini ebbono patti d'essere liberi e franchi in Pisa, e le castella che aveano si tenessono; e tornarono i pregioni in Firenze dì XXVIIII di maggio: furono XXVIII tra cittadini e contadini nobili e buoni popolani, sanza più altri, minuta gente e contadini. E la detta pace co' Pisani non avrebbe avuto effetto con tutto il podere del re Ruberto, però che' Pisani in nulla guisa voleano fare franchi i Fiorentini in Pisa, né altri patti domandati, parendo loro, com'erano, al di sopra de la guerra con vittoria, se non fosse adoperato per gli Fiorentini una bella e sottile maestria di guerra per l'uficio passato de' priori, intra' quali avea di savi e discreti uomini, della quale è bene da fare notevole memoria per assempro di quegli che sono a venire. Essendo, come detto è dinanzi, rinnovato lo stato in Firenze per la signoria del conte a Battifolle, e era ancora molto tenero, e avendo la guerra di Pisa e di Lucca, non erano in sicuro stato, sì usarono questa savia disimulazione: ch'eglino elessono XIIII buoni uomini popolani, e rinchiusogli nell'opera di Santo Giovanni, e commisono loro che facessono nuove gabelle, e delle vecchie radopiassono, sì che il Comune avesse d'entrata Dm di fiorini d'oro l'anno, o più; e di questo ordine si diede la boce per la cittade, e di mandare in Francia per uno de' reali, figliuolo o nipote del re, per capitano con M cavalieri franceschi. E questa providenza fu commessa per lo conte e per tutto l'uficio de' priori in Alberto del Giudice, uomo di grande autoritade, con Donato Acciaiuoli, e co·noi, che tutti e tre eravano di quello collegio, e fune dato il suggello del Comune e piena autorità con giurata credenza. Incontanente per gli detti furono fatte fare lettere da parte del Comune al re di Francia e a messer Carlo suo fratello, pregandogli per bene e stato di santa Chiesa e di parte guelfa, e riparare la venuta di nuovo imperio, ci mandassono uno de' loro figliuoli con M cavalieri al nostro soldo; e ordinossi colle compagnie di Firenze ch'aveano affare in Francia, che facessono lettere di pagamento di LXm fiorini d'oro, per dare per arra e fare la promessa de' gaggi a Carlo; e scrissesi al papa e a più de' suoi cardinali amici del nostro Comune ch'eglino iscrivessono e confortassono lo re e messer Carlo di questa impresa. Fatte le dette lettere, ebbono uno fidato corriere francesco, e ordinarono ch'andasse a Parigi per la via di Vignone, ov'era il papa, in XV dì per lo cammino di Pisa; e disparte s'ordinò sagretamente per quegli ch'era sopra le spie ch'una spia fidata gli facesse compagnia a condurlo per Pisa. E come furono in Pisa, com'era temperato, la detta spia scoperse al conte e agli anziani del detto corriere, il quale feciono pigliare colle dette lettere, e quelle aperte e lette, s'ammirarono forte dell'ordine impresa, sì grande per lo nostro Comune, e di tanta entrata di gabelle: consigliaro che per loro non facea di mantenere la guerra, potendo avere pace; e con tutti i loro vizii, credendoci avere ingannati per la presa delle dette lettere, rimasono ingannati; e di presente mandarono al nostro Comune che rimandassono i loro ambasciadori trattatori della pace a Montetopoli, e i loro verrebbono a Marti; e così fu fatto. E innanzi si partissono si diè compimento a la pace, al piacere, e com'era prima domandata per gli Fiorentini: e così si mostra che·lla savia providenza bene guidata e colla credenza, nelle guerre e nell'altre imprese, vince ogni forza e potenzia, e reca a·ffine onorevole ogni gran cosa.



LXXXIII - Come i Fiorentini disfeciono la mala moneta, e feciono la buona del guelfo nuovo

Nel detto anno MCCCXVII i Fiorentini disfeciono la mala moneta bargellina che correa per danari VI l'uno, ed erano di valuta di danari IIII, o meno, e fecionne una da danari XX, che poco valea meglio per bontà d'argento, che poi si disfece quella da XX, non piaccendo al popolo, e feciono la buona moneta del guelfo da danari XXX l'uno, e quella da XV danari di buono argento di lega d'once XI e mezzo di fine. E in quello anno, del mese di luglio, si fondarono in su·ll'Arno la pila del nuovo ponte detto Reale, e feciono le mura da quella torre di su l'Arno infino a la porta di Santo Ambruogio, e quelle di su la riva d'Arno in su l'isola infino al Corso de' Tintori di costa l'orto di Santa Croce.



LXXXIV - Come il re Ruberto mandò sua armata in Cicilia, e fece gran danno

Nel detto anno essendo fallite le triegue dal re Ruberto a quello di Cicilia, per lo detto re si fece armata in Napoli di LX galee, sanz'altri legni passaggeri, onde fu amiraglio e capitano messer Tommaso di Marzano conte di Squillaci, il quale con XIIc d'uomini a cavallo e gente a piè assai, passò col detto stuolo in Cicilia, e puose a Castello a Mare, e poi per terra n'andò in Valle di Mazara, guastando intorno a Trapali e tutta la contrada, e le galee per mare, e grandissimo danno fece di tutto il formento ch'era a le piagge; poi ritornò co la detta oste per la via da Coriglione a Palermo, e quivi per più giorni dimorò; e tutti i giardini e vigne de la città d'intorno guastò, e le tonnare del porto: d'allora innanzi vennero in queste marine grande abbondanza di tonni, che prima non ce n'avea. E poi se n'andò, per terra i cavalieri, e le galee per mare, infino a Messina, guastando ciò che innanzi gli si trovava, sanza riparo niuno; intorno a Messina stette ad oste più di XV dì, guastando tutte le vigne e' giardini di Messina. Il re Federigo non ardì di comparire né per terra né per mare; ma si dimorò a Castrogianni con sua oste, per la qual cosa l'isola di Cicilia ricevette in quello anno più di guerra che prima non avea ricevuta dal re Carlo primo, né dal secondo. E dissesi, se il re Ruberto l'avesse continuato l'anno appresso, i Ciciliani non avrebbono durato; ma papa Giovanni volle che triegue fossono per V anni, e la città di Reggio in Calavra e più castella intorno che·re Federigo avea conquistate a la venuta dello 'mperadore Arrigo rimise nelle mani e guardia della Chiesa; la qual triegua il re Ruberto accettò per la 'mpresa ch'avea fatta di Genova per recarla a sua parte, come innanzi farà menzione, e per racquistare le dette terre, le quali riebbe poi in guardia da la Chiesa; onde quello di Cicilia si tenne tradito e ingannato da la Chiesa e dal re Ruberto, però che il re Ruberto le si ritenne in sua signoria.



LXXXV - Come Ferrara si rubellò da la Chiesa

Nel detto anno, a dì IIII d'agosto, i Ferraresi si rubellarono da la signoria de la Chiesa e del re Ruberto, e a romore assalirono e uccisono e presono la sua masnada, ch'erano Catalani a soldo; e poco appresso i marchesi de la casa da Esti se ne feciono signori, come aveano ordinato co' loro cittadini.



LXXXVI - Come Uguiccione da Faggiuola tornava per rientrare in Pisa, e le novità ne furono in Pisa, e di Spinetta marchese

Nel detto anno MCCCXVII, del mese d'agosto, Uguiccione da Faggiuola coll'aiuto di messer Cane da Verona venne subitamente con gente a cavallo e a piè assai infino in Lunigiana, co la forza e per le terre di Spinetta marchese, il quale intendea di venire a Pisa per certi trattati ch'avea nella città per gente di sua setta; il quale trattato fue scoperto, e a grido di popolo, onde Coscetto dal Colle di Pisa si fece capo: col consiglio del conte Gaddo corsono a furore a casa i Lanfranchi che s'intendeano con Uguiccione, e uccisonne quattro de' maggiori de la casa, e più di loro mandaro a' confini, e di loro séguito. Sentendo Uguiccione che non potea fornire la sua impresa, si ritornò in Lombardia a Verona. Castruccio signore di Lucca e nimico d'Uguiccione fece lega col conte Gaddo e co' Pisani, e col loro aiuto de' cavalieri andò ad oste sopra Spinetta marchese ch'avea dato il passo a Uguiccione, e tolsegli Fosdinuovo fortissimo castello, e Verruca Buosi, e di tutte sue terre il disertaro; e 'l detto Spinetta si fuggì con sua famiglia a messer Cane della Scala a Verona.



LXXXVII - Come la parte ghibellina uscì di Genova

Nel detto anno MCCCXVII, a dì XI di settembre, essendo la città di Genova in istato di popolo, ma più v'aveano podere i Grimaldi e' Fiescadori e la loro parte de' Guelfi che gli Ori e' Ghibellini; l'una perché il re Ruberto favoreggiava i Guelfi, l'altra perché gli Spinoli ch'erano di parte ghibellina erano nimici di quegli d'Oria, e fuori di Genova alquanti della casa de' Grimaldi per dispetto preso contra quegli d'Oria feciono tornare in Genova gli Spinoli sotto protesto che stessono a le comandamenta del Comune. Come quegli della casa d'Oria e i loro amici sentirono ciò, sì ebbono sospetto e tema d'essere traditi da' Guelfi e da' Grimaldi, e la città ne fu ad arme e a romore; e quegli d'Oria non trovandosi poderosi per lo contradio de' Guelfi, e eziandio per gli Spinoli ghibellini loro nimici, sì·ssi celarono eglino e' loro amici sanza comparire in forza d'arme; per la qual cosa i Guelfi presono vigore, e furono a l'arme, e feciono capitani di Genova messer Carlo dal Fiesco e messer Guasparre Grimaldi a dì X di novembre MCCCXVII. Veggendo ciò gli Spinoli ch'erano tornati in Genova, che·lla terra era venuta al tutto a parte guelfa, e conoscendo che ciò era fatto per industria e opera del re Ruberto, incontanente s'accordarono con quegli della casa d'Oria e loro amici ghibellini, e si partirono della città sanza altro cacciamento, onde appresso seguì grande scandalo e guerra, come per innanzi farà menzione, però che·lle dette due case d'Oria e di Spinola erano le più poderose schiatte d'Italia in parte d'imperio e ghibellina.



LXXXVIII - Come i Ghibellini di Lombardia assediarono Chermona

Nel detto anno, a dì XX di settembre, la parte ghibellina di Lombardia, in quantità di CC cavalieri e gente assai a·ppiè, ond'era capitano messer Cane della Scala di Verona, puosono assedio a la città di Chermona, e avendola molto stretta, per forte tempo di piova convenne si partissono dall'assedio, e ancora perché i Bolognesi per fargli levare da Chermona cavalcarono sopra la città di Modona, e guastarla intorno, e fecionvi danno assai.



LXXXIX - Come messer Cane della Scala fece oste sopra i Padovani, e tolse loro molte castella

Nel detto anno, del mese di dicembre, il detto messer Cane con suo isforzo venne a oste sopra i Padovani, e prese Monselici ed Esti, e gran parte di loro castella, e recogli sì al sottile, che 'l febbraio vegnente non possendo contastare, feciono pace come piacque a messer Cane, e promisono di rimettere i Ghibellini in Padova, e così feciono.



XC - Come gli usciti di Genova co la forza de' Ghibellini di Lombardia assediarono Genova

Ne l'anno MCCCXVIII, essendo usciti di Genova quegli della casa d'Oria e di Spinola col loro séguito, e per loro podere si stavano nella riviera di Genova a le loro posessioni, mandarono loro ambasciadori in Lombardia, e trattato e lega feciono con messer Maffeo Visconti capitano di Milano e co' figliuoli, e con tutta la lega di Lombardia di parte d'imperio e ghibellina. Per la qual cosa messer Marco Visconti figliuolo del detto messer Maffeo venne di Lombardia con grande oste di gente, Tedeschi e Lombardi a cavallo e a piè, e co' detti usciti di Genova puosono assedio a la detta città da la parte di Co di Fare e di borghi; e ciò fu a dì XXV di marzo MCCCXVIII; e pochi dì appresso quegli della casa d'Oria coll'aiuto degli altri usciti feciono un'altra oste a la città d'Albingano nella riviera di Genova, e quella ebbono a patti in pochi giorni. Appresso, stante la detta oste a Genova, messer Adoardo d'Oria tenne trattato co l'abao del popolo di Saona, e entrò nella detta città di Saona di notte celatamente, e incontanente colla forza de' Ghibellini della terra, che la maggiore partita erano di parte imperiale, sì rubellarono la detta terra al Comune di Genova del mese d'aprile; per la qual cosa molto acrebbe la forza agli usciti di Genova, che quasi tutta la riviera di ponente era a·lloro signoria, salvo il castello di Monaco e Ventimiglia e la città di Noli, e nella riviera di levante teneano Lerici.



XCI - Come i Ghibellini di Lombardia ebbono Chermona

Nel detto anno MCCCXVIII, del mese d'aprile, la parte ghibellina di Lombardia co la forza de la gente di messer Cane ebbono la città di Chermona per tradimento, per una porta che fue loro data, con grande danno de' Guelfi ch'erano dentro.



XCII - Come gli usciti di Genova presono i borghi di Prea

Nel detto anno, a l'uscita di maggio, avendo i detti usciti assediata la torre di Co di Fare per due mesi, e quella si tenea francamente per que' d'entro, per uno sottile dificio di canapi che venia della torre a una cocca del porto di Genova, e per quello si fornia e rinfrescava a contradio di tutta l'oste, sì si misono i detti usciti a cavare e tagliare sotterra la detta torre. Quegli d'entro, temendo non cadesse, sì renderono la torre, salve le persone, e chi disse per danari; e tornati in Genova, furono giudicati a morte, e traboccati di fuori. Istando al detto assedio, e continuo davano battaglia a' borghi di Prea che sono fuori a la porta de le Vacche; combattendo per forza il presono a dì XXV di giugno nel detto anno, onde avanzarono molto, e que' d'entro a Genova perdero, per modo che l'oste di fuori crebbe e si ridusse ne' borghi, e presono la montagna di Peraldo e di San Bernardo di sopra a Genova, e accircondaro la terra; e sopra il Bisagno puosono un altro campo, sì che la città per terra era tutta assediata, e per mare avea persecuzione assai per galee di Saona e degli usciti che signoreggiavano il mare.



XCIII - Come il re Ruberto venne per mare al soccorso di Genova

Nel detto anno MCCCXVIII, essendo la parte de' Guelfi così assediati nella città di Genova e per mare e per terra, sì mandarono a Napoli loro ambasciadori al re Ruberto, il quale avea fatta fare in Genova la detta commutazione, ch'egli gli dovesse soccorrere e aiutare sanza indugio; e se ciò non facesse, non si potevano tenere, sì erano a stretta di vittuaglia e d'assedio. Per la qual cosa il re Ruberto incontanente fece una grande armata di XLVII uscieri e XXV galee sottili, e più altri legni e cocche cariche di vittuaglia; e egli in persona col prenze di Taranto e con messer Gianni prenze de la Morea suoi fratelli, e con più baroni e con quantità di MCC cavalieri, partì di Napoli dì X di luglio, e venne per mare, e entrò in Genova a dì XXI di luglio MCCCXVIII, e da' cittadini fu ricevuto onorevolemente come loro signore, e rifrancò la città, che poco si potea tenere per difalta di vittuaglia. Incontanente che 'l re fu giunto in Genova, gli usciti levarono l'oste ch'aveano messa in Bisagno, e si ridussono a la montagna di San Bernardo e di Peraldo, e a' borghi di Prea verso ponente.



XCIV - Come i Genovesi diedono la signoria di Genova al re Ruberto

Nel detto anno, a dì XXVII di luglio, i capitani di Genova e l'abao del popolo e la podestà in pieno parlamento rinunziarono la loro balìa e signoria, e con volontà del popolo diedono la signoria e la guardia della città e della riviera al papa Giovanni e al re Ruberto per X anni, secondo i capitoli di Genova; e 'l re Ruberto la prese per lo papa e per sé, come quegli che più tempo dinanzi l'avea disiderata, a intenzione quando avesse a queto la signoria di Genova, si credea racquistare l'isola di Cicilia, e venire al di sopra di tutti gli suoi nimici; e a questo intendimento procacciò più tempo dinanzi la rivoluzione della città, e di farne cacciare fuori gli Ori e gli Spinoli, però che più volte, essendone eglino signori di Genova, contastarono il re Ruberto e il re Carlo suo padre, e atarono quegli d'Araona che teneano l'isola di Cicilia, come adietro è fatta menzione.



XCV - De la viva guerra che gli usciti di Genova co' Lombardi feciono al re Ruberto

Per la venuta del re Ruberto in Genova non affiebolìo l'oste di fuori, ma maggiormente crebbe per l'aiuto de' signori di Lombardia di parte d'imperio, e rifeciono lega collo imperadore di Gostantinopoli, e col re Federigo di Cicilia, e col marchese di Monferrato, e con Castruccio signore di Lucca, e ancora co' Pisani al segreto. E stando all'assedio, forti e gravi battaglie continuamente davano a la città, traboccandola con più difici, e assalendola da più patti di dì e di notte, come gente di gran vigore, sì fattamente, che 'l re Ruberto con tutto il suo isforzo non aquistò niente sopra loro in niuna parte, anzi con cave sotterra puntellaro gran pezzo delle mura da la porta a Santa Agnesa, e quelle feciono cadere, e parte di loro per forza entrarono nella città, onde il re in persona s'armò con tutta sua gente, e con gran vigore affrontandosi in su le mura rovinate colle spade in mano, pure i maggiori baroni e cavalieri del re ripinsono fuori i loro nemici con gran danno di gente dell'una parte e dell'altra, e rifeciono le mura con grande affanno in poco di tempo, lavorandovi di dì e di notte. Istando il re e sua gente in Genova così assediato e combattuto, sì mandò per aiuto in Toscana, e di più patti l'ebbe; da' Fiorentini C cavalieri e Vc pedoni tutti soprasegnati a gigli, e di Bologna altrettanti, e simigliante di Romagna e di più altre parti, e andarono a Genova per mare per la via di Talamone; sì che, giunta l'amistà, il re si trovò in Genova in calen di novembre del detto anno con più di MMD cavalieri e pedoni sanza numero. Di fuori n'avea più di MD cavalieri, ed era capitano dell'oste messer Marco Visconti di Milano, e aveano le fortezze de' monti d'intorno, per modo che 'l re non potea campeggiare. E così dimoraro le dette osti in guerra stretta di badalucchi e di traboccarsi e saettarsi tutta la detta state, e eziandio il verno, che l'uno da l'altro non potea avanzare. E in questa stanza il detto messer Marco Visconti ebbe tanta audacia, che fece richiedere il re Ruberto di combattere co·llui corpo a corpo, e quale vincesse rimanesse signore; per la qual cosa il re molto isdegnò.



XCVI - Come nella città di Siena si fece una congiura e ebbevi romore e gran mutazione

Nel detto anno, del mese d'ottobre, MCCCXVIII, nella città di Siena nacque scandalo e romore, del quale fue capo messer Sozzo Dei e messer Deo de' Tolomei, con séguito de' giudici e de' notari e beccari che voleano muovere il reggimento dello stato della città, e molto vi furono di presso, e la città tutta ad arme. E trovandosi la gente de' Fiorentini ch'andavano a Genova in Siena, a richesta del detto Comune seguirono l'oficio de' nove che reggeano la terra, onde quegli della detta congiura vennero a niente, e furono cacciati di Siena; onde si criò grande divisione nella città, e per questa cagione non mandarono i Sanesi aiuto al re Ruberto. E alcuno disse che, perché l'ordine de' nove che si reggea molto al volere de' Salimbeni (e aveavi de' Ghibellini) non voleano mandare aiuto al re Ruberto, que' de' Tolomei feciono quella novità; ma di vero si crede cominciasse per mutare stato nella città per la briga già nata tra' Tolomei e' Salimbeni, trovando quella cagione.



XCVII - Come la gente del re Ruberto sconfissono gli usciti di Genova a la villa di Sesto, e si partirono dall'assedio della città

Nel detto anno MCCCXVIII, essendo il re Ruberto stato assediato in Genova, per lo modo che addietro fa menzione, più di VI mesi, si pensò che non potea gravare i nimici suoi di fuori se non ponesse sua oste in terra tra' borghi e Saona: fece ordinare una armata dì LX tra galee e uscieri, e ivi su fece ricogliere da VIIIcL cavalieri, e gente a piè bene XVm; e con questa gente furono quegli de' Fiorentini e gli altri Toscani, e di Bologna, e Romagnuoli, e partirsi di Genova a dì IIII di febbraio per porre la detta gente nella contrada di Sesto. Sentendo ciò gli usciti e que' di fuori, incontanente vi mandarono di loro gente a cavallo e a piè in grande quantità per contastare la riva a l'oste del re Ruberto, acciò che non ponessono in terra la gente del re. Arrivaro a dì V di febbraio, e con grande travaglio mettendosi innanzi botti vote, combattendo co' nimici manescamente, onde i principali furono i Fiorentini e gli altri Toscani che prima scesono di galee sotto la guardia de' balestrieri delle galee ch'erano a la riva, e per forza d'arme presono terra, e la gente degli usciti ruppono e sconfissono in su la piaggia di Sesto, e assai ne furono morti e presi; e quegli che scamparono fuggirono ne' borghi e a Saona; e la notte vegnente tutta l'oste ch'erano ne' borghi e al monte di Peraldo e di San Bernardo si partiro, e sì n'andaro verso Lombardia, e lasciarono tutti i loro arnesi sanza ricevere altra caccia, che il re non volle che sua gente si mettesse a seguirgli al periglio in quelle montagne. Appresso quegli della città di Genova ripresono i borghi di Prea e Co di Fare, e tutte le fortezze di fuori.



XCVIII - Come il re Ruberto si partì di Genova e andò a corte di papa in Proenza

Nell'anno MCCCXVIIII, a di XXVIIII d'aprile, il re Ruberto si partì di Genova con XL galee, e con sua gente se n'andò in Proenza ov'era la corte del papa a Vignone, e ivi da papa Giovanni fu ricevuto onorevolemente. In Genova lasciò per suo vicario messer Ricciardo Gambatesa d'Abruzzi, uno savio signore, con VIc cavalieri e con più sergenti a piè, e con più galee a la guardia di Genova.



XCIX - Come gli usciti di Genova co' Lombardi tornarono all'assedio di Genova

Nel detto anno MCCCXVIIII, sentendo gli usciti di Genova partito il re Ruberto, sì armarono in Saona XXVIII galee, onde fu amiraglio messer Currado d'Oria, e mandarono in Lombardia per aiuto, e raunarono M e più cavalieri, la maggiore parte Tedeschi, e grande quantità di popolo; e a dì XXVII di luglio del detto anno tornarono a oste sopra Genova, e puosonsi a campo in Ponzevera, e a dì III d'agosto vegnente s'appressarono a la città, dando battaglia a' borghi da più parti per terra da la parte di Bisagno; e le dette galee entrarono nel porto combattendo fortemente la città, ma niente acquistarono. E a dì VII d'agosto vegnente fue una grande battaglia nel piano di Bisagno tra gli usciti e quegli della città, e l'una parte e l'altra ricevettono danno assai, sanza avere nessuna parte onore de la vittoria, che que' di fuori si ritrassono al poggio, e que' d'entro si tornarono nella città: apresso continuamente combatteano di dì e di notte la città per mare e per terra.



C - Come messer Cane prese le borgora di Padova

Nel detto anno MCCCXVIIII, d'agosto, messer Cane della Scala cogli usciti di Padova, che' Padovani non vollono rimettere nella terra per gli patti fatti per messer Cane, sì venne a oste sopra Padova con MM cavalieri e Xm pedoni, e presono le borgora, e puosonvi tre campi per assediare Padova.



CI - Come i Guelfi di Lombardia ripresono Chermona

Nel detto anno, dì X d'ottobre, i Fiorentini mandarono in Lombardia CCCL cavalieri per una taglia fatta per Bologna e parte guelfa di M cavalieri, ond'era capitano messer Ghiberto da Coreggia: partissi di Brescia, e prese la città di Chermona per tradimento, e recolla a parte guelfa; ma per la lunga guerra e mutazioni era quasi strutta e recata a niente la detta Chermona.



CII - Come messer Ugo dal Balzo fue sconfitto ad Alessandra

Nel detto anno MCCCXVIIII, del mese di dicembre, essendo messere Ugo dal Balzo in Piemonte per lo re Ruberto nel borboglio d'Alessandra, e assediava la detta città, uscendo un dì fuori con CC cavalieri per far fare legname per fare ponti e difici, messer Marco Visconti di Milano con VIc cavalieri per uno aguato gli uscì adosso, e sconfisse, e uccise.



CIII - Come gli usciti di Genova ripresono i borghi di Genova

Nel detto anno MCCCXVIIII, a dì X d'ottobre, avendo gli usciti di Genova co la lega di Lombardia date più battaglie a la città per terra e per mare, sì presono per forza il Castellaccio, ch'aveano fatto i Guelfi d'entro in sul monte e di Peraldo e di San Bernardo, il quale era con poca guardia; e con quella vittoria discesono giù a' borghi, e sanza ritegno gli ebbono; che veduto i Genovesi d'entro perduto il poggio, abandonaro i borghi. E così la detta oste riprese la signoria de' borghi come innanzi altra volta s'aveano, e pochi dì apresso ebbono la torre di Co di Fare, e quegli dell'oste di Bisagno per non essere troppo sparti si ritrassono al poggio e a' borghi di Prea, a dì XVIIII di novembre; e così tutto il verno vegnente combatterono la città continuamente per mare e per terra, e tenealla molto afflitta. In questo assedio l'armata degli usciti di Genova ebbe sì grande fortuna, che si levò da Genova, e VIII di loro galee ruppono in terra a Chiaveri, e perdero tutta la gente, e il rimanente si tornò in Saona rotte e stracciate. E in questo tempo essendo XII galee di Provenzali a Noli, que' di Saona armarono XXII galee, e sopra Noli combatterono quelle XII galee del re, e VIII ne presono, e quattro ne tirarono in terra. Sentendo ciò quegli di Genova, andarono a Saona con XXXVI galee, ma niente poterono danneggiare il porto.



CIV - Come i Ghibellini presono Spuleto

Nel detto anno MCCCXVIIII, del mese di novembre, per trattato e aiuto del conte Federigo da Montefeltro e degli altri Ghibellini de la Marca e del Ducato, la parte ghibellina di Spuleto ne cacciarono per forza la parte de' Guelfi, e combattendo la città vi furono assai micidii e incendii, e presono i Ghibellini più di CC buoni uomini de la città di parte guelfa, e misergli in pregione. I Perugini, i quali furono tardi al soccorso de' Guelfi, vennero poi all'assedio di Spuleto con tutto loro isforzo, e stando al detto assedio, l'anno appresso il detto conte Federigo fece rubellare a' Perugini la città d'Ascesi, per la qual cosa si partirono da guerreggiare Spuleto, e puosonsi a l'assedio d'Ascesi, l'anno MCCCXX. E 'l detto anno, del mese di dicembre, i Ghibellini di Spuleto a furore corsono a le carcere ove aveano in pregione i Guelfi, e vi misono fuoco e arsonvegli tutti dentro; la quale fue una scellerata crudeltade.



CV - Come il re di Tunisi ritornòe in sua signoria

Nel detto anno MCCCXVIIII il re di Buggea, il quale era stato prima re di Tunisi e poi cacciato per un altro ch'era di suo legnaggio che si fece re, sì rivenne a la città di Tunisi, e colla forza degli Arabi sì ne cacciò il detto re, e racquistò la signoria; e quegli che tenea la città se n'andò a Tripoli di Barberia, e accordossi col re Federigo di Cicilia per moneta che gli diede, e col suo aiuto fece grande guerra al re che tenea Tunisi, per terra, e più per mare; che la seccò di vittuaglia, che Tunisi era in grande bisogno; onde quello re che tenea Tunisi, dando al re Federigo maggiore quantità di moneta, s'accordò co·llui, e fornigli la terra di vittuaglia, e rimase signore: e così il re Federigo di Cicilia con inganno da' detti due re saracini guadagnò in poco tempo CC migliaia di dobbre d'oro.



CVI - Come Castruccio signore di Lucca ruppe pace a' Fiorentini, e cominciò loro guerra

Nell'anno MCCCXX, del mese d'aprile, essendo Castruccio Interminelli signore di Lucca a parte ghibellina e a·llega co' Pisani, sentendo che 'l sopradetto papa Giovanni col re Ruberto aveano sommosso di fare venire di Francia in Lombardia messer Filippo di Valos figliuolo di messer Carlo fratello del re di Francia con grande gente d'arme, per contastare la forza di messer Maffeo Visconti e de' figliuoli e di sua lega; e sentendo che' Fiorentini e' Sanesi e' Bolognesi aveano mandati in Lombardia M cavalieri a richesta della Chiesa e del re Ruberto, e erano già a la città di Reggio, il detto Castruccio a preghiera e richesta del detto messere Maffeo Visconti e della lega de' Ghibellini di Lombardia ruppe pace a' Fiorentini per isturbare la detta impresa di Lombardia; e ancora come tiranno, che istando in pace scema suo stato, e vivendo in guerra l'asalta. E Castruccio, come uomo vago di signoria, credendo montare in istato, cominciò guerra a' Fiorentini; e sanza nullo isfidamento co la forza de le masnade de' Pisani cavalcò, e prese e fugli renduto come avea ordinato il castelletto di Cappiano, e 'l ponte sopra la Guisciana, e Montefalcone, le quali fortezze teneano i Fiorentini. E fatto ciò, passò la Guisciana, e corse guastando e ardendo intorno a Fucecchio, e a Vinci, e a·cCerreto, e poi infino a Empoli in sul contado di Firenze. E ritornando si puose ad assedio a Santa Maria a Monte che si tenea per gli Fiorentini, salvo la rocca si tenea per gli terrazzani, e quella in pochi giorni ebbe, però che' terrazzani per tradimento l'arenderono, dì XXV d'aprile; e' Fiorentini non erano proveduti come si convenia: credendosi conservare la pace, non poterono a·cciò riparare; e avuta la terra, tornòe a Lucca con grande trionfo, e quegli traditori che gli aveano renduta Santa Maria a Monte per sospetto menò a Lucca, e in pregione languendo gli fece morire. E apresso in quello anno il detto Castruccio più castella di Carfagnana e di Lunigiana vinse e recò alla sua signoria, per la qual cosa sturbò molto, ma quasi tutta la 'mpresa fatta per la Chiesa e per lo re Ruberto in Lombardia co l'altre cagioni, come innanzi farà menzione.



CVII - Come gente degli usciti di Genova furono sconfitti a Lerici

Nel detto anno MCCCXX, essendo in Genova grande stretta di vittuaglia, perché gli usciti di Genova con XVII galee corseggiavano la riviera, e prendeano navi e cocche e altri legni che recavano vittuaglia a Genova, quegli di Genova armarono XXVII galee, e seguirono quelle degli usciti, e in Lerici le rinchiusono, e ripresono una nave e una cocca carica di vittuaglia ch'aveano prese le dette galee degli usciti. E assediando quelle galee in Lerici co' loro uscieri, feciono venire da Genova CL cavalieri di quegli del re Ruberto, e quegli di Lerici tirate le galee in terra, si misono a combattere co' detti cavalieri: a dì XXXI di maggio furono sconfitti da la gente del re Ruberto e di Genova, combattendo contra loro per mare e per terra; presono e arsono il porto di Lerici, e le dette galee con gran danno degli usciti.



CVIII - Come quegli di Genova presono il Bingane

Nel detto anno MCCCXX il vicaro del re Ruberto co' Genovesi armarono da LX tra galee e uscieri: con CCCCL cavalieri n'andarono e puosono assedio a la città dal Bingane e quella combattendola, per forza presono a dì XXI di giugno, e rubarla tutta. Allora tutto il marchesato di Cravigiana tornò a la signoria di Genova e di parte guelfa.



CIX - Come il papa e la Chiesa feciono venire in Lombardia messer Filippo di Valos di Francia

Nel detto anno MCCCXX, avendo il papa e la Chiesa fatte fare più richeste a messer Maffeo Visconti e a' figliuoli che si levassono dall'assedio de la città di Genova, la quale si tenea per la Chiesa e per lo re Ruberto, come addietro fa menzione, e quegli i detti comandamenti non ubbidiro, opponendo che Genova era terra d'imperio e non di Chiesa; per la qual cosa per lo papa fu fatto processo e scomunica contra a' detti, e interdetto Milano e Piagenza e l'altre città di Lombardia che' detti per forza tirannescamente teneano e signoreggiavano, e ordinò che messer Filippo di Valos nipote del re di Francia venisse in Lombardia per vicaro di Chiesa per abbattere la signoria de' detti sismatici e rubegli della Chiesa, il quale messer Filippo vi venne con VII conti e con CXX cavalieri tra banderesi e di corredo, con quantità di VIc gentili uomini d'arme a cavallo, molto bella e nobile gente, al soldo della Chiesa e del re Ruberto. E mandò in Lombardia per legato della Chiesa messer Beltramo del Poggetto cardinale con VIIIc cavalieri tra Provenzali e Guasconi, i quali col detto legato e con messer Filippo di Valos e sua gente s'agiunsono a la città d'Asti in Lombardia; ed avendo novelle che la città di Vercelli si combattea dentro tra' Guelfi e' Ghibellini, si partì il detto messer Filippo d'Asti con quella tanta gente ch'avea, sanza attendere l'altra cavalleria che gli mandava il papa e 'l re Ruberto di Proenza, e quella che gli mandava il re di Francia e messer Carlo suo padre di viennese, e siniscalcato di Belcari, che in piccolo tempo sarebbe stata grandissima quantità di gente, e sanza attendere M cavalieri che' Fiorentini e' Bolognesi e' Sanesi gli mandavano in aiuto in Lombardia; e per male consiglio, con quantità di MD cavalieri si mise a oste tra Vercelli e Noara in luogo detto Mortara. Sentendo la sua venuta il capitano di Milano, il quale era come uno grande re in Lombardia, ch'egli con IIII suoi figliuoli signoreggiava Milano, Pavia, Piagenza, Lodi, Commo, Bergamo, Noara, Vercelli, Tortona, e Allessandra, sanza la forza dell'altre città di Lombardia di parte d'imperio e ghibellina ch'erano a conlega co·llui, e Pisa, e Lucca, e Arezzo in Toscana, sì mandò i suoi figliuoli con tutto suo isforzo contra il detto messer Filippo di Valos, che furono IIIm e più uomini a cavallo, gran parte Tedeschi, e gente a piè sanza numero, e puosonsi a campo contra la detta oste apresso d'uno miglio di terra.



CX - Come messer Filippo di Valos si tornò in Francia con vergogna, sanza niente aquistare

Messer Galeasso e messer Marco figliuoli del capitano di Milano, capitani dell'oste, feciono richiedere messere Filippo di Valos di volere parlamentare co·llui, e ordinato il parlamento, e agiunti insieme, messer Galeasso con savie e maestrevoli parole, che le sapea ben dire, pregò messer Filippo che non gli fosse incontro né gli volesse disertare; e com'elli e' suoi sempre erano stati amici e servidori del re di Francia e del suo padre messer Carlo, e che l'avea fatto cavaliere, e che la tenza da' suoi a la Chiesa la rimettea volentieri nel re di Francia, e mostrogli la sua forza e cavalleria, ch'era più di due tanti che quella della Chiesa, e che per suo amore e del padre non gli volea offendere come potea. Veggendosi il giovane messere Filippo a sì fatto punto condotto, non gli parve bene stare (e dissesi per tradimento di messere Berardo di Marcoglio suo maliscalco, il quale era stato ribello e bandito del re di Francia, per sua vendetta, e perché si disse che n'ebbe molti danari dal capitano di Milano, per farlo venire innanzi al termine ordinato sanza attendere l'altro soccorso), sì s'accordò co' detti figliuoli del capitano di Milano, e tornossi con grandi presenti e doni vituperosamente in Francia co la sua gente. Questo fu del mese d'agosto, anni MCCCXX: poco apresso i detti figliuoli di messer Maffeo ebbono per forza e per assedio la parte de la città di Vercelli che teneano i Guelfi, e fu preso messer Simone da Collibiano signore di Vercelli, e menato a Milano; e 'l vescovo suo fratello scacciato con tutti i suoi seguaci. Ancora il detto messer Filippo di Valos rendé a messer Filippo di Savoia il castello di Cavignano in Piemonte, il quale si tenea per la gente del re Ruberto, e eragli molto caro, e ebbene, si disse, Xm fiorini d'oro. E peggiorò duramente le condizioni di Lombardia, a danno e a vergogna della Chiesa e del re Ruberto e di chi a·lloro attenea; che per questa cagione la gente de' Fiorentini e' Bolognesi e' Sanesi, ch'erano già infino a Reggio, si tornarono adietro, e la forza e vigore del capitano di Milano e de' figliuoli molto acrebbe. Di questa difalta si scusò in Francia messer Filippo al re e a messer Carlo, ch'era stata perché il papa e·re Ruberto non gli aveano attese le convenenze di fornirlo di moneta e di gente al tempo, come aveano promesso; ma per gli più si disse che la difalta fu sua, e di chi l'ebbe a consigliare di venire più tosto verso Milano, che non era ordinato: ma quale si fosse la cagione, egli acquistò poco onore. Ed è da notare una favola che si dice e dipigne per dispetto degl'Italiani in Francia, che' Lombardi hanno paura de la lumaccia, cioè lumaca. I signori Visconti di Milano, come si sa, hanno l'arme loro il campo bianco e la vipera cilestra ravolta con uno uomo rosso in bocca; e messer Marco Visconti per leggiadria e grandezza avea la sua bandiera e schiera di cavalieri, intorno di Vc pur de' migliori scelti per feditori, e tutti co la detta sopransegna. Gl'ignoranti Franceschi credevano che quella insegna fosse una lumaccia, e per loro dispetto e contrario fosse per loro fatta, onde il si recarono a grande onta, e forte ne parlaro in Francia del dispetto ch'aveano loro fatto i Lombardi; ma co la beffa e disinore si tornarono in Francia, per lo modo che detto avemo.



CXI - Come Castruccio andò ad oste nella riviera di Genova

Nel detto anno MCCCXX, in quello tempo ch'erano in Lombardia le dette novità de la venuta di messer Filippo di Valos, non cessò la lega de' Ghibellini di Lombardia l'assedio di Genova, ma maggiormente l'acrebbono e rinforzaro, e feciono lega da capo con Federigo re di Cicilia, e collo 'mperadore di Gostantinopoli, e cogli usciti di Genova, e con Castruccio signore di Lucca, il quale Castruccio con sua gente venne a oste ne la riviera di Genova da la parte di levante; e più castella e terre della riviera gli si renderono. E quegli de' borghi di Genova per la sua venuta crebbono l'oste, e misono campo in Bisagno per assediare al tutto la terra di Genova.



CXII - Come Federigo di Cicilia mandò sua armata di galee a l'assedio di Genova

Nel detto anno MCCCXX, del mese di luglio, il re Federigo che tenea la Cicilia fece armare XLII tra galee e uscieri, e con CC cavalieri mandò la detta armata in servigio degli usciti di Genova, e gli usciti di Genova n'armarono XXII galee, le quali galee s'aggiunsono insieme del mese di agosto per consumare Genova, assediandola strettamente per terra e per mare, per modo che nullo vi potea entrare né uscire, e la città era male fornita e a grande disagio di vittuaglia e di molte cose. Della detta armata era capo amiraglio messer Currado d'Oria uscito di Genova.



CXIII - Come il re Ruberto fece armata di galee per contastare quella di Ciciliani, e quello ch'aoperò

Nel detto anno MCCCXX, sentendo il papa e 'l re Ruberto l'apparecchiamento fatto per gli usciti di Genova e per quello di Cicilia, feciono armare LXV galee tra in Proenza e a Napoli; e quegli di Genova armarono XX galee; e del detto stuolo fu amiraglio messer Ramondo di Cardona d'Aragona. E congiunte le dette galee insieme, vennero sopra Genova per combattere con quelle de' Ciciliani e degli usciti di Genova, le quali sentendo come venia contra loro quella armata, si partirono della riviera di Genova, e vennono in Porto Pisano, e poi con savio provedimento di guerra per fare partire l'armata de la riviera sanza soggiorno se n'andarono in verso Napoli; e giunte a l'isola d'Ischia, misono i cavalieri in terra, e corsono l'isola e guastarla in parte. Sentendo la loro partita l'amiraglio del re Ruberto, con sua armata si partì di Genova e de la riviera, e le seguì vigorosamente per abboccarsi co·lloro, e sopragiunsegli a Ischia una sera a tardi. Quelle galee di Cicilia e degli usciti, veggendo i nimici sì di presso per volere la battaglia, si ricolsono di notte, e si misono in mare dando boce di tornarsi in Cicilia. L'amiraglio del re Ruberto veggendoli la mattina partiti, volendogli seguire, la gente di Principato, ch'erano intorno di XXX galee, trovandosi in loro paese, gridarono: "Rinfrescamento e panatica!": e di vero bisogno n'aveano; e così a grido, sanza alcuno ritegno a Napoli se n'andaro. Le galee di Proenza e di Genova rinfrescati a Ischia alquanti giorni, avendo novelle come l'armata de' Ciciliani e usciti di Genova aveano fatta la via di ponente verso Genova, per seguirle in verso Proenza si ritornaro; e così la detta armata per male seguire il loro amiraglio, overo per sua difalta e mala condotta, quasi tutta si sbarattò e venne a niente; che se avessono seguita quella de' Ciciliani e degli usciti di Genova, di certo s'avisava che sarebbono stati vincitori, però ch'erano più galee, e meglio armate.



CXIV - Di quello medesimo

L'armata de' Ciciliani e degli usciti di Genova maestrevolemente e non sanza temenza partiti da Ischia, nel porto di Genova arrivaro a dì III di settembre MCCCXX, e con grande tumulto gridando ch'aveano sconfitti l'armata del re Ruberto per ispaventare que' di Genova, assaliro la città da la parte del porto; e gli usciti e' Lombardi ch'erano a l'assedio l'asalirono da la parte di terra da più parti. Quegli della città co la gente del re Ruberto con grande affanno di dì e di notte, e paura e con difalta e necessità di vittuaglia, francamente si difesono da più assalti e battaglie di mare e di terra, sì che i nimici non acquistarono niente.



CXV - Come i Fiorentini feciono tornare Castruccio da l'assedio di Genova

Nel detto anno MCCCXX Castruccio signore di Lucca con suo isforzo e coll'aiuto delle masnade de' Pisani andò con grande oste verso Genova per la lega fatta per istrignere la città, e vincerla per forza e assedio coll'aiuto dell'armata di Cicilia per lo modo che detto è. I Fiorentini, sentendo cavalcato Castruccio, i loro soldati mandaro in sul contado di Lucca ne le contrade di Valdinievole guastando e ardendo, e tornando ad Altopascio. Castruccio ch'era presso a Genova, sentendo ciò, temendo che la città di Lucca per tradimento non gli si rubellasse, tornò in Lucca con tutta la sua oste. Sentendo ciò il capitano de la guerra de' Fiorentini, co le masnade de' soldati si ritrassono verso Fucecchio, e Castruccio con sua gente vigorosamente se ne venne a oste a Cappiano in su la Guisciana a petto a' Fiorentini. Quivi per istanza di più mesi l'una oste di qua dal fiume, e l'altra di là, stettono a perdere tempo e a badaluccare con grande spendio, faccendo battifolli, fortezze, e ponti, e difici per gravare l'una oste l'altra, sanza avanzare neente l'una parte a l'altra; e sì aveva ciascuna parte da MCC cavalieri in su, sanza il popolo grandissimo. A la fine per la vernata e mal tempo di pioggia ciascuna parte si partì sanza altro avanzo, e con poco onore de' Fiorentini, se non in tanto che di vero si disse che per l'andata de' Fiorentini Castruccio con sua oste non andòe a l'assedio di Genova; che se giunto vi fosse coll'altra forza de' Ghibellini, la città non si potea tenere.



CXVI - De le battaglie che gli usciti di Genova e' Ciciliani diedono a la terra, e ebbono il peggiore

Nel detto anno MCCCXX, essendo l'oste a Genova per mare e per terra per lo modo detto addietro, e veggendo i Ciciliani e gli usciti di Genova che da la parte del porto non poteano prendere la città, però che 'l porto era tutto impalizzato e incatenato, e di sopra di grosso legname imbertescato, di maraviglioso lavoro, e veggendosi venire il verno adosso, si ritrassono con tutta loro armata in Bisagno, e da quella parte co' loro cavalieri e co la ciurma de le loro galee in terra discesono, e sopra Carignano la terra agramente combattero per due volte, l'una a dì XXVI di settembre, e l'altra a dì XXVIIII di settembre, con grande speranza d'avere la città per forza da quella parte; e quegli de' borghi combatteano la città da la loro parte, quegli de la città difendendosi di dì e di notte a tutte le battaglie vigorosamente. A la fine, a l'ultima battaglia, uscì la cavalleria ch'era nella città del re Ruberto con popolo assai per la porta di Bisagno, e assalendo l'oste de' Ciciliani e usciti, vigorosamente gli levaro da la battaglia de la città: ritraendosi combattendo quasi come sconfitti, si ricolsono a galee, e vi lasciarono presi e morti gente assai; e la detta armata de' Ciciliani se n'andò in Cicilia molto peggiorata, e quella degli usciti a Saona; e così l'ultimo dì di settembre fu liberata la città di Genova, e il campo dell'oste ch'era in Bisagno si ritrasse al monte e a l'altra oste ch'era ne' borghi.



CXVII - Come gli usciti di Genova guastarono Chiaveri

Nel detto anno MCCCXX, a dì XIIII di dicembre, XV galee degli usciti di Genova corseggiando la riviera scesono al borgo di Chiaveri, e quello per forza presono, e ruballo e arsollo tutto.



CXVIII - Come gli usciti di Genova ebbono Noli, e feciono diversa guerra

Nel detto anno MCCCXX, a dì XXV di gennaio, gli usciti di Genova per mare, e 'l marchese dal Finale per terra, assediarono la città di Noli, traboccandola e combattendola per più volte: a la fine si rendero a patti a dì VI di febbraio MCCCXX salvo il castello, che si tenne poi insino a dì VI d'aprile vegnente, e per fame si rendéo. Chi potrebbe scrivere e continuare il diverso assedio di Genova, e le maravigliose imprese fatte per gli usciti co·lloro allegati? Certo si stima per gli savi che·ll'assedio di Troia, in sua comparazione, non fosse di maggiore continuamento di battaglie per mare e per terra, che così il verno come la state tenendo galee armate in mare, assediando la città, per modo che a grande distretta e necessitade di vittuaglia la condussono più volte nel detto anno MCCCXX e nel MCCCXXI vegnente; e per due volte la loro armata per fortuna di mare percosse in terra, e rotte le loro galee, e perita gran parte de la gente, per ciò non lasciavano la guerra, sanza il continovo corseggiare per mare in diverse parti del mondo, consumando l'una parte l'altra di più mercatantia che non vale uno reame; de le continue battaglie di terra assalendo la città per dì e per notte con più difici, gittando que' di fuori a que' d'entro, e quegli d'entro a que' di fuori, e con rovinare le mura della città, e di quelle fare cadere, e quegli d'entro con grande travaglio e necessitadi sollecitamente riparare e difendere, se tutto questo libro fosse scritto per quelle storie seguire, sanza altro sarebbe pieno. E nonn-è da maravigliare, che i Genovesi erano i più ricchi cittadini e' più possenti in quello tempo che fossono tra' Cristiani, né eziandio tra' Saracini; e coll'una parte e coll'altra erano allegati i signori e comunanze di grandissima potenzia, come è fatta menzione.



CXIX - Come il fratello del re di Spagna fue sconfitto da' Saracini di Granata

Nel detto anno MCCCXX i Saracini del reame di Granata, essendo sopra loro ad oste il fratello del re di Spagna con grande quantità di Cristiani a cavallo e a piè, quelli Saracini non possendo a la forza riparare, con grande spendio di pecunia corruppono certi baroni traditori di Spagna, i quali non seguirono il loro signore: assaliti da' Saracini furono sconfitti, e presso a Xm Cristiani furono tra morti e presi, e morto vi fu il detto fratello del re di Spagna, e corsono la Spagna infino a Sibilia a grande dammaggio e vergogna de' Cristiani.



CXX - Come i frieri dello Spedale isconfissono i Turchi con loro navilio a Rodi

Nel detto anno MCCCXX uno ammiraglio di Turchia venendo per prendere l'isola di Rodi, che tenea la magione dello Spedale, con più di LXXX tra galee e altri legni di Saracini, il comandatore di Rodi con IIII galee e con XX piccioli legni, e coll'aiuto di VI galee de' Genovesi d'entro che tornavano d'Erminia, combattero co' detti Saracini e sconfissogli, e grande parte de' detti legni presono e profondaro. Appresso andaro a una isoletta ivi presso, come aveano posti più di Vm uomini saracini per mettergli in su l'isola di Rodi: le dette galee de' Cristiani tutti gli ebbono presi, e uccisono i vecchi, e' giovani venderono per ischiavi.



CXXI - Come messer Cane de la Scala essendo all'assedio di Padova fu sconfitto da' Padovani e dal conte da Gurizia

Nel detto anno MCCCXX messer Cane della Scala signore di Verona, essendo all'assedio de la città di Padova con tutto suo isforzo stato per più d'uno anno continuo, e a quella città quasi prese tutte le sue castella e contado, e sconfittigli per più volte, avea sì affritta, che più non si potea tenere, che tutta intorno con battifolli forniti di sua gente avea circondata, sì che vivanda non vi potea entrare. I detti Padovani quasi disperati d'ogni salute, si diedono al dogio d'Osteric eletto re de' Romani, il quale mandò a·lloro soccorso il conte da Gurizia e 'l signore di Gualfe con Vc cavalieri a elmo, il quale subitamente, e come di nascoso, entròe in Padova colla detta gente. Il detto messer Cane per grande audacia e superbia ch'avea de le sue vittorie, e per la grande cavalleria e popolo ch'avea in sua oste, poco si curava de' Padovani, e per lo lungo assedio, per troppa sicurtà, male si tenea ordinato. Avenne che a dì XXV d'agosto MCCCXX il detto conte da Gurizia co' suoi Frigolani e Tedeschi e co' Padovani uscì di subito de la città, e assalì l'oste vigorosamente. Messer Cane con alquanta di sua cavalleria male ordinata, credendo riparare, si mise a la battaglia, il quale dal conte da Gurizia e da' Padovani fue sconfitto e atterrato e fedito, e di poco scampò la vita per soccorso di sua gente; in su una cavalla in Monselice scampò, e l'oste sua fue tutta isbarattata, e rimasevi di sua gente morta e presa assai, e tutti i loro arnesi: e così per mala provedenza la fortuna di sì vittorioso tiranno si mutò in contradio. Al detto assedio di Padova morì Uguiccione da la Faggiuola in cittadella, di suo male, essendo venuto in aiuto a messer Cane. Questi fu l'altro grande tiranno che perseguì tanto i Fiorentini e' Lucchesi, come adietro è fatta menzione.



CXXII - Come morì il conte Gaddo signore di Pisa, e fu fatto signore il conte Nieri

Nel detto anno MCCCXX il conte Gaddo de' Gherardeschi, ch'era signore di Pisa, morì (per gli più si disse per veleno), e fatto fu signore il conte Nieri suo zio; e lui fatto signore, mutò stato in Pisa, e tutti quegli ch'erano stati con Uguiccione da Faggiuola fece grandi, e a quegli che·ll'aveano cacciato tolse la signoria, e alquanti capitani di popolo fece morire, e altri fece ribelli, e chi confinati, e fece lega con Castruccio signore di Lucca e cogli usciti di Genova, dando loro occultamente aiuto e favore contra i Fiorentini e que' di Genova.



CXXIII - Come fu fatta pace dal re di Francia a' Fiamminghi

Nel detto anno MCCCXX il conte Ruberto di Fiandra con Luis conte d'Universa suo figliuolo andarono a Parigi con grande compagnia di Fiamminghi di tutte le buone ville, per dare compimento a la pace dal re di Francia a·lloro de la grande guerra ch'era stata tra·lloro più di XXII anni. E ciò fu a mossa di papa Giovanni che vi mandòe uno suo legato cardinale, e come piacque a·dDio, del mese d'aprile, vi si diede compimento, e il re di Francia diede per moglie la figliuola a Luis figliuolo di Luis conte d'Universa, che dovea essere reda de la contea di Fiandra, e rendégli la detta contea. E' Fiamminghi per patti lasciarono Lilla e Doagio e Bettona e tutta la terra di qua dal fiume del Liscio, ove si parte la lingua francesca da la fiamminga, e promisono di dare al re di Francia mille migliaia di libbre di buoni parigini in termine di XX anni, per amenda e soddisfacimento delle spese, e di quello ch'aveano misfatto a la corona.



CXXIV - Come tra quegli della casa di Fiandra ebbe grande dissensione

Nel detto anno MCCCXX, essendo i detti Fiamminghi in pace co' Franceschi e in buono stato, invidia nacque tra Luis conte d'Universa, maggiore figliuolo del conte di Fiandra, e Ruberto suo fratello; però che 'l conte vecchio loro padre amava più Ruberto suo minore figliuolo, perch'era più valoroso, e quasi al tutto l'avea fatto signore di Fiandra; onde il conte Luis forte isdegnò, e quasi tutto il paese se ne divise a setta, e per questa cagione in Guanto e in Bruggia ebbe più romori e battaglie cittadine, e uccisonne e cacciarne assai; e quegli che teneano con Luis e che amavano la pace co' Franceschi rimasono signori. In questo si disse che 'l conte vecchio volle essere avelenato, e fue aposto che Luis suo figliuolo il facea fare; per la qual cosa il fece prendere a Ruberto suo minore fratello, e mettere in pregione, onde il paese maggiormente si divise, che l'una parte tenea con Luis, e l'altra con Ruberto; e crebbe sì l'errore, che la villa di Bruggia si rubellò al conte e a messer Ruberto, e cacciarono de la terra tutta sua parte. Per la qual cosa quello anno e l'altro apresso il detto messere Ruberto gli guerreggiò e prese la villa del Damo e quella della Schiusa ov'è il porto. Quegli di Bruggia uscendo fuori a oste per assediare il Damo, quegli de la villa di Guanto e d'Ipro furono mezzani, e acconciarono quegli di Bruggia col conte, rimanendo signori la parte di Luis, dando al conte danari assai per amenda, si pacificaro.



CXXV - Come i Ghibellini furono cacciati di Rieti

Nel detto anno MCCCXX, del mese d'agosto, i Guelfi della città di Rieti, coll'aiuto di quegli da l'Aquila e di Civitaducale e gente del re Ruberto, cacciarono per forza i Ghibellini di Rieti, e combattendo nella città, più di Vc n'uccisono, e più n'anegarono nel fiume, il quale di sangue corse. E poi apresso a IV mesi, essendo i detti Guelfi di Rieti a l'assedio del castello d'Airone nel contado di Spuleto, i Ghibellini di Rieti usciti, coll'aiuto e forza di Sciarra della Colonna, per forza rientrarono in Rieti e cacciarne i Guelfi che non erano a l'oste.



CXXVI - D'uno grande raunamento d'osti che fu tra' due eletti d'Alamagna

Nel detto anno MCCCXX grande raunata fu fatta ne la Magna per combattersi insieme il dogio d'Ostoricchi e quello di Baviera, i quali amendue erano eletti re de' Romani per lo modo fatto menzione; e più tempo stettono ad oste in sul fiume del Reno, a..., quasi tutta la cavalleria de la Magna, chi dall'una parte e chi dall'altra. A la fine si partirono sanza combattere, perché quello di Baviera non poté durare la spesa.



CXXVII - Come Spinetta marchese s'alegò co' Fiorentini contra a Castruccio, ma tornò a vergogna de' Fiorentini

Nell'anno MCCCXXI i Fiorentini volendo guerreggiare Castruccio signore di Lucca, sì feciono lega con Ispinetta marchese Malaspini, il quale, tutto fosse Ghibellino, per Castruccio era disertato di sue terre. I Fiorentini gli mandarono in Lunigiana per la via di Lombardia CCC soldati a cavallo e Vc a piè; e egli con suo aiuto fece C uomini a cavallo, e in poco tempo racquistò assai di sue castella; ed erano per discendere al piano di Lunigiana, e fare guerra assai a la città di Lucca, però che' Fiorentini da l'altra parte erano in sul contado di Lucca, e posto assedio al castello di Montevettolino con VIIIc cavalieri, soldati e gente a piè assai; e se' Fiorentini avessono fatta la 'mpresa con maggiore provedimento e con più forte braccio, de la guerra erano vincitori. Castruccio sentendo il detto apparecchiamento, non fue ozioso; mandò a tutti i suoi amici per aiuto, e di Lombardia dal capitano di Milano, e da quello di Piagenza, e da' Parmigiani ebbe Vc cavalieri, e da' Pisani e dal vescovo d'Arezzo e altri Ghibellini di Toscana più d'altri Vc, sì che si trovòe in Lucca con più di XVIc di cavalieri, e disponendo suo consiglio saviamente, la 'mpresa di Lunigiana lasciò, e con tutta sua oste de' detti cavalieri, e popolo sanza numero, venne contra l'oste de' soldati di Firenze. I Fiorentini male proveduti di sì fatta impresa, e non credendo che la sua forza fosse sì grande per l'aiuto de' Lombardi, si levarono dall'assedio di Montevettolino, e si ritrassono in su Belvedere. Castruccio e sua oste seguendogli si puose a oste contra a·lloro, e se la sera avesse combattuto, di certo avea la vittoria, però che di gente e di tutto avea l'avantaggio. Guido da la Petrella, capitano delle masnade de' Fiorentini, la sera francamente si difese, assalendo con badalucchi la gente di Castruccio, mostrando gran vigore, e che attendessono aiuto. La notte vegnente, dì VIII di giugno, accesono molti fuochi e faccelline, faccendo sembiante d'assalire i nemici, e per questo modo lasciando i falò e luminare nel campo accesi, si levarono da campo salvamente con tutta sua oste, e si ridusse in Fucecchio e a Carmignano e a l'altre castella; e vennegli bene, che una grande acqua da cielo venne la notte, per che Castruccio non sentì la partita, e fu gabbato per le luminare. La mattina per tempo vedendo Castruccio partiti i suoi nimici, si tenne ingannato, e incontanente cavalcò, e guastò Fucecchio intorno, e Santa Croce, e Castello Franco, e Montetopoli, e Vinci, e Cerreto sanza contasto niuno: stette a oste per XX dì sanza riparo con grande vergogna de' Fiorentini, e tornossi in Lucca con grande onore. I Fiorentini per questa cagione feciono tornare di Lunigiana i loro cavalieri. Castruccio incontanente vi cavalcò, e riprese tutte le sue castella e Pontriemoli e più terre de' marchesi, e Spinetta le abandonò, e tornossi a messer Cane a Verona.



CXXVIII - Di novità d'ufici di Firenze

Nel detto anno e mese di giugno, incorrendo a' Fiorentini sì fatte traverse di guerra, e per la setta di quegli che non reggeano la città erano i priori e' rettori caloniati e biasimati, onde si criò uno uficio di XII buoni uomini popolani due per sesto, che consigliassono i priori, e che sanza loro consiglio e diliberazione i priori non potessono fare niuna grave diliberazione, né prendere balìa. Il modo fue assai lodato, e fue sostegno de la setta e istato che reggeva.



CXXIX - Come il marchese Cavalcabò co la lega di Toscana fue sconfitto in Lombardia

Nel detto anno MCCCXXI papa Giovanni e 'l re Ruberto per soccorrere il Piemonte e' loro amici di Lombardia, che molto era isbigottiti per la partita di messer Filippo di Valos, mandarono là per capitano di guerra messer Ramondo di Cardona d'Araona con XIIc di cavalieri, che fosse col legato cardinale, e rifeciono lega co' Fiorentini e' Bolognesi e' Sanesi, i quali mandarono in Lombardia M cavalieri tra due volte, onde fu capitano il marchese Cavalcabò di Chermona, ed erano parte in Reggio e parte a la pieve d'Altavilla in sul contado di Piagenza. Di là da Po era il patriarca d'Aquilea con quegli de la Torre e co' Bresciani, e teneano Chermona e Cremma, e guerreggiavano il capitano di Milano. Messer Galeasso Visconti veggendosi così guerreggiare a' cavalieri di Toscana e di Bologna, e dentro a la terra avea sospetto, mandò per aiuto a Milano al padre, e a Pisa e a Lucca, i quali gli mandarono VIc cavalieri. Il marchese Cavalcabò con Vc cavalieri cavalcò in Valditara, e quello borgo e più castelletta prese, e puosesi a l'assedio a la rocca di Bardo. Il capitano di Piagenza vi mandò da VIIIc cavalieri in M al soccorso, e trovando il detto marchese mal proveduto di tanta forza de' nimici, quasi soppreso, fue sconfitto, ed egli morto con più di CL cavalieri tra presi e morti. Il rimanente si fuggiro a grande periglio al borgo di Valditara; e questa sconfitta fue del mese di novembre a l'uscita, anno MCCCXXI.



CXXX - Come messer Galeasso di Milano ebbe la città di Chermona

Per questa vittoria il detto messer Galeasso con sua oste passò il Po, e a Chermona si puose ad assedio sentendo la mala fortuna, e la città era molto anullata per la guerra dello 'mperadore, e maggiormente per la morte del marchese Cavalcabò isbigottiti. Bartaglia diede a la città per tre dì; quegli d'entro annullati, e non avendo speranza di soccorso, le masnade che v'erano dentro, da CC a cavallo e CCC a piè, abandonarono la terra, e si fuggirono a Cremma. La gente di messer Galeasso, non essendo quasi chi difendesse la terra, per forza ruppono del muro de la città, e in quella entraro, e presolla e spogliarono d'ogni sustanzia che v'era rimasa; e ciò fu a dì V di gennaio MCCCXXI.



CXXXI - Come scuròe il sole, e morì il re di Francia

Nell'anno MCCCXXI, a dì XXVII di giugno, iscurò il sole in su·levare quasi le due parti o più, e durò per una ora. Nel detto anno, il dì de la Bifania, morì Filippo re di Francia, il quale non regnò che anni... mesi..., dì...; fue uomo dolce e di buona vita: non rimase di lui reda maschio. Apresso la sua morte fu fatto re di Francia Carlo conte de la Marcia suo fratello e figliuolo del re Filippo il grande, e fu coronato a Rens, dì XI di febbraio MCCCXXI.



CXXXII - Come i Bolognesi cacciarono di Bologna Romeo de' Peppoli il ricco uomo e' suoi seguaci

Nel detto anno MCCCXXI, del mese di giugno, i Bolognesi a romore di popolo col séguito de' Beccadelli e altri nobili cacciarono di Bologna a furore Romeo de' Peppoli, grande e possente cittadino e quasi signore della terra, con tutta sua setta, il quale si dicea il più ricco cittadino d'Italia, aquistato quasi tutto d'usura, che XXm fiorini e più avea di rendita l'anno sanza il mobile. Per la sua partita molto sturbò lo stato di parte guelfa di Bologna.



CXXXIII - Come lo 'mperadore di Gostantinopoli ebbe guerra co' figliuoli

Nel detto anno MCCCXXI lo 'mperadore di Gostantinopoli fu in grande discordia co' figliuoli, perché lo 'mperadore a sua vita avea fatto imperadore succedente a·llui il figliuolo del suo maggiore figliuolo, ch'era morto; onde il secondo figliuolo vivente isdegnato col padre, congiura fece co' baroni contro al padre e nipote, e quasi gran parte dello 'mperio gli rubellò. E questo fu grande cagione dell'abassamento degli usciti di Genova, però che il detto imperadore per abassare la forza della Chiesa e del re Ruberto continuamente co' suoi danari mantenea la guerra agli usciti di Genova, e a quegli di Saona contra la città di Genova e contro al re Ruberto, e per la sua guerra abandonòe la 'mpresa.



CXXXIV - Come Federigo di Cicilia fue scomunicato, e come fece coronare il figliuolo del reame

Nel detto anno MCCCXXI il detto papa Giovanni co' suoi cardinali ordinarono triegua per tre anni dal re Ruberto a don Federigo di Cicilia per potere meglio fornire la 'mpresa di Genova, il detto re Federigo dimandando per suoi ambasciadori pace o triegua di X anni, e Reggio e altre terre di Calavra ch'egli avea rendute in mano del papa, le quali il papa avea rendute al re Ruberto; onde tenendosi ingannato e tradito, sì contradisse la detta triegua di tre anni ch'avea fatta il papa, e fece disfidare il re Ruberto: il papa e' suoi cardinali isdegnati gli diedono sentenzia di scomunicazione. Il detto Federigo per questa cagione coronò del reame di Cicilia don Piero suo maggiore figliuolo sanza dispodestare sé a sua vita e fecegli in sua presenza fare omaggio e saramento a tutti i baroni e Comuni dell'isola; e questo fue il dì di...



CXXXV - Come i Fiorentini mandarono in Frioli per cavalieri

Nel detto anno MCCCXXI i Fiorentini mandarono in Frioli per cavalieri a soldo, e vennono in Firenze del mese d'agosto CLX cavalieri a elmo, con altrettanti balestrieri a cavallo tra Friolani e Tedeschi, molto buona gente d'arme, ond'era capitano Iacopo di fontanabuona grande castellano di Frioli, e feciono guerra assai a Castruccio; almeno dapoi gli sentì in Firenze non s'ardì a passare la Guisciana, come in prima era usato di fare.



CXXXVI - Chi fue il poeta Dante Allighieri di Firenze

Nel detto anno MCCCXXI, del mese di luglio, morì Dante Allighieri di Firenze ne la città di Ravenna in Romagna, essendo tornato d'ambasceria da Vinegia in servigio de' signori da Polenta, con cui dimorava; e in Ravenna dinanzi a la porta de la chiesa maggiore fue sepellito a grande onore in abito di poeta e di grande filosafo. Morì in esilio del Comune di Firenze in età circa LVI anni. Questo Dante fue onorevole e antico cittadino di Firenze di porta San Piero, e nostro vicino; e 'l suo esilio di Firenze fu per cagione, che quando messer Carlo di Valos de la casa di Francia venne in Firenze l'anno MCCCI, e caccionne la parte bianca, come adietro ne' tempi è fatta menzione, il detto Dante era de' maggiori governatori de la nostra città e di quella parte, bene che fosse Guelfo; e però sanza altra colpa co la detta parte bianca fue cacciato e sbandito di Firenze, e andossene a lo Studio a Bologna, e poi a Parigi, e in più parti del mondo. Questi fue grande letterato quasi in ogni scienza, tutto fosse laico; fue sommo poeta e filosafo, e rettorico perfetto tanto in dittare, versificare, come in aringa parlare, nobilissimo dicitore, in rima sommo, col più pulito e bello stile che mai fosse in nostra lingua infino al suo tempo e più innanzi. Fece in sua giovanezza i·libro de la Vita nova d'amore; e poi quando fue in esilio fece da XX canzoni morali e d'amore molto eccellenti, e in tra·ll'altre fece tre nobili pistole; l'una mandò al reggimento di Firenze dogliendosi del suo esilio sanza colpa; l'altra mandò a lo 'mperadore Arrigo quand'era a l'assedio di Brescia, riprendendolo della sua stanza, quasi profetezzando; la terza a' cardinali italiani, quand'era la vacazione dopo la morte di papa Chimento, acciò che s'accordassono a eleggere papa italiano; tutte in latino con alto dittato, e con eccellenti sentenzie e autoritadi, le quali furono molto commendate da' savi intenditori. E fece la Commedia, ove in pulita rima, e con grandi e sottili questioni morali, naturali, strolaghe, filosofiche, e teologhe, con belle e nuove figure, comparazioni, e poetrie, compuose e trattò in cento capitoli, overo canti, dell'essere e istato del ninferno, purgatorio, e paradiso così altamente come dire se ne possa, sì come per lo detto suo trattato si può vedere e intendere, chi è di sottile intelletto. Bene si dilettò in quella Commedia di garrire e sclamare a guisa di poeta, forse in parte più che non si convenia; ma forse il suo esilio gliele fece. Fece ancora la Monarchia, ove trattò de l'oficio degli 'mperadori. Questo Dante per lo suo savere fue alquanto presuntuoso e schifo e isdegnoso, e quasi a guisa di filosafo mal grazioso non bene sapea conversare co' laici; ma per l'altre sue virtudi e scienza e valore di tanto cittadino ne pare che si convenga di dargli perpetua memoria in questa nostra cronica, con tutto che per le sue nobili opere lasciateci in iscritture facciamo di lui vero testimonio e onorabile fama a la nostra cittade.



CXXXVII - Come i Fiorentini rimasono fuori della signoria del re Ruberto, e feciono parte delle mura della città

Nel detto anno MCCCXXI, in calen di gennaio, i Fiorentini uscirono della signoria del re Ruberto, la quale era durata per VIII anni e mezzo, e tornaro a fare lezione di loro podestà e capitano, com'erano usati per antico, e cominciaronsi a fare le mura e le torri da la porta di San Gallo a quella di Santo Ambruogio de la città di Firenze. E io scrittore, trovandomi per lo Comune di Firenze uficiale con altri onorevoli cittadini sopra fare edificare le dette mura, di prima adoperamo che le torri si facessono di CC in CC braccia; e simile s'ordinò si cominciassono i barbacani, overo confessi, di costa a le mura e di fuori da' fossi, per più fortezza e bellezza de la cittade, e così si seguirà poi per tutto.



CXXXVIII - Come il re d'Inghilterra fece uccidere 'l cugino e più suoi baroni, e come gli Scotti gli cominciarono guerra

Nel detto anno MCCCXXI fallirono le triegue dagli Scotti al re d'Inghilterra, e con grande isforzo corsono gli Scotti gran parte de' confini d'Inghilterra da la loro parte, tenendo tutti gl'Inghilesi di quelle marce sotto tributarìa; e ciò avenne per grande discordia che il re Adoardo il giovane re d'Inghilterra ave' quasi con più de' suoi baroni, ond'era capo il conte di Lancastro, cugino del re e de la casa reale. E la detta lega e giura era fatta per gli baroni contro al re, perch'egli si reggea per male consiglio e vile portamento, dando più fede a uno messer Ugo il Dispensiero, cavaliere di picciolo affare, ch'a tutti gli altri suoi baroni. E crebbe tanto la detta scisma, che i detti congiurati teneano arme contro al re, e s'erano rubellati nella contrada del Trento verso Bonobruco, cioè ponte. E tornando uno conastabole del re con più di sua gente d'arme da le frontiere della Scozia, e per mandamento del re gente a piè del paese ragunò in buona quantità per offendere a' detti allegati, trovandogli male ordinati al detto ponte, ch'era uno stretto passo, gli sorprese e sconfisse con piccola fatica di combattere: quasi tutti s'arrendero; onde il re fece dicapitare il detto conte di Lancastro e 'l conte d'Ariforte con LXXXVIII tra conti e baroni. E ciò fu a l'uscita del mese di marzo, anni MCCCXXII, e fu tenuta una grande crudeltà, per la qual cagione la forza del reame d'Inghilterra molto afiebolìo.



CXXXIX - Come i Perugini ebbono la città d'Ascesi per assedio

Nell'anno di Cristo MCCCXXII, essendo il Comune di Perugia stato a l'assedio della città d'Ascesi per più d'uno anno con più battifolli, per cagione che s'erano rubellati da parte di Chiesa, e signoreggiavala il popolo in parte ghibellina, quella città molto afflitta di guastamento intorno intorno, e tolte loro tutte le castella, e oltre a·cciò di più avisamenti la loro gente sconfitta, e fallendo loro la vittuaglia e molte cose bisognevoli, si rendero al Comune di Perugia, i quali le disfeciono le mura e le fortezze, e recarla a loro giuridizione, e tolsono il suo contado infino al fiume di Chiacio a piè de la città: e questo fu del mese d'aprile del detto anno. E intrati i Perugini in Ascesi corsono la terra, e oltre a' patti più di C cittadini uccisono a furore ne la terra, ch'erano stati loro ribelli.



CXL - Come la parte ghibellina furono cacciati di Fano

Nel detto anno e mese d'aprile i Guelfi de la città di Fano de la Marca coll'aiuto de' Malatesti da Rimine cacciarono di Fano la parte ghibellina, e si renderono al marchese, ch'era per lo papa.



CXLI - Come Federigo conte da Montefeltro fu morto a romore da quegli d'Orbino

Nell'anno MCCCXXII, essendo stata, e era grande guerra nella Marca d'Ancona, la quale mantenea il conte Federigo da Montefeltro co la città d'Orbino, e d'Osimo, e di Racanata contra il marchese che v'era per la Chiesa, e morto in Racanata uno nipote e uno cugino del detto marchese con molta di sua gente, il papa per la detta cagione, a richesta del marchese, fece processo, e sentenzia diede contra il detto conte Federigo, e contra i caporali e rettori de la città d'Osimo e di Racanata, trovandoli in più articoli di resia, e tali in idolatria, secondo la sentenzia; e croce fece contro a·lloro predicare in Toscana e in più parti d'Italia, perdonando colpa e pena chi andasse o mandasse in servigio di santa Chiesa. Più crociati v'andarono di Firenze e di Siena e di più altre cittadi. E 'l marchese essendo con sua oste intorno a Racanata, avenne che essendo il conte Federigo in Orbino, e fatta a quegli della cittade una grande taglia, overo imposta di moneta, per andare al soccorso di Racanata con certi soldati del vescovo d'Arezzo e di Castruccio, come piacque a·dDio, maravigliosamente e di sùbito il popolo d'Orbino si levòe a romore contro al detto conte Federigo, ed egli improviso rinchiuso e assediato dal popolo nella sua fortezza de la terra, vedendosi non guernito né da potere riparare, s'arendé come morto al popolo, pregandogli per grazia gli tagliassono la testa; e spogliato in giubba, col capestro in collo, e con uno suo figliuolo scese al popolo cheggendo misericordia, il quale popolo a furore lui e 'l figliuolo uccisono, e poi faccendo il corpo suo tranare per la terra, vituperosamente a' fossi in uno carcame di cavallo morto il soppellirono, sì come scomunicato; e due altri suoi figliuoli fuggendo d'Orbino furono presi da quegli d'Agobbio; e un altro suo piccolino fanciullo fu preso dal popolo d'Orbino, e Speranza da Montefeltro si fuggì nel castello di San Marino. E per questo modo venne il giudicio d'Iddio improvisamente a quegli della casa da Montefeltro, gli quali erano sempre stati ribelli e perseguitori di santa Chiesa; e questo fu a dì XXVI d'aprile MCCCXXII.



CXLII - Come la città d'Osimo si rendé a la Chiesa

Nel detto anno, per cagione del rubellamento d'Orbino e de la morte del conte Federigo, quegli della città d'Osimo si levaro a romore contra i loro rettori, gridando che voleano pace colla Chiesa; e veggendo i detti il popolo scommosso a romore, per paura di quello ch'era avenuto al conte Federigo, si fuggiro de la terra, e 'l Comune e 'l popolo d'Osimo sì rendero a la Chiesa e al marchese; e questo fu a dì III di maggio MCCCXXII.



CXLIII - Come la città di Racanata si rendé a la Chiesa, e come il marchese la fece disfare

Nel detto anno e mese quegli della città di Racanata veggendo renduti al marchese Orbino e Osimo, s'arendero al detto marchese e sua oste liberamente, e cacciarne i loro rettori e caporali. Il marchese presa la città, per vendetta del nipote e di sua gente ch'aveano molti, dicendo che in Racanata s'adoravano l'idoli, la città sanza misericordia fece ardere tutta, e apresso i muri diroccare infino a' fondamenti; e ciò fu a' dì XV di maggio MCCCXXII, la quale fu tenuta grande crudeltà, overo fu sentenzia d'Iddio per gli loro peccati.



CXLIV - Come i Visconti signori di Milano furono scomunicati, e come la Chiesa fece venire contra loro il dogio d'Osteric

Nel detto anno MCCCXXII, veggendo papa Giovanni che 'l capitano di Milano e' figliuoli nol voleano ubbidire per richeste fatte più volte che facesse levare l'assedio da la città di Genova, e amoniti dal legato cardinale e scomunicati, sentenzia diede la Chiesa contra loro sì come eretici e sismatici, e fece predicare la croce contra loro in Italia e in Alamagna, e perdonare colpa e pena. E oltre a·cciò, veggendo la Chiesa che la 'mpresa fatta con messer Filippo di Valos era venuta a neente, che solamente per la forza di messer Ramondo di Cardona e di sua gente non si potea resistere a la forza de' detti tiranni, ordinò e richiese con trattato del re Ruberto Federigo dogio d'Osteric, eletto re de' Romani, che s'egli mandasse d'Alamagna le sue forze in Lombardia contra i detti scomunicati e sismatici, di confermarlo per la Chiesa imperadore, e uno suo fratello cherico farebbe arcivescovo di Maganza. Per la qual cosa Federigo detto mandò in Lombardia Arrigo dogio d'Ostericche suo fratello con Vc cavalieri a elmo; e giunse nella città di Brescia domenica d'ulivo del detto anno; e poi più signori e genti d'arme crociati d'Alamagna vi s'agiunsono, sì che si trovò in Brescia con MM Tedeschi d'arme a cavallo. Sentendo ciò il capitano di Milano e' suoi seguaci, parea loro male stare, e al tutto temendo di perdere la signoria, veggendo sì grande esercito venire contra lui da la parte di Brescia d'Alamagna, e d'altri Lombardi fedeli de la Chiesa, e Fiorentini e Bolognesi e Sanesi per fornire la loro lega co la Chiesa e·re Ruberto, e mandati i loro sindachi con molta moneta in Frioli e in Alamagna per soldare IIIIc cavalieri a elmo e CC balestrieri a cavallo per agiugnerli a Brescia, co la forza del detto dogio Arrigo d'Ostericchi d'altra parte.



CXLV - Come i signori di Milano sotto trattato d'accordo colla Chiesa corruppono il dogio d'Ostericchi, sì che si tornò in Alamagna

Messer Ramondo di Cardona era col legato a Valenza con MD uomini a cavallo e con gente a piè innumerabile crociati per venire verso Milano da la parte di Pavia. Il detto capitano veggendosi così assalire da tutte parti da la forza de la Chiesa, mandò XII de' maggiori cittadini di Milano per ambasciadori al legato cardinale per acconciarsi co la Chiesa, però che 'l popolo di Milano veggendosi sì fatti eserciti di gente venire adosso, non voleano essere scomunicati, né distrutti per quegli della casa de' Visconti. Essendo i detti ambasciadori col legato a Valenza trattando d'accordo, il detto capitano di Milano mandò segretamente suoi ambasciadori in Alamagna, e eziandio moneta assai a Federigo dogio d'Ostericchi, mostrando come facea contra lo 'mperio e contro a·ssé medesimo; e che se la Chiesa e 'l re Ruberto avessono la signoria di Milano, avrebbono tutta Lombardia, e' fedeli dello imperio di Lombardia e di Toscana, distrutti per modo che mai non porrebbe passare in Italia né avere la corona dello 'mperio. Il Tedesco per queste ragioni e per la cupidigia della moneta fue scommosso, e mandòe al suo fratello Arrigo, ch'era a Brescia, che cogliesse alcuna cagione e si tornasse addietro. Il quale avuto il mandato del fratello, e disparte dal capitano di Milano e dagli altri tiranni di Lombardia moneta assai, avendo ordinato co' Bresciani e col patriarca d'Aquilea e con loro séguito d'andare ad oste sopra la città di Bergamo, ch'era in trattato d'arendersi a·lloro, mosse quistione a' Bresciani, che in prima che si partisse volea la signoria di Brescia. I Bresciani negando che no·lla poteano dare, perché vacando imperio s'erano dati al re Ruberto, incontanente sanza niuno ritegno si partì de la terra a dì XVIII di maggio MCCCXXII, e con tutta sua gente se n'andò a Verona, il quale da messer Cane della Scala signore di Verona onorevolemente fu ricevuto e presentato di ricchi doni; poi appresso sanza dimoro se n'andò in Alamagna, guastando a la Chiesa sì grande impresa e sì bello servigio incominciato, per sì fatto tradimento.



CXLVI - Come i Pistolesi feciono triegua con Castruccio contra 'l volere de' Fiorentini

Nel detto anno MCCCXXII, del mese d'aprile, essendo i Pistolesi molto gravati di guerra da Castruccio signore di Lucca, il quale tenea il castello di Serravalle presso a tre miglia a Pistoia, trattato ebbono co·llui di triegua; onde i Fiorentini entraro in grande gelosia, che Castruccio sotto la detta triegua non prendesse la terra; per la quale cosa più volte vi mandarono loro ambasciadori per isturbarla. A la fine la terra si levò a romore, e feciono loro capitano di popolo l'abate di Pacciana di Tedici, che volea la detta triegua, e contra volontà de' Fiorentini la feciono, dando di trebuto a Castruccio IIIm fiorini d'oro l'anno, e cacciarne per ribelli il vescovo e altri caporali che teneano co' Fiorentini.



CXLVII - Come in Siena ebbe romore e novitade

Nell'anno MCCCXXII, del mese d'aprile, la città di Siena fue a romore per cagione che quegli della casa de' Salimbeni uccisono una notte due frategli carnali figliuoli di cavaliere della casa de' Tolomei, loro nemici, nelle loro case. Per la potenza de le dette due case i Sanesi quasi tutti parati per combattersi insieme, e temendo di certe masnade tedesche che' Pisani e Castruccio mandavano per lo loro contado al vescovo d'Arezzo, per aiuto mandarono a' Fiorentini, i quali mandarono loro le masnade de' Friolani, ch'erano CCCL cavalieri, molto buona gente, e tutte le leghe del contado di Firenze di genti a piè vicini de' Sanesi; per la qual cosa la città di Siena si guarentì da battaglia cittadina, con tutto rimanesse assai pregna di male volontadi tra·lloro.



CXLVIII - Come i Ghibellini di Colle vollono prendere la terra e furono sconfitti

Nell'anno MCCCXXII, del mese d'aprile, usciti di Colle di Valdelsa coll'aiuto di certi ribelli di Firenze entrarono per forza nel borgo di Colle. Quelli della terra combattendo per forza gli ripinsono fuori, e assai ve ne rimasono morti e presi; e quegli di Colle feciono popolo co la 'nsegna a croce del popolo di Firenze.



CXLIX - Come il soldano de la Soria corse e prese quasi tutta l'Erminia

Nel detto anno MCCCXXII, del mese d'aprile, il soldano de la Soria con più di XXVm Saracini a cavallo corsono l'Erminia di sotto, e quella presono e guastarono tutta infino a la marina, salvo alcuna fortezza di montagne; e tutti gli Ermini e Cristiani che in quella correria presono, assai n'uccisono e menarono in servaggio; e questa persecuzione si disse fu per loro peccata e discordia, che essendo morto il re d'Erminia, e rimasi di lui due piccioli figliuoli, il signore del Curco suo zio prese per moglie sanza dispensazione di papa la reina stata moglie del nipote, e figliuola del prenze di Taranto, per aversi la signoria del reame; e quella reina ripresa del matrimonio che volea fare, e che mandasse al papa per dispensazione, disse che prima si peccava che si domandasse perdono; onde i baroni isdegnati furono in discordia e partiti, per la qual cosa quando fue bisogno non difesono il reame da' Saracini, onde l'Erminia fu quasi distrutta.



CL - Come il re di Tunisi cacciato di signoria la racquistò

Nel detto anno MCCCXXII, del mese d'aprile, il re di Tunisi, ch'era stato cacciato di Tunisi, come adietro fa menzione, s'acordò co' signori degli Arabi, e raunato suo isforzo, con alquanti Cristiani di soldo e' venne verso Tunisi con IIIIm uomini a cavallo e con gente a piè assai. L'altro re che tenea Tunisi uscì fuori a battaglia e fue sconfitto, sì che il primo re fu vincitore e racquistò il suo reame. Questo re fu figliuolo di madre cristiana, e assai si ritenea co' Cristiani.



CLI - Come il vescovo d'Arezzo cominciò guerra a' conti, e prese Castello Focognano

Nell'anno MCCCXXII, del mese di maggio, il vescovo d'Arezzo, ch'era di quegli da Pietramala, fece raunata di VIc cavalieri con CL Tedeschi ch'ebbe da' Pisani e da Castruccio signore di Lucca: dissesi che ciò avea fatto per soccorrere il conte Federigo da Montefeltro; ma sentendo ch'era morto, cavalcò co la detta gente in Casentino, e tolse il castello di Fronzole sopra a Poppio, il quale teneano i figliuoli del conte da Battifolle; e fatto ciò, incontanente cavalcò e puosesi a oste a Castello Focognano. I Fiorentini a richesta dei conti e de' signori del Castello Focognano mandarono in Casentino CCCL cavalieri friolani, e fermossi in Firenze di dare loro aiuto generale, quanto il Comune potesse fare, per levare il detto assedio, ricordandosi i Fiorentini che 'l detto vescovo, non istante la pace fatta co·lloro alla sconfitta a Montecatini, CL de' suoi cavalieri mandò incontro a l'oste de' Fiorentini; e poi quando Castruccio ruppe la pace a' Fiorentini e cavalcò in sul contado di Firenze, ne mandò C cavalieri in suo aiuto. Faccendo i Fiorentini l'aparecchiamento d'oste, e richesti gli amici di Toscana e di Romagna e de la Marca, il detto vescovo per tradimento che ordinò con uno piovano di que' signori del castello ebbe a patti il detto castello, ch'era fortissimo e ben fornito; e come gli fu renduto, sanza attenere patti il fece tutto ardere, e poi diroccare infino a' fondamenti.



CLII - Come Romeo de' Peppoli e suo séguito vennono per prendere Bologna e andarne in isconfitta

Nel detto anno, del mese di maggio, il grande ricco uomo Romeo de' Peppoli cacciato di Bologna, come adietro è fatta menzione, essendo a Cesena in Romagna, de' suoi propi danari e con amici subitamente raunò IIIIc cavalieri: venne a la città di Bologna, e con aiuto di certi suoi amici ch'erano ne la città entròe dentro a l'antiporte ne' borghi. I Bolognesi quasi improvisi de la sùbita venuta, francamente difendendo la terra, i detti loro ribelli per forza e con grande loro dammaggio gli ripinsono fuori de la città, e poi più confinati e ribegli feciono di quella parte, rimanendo Bologna in grande sospetto e in male stato, e mandarono per aiuto a' Fiorentini, i quali mandarono loro CL di loro cavalieri.



CLIII - De' romori e grandi novità ch'ebbe nella città di Pisa per la setta de' cittadini

Nel MCCCXXII, del mese di maggio, la città di Pisa si levò a romore per cagione delle sette ch'erano tra' cittadini. Messer Corbino de la casa de' Lanfranchi uccise messer Guido da Caprona de' maggiori cittadini che vi fosse; e quello de' Lanfranchi preso a romore di popolo, a·llui e al fratello fu tagliato il capo. E per cagione di ciò non cessò il romore ne la terra, ma più caldamente si raccese, che il conte Nieri de' Gherardeschi signore delle masnade tedesche co' grandi de la terra corsono la città, e a furore da' detti grandi Lanfranchi e Gualandi e Sismondi e Capornesi ch'erano dell'altra setta contra il popolo uccisono tre possenti popolani, e cercando per tutto quegli ch'erano de la setta di Coscetto dal Colle per uccidergli, dicendo che aveano fatto uccidere quello da Caprona, e facieno venire Coscetto dal Colle: il popolo per la detta ingiustizia e micidi isdegnarono contra il conte Nieri e contra i grandi. Il secondo dì s'armarono e corsono la terra, e vollono che giustizia si facesse, onde furono condannati XV de' maggiori de le dette case per ribelli, e guasti i beni loro: il conte medesimo sarebbe stato corso dal popolo di Pisa, se non che si trovò forte de le masnade; e sì si disse che ne' micidi detti non avea avuto colpa, ma più il campò che Castruccio con tutto suo isforzo venne per due volte infino in sul Monte San Giuliano. I Pisani temendo de la sua venuta, ch'egli e la sua gente non corressono e rubassono la città, sì gli contradissono la venuta. Istando i Pisani sotto l'arme e in grande sospetto più giorni per le dette divisioni e sette, Coscetto dal Colle popolano, uomo di grande valore e ardire, il quale era stato capo di popolo in Pisa a cacciare Uguiccione da la Faggiuola, e poi a uccidere quegli della casa de' Lanfranchi, come adietro ha fatta menzione, e allora era fuori di Pisa per ribello, sentendo le dette divisioni in Pisa per certi trattati di suoi amici d'entro, venia in Pisa per mutare stato a la città, e per uccidere e cacciare il conte Nieri e' suoi seguaci; essendo fuori di Pisa assai presso a la città in una piccola casa d'uno villano per entrare la mattina per tempo in Pisa, un suo compare e confidente il tradì e l'apostò al conte, il quale a grande furore fu menato preso in Pisa, e sanza altro giudicio fatto, il fé tranare, e tranando tagliato a pezzi, e gittato in Arno. E fatto ciò, la terra si racquetò, e feciono grande festa e processione, e mandaro a' confini più nobili e popolani de la setta del detto Coscetto in diverse e lontane parti del mondo, e 'l detto conte Nieri feciono signore e difensore del popolo di Pisa dì XIII di giugno MCCCXXII; e così in pochi dì il detto conte fu in così varie e diverse fortune.



CLIV - Come Castruccio fece uno grande castello in Lucca

Nel detto anno, del mese di giugno, MCCCXXII Castruccio signore di Lucca spaventato per la morte del conte Federigo da Montefeltro, e per le mutazioni fatte per lo popolo di Pisa contro al conte Nieri, temendo che 'l popolo di Lucca nol corressono a furore, ordinòe nella città uno maraviglioso castello, che quasi la quinta parte de la città da la parte di verso Pisa prese, e murò di fortissimo muro con XXVIIII grandi torri intorno, e puosegli nome l'Agusta, e caccionne fuori tutti gli abitanti, e egli e sua famiglia e sue masnade vi tornò ad abitare; la qual cosa fu tenuta grande novità e magnifico lavorio.



CLV - Come il re di Tunisi fu ricacciato de la signoria

Nel detto anno, del mese di giugno, il re di Tunisi ch'avea raquistata la signoria del mese d'aprile passato, sì come è fatta menzione, fue cacciato de la signoria da l'altro re suo nimico: coll'aiuto di certa parte degli Arabi riprese la signoria.



CLVI - Come morì messer Maffeo Visconti capitano di Milano

Nel detto anno MCCCXXII, a dì XXVIII di giugno, morì messer Maffeo Visconti capitano per lo 'mperio di Milano a la badia di Chiaravalle fuori di Milano, scomunicato da la Chiesa di Roma, e con processo d'eretico e sismatico. Questi fue uno savio signore e tiranno, e molte grandi cose trasse a fine per suo senno e industria, e visse più di LXXXX anni, e infino a l'ultimo fu savio e di grande signoria. Il detto dì che morì, Galeasso suo maggiore figliuolo e capitano di Piagenza corse la città di Milano co le masnade de' soldati, e fecesi fare quasi per forza capitano di Milano uno anno.



CLVII - Come nella Chiesa di Roma nacque grande quistione sopra la povertà di Cristo

Nel detto anno MCCCXXII grande quistione nacque ne la Chiesa di Roma, onde seguì nuovo errore tra' Cristiani, per movimento che fece uno grande maestro in divinità de' frati minori, che predicava in Proenza, che Gesù Cristo fu tutto povero sanza avere nullo propio né in comune, onde molti prelati e frati predicatori, ed eziandio in corte papa Giovanni e' suoi cardinali contradissono a·cciò, provando che Cristo cogli apostoli ebbe propio in comune, come si mostra per gli Vangeli, che Giuda Scariotto era camerlingo e spenditore de' beni loro dati per Dio, e ancora così seguiro i discepoli, come si mostra per gli Atti degli appostoli. Per la qual cosa il papa crucciato contro a quegli frati e altri prelati che sosteneano l'altra oppinione, dicendo ch'erano eretici, o elli e gli altri papi passati e cardinali e prelati ch'aveano propietà comune erano eretici; e di ciò diede termine a' frati, che a questo articolo diliberatamente rispondessono. Per la qual cosa i frati minori feciono capitolo generale a Perugia, nel quale dichiararono e rispuosono al papa ch'eglino ne credeano quella oppinione che la Chiesa di Roma per antico avea consueto, e quello che ne fu dichiarato per papa Niccola terzo. Il papa per questa cagione fece uno dicreto, che l'ordine de' frati minori non potesse avere nullo comune propio, né' loro procuratori potessono nullo bene temporale domandare sotto titolo della Chiesa di Roma, né potere esser a nulla esecuzione di testamento, né quello che a·lloro fosse lasciato per favore di Chiesa, né secolare braccio potere domandare. La qual cosa fu tenuta grande novità nella Chiesa di Dio.



CLVIII - Come in Firenze s'ordinò una fiera, e altre novitadi

Nel detto anno MCCCXXII, del mese di giugno, i Fiorentini ordinarono una fiera in Firenze di cavagli e di tutte cose per la festa di san Giovanni di giugno, la quale feciono franca a' forestieri VIII giorni innanzi a la festa e VIII giorni appresso, la quale si facesse nel Prato d'Ognesanti; ma poco tempo apresso durò, per cagione de le grandi gabelle ch'erano allora in Firenze; e d'altra parte, considerando il vero de la piena arte e mercatantia ch'è in Firenze, ogni dì si può dire vi sia fiera. E a dì VII di luglio vegnente s'apprese il fuoco in sul ponte Vecchio, e arsono tutte le botteghe ch'erano da mezzo il ponte in qua, con molte case di sotto le volte. E infra quattro semmane vegnenti s'appresono l'altre botteghe da l'altro lato, e arsono tutte e casa de' Mannelli. E in quello tempo uno sottile maestro di Siena per suo artificio fece sonare la gran campana del popolo di Firenze, ch'era stata XVII anni che nullo maestro l'avea saputo farla sonare a distesa, essendo XII uomini, e acconciolla per sì sottile e bello artificio, che due la poteano muovere, e poi mossa, uno solo la sonava a distesa (e pesa più di XVIIm di libbre); onde il detto maestro per suo servigio ebbe dal Comune CCC fiorini d'oro.



CLIX - Di guerra che fue in Cicilia e in Calavra

Nel detto anno MCCCXXII, a l'uscita del mese di giugno e a l'entrata di quello di luglio, il duca di Calavra figliuolo del re Ruberto mandò da Napoli in Cicilia XVIII galee armate in corso sopra i Ciciliani, le quali presono e guastarono l'isola di Lipari, e poi guastarono le tonnare di Palermo, e corseggiaro intorno a l'isola con danno assai di Ciciliani. Partite le dette galee, il re Federigo fece armare in Messina XXVI galee, e con più legni puose cavalieri e genti a piè assai a Reggio in Calavra, e guastollo intorno, e simigliante Niccotera e più altre terre sanza altro aquistare, ma le sopradette galee del duca misono in caccia.



CLX - Come messer Ramondo di Cardona capitano per la Chiesa fue sconfitto al ponte a Basignano

Nel detto anno MCCCXXII, dì VI di luglio, essendo messer Ramondo di Cardona capitano in Lombardia per la Chiesa, de la gente della Chiesa e del re Ruberto, a l'assedio de la rocca di Basignano, e quella molto distretta, ch'egli aveva fatto fare ponti di navi in sul Po, sì che vittuaglia non vi potea entrare, messer Marco Visconti di Milano con suo isforzo di XXIIc di cavalieri e con popolo a piè grandissimo venne al soccorso, e puosesi a oste sopra i borghi di Basignano, e messer Gherardino Spinoli uscito di Genova capitano de la detta oste con grande navilio scese giù per Po, per combattere il ponte e fornire la detta rocca, e messer Marco per terra assaliro a un'ora l'oste di messer Ramondo ch'era fuori de' borghi, ov'ebbe grandissimi assalti e battaglie, e per più riprese. E volendo rompere il detto ponte sopra al Po mettendo fuoco, e l'altra parte difendendo, grandissimo dammaggio vi ricevettono quegli del capitano di Milano di morti e d'annegati; e avendo perduto in Po, si ritrassono in terra, ov'era cominciata la battaglia per la cavalleria e popolo, la quale durò da mezzo dì a vespro; e per due volte rotti quegli di Milano, e morti più di CCC uomini di cavallo, e di que' da piè grande quantità; a la fine essendo la forza di messer Marco maggiore che quella di messer Ramondo, il quale non avea che XIIc di cavalieri, e di quegli gli convenia guardare di qua e di là da Po e il ponte sopra Po, la gente sua ch'era dal lato de' borghi, per soperchio di gente fu ripinta per forza ne' borghi e sconfitti, ove morirono di sua gente da CL uomini di cavallo, e di que' da piè assai; e così quegli che maggiore dammaggio ricevettono furono vincitori del campo, e rifornirono la rocca di Basignano, e rimasono all'assedio de la gente de la Chiesa ch'era ritratta ne' detti borghi.



CLXI - Conta di grande guerra tra il re d'Inghilterra e quello di Scozia

Nel detto anno MCCCXXII, del mese di luglio, il re di Scozia con suo isforzo, sentendo la divisione ch'era in Inghilterra tra 'l re e' suoi baroni, venne in su l'Inghilterra, e tutte le frontiere de' suoi confini guastò. Sentendo ciò il re d'Inghilterra, del mese presente d'agosto con tutto suo isforzo andò ad oste in Iscozia per terra, e per mare vi mandò bene CCC cocche e navi armate. Gli Scotti sentendo l'esercito che venia loro adosso, si ritrassono fra la Scozia in foreste e fortezze. Gl'Inghilesi male proveduti di vittuaglia, grandissimo difetto ebbe nell'oste, per la qual cosa moltitudine morirono di fame, e si corruppe l'oste per modo che non poterono durare; e così sanza nullo acquisto fare si tornò il re d'Inghilterra con sua oste adietro del mese di settembre con grande vergogna e dammaggio di XXm uomini morti di fame e d'infermità. E in quello medesimo tempo i Fiamminghi, per discordia ch'aveano cogl'Inghilesi, sì guerreggiarono in mare rubando e corseggiando sopra gl'Inghilesi, i quali in quello anno d'una parte e d'altra e tra·lloro molto furono afflitti.



CLXII - Come la città d'Osimo si rubellòe a la Chiesa

Nel detto anno, del mese d'agosto, messer Lippaccio, ch'era stato signore de la città d'Osimo de la Marca e ribello de la Chiesa, coll'aiuto di quegli de la città di Fermo e d'altri Ghibellini de la Marca in Osimo ritornò e caccionne la gente del marchese, e co l'aiuto de' Fermani si cominciò grande guerra al marchese, e feciono rubellare Fabbriano.



CLXIII - Come i Fiorentini feciono una grande raunata di gente credendosi avere alcuna terra di Castruccio

Nel detto anno, del mese d'agosto, i Fiorentini subitamente feciono raunata di XXVc di cavalieri tra di loro gente e d'amici, e di XVm uomini d'arme a piè. La cagione nullo sapea, se non certi sagretari: dissesi che doveano avere una terra, overo città, di loro nimici. Per la qual cosa i Pisani e 'l signore di Lucca, e ancora gli Aretini, stettono in grande guardia e gelosia, e più confinati mandarono fuori. A la fine non potendosi compiere il trattato, a dì VIIII d'agosto diedono commiato a tutti i forestieri, e 'l migliore fu; e perché di ciò avemo fatta menzione, ché mai non si scoperse la cagione del sagreto, che di rado suole avenire a' Fiorentini.



CLXIV - Come ambasciadori del dogio d'Osteric feciono fare triegua in Lombardia a danno della Chiesa

Nel detto anno MCCCXXII, del mese d'agosto, il dogio d'Ostericchi, uno degli eletti re de' Romani, mandò in Lombardia suoi ambasciadori al legato del papa per discusarsi de la laida partita da Brescia del dogio Arrigo suo fratello, e per fare trattare accordo da la Chiesa a' figliuoli del capitano di Milano; e giunti loro in Milano, messer Galeasso fece loro grande onore, e con sindachi del detto Comune e di nove altre città di Lombardia, ond'erano signori, brivileggiaro, e si diedono al detto dogio d'Ostericchi, acciò che gli acordasse, o difendesse da la forza della Chiesa. I quali ambasciadori andati a Valenza al legato cardinale, feciono fare triegua da l'oste della Chiesa a quella del signore di Milano infino a calen di ottobre vegnente; e ciò assenti il cardinale per la gente della Chiesa ch'era assediata ne' borghi di Basignano a grande distretta, i quali n'uscirono sani e salvi, lasciando la terra a guardia de' detti ambasciadori: e simigliante lasciarono que' di Milano la rocca di Basignano. E fallite poi le dette triegue, non possendo poi essere accordo, i detti ambasciadori rendero a messer Marco capitano dell'oste di Milano la rocca di Basignano e eziandio i borghi, opponendo che se messer Ramondo rivolesse i borghi, rimettesse ne la terra la sua gente assediata, e nello stato ch'era quando si feciono le triegue; onde il legato e messer Ramondo si tennono traditi e ingannati da' detti ambasciadori.



CLXV - Come i Pisani in certa parte ruppono la pace a' Fiorentini

Nel detto anno, del mese d'agosto, i Pisani feciono certe nuove gabelle sopra loro legni e galee che aducessono roba di franchi o portassono, faccendo pagare a la roba, rompendo la libertà de' Fiorentini, e' patti de la pace in più guise sotto il detto colore. I Fiorentini vi mandarono ambasciadori, e niente valse, onde si tennono forte gravati da' Pisani.



CLXVI - Come i Fiorentini racquistaro il castello di Caposelvoli

Nel detto anno, dì VII di settembre MCCCXXII, i Fiorentini riebbono il castello di Caposelvoli di Valdambra, il quale aveano tenuto gli Aretini da la venuta dello 'mperadore: rendési a patti per certi del castello. Quegli della rocca si tennono alquanti dì attendendo soccorso dagli Aretini. I Fiorentini vi cavalcaro popolo e cavalieri; per la qual cosa gli Aretini non ardirono di venire al soccorso, e feciono rendere la rocca.



CLXVII - Come il signore di Mantova e quello di Verona vennono a oste a Reggio

Nel detto anno MCCCXXII, del detto mese di settembre, messer Cane della Scala signore di Verona e messer Passerino signore di Mantova vennono a oste sopra la città di Reggio con MD cavalieri, e quello guastando, si puosono a oste a uno loro castello de' Reggiani dicendo di venire a Bologna. I Bolognesi temendo mandarono per aiuto a' Fiorentini, i quali vi mandarono CCC cavalieri. Istando i detti a quello assedio, subitamente si levarono da oste, lasciando di loro arnesi, e con danno d'alquanti di loro gente. La cagione della sùbita partita si disse che fu per tema che 'l detto messer Cane ebbe che 'l dogio di Chiarentana e 'l conte da Gurizia che per comandamento del dogio d'Ostericchi re de' Romani non venissono sopra Verona e Vincenza, come facceano l'apparecchiamento.



CLXVIII - Come ne la città di Parma ebbe battaglia tra' cittadini

Nel detto anno MCCCXXII, dì XVIII del mese di settembre, la città di Parma si levòe a romore, e si combatterono insieme i cittadini: dell'una parte era capo Orlando Rosso, dell'altra Gianni Quirico e l'abate di San Zeno, i quali dal detto Orlando e dal popolo di Parma furono sconfitti e presi col loro séguito; ciò si disse che fu perché il detto Gianni Quirico trattava co' Fiorentini e' Bolognesi di recare Parma a parte guelfa; ma i più dissono ch'egli trattava di dare la terra a messer Cane e a messer Passerino suoi parenti, e però aveano fatta la detta cavalcata sopra Reggio. Il detto Orlando Rosso rimase signore e rimise in Parma i figliuoli di messer Ghiberto da Coreggia.



CLXIX - Come i signori di Ravenna s'uccisono insieme

Nel detto anno e dì i figliuoli di messer Bernardino da Polenta di Ravenna, con trattato de' Malatesti signori da Rimine, sì uccisono l'arciprete di Ravenna loro cugino e consorto, ch'era signore de la terra, e di quella rimasono signori.



CLXX - Come gli usciti di Genova ebbono Albingano

Nel detto anno MCCCXXII, del mese di settembre, il re Federigo di Cicilia fece de' suoi danari armare in Saona XVII galee per guerreggiare la città di Genova e 'l re Ruberto, e quelle galee cogli usciti di Genova e coll'aiuto di Castruccio assediarono Portovenero per mare e per terra; e poi appresso coll'aiuto del marchese dal Finale assediarono la città d'Albingano che teneano quegli di Genova. Per la qual cosa il re Ruberto co' Genovesi d'entro armarono in Genova XXI galea, e in Proenza XII uscieri con CC cavalieri per levare il detto assedio. E vegnendo i detti uscieri di Proenza, per contrario tempo non poterono porre i cavalieri in terra al Bingano, ma se ne vennero in Genova. L'armata de le XVII galee sì disarmarono e lasciarono l'assedio di Portovenero, ma perciò non lasciarono quello d'Albingane. I Genovesi per altra volta caricarono gli uscieri di loro cavalieri per porre al Bingano, e per contrario tempo non poterono prendere terra. Per la qual cosa la detta terra di Albingano, molto stretta di vittuaglia, e non soccorsa, s'arendé poi agli usciti di Genova e al marchese dal Finale a patti, a dì XIII di dicembre vegnente.



CLXXI - Come papa Giovanni fece battere moneta fatta come il fiorino d'oro

Nel detto tempo e anno papa Giovanni fece fare in Vignone una nuova moneta d'oro fatta del peso e lega e conio del fiorino d'oro di Firenze sanza altra intransegna, se non che da·lato del giglio diceano le lettere il nome del papa Giovanni; per la qual cosa gli fue messa grande riprensione, a fare dissimulare sì fatta moneta come il fiorino di Firenze.



CLXXII - Come il re di Francia lasciò la prima moglie, e prese la figliuola che fue d'Arrigo imperadore

Nel detto anno MCCCXXII e mese di settembre Carlo il giovane re di Francia, lasciata la prima sua moglie figliuola che fu del conte di Borgogna, perché si trovòe in avolterio, prese per moglie la figliuola che fue dello 'mperadore Arrigo e serocchia del re Giovanni di Boemmia. Compensò il papa il detto matrimonio opponendosi per la petizione che la madre della prima moglie, figliuola che fu del conte Artese, aveva tenuto a battesimo il detto re. Questa pruova si disse che fu falsa, e che a la contessa d'Artese il convenne assentire per iscampare la figliuola di morte; e così del detto mese di settembre a Tresi in Campagna sposò la detta seconda moglie vivendo la prima.



CLXXIII - Come il re Ruberto volle esser morto a Vignone

Nel detto anno e mese il re Ruberto essendo co la corte di papa a Vignone, volle essere morto per suoi famigliari, a petizione di messere Ugo di Palizzo di Borgogna, per cagione che il re gli contradisse a moglie la prenzessa della Morea; e dissesi che' tiranni di Lombardia e di Toscana di parte ghibellina aveano procacciato ciò. Non se ne seppe il vero. I detti famigliari furono presi e distrutti; intra gli altri fue uno Fiorentino.



CLXXIV - Come i Fiorentini rifeciono Casaglia, e ripresono le ville e popoli d'Ampinana in Mugello

Nel detto anno e mese di settembre i Fiorentini feciono rifare il castello di Casaglia sopra l'alpe, il quale avea fatto guastare il conte a Battifolle a Sinibaldo Donati, quand'era in bando al tempo de' Bianchi, e levarono uno passaggio, che 'l detto conte vi facea ricogliere. E in quello medesimo tempo il detto Comune di Firenze riprese la signoria d'undici popoli di più di M uomini, i quali furono sotto il castello d'Ampinana in Mugello, i quali fedeli erano stati del conte Guido da Raggiuolo, e per suo lascio succedeano a' figliuoli del conte a Battifolle. Il Comune di Firenze vi cusava ragione, che infino nel MCCLXXXXII essendo a l'assedio de la detta Ampinana, dal conte Manfredi che v'era entro la comperarono IIIM fiorini d'oro, e posseduto alcuno tempo. Per la qual cosa in Firenze venne il conte Simone da Battifolle e 'l conte Ruggieri da Doadola, domandando al Comune che si commettesse a ragione la quistione in giudice comune; non furono uditi, e così si partirono male appagati da' Fiorentini.



CLXXV - Come l'eletto d'Ostericchi fu sconfitto da quello di Baviera

Nel detto anno MCCCXXII, martedì a dì XXVIIII di settembre, nella duchea di Baviera in Alamagna fue grande assembiamento e battaglia tra il re Federigo d'Ostericchi e il re Lodovico di Baviera, amendue eletti re de' Romani. La quale battaglia durò dal sole levante insino al tramontare, però che non v'avea pedoni, e combatteano a riprese a modo di torniamenta; e fu sì aspra e sì dura, che più di IIIIm combattitori a cavallo vi furono morti tra dall'una parte e dall'altra, e più di VIm cavalli morti. A la fine la vittoria e la signoria del campo rimase al re Lodovico di Baviera; e 'l sopradetto Federigo re e Arrigo dogio d'Ostericchi suo fratello con molti baroni furono presi in forza del detto re Lodovico; e quasi tutta la gente del re Federigo rimasono tra morti e presi, infra' quali rimasono più di MM cavalieri ungari che Carlo Umberto re d'Ungaria avea mandati in aiuto al detto re Federigo suo parente. Il duca Lupoldro d'Ostericchi, il quale venia con MD cavalieri a elmo in aiuto al fratello ed era presso già a XV miglia a l'oste, non giunse a tempo a la battaglia, però che quello di Baviera sentendo sua venuta affrettò saviamente la battaglia, e passò la riviera. Il re Federigo, per isdegno di sua potenza e grandezza non curando il nimico né essendo ordinato, per lo modo detto fue sconfitto.



CLXXVI - Come il re d'Ungaria venne sopra il re di Rassia

Nel detto anno MCCCXXII, del mese di settembre, Carlo Umberto re d'Ungaria con più di XXm Ungari a cavallo corse sopra le terre del re di Rassia in Ischiavonia, e venne presso a Giadra a due giornate guastando il paese, per cagione che gli Schiavi no·llo ubbidieno; per la qual cosa si temette per que' di Schiavonia, e ancora per gli Viniziani, ch'eglino non prendessono infino a le marine. A la fine il detto re di Rassia fece le sue comandamenta, e ancora per la sconfitta di sua gente in Baviera si ritornò adietro in Ungaria. Questo Carlo Umberto fue figliuolo di Carlo Martello, che fu figliuolo di Carlo secondo re di Cicilia e di Puglia; e se 'l padre non fosse in prima morto che 'l detto Carlo secondo, gli succedea il reame, il quale succedette poi al re Ruberto suo secondo fratello; ma però il detto Carlo non ne fu mai contento.



CLXXVII - Come gli Ubaldini si diedono a la signoria de' Fiorentini

Nel detto anno MCCCXXII, del mese d'ottobre, i signori Ubaldini per iscandalo che surse tra·lloro, l'una parte e l'altra a gara insieme, eglino e' loro fedeli si diedono a la signoria del Comune di Firenze, il quale Comune loro promise di trarre d'ogni bando, e fecegli esenti di gravezze per due anni; il quale acquisto fu di più di IIIm distrettuali; ma come per addietro sono usati, poco stettono fedeli de' Fiorentini per la guerra di Castruccio.



CLXXVIII - Come messer Vergiù di Landa rubellò Piagenza a messer Galeasso Visconti di Milano

Nel detto anno MCCCXXII Obizzo chiamato Vergiù de la casa di Landa di Piagenza, tutto fosse Ghibellino, discacciato di quella città da messer Galeasso Visconti di Milano signore di Piagenza, per cagione di vergogna fatta per lo detto messer Galeasso a la donna del detto Vergiù, e ancora lui battuto, e toltogli Ripalta suo castello, si·ssi rubellò, e andonne al cardinale legato per la Chiesa. Ed essendo messer Galeasso a Milano, il detto Vergiù subitamente con IIIIc cavalieri di quegli della Chiesa venne a Piagenza, e per suoi amici dentro una porta gli fu aperta, e così con questa gente entrò nella città a dì VIIII d'ottobre, e corse la terra, e di quella prese la signoria sanza contasto: fu fatto vicaro per la Chiesa, e fecesi fare cavaliere, e caccionne Azzo figliuolo del detto messer Galeasso che n'era signore, e rimise in Piagenza tutti gli usciti guelfi. Per la qual cagione ebbe appresso in Lombardia grandi commutazioni. E del mese di novembre venne il legato cardinale in Piagenza, e fue ricevuto a grande onore, e poco appresso i Piagentini racquistarono tutte le loro castella, che tenea la gente di messer Galeasso.



CLXXIX - Di grande fortuna che fue in mare e in terra

Nel detto anno MCCCXXII, dì XXVI d'ottobre, fu delle maggiori fortune di vento a greco e tramontana con neve che si ricordasse per niuno che allora vivesse; e fece maggiori pericoli in mare di rompere navi e galee e altri legni in più parti del mondo, spezialmente nel golfo di Vinegia; e simigliante fue in terra, che in più parti divelse grandissimi alberi, e ruppene innumerabile quantità, e molte case fece cadere in Toscana, onde più genti ne moriro.



CLXXX - Come gli Scotti sconfissono gl'Inghilesi

Nel detto anno MCCCXXII, a l'uscita del detto mese d'ottobre, essendo il re d'Inghilterra tornato di Scozia con sua oste con grande vergogna e dammaggio, come adietro fa menzione, e essendo di là da Vervicche a la badia di Rivalse, e i suoi baroni erano dimorati più innanzi a le frontiere della Scozia per contrastare gli Scotti che non passassono, ed erano in numero di Vc cavalieri e IIIm uomini d'arme a piede; gli Scotti gli asaliro, e gl'Inghilesi per tema si ritrassono in su uno monte per essere forti; gli Scotti assediarono il detto monte, e ismontati da cavallo assalirono gl'Inghilesi, e quegli misono in isconfitta, e quasi la maggiore parte furono tra morti e presi; intra' quali furono presi Gianni di Brettagna, il conte di Riccemonte, il signore di Sugli, e più altri baroni. Il re d'Inghilterra, sentita la detta sconfitta, quasi solo con poca compagnia si fuggì de la detta badia vituperosamente.



CLXXXI - Come messer Galeasso Visconti fu cacciato di Milano

Nel detto anno MCCCXXII, del mese di novembre, dopo la rubellazione che quegli di Piagenza aveano fatta di messer Galeasso Visconti, i nobili e 'l popolo di Milano veggendosi scomunicati e in sentenza della Chiesa per la signoria di messer Maffeo Visconti e de' figliuoli, sì elessono XII de' migliori de la città, grandi e popolani, che trattassono accordo dal Comune di Milano al legato cardinale, i quali più volte furono al legato con volontà del capitano di Milano, promettendo di lasciare la signoria, acciò che·lla città di Milano avesse sua pace colla Chiesa. La quale promessa fatta infintamente per messer Galeasso, non volendo assentire all'accordo, si levò a romore la città di Milano a petizione de' detti XII caporali, volendo che messer Galeasso lasciasse la signoria, come aveano promesso al cardinale; e recaro da·lloro parte grande parte de le masnade de' Tedeschi per impromesse e danari diedono loro, e per cagione che più tempo messere Galeasso non gli avea pagati, e a·ffurore il popolo e' cavalieri corsono al palazzo gridando "Pace, pace, e viva la Chiesa!". Messer Galeasso, credendosi riparare co' soldati italiani e altri che gli erano rimasi, si mise al contasto, e in tre parti nella città ebbe battaglia, e in ciascuna parte ebbe il peggiore con danno di sua gente: veggendo che non potea durare, con poca di sua gente si partì di Milano, e andossene a Lodi a dì VIII di novembre, e de la città di Milano rimasono signori i detti XII, i quali erano messer Luis Visconti consorto di messer Galeasso, messer Giacomino da Postierla, messere Simone Cravelli, messer Francesco da Barbagnano e altri grandi cattani e varvassori, che non sapemmo di tutti il nome. Di questa mutazione di Milano ebbe in Firenze grande allegrezza, e fecesene grande festa e belle giostre, istimando che la guerra di Lombardia avesse fine. Ma se avessono saputo la mutazione futura e contraria che fue assai di presso, e quello danno che ne seguì a' Fiorentini, come innanzi si potrà vedere, avrebbono non fatta festa, ma il contrario; e però di felicità mondana non si dee l'uomo troppo allegrare, né d'aversità troppo turbare, però ch'ell'è fallace, e con diverse e varie mutazioni.



CLXXXII - Come Moncia fu presa e corsa per quegli di Milano

Nel detto anno MCCCXXII, del mese di novembre, essendo Galeasso Visconti e' suoi seguaci cacciati di Milano, quegli della terra di Moncia con séguito d'amici di quegli de la Torre feciono raunanza per venire a Milano. Per gli XII rettori di Milano fu mandato a quegli di Moncia che cessassono la detta raunata, però che voleano riformare prima la città per gli patti ordinati co la Chiesa; e di vero, tutto fosse Galeasso cacciato di Milano, per gli detti XII si reggea la città a parte d'imperio e non di Chiesa. Quelli di Moncia per troppa volontà disubedienti, furono assaliti da le masnade di Milano e dal popolo, e per forza presa la terra e rubata tutta, e cacciarne la detta raunanza con danno di più di CC uomini morti.



CLXXXIII - Come certi de la casa de' Tolomei feciono grande guerra nel contado di Siena

Nel detto anno MCCCXXII, del mese di dicembre, messer Deo de' Tolomei co' suoi seguaci ribelli di Siena, coll'aiuto e trattato del vescovo d'Arezzo e di certi loro amici di Firenze, con danari e impromesse corruppono V conastaboli oltramontani co·lloro masnade in quantità di CC a cavallo, i quali erano al soldo del Comune di Firenze, i quali sanza saputa del detto Comune si partirono da Fucecchio, e andarne in Valdichiane, e congiunti col detto messer Deo e co la gente del vescovo d'Arezzo e con C cavalieri d'Orbivieto, presono il castello d'Asinalunga e quello di Torrita, e corsono per lo contado di Siena guastando e rubando sanza nullo riparo; e facevansi chiamare la Compagna, ed erano bene Vc cavalieri e gente a piè assai sanza ordinato soldo, vivendo di ratto e di ruberia; per la qual cosa in Siena n'ebbe grande paura e gelosia: mandarono per soccorso a' Fiorentini, i quali vi mandarono CCC cavalieri e M pedoni, e 'l capitano del popolo con grande ambasceria per trattare accordo, il quale da' Sanesi non fue inteso, temendo che' Fiorentini in servigio di quegli della casa de' Tolomei non avessono fatta ismuovere la detta gente; ma feciono più confinati della casa de' Tolomei e di loro amici, e fortificarsi di soldati assai, e feciono loro capitano di guerra il conte Ruggieri da Doadola de' conti Guidi. E stando la detta Compagna nel contado di Siena, per gli Sanesi furono contastati di guerra guerriata, non assicurandosi d'aboccarsi a battaglia, sì come a gente disperata; e così stettono tutto il verno. A la fine la detta Compagna per più difetti non possendo durare, si partirono a dì XVI di febbraio MCCCXXII, e sbarattarsi nella Marca e in più parti, e così per buona sostenenza i Sanesi rimasono liberi di quella afflizzione, e sì riconobbono che quella ismossa di gente non fu con volontà del Comune di Firenze, anzi gli sbandirono come traditori i detti soldati.



CLXXXIV - Come messer Galeasso Visconti ritornò in Milano

Nel detto anno MCCCXXII, del mese di dicembre, essendo i XII rettori della città di Milano in istretto trattato col legato cardinale di dargli la signoria della città di Milano, e d'esser ricomunicati da la Chiesa, e la maggior parte de' detti nobili si voleano dare liberamente; e mandati loro ambasciadori e sindachi a Piagenza al cardinale che venisse in Milano, la parte de' Visconti ch'era rimasa in Milano, ond'era capo messer Lodovico Visconti, non piacendogli il detto accordo, mandò segretamente a Lodi per Galeasso Visconti e per gli frategli, che venissono col loro isforzo a la terra; e in Milano corruppe le masnade tedesche, i quali erano stati a cacciare Galeasso, che fossono in suo aiuto, e loro promise Xm fiorini d'oro; e 'l detto Galeasso venuto di notte, gli fue data e aperta la porta de' Sonagli, e per quella entròe in Milano sabato a l'alba del giorno, dì XI di dicembre, e corse la terra. Per la qual cosa quasi tutti i nobili di Milano ch'erano stati contra Galeasso e al trattato della Chiesa, col loro séguito uscirono di Milano, e poi il detto Galeasso si fece fare signore de la terra a grido di popolo, dì XXVIIII di dicembre nel detto anno. E così in corto termine si cambiò la sua fortuna per accrescimento di maggiori mali in Milano e in Lombardia per punizione de' peccati, come innanzi faremo menzione.



CLXXXV - Come Luis d'Universa fu fatto conte di Fiandra

Nel detto anno MCCCXXII, del mese di gennaio, Luis d'Universa, figliuolo del figliuolo del conte di Fiandra, fu fatto conte di Fiandra con volontà delle buone ville di Fiandra per asseguire i patti della pace; messer Ruberto di Fiandra suo zio, volendo esser conte egli, perché il padre di Luis era prima morto che 'l conte suo avolo, onde piato fu a Parigi dinanzi al re di Francia, e per sentenzia fu renduto per oservazione de' patti della pace che 'l detto Luis fosse conte, e non messer Ruberto.



CLXXXVI - D'uno grande freddo che fue in Italia e carestia

Nel detto anno MCCCXXII, del mese di novembre e dicembre e gennaio, fue in Italia la maggiore vernata, e di più nevi che fosse grande tempo passato; e in Puglia fu sì grande secco, che più di mesi VIII stette che non vi piovve, per la qual cosa grandissimo struggimento e carestia di tutti i beni fue nel paese; e così seguì quasi in tutta Italia, spezialmente in Pisa e in Lucca e Pistoia, grandissima fame e carestia, onde tutti i poveri di loro contado fuggirono per la fame a Firenze, e in Firenze medesimo fu caro; le II e mezzo staia di grano uno fiorino d'oro.



CLXXXVII - Come i Fiorentini mandarono loro gente in Lombardia sopra Milano

Nel detto anno, in calen di febbraio, a richesta del detto papa Giovanni i Fiorentini mandarono in Lombardia in aiuto del legato e a l'oste della Chiesa CC cavalieri con loro capitani e ambasciadori, e altrettanti ne mandaro i Bolognesi, e' Parmigiani C, e i Reggiani C, e' Romagnuoli simigliante, per andare sopra la città di Milano, e per abattere i tiranni e ribegli di santa Chiesa della casa de' Visconti.



CLXXXVIII - Come gli usciti di Genova furono sconfitti e levati dall'assedio di Genova

Nel detto anno MCCCXXII, dì XVII di febbraio, essendo ancora gli usciti di Genova ad assedio della città ne' borghi di Prea (come addietro fa menzione, stati all'assedio di Genova presso di V anni tra due volte con piccolo intervallo), quegli della città feciono uscire di notte delle masnade del re Ruberto CL uomini a cavallo e mille a piè per combattere la fortezza del monte di San Bernardo, e saliti al poggio combattero co' nimici, e sconfissongli, e cacciandogli infino a' borghi. Quegli della città sentendo la detta rotta uscirono della terra per la porta de le Vacche, e per forza entrarono ne' borghi; e seguendo la detta caccia e sconfitta racquistarono i detti borghi con tutte le fortezze. E degli usciti furono morti alquanti, ma più presi, e guadagnarono di robe e avere ch'era ne' detti borghi più di libbre CCm di genovini, però che gli usciti stavano ne' detti borghi con loro famiglie, e faceano l'arti e mercatantie come ne la città. Quegli che scamparo fuggirono a Saona e a Volteri; per la qual cosa la forza degli usciti molto affiebolìo, e fu tenuto miracolo di Dio, che per piccola rotta perderono quello che per tutta la forza del re Ruberto e del Comune di Genova prima per tanto tempo non si poté acquistare.



CLXXXIX - Come il re di Tunisi cacciato ricoverò la signoria

Nel detto anno e mese il re di Tunisi, che 'l giugno passato era stato cacciato della signoria, come adietro fa menzione, racquistò la signoria e caccionne l'altro. E così mostra che i detti Saracini abbiano piccola stabilità in loro signorie, che tre volte in due anni mutata la detta signoria per due re.



CXC - Come la città di Tortona s'arendé a la Chiesa e al re Ruberto

Nel detto anno MCCCXXII, dì XVIIII di febbraio, messer Ramondo di Cardona con Vc cavalieri e cogli usciti guelfi della città di Tortona in Lombardia, per trattato fatto per lo legato cardinale entrò nella detta città, la quale gli fu data da' cittadini, e fattone signore; e la signoria e masnade che v'erano per lo capitano di Milano, a pochi dì appresso renduta la città del poggio co la rocca, a patti se n'uscirono salve le persone, e più castella del contado di Pavia si renderono a messer Ramondo.



CXCI - Come l'oste di Milano furono sconfitti da quegli della Chiesa in sul fiume d'Adda

Nel detto anno, del mese di febraio, essendo cavalcata la cavalleria e l'oste della Chiesa da Piagenza in sul contado di Milano ne la contrada de la Graradadda al castello di Cravazzo, il quale si teneva per gli nuovi usciti di Milano, là si trovarono tra soldati della Chiesa e l'amistà di Lombardia e di Toscana più di IIm cavalieri d'arme e popolo assai, ond'era capitano messer Castrone nipote del legato e messer Vergiù di Landa. Messer Marco Visconti con VIIIc cavalieri de le masnade di Milano e popolo assai era venuto in su la riva del fiume d'Adda a la villa di Trinazzo e a Basano per contrastare il passo a la detta oste de la Chiesa. Avenne che venendo, XXV di febbraio MCCCXXII, messer Vergiù di Landa cogli usciti di Milano con Vc cavalieri, dilungandosi alquanto dall'oste su per la riva d'Adda passarono il fiume; messer Marco con sua gente andò contra loro, e assaligli vigorosamente per modo che gli avea quasi sconfitti; e già morto il fratello di messer Vergiù, e messer Simonino Cravelli, e messer Francesco da Garbagnana usciti di Milano e più altri; l'altra oste de la Chiesa ch'era in su la riva, veggendo la detta battaglia per lo capitano e conastaboli e insegna del Comune di Firenze, ch'era messer Filippo Gabbrielli d'Agobbio, e messer Urlimbacca tedesco, prima messi a passare l'Adda e l'altra gente appresso, con grande contasto de' nimici nel fiume, e alla riva combattendo vittoriosamente passaro, e trovando la gente di messer Marco sparta e travagliata gli misono in isconfitta; ove grande quantità ne rimasono morti e presi, e fuggito il detto messere Marco col rimaso di sua gente a Milano, l'oste della Chiesa presono Trinazzo e più ville e castella; e a dì XXVII di febbraio presono la terra di Moncia presso a Milano VIII miglia, e incontanente più gente cittadini uscirono di Milano a cavallo e a piè, e vennono a la detta oste.



CXCII - Come i Padovani si pacificaro insieme co' loro usciti

Nel detto anno MCCCXXII e mese di febbraio i Padovani, i quali erano sotto la signoria del dogio di Chiarentana, si pacificaro insieme, e rimisono in Padova tutti i loro usciti; la quale cosa non seppono fare innanzi, quand'erano in migliore e maggiore stato e in loro libera signoria.



CXCIII - Come Castruccio racquistò certe castella di Carfagnana che gli erano fatte rubellare per gli Fiorentini

Nel detto anno, del mese di marzo, Castruccio signore di Lucca fece oste sopra il castello di Lucchio in Carfagnana che gli s'era rubellato, e sopra le terre de la montagna di Pistoia; e quegli abandonati da' Pistolesi, per tema che Castruccio non rompesse loro le triegue, mandarono a Firenze per aiuto. I Fiorentini per farlo spendere e consumare vi mandarono LXXV cavalieri e CCCC pedoni per la guardia di quelle terre. Castruccio vigorosamente, non guardando a le nevi ch'erano grandi a la detta montagna, assalì in persona le dette terre ch'erano sopra Lucchio con suo séguito di cavalieri a piè. Quegli che v'erano a la guardia abandonaro i passi, e si ridussono a le fortezze, i quali poco apresso s'arrenderono, e salve le persone se n'andarono; e partita la detta gente, il detto castello di Lucchio fortissimo si rendé a patti, dì XVII di marzo. I Fiorentini per lo soccorso del detto castello di Lucchio trattato feciono d'avere il ponte e 'l castello di Cappiano in su la Guisciana: essendo Castruccio a oste in Carfagnana, vi cavalcaro le cavallate e' soldati di Firenze infino a Empoli, e non vegnendo fornito il tradimento, si ritornarono in Firenze con grande riprensione dell'una impresa e dell'altra.



CXCIV - Come pace fu tra l'eletto imperadore di Baviera e quello d'Ostericchi

Nel detto anno e mese il re Lodovico di Baviera eletto re de' Romani fece grande parlamento in Alamagna di tutti i suoi baroni, e in quello si fece l'accordo da·llui al duca d'Ostericchi, e trasselo di pregione sotto certi patti e saramento di non chiamarsi re, e di non essergli incontro; ma poco l'attenne.



CXCV - Come Allessandra in Lombardia si rendé al legato del papa e al re Ruberto

Nell'anno MCCCXXIII, a dì II d'aprile, essendo stato trattato da quelli della città d'Allessandra in Lombardia al legato cardinale, si rendero a la signoria de la Chiesa e del re Ruberto; e messer Ramondo di Cardona v'entrò, e prese la signoria con IIIIc cavalieri, e caccionne quegli che v'erano per lo capitano di Milano. E in quegli giorni messer Arrigo di Fiandra, maliscalco che fu dello 'mperadore Arrigo, non possendo riavere la contea di Lodi, che gli avea privileggiato lo 'mperadore, e teneala il capitano di Milano, venne al servigio della Chiesa e del legato, il quale gli confermò per la Chiesa la detta signoria, e privilegiò e fecelo capitano nell'oste di tutti gli oltramontani.



CXCVI - Come il dogio di Baviera eletto imperadore mandò al legato in Lombardia che non guerreggiasse le terre dello 'mperio

Nel detto anno e mese d'aprile Lodovico eletto re de' Romani a richesta e sommossa de' Ghibellini di Toscana e di Lombardia, per soccorrere il signore di Milano, mandò tre ambasciadori in Lombardia, Bertoldo conte di Niferi e Bertoldo conte... e uno suo mastro scrivano di sua corte, i quali furono a Piagenza al legato cardinale, a richiederlo e pregarlo che non gravasse il signore né la città di Milano, però ch'erano a lo 'mperio. Il legato rispuose che, quando fosse imperio legittimo, non s'intendea per la Chiesa d'occupargli nulla sua ragione, ma di conservarla e mantenerla; ma che si maravigliava che il loro signore volesse difendere e favorare gli eretici; e domandò loro per iscritto e con suggegli il mandato ch'aveano dal loro signore. Quellino accorgendosi che se per iscritto mostrassono che il loro re favorasse i ribelli della Chiesa, cadea in indegnazione di quella, incontanente negaro che di ciò ch'aveano detto non aveano mandato dal loro signore, e chiesono perdono al legato, e partirsi: e l'uno di loro venne a Lucca e a Pisa, e gli altri andarono a Mantova e Verona con loro ambasciata.



CXCVII - Come la città d'Orbino si rubella a la Chiesa

Nel detto anno e mese d'aprile il popolo d'Orbino si levò a romore, e cacciarono della città la signoria che v'era per lo marchese e per la Chiesa, per soperchi e incarichi che faceano loro.



CXCVIII - Come giudice d'Alborea di Sardigna si rubellò da' Pisani a petizione del re d'Araona

Nel detto anno e mese d'aprile, faccendo il re d'Araona grande apparecchiamento di navile e di cavalieri per venire a prendere l'isola di Sardigna, la quale gli fu privileggiata per papa Bonifazio VIII, il Comune di Pisa, che de la detta isola teneano grande parte, avendo fatta murare Villa di Chiesa e più altre fortezze, e mandatovi gente a cavallo e a piè al loro soldo, e a soldo di giudice d'Alborea per contastare al detto re d'Araona, avenne che 'l detto giudice, il quale tenea ed era signore d'Arestano e bene del terzo di Sardigna, a di XI d'aprile tradì i Pisani, e si rubellò da·lloro per trattati fatti da·llui al re d'Araona, e fece mettere a morte quanti Pisani e loro soldati che si trovarono in sue terre, e eziandio i Pisani suoi famigliari e soldati. E fatto questo malificio, incontanente mandò suoi ambasciadori al re d'Araona, che venisse per la terra. La cagione del detto rubellamento si disse che fece perché i Pisani il trattavano male, e che quando il detto giudice prese la signoria, i Pisani oppuosono ch'egli era bastardo, e convennesi ricomperare dal Comune di Pisa per avere la signoria Xm fiorini d'oro sanza il privato costo de' cittadini di Pisa; per la qual cosa poi non fu loro amico di cuore.



CXCIX - Come messer Marco Visconti di Milano fu sconfitto da la gente de la Chiesa

Nel detto anno, martidì a dì XVIIII d'aprile, messer Marco de' Visconti si partì di Milano con M cavalieri e IIm pedoni, molto buona gente d'arme, per prendere e guastare il ponte da Vaveri e quello da Casciano sopra il fiume d'Adda, acciò che vittuaglia non potesse venire a l'oste de la Chiesa ch'era a Moncia. Sentendo ciò i capitani de la detta oste, messer Arrigo di Fiandra, e messer Gianni de la Torre, e messer Castrone nipote del legato, e messer Vergiù di Landra, e messer Filippo Gabbrielli capitano de' soldati del Comune di Firenze, co·loro masnade in numero di MCC cavalieri e da IIIm pedoni si partirono da Moncia per contrastare il detto Marco Visconti e sua gente. E scontratisi insieme al luogo detto la Gargazzuola, quasi in sul tramontare del sole, la battaglia fu aspra e dura d'una parte e d'altra, però che in ciascuna parte era la migliore cavalleria de le dette osti; e grande pezzo durò la battaglia, che non si sapea chi avesse il migliore. A la fine Marco Visconti e sua gente furono rotti e sconfitti, e di sua gente a cavallo vi rimasono tra morti e presi intorno IIIIc, e rimasonvi XVII bandiere, sanza quegli da piè in gran quantità; e cavagli vi rimasono morti tra dell'una parte e de l'altra VIIIc e più; di quegli de la Chiesa vi rimasono da XXV a cavallo tra morti e presi, e uno Tedesco conostabole de' Fiorentini con III altri conostaboli della Chiesa vi rimasono presi ne la lunga caccia; la notte si trovaro partiti da' suoi infra' nimici, e furono ritenuti. E così Marco Visconti col rimanente di sua gente si tornò a Milano; ma se non fosse la notte, la detta guerra era finita, ché de la gente di Marco Visconti pochi ne scampavano.



CC - Come il conte da Gurizia morì per veleno

Nel detto anno MCCCXXIII, il dì di calen di maggio, il conte da Gurizia essendo in Trivigi stato a nozze e a festa, subitamente morì: dissesi che messere Cane di Verona il fece avelenare; fue uomo molto valoroso in arme.



CCI - Come il conte Novello venne in Firenze per capitano di guerra

Nel detto anno, a dì XV di maggio, il conte di Montescheggioso e d'Andri, detto il conte Novello, venne da Napoli a Firenze con CC cavalieri al soldo del detto Comune, e per essere capitano di guerra de' Fiorentini.



CCII - Come grande scandalo fu nell'oste della Chiesa a Moncia

Nel detto anno e mese di maggio grande scandalo e zuffa fue nell'oste della Chiesa ch'era a Moncia tra' Tedeschi e' Latini, ove n'ebbe morti più di L uomini di cavallo; e il figliuolo di messere Simonino Crevelli con certi si partì de la detta oste e si tornò in Milano; per le quali novità, e per non avere nell'oste uno sovrano capitano, grande sturbo fu a la detta oste.



CCIII - Ancora di grande scandalo che fu in Piagenza tra la gente della Chiesa

Nel detto anno MCCCXXIII, del mese di maggio, simigliante fue nella città di Piagenza grande scandalo tra' Guelfi e' Ghibellini, e ebbevi più micidi fra' cittadini, essendo la città in arme e a romore; e ciò adivenne per sospetto che messer Vergiù di Landa era andato a parlamentare con messer Cane della Scala e con messer Passerino da Mantova sanza coscienza del cardinale legato; e tornato lui in Piagenza, o ch'avesse intenzione di rimutare stato ne la terra, o si pentesse per animo di parte d'avere data la terra a la Chiesa, o perché gli paresse che' Guelfi avessono presa troppa signoria, fue il cominciamento del detto scandalo. E temendo il cardinale, mandò ad Ortona per messer Ramondo di Cardona, il quale vi venne con Vc cavalieri, e riformossi la città a parte di Chiesa, e messer Vergiù lasciò la signoria, e 'l cardinale il mandò a corte al papa per ambasciadore, e messer Ramondo mandò nell'oste a Moncia per capitano generale.



CCIV - Come i Fiorentini per lettere di papa feciono imposta al chericato

Nel detto anno e mese di maggio per commessione di lettere di papa Giovanni, tratte per ambasciadori del Comune di Firenze, i Fiorentini impuosono al chericato del vescovado dì Firenze XX fiorini d'oro per aiuto alle mura della città, de' quali con grande scandalo si ricolsono la metade, e per bisogno del Comune si convertirono in altre spese; e poi per lettere di papa di contramando, per istudio del vescovo e del chericato, non se ne ricolsero più danaio per lo Comune.



CCV - Come gli Aretini feciono oste sopra le terre d'Uguiccione da Faggiuola

Nel detto anno e mese di maggio il Comune d'Arezzo e quello del Borgo a Sansipolcro con CC cavalieri e IIIm pedoni feciono oste sopra le terre d'Uguiccione da Faggiuola, perché s'aveano fatto privileggiare al re de' Romani il detto borgo e Castiglionaretino e più castella; in quella andata vi ricevettono danno e vergogna. E poi i detti figliuoli d'Uguiccione feciono lega co' Guelfi di Romagna e co' conti Guidi guelfi incontro agli Aretini. Nel detto anno, a dì XX di maggio, la notte vegnente scurò la luna, quasi le due parti nel segno del Sagittario.



CCVI - Come lunga triegua fu fatta dal re d'Inghilterra e quello di Scozia

Nel detto anno, a l'uscita di maggio, triegua fu fatta tra·re d'Inghilterra e quello di Scozia per XIII anni, la quale si fece per lo male stato ch'avea il re d'Inghilterra, che per suo male reggimento quasi tutti i baroni del paese l'aveano abandonato; e come il padre Adoardo fu re di grande senno e prodezza e temuto, così questo Adoardo suo figliuolo fu il contradio. Per la qual cosa Ruberto di Bristo cavaliere di scudo fattosi re de li Scotti, però ch'era nato d'una delle figliuole d'Alepandro re di Scozia, co la sua gente a piè più ch'a cavallo lo sconfisse, e prese de l'Inghilterra, e in più modi gli fece danno e vergogna; e per non potere meglio, fece il re d'Inghilterra la detta ontosa triegua.



CCVII - Come i Perugini tornarono all'assedio di Spuleto

Nel detto anno, a l'uscita di maggio, i Perugini per comune tornarono a l'assedio de la città di Spuleto, ove aveano loro battifolli; e tutto intorno assediarono la detta città, sì che nullo vi potea entrare né uscire sanza grande pericolo.



CCVIII - Come il capitano de' soldati friolani, ch'erano co' Fiorentini, se n'andò a Castruccio

Nel detto anno MCCCXXIII, avendo i Fiorentini fatta ordine co·lloro amistà e co·lloro isforzo di fare oste sopra Castruccio signore di Lucca, e' Genovesi d'entro per terra e per mare doveano venire a richesta de' Fiorentini in Lunigiana sopra quello di Lucca, e con trattato d'avere il castello di Buggiano e altre castella di Valdinievole; il detto Castruccio non pigro scoperse i detti trattati, e XII di Buggiano impiccò, e cercò tradimento con Iacopo da fontanabuona capitano de' soldati friolani, ch'erano al soldo de' Fiorentini, promettendogli molti danari; il quale traditore sanza nulla cagione da la parte de' Fiorentini, se non che gli era scemato soldo, e partita sua masnada a più bandiere, e colle sue masnade in numero di CC cavalieri, essendo in Fucecchio, e faccendo vista di cavalcare sopra i nimici, a dì VII di giugno se n'andò a Lucca, il quale da Castruccio fu bene ricevuto. Per lo quale tradimento e partita i Fiorentini rimasono molto sconfortati, però ch'era la migliore masnada ch'avessono, e sturbò loro tutta la detta impresa.



CCIX - Come Castruccio fece oste a le castella di Valdarno di ponente

Incontanente il detto Castruccio con sua gente, e co' detti Friolani, e con aiuto di certe masnade di Pisa, con quantità di VIIIc cavalieri e VIIIm pedoni, a dì XIII del detto giugno passò la Guisciana al ponte a Cappiano, e puosesi a oste a piè di Fucecchio, e quello in parte guastò; e poi fece il simigliante al castello di Santa Croce e quello di Castello Franco; e poi passò l'Arno, e guastò a piè di Montetopoli, e poi tornò in su l'Elsa, e guastò a piè di Samminiato e tornossi a Lucca con grande onore, dì XXIII di giugno. I Fiorentini mandarono per loro amistà, ma però non cavalcarono contra il detto Castruccio, se non che intesono a fare guardare le frontiere; e così quello ch'aveano ordinato di fare a Castruccio, per suo senno e prodezza fece a' Fiorentini con loro vergogna.



CCX - Come Nanfus figliuolo del re d'Araona andò con sua armata in su l'isola di Sardigna

Nel detto anno MCCCXXIII, a dì VIII di giugno, Nanfus figliuolo primogenito del re d'Araona con armata di LXX galee, e con più cocche e legni grossi e sottili, in numero di CC vele, e con MD cavalieri e gente a piè grandissima arrivò in Arestano in Sardigna, il quale dal giudice d'Alborea fu ricevuto onorevolemente, e da tutti i Sardi come loro signore; e tutte le terre che teneano i Pisani si rubellaro, e s'arrendero al figliuolo del re d'Araona, salvo Villa di Chiesa, e Castello di Castro, e Terranuova, e Acquafredda, e la Gioiosa Guardia. Il quale si mise l'assedio a Villa di Chiesa e a Castello di Castro; e dimorandovi tutta la detta state e 'l verno, di sua gente e di quella de' Pisani vi morì in grandissima quantità di più di XIIm uomini; e però non cessò l'assedio. I Pisani, del mese d'ottobre nel detto anno, armarono XXXII galee per levare la detta oste, e andarono infino nel golfo di Calleri; incontanente la gente del re d'Araona n'armarono altrettante, e trassonsi fuori per combattere. I Pisani non si vollono mettere a la battaglia, ma si tornarono in Pisa, e disarmarono co·lloro danno e vergogna.



CCXI - Come messer Ramondo di Cardona co la gente de la Chiesa e de la lega di Toscani e Lombardi puose oste a la città di Milano

Nel detto anno MCCCXXIII, a dì XI del mese di giugno, messer Ramondo di Cardona, capitano generale dell'oste della Chiesa, con quantità di XXXVIIIc di cavalieri tra soldati della Chiesa e del re Ruberto, colla gente del Comune di Firenze, e di Bologna, e di Parma, e di Reggio, e usciti di Milano, e con più cavalieri tedeschi fuggiti di Milano, e ancora de' presi in battaglia, a·ccui il legato avea fatti francare e rendere loro l'arme e' cavagli e dato il soldo, e con gente a piè innumerabile si partì da la terra di Moncia per andare all'assedio de la città di Milano. E giunti a la villa di Sesto presso di Milano, Galeasso e Marco Visconti signori di Milano con loro cavalleria e popolo uscirono di Milano intorno di MM cavalieri, faccendo segno di volere la battaglia. Messer Ramondo, ordinate sue schiere francamente, non rifusando la battaglia, si ristrinse verso la città; quegli di Milano per sospetto de' cittadini rimasi dentro, o per tema di soperchi nimici, si ritornarono in Milano con danno e vergogna. Messer Ramondo con sua gente pugnando contra loro prese per forza i borghi di porta Nuova, e quello di porta Lenza, e quello di porta Tomasina; e arsi i primi due borghi, in quello di porta Tomasina s'acampò con sua oste, a dì XVIIII di giugno, e quello afforzando, la città molto strinse, e tolse l'acqua di Tesinello, con intendimento di lasciare battifolle da quella parte, e al monistero di Santo Spirito da porta Vercellina che per lui si tenea, e mutare l'oste tra porta Romana e quella di Pavia per chiudere al tutto la città: nel quale oste i Fiorentini il dì di santo Giovanni di giugno feciono correre il palio, onde i Melanesi si recarono a grande disdegno, e poi ne feciono bene vendetta, come innanzi farà menzione.



CCXII - Come la città di Milano fue soccorsa, e come l'oste della Chiesa se ne partì

Nel detto anno e mese di giugno quegli di Milano, veggendosi a mal punto, si mandarono per soccorso al signore di Verona, e a quello di Mantova, e a l'altre terre ghibelline di Lombardia, e ancora agli ambasciadori del re Lodovico di Baviera ch'erano in Lombardia, mandando a dire, se non dessono loro sùbito aiuto, che renderebbono la città di Milano a la Chiesa. I quali non oservando patti né saramenti fatti al legato, e promesse di non soccorrere i ribegli de la Chiesa, sì vi mandarono i detti ambasciadori con titolo d'imperio con CCCC loro soldati. E giunti in Milano i detti ambasciadori e cavalieri, quello Bertoldo conte di Niferi d'Alamagna si fece fittizziamente vicario d'imperio, e a Galeasso Visconti fece lasciare il titolo de la signoria, e rafforzò lo stato della città; ma per ciò non s'ardiro d'uscire a campo contra l'oste della Chiesa, la quale era molto possente. Apresso, a dì XX di luglio, i detti signori di Mantova e di Verona e' marchesi da Esti, che allora erano di loro lega contra la Chiesa, mandando ancora in aiuto di quello di Milano Vc cavalieri e M pedoni; e passando il fiume del Po, per trattati fatti, credettono i detti cavalieri torre la città di Parma a petizione de la parte di Gian Quirico; il quale trattato scoperto con danno di loro, non venne loro fatto; e credettono ancora prendere Firenzuola, e con danno di loro si partirono, e andarne a Milano. In quello assedio di Milano trattati avea assai da quegli di Milano a quegli dell'oste della Chiesa, tutti coverti di tradimenti dall'una parte e da l'altra; e credendosi messer Ramondo e gli altri capitani dell'oste della Chiesa, con ispendio di moneta assai e grandi promesse trattando co' Tedeschi ch'erano nel campo, che facessono co' Tedeschi ch'erano ne la città, che dessono loro l'entrata de la città, o almeno l'abandonassono e venissono nel campo da la loro parte, avenne tutto il contradio: che X bandiere di Tedeschi ch'erano nell'oste della Chiesa in quantità di Vc a cavallo subitamente si partirono dell'oste e entraro in Milano. Per la qual cagione, e ancora perché grande infermeria si cominciava nell'oste, gli usciti di Milano, isbigottiti e colla paura del tradimento, quasi tutti si partirono dell'oste e si ritrassono a·lloro castella e a la terra di Moncia. Messer Ramondo veggendosi rimaso pur co' soldati del re e de la Chiesa e degli altri Comuni, in quantità di MMD cavalieri, si ricolse con sua oste, e mise innanzi prima la salmeria e popolo minuto, dando battaglia a la città: colle schiere fatte si partì da Milano e dì XXVIII di luglio, e se n'andò a Moncia sano e salvo, che per sua levata quegli di Milano non ardirono d'uscire loro dietro a battaglia, overo per più savia capitaneria. E così è da notare che i·niuna forza umana si può avere ferma speranza, che in sì piccolo tempo sì possente e vittoriosa oste, com'era quella della Chiesa, per gli sopradetti avenimenti si partì isbarattata dal detto assedio di Milano.



CCXIII - Come quegli di Milano assediaro l'oste della Chiesa in Moncia, ma levarsene in isconfitta

Nel detto anno, dì VIII d'agosto, quegli di Milano uscirono ad oste sopra la terra di Moncia con IIIm cavalieri e popolo grandissimo. In Moncia era messer Ramondo di Cardona coll'oste della Chiesa rimaso con MM uomini di cavallo. Quivi si puosono ad assedio, e dimoraronvi infino al primo dì d'ottobre; e essendo ne la detta oste grandissima infermeria e mortalità, e molta gente di quella oste partita, uscendo fuori la gente a piè de la Chiesa con balestrieri venuti da Genova per assalire il campo, quegli dell'oste sanza riparo di battaglia si partiro a piè e a cavallo, chi meglio e più tosto si poté guarentire; e così rimase il campo e tutti i loro arnesi a la gente della Chiesa. Poca gente vi fu morta e presa, se non degl'infermi, perché l'asalto fu sproveduto e sanza la cavalleria, sì che poca fue la caccia e tardi, che già i Melanesi s'erano ricolti.



CCXIV - Come Castruccio venne ad oste a Prato, e come i Fiorentini vi cavalcarono, e le novità che ne furono in Firenze

Nel detto anno MCCCXXIII Castruccio signore di Lucca prese audacia e baldanza de la cavalcata che poco dinanzi aveva fatta sopra le terre del Valdarno sanza contasto de' Fiorentini: il dì di calen di luglio subitamente cavalcò in sul contado del castello di Prato, perché i Pratesi non gli voleano dare tributo come i Pistolesi, e puosesi a campo a la villa d'Aiuolo presso a Prato a poco più d'uno miglio con VIcL uomini a cavallo e con IIIIm pedoni, con tutto si credesse in Firenze che fossero presso a due cotanti genti. I Fiorentini incontanente saputa la novella, serrate le botteghe e lasciata ogni arte e mestiere, cavalcarono a Prato popolo e cavalieri isforzatamente; e ciascuna arte vi mandò gente a piede e a cavallo, e molte case di Firenze grandi e popolani vi mandaro masnade a piè a loro spese; e per gli priori si mandò bando che qualunque isbandito guelfo si rassegnasse ne la detta oste sarebbe fuori d'ogni bando; il quale bando non saviamente fatto, ne seguì poi grande pericolo a la città. Avenne poi appresso che il dì seguente si trovarono i Fiorentini in Prato MD cavalieri e ben XXm pedoni, che i IIIIm e più erano isbanditi, molto fiera gente; e ordinarono il seguente dì d'uscire a battaglia contra Castruccio, e spianando le vie il detto Castruccio, la mattina III dì di luglio si levò da campo, e con grande paura de' Fiorentini, e ancora di tradimento de' Pistolesi, si partì d'Aiuolo, e colla preda ch'avea fatta in sul contado di Prato passò l'Ombrone, e sanza arresto, e di buono andare di galoppo, si ridusse a Serravalle: e con tutto che Castruccio n'andasse a salvamento per la discordia de' Fiorentini, fu tenuta la sua venuta folle condotta. Che se i Fiorentini avessono mandata di loro gente, come poteano, tra Serravalle e l'oste di Castruccio, a certo Castruccio e sua gente rimanevano morti e presi; ma a cui Idio vuol male gli toglie il senno. I Fiorentini rimasi in Prato con poca ordine e con difettuoso capitano, e per vizio de' nobili, che non voleano vincere la guerra in onore e stato di popolo, scisma e discordia nacque ne la detta oste; che il popolo tutto volea seguire dietro a Castruccio, o almeno andare a oste in su quello di Lucca, e' nobili quasi tutti non voleano, assegnando loro ragioni ch'era il peggio. Ma la cagione era perché parea loro esser gravati degli ordini della giustizia, che non voleano essere tenuti l'uno per lo malificio dell'altro; la qual cosa per lo popolo non s'aconsentia, e per questa cagione più dì stettono in quello errore, e mandarono a Firenze ambasciadori per la diliveragione del cavalcare o tornare l'oste in Firenze. Consigliando sopra ciò in Firenze in sul palazzo del popolo, simigliante errore nacque tra nobili e popolani, e adurando di pigliare partito di consiglio in consiglio, il popolo minuto ch'era di fuori, cominciando da' pargogli fanciugli, raunandosi in quantità innumerabile di gente, gridando: "Battaglia, battaglia, e muoiano i traditori!", e gittando pietre a le finestre del palazzo, essendo già notte, per tema del detto romore del popolo i signori priori col detto consiglio, quasi per nicessità e per acquetare il popolo minuto a romore, stanziaro che l'oste procedesse. Questo fu a dì VII di luglio. E fatta la detta diliberazione, tornati gli ambasciadori a l'oste a Prato, si partì la detta oste di Prato, dì VIIII di luglio, con mala voglia e infinta per gli nobili, se n'andarono per la via di Carmignano a Fucecchio, e giunti a Fucecchio, sanza niuno buono fare, od onore del Comune di Firenze: ma se in Prato avea errore tra' nobili e 'l popolo del cavalcare, maggiore fue a Fucecchio di non valicare né entrare in sul contado di Lucca. E sì era cresciuta l'oste e crescea tutto dì, che 'l Comune di Bologna vi mandò CC cavalieri, e 'l Comune di Siena altri CC; e oltre a quegli tutti i nobili de le case di Siena a gara, chi meglio meglio, vennono in quantità di CCL a cavallo molto bella gente, e i Conti e altre terre e amici; onde l'oste era sì possente, se vi fosse stato l'accordo, ch'a l'assedio di Lucca e più innanzi poteano con salvezza andare, che Castruccio s'era ritratto a la guardia di Lucca con grande paura, e poca di sua gente mandati a guardare i passi sopra la Guisciana. Ma sempre ov'è la discordia è il minore podere, tutto sia più gente; e ancora per difetto del non sofficiente duca, il conte Novello, che non era capitano a conducere sì fatto esercito, per necessità convenne tornassono a Firenze sanza nulla fare, con grande onta e vergogna di loro e del Comune di Firenze. E oltre a questo, crescendo peggio al male, che certi nobili scommossono gli sbanditi, che non sarebbono dal Comune tratti di bando, onde a bandiere levate vennono i detti isbanditi innanzi a la città, credendo per forza entrare dentro, la sera, dì XIIII di luglio. Sentendo ciò il popolo a suono di campane s'armò, e trassono a la guardia de la città, del palazzo del popolo; e tutta la notte guardaro francamente, temendo di tradimento dentro ordinato per gli detti certi de' nobili. Gli sbanditi perduta la speranza, e la mattina vegnente, dì XV di luglio, tornando la cavalleria e l'altra oste, si fuggirono i detti isbanditi, e la città si racquetò con molta riprensione. Avemo seguito per ordine questo processo de' Fiorentini, perché siamo di Firenze e fummo presenti, e il caso fu nuovo e con più contrari, e per quello seguì apresso, per dare esemplo a' nostri successori per lo nanzi d'esser più franchi e più interi e di migliore consiglio, vogliendo onore e stato de la repubblica e di loro.



CCXV - Come il vescovo d'Arezzo prese il castello di Rondine

Nel detto anno, a dì XVII di luglio, s'arrendé il castello di Rondine al vescovo d'Arezzo, e gli Aretini che v'erano stati ad assedio più mesi. Stando que' d'entro a speranza che' Fiorentini gli soccorressono, nol vollono fare, tra per non potere per le cagioni di su dette, e per non rompere pace agli Aretini.



CCXVI - Come Castello Franco si rubellò a' Bolognesi, e come lo riebbono

Nel detto anno, a dì XVIIII di luglio, si rubellò per tradimento del signore di Modona Castello Franco de' Bolognesi, i quali Bolognesi subitamente vi trassono per comune; e per lo sollecito soccorso, e che quegli di Modona non v'erano ancora giunti, racquistarono il castello, e' traditori strussono.



CCXVII - Come X galee de' Genovesi furono prese da' Turchi per tradimento

Nel detto anno e mese di luglio X galee di Genovesi guelfi andarono in corso in Romania rubando amici e nimici, e presono tanta roba che si stimava IIIc milia fiorini d'oro, e feciono compagnia col cerabi di Sinopia, uno grande amiraglio di Turchia; e corseggiato tutto il mare Maggiore, tornati al porto di Sinopia, per quello amiraglio nobilemente ricevuti, e fatta gran festa e conviti per trargli in terra, e dato loro uno ricco desinare, al levare delle tavole gli fece assalire a' suoi Turchi, e uccidere e prendere, e simigliante le galee e la roba ch'era in porto; e così perderono l'avere male acquistato, e le persone: che de le X galee e di tutta la ciurma non iscamparono che III galee; e rimasorvi XL e più de' maggiori nobili di Genova, e bene MD altri per lo tradimento del detto Saracino.



CCXVIII - Come santo Tommaso d'Aquino fue canonizzato da papa Giovanni

Nel detto anno MCCCXXIII, all'uscita di luglio, per lo sopradetto papa Giovanni e per gli suoi cardinali apo Vignone, fue canonizzato per santo frate Tommaso d'Aquino dell'ordine di san Domenico, maestro in divinità e in filosofia, e uomo eccellentissimo di tutte scienze, e che più dichiarò le sacre Scritture che uomo che fosse da santo Agostino in qua, il quale vivette al tempo di Carlo primo re di Cicilia. E andando lui a corte di papa al concilio a Leone, si dice che per uno fisiziano del detto re, per veleno gli mise in confetti, il fece morire, credendone piacere al re Carlo, però ch'era del legnaggio de' signori d'Aquino suoi ribelli, dubitando che per lo suo senno e virtù non fosse fatto cardinale; onde fu grande dammaggio a la chiesa di Dio: morì a la badia di Fossanuova in Campagna, dì... E quando venne alla sua fine, prendendo Corpus Domini, fece questa santa orazione con grande divozione "Ave pretio mee redemptionis, ave viatico mee peregrinationis, ave premio future vite in cui mano commendo anima et spiritum meum"; e passò in Cristo.



CCXIX - Di grande novitade ch'ebbe in Firenze per cagione degli sbanditi

Nel detto anno e tempo, essendo gli sbanditi di Firenze, i quali erano stati nell'oste a Prato e a Fucecchio, in isperanza d'esser ribanditi per la promessa loro fatta e per lo bando mandato per gli priori, non si trovò via per gli forti ordini che potessono essere ribanditi. Per la qual cosa VIII di loro caporali, ch'erano in Firenze a sicurtà per sollecitare d'essere ribanditi, veggendo che la loro speranza era fallita, sì ordinaro congiurazione e tradimento ne la città col favore di certi nobili de le case, ond'erano di quegli isbanditi; e la notte di santo Lorenzo, dì X d'agosto MCCCXXIII, vennero a le porte de la città da più parti, in quantità di LX a cavallo e più di MD a piè, con iscuri assai per tagliare la porta che vae verso Fiesole. Sentendosi la sera a tardi loro venuta, non per certo, ma per alcuno indizio, la città fue ad arme e in grande tremore, dubitandosi il popolo non tanto degli sbanditi di fuori, che piccolo podere era il loro a la potenza della città, quanto di tradimento dentro si facesse per gli grandi. Per la qual cosa la città si guardò la notte con grande sollecitudine, e per la buona guardia nullo s'ardì a scoprire dentro di tradimento. Gli sbanditi ch'erano di fuori, veggendo la grande guardia e luminare sopra le mura, e che nullo rispondea loro dentro, si partirono in più parti, e così per la grazia di Dio e di messere santo Lorenzo iscampò la città di Firenze di grande pericolo e rivoluzione; che di vero si trovò che doveano correre la città e ardere in più parti, e rubare e fare micidi in assai buoni uomini, e abbattere l'uficio de' signori priori e gli ordini della giustizia, che sono contra i nobili, e tutto il pacefico stato della città sovertere; e cominciato per gli sbanditi il male, quasi tutti i nobili doveano essere co·lloro per disfare il popolo. E così si trovò; ma perché l'opera era grave a pulire, tanti n'erano colpevoli, si rimase di fare giustizia per non peggiorare stato, ché·ll'una setta e parte del popolo, i quali non reggeano la città, voleano pur che giustizia si facesse, perché si volgesse stato nella città. Quegli che reggieno, perché scandalo non crescesse onde nascesse mutazione ne la città, sì la passarono il più temperatamente che poteano. E essendo a la fine opposto per la fama del popolo per gli più caporali di nobili, ch'avessono aconsentito a la detta congiura, a messer Amerigo Donati, e a messer Tegghia Frescobaldi, e a messer Lotteringo Gherardini, ma non si trovò nullo ch'acusasse; ma nel consiglio de' priori e del popolo per dicreto convenne ciascuno in polizze scrivesse chi gli parea fosse colpevole: trovossi per gli più i tre cavalieri nomati; che fu nuova legge e modo. I quali tre cavalieri dinunziati per lo modo e sorte che detto avemo, essendo richesti per messer Manno de la Branca d'Agobbio, allora podestà, a sicurtà privata di loro persone, compariro e confessarono che sentirono il trattato ma non vi si legaro; ma perché nol palesarono a' priori, furono condannati ciascuno in libbre MM, e a confini per VI mesi fuori della città e contado XL miglia. Per molti si lodò di passarla per questo mezzo per non crescere scandalo ne la città; e per molti si biasimò, che giustizia non si fece de' detti e di molti nobili che si diceva che v'aveano colpa a la detta congiurazione. E per questa novità, e per fortificare il popolo, a dì XXVII d'agosto MCCCXXIII sì diedono LVI pennoni della 'nsegna de le compagnie, III per gonfalone e tali IIII, e così a quegli de la setta che non reggeano come a quegli che reggeano, mischiatamente; e tutti i popolani a sesto a sesto si congregarono insieme, e promisono d'essere a una concordia a la difensione del popolo; per la qual cagione poi nacque mutazione in Firenze, e si criò nuovo stato, come innanzi farà menzione.



CCXX - Come Castruccio guastò le castella di Valdarno di sotto

Nel detto anno, a dì XXIIII d'agosto, essendo per quegli del castello di Montetopoli fatta preda e danno a quegli del castello di Marti, Castruccio signore di Lucca a richiesta de' Pisani mandò CCC cavalieri, e fece guastare le vigne di Montetopoli e ciò che v'era scampato, ch'egli non avea guasto quando vi fu a oste; e simigliante feciono a Castello Franco e a quello di Santa Croce sanza niuno contasto o soccorso de le masnade de' Fiorentini, ch'erano in maggiore quantità di cavalieri in Valdarno, onde fu grande vergogna a' Fiorentini. E tutto ciò avenia per le divisioni de la città.



CCXXI - Come quegli di Bruggia in Fiandra presono e arsono il porto delle Schiuse

Nel detto anno e mese d'agosto, essendo quistione tra 'l conte di Fiandra e quegli di Bruggia col conte di Namurro suo zio, il quale tenea la villa e 'l porto delle Schiuse, e quella terra era molto cresciuta e multiplicata per lo buono porto, il detto conte di Fiandra, ciò fu il giovane Luis, con quegli di Bruggia andarono ad oste sopra le dette Schiuse, e per forza l'acquistaro, e uccisono e presono gente assai; e 'l conte di Namurro fu preso; e poi rubarono e arsono la detta villa e porto, che v'aveva più di MD abitanti sanza i forestieri navicanti.



CCXXII - D'uno vento pestilenzioso che fu in Italia e in Francia

Nel detto anno MCCCXXIII, a l'uscita d'agosto e a l'entrar di settembre, fu uno vento a favognano, per lo quale amalorono di freddo con alquanti dì con febbre e dolore di testa la maggiore parte degli uomini e de le femmine in Firenze: e questa pestilenza fu generale per tutte le città d'Italia, ma poca gente ne morì; ma in Francia ne morirono assai.



CCXXIII - Come quegli di Bergamo furono sconfitti dalla gente de la Chiesa

Nel detto anno e mese di settembre gente di Bergamo in buona quantità a cavallo e a piè, vegnendo in servigio di que' di Milano a l'oste e assedio ch'era a Moncia, per la gente de la Chiesa furono scontrati e sconfitti, e rimasonne tra morti e presi D e più.



CCXXIV - Come i mercatanti viniziani sconfissono gl'Inghilesi in mare

Nel detto anno e mese di settembre, essendo partite VII galee de' Viniziani di Fiandra cariche di mercatantia, XXXIIII cocche d'Inghilesi l'assaliro per rubare, le quali galee francamente difendendosi, quelle cocche sconfissono, e presonne X, e uccisonvi molti Inghilesi.



CCXXV - Come i Fiorentini perderono il castello della Trappola co·lloro vergogna

Nel detto anno e mese di settembre il castello della Trappola in Valdarno, il quale teneano i Pazzi, si diede a' Fiorentini: mandovisi per lo Comune di Firenze gente e guernimento; e stando a sicurtà con mala guardia quegli che v'erano entro, i Pazzi e Ubertini, per tradimento fu loro data l'entrata del castello, e quanti Guelfi vi trovarono in su le letta gli uccisono, in numero più di XL gagliardi fanti di Castello Franco. Sentendo ciò i Fiorentini, vi mandarono CC cavalieri e pedoni assai. Quegli ch'erano nella Trappola per tema se ne partiro, e rubarono il castello e misonvi fuoco, e ridussonsi nel castello di Lanciolina. La gente de' Fiorentini seguendogli, gli assediarono nel detto castello per più giorni; poi i Pazzi e Ubertini con gli Aretini isforzatamente con più di CC cavalieri e popolo assai venieno al soccorso; per la qual cosa la gente de' Fiorentini sanza attendere se ne partirono dall'asedio, e con grande vergogna se ne tornarono a Firenze.



CCXXVI - Come il vescovo d'Arezzo ebbe la Città di Castello per tradimento

Nel detto anno, a dì II d'ottobre, signoreggiando la Città di Castello messer Branca Guelfucci a guisa di tiranno, e i più de' migliori Guelfi cacciati della terra, certi di quegli che v'erano rimasi popolani sì feciono trattato col vescovo d'Arezzo per cacciare messer Branca, il quale vi mandò CCC uomini a cavallo con Tarlatino suo fratello. E' detti traditori gli diedono la notte una de le porte, e come gli Aretini furono dentro, co' figliuoli di Tano da Castello degli Ubaldini e più altri Ghibellini, corsono la terra, e per forza ne cacciarono il detto messer Branca, ed eziandio tutti quegli Guelfi che aveano loro data la terra, e ben IIIIc altri Guelfi caporali, e in tutto si riformò a parte ghibellina. Per la qual cosa i Perugini, e Agobbini, e Orbitani, e Sanesi, e Bolognesi, e conti Guidi guelfi mandarono ciascuno a Firenze loro ambasceria, e in Firenze fermarono taglia di M cavalieri, e capitano il marchese da Valiana per guerreggiare la Città di Castello e 'l vescovo d'Arezzo. E fermarono compagnia di IIIm cavalieri per tre anni a richesta del capitano della taglia, che 'l terzo e più ne toccò a' Fiorentini. Piuvicossi la detta compagnia in Firenze in Santo Giovanni a dì XXI di marzo MCCCXXIII.



CCXXVII - Come il papa scomunicò Lodovico di Baviera eletto imperadore

Nel detto anno MCCCXXIII, a dì VIII d'ottobre, papa Giovanni sopradetto apo Vignone in Proenza, in piuvico concestoro diede sentenzia di scomunicazione contra Lodovico dogio di Baviera, il quale si dicie re de' Romani, però ch'avea mandato aiuto di sua gente a Galeasso Visconti e frategli, che teneano la città di Milano e più altre città di Lombardia contra la Chiesa, opponendogli che non gli era licito d'usare l'uficio dello imperio infino che non fosse approvato degno e confermato per la Chiesa, dandogli termine tre mesi, ch'egli dovesse avere rinunziata la sua elezione dello imperio, e personalmente venuto a scusarsi di ciò, ch'avea favoreggiati gli eretici e sismatici e ribegli di santa Chiesa: e privò tutti i cherici che al detto Lodovico dessono consiglio, aiuto o favore, se disubbidisse. Il quale Lodovico com'ebbe il detto processo, con savio consiglio appellò al detto papa o suo successore e al concilio generale, quando egli fosse a la sedia di San Piero a Roma; e mandò a corte grande ambasceria di prelati e d'altri signori scusandosi al papa, e faccendo promettere di non essere contra la Chiesa; gli fu prolungato termine tre altri mesi, e secondo che aoperasse, così si procederebbe contra lui.



CCXXVIII - D'una grande tempesta che fu nel mare Maggiore

Nel detto anno e mese d'ottobre fu sì grande tempesta nel mare Maggiore di là da Gostantinopoli, che ben cento legni grossi vi periro; onde fue grande danno a' mercatanti di Vinegia e di Genova e di Pisa e ancora de' Greci, che molto avere e mercatantia e gente vi si perdero.



CCXXIX - Di novità che furono in Firenze per cagione degli ufici e de le sette

Nel detto anno, a l'uscita d'ottobre, i priori e gonfaloniere che allora erano a la signoria di Firenze, e erano de' maggiori popolani de la città, presono balìa di fare priori per lo tempo avenire, e feciongli per XLII mesi avenire, e mischiarono de la gente che non avea retta la terra dal tempo del conte a Battifolle allora, due in tre per uficio di priorato, per mostrare di raccomunare la terra per la novità degli sbanditi ch'era stata l'agosto dinanzi, e' detti eletti priori misono i bossoli ordinati di trargli di due in due mesi; onde poi nacque novità innanzi che finisse l'anno, come innanzi farà menzione.



CCXXX - Come Castruccio volle pigliare Pisa per tradimento

Nel detto anno MCCCXXIII, a dì XXIIII d'ottobre, si scoperse in Pisa uno tradimento ch'avea ordinato Castruccio signore di Lucca con messer Betto Malepa de' Lanfranchi e con IIII conastaboli tedeschi, di fare uccidere il conte Nieri e 'l figliuolo e più altri che reggeano la città, e correre la terra, e dare la signoria a Castruccio; per la qual cosa fu tagliata la testa al detto messer Betto, e presi i detti conostaboli e cacciata la loro gente; e d'allora innanzi il conte con quegli che reggeano in Pisa si palesarono nimici di Castruccio, e feciono dicreto che chi l'uccidesse avesse dal Comune di Pisa Xm fiorini d'oro, e tratto d'ogni bando. Questo tradimento scoperse uno de' Guidi e Bonifazio de' Cerchi rubegli di Firenze, che dimoravano in Lucca e in Pisa; e guadagnarne danari da' Pisani.



CCXXXI - Come la gente de la Chiesa ebbono danno a Carrara in Lombardia

Nel detto anno e mese d'ottobre, essendo nella villa di Carrara nel contado di Milano CCC cavalieri di quegli della Chiesa, messere Marco con Vc cavalieri di Milano subitamente assalì la detta villa; quella poco forte e male fornita, abbandonata da' soldati de la Chiesa, presono e rubarono e arsono con alcuno danno de' loro nimici, partendosi la gente della Chiesa in isconfitta. E poi nel detto anno, a dì XII di novembre, il detto messer Marco con MD cavalieri venne all'assedio, a la rocca e ponte di Basciano in su il fiume d'Adda, il quale era molto bene fornito e di vittuaglia e di gente per la Chiesa. Non avendo soccorso da messer Ramondo e da la sua gente ch'erano a Gargazzuola, vilmente s'arrendero, e chi dice per moneta; che n'era capitano uno oltramontano. E tornato messer Marco in Milano, dissensione nacque tra la sua gente dagli Alamanni di sopra a quegli di sotto, cioè di Valdireno, per invidia che quegli di Soavia erano più di presso al signore, e meglio pagati; e ben Vc a cavalio se ne partirono, e parte se n'andarono in Alamagna, e parte vennono nell'oste de la Chiesa sotto la bandiera di messer Arrigo di Fiandra. Di questo è fatta menzione per la poca fede de' Tedeschi.



CCXXXII - Come il popolo minuto di Fiandra si rubellarono contra i nobili e distrussongli

Nel detto anno e mese di novembre il popolo minuto del Franco di Bruggia in Fiandra, cioè i paesani d'intorno a Bruggia, si rubellarono contra i nobili de la contrada, e feciono uno capitano il quale appellavano il Conticino, e a furore corsono il paese, e arsono e guastarono tutti i manieri e fortezze di nobili, e molti ne presono e incarceraro. E la cagione fu perché i nobili gli gravavano troppo de la taglia ch'aveano a pagare per la pace al re di Francia; e crebbe tanto la detta congiura, che contaminarono tutto il paese di Fiandra, e non ubbidieno al conte di Fiandra loro signore; e a la fine, a dì XXI di febbraio vegnente, entrarono in Bruggia per forza coll'aiuto del popolo minuto di Bruggia, e corsono la terra, e uccisono a·ffurore molti grandi borgesi, e mutarono lo stato e signoria de la terra a·lloro volontà.



CCXXXIII - Come Castruccio prese Fucecchio, e incontanente ne fu cacciato in isconfitta

Nel detto anno MCCCXXIII, a dì XVIIII di dicembre, Castruccio signore di Lucca subitamente con suo isforzo si partì da Lucca, e la notte vegnente venne intorno a Fucecchio per prendere la terra; e per alcuno di quegli d'entro di piccolo essere fue ismurata una piccola postierla, la quale era in luogo solitaro presso a la rocca, e per quella entraro molti di sua gente di Castruccio, che non furono sentiti, perché piovea diversamente, e Castruccio in persona v'entrò con più di CL uomini a cavallo e Vc a piè. E combattendo la notte la terra e' presene una parte, e prese la rocca che v'aveano cominciata a fare i Fiorentini, salvo la torre; e credendosi avere vinta la terra, e già n'avea scritto a Lucca, quegli di Fucecchio feciono la notte cenni di fuoco per soccorso a le castella vicine, ov'era la guernigione de' soldati de' Fiorentini; per gli quali cenni soccorso vi venne de le masnade fiorentine, ch'erano a Santa Croce, e a Castello Franco, e a Samminiato, e vegnente il giorno, vigorosamente combattero con Castruccio e sua gente, il quale era abarrato a le bocche de le vie d'in su la piazza, e per forza gli sconfissono e cacciarono de la terra; e 'l detto Castruccio fu fedito nel volto, e a grande pena scampò, e più vi rimasono morti e presi in quantità di CL uomini tra a cavallo e a piede, e quasi tutti i loro cavagli ch'aveano condotti dentro vi rimasono, perché si fuggirono a piè; e se fossono stati seguiti, era finita la guerra castruccina a' Fiorentini. Grande allegrezza n'ebbe in Firenze, però che al cominciamento aveano la terra per perduta, e più bandiere di Castruccio e de' suoi conastaboli co' cavagli presi ne vennono a Firenze.



CCXXXIV - D'uno grande miracolo ch'aparve in Proenza

Nel detto anno MCCCXXIII, il giorno de la Befania, apparve in Proenza in una terra c'ha nome Alesta uno spirito d'uno uomo di quella terra, il quale di poco era morto, e con sentore quando venia scortamente parlando, dicendo grandi cose e maravigliose dell'altra vita e delle pene di purgatorio; e 'l priore de' frati predicatori, uomo di santa vita, con più de' suoi frati e con più di C buoni uomini della terra il venne a disaminare e scongiurare, recando seco privatamente Corpus Domini, per tema non fosse spirito maligno e fittizio, il quale incontanente conobbe, e confessò quello esser vero Iddio, dicendo al priore: "Tu hai teco il salvatore del mondo"; e per la virtù di Cristo scongiurandolo, più secrete cose disse, e come per l'aiuto e meriti del detto priore e suoi frati tosto avrebbe requia eternale.



CCXXXV - Come il vescovo d'Arezzo ebbe e prese la rocca di Caprese

Nel detto anno, a dì VII di gennaio, il vescovo d'Arezzo ebbe la rocca di Caprese del conte da Romena, a la quale era stato ad assedio più di tre mesi; e per lo detto conte e per gli Fiorentini tardi fu soccorsa, onde al detto vescovo crebbe podere di più di Vc fedeli di Valdicapresi, ch'erano tutti Guelfi.



CCXXXVI - Come gli usciti di Piagenza furono sconfitti da la gente della Chiesa

Nel detto anno, dì X di gennaio, messer Manfredi di Landa uscito di Piagenza, che tenea Castello Aquaro, con CC cavalieri e gente a·ppiè venne verso il borgo a San Donnino per levare preda e mercatantia ch'andava a Piagenza: sentendosi in Piagenza, IIIIc cavalieri di quegli del legato cavalcarono contra loro, e tra Firenzuola e San Donnino gli sconfissono; e gran parte ne furono presi e menati in Piagenza.



CCXXXVII - Come i Pisani furono sconfitti in Sardigna da lo 'nfante d'Araona

Nel detto anno MCCCXXIII, a l'uscita di gennaio, i Pisani feciono una armata di LII tra galee e uscieri, con Vc cavalieri tra Tedeschi e Italiani, e con IIm balestrieri pisani, ond'era capitano messer Manfredi figliuolo del conte Nieri naturale, e si partirono di Pisa a dì XXV di gennaio per andare in Sardigna per soccorrere Villa di Chiesa ch'era assediata da don Anfus figliuolo del re d'Araona, il quale era in su la Sardigna per conquistarla, come adietro è fatta menzione. E per contradio tempo soggiornò la detta armata al porto di Lungone in Elba infino a dì XIII di febbraio, e in Sardigna arivarono a dì XXV di febbraio a capo di terra nel golfo di Caseri, e trovarono che Villa di Chiesa s'era renduta al detto don Anfus a dì VII di febbraio, il quale v'era stato ad assedio VIII mesi, e venuto era con sua oste ad assediare Castello di Castro. I Pisani scesi in terra co·lloro oste andando verso Castello, e la gente di Castello venieno per congiugnersi co·lloro, e dì XXVIIII di febbraio s'afrontarono a battaglia col detto don Anfus, e combattendo aspramente, a la fine la gente de' Pisani furono sconfitti e morto il loro capitano e degli altri, e morirne assai de' Tedeschi a cavallo: la maggiore parte de' Pisani che poco ressono a la battaglia si fuggirono in Castello di Castro. E dopo la detta sconfitta e perdita le galee di don Anfus, ch'erano nel porto di Castello incatenate per contradiare il porto e la scesa a' Pisani, si scatenaro e vennono contra l'armata de' Pisani. Quegli incontanente si misono a la fugga, e lasciarono tutti i loro legni grossi carichi di vittuaglia e d'arnese d'oste, i quali furono presi da le galee di Raonesi. E ciò fatto, il detto don Anfus puose l'assedio per terra e per mare a Castello di Castro. Per questa sconfitta e perdita di Villa di Chiesa fu grande abassamento de' Pisani, che più di CCm fiorini d'oro costava già loro la detta guerra, onde rimasono in male stato e in grande discordia dentro per le sette che v'erano nella città, e con grande sospetto di Castruccio ch'era loro contradio, e allegato col re di Raona.



CCXXXVIII - Come i Fiorentini mandarono in Francia per cavalieri

Nel detto anno, del mese di gennaio, i Fiorentini mandarono in Francia ambasciadori per Vc cavalieri franceschi, che venissono al soldo del detto Comune.



CCXXXIX - Come messer Ramondo di Cardona fue sconfitto da quegli di Melano, e preso

Nel detto anno, a dì XXVIIII di febbraio, messer Ramondo di Cardona capitano dell'oste della Chiesa in Lombardia si partì da Moncia con M cavalieri e con gente a piè assai, e venne e prese il castello e 'l ponte di Vavri in sul fiume d'Adda. Galeasso e Marco Visconti incontanente vi cavalcarono da Milano con XIIc di cavalieri tedeschi e popolo assai a piè, e misonsi a l'assedio del detto castello di Vavri. Messer Ramondo non essendo fornito di vittuaglia uscì fuori al campo co la sua gente, e affrontossi a battaglia con quegli di Milano, la quale fu aspra e forte. A la fine per soperchio di gente il detto messer Ramondo co l'oste della Chiesa furono sconfitti, e preso il detto messer Ramondo e più altri conastaboli, intra' quali due di quegli che v'erano per lo Comune di Firenze vi rimasono, e menati presi in Melano; messer Simonino di messer Guidetto della Torre, uomo di gran valore, anegò nel fiume d'Adda, e più altra buona gente vi rimasono presi e morti; e messer Arrigo di Fiandra vi fu preso, ma riscattossi da' Tedeschi che l'aveano, e co·lloro insieme e con gli altri ch'erano scampati de la battaglia ne venne in Moncia. E poi il detto messer Ramondo essendo preso in Milano co le guardie, del mese di novembre scampò e venne a Moncia.



CCXL - Come il vicaro del re Ruberto fu cacciato da' Pistolesi

Nel detto anno MCCCXXIII, dì III di marzo, tornando a Pistoia per patti il vicaro del re Ruberto, che n'era stato cacciato, con XXX a cavallo de la masnada del conte Novello, per gli Pistolesi fu assalito e sconfitto sotto a Tizzano, e fattagli grande vergogna; e ciò fu opera di messer Filippo Tedici, che volea per tirannia signoreggiare la terra.



CCXLI - Come i Tarteri di Gazzeria corsono Grecia

Nel detto anno, del mese di febbraio, il Tartero de la Gazzeria e Rusia, ch'aveva nome... con esercito di CCCm d'uomini a cavallo vennono in Grecia infino a Gostantinopoli e più qua più giornate, consumando e guastando ciò che innanzi si trovaro; e dimorarvi infino a l'aprile vegnente con grande consumazione e distruzione de' Greci d'avere e di persone, che più di CLm di persone, tra' morti, e' ne menarono in servaggio. A la fine per difetto di vittuaglia per loro e di loro bestiame furono costretti a dipartirsi, e tornarono in loro paese. Per questo avenimento ancora si mostra il fragello di Dio a coloro che non sono suoi amici, che gli fa perseguitare a' peggiori di loro. E non si maravigli chi leggerà di tanta quantità di gente a cavallo; però che ciascuno Tartero vae a cavallo; e' loro cavagli sono piccoli e sanza ferri e con brettine sanza freno, e la loro pastura è d'erbaggio e di strame sanza biada; e' detti Tartari vivono di pesce e carne mal cotta, con poco pane, e di latte di loro bestiame, che ne' loro eserciti menano grandissima moltitudine; e sempre stanno a campo, e poco in cittadi e in castelli o ville abitano, se non sono gli artefici.



CCXLII - Come papa Giovanni ancora fece processi contro l'eletto di Baviera

Nel detto anno, a dì XXII del mese di marzo, papa Giovanni XXII apo Vignone fece e piuvicò nuovi processi contra Lodovico dogio di Baviera eletto re de' Romani, per cagione de l'aiuto dato a' Visconti di Milano contra la Chiesa, e scomunicollo se personalmente non venisse a la sua misericordia infra tre mesi apresso, e ordinò perdono di croce, perdonando colpa e pena chi andasse o mandasse per tempo d'uno anno al servigio della Chiesa in Lombardia contra i Visconti signori che teneano Milano.



CCXLIII - Come l'oste di Milano si partì dall'assedio di Moncia co·lloro danno

Nell'anno MCCCXXIIII, a dì XXVIII del mese di marzo, essendo il signore di Milano Galeasso Visconti a oste a Moncia, e per più giorni data battaglia a la terra, quegli ch'erano per la Chiesa in Moncia, ond'era capitano messer Arrigo di Fiandra, uscirono fuori a combattere le torri e altri ingegni de' nimici, e quegli per forza di battaglia arsono e presono con gran danno di quegli dell'oste. Per la qual cosa tutta l'oste si ritrasse da l'assedio de la terra per ispazio d'uno miglio e più, lasciando il campo con gran danno di loro; poi apresso a due dì si partirono e ritornarono in Milano. E intra l'altre cagioni, però che 'l capitano della detta oste, che v'era per lo eletto di su detto re de' Romani, per lettere del suo signore per non fare contra la Chiesa si partì, e tornossi con sue genti in Alamagna.



CCXLIV - Come i Perugini coll'aiuto de' Toscani ebbono la città di Spuleto

Nel detto anno, a dì VIIII d'aprile, essendo la città di Spuleto assediata per gli Perugini e per lo duca di Spuleto che v'era per la Chiesa, per II anni e più, e aveavi intorno XIIII battifolli, per tale modo l'aveano afflitta e distretta di vittuaglia, che s'arenderono liberamente a la Chiesa e al Comune di Perugia sanza nullo patto, salve le persone; e i primi per patti che entrarono nella città, acciò che non si corresse né guastasse, furono i cavalieri ch'erano nella detta oste del Comune di Firenze e di quello di Siena, ch'erano CCL, i quali guarentirono la terra; poi v'entrarono i Perugini sanza nullo malificio fare; e riformarono la terra a·lloro signoria in parte guelfa, e sì come terra loro distrettuale, e come loro suditi.



CCXLV - Di certi ordini fatti in Firenze contra gli ornamenti delle donne, e di trarre di bando li sbanditi

Nel detto anno MCCCXXIIII, del mese d'aprile, albitri furono fatti in Firenze, i quali feciono molti capitoli e forti ordini contra i disordinati ornamenti de le donne di Firenze. Feciono dicreto ch'ogni isbandito potesse uscire di bando pagando certa piccola cosa al Comune, e rimanendo in bando al suo nimico, salvo i rubelli, e quegli che furono condannati per la venuta ch'aveano fatta a le porte l'agosto dinanzi per essere ribanditi. Non fu per gli più lodato il dicreto, però che la città non era in bisogno né iscadimento, ch'e' bisognasse ribandire i malfattori. Ma fecesi per la promessa fatta loro nell'oste a Prato, come dinanzi si fece menzione.



CCXLVI - Come il papa scomunicò il vescovo d'Arezzo

Nel detto anno, dì XII d'aprile, papa Giovanni apo Vignone in piuvico concestoro scomunicò e privò il vescovo d'Arezzo, ch'era di quegli della casa da Pietramala d'Arezzo, a condizione, se infra due mesi non avesse fatta ristituire la Città di Castello nel primo stato a parte di Chiesa e guelfa, e lasciata la signoria temporale d'Arezzo, e venuto personalmente in sua presenza fra tre mesi; la qual cosa non attenne, e rimase in contumacia della Chiesa.



CCXLVII - Come il conte Novello prese Carmignano

Nel detto anno, a dì XXI d'aprile, il conte Novello capitano di guerra de' Fiorentini co la sua gente e usciti di Pistoia guelfi subitamente prese Carmignano, salvo la rocca, sanza saputa de' Fiorentini, per vendetta dell'onta che que' che teneano Pistoia feciono al vicario del re e a la sua gente, e non si volea partire se non avesse la rocca. Per questa cagione Castruccio signore di Lucca a richesta dell'abate da Pacciano che tenea Pistoia venne a Serravalle con Vc cavalieri; e faccendo segni di volere rendere Pistoia a Castruccio, i Fiorentini feciono partire il conte da Carmignano per tema e gelosia di Pistoia, e perché il conte avea fatta la 'mpresa sanza loro saputa.



CCXLVIII - Come il re di Francia venne in Proenza per procacciare d'esser l'imperadore

Nel detto anno e mese d'aprile Carlo re di Francia venne in tolosana con la reina sua moglie, figliuola che fu d'Arrigo imperadore, e col re Giovanni di Boemmia suo cognato, con più baroni e signori; e per gli più si credette che venisse al papa a Vignone per farsi eleggere imperadore. Tornossi adietro in Francia, e tornando, la detta reina morì sopra partorire, ella e la creatura; e per gli più si disse ch'avenne perch'egli l'avea tolta per moglie vivendo la sua prima, onde è fatta menzione.



CCXLIX - Come il re Ruberto si partì di corte di papa e andonne a Napoli

Nel detto anno e mese il re Ruberto si partì da corte di papa e di Proenza con LVI tra galee e uscieri e CCC cavalieri, e arrivò in Genova dì XXII d'aprile, e in Genova dimorò più giorni; e per gli Genovesi gli fu fatto grande onore, e cresciuta la signoria di Genova per VI anni, oltre al primo termine gli s'erano dati. Poi rassettata la terra a sua signoria, si partì di Genova del mese di maggio, e puose a Porto Pisano, e fece uno cavaliere di casa i Bardi di Firenze, e da' Pisani ebbe grandi presenti e onore, e poi si tornò a Napoli co la moglie del duca suo figliuolo, la quale era figliuola di messer Carlo di Valos di Francia; a grande onore la sposò a Napoli.



CCL - Come gente di Milano furono sconfitti da messer Arrigo di Fiandra

Nel detto anno, a dì XXVIII d'aprile, essendo partito di Milano messer Vercellino Visconti con CCC cavalieri e Vc pedoni, e presa la villa di Decimo, e quella intendea d'aforzare, acciò che vittuaglia non entrasse in Moncia, messere Arrigo di Fiandra si partì di Moncia con Vc cavalieri, e subitamente sorprese la detta gente di Milano e sconfisse, e pochi ne camparono, che non fossono morti o presi.



CCLI - Come i Pisani furono sconfitti un'altra volta in Sardigna

Nel detto anno, a l'entrante di maggio, i Pisani ch'erano in Castello di Castro, con tutta loro cavalieria e Tedeschi, uscirono un'altra volta fuori a battaglia con don Anfus figliuolo de·re d'Araona, i quali furono sconfitti, e tra morti e presi più di IIIc cavalieri; il rimanente si fuggirono in Castello; e pochi dì apresso il rimanente delle galee e tutto il navile de' Pisani si partirono di Sardigna e tornarono a Pisa per tema di XXV galee sottili che 'l re di Raona avea mandate in Sardigna in aiuto a don Anfus suo figliuolo, onde i Pisani rimasono in Sardigna disperati d'ogni salute. Nel detto anno, a dì VIIII di maggio, scurò la luna in gran parte in sulla sera nel segno dello Scarpione.



CCLII - Come gente di Castruccio ricevettono danno a Castello Franco

Nel detto anno, a dì XXII di maggio, vegnendo la gente di Castruccio signore di Lucca a Castello Franco in quantità di CL a cavallo, i soldati de' Fiorentini intorno di CXX a cavallo uscirono di Castello Franco, e vigorosamente s'affrontarono insieme; e durò la battaglia per più di tre ore, che poco avea vantaggio dall'uno all'altro. A la fine sopravenne da Fucecchio in soccorso de' soldati di Firenze de la gente del conte Novello intorno di C cavalieri. Per la qual cosa i soldati di Lucca si misono in rotta, e rimasonne morti X a cavallo. De la gente del conte trascorsono tra' nemici Porcelletto d'Arli e uno suo compagno, e tanto andarono innanzi, che furono presi da' nemici.



CCLIII - Come i Fiorentini mandarono aiuto a' Perugini sopra la Città di Castello

Nel detto anno, a dì XXVIII di maggio, i Fiorentini mandarono a Perugia per fare guerra a la Città di Castello la parte loro de la taglia, che furono CCCXL cavalieri soldati, onde fu capitano messer Amerigo de' Donati; e simigliante feciono i Sanesi, e' Bolognesi, e l'altre città che tennono a la taglia, che furono M cavalieri.



CCLIV - Come il conte Novello si tornò a Napoli

Nel detto anno, in calen di giugno, il conte Novello, ch'era al soldo de' Fiorentini con CC cavalieri, si tornò con sua gente a Napoli, e poco onore e meno ventura di guerra ebbe in uno anno che dimorò al servigio de' Fiorentini e capitano di guerra.



CCLV - Come il duca d'Ostericchi e quello di Chiarentana passarono in Lombardia contra messere Cane

Nel detto anno, a l'entrante di giugno, il duca di Chiarentana e il duca Otto d'Ostericchi con molti altri baroni, e con più di VIm cavalieri con più di XIIm cavalli e con arcieri ungari vennono ne la Marca di Trevigi e a Padova per fare guerra a messer Cane della Scala signore di Verona, per cagione che tenea Vincenza e molte castella de' Padovani; e' Padovani s'erano dati al dogio di Chiarentana. Ed erano tanta gente e sì disordinata, che distruggeano amici e nimici, e per gl'Italiani erano chiamati barbanicchi. Messer Cane prima con grande paura del detto esercito e poi con gran senno si ritenne a le fortezze, e tenne trattati co' detti Tedeschi menandoli più tempo in isperanza di fare i loro comandamenti, per modo ch'a·lloro fallì vittuaglia, e cominciò mortalità in loro oste; per la qual cosa feciono triegua con messer Cane, e per moneta che diede a' consiglieri de' detti signori, infino a la seguente Pasqua di Risoresso, e tornarsi in loro paese con peggioramento dello stato de' Padovani e' Trevigiani, e assaltamento del detto messer Cane.



CCLVI - De la grandezza e edificazione de la città di Firenze a le nuove cerchia e mura

Nel detto anno MCCCXXIIII si stanziarono per lo Comune di Firenze e si cominciarono i barbacani a le mura nuove de la città di Firenze, a fargli a costa a le dette mura e al di fuori de' fossi; e simigliante s'ordinò che in ogni CC braccia di muro avesse e si facesse una torre alta XL braccia e larga braccia XIIII per fortezza e bellezza della detta città. E acciò che sempre sia memoria de la grandezza de la detta città, e ad altre genti che non fossono stati di Firenze che vedessono questa cronica, sì faremo menzione ordinatamente dell'edificazione de le dette mura, e la misura come furono diligentemente misurate ad istanzia di noi autore, essendo per lo Comune uficiale sopra le mura. Prima in su la fronte di levante di costa al fiume d'Arno da la parte di settantrione, ove sono le V sestora de la città, si ha una torre alta LX braccia fondata sopra una pila di ponte ordinato a ivi edificare, il quale si dee chiamare il ponte Reale. Di presso a quella torre a LXXXX braccia si ha una porta con una torre alta LX braccia, che si chiama porta Reale, e chi la chiama porta di Santo Francesco, perch'è dietro a la chiesa de' frati minori. Da la detta porta Reale a CCCCXLII braccia, una torre in mezzo, si ha poi un'altra grossa torre alta simigliantemente LX braccia e larga braccia XXII con una porta che si chiama porta Guelfa. Da la detta porta conseguendo la detta frontiera e linea di muro a CCCLXXXIIII braccia, un'altra torre in mezzo, e poi si ha una torre di simile altezza con una porta chiamata de la Croce overo di Santo Ambruogio, porta mastra, onde si vae in Casentino. Da la detta porta conseguendo la detta frontiera di levante, si hae VIcXXX braccia, infra le quali hae tre torri infino a una grossa torre con cinque faccie alta LX braccia, sanza porta; ivi fa il muro gombito, overo angolo, e si mostra verso tramontana, e da quella torre chiamata la Guardia del Massaio a la porta detta Fiesolana, e chi la chiama da Pinti, che si guarda in verso Fiesole, con una simigliante torre alta LX braccia, si ha di misura braccia VIIIIcXXV, e cinque torri. E da la detta porta e torre Fiesolana a un'altra torre e porta detta per nome di Servi Sante Marie, per uno munistero de' frati così chiamati, si ha braccia VIc, con una torre in mezzo. Da la detta porta e torre de' Servi conseguendo la linea del muro infino a la mastra porta e torre dal ponte a San Gallo, da la quale esce la strada da Bologna, e di Lombardia, e quella di Romagna, si ha braccia VIIIcXLII e IIII torri in mezzo. E da la detta porta fa gombito, overo angolo, a le dette mura, mostrandosi al segno di maestro; e da la detta porta di San Gallo a quella si dice di Faenza, per uno munistero di donne ch'è di fuori che si chiamano di Faenza, si ha braccia MVIIIcXLVIII, e nove torri; e ivi fa gombito il muro e discende al ponente. E da la detta porta e torre di Faenza infino a quella che vae in Polverosa si ha braccia CCCXX, e una torre in mezzo. E da la detta porta di Polverosa infino a la porta mastra del Prato d'Ognesanti, ond'esce la strada che vae a Prato e a Pistoia e a Lucca, si ha braccia MLXX, e V torri in mezzo. E da la detta porta e torre del Prato infino a una torre ch'è in su la gora d'Arno ha braccia CCLXXV, e una torre in mezzo. E de la detta torre infino a la riva d'Arno, la quale gira l'isola de la gora al fiume, che si chiama la Sardigna, ordinata di chiudere di mura, ha braccia da CCCLXX. E così troviamo che 'l detto spazio de le cinque sestora de la città di Firenze, a le nuove cerchia di mura, sono co la testa di Sardigna VIImVIIc braccia, sanza la larghezza dell'Arno ch'è da braccia Vc da la Sardigna a Verzaia: e havi VIIII porte con torri di LX braccia alte, molto magne, e ciascuna con antiporto, che le IIII sono mastre e le V postierle; e havi in tutto torri XLV con quelle de le porte, murata la frontiera di Sardigna. E da la torre de la Sardigna su per la riva d'Arno infino a la torre Reale, dove cominciammo di verso levante, si ha braccia IIIImVc, ch'è miglio uno e mezzo. Avemo diterminata la città di qua dal fiume d'Arno; diremo apresso del sesto d'Oltrarno, che per sé è di grandezza e potenza come un'altra buona cittade, e seguiremo il primo trattato. E trovammo che da la torre de la Sardigna, ch'è in su la riva d'Arno da la parte di ponente, infino da l'altra riva d'Arno da la contrada detta Verzaia, l'ampiezza del fiume d'Arno si è braccia CCCL. Bene nonn-è la detta torre de la Sardigna apunto a lo 'ncontro a la torre de le mura d'Oltrarno, ch'è fondata in sul fiume d'Arno, però che la lunghezza del sesto d'Oltrarno, il qual è murato, nonn-è tanto quanto quello de le cinque sestora, anzi è più adietro da... braccia; ma la ritondità de la città e circuito pigliamo solamente a la latitudine del fiume d'Arno, come avemo detto di sopra, braccia CCCL.



CCLVII - Ancora de l'edificazione delle mura d'Oltrarno

Nel detto anno si cominciò il muro in su la riva d'Arno da la coscia del ponte a la Carraia Oltrarno andando insino a Verzaia, ove si fece una torre fondata in sul fiume (la detta torre fece rovinare poi il fiume d'Arno per uno diluvio) ove fa capo il muro che chiude il sesto d'Oltrarno; e da quella torre a la porta da Verzaia, overo detta di San Friano, la quale strada vae a Pisa, si ha braccia di muro CCL, e una torre in mezzo. E da la detta porta andando al diritto verso mezzogiorno infino a una torre a V facce, ove fa canto, overo angulo, il detto muro, si ha braccia VIc, torri V, compitando la detta porta e la detta torre coll'altre. E da la detta torre si volge il muro verso il segno di scilocco assai bistorto e male ordinato, e con più gomiti; e ciò si prese per fretta, e fondossi in su' fossi sanza adirizzarsi, e havi di misura infino a la porta Romana, overo detta di San Piero Gattolino, braccia MCCL, e torri VIIII. E per me' la via dinanzi a la chiesa di Camaldoli si ha una postierla con torre; e quella porta Romana è molto magna, e alta braccia..., ed è in su la strada che vae a Siena e a Roma. E da la detta porta andando al diritto, quasi verso levante verso la villa di Bogole, salendo al poggio infino a una torre a cinque facce, che fa canto a le mura, hae braccia MVc, e torri X. E da la detta torre andando le mura su per Bogole infino a la vecchia torre e porta di San Giorgio al poggio che vae in Arcetri si ha braccia CCCC, e torri... Poi da la detta porta di San Giorgio seguono le mura vecchie fatte al tempo de' Ghibellini, scendendo verso levante a la postierla che vae a Samminiato, si ha braccia M, e torri... E poi seguono le mura di sopra del borgo di San Niccolò infino a lo 'ncontro de la torre Reale di qua da l'Arno, ove dee essere una ricca porta, le quali mura sono di spazio di braccia da VIIcL, con... torri, quando fieno compiute, da la porta di Samminiato a quella di fuori dal borgo di Sa·Niccolò; sì che la parte d'Oltrarno si ha tre porte mastre e tre postierle e... torri; e poi la larghezza del fiume d'Arno dal detto luogo a lo 'ncontro de la torre fondata sopra la pila del ponte Reale di qua da l'Arno si ha braccia CCCXL: e in questo spazio è stanziato uno ponte. Sicché raccogliendo le dette misure, sono in somma braccia... che sono da V miglia. E tanto gira la cittade dentro, cioè le mura sanza i fossi e le vie di fuori; che braccia XXXV sono larghi i fossi di qua da Arno, e XXX que' di là da Arno, e la via di fuori braccia XVI, e altrettanto quella dentro, e le mura di qua da l'Arno grosse braccia III e mezzo, sanza i barbacani, e alte braccia XX co' merli, e quelle d'Oltrarno furono grosse pur braccia III, sanza i barbacani; ma agiunsevi per amenda gli arconcelli al corridoio di sopra. E così gira la nostra città di Firenze migliaia XIIII, e CCL braccia; che le IIIm braccia a la nostra misura fanno uno miglio. Puossi ragionare giri cinque miglia al di fuori; ma rimase dentro assai del voto di casamenti con più orti e giardini. La larghezza e croce de la detta città facemmo misurare, e trovammo che da la porta a la Croce, overo di Santo Ambruogio, ch'è da levante, infino a la porta del Prato d'Ognesanti in sul Mugnone, ch'è dal ponente, andando per la via diritta onde si corre il palio, hae braccia IIIImCCCL; e da la porta di San Gallo in sul Mugnone, ch'è di verso tramontana, infino a la porta Romana di San Piero Gattolino Oltrarno, ch'è dal mezzogiorno, si ha braccia Vm; e da la sopradetta porta a la Croce a Gorgo infino a mezzo Mercato Vecchio, si ha da braccia MMCC; e dal detto mercato infino a la porta del Prato d'Ognesanti si ha quasi altrettanto; e da la porta di San Gallo infino in Mercato Vecchio hae braccia MMCC, e da la porta Romana di San Piero Gattolino in Mercato Vecchio si ha da braccia MMVIIIc; sicché mostra che 'l punto della croce e del centro del giro della cittade si ha in su la Calimala, quasi ov'è oggi la casa de' consoli dell'arte de la lana, ch'è tra Calimala e la piazza e loggia d'Orto Sammichele. La detta città di Firenze hae sopra il fiume d'Arno IIIl ponti di pietra: quello si chiama Rubaconte, e il ponte Vecchio, e quello di Santa Trinita, e quello da la Carraia, sanza quello ordinato di fare a la fronte di levante detto Reale. E nella detta città si hae da C chiese, tra cattedrali, e badie, e monisteri, e altre cappelle, dentro a le dette mura; e a l'uscita quasi d'ogni porta n'hae una chiesa, o monistero, o spedale. Lasceremo omai del sito de la cittade di Firenze, ch'assai n'avemo detto, e torneremo a nostra materia.



CCLVIII - Come gente de la Chiesa furono sconfitti da quegli di Milano

Nel detto anno MCCCXXIIII, a dì VIII di giugno, partendosi de la terra di Moncia in Lombardia messer Passerino de la Torre uscito di Milano, con VIc cavalieri di quegli della Chiesa, per andare a..., da messer Marco Visconti colla gente di Milano fue assalito e sconfitto, e rimasonne ben CC a cavallo, tra morti e presi, di quegli de la Chiesa.



CCLIX - Come i Pisani feciono pace co lo 'nfante d'Araona in Sardigna

Nel detto anno, a dì XVIII di giugno, essendo la gente de' Pisani strettamente assediati in Castello di Castro in Sardigna da don Anfus figliuolo del re d'Araona, come adietro fa menzione, non possendo più durare, avute due sconfitte, e per difetto di vittuaglia, s'arrenderono, e pace feciono per lo Comune di Pisa col detto don Anfus in questo modo: che riconoscieno il detto re d'Araona per signore e re dell'isola di Sardigna, e promisogli che ciò che' Pisani singulari e il Comune avessono posessione in Sardigna, di tenerle da·llui e fargline omaggio, e Castello di Castro riconoscere da·llui, dandogline l'anno libbre MM di genovini d'omaggio, rimanendo la terra a' Pisani; ma ciò attenne loro poco apresso, ch'al tutto volle la signoria di Castello. E essendo a l'assedio il detto don Anfus di Castello di Castro, avea fatta una terra murata e acasata in su la riva del porto di Calleri a piè di Castello di Castro, e popolata di Raonesi e Catalani, a la quale puose nome Aragonetta, e chi Bonaria. E per tanto lasciò loro la terra di Castello però che nulla persona vi poteva entrare sanza la volontà di quegli de la terra di Raonetta di sul porto. E altri dissoro che come i Pisani erano a misagio dentro a castello, così e più erano di fuori i Catalani per pestilenzia d'infermità e di mortalità, e però ne prese ogni patto che ne poté avere. Ma con tutto il danno che 'l detto don Anfus vi sostenesse di perdita di sua gente, che per corruzzione d'aria vi morirono XVm e più Catalani, egli per forza d'arme e con grande senno e provedenza vinse e conquise la detta isola di Sardigna sopra i Pisani in uno anno; onde tutti gl'Italiani si maravigliarono come ciò potea essere. Partissi di Sardigna il detto don Anfus a dì XVI di luglio con LVI tra galee e uscieri, e tornossi in Catalogna, lasciando fornite le fortezze dell'isola, per cagione che...



CCLX - Come il legato ebbe Castello Aquaro

Nel detto anno, a dì VIII di luglio, Castello Aquaro del contado di Piagenza, forte e nobile castello, s'arrendé al legato cardinale e al Comune di Piagenza per difetto di vittuaglia, e non avea soccorso. Ebbene messer Manfredi di Landa, il quale il tenea, Vm fiorini d'oro dal legato; eravi stata l'oste de la Chiesa e del Comune di Piagenza più tempo all'assedio.



CCLXI - Come messer Filippo Tedici di Pistoia tolse la terra a l'abate da Pacciano suo zio

Nel detto anno, a dì XXIII di luglio, messer Filippo de' Tedici di Pistoia levò a romore la città di Pistoia, e tolse la signoria a l'abate da Pacciano suo zio, e fecesi chiamare signore per uno anno. I Fiorentini mandandovi i loro cavalieri, non gli lasciò entrare dentro a la terra, ma incontanente riformata la terra a sua guisa, sì rifermò triegua con Castruccio signore di Lucca, dandogli l'anno IIIm fiorini d'oro di trebuto; e questa mutazione della signoria di Pistoia per molti si disse che fu di tacito consenso dell'abate da Pacciano, perché messer Filippo potesse meglio fornire i suoi conceputi tradimenti, come innanzi si farà menzione.



CCLXII - Come il re di Francia tolse per moglie la cugina

Nel detto anno MCCCXXIIII, a dì V di luglio, Carlo il giovane re di Francia sposò e tolse per moglie la figliuola che fu di messer Luis di Francia, fratello di padre, ma non di madre, che fu del re Filippo suo padre, e sua cugina carnale, per dispensazione di papa Giovanni; la qual cosa per tutti i Cristiani fu tenuta sconcia e laida cosa, e ancora vivendo la sua prima moglie.



CCLXIII - Come si cominciò guerra in Guascogna tra 'l re di Francia e quello d'Inghilterra

Nel detto tempo il detto Carlo re di Francia cominciò guerra in Guascogna contra il re d'Inghilterra, per cagione che la gente del re di Francia avendo cominciata una bastita, overo una nuova terra, in su i confini de la Guascogna infra le terre de la giuridizione del re d'Inghilterra, quegli del paese col balio del re d'Inghilterra presono la detta bastita, e disfeciono e guastarono, e 'l balio e gli sergenti che v'erano per lo re di Francia impiccarono in sul detto luogo; per la quale cosa il re di Francia isdegnato vi mandò messer Carlo di Valos suo zio con più di IIIm cavalieri franceschi a fare guerra, e per bisogno di danari peggiorò la sua buona moneta d'argento XIIII e più per C, e fece medaglie e bianche d'argento a guisa del re Filippo suo padre, e fece prendere e ricomperare tutti gl'Italiani che prestavano in suo reame, e fargli finare per moneta.



CCLXIV - Come papa Giovanni scomunicò Lodovico di Baviera eletto re de' Romani

Nel detto anno, a dì XIII di luglio, papa Giovanni apo Vignone in Proenza diede ultima sentenzia contra Lodovico dogio di Baviera eletto re de' Romani, dispognendolo d'ogni benificio di lezione d'imperio, sì come ribello di santa Chiesa, e fautore e sostenitore degli eretici di Milano in Lombardia, e di mastro Gian di Gandone, e di mastro Marsilio di Padova, grandi maestri in natura e astrolagi, ma di certo eretici in più casi; e comandò che innanzi calen di ottobre prossimo fosse venuto il detto Lodovico personalmente dinanzi da·llui a misericordia, e a·ffare penitenzia del misfatto, o dal termine innanzi procederà contra lui e' suoi beni, sì come scismatico e eretico.



CCLXV - Come i Malatesti da Rimine furono sconfitti a Orbino

Nel detto anno, a dì XI d'agosto, essendo i signori Malatesti da Rimine posti ad oste ad Orbino, e fatti loro VI cavalieri a grande onore, e con loro isforzo e del Comune da Rimine posti ad oste ad Orbino, e pognendo una fortezza e battifolle in su uno poggetto chiamato Cavallino presso a Orbino, i Ghibellini de la Marca co lo sforzo del vescovo d'Arezzo e di que' de la Città di Castello subitamente vi cavalcarono con più di VIIIc cavalieri e popolo assai, e per forza presono la detta fortezza ancora non compiuta, e non si prendeano guardia, e sconfissongli e misono in rotta; e rimasonne di quegli da Rimine tra morti e presi più di VIIc, i più pedoni.



CCLXVI - Come i Ghibellini di Romagna vollono pigliare Cesena

Nel detto anno, a dì XVI d'agosto, i Ghibellini di Romagna, coll'aiuto di parte de la detta gente che levarono il battifolle ad Orbino, per tradimento entrarono in Cesena. A la fine, combattendo, da quegli de la terra ne furono per forza cacciati con grande danno di quegli che v'erano entrati.



CCLXVII - Come il re di Francia si credette essere eletto imperadore

Nel detto anno MCCCXXIIII, essendo il re Carlo re di Francia stato in grande speranza e trattato col papa e con più baroni de la Magna d'essere eletto re de' Romani per le dissensioni de' due eletti re d'Alamagna, e co la detta speranza parlamento avea ordinato a Bari sovr'Alba in Borgogna a le confini de lo 'mperio, ove dovea essere il re di Buemme suo cognato, e gran parte de' elettori dello 'mperio, e più altri signori e prelati d'Alamagna, al detto Bari andò con molta di sua baronia, e al giorno nomato del detto parlamento del mese di luglio, al quale parlamento nullo de' detti baroni né prelati vi venne, se non il dogio Lupoldro d'Osteric. Per la qual cosa il re si tornò in Francia molto aontato, e con poco onore de la detta impresa, veggendo la difalta che gli aveano fatta i baroni de la Magna.



CCLXVIII - Come messer Carlo di Valos acquistò parte di Guascogna

Nel detto anno, del mese d'agosto e di settembre, messer Carlo di Valos, ch'era ito coll'oste del re di Francia in Guascogna, più terre de la Guascogna di sotto ebbe a' suoi comandamenti, e la città di Regola ebbe a patti, e fece triegua co la gente del re d'Inghilterra sotto trattato d'accordo, e tornossi in Francia del mese d'ottobre.



CCLXIX - Come i Pistolesi feciono triegua con Castruccio contra volere de' Fiorentini

Nel detto anno, a dì XXXI d'agosto, Castruccio signore di Lucca venne con suo isforzo di cavalieri e pedoni nel piano di Pistoia presso a la città, e poi si puose a campo a piè de le montagne, e cominciò a fare riporre il castello di Brandelli, e puosegli nome Bello Isguardo, perché del luogo si vede non solamente Pistoia, ma Firenze e tutto il piano di Firenze. I Pistolesi mandarono per soccorso a' Fiorentini, i quali vi cavalcarono, popolo e cavalieri; e essendo a Prato, mandando innanzi di loro gente per entrare in Pistoia. Messer Filippo, che n'era signore, non si fidò che nullo Fiorentino entrasse nella terra, ma voleva che andassono di fuori contro a Castruccio. Per la qual cosa i Fiorentini isdegnati si tornarono in Firenze sanza andare più innanzi; e' Pistolesi rifermarono la triegua con Castruccio a la sua volontà, e con loro vergogna e crescimento di tributo. Per lo detto isdegno i Fiorentini cercarono uno trattato co l'abate da Pacciano e con uno loro conastabole guascone ch'era in Pistoia a la guardia della terra, e dovea dare a' Fiorentini una delle porte; ma tutto ciò era inganno e tradimento. I Fiorentini, a dì XXII di settembre, di notte vi feciono cavalcare di loro soldati, e come furono a le porte di Pistoia, il detto conastabole avendo rivelato il trattato al signore di Pistoia, la terra fue in arme, e fu preso il detto abate dal nipote; e ambasciadori che v'avea del Comune di Firenze, e tutti i Fiorentini che dentro v'erano, furono a gran periglio. Riposossi il romore, e que' ch'aveano cavalcato si tornarono a Firenze molto scornati.



CCLXX - Come il signore di Milano riprese Moncia

Nel detto anno e mese di settembre Galeasso Visconti signore di Milano con sua gente andò ad oste sopra la terra di Moncia, la quale si tenea per la Chiesa, ed eravi dentro per capitano messer Vergiù di Landa con CCC cavalieri e M pedoni, strignendo la detta terra per modo che sanza grande scorta e periglio non si potea fornire. A la fine per difalta di vivanda s'arendéo a quegli di Milano a patti, se non avessono soccorso dal legato cardinale infra X dì. Il quale cardinale non avendo forza di fargli soccorrere, si renderono, salve le persone e l'avere: a dì X di dicembre nel detto anno, con gran vergogna della Chiesa e del detto legato, lasciarono Moncia a que' di Milano.



CCLXXI - Come si mutò stato di reggimento in Firenze

Nel detto anno MCCCXXIIII, del mese di settembre, certi caporali grandi e popolani che reggeano la città di Firenze (parea che tra·lloro medesimi avea certi di quegli che nel reggimento volessono più che parte, ciò erano detti Serraglini, ch'erano i Bordoni, e altri loro seguaci) vennono in divisione; e la maggiore parte di loro che si teneano migliori popolani, acostandosi con quegli che non aveano retto per adietro né essuti di loro setta, che n'avea alquanti tra priori; e i loro XII consiglieri, che allora erano a la signoria della città, copertamente e con ordine fatta feciono pendere balìa a' detti priori e' dodici consiglieri, a correggere e a riformare a·lloro volontà la lezione de' priorati fatti l'anno dinanzi, e quelle lezioni trovando assai bene fatte, no·lle mutarono, ma arrosono gente nuova per VI priorati, e mischiarsi insieme con gli altri, e mettendovi dell'altra setta che non avea retto, sotto colore di raccomunare la città, e dare parte a' buoni uomini. E conseguendo il detto processo, il seguente priorato, del mese di novembre seguente, feciono lezione per XLII mesi di tutti gli ufici che doveano venire, sì de' gonfalonieri de le compagnie, e simigliante de' dodici consiglieri segreti de' priori, e de' condottieri de le masnade di soldati, a trargli a le lezioni, come venieno, di sei in sei mesi, e mischiarono assai presso ch'ebbene di ciascuna setta, e misorgli in bossoli. E simigliante corressono le lezioni de le capitudini dell'arti, pognamo non facessono di loro più ch'una elezione. E così si rinovellò nuovo stato in Firenze, sanza niuna novità o pericolo di città, mischiatamente della setta ch'avea retta la città dal tempo del conte a Battifolle infino allora, e di quella gente che non avea retto, rimagnendo quegli ch'aveano retto in assai buona parte de la signoria. Avemo di questa mutazione fatta menzione per assempro a quegli che sono a venire, e perché nullo viva in isperanza che le cose comuni e signorie, spezialmente in Firenze, abbiano fermo stato, ma sempre siamo in mutazioni; ché faccendo ragione, la detta setta che si criò al tempo del detto conte a Battifolle, non compié di durare VIII anni interi, vincendo ancora de le loro opere assai il meglio.



CCLXXII - Come il Comune di Firenze acquistòe il castello di Lanciolina

Nel detto anno, in calen d'ottobre, s'arendé al Comune di Firenze il castello di Lanciolina in Valdarno per cagione che guerreggiando il contado di Valdarno Aghinolfo figliuolo di Bettino Grosso degli Ubertini, con sua masnada che dimorava in Lanciolina fue sconfitto e preso da quegli di Castello Franco e di loro; e per riavere il detto Aghinolfo renderono il detto castello, e donarne ogni ragione al Comune di Firenze, il quale avea avuto per retaggio de la madre dal conte Allessandro da Romena suo zio.



CCLXXIII - Come in Mugello si fece una terra

Nel detto anno e mese d'ottobre si cominciò per lo Comune di Firenze a fare una terra nuova in Mugello presso ove fu Ampinana e le terre che s'erano racquistate per lo detto Comune da' Conti, e puosesi nome Vico.



CCLXXIV - Dell'appello che l'eletto di Baviera fece contro al papa

Nel detto anno, del mese d'ottobre, Lodovico di Baviera eletto re de' Romani, per cagione del processo e scomunica e privazione che papa Giovanni avea fatta contro a·llui, sì fece in Alamagna uno grande parlamento, nel quale si discusò del processo che 'l papa avea fatto contra lui, come gli facea torto, e appellò a le dette sentenzie al concilio generale a Roma, opponendo contra il detto papa XXXVI capitoli, come non era degno papa; e 'l detto appello mandò del mese di novembre a la corte a Vignone; onde il detto papa e tutta la Chiesa ebbe grande turbazione.



CCLXXV - Come i marchesi da Esti tolsono Argenta a la Chiesa

Nel detto anno, a dì XXXI d'ottobre, i marchesi da Esti, che teneano Ferrara, tolsono per tradimento la terra d'Argenta in Romagna a la Chiesa di Roma, sanza fare danno o micidio niuno ne la terra.



CCLXXVI - De la venuta de' cavalieri franceschi in Firenze

Nel detto anno MCCCXXIIII, a dì XX di novembre, giunsono in Firenze Vc cavalieri franceschi, i quali il Comune di Firenze avea fatti soldare in Francia, e furono molto bella gente e nobili, tutti gentili uomini, intra' quali avea più di LX cavalieri di corredo. I capitani e conostaboli furono il siri di Basentino, il siri di Ciavigni, il siri d'Ipria, il siri di Giaconte, messer Miles d'Alzurro, messer Guiglielmo di Noren messer Gian di Curri, messer Uttaso d'Ombrieres, Raolino Lanieri, messer Prezzivalle di..., Rinaldo di fontana, Raolino di Rocciaforte, e vennono per Lombardia armati e con bandiere levate. E messer Passerino signore di Mantova, che tenea la città di Modona per parte d'imperio, a richesta de' Fiorentini e Bolognesi largì il passo per lo contado di Modona presso a la città, pagando certa gabella per cavallo; con tutto che per forza d'arme fossono passati, sì erano ridottati.



CCLXXVII - Come il legato cardinale credette avere la città di Lodi, e furono sconfitti

Nel detto anno, a dì VIII di dicembre, sentendo il legato cardinale che la terra di Moncia non si potea tenere, cercò trattato con certi de la città di Lodi che gli dovessono tradire la terra, e doveanne avere VIIIm fiorini d'oro: fece cavalcare da Piagenza cavalieri e gente a piè assai, e fu per gli traditori rotto del muro de la terra, e entrarono dentro parte de la gente della Chiesa. Sentiti da quegli de la città, per forza gli ruppono e sconfissono con grande danno di quegli che v'erano entrati, e vergogna de la Chiesa.



CCLXXVIII - Come il papa scomunicò chi facesse contrafare i fiorini d'oro

Nel detto anno e mese di dicembre papa Giovanni fece grandi processi e scomunica contra chiunque facesse battere o battesse fiorini d'oro contrafatti e falsi a la forma di que' di Firenze, però che per molti signori erano fatti falsificare, com'era il marchese di Monferrato e Spinoli di Genova. Ma il papa per sue scomuniche corresse altrui, ma in questa parte non corresse sé medesimo, ché fece fare i fiorini a la lega e conio di quegli di Firenze, e non v'avea altra differenza, se non che dal lato de la 'mpronta di santo Giovanni diceano le lettere: "papa Giovanni", e per intrasegna, di costa al santo Giovanni una mitra papale, e dal lato del giglio diceano le lettere: "sancto Petro et Pauli".



CCLXXIX - Come Carmignano si rendé al Comune di Firenze

Nel detto anno, a dì XIII di gennaio, i terrazzani del castello di Carmignano, conoscendo che messer Filippo Tedici che tenea Pistoia tirannescamente e a progiudicio di parte guelfa, si renderono di loro buona volontade a perpetuo al Comune di Firenze il castello e la rocca e la corte, sì come distrettuali e contadini di Firenze: e furono fatti franchi VII anni, e che a·lloro guisa chiamassono loro podestà di Firenze che fosse popolano ne' detti VII anni.



CCLXXX - Come il re Ruberto volle essere morto i·Napoli

Nel detto anno, del mese di gennaio, sentendo il re Federigo che tenea Cicilia che 'l re Ruberto e 'l duca suo figliuolo faceano a Napoli grande apparecchiamento per fare armata per andare in Cicilia, ordinò con assessini catalani e toscani che in Napoli dovessono uccidere il re Ruberto e 'l duca, e mettere fuoco a la Terzana ov'era il navilio; il quale tradimento scoperto, gli assessini presi e giudicati ad aspra morte.



CCLXXXI - Come il prenze de la Morea passò in Romania

Nel detto anno MCCCXXIIII, del mese di gennaio, messer Gianni fratello del re Ruberto, prenze de la Morea, si partì da Brandizio, con XXV galee armate e altri legni per andare in Romania a racquistare il principato de la Morea; e arrivando a l'isola di Cefalonia e del Giacinto, trovò che 'l conte di Cefalonia era stato morto per uno suo fratello, e avea rubellata l'isola. Il prenze per forza d'arme combatté co' ribelli, e sconfissegli e preseli, e le dette isole recò a sua signoria, disertando i detti ribelli; e poi passò a Chiarenza, e fuvi ricevuto come signore a grande onore.



CCLXXXII - Come quegli della terra di Bruggia si rubellarono al conte di Fiandra

Nel detto anno, del mese di gennaio, quegli de la terra di Bruggia in Fiandra con quegli del Franco d'intorno, per cagione de le sette ch'avea il popolo minuto co' grandi borgesi, si rubellarono al conte Luis di Fiandra; per la qual cosa tutti i mercatanti si partirono di Bruggia, e que' di Bruggia faccendo guerra assediarono ne la terra d'Andiborgo la gente del conte, e per buono tempo molestando il paese. A la fine quegli di Guanto e d'Ipro feciono accordo tra quegli di Bruggia e 'l conte per moneta, a grande vergogna del conte e de' nobili.



CCLXXXIII - Come in Firenze ebbe mutazione per cagione de le sette

Nel detto anno, del mese di gennaio, essendo per setta accusato Bernardo Bordoni e altri suoi compagni a l'esecutore della giustizia ch'avessono fatta baratteria a l'oficio della condotta di soldati, i suoi compagni comparirono e scusarsi; ma il detto Bernardo essendo a Carmignano per ambasciadore del Comune, il detto esecutore volendolo condannare, e parte dell'uficio de' priori il contastavano che l'aveano mandato in pruova a Carmignano, e Chele Bordoni suo fratello col favore e famiglia de' priori comparì a la condannagione, protestando a l'esecutore; zuffa e romore si cominciò tra la famiglia de' priori e quella de l'esecutore, onde tutta la città quasi romì. A la fine l'esecutore il condannò in libbre MM, e che non avesse mai uficio; e forse non sanza giusta cagione. E prese il detto Chele e più altri loro seguaci, e condannogli grossamente, e mandogli a' confini a torto, sanza altra ragione, con tutto ne fossono degni; non per questa cagione, ma per la loro soperchia arroganza, ch'erano i più prosuntuosi popolani di Firenze, e aveano guidata la terra assai tempo. Ma per abbattere loro e la loro setta, ch'erano chiamati Serraglini, fu loro fatto più che per giustizia. E per cagione di ciò uno che allora era de' priori loro amico e vicino, che gli aveva favorati, uscito del priorato, fu condannato da l'esecutore per contumacia sotto inquisizione di baratteria in libbre MVc a torto e sanza ragione, in abassamento e disinore dell'uficio del priorato. E tutto fu per cagione de le sette, però che 'l detto esecutore favoreggiava coloro ch'erano tornati in istato in Comune. Per la qual cosa l'uficio del detto esecutore, ch'avea nome Pietro Landolfo da Roma, montò in tanta audacia e tracotanza, che l'uficio de' priori avea per niente; e tanto crebbe, ch'avrebbe guasta la città a modo d'uno bargello; e già l'avea follemente cominciata, se non che poi raveduti i buoni popolani che guidavano la città che l'opera andava male, vi misono freno, e feciono dicreto che' priori potessono privare dell'uficio, podestà, e capitano, e esecutore, che non si portassono bene; per la qual cosa il detto esecutore si ritenne del suo folle intendimento. Di ciò avemo fatta menzione non tanto per lo piccolo fatto de' Bordoni, quanto per la mutazione che ne seguì, e per le sette di Firenze, e per assempro per l'avenire; però che per la cagione di questa novità al tutto fue atterrata quella setta de' Serraglini, e non fu piccola mutazione tra' popolani di Firenze.



CCLXXXIV - Di mutazione mossa nella città di Siena

Nel detto anno MCCCXXIIII, a dì XVIII di febbraio, in Siena risurse la congiura de' giudici e de' beccari e altri popolani contra l'uficio de' nove che governavano la città, per rivolgere lo stato de la terra; la quale giura scoperta, ne furono presi alquanti e dicapitati, e molti condannati e fatti ribelli.



CCLXXXV - Come Castruccio prese la Sambuca, e' Pistolesi s'accordarono co' Fiorentini

Nel detto anno, a dì XXV di febbraio, Castruccio signore di Lucca cavalcò la montagna di Pistoia, e più tenute prese; e poi andando al castello de la Sambuca, gli si rendéo, lo quale era fortissimo castello. Ma per gli più si disse che fu opera simulata per lo signore di Pistoia, per quello che ne seguì apresso. Rotta la detta triegua per Castruccio a' Pistolesi, mandarono a Firenze, e feciono accordo co' Fiorentini, e promisono d'essere a la guerra co' Fiorentini contra Castruccio, rimanendo messer Filippo Tedici signore in Pistoia con più altri patti, promettendo i Fiorentini di rendere loro Carmignano, e di fare che 'l papa promoverebbe il vescovo di Pistoia in altro benificio, ch'era contrario di messere Filippo; e vollono a la guardia di Pistoia C cavalieri soldati di quegli di Firenze con capitano, cui quegli di Pistoia seppono eleggere. E tutto ciò che seppono domandare a' Fiorentini ebbono, salvo che domandava moneta il detto messer Filippo, e era opera simulata; però che grossamente gli fu proferta per gli Fiorentini, lasciando la signoria, e no·lla vollono e' poi dare. I soldati de' Fiorentini entrarono in Pistoia il dì di Risoresso, a dì VII d'aprile, onde i Fiorentini tenendosi poi al sicuro di Pistoia, si trovarono ingannati, però che tutto fu opera di tradimento del detto messer Filippo Tedici, come innanzi farà menzione.



CCLXXXVI - Come la taglia de' cavalieri ch'erano a Castello cavalcarono sopra gli Aretini

Nel detto anno, a dì XXVIII di febbraio, il capitano de la taglia ch'era sopra la Città di Castello, il qual era messer Ferrante de' Malatesti d'Arimino, con tutta sua gente cavalcò sopra Castiglione Aretino, che per tradimento gli si dovea rendere; il quale tradimento scoperto, e perduta la speranza, levarono gran preda, e feciono gran danno e arsione intorno, e per lo contado di Cortona, perché i Cortonesi erano scesi contra loro.



CCLXXXVII - Come si trassono de' grandi certe schiatte di Firenze

Nel detto anno, a l'entrare di quaresima, si feciono in Firenze albitri sopra gli ordini, e statuti correggere e fare di nuovo. Intra l'altre cose che feciono si trassono del numero de' grandi e potenti X casati menimi e 'mpotenti di Firenze, e XXV schiatte de' nobili di contado, e recargli a popolo. Per certi fu lodato; ma per molti biasimato, però che delle schiatte di popolani possenti e oltraggiosi erano degni di mettere tra' grandi per bene di popolo.



CCLXXXVIII - Come Azzo Visconti di Milano prese il borgo San Donnino

Nel detto anno, a dì XV di marzo, essendo i Parmigiani e' Piagentini ad assedio ad uno castello che si chiamava Castiglione, s'arrendéo loro a patti. E in quello stante Azzo figliuolo di Galeasso signore di Milano passò il fiume di Po con MD cavalieri per soccorrere il detto castello, ma non venne a tempo; ma in quello trattò d'avere il borgo a San Donnino, quale a dì XVIII di marzo gli s'arendéo, e iv'entro si dimorò co la maggiore parte di sua gente, faccendo grande guerra a' Piagentini, e a la gente de la Chiesa, e a' Parmigiani.



CCLXXXIX - Come Castruccio volle fare uccidere il conte Nieri di Pisa

Nel detto anno MCCCXXIIII, dì XX di marzo, Castruccio signore di Lucca mandò suoi assessini in Pisa per fare uccidere il conte Nieri e più altri maggiorenti che reggeano la città, perché non si voleano tenere a sua lega; i quali presi, furono distrutti: onde crebbe maggiormente la mala volontà da·llui a quegli che reggeano Pisa.



CCXC - Come nuova moneta picciola si fece in Firenze

Nell'anno MCCCXXV, in calen di aprile, si fece in Firenze nuova moneta picciola de la lega e peso dell'altra, mutando il conio con san Giovanni più lungo, e 'l giglio mezzo a la francesca, sanza fioretti, però che l'altra era molto falsificata. Ma molti indovinarono che non dovea bene avenire a la città, avendo levati i fioretti dentro a' gigli, come sempre erano stati.



CCXCI - Di miracolosa neve che venne in Toscana

Nel detto anno, a dì XI d'aprile, in tutta Toscana cadde una grande neve molto piena, e durò per più di quattro ore; non si prese nella città, ma di fuori per tutto; e credettesi ch'avesse guaste tutte le frutta e tutte le vigne, e non fece quasi danno niuno.



CCXCII - Come Castruccio ordinò tradimento in Firenze

Nel detto anno MCCCXXV, del mese d'aprile, Castruccio signore di Lucca, sentendo che' Fiorentini s'apparecchiavano di fargli guerra, fece cercare tradimento in Firenze, e in Pistoia, e in Prato per rompere l'ordine de' Fiorentini. In Firenze per uno suo famigliare, ch'era congiunto di Tommaso di Lippaccio di messer Lambertuccio Frescobaldi, il quale Tommaso cercò di corrompere le masnade francesche con uno messer Cristiano monaco, il quale il papa avea dato a' Franceschi per loro penitenziere, e ch'egli assolvesse colpa e pena. Questi con uno cavaliere de la bandiera di messer Guiglielmo di Nore seguirono il trattato; e prometteano il detto messer Guiglielmo e messer Miles d'Alzurro conastaboli, e degli altri, tornare da Castruccio. Il quale trattato si scoperse: e ancora che 'l detto Tommaso dovea rubellare al Comune di Firenze Capraia e Montelupo. Furono presi il detto monaco e 'l detto cavaliere: Tommaso si fuggì. E ritrovato il tradimento, al detto cavaliere fu tagliato il capo, e 'l detto monaco in perpetuale carcere, e Tommaso condannato come traditore, e disfatti i ben' suoi; e messer Guiglielmo di Nore si scusò ch'era malato, e disse che non sentì il trattato, ma veramente ne fue colpevole, come innanzi si scoprì. Il trattato di Prato era per messer Vita Pugliesi cavaliere della terra. Scopersesi, e furonne dicapitati, ed elli e' suoi cacciarono di Prato. A quello di Pistoia diede compimento, come innanzi farà menzione.



CCXCIII - Come alcuno accordo fu tra gli eletti de la Magna

Nel detto anno e mese d'aprile il dogio di Baviera eletto re de' Romani trattato fece di pace con Federigo dogio d'Osterlicche simigliante eletto, il quale avea in sua pregione, e co' suoi fratelli sotto certi patti, faccendogli rinunziare a la sua lezione dello 'mperio, salvo che 'l duca Lupoldro suo fratello non volle aconsentire al detto accordo, ma s'alegò colla Chiesa e col re di Francia, e facea gran guerra al detto eletto di Baviera; e però non si compié allora il detto trattato, ma poi per certo modo, come diremo innanzi nel... capitolo.



CCXCIV - Come Castruccio signore di Lucca ebbe la città di Pistoia

Nel detto anno, domenica mattina anzi il giorno, dì V di maggio MCCCXXV, messer Filippo de' Tedici che tenea Pistoia diede compimento al suo tradimento, che mise in Pistoia Castruccio signore di Lucca con tutta sua gente, e corse la terra; e' soldati che v'erano a la guardia per gli Fiorentini, e altri Guelfi della terra che si levarono a la difensione de la terra, furono presi e morti, e tolto loro l'arme e' cavalli. Sentendosi la novella in Firenze, non però al certo, ch'al tutto fosse perduta la terra, faccendosi per lo Comune e popolo una grande festa, che la mattina aveano fatto cavaliere uno Pietro Landolfi da Roma esecutore degli ordini della giustizia del popolo, e Urlimbacca conastabole tedesco, per loro meriti, e essendo i priori co' detti cavalieri novelli e tutte signorie, e buona parte de la migliore gente di Firenze, a tavola a mangiare nella chiesa di San Piero Scheraggio, ove si faceva la corte, s'abbatterono le tavole, e ogni gente fu a l'arme, e cavalcossi infino a Prato, credendo che parte de la terra si tenesse, per aiutarla ricoverare. Sentendo il vero, come al tutto per lo detto tradimento era perduta, si tornarono in Firenze con gran dolore e tema. Di questo tradimento ebbe il detto messer Filippo da Castruccio Xm fiorini d'oro, e la figliuola del detto Castruccio per moglie; e incontanente Castruccio vi fece cominciare a murare uno grande castello dentro a la città da la porta Lucchese in sul prato di Pistoia. E intanto di questa perdita di Pistoia s'ebbono a riprendere i Fiorentini, che più volte avrebbono avuta la signoria de la terra dal detto messer Filippo, dandogli la detta somma di moneta, o meno; ma per certi trattatori fiorentini, o volendolo ingannare, o della detta moneta per loro propietà guadagnare, non si compié il trattato; ma trattando più volte cercarono via, e feciono fare cavalcate infino a Pistoia per torre la terra, onde il detto messer Filippo con disperato tradimento si condusse a darla a Castruccio; la qual cosa fu cominciamento di molti mali e pericoli che ne seguirono a' Fiorentini e a parte guelfa in Toscana. E il dì medesimo apparve in aria due cerchietti congiunti così: ¥ , di due colori, quasi a modo d'arco, apparenti molto, e duraro assai; onde si disse per molti che non era sanza grande significazione di future novitadi.



CCXCV - Come messer Ramondo di Cardona venne in Firenze per capitano di guerra

Nel detto anno, il seguente dì che si perdé Pistoia, dì VI di maggio, in su la terza giunse in Firenze subitamente messer Ramondo di Cardona eletto capitano di guerra per gli Fiorentini, che venia da corte per mare per la via da Talamone, onde i Fiorentini si riconfortarono molto; e il dì medesimo in sul vespro giurò l'uficio in su la piazza di San Giovanni, con grande trionfo e parlamento. E incontanente i Fiorentini cavalcarono e puosono assedio al castello d'Artimino, ch'era de' Pistolesi, e di poco tempo rimurato e afforzato per gli Pistolesi.



CCXCVI - Come il duca di Calavra con grande armata andò sopra la Cicilia

Nel detto anno, a dì VIII di maggio MCCCXXV, Carlo duca di Calavra e figliuolo primogenito del re Ruberto, apparecchiata una grande armata di CXX galee e uscieri, e legni di carico in grande quantità, con MMD cavalieri e popolo grandissimo, si partì di Napoli per andare in Cicilia; ma per contrario tempo dimorò a l'isola d'Ischia infino a XXII dì di maggio; poi fatta vela arrivò a Palermo il dì de la Pentecosta, dì XXVI di maggio, e puose assedio a la detta città di Palermo, e dièvi più battaglie di dì e di notte, e faccendo minare de le mura, ma niente v'aquistò altro che di guastarla intorno, e dimoròvi a l'assedio infino a dì XVIII di giugno. Poi partita l'oste, al terzo dì rovinarono delle mura di Palermo più di CCC braccia da la parte ov'era stata l'oste. Nota a che pericolosa fortuna furono i Palermitani, e come fu corta la felicità del duca. E partito il duca, fece la via per terra da Coriglione con sua oste, e 'l navilio per mare, guastando Trapali e tutto il paese d'intorno, e tutta Valle di Mazzara, e poi Seragosa e Cattania, e poi a dì VII d'agosto si puose a Messina da la contrada detta Taurnabianca, infino presso a la città a II miglia, guastando tutto sanza riparo o contasto nullo. E a dì XX d'agosto si partì dell'isola sano e salvo con tutta sua oste e navilio, e arrivò in Calavra; e a dì... di... tornò in Napoli.



CCXCVII - Di segno ch'apparve in aria

Nel detto anno, dì XXI di maggio, dopo il suono de le tre venne uno grandissimo tremuoto in Firenze, ma durò poco, e la sera vegnente, XXII di maggio, uno grandissimo raggio di vapore di fuoco si vide volare sopra la città, e chi sentì e vide i detti segni dubitò di futuro pericolo e novità.



CCXCVIII - Come i Fiorentini ebbono il castello d'Artimino

Nel detto anno, dì XXII di maggio, s'arrendé il castello d'Artimino a l'oste de' Fiorentini, salve le persone, vegnendo quegli che v'erano dentro presi a Firenze, che furono CCVII tra terrazzani e Pistolesi: ma poi furono lasciati, e fecionsi abattere le mura e le fortezze, e recossene la campana del Comune d'Artimino.



CCXCIX - Come la gente del marchese de la Marca fu sconfitta a Osimo

Nel detto anno MCCCXXV, a dì XXX maggio, essendo l'oste del marchese de la Marca intorno di Vc cavalieri e popolo grande d'intorno e guastando la città d'Osimo, quegli di Fermo e di Fabbriano venuti chiusamente la notte dinanzi in Osimo, e l'oste de la Chiesa essendo sparti al guasto, assaliti da quegli d'Osimo, furono sconfitti; onde vi rimasono di quegli della Chiesa più di CC a cavallo, e più di M a piè tra morti e presi.



CCC - L'apparecchiamento dell'oste de' Fiorentini

Nel detto anno, a dì VIII di giugno, i Fiorentini ordinaro di fare oste sopra Pistoia e contra Castruccio signore di Lucca: diedono loro insegne d'oste, e puosolle a San Piero a Monticelli. Castruccio sentendo ciò, non istando ozioso, a dì XI di giugno uscì di Pistoia, e venne in sul castellare del Montale, e quello con istudio fece riporre e afforzare. I Fiorentini sentendo ciò, mercolidì mattina, a dì XII di giugno, feciono cavalcare messer Ramondo di Cardona capitano di guerra con tutti i soldati a Prato, e il giuovidì vegnente cavalcarono tutte le cavallate di Firenze, e ogni gente, popolo e cavalieri, e sonando le campane del Comune: intra l'altre sonava una campana che fu già del castello del Montale recata per gli Fiorentini quando l'aquistarono; cominciando a sonare si ruppe, onde per molti si dubitò di segno di mala fortuna. Ma perché cresce materia di grandi cose da' Fiorentini a Castruccio, lasceremo ogn'altra ricordanza d'altre novità di diversi paesi infino che sia tempo e luogo, per seguire ordinatamente quelle de' Fiorentini. E prima faremo menzione dell'ordine dell'oste, che mai per lo Comune di Firenze per sé propio no·lla fece maggiore, sanza aiuto d'amistà; che della città v'andarono IIIIc cavalieri di cavallate de' migliori della città, grandi e popolani, che co·lloro compagni furono più di Vc uomini a cavallo d'arme ben montati, che più di C erano a grandissimi destrieri. Soldati avea, e vi furono XVc che bene VIc erano Franceschi, con più grandi signori e gentili uomini, e CC Tedeschi molto buona gente e isprovata, e CCXXX n'avea messer Ramondo di Cardona capitano dell'oste tra·llui e 'l suo maliscalco, ch'avea nome messer Bornio di Borgogna, che i cento erano Borgognoni e gli altri Catalani. E oltre a' detti soldati n'avea da CCCCL tra Franceschi, e Guasconi, e Fiamminghi, e Provenzali, e Italiani, iscelti di tutte le masnade vecchie, pochi per bandiera. Gente a piè furono tra contadini e cittadini più di XVm bene armati; ed ebbono i Fiorentini in loro oste VIIIc e più trabacche e padiglioni e tende di panno lino; e andavano con una campana in sul carro, al suono de la quale si mutava l'oste e s'armava; e non era nullo dì, che non costasse a' Fiorentini IIIm fiorini d'oro e più. E aveva nella detta oste, tra cittadini e signori forestieri, più di CCC grandissimi destrieri di valuta da CL fiorini d'oro in su, tutti a briglie, e tra ogni cavallo, ronzino e somieri, più di VIm, sanza quegli dell'amistadi che vennono poi.



CCCI - Come l'oste de' Fiorentini andò a Pistoia, e come presono il passo della Guisciana

Nel detto anno MCCCXXV, lunidì, dì XVII di giugno, così nobile oste e così fornita, agiuntivi CC cavalieri di Siena, si partirono di Prato, e puosonsi ad Agliana a campo in su quello di Pistoia, guastandogli intorno da le più parti, abattendo molte fortezze e con gran prede, e mutandosi per sei campi, e il dì di san Giovanni feciono correre palio di sciamito velluto presso a la porta di Pistoia. Castruccio essendo dentro a la terra di Pistoia con VIIc cavalieri e popolo grandissimo, non s'ardì a uscire fuori a nullo avisamento, ma intendea pure a la guardia della terra. Poi a dì IIII di luglio si puose l'oste a Tizzano, e a quello messer Ramondo fece rizzare dificii e cominciare a cavare da più parti, faccendo vista di volere il castello; e così stando, a dì VIIII di luglio messer Ramondo e 'l suo consiglio de' capitani dell'oste feciono la notte dinanzi cavalcare il suo maliscalco con Vc cavalieri de' migliori dell'oste a Fucecchio; e acciò che Castruccio non si prendesse guardia, la notte medesima fece un'altra cavalcata presso a Pistoia, guastando. Giunti i detti cavalieri a Fucecchio cogli usciti di Lucca, ch'erano da CL a cavallo e a piè assai, e dell'altre castella di Valdarno gente assai, ond'erano capitani messer Attaviano Brunelleschi e messer Bandino de' Rossi di Firenze, apparecchiato uno ponte di legname, la notte vegnente di furto per loro fu posto in su la Guisciana al passo di Rosaiuolo, e chiavato; e passati i detti cavalieri e popolo assai di là, anzi che quegli di Cappiano e di Montefalcone se n'accorgessono. E poi quel dì medesimo, dì X di luglio, messer Ramondo con tutta l'oste subitamente si partiro dall'assedio di Tizzano e valicarono il poggio del monte di sotto, e la sera medesima furono acampati cogli altri cavalieri prima andati di là da Guisciana intorno al castello di Cappiano, che fue uno bello e proveduto e sùbito acquisto di guerra, che mai per forza né per altro modo quel passo non s'era potuto acquistare per gli Fiorentini. Castruccio ciò sentendo, e appena credendolo, come stordito si partì di Pistoia con tutti i Pistolesi, lasciando la terra fornita di sua gente, e venne in Valdinievole, e si puose in su Vivinaia con sua oste; e mandò per soccorso a Lucca e a Pisa e a tutti i suoi amici, il quale ebbe dal vescovo d'Arezzo CCC cavalieri, e de la Marca e di Romagna CC, e di Maremma da' conti a Santa Fiore e altri baroncelli ghibellini da CL; sì che si trovò da XVc di cavalieri e popolo grandissimo, e in su Vivinaia e Montechiaro, e i·lluogo detto il Cerruglio s'afforzò, e ripuose Porcari, e fece fare uno fosso dal poggio al padule, e steccare e guardare con molta sollecitudine di dì e di notte. Ma da' Pisani nullo aiuto ebbe, perché il conte Nieri e quegli che reggeano la terra si teneano suoi nimici, per quello ch'egli avea operato contra loro.



CCCII - Come i Fiorentini ebbono Cappiano e 'l ponte, e poi Montefalcone

I Fiorentini essendo ad oste a Cappiano, a dì XIII di luglio s'arrenderono a·lloro le torri e 'l ponte da Cappiano, ch'era molto forte; e a dì XVIIII di luglio s'arrendé Cappiano, salve le persone, per tema di cave e di difici. E a dì XXI di luglio si puose l'oste a Montefalcone, e a dì XXVIIII di luglio s'arrendé a patti, salve le persone. Essendo i Fiorentini in vittoria, tutti gli amici mandarono soccorso: i Sanesi oltre a CC primi cavalieri mandarono altri CC cavalieri e VIc balestrieri, e C cavalieri delle case cittadini di Siena, e C soldati; Perugia tra due volte CCLX cavalieri; Bologna CC cavalieri; Camerino L cavalieri; Agobbio L cavalieri; Grosseto XXX cavalieri; Montepulciano XL cavalieri; il conte Asartiano da Chiusi XV cavalieri; Colle XL cavalieri; San Gimignano XL cavalieri; Sammmiato XL cavalieri; Volterra XXX cavalieri; Faenza e Imola C cavalieri tra due mandate; quegli da Logliano XV cavalieri e gente a piè; i conti a Battifolle XX cavalieri e Vc pedoni; e gli usciti di Lucca erano più di C cavalieri; e gli usciti di Pistoia da XXV; sì che l'oste de' Fiorentini crebbe in più di IIIm cavalieri. Si ritrovarono a dì IIII d'agosto, che si puosono ad assedio ad Altopascio, il quale era molto forte di mura e torri e fossi e steccati. Bene avenne a l'oste de' Fiorentini pestilenzia, che per lo dimoro ch'aveano fatto in su la Guisciana molti n'amalarono e molti ne morirono, pure de' più cari cittadini di Firenze e altri forestieri assai, onde l'oste affiebolì molto. Stando l'oste ad Altopascio, Castruccio fece cercare e rinnovare il trattato e tradimento nell'oste de' Fiorentini con due conastaboli franceschi, ciò fu messer Miles d'Alzurro e messer Guiglielmo di Noren d'Artese poveri cavalieri, il quale tradimento si scoperse essendo malato il detto messer Miles, e vegnendo a morte; e fu preso per messer Ramondo il detto messere Guiglielmo, ma per tema degli altri Franceschi non fu giustiziato, ma datoli commiato: faccendo vista d'andare a Napoli al re, da Montepulciano per Maremma si tornò da la parte di Castruccio, e poi fece molto di male a' Fiorentini. E essendo ancora l'oste ad Altopascio, Castruccio fece cavalcare da Pistoia CC de' suoi cavalieri e pedoni in sul contado di Prato, e in su quello di Firenze infino a Lecole a dì X d'agosto, ardendo e guastando sanza niuno contasto, levando grande preda. E poi a dì XXIII d'agosto fece fare un'altra cavalcata in su Carmignano di CL cavalieri e M pedoni, credendo prendere la terra e fare levare l'oste d'Altopascio; e già entrati nella villa, alquanti Fiorentini con quegli di Campi e di Gangalandi e' Guelfi di Carmignano vi cavalcarono, e co' cavalieri bolognesi ch'erano in Firenze, e sconfissongli, e bene CCCCL ne furono morti e presi assai, onde l'oste di Castruccio molto isbigottìo.



CCCIII - Come il castello d'Altopascio si rendé a' Fiorentini

Sentendo quegli di Altopascio la rotta da Carmignano, e essendo da·lloro assai malati, e vegnendo tra·lloro a riotta dentro, sì s'arenderono a' Fiorentini a dì XXV d'agosto MCCCXXV, salve le persone, che v'aveva dentro Vc fanti, e fornito per due anni. Preso Altopascio, nell'oste de' Fiorentini e ancora in Firenze ebbe contasto o d'andare più innanzi o di tornare all'assedio a Santa Maria a Monte, e in questo bistentaro, e ristettono ad Altopascio, poi che·ll'ebbono, infino a dì VIIII di settembre, con grande spendio e scemamento dell'oste de' Fiorentini, sì per molti infermi che v'avea, e a' più era rincresciuto l'osteggiare sì lungamente, e d'altra parte per la baratteria che messer Ramondo facea al suo maliscalco, di dare parola per danari a chi si volea partire dell'oste, onde molto scemò l'oste de' Fiorentini; e 'l detto messer Ramondo non v'avea la metà di sua gente: di questi difetti accorgendosi i savi, e di Firenze ch'erano nell'oste capitani, com'era impossibile di passare in verso Lucca per le fortezze e ripari di Castruccio, consigliavano che 'l porsi a Santa Maria a Monte, e l'afforzare il campo, e avicendare i cittadini e' forestieri; e di fermo era il migliore, e sanza guari indugio s'avea il castello per difetto d'infermità che v'era stata dentro. Altri cittadini grandi e popolani che menavano messer Ramondo e l'oste a·lloro guisa (ciò fu etc.; per loro prosunzione e vanagloria) si fermarono s'andasse infino a Lucca anzi che l'oste tornasse in Firenze e così si prese partito del peggiore; e il detto dì VIIII di settembre si partì d'Altopascio, e per arrota al primo fallo si puosono a la badia a Pozzevere in sul pantano di Sesto, che si poteano porre a la piaggia tra Vivinaia e Porcari, e avevano rotte l'osti de' nimici, e conquiso Castruccio; ma a cui Idio vuole male gli toglie il senno. E con questo crebbe giusta cagione, che messere Ramondo con quegli caporali fiorentini che 'l guidavano per modo di setta si credea essere signore di Firenze, e non volendo porre l'oste a Santa Maria a Monte, né cavalcare e porre l'oste come potea in sul poggio, per quistioni ch'avea mosse a' Fiorentini di volere balìa così nella città, tornato lui, come nell'oste, condusse sé e l'oste de' Fiorentini a pericolo e gran vergogna e dammaggio, come appresso faremo menzione.



CCCIV - Come i Fiorentini furono sconfitti ad Altopascio da Castruccio

Castruccio d'altra parte, con tutto che l'oste de' Fiorentini fosse affiebolita, egli medesimo e la sua oste era mancata molto, sì per infermità, e sì per lunga dura, e che gli fallia lo spendio, che apena si potea rimedire; tuttavia come franco duca ritenea la sua oste con molto affanno in isperanza, tegnendo guerniti e afforzati tutti i poggi da Vivinaia, e Montechiaro, e Cerruglio, e Porcari, poi infino al pantano di Sesto, acciò che l'oste de' Fiorentini non potesse a valicare a Lucca. Ma dottandosi ancora che per sé non potesse durare, e ancora conoscendo che l'oste de' Fiorentini era condotta in luogo dov'egli avea l'avantaggio del combattere, s'avesse aiuto di più gente, sì mandò al capitano di Milano messer Galeasso che gli mandasse il figliuolo Azzo con gente ch'era nel borgo a San Donnino, e mandogli Xm fiorini d'oro, promettendogli più moneta. Il quale Azzo con comandamento del padre s'apparecchiò di venire con VIIIc cavalieri, e per difalta del legato e dell'oste della Chiesa, ch'erano a oste a San Donnino, che gli lasciarono partire, e ebbe danari il maliscalco del legato, si partì co la detta gente per venire a Lucca, e messer Passerino signore di Mantova e di Modana gline mandò CC cavalieri, sì che sùbito soccorso e aiuto ebbe da M cavalieri tedeschi e oltramontani.



CCCV - Di quello medesimo

Essendo l'oste a Pozzevero, messere Ramondo volendo amendare il fallo che si fece di dovere porre l'oste in su la piaggia tra Montechiaro e Porcari, radoppiò il fallo sopra fallo, che mandandovi il suo maliscalco e messer Urlimbacca tedesco, forse con C cavalieri cogli spianatori, per fare spianare, a dì XI di settembre, di lungi a l'oste più d'uno miglio, Castruccio ch'era al disopra del poggio ordinatamente mandò gente in più schiere per partite, a cominciare a' detti guardatori degli spianatori badalucco, ed egli poi con tutta sua gente e schiere fatte si calò giù a la valle. Cominciato il badalucco si cominciò a 'ngrossare, che dell'oste de' Fiorentini vi trassono di volontà sanza ordine più di CC cavalieri, tra Franceschi, e Tedeschi, e Fiorentini, de' migliori dell'oste, e simigliante di quegli di Castruccio, e fu la più bella e ritenuta battaglietta che fosse anche in Toscana, che durò per ispazio di parecchie ore, e più di quattro volte fu rotta l'una parte e l'altra, rannodandosi e tornando a la battaglia a modo di torniamento; e la gente de' Fiorentini, ch'erano pochi più di IIIc a cavallo, sostennero e ripinsono quegli di Castruccio, ch'erano più di VIc; e aveasi la sera la vittoria per gli Fiorentini, se messer Ramondo avesse mandata più gente in aiuto a' suoi, o colle schiere grosse fosse mosso contra nemici; ma condussele in capo del piano, che v'avea uno fosso con piccolo spazio di spianato, per modo che bene commodamente le schiere fatte non poteano sanza spartirsi valicare, e con periglio. Castruccio che per l'avantaggio del poggio vedea tutto pinse colla sua schiera contra i Fiorentini, e fu sostenuto e ripinto gran pezzo, e scavallato in persona, e fedito egli e più de' suoi per virtù de' buoni cavalieri ch'erano da l'altra parte; ma a la fine tra per lo soperchio di gente, e perché s'anottava, que' de' Fiorentini si ritrassono alle schiere loro, ma sì vi rimasono di loro da XL cavalieri tra morti e presi pure de' migliori, intra' quali fu messere Urlimbacca cavaliere tedesco preso con XII di sua bandiera, e messer Francesco Brunelleschi cavaliere novello, e Giovanni di messer Rosso della Tosa, e di Franceschi, e molti fediti nel volto. E simigliante di quegli di Castruccio ne furono morti assai, ma non però presi, però che Castruccio al fine soprastette i·lluogo ove fu la battaglia; ma più di C cavagli de' suoi voti tornarono nel campo de' Fiorentini, però che tennono al fuggire tutti al piano. E la sera ritratti l'una oste e l'altra, infino a notte stettono schierati ciascuno trombando appetto l'uno dell'altro per sostenere l'onore del campo; ma la notte dipartì, e ciascuno tornò a le sue logge. Ma di certo dal giorno innanzi que' dell'oste de' Fiorentini non furono coraggiosi né avolontati di combattere, com'erano prima, per difalta di quella mala condotta, e per lo danno che ricevettono; e Castruccio, come quegli che non dormia, avendo presa baldanza di quella cotanta vittoria ch'avea avuta, e attendendo suo soccorso e aiuto di Lombardia, e conoscendo il male sito ove i Fiorentini erano acampati, con sagace inganno fece tenere i·falsi trattati messer Ramondo e 'l suo consiglio con più di quelle castella di Valdinievole, per fargli indugiare che non si partissono e levassono il campo, come tutto dì erano infestati sì da Firenze e da' savi dell'oste, che conosceano il male luogo ov'erano acampati; e tra che fu tempo piovoso, e lo 'nganno de' trattati, gli venne fatto suo intendimento.

 

 



CCCVI - Di quella materia medesima

Come que' dell'oste de' Fiorentini sentirono che Azzo Visconti con sua gente era venuto di Lombardia in aiuto a Castruccio, ch'erano VIIIc cavalieri tedeschi, e quegli di messer Passerino, domenica mattina dì XXII di settembre si levarono da campo da la badia a Pozzevero schierati e ordinati, e puosonsi ad Altopascio dal lato di qua, che agiatamente potea venirne l'oste di qua da Guisciana, o almeno si fossono posti in su Gallena, erano signori del combattere a·lloro volontà; ristettono ad Altopascio per fornirlo. Castruccio, che non ne stava ozioso, veggendo l'oste de' Fiorentini levata per tema e paura, la domenica medesima venne in Lucca per sollecitare Azzo che cavalcasse con sua gente, e a tutte le belle donne di Lucca co la moglie insieme il fece pregare: egli per riposarsi, e che volea la moneta che gli fu promessa, non si volea partire di Lucca, onde Castruccio con grande fatica l'accivì, tra di danari e di promesse di mercatanti, di VIm fiorini d'oro, e promisegli di cavalcare lunidì mattina. Castruccio lasciò la donna sua coll'altre donne che 'l sollecitassono, ed egli la domenica a notte ritornò in sua oste, che gran paura avea che l'oste de' Fiorentini si partissono sanza battaglia, veggendo suo vantaggio. I·lunidì mattina l'oste de' Fiorentini si levò e misonsi in ischiere, ed erano rimasi intorno di IIm cavalieri e non più, per gli malati e partiti dell'oste, e gente a piè da VIIIm, e tutti ad agio si poteano partire e venire a Gallena; ma per aroganza si misono a roteare colle schiere loro verso l'oste di Castruccio, trombando e drappellando richeggendo di battaglia. Castruccio incontanente con sua oste armato, ch'era con MCCCC cavalieri, cominciò a scendere il poggio e tenere a badalucco i Fiorentini, tanto che Azzo con sua gente venisse, e così gli venne fatto, che in su l'ora di terza Azzo giunse colla sua gente; e incontanente che fu venuto si calarono di Vivinaia al piano a la battaglia, i quali furono da XXIIIc di cavalieri in tutto que' dell'oste di Castruccio; ma il popolo suo lasciò al poggio, che pochi ne scesono al piano a la battaglia. L'oste de' Fiorentini molto bene ordinata in ischiere s'afrontò coll'oste di Castruccio, e una piccola schiera de' Franceschi e de' Fiorentini e d'altri intorno di CL a cavallo, ch'erano al dinanzi a la schiera de' feditori, fedirono vigorosamente, e trapassarono le schiere d'Azzo. Gli altri feditori ch'erano ordinati, ch'erano da VIIc, ond'era guidatore messer Bornio maliscalco di messer Ramondo, veggendo cominciata la battaglia, non resse, ma incontanente volse la sua bandiera. Gli altri dell'oste veggendo volgere le 'nsegne de' feditori, isbigottiti, incominciarono a temere, e parte a fuggire: che se messer Ramondo colla schiera grossa avesse ancora pinto dietro a' primi feditori, avea vinta la battaglia, ma istando fermo, e la gente per la mala vista del maliscalco cominciando a fuggire, prima furono da' nimici assaliti che dessono colpo, ma parvono storditi e amaliati; ma il popolo a piè cominciaro a sostenere francamente, ma la cavalleria non resse quasi niente, e così in poca d'ora che durò l'assalto furono rotti e sconfitti: e ciò fu i·lunidì in su la nona, a dì XXIII di settembre MCCCXXV.

La quale sconfitta di certo si disse, che 'l detto Bornio maliscalco per tradimento ordinato si mise prima a fuggire che a·ffedire; e ciò si trovò, ch'egli era stato cavaliere per mano di messer Galeasso Visconti padre del detto Azzo, e stato lungamente a' suoi soldi; e come tornò in Firenze, mai non si lasciò trovare, anzi si partì di nascoso. Il dammaggio de' morti a l'afrontata prima fu piccolo, per lo poco reggere che fece l'oste de' Fiorentini, ma poi a la fugga ne furono morti e presi assai, però che Castruccio mandò incontanente di sua gente a prendere il ponte a Cappiano, il quale sanza assalto per que' v'erano dentro in su le torri, fue abbandonato; onde i Fiorentini e loro amistà che fuggieno ricevettono maggiore danno di morti e di pregioni, che non feciono ne la battaglia. Rimasonne morti in tutto da... tra a cavallo, che furono pochi, e a piè, che non furono XXV de le cavallate di Firenze: morti e presi ne furono in tutto intorno di... intra quali fue messer Ramondo di Cardona capitano dell'oste, e 'l figliuolo, e più baroni franceschi, che alquanto ressono la battaglia; ebbevi da XL de' migliori di Firenze grandi e popolani a cavallo, e da L oltramontani buona gente e di rinnomo, la maggior parte cavalieri, e da XX uomini di rinnomo d'altre terre di Toscana. Tutti gli altri scamparono, chi per una via e chi per altra; ma il campo e la salmeria di tende e arnesi quasi tutti si perdero; e pochi dì appresso s'arrendé il castello di Cappiano e quello di Montefalcone; e poi a dì VI d'ottobre s'arrendé Altopascio, e andarne pregioni a Lucca, ch'erano più di Vc; ed era fornito per più tempo e fortissimo. E così in poca d'ora si mutò la fallace fortuna a' Fiorentini, che in prima con falso viso di filicità gli avea lusingati in tanta pompa e vittoria. Ma di certo fu giudicio di Dio per soperchi peccati d'abattere tanta superbia potenza, e così nobile cavalleria e valente popolo, come furono a la prima i Fiorentini ne la detta oste, per più vili di loro e scomunicati; e così nonn-è d'avere speranza in forza umana altro che nel piacere e volontà di Dio e la sua disposizione. Lasceremo al presente alquanto de le sequele e aversità che per la detta sconfitta avennono a' Fiorentini, perché n'è di necessità per trattare dell'altre novità state infra 'l detto tempo per l'universo mondo in più parti, e raccontate quelle, torneremo a nostra materia, in seguire delle storie e fatti de' Fiorentini, ch'assai ne cresce materia di dire.



CCCVII - Come a Cortona fu ristituito il vescovado

Nel detto anno MCCCXXV, del mese di giugno, papa Giovanni con suo concestoro rendé il vescovado suo a la città di Cortona, che lungamente era vacato, perch'aveano morto il loro vescovo anticamente, e sottomiselo al vescovado d'Arezzo: e ciò fatto per affiebolire la grandezza del vescovo d'Arezzo, che bene il terzo di suo vescovado gli scemò, e fecene vescovo uno degli Ubertini. Per la qual cosa il vescovo d'Arezzo fece in Arezzo abattere le case degli Ubertini, e Montuozi loro castello, onde gli Ubertini rubellarono al vescovo Laterino, e di loro vennono a Firenze per allegarsi co' Fiorentini; ma come fu la sconfitta, s'accordarono col vescovo, e renderono Laterino.



CCCVIII - Come il legato del papa fece fare oste al borgo a San Donnino

Nel detto anno, a l'uscita di giugno, il legato del papa ch'era in Lombardia coll'oste della Chiesa e aiuto de' Piagentini e Parmigiani, vennono ad oste sopra il borgo a San Donnino con MMD cavalieri e popolo assai, il quale s'era rubellato, ed eravi dentro Azzo Visconti con grande cavalleria di ribegli di santa Chiesa, e distrinselo sì, che poco v'aveano a mangiare. La lega de' ribelli, cioè messer Cane della Scala signore di Verona, e messer Passerino signore di Mantova e di Modana, e' marchesi d'Esti da Ferrara, si raunarono a Modana bene MD cavalieri per soccorrere e fornire quegli del borgo a San Donnino, e grande navilio con vittuaglia e con gazzarre armate misono su per lo fiume di Po, le quali scontrandosi col navilio della Chiesa, da·lloro furono sconfitti e presi. Veggendo la lega de' Ghibellini di Lombardia che non poteano fornire il borgo a San Donnino per quel modo, si puosono ad assedio a Sassuolo, uno forte castello del contado di Modana, ed ebbello a patti, e Fiorano un altro castello di que' signori da Sassuolo, e avuti i detti castelli si dipartì di Modona la detta raunata, e ciascuno si tornò a casa. Ver è che parte n'andarono per la via di Chermona, e entrarono nel borgo a San Donnino con vittuaglia, però che·ll'assedio dell'oste della Chiesa e de' Parmigiani era molto dilungata dal borgo, e però si francò il borgo, e Azzo de' Visconti e sua gente per serbarsi a soccorrere Castruccio e isconfiggere l'oste de' Fiorentini, come ne' passati capitoli avemo stesamente fatta menzione.



CCCIX - Come il re d'Araona ricominciò guerra a' Pisani

Nel detto anno e mese di giugno il re d'Araona mandò in Sardigna XII galee armate con IIIc cavalieri, e trovarono nel golfo di Calleri due cocche de' Pisani cariche di vittuaglia, ch'andavano per fornire Castello di Castro; quelle presono, e uccisono tutti i Pisani, onde ricominciarono la guerra a' Pisani: per la qual cosa tutti i Catalani mercatanti e altri che furono trovati in Pisa, furono presi con tutta loro mercatantia e roba.



CCCX - Come il conte di Fiandra fue sconfitto e preso a Coltrai da quegli di Bruggia

Nel detto anno MCCCXXV, a dì XII di giugno, essendo il giovane Luis conte di Fiandra a Ipro, ne fece cacciare tutti i caporali de' tesserandoli e folloni, e popolo minuto, perché gli erano incontro con quegli di Bruggia; e poi andòe a Coltrai con più di CL gentili uomini a cavallo, e là facea raunata e s'afforzava per fare guerra a que' di Bruggia, che gli s'erano ribellati; e per volere fare prendere certi caporali di Bruggia ch'erano venuti a Coltrai per fargli impiccare, fuggiti in una casa nel borgo di verso Bruggia, la gente del conte vi misono fuoco, e arse tutto il detto borgo, e eziandio passò il fiume de la Liscia, e arse la metà e più della terra. Per la qual cosa que' di Coltrai, veggendosi così arsi e guasta la terra, si raunarono armati con certi che v'erano di Bruggia, e combatterono in su la piazza col conte e con sua gente, e sconfissongli, e presono il conte, e fediro e uccisonne più di XL nobili uomini, intra' quali morti fu il siri di Ruella e quello di Terramonda, figliuolo di messer Guiglielmo de la casa di Fiandra, e il conte di Namurro fedito a morte. E venuti que' di Bruggia a Coltrai, ne menaro il conte preso a Bruggia, e a mezzo il cammino in sua presenza tagliarono la testa a XXVII suoi famigliari gentili uomini, ch'erano presi co·llui, che fu una grande crudeltà per vili genti e fedeli fare al loro signore; e menato il conte in pregione, sì feciono rubellare il popolo minuto d'Ipro, e cacciarne i grandi borgesi che teneano col conte. Quegli de la villa di Guanto per soccorrere il loro signore lo conte, del mese d'agosto vegnente, andando ad oste contra quegli di Bruggia, i quali da quegli di Bruggia sconfitti furono, e morti e presi assai; e tornati in Guanto que' che scamparono, il popolo minuto, tesserandoli e folloni, vollono uccidere tutti i grandi borgesi di Guanto a richiesta di quegli di Bruggia, onde in Guanto tra·lloro ebbe battaglia; ma i gran borgesi e la parte del conte si trovarono più forti, onde il popolo minuto furono sconfitti, e molti morti e presi, e giustiziati di villana morte.



CCCXI - De' fatti di Firenze

Nel detto anno, a dì XXVII di luglio, s'apprese fuoco in Firenze in Parione di costa a la chiesa di Santa Trinita, e arsonvi XIIII case, e morirvi V persone. Il dì di calen di agosto del detto anno si pubblicò in Firenze il processo e scomunica fatta per papa Giovanni contra Castruccio, siccome rubello e persecutore della Chiesa, e fautore d'eretici per più articoli contro a fede.



CCCXII - Come il conte di Savoia fue sconfitto dal Dalfino di Vienna

Nel detto anno, a dì VII d'agosto, fue grande battaglia in viennese tra il Dalfino di Vienna e 'l conte di Savoia apresso del castello di..., che la gente del conte v'era ad assedio con... cavalieri e popolo assai, e... fue con cavalieri...; e dopo la gran battaglia il conte di Savoia fue sconfitto, e furonne morti assai, e preso il conte d'Alzurro, e 'l fratello del duca di Borgogna, e 'l siri di Belgiù, e più di CL tra cavalierie e sergenti gentili uomini ch'erano col conte di Savoia.



CCCXIII - Come il conte Alberto da Mangone fue morto, e suo contado rimase a' Fiorentini

Nel detto anno, a dì XVIIII del mese d'agosto, il conte Alberto da Mangone fu morto a ghiado per tradigione in sua camera per Ispinello bastardo suo nipote e per uno di quegli di Coldaia a petizione degli Ubaldini e di messer Benuccio Salimbeni di Siena, che tenea Vernia e avea per moglie la figliuola che fu del conte Nerone, perché gli faceva guerra del detto retaggio. Per la qual cosa il castello di Mangone e la corte fue per lo detto Spinello renduto al Comune di Firenze, e ebbene per lasciare la rocca XVIIc di fiorini d'oro dal Comune, con tutto che di ragione succedea al Comune di Firenze e Mangone e Vernia, per testamento fatto per lo conte Allessandro padre d'Alberto e Nerone, e poi ratificato per lo detto Alberto e Nerone, che se rimanessono sanza reda di figliuoli maschi legittimi, ne fosse reda il Comune di Firenze. E ancora il Comune di Firenze v'avea su ragione per censi vacati, i quali doveano per patti di molti tempi adietro. Nel detto anno, a dì XXVIII d'agosto, CC cavalieri di quegli ch'erano nel borgo a San Donnino, andando per foraggio, furono sconfitti al ponte a Lensa da quegli di Parma.



CCCXIV - Come il Monte a San Savino fu distrutto

Nel detto anno, del mese di settembre, poi che fu la sconfitta de' Fiorentini, quegli del Monte a San Savino si renderono al vescovo d'Arezzo, il quale fece abattere le mura a la detta terra, perch'erano molto Guelfi, e aveano mandato aiuto di loro gente a l'oste de' Fiorentini. E poi a dì XI di maggio vegnente vi cavalcò il vescovo con sua gente, e trasse del castello tutti gli abitanti, e arse e fece disfare tutta la terra, che non vi rimase pietra sopra pietra; e sì v'avea più di M abitanti, che tutti gli disperse qua e là, acciò che mai non potessono rifare la terra.



CCCXV - Come si compié pace tra lo re di Francia e d'Inghilterra per la guerra di Guascogna

Nel detto anno, del mese di settembre, Adoardo figliuolo del re d'Inghilterra venne in Francia, e per trattato della reina d'Inghilterra sua madre e serocchia del re di Francia si compié la pace dal re di Francia a quello d'Inghilterra de la guerra cominciata in Guascogna, e 'l detto figliuolo del re d'Inghilterra ne fece omaggio al re di Francia in persona del padre re d'Inghilterra, e lasciò al re di Francia le terre che messer Carlo di Valos avea conquistate in Guascogna, e rimase in Francia co la madre, e non vollono tornare in Inghilterra, però che 'l re d'Inghilterra si reggea male, e contro a·lloro volere si guidava per messer Ugo il Dispensiere.



CCCXVI - Come i due eletti d'Alamagna feciono accordo insieme, e Federigo d'Osteric fu tratto di pregione

Nel detto anno, del mese d'ottobre a l'uscita, il duca di Baviera eletto re de' Romani diliberò di sua pregione Federigo duca d'Osteric, perch'era altressì eletto re de' Romani, e fece pace co·llui, e promisegli di rinunziare sua lezione, e di dargli le sue boci. Poi furono a parlamento a l'ottava anzi Natale, e non furono in accordo, però che Lupoldro fratello del duca d'Osteric non volea che 'l suo fratello rinunziasse. E poi furono a un altro parlamento, e furono inn-accordo, che quello di Baviera dovesse passare in Italia, e 'l duca Lupoldro d'Osteric co·llui e per suo generale vicario, e quello d'Osteric rimanere re ne la Magna; e di questo si promisono con lettere e suggegli. Gli elettori dello 'mperio a petizione del papa e del re di Francia contradissono, opponendo che·ll'uno e l'altro avea perduta la lezione, perché a·lloro non era licito di ragione che l'uno potesse dare a l'altro boce sanza fare per gli elettori nuova lezione. In questo mezzo il duca Lupoldro d'Osteric, il quale trattava co·re Ruberto, e con quello di Francia, e ancora co' Fiorentini, e quello accordo dissimulava per essere egli signore in Italia, sì si morì a dì XXVII di febbraio MCCCXXV, e dissesi che fue avelenato; per la qual morte tutto quello esordio e accordo rimase sospeso e anullato.



CCCXVII - Come Castruccio con sua oste venne in sul contado di Firenze presso a la città, ardendo e guastando

Nel detto anno, tornando a nostra materia lasciata adietro de' fatti di Castruccio e de' Fiorentini, come Castruccio ebbe la vittoria della battaglia, mandati i pregioni e le spoglie del campo a Lucca, non tornò a Lucca in persona, ma posto l'assedio ad Altopascio, sì fece disfare le torri e 'l ponte a Cappiano, e poi il castello di Cappiano e di Montefalcone, per non avere in quella parte a guardare, e se ne venne a Pistoia per guerreggiare i Fiorentini, e per dilungare la tornata sua in Lucca, perché non v'avea da sodisfare i suoi cavalieri soldati di loro paghe passate d'assai, e de le doppie per la vittoria, e per nutricargli sopra le prede de' Fiorentini. E a dì XXVII di settembre fece uscire ad oste a Carmignano messer Filippo Tedici co' Pistolesi, e incontanente fue abbandonato da coloro che v'erano per gli Fiorentini, salvo la rocca. Poi a dì XXVIIII di settembre Castruccio con tutta sua oste venne a Lecore in sul contado di Firenze, e il dì seguente puose il suo campo in su i colli di Signa. I cavalieri e' pedoni de' Fiorentini ch'erano in Signa, faccendola afforzare, veduta l'oste di Castruccio abandonarono la terra, e furono sì vili, che non ardirono a tagliare il ponte sopra l'Arno. Poi il dì di calen di ottobre Castruccio puose suo campo a San Moro, ardendo e rubando Campi, Brozzi, e Quaracchi, e tutte le villate d'intorno; e a dì II d'ottobre venne in Peretola, e la sua gente scorrendo infino presso a le mura di Firenze, e là dimorò per III dì, faccendo guastare per fuoco e ruberia dal fiume d'Arno infino a le montagne, e infino a piè di Careggi in su Rifredi, ch'era il più bello paese di villate, e 'l meglio acasato e giardinato, e più nobilemente, per diletto de' cittadini, che altrettanta terra che fosse al mondo. E poi il dì di san Francesco, dì IIII d'ottobre, fece in dispetto e vergogna de' Fiorentini correre III pali[i] da le nostre mosse infino a Peretola, l'uno a gente a cavallo, e l'altro a piede, e l'altro a femmine meretrici; e non fue ardito uomo d'uscire della città di Firenze; ma i Fiorentini molto inviliti, e storditi di paura e sospetto che dentro a la città non avesse tradimento, con tutto avessono cavalieri assai e gente a piè innumerabile, si tennono dentro in arme di dì e di notte con grande affanno e sollecitudine a guardare la città e le mura e le porte; e sgombravasi tutto il contado, recando dentro così bene que' da San Salvi e da Ripole e di quelle contrade, come de le villate ch'erano verso i nimici.



CCCXVIII - Della materia medesima

Poi il sabato mattina, dì V d'ottobre, si levò da Peretola, e arse tutta la villa e quello d'intorno, e presono e arsono il castello di Capalle e quello di Calenzano sanza riparo niuno, che que' che v'erano dentro gli abandonaro. Ancora i Fiorentini dentro pareano per paura amaliati; e ritornatosi Castruccio con sua oste la sera in Signa, la domenica apresso, dì VI d'ottobre, fece correre e ardere, sì come avea fatto di qua, di là da Arno Gangalandi, e Sa·Martino la Palma, e 'l castello de' Pulci, e tutto il piano di Settimo. E poi il martidì, dì VIII d'ottobre, venne con tutta sua oste infino a Grieve, e' suoi scorridori infino a San Piero a Monticelli, e salirono in Marignolla infino a Colombaia, rubando e levando grandi prede sanza contasto niuno; che' Fiorentini temeano molto da quella parte, perché i borghi di San Piero Gattolino e quello di San Friano, e d'intorno al Carmino e a Camaldoli non erano murati; ma rimettendo i fossi e faccendo steccati con C bertesche, in XV dì lavorando di dì e di notte con grande sospetto e paura. In somma l'assedio e guasto che lo 'mperadore Arrigo avea fatto a la città di Firenze fu quasi niente a comparazione di questo, consumando ciò ch'era da le porte in fuori da quelle parti, con levando ogni dì grandissime prede di gente e di bestiame e di loro arnesi. E così feciono infino a Torri in Valdipesa, e infino a Giogoli, e poi infino a Montelupo, e arsono il borgo, e così quello di Puntormo, e la villa di Quarantola, e più altre villate. E poi, a dì XI d'ottobre, s'arendé la rocca di Carmignano, e poi il castello degli Strozzi, ch'era ivi presso molto forte e bene fornito, chiamato Torrebecchi; e andò poi con sua oste scorrendo intorno a Prato.



CCCXIX - Come Castruccio con Azzo di Milano ritornò co·lloro oste a la città di Firenze

Come Azzo Visconti di Milano, ch'era a Lucca con sua gente, fue pagato di XXVm di fiorini d'oro che Castruccio gli aveva promessi per la vittoria e per la sua parte de' pregioni e preda, i quali danari il Comune di Lucca improntarono a usura dagli usciti di Genova che dimoravano in Pisa, sì ne venne il detto Azzo con sua gente a Signa, e per fare la vendetta de' Fiorentini del palio che feciono correre a le porte di Milano coll'oste di messer Ramondo, come dicemmo adietro. E a dì XXVI d'ottobre con Castruccio insieme, con bene IIm cavalieri, vennono infino a Rifredi, e di qua in su una isola d'Arno, che si vedea apertamente di Firenze, fece correre uno palio di sciamito; e poi la sera si ricolsono a Signa. Ma se prima s'ebbe paura e dotta in Firenze, a questa ritornata s'ebbe maggiore, per paura non avessono trattato di tradimento dentro per gli amici e parenti de' cittadini presi a la sconfitta, il quale mai non si sentì di vero; ma certamente d'acordo assai per riavere i pregioni, ma non furono uditi né intesi, ma tenuti a sospetto dagli altri cittadini; ma i buoni uomini di Firenze, così i Guelfi e così i Ghibellini ch'erano in Firenze, erano favorevoli e solleciti a la guardia della città, e a l'entrate continuamente di dì e di notte per tema della città. E poi il seguente dì Azzo se n'andò con sua gente a Lucca e poi a Modana in Lombardia. Il contado di Firenze in verso il ponente ove Castruccio guastò e corse rimase tutto diserto, e le genti scampate rifuggiti in Firenze per gli disagi ricevuti v'adussono infermità e mortalità grande, la quale s'apiccò a' cittadini; e tutto quello anno ebbe ne la città grande mortalità di gente sì fatta, che s'ordinò che banditore non andasse per morti, acciò che la gente inferma non isbigottisse di tanti morti; e così per le peccata de' Fiorentini seguì la pestilenzia a la disaventurata fortuna ch'egli aveano ricevuta.



CCCXX - Dello stato di Firenze medesimo

I Fiorentini essendo in tanta afflizzione di guerra e così isprovati dal tiranno Castruccio loro nimico, mandarono per soccorso al re Ruberto a Napoli e a' vicini e agli amici, ma da nullo n'ebbono sùbito aiuto, se non da' Samminiatesi LXXX cavalieri e da' Colligiani XXV e C fanti. E feciono, per paura che non valicasse Castruccio da l'altra parte de la città, afforzare la rocca di Fiesole, però che n'avea minacciati i Fiorentini, e avea grande volontà di riporre Fiesole per assediare meglio la città; e avrebbelo fatto, se' signori Ubaldini l'avessono seguito, come aveano promesso. E ancora per paura di Castruccio i Fiorentini feciono afforzare la badia di Samminiato a Monte, e in ciascuno luogo misono gente e guernigione; e ancora per tema che gli sbanditi non facessono raunata né rubellazione dentro a la città o di fuori d'alcuno castello feciono ordine e dicreto che ciascuno potesse uscire di bando chente e per che misfatto si fosse, pagando al Comune certa piccola gabella, salvo quegli delle case escettati per Ghibellini o Bianchi rubelli. E feciono capitano di guerra messer Oddo da Perugia, ch'era venuto per lo suo Comune capitano, e messer Guasta da Radicofani a la guardia de la città. E così come gente ismarrita e sconfitta si sostentaro, intendendo solamente a la guardia della città, ogni onori abandonando.



CCCXXI - Come il conte Ugo da Battifolle ritolse certo contado a' Fiorentini in Mugello

Nel detto anno, in calen di ottobre, essendo ancora i Fiorentini in tanto affanno e pericolo, il conte Ugo figliuolo del conte Guido da Battifolle riprese per suoi cinque popoli e villate di sotto ad Ampinana in Mugello, i quali s'erano renduti più tempo addietro al Comune di Firenze, e succedeano al Comune di ragione per compera fatta quando s'ebbe Ampinana, secondo che si diceva. Onde il popolo di Firenze forte si tennero gravati dal conte Ugo, e maggiormente perch'era stato il padre e egli amico, e faccendo sì fatta novità veggendo i Fiorentini in tanta aversità: con tutto che il detto conte dicea ch'erano suoi per retaggio e di ragione, opponendo che la vendita che fece il conte Manfredi quando vendé Ampinana fu solamente per lasciare il castello di fatto a Fiorentini, e voleala commettere di ragione in giudice comune, ma per lo modo sconcio non s'acettò per gli Fiorentini. Ma ragione o non ragione ch'avesse il conte, fue condannato per l'esecutore degli ordinamenti de la giustizia, a l'uscita del mese di dicembre del detto anno, in libbre XXXm, a condizione se non avesse ristituiti i detti popoli ne lo stato primo infra X dì; la qual cosa perciò non fece, e rimase in bando e in contumace del Comune di Firenze, con tutto che fosse sostenuta sua parte in Firenze per suoi amici e parenti grandi e popolani. Ma poi a la venuta del duca in Firenze il conte Ugo il venne a servire in persona con XX cavalieri e CC pedoni per III mesi; per la qual cosa il duca il fece cancellare di bando, ma i più de' Fiorentini ne furono crucciosi.



CCCXXII - Come Castruccio venne a oste a Prato

Nel detto anno, a dì XVIIII d'ottobre, Castruccio con sua oste venne intorno a Prato, istandovi a campo per VIIII dì, guastandolo intorno intorno, e poi per pioggia non potéo per la via diritta tornare a Signa; ma a dì XXVIII d'ottobre si tornò in Pistoia, e poi l'altro dì ritornò in Signa; e a dì XXX d'ottobre fece ancora da due parti correre sua gente infino a Rifredi, e di là da Arno infino a Grieve; e simigliante fece a dì III di novembre, faccendo ardere infino a Giogoli. E poi a dì V di novembre cavalcò con sua oste, forse con VIIc cavalieri e MD pedoni, in Valle di Marina; e albergòvi una notte, faccendo grandissimo guasto. I Fiorentini sentendo com'era entrato in forte passo, e che i Mugellesi erano raunati a la Croce a Combiata per ripararlo che non passasse in Mugello, sì vi cavalcarono CC cavalieri e IIm pedoni per richiudergli il passo dinanzi di là da la pieve a Calenzano; e fatto l'avrebbono per lo stretto e forte luogo, se non che per ispie infino di Firenze gli fu fatto assapere; onde si ricolse e uscì del passo, anzi che la gente de' Fiorentini vi giugnesse, e andonne a Signa a salvamento, e con gran preda, e con CXXX pregioni; e a più dispetto de' Fiorentini fece battere moneta picciola in Signa co la 'mpronta dello 'mperadore Otto, e chiamarsi i castruccini.



CCCXXIII - Come Castruccio tornò in Lucca con grande trionfo per la sua vittoria

Nel detto anno Castruccio guasto e arso sì fattamente il contado di Firenze e quello di Prato per lo modo che detto è di sopra, avendo tra più volte avuti più pregioni, e maggiore preda che non ebbe alla sconfitta, e quasi inestimabile, lasciata guernita Signa degli usciti di Firenze e di CCC cavalieri, e rimandati al vescovo d'Arezzo CCC suoi cavalieri ch'avea avuti continui a la detta guerra, ricchi delle prede de' Fiorentini, a dì X di novembre si tornò in Lucca per fare la festa di Sammartino con grande trionfo e gloria, vegnendoli incontro grande processione, e tutti quegli della città, uomini e donne, sì come a uno re; e per più dispregio de' Fiorentini si fece andare innanzi il carro colla campana che' Fiorentini aveano nell'oste, coperto i buoi dell'arme di Firenze, faccendo sonare la campana, e dietro al carro i migliori pregioni di Firenze, e messer Ramondo con torchietti accesi in mano ad offerere a sa·Martino. E poi a tutti diede desinare, che furono da cinquanta de' maggiorenti, e le 'nsegne reali del Comune di Firenze a ritroso in su il detto carro: e poi gli fece rimettere in pregione, gravandoli d'incomportabili taglie, faccendo loro fare tormenti e grandi misagi sanza niuna umanità; e alquanti de' più ricchi per fuggire i tormenti si ricomperarono grande somma di moneta. E di certo Castruccio trasse de' nostri pregioni e de' Franceschi e forestieri presso a Cm fiorini d'oro, onde fornì la guerra.



CCCXXIV - Come i Fiorentini essendo in male stato si providono di moneta e di gente

Nel detto anno e mese, intrante novembre, i Fiorentini, veggendosi in grandi spese e in così pericolosa guerra, non si disperarono, ma francamente s'argomentarono a·lloro difensione, e ordinarono e feciono nuove gabelle, che montarono LXXm fiorini d'oro l'anno, oltre a quelle che prima aveano, che montavano CLXXXm fiorini d'oro, per fornire la detta guerra castruccina; e mandarono per cavalieri in Alamagna e a Padova, e feciono riporre e afforzare il poggio di Combiata e quello di Montebuono, acciò che Castruccio non potesse valicare in Mugello né in Valle di Grieve; e mandarono CC cavalieri in aiuto a' Bolognesi, onde furono capitani messer Amerigo Donati e messer Biagio Tornaquinci; ch'allora fu uno grande fatto a' Fiorentini, essendo col nimico tiranno a l'uscio, a mandare soccorso a l'amico. Lasceremo al presente del male stato de' Fiorentini, e diremo delle aversità che ne' detti tempi avennero a' Bolognesi per la forza de' tiranni di Lombardia.



CCCXXV - Come i Bolognesi furono sconfitti da messer Passerino signore di Mantova e di Modana

Nel detto anno, del mese di luglio, i Bolognesi feciono oste per contastare la raunata di messer Passerino signore di Mantova e di Modana e degli altri tiranni di Lombardia ch'erano nel contado di Modana, acciò che non potessono mandare aiuto a Castruccio né al borgo a San Donnino; ma più per tema che non entrassono nel loro contado; e però non mandarono aiuto a l'oste de' Fiorentini che CC cavalieri. E sentita loro partita, la raunata di Modana sì valicarono la Scoltenna, e intorno a Modana feciono danno assai per più cavalcate, e tornarsi in Bologna. Ma come i Fiorentini furono sconfitti ivi a pochi dì, cioè a dì XXX di settembre, ribelli di Bologna di casa Galluzzi e' figliuoli di Romeo de' Peppoli, colla forza di messer Passerino rubellarono a' Bolognesi il castello di Monteveglio a la montagna. I Bolognesi vi cavalcaro, popolo e cavalieri, e puosonvi l'assedio, e richiesono tutti i loro amici di Toscana e di Romagna, e rifeciono il fosso che si chiama la Mucia, di qua dalla Scoltenna, che tiene dal monte al pantano, per loro sicurtade, ed erano l'oste de' Bolognesi bene XXIIc di cavalieri co le loro cavallate, e bene XXXm pedoni, che per comune v'erano quegli della città. Messer Passerino fece sua raunata, che vi venne la gente di messer Cane da Verona con VIc cavalieri, e' marchesi d'Esti con IIIIc, sì ch'avea bene XVIIIc di cavalieri, ed erano a campo di là dal fosso e da la Scoltenna, badaluccandosi spesso per fornire il castello e passare il fosso, e' Bolognesi si teneano francamente. A l'uscita d'ottobre Azzo Visconti che se n'andava a Milano con sua gente si dimorò in servigio di messer Passerino, e ancora Castruccio gli mandò CC cavalieri, sì che con XXVIIIc di cavalieri furono i tiranni di Lombardia, quasi i più Tedeschi. I Bolognesi veggendosi così stretti, e da l'assedio del castello non si voleano partire, ancora mandarono per aiuto. I Fiorentini non guardando al loro grande bisogno mandarono loro CC cavalieri, e mandarono pregando per ambasciadori che si ritraessono e non si mettessono a battaglia: fecionsene beffe, rimprocciando i Fiorentini di loro viltade. Poi a dì III di novembre quegli di messer Passerino valicarono la Scoltenna, e in parte ruppono il fosso, e valicarne di loro; ma per forza dal popolo di Bologna furono ripinti, e non poterono fornire il castello.



CCCXXVI - Di quello medesimo

Veggendo messer Passerino e gli altri capitani che non poteano passare la raunata, feciono vista di partire l'oste, e gran parte tornarono a Modana; poi feciono vista di porre assedio al ponte a Santo Ambruogio. I Bolognesi lasciarono a la rotta del fosso i Romagnuoli e' Fiorentini, ch'erano da cavalieri, e vennono parte di loro cavalieri verso il ponte. Messer Passerino e sua gente avendogli spartiti, cavalcarono astivamente di là da la Scoltenna verso il castello, e' Bolognesi da la loro parte seguendo; ma prima di Bolognesi giunsono i loro nimici ov'era stata la rottura del fosso e più fiebole; e' Romagnuoli e' Fiorentini che v'erano a guardia mandando a la cavalleria di Bologna per aiuto, lentamente vi vennono. La gente di messer Passerino per forza valicarono il passo, e cominciarono la battaglia. I Bolognesi veggendo l'assalto poco ressono, ma incontanente si misono a la fugga, e que' cotanti che ressono, che furono i Romagnuoli e' cavalieri de' Fiorentini e usciti di Modana, furono malmenati, che più di CCCL a cavallo e più di MD a piè vi rimasono tra presi e morti. I Bolognesi piccolo danno v'ebbono a comparazione de la loro grande oste, che' cavalieri si fuggirono verso Bologna, e il popolo a le montagne e a' loro castelli; ma da XXVII de' buoni de la terra e la loro podestà vi rimasono presi, e messer Malatestino e quattro de' migliori usciti di Modana capitani. E questa sconfitta fu a piè di Monteveglio venerdì dopo nona, dì XV di novembre.



CCCXXVII - Come messer Passerino signore di Mantova e di Modana venne a oste a la città di Bologna

I Bolognesi tornarono in Bologna con grande vergogna e con grande danno, e messer Passerino con gli altri Lombardi valicarono il fosso de la Muccia, e tutti vennono ad oste sopra Bologna, e puosonsi al borgo a Panicale in sul fiume del Reno, e tolsono l'acqua a le loro mulina, vegnendo infino a le porte di Bologna, e salirono in su Santa Maria a Monte di sopra a uno miglio a la città. Il popolo di Bologna a furia voleano uscire fuori, ma da·loro capitano furono ritenuti, acciò che non compiessono la loro infortuna d'essere afatto isconfitti, e perdessono la terra; ma si misono a la difensione della città, e più assalti ebbono a la città da' Lombardi; e se non fosse l'aiuto de' forestieri si perdea la terra. A la fine vi feciono correre III pali, uno messer Passerino, e uno Azzo, e uno i marchesi. E sentendo che la gente della Chiesa, da MD cavalieri, erano venuti verso Reggio, si levarono da oste dì XXIIII di novembre, e tornarono in Modana; ma prima ebbono il castello di... E così mostra che·lle infortunate pianete di Saturno e di Marte ci attenessono la 'mpromessa delle loro congiunzioni istate in questo anno di tante battaglie e pericoli in questo nostro paese e altrove, come per noi è fatta e farà menzione.



CCCXXVIII - Come Castruccio fece trattare falsa pace co' parenti fiorentini de' suoi pregioni

Nel detto anno MCCCXXV, dì VII di novembre, i Fiorentini furono in grande sospetto dentro tra·lloro, temendo l'uno dell'altro di tradigione, e spezialmente di certi grandi e popolani possenti, i quali aveano loro figliuoli e fratelli in pregione a Lucca: sì feciono uno dicreto sotto grande pena, che nullo cittadino ch'avesse pregione a Lucca potesse essere castellano di nullo castello, o vicaro di lega o di gente, o richesto a nullo consiglio di Comune; però che sotto colore di pace, a petizione e mossa de' pregioni, teneano trattati con Castruccio contra il volere delli altri cittadini; e non fu sanza gran pericolo, se non che per gli savi cittadini fue riparato.



CCCXXIX - Dell'assedio e perdita di Montemurlo

Nel detto tempo, a dì XVIII di novembre, ancora la gente di Castruccio vennono scorrendo e guastando infino a Giogoli sanza nullo riparo, per ispaventare i Fiorentini; e a dì XXIIII di novembre Castruccio ritornò a Signa con suo isforzo; e a dì XXVII di novembre si puose all'assedio al castello di Montemurlo, e fecevi intorno più battifolli, e il dì seguente ebbe per patti la fortezza degli Strozzi che si chiamava Chiavello, e fecela abattere e tagliare dal piè, e l'altro dì ebbe per forza la torre a Palugiano ch'era de' Pazzi, e morirvi più di XXX uomini, e fecela disfare. E stando all'assedio di Montemurlo lo steccò tutto intorno, e con più difici vi gittava, e fece cavare il castello da la parte de la rocca, e fece cadere molto de le mura. Dentro v'erano per castellani Giovanni di messer Tedici degli Adimari e Neri di messer Pazzino de' Pazzi con CL buoni fanti di masnade; il castello era molto fornito di vittuaglia, ma male fornito d'arme e di gente a sì grande circuito e a tanto affanno di battaglie e di difici e di cave; e più volte mandarono per soccorso a Firenze, almeno che fossono forniti di gente che dentro gli atasse a la guardia. Queglino che·ll'aveano affare, ch'erano all'uficio della condotta de' soldati, per negrigenzia, overo per miseria di spendio, s'indugiarono tanto a fornirlo che quando vollono non ebbono il podere, né altro soccorso non si fece per gli Fiorentini; e si potea fare, che più volte Castruccio non v'avea IIIc cavalieri, e per le grandi nevi e freddure molto straccata la sua gente; ma la viltà e la disaventura era tanta de' Fiorentini, e con esso la discordia, che no·ll'ardirono a·ssoccorrere quando si potea. Quegli del castello veggendosi abandonati da' Fiorentini, avendogli per più volte richesti di soccorso, e veggendo per le cave cadere le mura, e per gli molti difici fragellati, sì cercarono loro patti con Castruccio, e renderono il castello a dì VIII di gennaio MCCCXXV, salve per persone, con ciò che ne potessono trarre, e salvi i terrazzani che vi volessono dimorare; con tutto che malvagiamente trattò i terrazzani, che quasi tutti gli sperse, e recolla a gente di masnade a la guardia, rafforzando il castello molto di rocca e girone di mura e di torri, e murò di fuori la fronte: la quale perdita fu grande vergogna e sbigottimento a' Fiorentini, e fece aspra guerra al contado di Firenze e a quello di Prato.



CCCXXX - Di gente che mandò 'l re Ruberto a' Fiorentini

Nel detto anno, il dì di calen di dicembre, giunsono in Firenze CCC cavalieri che·cci mandò il re Ruberto di Puglia, la metà a nostro soldo. Furono cattiva gente, e niente di bene ci adoperaro. Che se a la loro venuta fossono stati valorosi, coll'altro aiuto de' Fiorentini e loro masnade poteano di leggere levare l'assedio da Montemurlo, ma o per loro viltà, o per comandamento del re, conoscendo la infortuna de' Fiorentini, non vollono fare una cavalcata, ma istarsi in Firenze a la guardia della terra.



CCCXXXI - Della sconfitta che' Pisani ebbono in mare in Sardigna dal re d'Araona, e come feciono pace

Nel detto anno MCCCXXV, in calen di dicembre, si partirono di Porto Pisano XXXIII galee, le quali i Pisani aveano armate per soccorrere e fornire Castello di Castro in Sardigna, ed erano gran parte degli usciti di Genova al loro soldo, e amiraglio messer Guasparre d'Oria; e a dì XXVIIII di dicembre si combatterono coll'armata del re d'Araona nel golfo di Calleri, ch'erano XXXI galea, e XL barche imborbottate, e VII cocche. A la fine de la dura battaglia l'armata de' Pisani furono sconfitti, e prese de le loro VIII galee, e molta gente morta e presa. I Pisani avendo perduta ogni speranza di potere soccorrere Castello di Castro, cercarono accordo col re d'Araona, e mandargli loro ambasciadori in su una galea con lettere e messi di nostro signore lo papa. A la fine la pace si compié, che' Pisani renderono a·re di Raona Castello di Castro e ogni fortezza ch'aveano in Sardigna, e egli gli quetò della rendita del tempo che l'aveano tenuta, poi ch'egli ne fu eletto signore, e l'uno a l'altro renderono i pregioni, e piuvicossi in Pisa la detta pace a dì X di giugno MCCCXXVI.



CCCXXXII - Come la gente di Castruccio ch'erano in Signa corsono infino a la città di Firenze

Nel detto anno MCCCXXV, a dì X di dicembre, le masnade di Castruccio ch'erano in Signa, intorno di CC cavalieri, corsono infino a San Piero a Monticelli, e venienne infino a le porte di Firenze: uscì una masnada di Fiamminghi a combattere con loro; e se per lo capitano della guerra fossono seguiti, aveanne la vittoria; ma per lo soperchio di gente furono rotti e malmenati da quegli di Castruccio. In Firenze si levò il romore, e sonarono le campane, e popolo e cavalieri furono in arme e uscirono fuori, e corsono infino a Settimo sanza ordine niuna. I nimici per lo soperchio si ritrassono a Signa sanza danno niuno; e la gente de' Fiorentini, ch'erano più di VIIIc cavalieri e popolo innumerabile, si tornarono la sera di notte in Firenze. La tratta fu gagliarda e di volontà, ma male ordinata, e per gli savi di guerra fu forte biasimata; che se Castruccio fosse stato in aguato pur con Vc cavalieri, avea sconfitti i Fiorentini, e presa combattendo la città.



CCCXXXIII - Come i Fiorentini stanziarono di dare la signoria de la città e contado al duca di Calavra figliuolo del re Ruberto

Nel detto anno, a dì XXIIII di dicembre, i Fiorentini veggendosi così affritti dal tiranno e in male stato, e con questo male ordinati e peggio in concordia, per cagione de le parti e sette tra' cittadini, e vivendo in paura grande di tradimento, temendo di coloro ch'aveano i loro figliuoli e frategli pregioni in Lucca, i quali erano possenti e grandi in Comune, e la forza del nimico era ogni dì a le porte per lo battifolle di Montemurlo e di Signa; i popolani guelfi, che reggeano la città col consiglio di gran parte de' grandi e possenti, non veggendo altro iscampo per la città di Firenze, sì elessono e ordinarono signore di Firenze e del contado Carlo duca di Calavra, primogenito del re Ruberto re di Gerusalem e di Cicilia, per tempo e termine di X anni, avendo la signoria e aministrazione de la città per suoi vicari, osservando nostre leggi e statuti, ed egli dimorando in persona a fornire la guerra, tenendo fermi M cavalieri, il meno, oltramontani; dovea avere CCm di fiorini d'oro l'anno, pagandosi di mese in mese sopra le gabelle, e avendo uno mese di venuta e uno di ritorno; e fornita la guerra, per vittoria o per onorata pace, potea lasciare uno di sua casa o altro grande barone in suo luogo con IIIIc cavalieri oltramontani, e avere Cm fiorini d'oro l'anno. In questa forma con più altri articoli gli si mandò la lezione a Napoli per solenni ambasciadori; il quale duca, col consiglio del re Ruberto suo padre e de' suoi zii e d'altri de' suoi baroni, accettò la detta signoria a dì XIII gennaio; e saputa l'acettagione in Firenze n'ebbe grande allegrezza, sperando per la sua venuta essere vendicati e diliberi da la forza del tiranno Castruccio, e messi in buono stato. E partissi di Napoli per venire a·fFirenze a dì XXXI di maggio MCCCXXVI.



CCCXXXIV - Come quegli di Bruggia in Fiandra furono sconfitti, e trassono il loro conte di pregione

Nel detto anno MCCCXXV, all'uscita del mese di novembre, parte della gente di Bruggia in Fiandra avendosi rubellati dal loro signore, come addietro è fatta menzione, guerreggiando il paese furono sconfitti tra Bruggia e Guanto dal conte di Namurro e da quegli di Guanto, e morti più di VIc. E poi a pochi giorni quegli del Franco di Bruggia furono sconfitti dal detto conte e da quegli di Guanto, e rimasorne morti più di VIIIc; per le quali sconfitte e abassamento che fu fatto di loro, fu trattato accordo, e quegli di Bruggia trassono di pregione Luis il giovane loro conte e loro signore.



CCCXXXV - Come lo 'nfante figliuolo del re d'Araona tolse le decime del papa

Nel detto anno, del mese d'ottobre, Anfus detto infante d'Araona tolse a' collettori del papa che tornavano di Spagna tutti i danari ricolti di decime e di sovenzioni; e dissesi che furono CCm di fiorini d'oro la valuta; onde il papa si crucciò forte. Il re d'Araona mandò a corte suoi ambasciadori, dicendo come la detta moneta volea in presto per la guerra di Sardigna, e volea darne pegno più castella a la Chiesa, e accordossene col papa. Del mese di novembre presente VI galee del re d'Araona ch'andavano in Sardigna si combatterono con VII di Genovesi, e quelle de' Catalani furono sconfitte, e presane l'una, con grande danno di loro gente.



CCCXXXVI - Come i Fiorentini feciono loro capitano di guerra messere Piero di Narsi

Nel detto anno MCCCXXV, in calen di gennaio, i Fiorentini feciono loro capitano di guerra messer Piero di Narsi cavaliere banderese della contea di Bari de·Loreno, il quale tornando d'oltremare dal Sipolcro, il settembre dinanzi per sua prodezza e valore volle essere a la battaglia, ove i Fiorentini furono sconfitti, ed egli vi fu preso, e 'l figliuolo morto, e di sua gente assai; e tornato lui di pregione per sua redenzione, fu eletto capitano; e presa lui la signoria, con molta prodezza e sollecitudine si resse, tenendo Castruccio assai corto de la guerra, e per suo senno fece trattato con certi conastaboli di suo paese ch'erano con Castruccio di fare uccidere Castruccio e di rubellargli Signa e Carmignano, e tornare da la parte de' Fiorentini con più di CC cavalieri. Iscoperto per Castruccio il detto trattato, a dì XX di gennaio fece tagliare la testa a III conastaboli, due Borgognoni e uno Inghilese, e VI Tedeschi, che teneano mano al tradimento, per la qual cosa molto si turbarono i soldati e masnade di Castruccio; e diede commiato a tutti i Franceschi e Borgognoni ch'avea, intra gli altri a messere Guiglielmo di Noren ch'avea traditi i FiorentIni, ed era di quella giura, onde molto si scompigliaro le masnade di Castruccio.



CCCXXXVII - Come per gli Ghibellini de la Marca fu presa la Roccacontrada

Nel detto anno, a dì XII di gennaio, quegli di Fabbriano con gente ghibellina de la Marca e masnade d'Arezzo presono per tradimento con forza il castello della Roccacontrada, e uccisonvi molti di quegli che teneano la parte della Chiesa, pur de' maggiori de la terra, uomini e donne e fanciugli.



CCCXXXVIII - Come Castruccio arse San Casciano e venne infino a Peretola, e poi arse e abandonò Signa

Nel detto anno, a dì XXX di gennaio, messer Piero di Narsi capitano di guerra in Firenze cavalcò a Signa con IIIIc cavalieri subitamente, e tornò la sera; poi per gelosia di perdere la fortezza vi venne Castruccio in persona a dì III di febbraio, e menonne presi VII conastaboli tra a cavallo e a piè. E per questa cagione de la cavalcata di messer Piero, e per dispetto di ciò, avendo i Fiorentini per niente, Castruccio tornò in Signa con VIIc cavalieri e IIm pedoni a dì XVIIII di febbraio, e cavalcò a Torri in Valdipesa, e guastò e arse tutta la villa levando gran preda; e poi a dì XXII di febbraio fece un'altra cavalcata infino a San Casciano, e arse il borgo e tutta la contrada, e la sera tornò in Signa. Il capitano de' Fiorentini co' cavalieri ch'avea cavalcò il dì in sul poggio di Campaio; ma se fossono iti a la Lastra per lo piano, e preso il passo, Castruccio e sua gente erano sconfitti: si tornarono straccati e male in ordine per l'affanno e lungo cammino ch'aveano fatto il giorno.



CCCXXXIX - Di quello medesimo

E poi, a dì XXV di febbraio, Castruccio per fare più onta a' Fiorentini venne con VIIIc cavalieri e IIIm pedoni infino a Peretola, e incontanente si tornò in Signa, ma per ciò di Firenze non uscì uomo a la difesa. E poi, a dì XXVIII di febbraio, ricolta sua gente fece ardere Signa e tagliare il ponte sopra l'Arno, e abbandonò la terra, e ridussesi a Carmignano, e quello fece crescere e afforzare, e riducere a la guardia de' rubelli di Firenze e di Signa e di tutta la contrada. La cagione perch'abandonò Signa si disse perché gli era di gran costo a mantenerla, e di grande rischio, quando i Fiorentini fossono stati valorosi, essendo così di presso a la città, e sentendo come il duca s'aparecchiava di mandare gente a·fFirenze, temendo che la gente che tenea in Signa non fosse soppresa. Ma bene ebbe tanto ardire Castruccio e tanto gran cuore, che istando in Signa cercò con grandi maestri se si potesse alzare con mura il corso del fiume d'Arno a lo stretto della pietra Golfolina per fare allagare i Fiorentini, ma trovarono i maestri che 'l calo d'Arno da Firenze infino là giù era CL braccia, e però lasciò di fare la 'mpresa.



CCCXL - Come i Bolognesi feciono pace con messer Passerino

Nel detto anno, in calen di febbraio, i Bolognesi feciono pace con messer Passerino signore di Mantova e di Modana, e per patti riebbono tutti i loro castelli e fortezze e Monteveglio, perché furono sconfitti, e tutti i loro pregioni: e per sicurtà della pace diedono XL stadichi, giovani garzoni figliuoli di buoni uomini di Bologna.



CCCXLI - Come certe masnade d'Arezzo furono sconfitte da quelle de' Perugini

Nel detto anno, a dì XVII di febbraio, CCC soldati del vescovo d'Arezzo ch'erano a la Città di Castello, andando a guastare il castello de la Fratta, si scontrarono colle masnade de' Perugini, e combattersi insieme aspramente; e se non fosse ch'era presso a notte grande dammaggio si faceano insieme. A la fine quegli d'Arezzo n'ebbono il peggiore.



CCCXLII - Come la gente de la Chiesa, capitano messer Vergiù di Landa, cominciaro guerra a Modana

Nel detto anno, a dì X di marzo, messer Vergiù di Landa venne sopra Modana con VIIIc cavalieri di quegli della Chiesa, e ripuose Sassuolo; e poi del mese di maggio prese Castelvecchio, e più castelletta e villaggi de' Modanesi. E' Fiorentini vi mandarono in aiuto della Chiesa CC cavalieri; e con questa gente e co' figliuoli di messere Ghiberto da Coreggia messer Vergiù vinse per forza, a dì XV di giugno MCCCXXVI, l'isola di Sezzana ch'era steccata e guernita di bertesche, e avevavi CC cavalieri e IIIm pedoni a guardia per lo signore di Mantova, i quali furono sconfitti, e presa la fortezza del ponte a Borgoforte di qua da Po, iscorrendo il mantovano con grande danno de' ribelli della Chiesa. E poi a dì II di luglio presono per forza gli antiporti e' borghi di Modana, ch'erano affossati e steccati; e' cavalieri de' Fiorentini furono de' primai ch'entrarono a l'antiporta, e poco fallì che non ebbono la città; e stettono tutto luglio a l'assedio di Modana tenendola molto stretta. A l'uscita di luglio messer Passerino colla lega de' Ghibellini di Lombardia per tema di perdere Modana si partirono dall'assedio d'uno castello de' marchesi Cavalcabò in chermonese, e feciono al Po ponte di navi. Messer Vergiù e sua gente sentendo il soperchio de' nimici misono fuoco ne' borghi di Modana e se ne partiro, e tornarono a Reggio, e guastarla intorno.



CCCXLIII - Come 'l vescovo d'Arezzo fece disfare Laterino

Nell'anno MCCCXXVI, del mese di marzo, il vescovo d'Arezzo fece disfare il castello di Laterino, che non vi rimase pietra sopra pietra, e eziandio fece tagliare il poggio in croce, acciò che mai non vi si potesse su fare fortezza; e tutti gli abitanti fece andare in diverse parti, ch'erano bene Vc famiglie; e ciò fece per dispetto degli Ubertini, e acciò che nol potessono rubellare, perché sentì che alcuno di loro venne a Firenze per trattare di dare il detto Laterino a' Fiorentini e allegarsi co·lloro, però che 'l vescovo gli avea cacciati d'Arezzo, perch'egli cercavano in corte col papa che 'l proposto d'Arezzo, ch'era degli Ubertini, avesse il vescovado d'Arezzo.



CCCXLIV - Come i Ghibellini della Marca corsono la città di Fermo, e ruppono la pace ordinata colla Chiesa

Nel detto anno, a dì XXVI di marzo, essendo trattato accordo da quegli della città di Fermo colla Chiesa, e quegli della terra faccendone festa e ballando per la città uomini e donne, quegli d'Osimo con certi caporali ghibellini de la Marca, non piaccendo loro l'accordo, entrarono nella città e corsonla, e uccisonne de' caporali che voleano l'accordo, e nel palagio del Comune misono fuoco, essendovi il consiglio per lo detto accordo compiere; e molta buona gente vi morì, e furono arsi e magagnati.



CCCXLV - Come Castruccio con sua gente cavalcò in Creti e infino a Empoli

Nel detto anno Castruccio, avendo di poco avuta la castellina di Creti, che uno de' Frescobaldi che·ll'avea in guardia per moneta la rendé, sì si distese poi Castruccio e sua gente per lo Creti, e diede battaglia a Vinci e a·cCerreto e a Vitolino, e passò Arno infino a Empoli. E poi a dì V d'aprile ebbe il castelletto di Petroio sopra Empoli, e quello guernì: e co la castellina gran danno faceano alla strada e a tutto il paese. Ma poi a dì XXV di giugno abandonò Petroio e disfecelo, per tema della venuta del duca d'Atene e gente del re Ruberto.



CCCXLVI - Come il vescovo d'Arezzo fu privato dello spirituale per lo papa, e come fu eletto legato per venire in Toscana

Nel detto anno, a dì XVII d'aprile, papa Giovanni in concestoro di tutti i cardinali apo Vignone dispuose il vescovo d'Arezzo de' Tarlati dello spirituale del vescovado, e concedettelo in guardia al proposto della chiesa d'Arezzo, ch'era degli Ubertini; ma per ciò non lasciò, e non ubbidette a' mandati del papa. E in quello concestoro elesse il papa per legato in Toscana e terra di Roma, per richesta e petizione de' Fiorentini e del re Ruberto, messer Gianni Guatani degli Orsini dal Monte cardinale, e fecelo paciaro in Toscana, acciò che mettesse consiglio e pace nelle discordie di Toscana, dandogli grande autoritade di procedere spiritualmente a chi fosse disubbidiente a la Chiesa.



CCCXLVII - Come si ricominciò guerra in Romagna

Nel detto anno MCCCXXVI, del mese d'aprile, si cominciò guerra in Romagna tra Forlì e Faenza, e rubellossi per gli Ghibellini il castello di Lucchio. Quegli di Faenza e' Guelfi l'assediaro, e' Ghibellini di Romagna e di Lombardia vi vennono a fornirlo con gran forza; e di Firenze e di Toscana v'andò gente in servigio de' Guelfi. A la fine per accordo s'arrendé a' signori di Faenza.



CCCXLVIII - Come Castruccio cavalcò in su quello di Prato, e fece fare una fortezza al ponte Agliana

Nel detto anno, del mese d'aprile, Castruccio avendo molto molestati i Pratesi, e sostenea uno battifolle fatto in Valdibisenzo chiamato Serravallino, e un altro presso a l'Ombrone verso Carmignano, sì ne puose un altro a ponte Agliana tra Prato e Pistoia per guerreggiare i Pratesi, e perché i Pistolesi potessono lavorare le loro terre: le quali fortezze furono tutte abandonate e disfatte alla venuta del duca d'Attene luogotenente del duca di Calavra.



CCCXLIX - Come Azzo Visconti fece guerra a' Bresciani, e tolse loro più castella

Nel detto tempo, del mese di marzo e d'aprile, Azzo Visconti co le masnade di Milano fece gran guerra a' Bresciani, e tolse loro più castella e fortezze.



CCCL - Come messer Piero di Narsi capitano de' Fiorentini fu isconfitto da la gente di Castruccio, e poi mozzo il capo

Nel detto tempo, a dì XIIII di maggio, messer Piero di Narsi capitano di guerra de' Fiorentini per fare alcuna valentia innanzi che la gente del duca venisse, si cercò uno trattato con certi conastaboli borgognoni e di suo paese ch'erano con Castruccio, d'avere il castello di Carmignano; e segretamente, sanza sentirlo niuno Fiorentino, si raunò di tutte le masnade CC de' migliori cavalieri e con gente a piè da Vc, e subitamente si partì di Prato, e passò l'Ombrone scorrendo la contrada; il quale da' detti conastaboli fu tradito, ch'eglino colla gente di Castruccio aveano messo inn-aguato in due luogora IIIIc cavalieri e popolo assai, e uscirono adosso al detto messer Piero e sua gente, il quale co' primi combattendo vigorosamente, e ruppegli; ma poi sopravegnendo l'altro aguato, fu rotto e sconfitto e preso, egli e messer Ame di Guberto e messer Utasso, conostaboli franceschi, e bene XI cavalieri di corredo, e XL scudieri franceschi e gente a piè assai; onde in Firenze n'ebbe gran dolore, con tutto se n'avesse colpa per la sua troppa sicurtà e non volere consiglio. Avuta questa vittoria Castruccio, venne in Pistoia e fece tagliare la testa al detto messere Piero, opponendogli come gli avea giurato, quando si ricomperò di sua pregione, di non essergli incontro; ma non fu vero, che messer Piero era leale cavaliere e pro', e di lui fu gran dammaggio; ma fecelo morire Castruccio per crescere più l'onta de' Fiorentini, e per ispaurire i Franceschi loro soldati.



CCCLI - Come il duca d'Atene venne in Firenze vicaro del duca di Calavra

Nel detto anno MCCCXXVI, a dì XVII di maggio, giunse in Firenze il duca d'Atene e conte di Brenna con IIIIc cavalieri, per vicario del duca di Calavra, e tutte le signorie fece giurare sotto la signoria del duca di Calavra e sua; e cassò tutte lezioni fatte de' priori per lo innanzi, e' primi priori a mezzo giugno fece a sua volontà. Il detto signore mandò il re Ruberto innanzi, perché il granduca indugiava più sua venuta, per cagione dell'armata ch'aparecchiava per mandare in Cicilia; e i detti cavalieri vennono a mezzo soldo del re, e l'altro mezzo del Comune di Firenze. E quello tanto tempo che 'l detto duca d'Atene tenne la signoria, ciò fu infino a la venuta del duca di Calavra figliuolo del re, la seppe reggere saviamente e fu signore savio e di gentile aspetto, e menò seco la moglie figliuola del prenze di Taranto e nipote del re Ruberto: albergò a casa de' Mozzi Oltrarno; e a dì XXII di maggio fece piuvicare in Firenze lettere papali, come la Chiesa avea fatto il re Ruberto vicario d'imperio in Italia vacante imperio.



CCCLII - Come l'armata del re Ruberto andò in Cicilia, e poi come tornò in Maremma e nella riviera di Genova

Nel detto tempo, a dì XXII di maggio, si partì di Napoli l'armata del re Ruberto, la quale furono LXXXX tra galee e uscieri e più altri legni passaggeri con M cavalieri; de la quale armata fu ammiraglio e capitano il conte Novello conte d'Andri e di Montescheggioso de la casa del Balzo; e a dì XIII di giugno arrivarono in Cicilia ne la contrada di Patti, e guastarono infino a Palermo, e poi nel piano di Melazzo; e poi si ricolsono a galee, e valicarono per lo Fare, e guastarono intorno a Cattana e Agosta e Seragosa, e tornaro infino a le mura di Messina; e poi si ricolsono in galee, e rivalicarono per lo Fare sanza contasto niuno, e ripuosonsi ancora nel piano di Melazzo. Allora il figliuolo di don Federigo, che si chiamava il re Imperio, vi cavalcò con VIIc cavalieri; ma il conte s'era già ricolto con suo stuolo a galee, sì che non v'ebbe battaglia, ma grandissimo danno e guasto feciono all'isola di Cicilia. Poi, a dì XIIII di luglio, tornati all'isola di Ponzo, e rinfrescati di vittuaglia, si partirono, e com'era ordinato di venire nella riviera di Genova e in Lunigiana, la detta armata per guerreggiare gli usciti di Genova e Castruccio da quella parte, e 'l duca verso Firenze; e partendosi, arrivarono in Maremma, e a dì XX di luglio scesono in terra, e presono per forza il castello di Magliano, e quello di Colecchio, e più altre villate de' conti da Santa Fiore, levando grandi prede con grande danno de' detti conti. Poi si partirono di Maremma, e lasciarono guernito Magliano di C cavalieri per guerreggiare i detti conti; si partirono e arrivarono a Portoveneri, e là s'accozzarono coll'oste de' Genovesi per racquistare le terre della riviera e fare guerra a Castruccio, ma poco v'aprodaro di racquistare fortezza niuna, se non che arsono per forza combattendo i borghi di Lievanto e poi quegli di Lerice; e bistentando nel golfo della Spezia, non s'ardirono di scendere in Lunigiana, però che Castruccio v'era guernito di molti cavalieri e pedoni, e 'l duca di Calavra non era ancora uscito ad oste sopra quello di Lucca, com'era fatta l'ordine; sì che stando e operando invano, a l'uscita di settembre si dipartì la detta armata, e' Genovesi tornarono in Genova, e' Provenzali in Proenza, e l'altre a Napoli; ma il conte Novello scese in Maremma, e con C cavalieri venne al duca di Calavra ch'era in Firenze.



CCCLIII - Come il legato del papa arrivò in Toscana e venne in Firenze

Nel detto anno MCCCXXVI messere Gianni degli Orsini cardinale e legato per la Chiesa arrivò a Pisa in su V galee de' Pisani a dì XXIII di giugno, e da' Pisani gli fu fatto grande onore, con tutto che in grande guardia e gelosia erano, sentendo in Firenze il duca d'Atene. E in quegli giorni IIIIc cavalieri provenzali, gentili uomini, vennono per mare in su X galee di Proenza a Talamone per venire in Firenze. Istando il legato in Pisa, Castruccio gli mandò lettere, dicendo in tinore che con tutto che·lla fortuna l'avesse fatto ridere s'acconciava di volere pace co' Fiorentini; ma furono parole vane e infinte, a quello che seguì poi. Dimorato il legato in Pisa alquanti giorni, si venne in Firenze a dì XXX di giugno, e da' Fiorentini fu ricevuto onorevolemente quasi come papa, e fattogli dono di M fiorini d'oro in una coppa. Albergò a Santa Croce al luogo de' frati minori, e a dì IIII di luglio piuvicò la sua legazione, e com'era legato e paciaro in Toscana, e nel Ducato, e nella Marca d'Ancona, e in Campagna e terra di Roma, e nell'isola di Sardigna, faccendo per sue lettere amonizione a tutte le città e signori di sua legazione che 'l dovessono ubbidire e dare aiuto e favore.



CCCLIV - Come IIIc cavalieri di quegli del signore di Milano furono sconfitti a Tortona

Nel detto tempo, a dì XXVIIII di giugno, IIIc cavalieri di quegli di Galeasso signore di Milano con popolo assai uscirono di Pavia, e vennono per guastare Tortona; e guastando la contrada, e sparti d'intorno di Tortona, uscirono CL cavalieri di quegli del re Ruberto e della Chiesa, e tutti quegli della terra per comune, e sconfissongli con danno di loro, e assai morti e presi.



CCCLV - Come Tano da Iegi sconfisse gente de' Ghibellini de la Marca, e come in Rimine fu fatto uno grande tradimento

Nel detto tempo, all'entrante di luglio, gente di Fabbriano e altri Ghibellini de la Marca, intorno di CCCL cavalieri e popolo assai, essendo cavalcati per prendere o guastare il castello di Murro, Tano signore d'Iegi coll'aiuto de' Malatesti di Rimine vennono al soccorso di Murro subitamente, e trovando sparti e sproveduti gl'inimici, gli misono in isconfitta con grande danno di loro. Essendo messer Malatesta con sua gente al detto Murro, messer Lamberto, figliuolo di Gianniciotto suo cugino, per signoreggiare Rimine sì ordinò uno laido tradimento, sì come pare costume di Romagnuoli; che fece invitare messer Ferrantino e 'l suo figliuolo suoi consorti, e a tavola mangiando co·llui gli fece assalire con arme, e prendere e ritenere, e quale di loro famiglia si mise a la difensione di loro signori fu morto e tagliato; e poi ciò fatto, corse la terra faccendosene signore. Sentendo ciò messer Malatesta ch'era a Murro, subitamente cavalcò con sua gente e con sua amistà a la città di Rimine, e là giugnendo fece tagliare una porta coll'aiuto de' suoi amici d'entro, e corse la terra, e riscosse i pregioni suoi cugini. Il traditore messer Lamberto veggendo la forza di messer Malatesta non si mise a difensione, ma fuggendo a gran pena scampò nel castello di Santangiolo in loro contrada.



CCCLVI - Come il duca venne in Siena, ed ebbe la signoria V anni

Nel detto anno, a dì X di luglio, il duca di Calavra con sua baronia e cavalieri entrò nella città di Siena, e da' Sanesi fu ricevuto onorevolemente. Trovò la terra molto partita per la guerra ch'era intra' Tolomei e' Salimbeni, che quasi tutti i cittadini chi tenea coll'uno e chi coll'altro; e' Fiorentini temendo per quella discordia che la terra non si guastasse, e parte guelfa non prendesse altra volta per la detta discordia, sì mandarono per loro ambasciadori pregando il duca che per Dio non si partisse della terra infino che non gli avesse acconci insieme, e avesse la signoria della città; e 'l duca così fece, che tra le due case Tolomei e Salimbeni fece fare triegua con sofficiente sicurtà V anni, e fecevi molti cavalieri novelli, e dimorovvi infino a dì XXVIII di luglio; e in questa dimoranza tanto s'adoperò tra per paura e per amore, come sono le parti nella città divise, gli fu data la signoria di Siena per V anni sotto certo modo e ordine, e per questa stanza del duca in Siena, volle da' Fiorentini oltre a' patti XVIm fiorini d'oro, onde i Fiorentini si tennono male appagati.

LIBRO UNDECIMO



I - Qui comincia lo XI libro, il quale conta de la venuta in Firenze di Carlo duca di Calavra figliuolo del re Ruberto, per la cui venuta fu cagione che lo re eletto de' Romani venne de la Magna in Italia

Carlo duca di Calavra e primogenito del re Ruberto re di Gerusalem e di Cicilia entrò nella città di Firenze mercolidì all'ora di mezzodì, dì XXX di luglio MCCCXXVI, co la duchessa sua moglie e figliuola di messere Carlo di Valos di Francia, cogl'infrascritti signori e baroni, cioè messer Gianni fratello del re Ruberto e prenze de la Morea colla donna sua, messer Filippo dispoto di Romania e figliuolo del prenze di Taranto nipote del re, il conte di Squillaci, messer Tommaso di Marzano, il conte di Sansoverino, il conte di Chiermonte, il conte di Catanzano e quello di Sangineto in Calavra, il conte d'Arriano, il conte Romano di Nola, il conte di Fondi nipote di papa Bonifazio, il conte di Minerbino, messer Guiglielmo lo Stendardo, messer Amelio dal Balzo, il signore di Berra e quello di Merlo, messer Giuffredi di Gianvilla, e messer Iacomo di Cantelmo, e Carlo d'Artugio di Proenza, e 'l signore del Sanguino, e messer Berardo di siri Grori d'Aquino, e messer Guiglielmo signore d'Ebole, e più altri signori e cavalieri francesci e provenzali e catalani e del Regno e napoletani, i quali furono in quantità, co' Provenzali che vennono per mare, da MD cavalieri, sanza quegli del duca d'Atene, ch'erano IIIIc; intra' quali tutti avea bene CC cavalieri a sproni d'oro, molto bella gente e nobile, e bene a cavallo, e in arme, e in arnesi, che bene MD some a muli a campanelle aveano. Da' Fiorentini fu ricevuto con grande onore e processione; albergò nel palagio del Comune di costa a la Badia, ove solea stare la podestà, e sì tenea ragione; e la signoria e le corti de la ragione andò a stare in Orto Sammichele ne le case che furono de' Macci. E nota la grande impresa de' Fiorentini, che avendo avute tante afflizzioni e dammaggi di persone e d'avere, e così rotti insieme, in meno d'uno anno col loro studio e danari feciono venire in Firenze uno sì fatto signore, e con tanta baronia e cavalleria, e il legato del papa, che fu tenuta grande cosa da tutti gl'Italiani, e dove si seppe per l'universo mondo. E dimorato il duca in Firenze alquanti dì, sì mandò per l'amistà. I Sanesi gli mandarono CCCL cavalieri, i Perugini CCC cavalieri, i Bolognesi CC cavalieri, gli Orbitani C cavalieri, i signori Manfredi da Faenza con C cavalieri, il conte Ruggieri mandò CCC fanti, e 'l conte Ugo in persona con CCC fanti, e la cerna de' pedoni del nostro contado; e per tutti si credette che facesse oste; e l'apparecchiamento fu grande, e fece imporre a' cittadini ricchi LXm fiorini d'oro. Poi, quale si fosse la cagione, non procedette l'oste: chi disse perché il re suo padre non volle, sentendo che tutti i tiranni di Lombardia e di Toscana s'apparecchiavano di venire in aiuto a Castruccio per combattere col duca; e chi disse che l'ordine fatto per lo duca sì dell'armata e sì d'altri trattati, e ancora i Fiorentini molto stanchi delle spese, non era bene disposta la materia; e per alcuno si disse che Castruccio era stato in trattato di pace col legato e col duca, e sotto il trattato trasse suoi vantaggi da la lega de' Ghibellini di Lombardia, e si fornì; e così ingannò il duca, e tornò in vano la 'mpresa; e a questa diamo più fede, che fummo presenti; con tutto che molti dissono che se 'l duca fosse stato franco signore, avendo tanta baronia e cavalleria, sanza porsi a soggiornare nella sua venuta né a Siena né a Firenze, e del mese di luglio e d'agosto che Castruccio fu forte malato, avendo cavalcato verso Lucca, avea vinta la guerra a·ccerto.

 

 



II - Di quistioni che 'l duca mosse a' Fiorentini per istendere sua signoria

Poi a dì XXVIIII d'agosto sequente il duca volle dichiarare co' Fiorentini la sua signoria, e allargare i patti, spezialmente di potere liberamente fare priori a sua volontà, e simile ogni signoria e ufici e guardia di castella e in città e in contado, e a potere a sua volontà fare guerra e pace, e rimettere in Firenze isbanditi e ribelli, nonistante altri capitoli; e fecesi riconfermare la signoria per X anni, cominciandosi in calen di settembre, MCCCXXVI. E in questa mutazione ebbe grande gelosia in Firenze, però che' grandi e' potenti per rompere gli ordini della giustizia del popolo si raunarono insieme, e voleano dare la signoria libera al duca e sanza termine, e niuno salvo; e ciò non faceano né per amore né fede ch'al duca avessono, né che a·lloro piacesse sua signoria per sì fatto modo, ma solamente per disfare il popolo e gli ordini della giustizia. Il duca sopra·cciò ebbe savio consiglio, e tenne col popolo, il quale gli avea data la signoria, e così s'aquetò la città, e' grandi rimasono di ciò molto ispagati.



III - Come il cardinale piuvicò processo contra Castruccio e 'l vescovo d'Arezzo

Nel detto tempo, a dì XXX d'agosto, il legato cardinale, veggendo che Castruccio e 'l vescovo d'Arezzo l'aveano tenuto in parole dell'accordo e fare i suoi comandamenti, sì piuvicò nella piazza di Santa Croce, ove fu il duca e tutta sua gente e' Fiorentini e' forestieri contra' detti, aspri processi contra Castruccio, sì come scomunicato per più casi, e sismatico e fautore degli eretici, e persecutore de la Chiesa, privandolo d'ogni sua dignità, e che ogni uomo lui e sua gente potesse offendere in avere e persone sanza peccato, iscomunicando chi gli desse aiuto o favore; e il vescovo d'Arezzo de' Tarlati scomunicò per simile modo, e 'l privò del vescovado, dello spirituale e temporale.



IV - Del fallimento della compagnia degli Scali di Firenze

Nel detto tempo, a dì IIII d'agosto, fallì la compagnia degli Scali e Amieri e figliuoli Petri di Firenze, la quale era durata più di CXX anni, e trovarsi a dare tra cittadini e forestieri più di IIIIc migliaia di fiorini d'oro; e fue a' Fiorentini maggiore sconfitta, sanza danno di persone, che quella d'Altopascio, però che chi aveva danari in Firenze perdé co·lloro; sì che da ogni parte il detto anno i Fiorentini sì di sconfitte, sì di mortalità, sì di perdita di possessioni arse e guaste, e sì di pecunia, ebbono grande persecuzione; e molte d'altre buone compagnie di Firenze per lo fallimento di quella furono sospette con grande danno di loro.



V - Come si murò il castello di Signa per gli Fiorentini

Nel detto anno MCCCXXVI, dì XIIII del mese di settembre, i Fiorentini veggendo che 'l duca loro signore non era acconcio di fare oste né cavalcata contra Castruccio signore di Lucca in quello anno, sì ordinarono di riporre ed afforzare Signa e Gangalandi, acciò che 'l piano e contado da quella parte si potesse lavorare; e così fu fatto, e Signa fu murata di belle mura e alte, e con belle torri e forti, de' danari del Comune di Firenze, e fu fatta certa immunità e grazia a quale terrazzano vi rifacesse le case; e Gangalandi s'ordinò di riporre per me' la pieve scendendo verso l'Arno sopra capo al ponte: fecionsi i fossi, ma non si compié allora.



VI - Conta della prima impresa di guerra che 'l duca di Calavra fece con tra Castruccio

Nel detto anno, a l'entrante d'ottobre, il duca di Calavra signore di Firenze ordinò con Ispinetta marchese Malispina ch'egli entrasse nelle sue terre di Lunigiana a guerreggiare da quella parte Castruccio, e soldogli in Lombardia CCC cavalieri, e il legato di Lombardia gline diè CC di quegli della Chiesa, e C ne menò da Verona di quegli di messer Cane suo signore, e valicò da Parma l'alpi e venne nelle sue terre, e puosesi ad assedio del castello di Verruca Buosi, che Castruccio gli avea tolto. Da l'altra parte in quello medesimo tempo usciti di Pistoia a petizione del duca, sanza saputa o consiglio di niuno Fiorentino, rubellarono a Castruccio nell'alpe e montagne di Pistoia due castella, Cavignano e Mammiano. Castruccio veggendosi assalire per sì fatto modo, con tutto che l'agosto dinanzi fosse stato malato a moRte d'una sua gamba, come valente signore, vigorosamente e con grande sollecitudine s'argomentò a riparo, che incontanente fece porre campo e battifolli, overo bastite, molto forti a le dette due castella, ed egli cogli più della sua cavalleria venne a Pistoia per fornire la sua oste, e per istare a·ppetto al duca e a' Fiorentini, acciò che non potessono soccorrere le dette castella. Al duca e al suo consiglio parve avere fatta non savia impresa, ma perché avea promesso a quelle castella il suo soccorso, sì vi mandò la masnada de' Tedeschi, ch'erano CC cavalieri, i quali teneano i Fiorentini, e C altri soldati con Vc pedoni, e capitano di loro messer Biagio de' Tornaquinci di Firenze, i quali salirono a la montagna; ma per forti passi e per grandi nevi che vennono in quegli giorni non s'ardirono di scendere a fornire le castella; e sentendo l'assedio de la gente di Castruccio, ch'era grosso, il duca fece cavalcare a Prato quasi tutta sua gente e l'amistadi, che furono intorno di IIm cavalieri e pedoni assai. E da Prato si partì di questa gente messer Tommaso conte di Squillaci con CCC cavalieri scelti, e co·llui messer Amerigo Donati, e messere Giannozzo Cavalcanti con M pedoni, e salirono a la montagna per pugnare di fornire per forza le dette castella; e l'altra cavalleria e popolo ch'era in Prato cavalcarono infino a le porte di Pistoia, e poi si puosono a campo in sul castellare del Montale, e stettonvi III dì attendati; e in questa stanza fu il più forte tempo di vento e d'acqua, e a la montagna di nevi, che si ricordi di gran tempo; che per necessitade quelli ch'erano al Montale, non possendo tenere le tende tese, convenne che·ssi levassono e tornassono in Prato; e levati, tornaro sanza niuna buona ordine di guerra per tal modo che se Castruccio fosse stato in Pistoia, avrebbono avuto assai a·ffare. E la gente nostra ch'era a le montagne, per lo grande freddo e nevi appena poteano vivere, e falliva loro la vittuaglia sì che per necessità, e ancora perché Castruccio con tutta sua gente vi cavalcò da Pistoia e rafforzò l'oste e prese i passi che venieno a le dette castella, sì che la gente del duca in nulla guisa poterono fornire le dette castella, e furono in aventura d'essere sorpresi; e se poco avessono atteso che la gente di Castruccio si fossono ingrossati e stesi sopra i passi delle montagne, non ne scampava mai uno. E pur così ebbono assai a·ffare, e lasciarono per le montagne assai cavagli e somieri istraccati, e convenne loro per forza tornare per lo contado di Bologna. E partita la gente del duca, i detti due castelli, quegli che v'erano dentro, di notte si fuggirono; ma gli più di loro furono morti e presi, e la nostra gente tornarono in Firenze a dì XX d'ottobre con onta e con vergogna. Avute Castruccio le dette castella, sanza tornare in Pistoia o andarne a Lucca, come sollecito e valoroso signore sì traversò colla sua oste per le montagne di Carfagnana e di Lunigiana, per torre il passo e la vittuaglia a Spinetta e alla sua oste. Il detto Spinetta sentendo la venuta di Castruccio, e udendo com'egli avea prese le dette castella, e più, che·lle spie non vere rapportarono come la gente del duca era stata sconfitta a la montagna, si ritrasse con sua gente e lasciò la 'mpresa, e ripassò l'alpe, e ritornò in Parma. E di vero, se poco più vi fosse dimorato, sì v'era preso con tutta sua gente. E così la prima impresa del duca per non proveduto consiglio tornò in vano, e con vergogna. E ciò fatto, Castruccio fece disfare in Lunigiana le più delle fortezze che v'erano, perché non gli si rubellassono, e tornò in Lucca con gran trionfo, e fece ardere e guastare il suo castello di Montefalcone in su la Guisciana, e quello del Montale di Pistoia per avere meno a guardare, e perché la gente del duca non gli potessono prendere. Avemo sì lungamente detto sopra la materia, imperciò che furono nuovi e diversi avenimenti di guerra in pochi giorni. Lasceremo alquanto de' fatti della nostra guerra, e diremo di grandi e nuove cose ch'avennono in Inghilterra in quegli medesimi tempi.



VII - Come la reina d'Inghilterra fece oste sopra il re suo marito, e preselo

Egli avenne, come adietro si fece in alcuna parte menzione, che la reina Isabella d'Inghilterra, serocchia del re di Francia, passò col suo maggiore figliuolo in Francia per compiere la pace dal marito al re di Francia della guerra di Guascogna, e per suo studio vi si diede compimento; e ciò fatto, si dolfe al re suo fratello e agli altri suoi parenti del portamento disonesto e cattivo che tenea il re Adoardo secondo d'Inghilterra suo marito, il quale co·llei non volea stare; ma tegnendo vita in avolterio e in lussuria in più disonesti modi, a la sodotta d'uno messer Ugo il Dispensiere suo barone, e guidatore del reame, e lasciandogli usare sua mogliera, la quale era nipote del re, e altre donne, acciò che la reina non degnasse vedere; e sì era delle più belle donne del mondo la reina. Il quale messer Ugo Dispensiere il nutricava in questa misera vita, e del tutto avea rovesciato in lui il governo di sé e di tutto il reame, mettendo adietro quegli di suo lignaggio e tutti gli altri gran baroni, e la reina e 'l figliuolo recati a niente. Questo messer Ugo era di piccolo lignaggio d'Inghilterra, e Dispensieri avea nome, però che l'avolo fu dispensiere del re Arrigo d'Inghilterra, e poi messer Ugo il padre fu dispensiere del re Adoardo primo, padre di questo re; ma per lo grande uficio e cattività del re era questo messer Ugo montato in grande signoria, e avea l'anno più di XXXm marchi di sterlini di rendita, e tutto il governo del reame in mano, e per moglie una nipote del re nata di sua suora; e per la sua disordinata trascotanza era montato in tanta superbia che si credea essere re, e la reina e' figliuoli del re non volea ch'avessono nulla signoria né stato. Per la qual cosa la donna non volendo tornare in Inghilterra, se 'l re non cessasse da sé il governo del detto messere Ugo il Dispensiere e de' suoi seguaci, e di ciò fece scrivere e mandare ambasciatori al re di Francia; ma però niente valse, e de la moglie e figliuolo si mise a non calere, sì era amaliato del consiglio del detto messere Ugo. Per la qual cosa la valente reina, data per moglie al figliuolo la figliuola del conte d'Analdo, e con aiuto di moneta del re di Francia suo fratello e d'altri suoi amici, ordinò in Olanda ne le terre del detto conte d'Analdo una armata di LXXX tra navi e cocche picciole e grandi, e soldò tra d'Analdo e di Brabante e di Fiandra VIIIc cavalieri, e ricolti in su la detta armata ella e 'l figliuolo co la detta gente, onde fece capitano messer Gianni fratello del conte d'Analdo, e partìsi d'Olanda del mese di settembre, gli anni di Cristo MCCCXXVI, faccendo disfidare il marito e chi 'l seguisse; e fece intendere e dare boce in Inghilterra ch'ella fosse allegata cogli Scotti e nimici del re, e là a le confini d'Inghilterra e di Scozia farebbe porto co la sua armata per accozzarsi cogli Scotti.



VIII - Di quello medesimo

Lo re Adoardo sentendo l'aparecchiamento del navilio e de' cavalieri che gli venia adosso co la moglie e col figliuolo, col consiglio del detto messer Ugo si ritrasse con sua gente d'arme verso le marce e' confini di Scozia per non lasciare la detta armata porre in terra. Ma il capitano de la detta armata maestrevolemente procedendo, non andarono al luogo ove aveano data la boce, ma puosono a Giepsivi presso di Londra a LXX miglia, a dì XV d'ottobre MCCCXXVI. Incontanente ch'ebbono posto in terra, il popolo di Londra si levò a romore, e corsono la terra, gridando: "Viva la reina e il giovane re, e muoiano i dispensieri e i loro seguaci"; e presono il vescovo di Silcestri, ch'era aguzzetta del detto messer Ugo, e tagliargli la testa; e tutti i famigliari e' seguaci de' dispensieri che trovarono uccisono; e le case della compagnia de' Bardi loro mercatanti rubarono e arsono, e più giorni durò la città ad arme e disciolta infino a la venuta della reina; e simile quasi tutti i baroni d'Inghilterra si ridussono co la reina, e abandonarono lo re. E giunta la reina in Londra fu ricevuta a grande onore, e riformata la terra, non s'intese ad altro che perseguitare i dispensieri e lo re. E in questo mese fu preso messer Ugo il vecchio, padre di messer Ugo il giovane il Dispensiere che guidava il re, e fu tranato co le sue armi indosso, e poi impiccato. E ciò fatto, la reina e 'l figliuolo con sua oste seguirono il re e messer Ugo infino in Guales, ch'erano nel castello chiamato Carfagli, gli assediarono più tempo, il quale era molto forte di selve e di marosi. A la fine s'accordò il re col detto messer Ugo, e comunicarsi insieme di mai non abbandonarsi, e armarono uno battello, e di notte uscirono del castello per andarsene in Irlanda con uno loro seguace ch'avea nome il Baldotto, prete e roffiano, e più altri famigliari. Ma come piacque a Dio, non erano sì tosto infra mare XX miglia, che 'l vento e tempesta di fortuna e la corrente gli recava a terra, e questo fu per più volte; e veggendo che non poteano passare, sì scesono in terra nel profondo e salvatico di Gales per venire al castello di Carsigli ov'era il figliuolo del detto messer Ugo, quasi con poca compagnia e sconosciuti. Il conte di Lancastro cugino del re, e fratello di colui a cui fece tagliare la testa con gli altri baroni, come inn-altra parte facemmo menzione, sì gli faceva a sua gente perseguitare il re e messere Ugo tanto, che gli trovarono presso di Meti in Guales: gli sorpresono; e 'l re domandando s'erano amici, dissono di sì, e che l'aveano per loro signore, e inginocchiarsi a·llui, ma che voleano messer Ugo; allora disse il re: "Non siete con meco, se voi siete contra costui"; e lo re tenendo messer Ugo accostato a·llui, e 'l braccio in collo per guarentillo, nullo gli ardia a porre mano adosso per prenderlo; ma il capitano di quella gente sagacemente richiese il re di parlarli in segreto per suo grande bene. Il re iscostandosi da messer Ugo per parlare a colui, un altro della compagnia... disse al detto messere Ugo, se volea scampare il seguisse; e così fece.

Incontanente dal Guales il traviarono per boschi di lungi bene XXX miglia; e lo re veggendosi così ingannato si dolfe molto, ma poco gli valse; che cortesemente fu menato egli e 'l Baldotto e gli altri ch'erano co·lloro presi. Come il conte sentì come lo re e sua compagnia erano presi, sì cavalcò in quella parte, e trovando traviato messer Ugo, andò in verso la casa di colui che l'avea preso; trovando, lo menò; e partito da' compagni, e' prese la moglie e' figliuoli, e minacciogli d'uccidere, o gl'insegnassono quegli ch'aveano messer Ugo. Quivi patteggiò e vollene il Gualese libbre M di sterlini. Incontanente il conte lo fece pagare per averlo. E ciò fatto, furono menati messer Ugo, e 'l Baldotto suo prete, e Sime di Radinghe presi con grandi grida e molti corni dinanzi a la reina, ch'era ad Eriforte; e poco appresso messer Ugo coll'armi sue a ritroso fue tranato, e poi impiccato, e poi tagliata la testa e squartato, e mandato ciascuno quartiere in diverse parti del reame, e ivi penduti, e le 'nteriora arse. E ciò fu del mese di novembre MCCCXXVI, a dì XXIIII. E per questo modo la valente reina si vendicò del suo nimico ch'avea guasto il re suo marito e tutto il reame. Lo re fu menato per lo conte di Lancastro a Gudistocco, e in quello castello fu tenuto cortesemente pregione; poi i baroni raunati a parlamento richiesono lo re ch'egli perdonasse a la reina e al figliuolo e a chiunque l'avea perseguito, e giurasse e promettesse di guidare il reame per consiglio de' suoi baroni; e se ciò non volesse fare, e' farebbono re Adoardo suo figliuolo. Lo re aontato de la vergogna a·llui fatta, in nulla guisa volle vedere la moglie né 'l figliuolo, né dimettere, né perdonare; innanzi volle essere disposto re ed essere pregione. Per la qual cosa i baroni feciono coronare re Adoardo il terzo suo figliuolo, e ciò fu il dì della Candellora, anno MCCCXXVI. E la reina veggendo che 'l re no·lle volle perdonare, né tornare a esser re, mai poi non fue allegra; ma come vedova si contenne in dolore, e volentieri avrebbe ritratto ciò ch'ella avea fatto. E poi il detto re Adoardo stando in pregione, per dolore infermò, e morìo del mese di settembre, gli anni di Cristo MCCCXXVII, e per molti si disse che fu fatto morire; e dianvi fede. E così i laidi peccati, chi gli segue contra Idio, hanno mali cominciamenti, e mali mezzi, e dolorosa fine. Lasceremo de' fatti d'Inghilterra, che assai n'avemo detto, e torneremo alquanto a' nostri di Firenze e d'Italia.



IX - Come i Parmigiani e poi i Bolognesi diedono la signoria al legato del papa

Nel detto anno MCCCXXVI, in calen di ottobre, il Comune di Parma diede la signoria al legato del papa messer Ramondo dal Poggetto cardinale, il qual era in Lombardia per la Chiesa di Roma, e in Parma dimorò alquanto con sua corte, e avea a suo comandamento le masnade de' cavalieri della Chiesa, ch'erano bene IIIm cavalieri, la maggiore parte oltramontani, buona gente d'arme; ma poco d'onore o di stato feciono a santa Chiesa o a sua parte in aquisto di terre, o danno di nimici ribelli della Chiesa; e di ciò tutta la colpa si dava al detto legato, che 'l papa vi mandava moneta infinita, e male erano pagate le masnade, e nullo bene poteano fare. Poi per iscandalo che' Bolognesi aveano tra·lloro, per simile modo diedono la signoria a la Chiesa e al detto legato, il quale venne in Bologna a dì...



X - Come il re Ruberto e 'l duca mosse i primi patti a' Fiorentini

Nel detto anno, del mese di dicembre, lo re Ruberto mandò al Comune di Firenze che oltre al primo patto che' Fiorentini aveano fatto al duca, come addietro è fatta menzione, volea che' Fiorentini stessono a pagare la taglia di VIIIc cavalieri oltramontani; per gli quali avea mandati in Proenza e in Valentinese e in Francia, e l'altre città amici di Toscana, come sono Perugini e' Sanesi e l'altre terre d'intorno, acciò che 'l duca in su la guerra fosse meglio acompagnato; e se ciò non si facesse per gli Fiorentini, mandò al duca che si partisse di Firenze e tornassene a Napoli. Per la quale richesta i Fiorentini si turbarono molto, imperciò che assai parea loro essere caricati di spese, e parea loro, ed era vero, che 'l re rompéo loro i patti; e mal partito aveano di lasciare partire il duca di Firenze, e le terre vicine male voleano concorrere alla spesa, onde il più del carico tornava sopra il Comune di Firenze. Per la qual cosa per lo meno reo partito i Fiorentini feciono composizione col duca di dargli XXXm fiorini d'oro per gli detti cavalieri, e' Sanesi ne diedono anche parte, e l'altre piccole terre d'intorno, ma i Perugini non vollono stare alla spesa. Ma come s'andasse la spesa, infra uno anno che 'l duca era venuto in Firenze, tra per lo suo salario e l'altre spese opportune che fece portare a' Fiorentini, più di IIIIcL migliaia di fiorini d'oro si trovò speso il Comune di Firenze, usciti di gabelle e d'imposte e libbre e altre entrate di Comune; che fu tenuta grande cosa e maravigliosa, e molto se ne doleano i Fiorentini. E oltre a questo, per lo consiglio de' suoi aguzzetti savi del regno di Puglia, si recò al tutto la signoria da la piccola cosa a la grande di Firenze, e avilì sì l'uficio de' priori, che nonn-osavano fare niuna cosa quanto si fosse piccola, eziandio chiamare uno messo; e sempre stava con loro uno de' savi del duca, onde a' cittadini, ch'erano usati di signoreggiare la città, ne parea molto male: ma grande sentenzia di Dio fu che per le loro sette passate fosse avilita la loro giuridizione e signoria per più vile gente e men savi di loro.



XI - Come a le donne di Firenze fue renduto certo ornamento

Nel detto anno MCCCXXVI, e del detto mese di dicembre, il duca a priego che le donne di Firenze fatto a la duchessa sua moglie, sì rendé a le dette donne uno loro spiacevole e disonesto ornamento di trecce grosse di seta gialla e bianca, le quali portavano in luogo di trecce di capegli dinanzi al viso, lo quale ornamento perché spiacea a' Fiorentini, perch'era disonesto e trasnaturato, aveano tolto a le dette donne, e fatti capitoli contro a·cciò e altri disordinati ornamenti, come adietro è fatta menzione: e così il disordinato appetito de le donne vince la ragione e 'l senno degli uomini.



XII - Come il papa fece nuovo vescovo d'Arezzo

Nel detto anno e mese di dicembre papa Giovanni fece vescovo d'Arezzo uno degli Ubertini, possenti e gentili uomini del contado d'Arezzo, acciò che co' suoi fosse contro a Guido Tarlati disposto per lui del vescovado d'Arezzo; ma però poco aprodò, ché 'l nuovo eletto, con tutto l'aiuto del papa e del legato cardinale ch'era in Firenze, non avea uno danaio di rendita, che tutto il temporale e spirituale d'Arezzo tenea per forza il detto Guido Tarlati, ed erane tiranno e signore.



XIII - Come Castruccio volle torre a' Pisani Vico loro castello

Nel detto anno MCCCXXVI, a dì V di gennaio, Castruccio signore di Lucca essendo nimico di quelli che reggeano Pisa, sì ordinò di torre a' Pisani il castello di Vicopisano, e mandòvi messer Benedetto Maccaioni de' Lanfranchi rubello di Pisa con CL cavalieri di sue masnade, e Castruccio con gran gente venne ad Altopascio per soccorrere, se bisognasse. Il quale messer Benedetto entrato la mattina per tempo per tradimento in Vico, corse la terra; ma i terrazzani levati, presono l'arme, e cominciarsi a difendere, e per forza ne cacciarono il detto messer Benedetto e la gente di Castruccio, e più di L ve ne rimasono tra presi e morti, onde i Pisani maggiormente s'inanimarono contra Castruccio.



XIV - Come più terre di Toscana si diedono al duca

Nel detto anno MCCCXXVI, del mese di gennaio e di febbraio, i Pratesi e' Samminiatesi e quegli di San Gimignano e di Colle diedono la signoria al duca di Calavra figliuolo del re Ruberto in certo tempo e sotto certi patti, salvo che' Pratesi per loro discordia si diedono a perpetuo al duca e a sue rede.



XV - Di cavalcata fatta sopra Pistoia

Nel detto anno, a dì XXI di gennaio, il conte Novello colla gente del duca, in quantità di VIIIc cavalieri de la migliore gente, cavalcarono infino a le porte di Pistoia e ruppono l'antiporto, e poi guastarono e arsono tutta Valle di Bura, e guastarono le mulina con grande danno di preda de' Pistolesi.



XVI - De' fatti degli usciti di Genova

Nel detto anno, a l'entrante di febbraio, gli usciti di Genova con gente di Castruccio presono il castello di Siestri; e poi a dì III d'agosto vegnente, anni MCCCXXVII, i detti usciti per inganno presono il forte castello di Monaco, e tolsollo al Comune di Genova.



XVII - Dell'estimo fatto in Firenze

Nell'anno MCCCXXVII, del mese d'aprile, si trasse in Firenze uno nuovo estimo ordinato per lo duca, e fatto con ordine per uno giudice forestiere per sesto, a la isaminazione di VII testimoni segreti e vicini, stimando ciò che ciascuno avea di stabile e di mobile e di guadagno, pagando certa cosa per centinaio del mobile, e certa cosa per centinaio lo stabile, e così del procaccio e guadagno. L'ordine si cominciò bene; ma gli detti giudici corrotti, cui puosono a ragione, e a cui fuori di ragione, onde grande ramarichio ebbe in Firenze; e così mal fatto, se ne ricolse LXXXm fiorini d'oro.



XVIII - Come la parte ghibellina feciono venire in Italia Lodovico duca di Baviera eletto re de' Romani

Negli anni di Cristo MCCCXXVI, del mese di gennaio, per cagione della venuta del duca di Calavra in Firenze i Ghibellini e' tiranni di Toscana e di Lombardia di parte d'imperio mandarono loro ambasciadori in Alamagna a sommuovere Lodovico duca di Baviera eletto re de' Romani, acciò che potessono resistere e contastare a la forza del detto duca e de la gente della Chiesa, ch'era in Lombardia; e con grandi impromesse il detto Lodovico con poca gente condussono col duca di Chiarentana insieme a uno parlamento a Trento a' confini de la Magna di là da Verona; e al detto parlamento fu messer Cane signore di Verona con VIIIc cavalieri, e andovvi così guernito di gente d'arme per tema del detto duca di Chiarentana, con cui avea avuta briga per la signoria di Padova; e fuvi messer Passerino signore di Mantova, e uno de' marchesi d'Esti, e messer Marco, e messer Azzo Visconti di Milano, e fuvi Guido de' Tarlati che si chiamava vescovo d'Arezzo, e ambasciadori di Castruccio e de' Pisani e degli usciti di Genova e di don Federigo di Cicilia, e d'ogni caporale di parte d'imperio e Ghibellini d'Italia. Nel quale parlamento prima si fece l'accordo di triegua dal detto duca di Chiarentana a messer Cane di Verona. Apresso, a dì XVI di febbraio, il detto eletto re de' Romani, il quale volgarmente Bavero era chiamato da coloro che non voleano essere scomunicati, sì promise e giurò nel detto parlamento di passare in Italia, e venire a Roma sanza tornare in suo paese; e' detti tiranni e ambasciadori de' Comuni ghibellini gli promisono di dare CLm fiorini d'oro come fosse a Milano, salvo ch'a la detta lega non si legarono i Pisani, ma cercavano da parte di dargli danari assai, acciò che promettesse di non entrare in Pisa. E nel detto parlamento piuvicò non dovutamente papa Giovanni XXII essere eretico e non degno papa, apponendogli sedici articoli incontro; e ciò fece con consiglio di più vescovi e altri prelati e frati minori e predicatori e agostini, i quali erano sismatici e ribelli di santa Chiesa per più diversi casi, e co·lloro era il maestro della magione degli Alamanni, e tutta la sentina degli apostici e sismatici di Cristianità. E intra gli altri più forte e maggiore capitolo che opponesse contro al detto papa sì rinovò la quistione mossa in corte che Cristo nonn-ebbe propio, dicendo come il papa e la chericia amavano propio, ed erano nimici de la santa povertà di Cristo, e intorno a·cciò più articoli di scandalo in fede; e piuvicamente egli scomunicato, e simile i suoi prelati, continuo facea celebrare l'uficio sacro, e scomunicare papa Giovanni; e per diligione il chiamavano il papa prete Giovanni, onde grande errore se ne commosse in Cristianità. E ciò fatto, a dì XIII di marzo, si partì da Trento con poca di sua gente, e poveramente e bisognoso di danari, che in tutto non avea VIc cavalieri: e per le montagne ne venne a la città di Commo, e poi di là venne e entrò in Milano, a dì... d'aprile MCCCXXVII.



XIX - Come l'eletto di Baviera detto Bavero si fece coronare in Milano

E poi, a dì XXXI di maggio, anni di Cristo MCCCXXVII, il dì della Pentecosta, quasi all'ora di nona, si fece coronare in Milano il detto Bavero della corona del ferro nella chiesa di Santo Ambruogio per mano di Guido de' Tarlati disposto vescovo d'Arezzo, e per mano di... di quegli di casa Maggio disposto vescovo di Brescia, e scomunicati; e già l'arcivescovo di Milano, a cui pertenea la coronazione, non vi volle essere in Milano. E a la detta coronazione fu messer Cane signore di Verona con VIIc cavalieri, e' marchesi da Esti ribelli della Chiesa con IIlc cavalieri, e 'l figliuolo di messere Passerino signore di Mantova con IIlc cavalieri, e più altri caporali di parte d'imperio e Ghibellini di Italia vi furono; ma però piccola festa v'ebbe. E rimase in Milano infino a dì XII d'agosto per avere moneta e gente. Lasceremo alquanto di lui, incidendo lo suo avento, per dire de le sequele e novitadi che s'apparecchiarono in Italia per la detta sua venuta.



XX - Di novitadi che fece il popolo di Roma per l'avento del Bavero che si chiamava loro re

Per la venuta del detto Bavero eletto re de' Romani, incontanente, e in quello medesimo tempo, si commosse quasi tutta Italia a novitade; e' Romani si levarono a romore e feciono popolo, perché nonn-aveano la corte del papa né dello 'mperadore, e tolsono la signoria a tutti i nobili e grandi di Roma e le loro fortezze; e tali mandarono a' confini: ciò fu messer Nepoleone Orsini e messer Stefano de la Colonna, i quali di poco per lo re Ruberto erano fatti cavalieri a Napoli, per tema che non dessono la signoria di Roma al re Ruberto re di Puglia; e chiamaro capitano del popolo di Roma Sciarra della Colonna che reggesse la cittade col consiglio di LII popolani, IIII per rione; e mandarono loro ambasciadori a Vignone in Proenza a papa Giovanni, pregandolo che venisse colla corte a Roma, come dee stare per ragione; e se ciò non facesse, riceverebbono a signore il loro re de' Romani, detto Lodovico di Baviera; e simile mandarono loro ambasciadori a sommuovere il detto Lodovico chiamato Bavero; e la mossa loro fue simulata sotto quella cagione di rivolere la corte del papa per trarne grascia, come per antico erano usati; ma poi riuscì con maggiori sequele come innanzi si farà menzione. Il papa rispuose a' Romani per suoi ambasciadori, ammonendoli e confortandogli che non ricevessono il Bavero per loro re, però ch'egli era eretico e scomunicato e perseguitatore di santa Chiesa, e ch'egli a tempo convenevole, e tosto, verrebbe a Roma. Ma però non lasciarono i Romani il loro errore, trattando col papa e col Bavero e col re Ruberto, dando a ciascuno intendimento di tenere la città di Roma per loro, reggendosi a signoria di popolo, e dissimulando quasi a parte ghibellina e d'imperio.



XXI - Come il re Ruberto mandò il prenze della Morea suo fratello con M cavalieri ne le terre di Roma

Lo re Ruberto, sentendo la venuta del detto Bavero in Lombardia, mandò messer Gianni prenze de la Morea suo fratello con M cavalieri a l'Aquila per avere a sua signoria le terre ch'erano in su i passi, e dell'entrate del Regno; e ebbe Norcia del Ducato a sua guardia, e poi la città di Rieti, ne la quale lasciò il duca d'Atene con gente d'arme; e poi fornì tutte le terre di Campagna con rettore che v'era per lo papa, a sua guardia e de la Chiesa. E poi credette potere entrare in Roma co la forza de' nobili; ma da' Romani non volle essere ricevuto. Per la qual cosa venne a oste a Viterbo, e guastogli intorno e prese assai del loro contado, perché non gli vollono dare la terra. E infra 'l detto tempo che 'l prenze de la Morea guerreggiava le terre di Roma lo re Ruberto mandò in Cicilia contra don Federigo LXX galee con Vc cavalieri, la quale armata partì di Napoli a dì VIII di luglio anni MCCCXXVII, e all'isola di Cicilia in più parti feciono danno assai, e presono più legni de' nimici. In questa stanza V galee di Genovesi de la detta armata per mandato del re Ruberto vennono a la guardia de la foce del fiume del Tevero, acciò che grascia e vittuaglia non entrasse per la via di mare ne la città di Roma; le quali galee presono la cittadella d'Ostia a dì V d'agosto nel detto anno, e rubarla tutta. Per la qual cosa il popolo di Roma furiosamente e non ordinati vi corsono parte di loro a Ostia, e assalendo la terra molti ne furono fediti e morti di moschetti di balestri di Genovesi, e ritornarsi in Roma. E ciò fatto, i Genovesi misono fuoco ne la terra e partirsi, e tornarono a loro galee; de la qual cosa il popolo di Roma molto si turbò contra il re Ruberto, e certi trattati ch'aveano co·llui d'accordo ruppono; onde il legato cardinale ch'era in Firenze n'andò verso Roma a dì XXX d'agosto nel detto anno per riconciliare i Romani col re Ruberto, e per entrare in Roma con messer Gianni prenze della Morea e co' nobili di Roma, che n'erano fuori a' confini; ma il popolo di Roma nulla ne volle udire. Onde veggendo che per accordo non poteano entrare in Roma, sì ordinarono d'entrarvi per inganno e forza; onde lunidì notte, a dì XXVIII di settembre nel detto anno, il detto prenze [...]



XXII - Come il prenze della Morea fratello del re Ruberto e il legato cardinale entrarono in Roma, e furonne cacciati con onta e danno

[...] il legato cardinale degli Orsini e messer Nepoleone Orsini feciono rompere le mura del giardino di San Piero de la città detta Leonina, e entrarono in Roma con Vc cavalieri e altrettanti pedoni; ma messer Stefano della Colonna non vi volle entrare; e la detta gente presono la chiesa di San Piero, e la piazza e 'l borgo de' rigattieri, e uccisono tutti i Romani che la notte v'erano a la guardia, e feciono barre al detto borgo verso Castello Santo Angiolo. Ma faccendosi giorno, la parte de' Romani ch'aveano promesso di cominciare battaglia ne la terra a·ppetizione degli Orsini non ne feciono niente, né la gente del prenze e del legato non si trovarono nullo séguito da' Romani, ma il contradio. Il popolo di Roma, sonando la campana di Campidoglio a stormo, la notte furono a l'arme, e vennero assalire il detto prenze e·legato e loro gente, e a le sbarre fatte ebbe gran battaglia e fuvi morto uno degli Anibaldeschi, e altri assai Romani; ma a la fine soprastando il popolo, e crescendo in forza da tutte parti, la gente del prenze, ch'erano da C cavalieri e pedoni assai a difendere le sbarre, furono sconfitti e rotti, e morìvi messer Giuffrè di Gianville, e altri cavalieri intorno di XX, e a piè assai. E ciò veggendo il prenze e·legato, ch'erano schierati coll'altra cavalleria nella piazza di San Piero, feciono mettere fuoco nel detto borgo, acciò che 'l popolo non premesse loro adosso, ch'altrimenti tutti erano morti e presi, e si ricolsono salvamente, e partirsi di Roma con danno e disinore, e si ritornaro ad Orti; e ciò fu a dì XXVIII di settembre. Lasceremo de' fatti del re Ruberto e del prenze e de' Romani, e torneremo adietro a raccontare de' nostri fatti di Firenze e di Toscana e di Lombardia, che furono nell'avento del detto Bavero.



XXIII - Come al duca di Calavra nacque uno figliuolo in Firenze

Nel detto anno MCCCXXVII, a dì XIII d'aprile, nacque in Firenze uno figliuolo al duca di Calavra de la sua donna figliuola di messer Carlo di Valos di Francia, il quale fu fatto Cristiano per messer Simone della Tosa e per Salvestro Manetti de' Baroncelli sindachi fatti per lo Comune e popolo di Firenze, e fu chiamato Martino; e grande festa e armeggiare se ne fece per gli Fiorentini; ma all'ottavo dì di sua natività si morì e soppellì a Santa Croce, onde grande cordoglio n'ebbe in Firenze.



XXIV - Come la città di Modana si rubellò dalla signoria di messere Passerino di Mantova

Nel detto anno, a dì IIII di giugno, il popolo della città di Modana per trattato del legato di Lombardia si levò a romore gridando pace, e cacciarne fuori la signoria e' soldati che v'erano per messer Passerino signore di Mantova, e acconciarsi col detto legato, rimagnendo la terra a·lloro parte ghibellina, prendendo signoria dal legato, e rendendo i loro beni agli usciti loro guelfi, istandone certi caporali a' confini, e avendo gli amici de la Chiesa per amici, e' nimici per nimici. E di questo accordo si disse che vi spese la Chiesa a certi cittadini XVm fiorini d'oro; sì che con senno e con danari si recarono in pacefico stato i Modanesi, ch'erano molto aflitti d'assedio e di guerra e di tirannica signoria.



XXV - Di novità fatte in Pisa per la coronazione del Bavero

Nel detto tempo, a l'entrare di giugno, venuta in Pisa la novella e l'olivo della coronazione del Bavero in Milano, se ne fece falò e festa per certi usciti di Firenze e d'altre città, e alcuno popolano minuto pisano gridando: "Muoia il papa e 'l re Ruberto e' Fiorentini, e viva lo 'mperadore!". Per la qual cosa coloro che allora reggeano Pisa, ch'erano i migliori e' più possenti e ricchi popolani della città, e per setta nimici di Castruccio, e non voleano la venuta del Bavero, ma al continuo trattavano col papa e col re Ruberto, sì cacciarono di Pisa quasi tutti i forestieri usciti di loro cittadi, e mandarono a' confini de' maggiori cittadini sospetti al loro stato, e ch'amavano la venuta del Bavero e la signoria di Castruccio; e tutti i soldati tedeschi mandarono via e tolsono loro i cavagli per sospetto; e quasi si teneano più a·reggimento di parte di Chiesa che ghibellina, onde grande novità ne seguì in Pisa a la venuta del Bavero, sì come innanzi faremo menzione.



XXVI - D'uno trattato che 'l duca ordinò per torre la città di Lucca a Castruccio, e fu discoperto

Nel detto anno MCCCXXVII il duca di Calavra signore di Firenze avendo menato segretamente uno trattato con certi della casa de' Quartigiani di Lucca ch'eglino co·lloro seguaci rubellerebbono la città di Lucca a Castruccio, per soperchi ricevuti da la sua tirannesca signoria, e per molta moneta che vi spendea il duca e 'l Comune di Firenze; e ciò fu ordinato in questo modo: che la gente del duca doveano cavalcare in sul terreno e a l'assedio di Pistoia, e come Castruccio uscisse de la città colla sua cavalleria per soccorrere Pistoia, doveano trarre bandiere e pennoni dell'arme della Chiesa e del duca da più parti della terra, le quali insegne erano mandate di Firenze segretamente; e levato il romore in Lucca e presa alcuna porta, la gente del duca e de' Fiorentini, che in buona quantità n'avea a Fucecchio e nelle terre di Valdarno, incontanente per cenno doveano cavalcare a Lucca, e prendere la terra. E veniva fatto, se non che lo 'ndugio de la cavalcata de la gente del duca si tardò, e in questo mezzo alcuno de la casa medesima de' Quartigiani per viltà e paura lo scoperse a Castruccio. Per la qual cosa Castruccio subitamente fece serrare le porte di Lucca, e corse la terra con sue genti, e fece pigliare XXII di casa i Quartigiani e più altri, e trovare le dette insegne. Messer Guerruccio Quartigiani con III suoi figliuoli fece impiccare co le dette insegne a ritroso, e altri di loro fece propagginare, e tutti gli altri de la casa de' Quartigiani, ch'erano più di C, gli cacciò de la città di Lucca e del contado. E questo fu a dì XII di giugno nel sopradetto anno. E ciò fu grande sentenzia e giudicio di Dio che gli detti della casa de' Quartigiani anticamente guelfi furono caporali a dare la città e signoria di Lucca a Castruccio, e tradendo i Guelfi, per lui furono morti e disertati per lo simile peccato di tradimento. E trovato Castruccio il detto tradimento, il quale era con tanti seguaci buoni cittadini di Lucca e del contado, non s'ardì a scoprirlo più innanzi, ma vivendo in tanta paura e gelosia, che non s'ardia a uscire della città. E di certo per lo male volere de' suoi cittadini, e per la forza del duca e de' Fiorentini, tosto avrebbe perduta la terra, se non fosse il soccorso brieve e venuta del Bavero, come innanzi farà menzione.



XXVII - Come il legato cardinale piuvicò in Firenze i processi fatti per lo papa sopra il Bavero

Nel detto anno MCCCXXVII, il dì de la festa di santo Giovanni di giugno, messer Gianni Guatano degli Orsini cardinale, legato in Toscana, a la detta festa ne la piazza di San Giovanni piuvicò nuovi processi venuti dal papa contra Lodovico duca di Baviera eletto re de' Romani, sì come contra eretico e persecutore di santa Chiesa: e poco appresso dimorò in Firenze, che n'andò verso Roma per rimuovere i Romani per lo modo che dicemmo addietro.



XXVIII - Della rubellazione di Faenza in Romagna, il figliuolo al padre

Nel detto anno, a dì VIII di luglio, Alberghettino figliuolo di Francesco de' Manfredi signore di Faenza rubellò e tolse la signoria de la detta città di Faenza al padre e a' frategli, e cacciogline fuori, e egli se ne fece signore; e così mostra che non volesse tralignare e del nome e del fatto di frate Alberigo suo zio, che diede le male frutta a' suoi consorti, faccendogli uccidere e tagliare al suo convito, sì che Francesco Manfredi, che fu a·cciò fare, ricevette in parte del detto peccato guidardone dal figliuolo.



XXIX - De' fatti di Firenze

Nel detto anno, a dì XI di luglio, la notte vegnente s'aprese fuoco in Firenze in borgo Santo Appostolo nel chiasso tra' Bonciani e gli Acciaiuoli, e arsonvi VI case e 'l palagio di Giotti, sanza danno di persone.



XXX - Come il duca e' Fiorentini feciono oste sopra Castruccio, e presono per forza il castello di Santa Maria a Monte

Nel detto anno, a dì XXV di luglio, si partì l'oste di Firenze ordinata per lo duca e per lo detto Comune, e rassegnaronsi e feciono mostra la cavalleria ne la piazza di Santa Croce; e furono la gente del duca MCCC a cavallo, e' Fiorentini C caporali con II o III compagni ciascuno, molto nobile gente e bene in arme e a cavallo; e nell'isola dietro a Santa Croce si rassegnarono i pedoni, che furono più di VIIIm. E avuta la benedizione dal legato cardinale e date le 'nsegne per lo duca, si mossono e andarono la sera, e puosonsi a campo a piè di Signa in su l'Ombrone; e stettonvi III dì, che niuno non sapea dove l'oste si dovesse andare, onde molto si maravigliavano i Fiorentini; ma ciò fu fatto cautamente acciò che Castruccio non si prendesse guardia ove l'oste si dovesse porre, o a Pistoia, o andare in sul contado di Lucca, e acciò che gli convenisse partire la gente sua in due parti. E ciò fatto, subitamente di notte si levarono, e lasciarono tutte le tende tese infino la mattina a terza, acciò che' nimici non s'accorgessono che l'oste fosse levata, e tutta la notte cavalcarono per lo cammino di Montelupo, e l'altro giorno anzi l'ora di nona passarono la Guisciana a uno ponte che fu posto la detta notte al passo di Rosaiuolo; e passati innanzi CCCC cavalieri ch'erano in Valdarno, e' subitamente si puosono all'assedio al castello di Santa Maria a Monte. E poi s'agiunse a la detta oste messer Vergiù di Landa con CCCL cavalieri che mandò il Comune di Bologna, e·legato ed altre amistà, sì che 'l giorno appresso v'ebbe intorno MMD cavalieri, e più di XIIm pedoni, de la quale oste era capitano il conte Novello di Montescheggioso e d'Andri, che il duca era rimaso in Firenze con Vc cavalieri, però che non fu oste generale, e non era onore del duca di porsi a oste a uno castello. Il detto castello era molto forte di tre gironi di mura co la rocca, e di vittuaglia assai fornito, e gente v'avea da Vc uomini, e non più; però che temendo Castruccio che l'oste non andasse a Carmignano, vi mandò CC de' migliori masnadieri che fossono in Santa Maria a Monte. E dato termine a quegli del castello d'arendersi, non obbedendo, domenica a dì II d'agosto si diede per la detta oste la battaglia da più parti al primo girone di sotto da' borghi; e' maggiori baroni e cavalieri dell'oste ismontarono da cavallo, e col pavese in braccio e elmi in capo si misono sotto le mura e per li fossi rizzando scale a le mura; e 'l popolo a piè veggendo ciò fare a' cavalieri, feciono maraviglie di combattere; e fu sì aspra battaglia da ogni parte, che di saettamento per gli balestrieri genovesi ch'erano all'assedio, sì de' Fiorentini e d'ogni altro assalto, che que' d'entro non poterono durare; e uno scudiere provenzale ch'avea nome... fu il primaio che salì in su le mura co le 'nsegne, e poi molti apresso, il quale dal duca fu fatto cavaliere, e donogli rendita in suo paese. E ciò veggendo i terrazzani, isbigottiti abbandonarono i borghi, e entrarono nel secondo girone. Ma i Fiorentini e la gente del duca entrati nel primo girone, sanza riposo o indugio incontanente si misono a combattere l'altro girone, e simile per forza e con iscale e con fuoco che misono, con grande affanno il dì medesimo il vinsono, e quanta gente vi trovarono dentro piccioli e grandi misono alle spade, se non alquanti che ricoverarono nella rocca, e 'l castello da più parti ardendo per lo fuoco prima messo per gli nostri a la battaglia, e poi la gente nostra rubando la preda, e togliendola gli oltramontani a' nostri acciò che no·ll'avessono salva, innanzi metteano i nostri fuoco nelle case e nella preda. E per questo modo non vi rimase casa piccola né grande che non ardesse; e' terrazzani, uomini e femmine e fanciugli ch'erano scampati e nascosi, non scamparono del fuoco, imperciò che molti se ne trovarono morti e arsi. E ciò fu grande giudicio di Dio e non sanza cagione, imperciò che quegli di Santa Maria a Monte sempre erano stati di parte guelfa, e aveano tradita la terra e data a Castruccio: e gli usciti di Lucca e di loro parte assai, e de' migliori ch'allora erano nel castello, per lo detto tradimento furono dati presi nelle mani di Castruccio. E oltre a·cciò dapoi che si rendé a Castruccio, era stata spilonca di tutte le ruberie e micidi e presure e villani peccati fatti in Valdarno e nel paese ne la detta guerra. E poi che la gente nostra ebbe il castello, si tenne la rocca VIII dì aspettando soccorso da Castruccio, il quale non s'ardì con sua gente d'uscire di Vivinaia ov'era a campo, e ciò fue a dì X d'agosto nel detto anno; e quegli ch'erano nella rocca n'uscirono, salve le persone. E avuta la rocca, l'oste nostra vi dimorò di fuori a campo VIII giorni per rafforzare la terra e rifare le bertesche e torri e case, e lasciarla poi guernita di C cavalieri e Vc pedoni. Avemo sì lungamente detto de la presura del detto castello, però ch'era il più forte castello di Toscana e meglio fornito, e ebbesi per forza di battaglia, per la virtù e vigoria de la buona gente ch'era ne la nostra oste, la quale simile vigoria non si ricorda fosse in Toscana a' nostri tempi; per la qual cosa Castruccio e sua gente forte isbigottiro, e in nulla parte s'ardivano a mettere né avisare poi co la nostra gente e con quella del duca.



XXXI - Come l'oste de' Fiorentini e del duca ebbono per forza il castello d'Artimino

Avuto il castello di Santa Maria a Monte, si partì l'oste de' Fiorentini di là a dì XVIII d'agosto, e passarono la Guisciana, e accamparsi a piè di Fucecchio, e quivi dimorarono due giorni, acciò che Castruccio non si potesse avisare ove l'oste dovesse fedire, o nel contado di Lucca, o in quello di Pistoia; e ciò fatto, subitamente ripassarono la Guisciana, e andarono a campo a piè del Cerruglio apresso di Vivinaia, e ivi e a Gallena dimorarono per III dì, schierandosi e o trombando e richeggendo di battaglia Castruccio, il quale era in sul Cerruglio e Montechiaro con VIIIc cavalieri e più di Xm pedoni; e sarebbonsi messi a passare e andare in verso Lucca per forza, se non che·lla stanza bisognava grande ispendio e fornimento, e aveasi novelle che 'l Bavero detto re de' Romani di corto dovea passare in Toscana, sì che per lo migliore consiglio si ritornarono di qua da la Guisciana, e sanza restare la detta oste passò Monte Albano, e puosonsi ad assedio del castello d'Artimino, il quale era rimurato e molto afforzato per Castruccio, e bene fornito di vittuglia e di gente; e stettonvi ad assedio III giorni. Al terzo dì vi diedono la più forte battaglia tutto intorno che mai si desse a castello, e per gli migliori cavalieri dell'oste; e durò da mezzodì infino al primo sonno de la notte, ardendo gli steccati e la porta del castello; per la qual cosa quegli d'entro molto impauriti, e di saettamento i più fediti, sì dimandarono misericordia, e che si voleano arendere, salve le persone. E così fu fatto; e la mattina, a dì XXVII d'agosto, si partirono, e renderono il castello; ma con tutti i patti, partiti da·lloro i cavalieri che gli scorgeano, molti ne furono morti: e con quella vittoria l'oste intendeva di seguire e combattere Carmignano e Tizzano, e sanza dubbio gli avrebbono presi per lo sbigottimento de la battaglia di Santa Maria a Monte e d'Artimino; ma il duca ebbe ferme novelle come il Bavero con sua gente era a Pontriemoli, sì che, acciò che·lla sua gente non trovasse a campo, rimandò che l'oste tornasse in Firenze; e così tornò bene aventurosamente a dì XXVIII d'agosto del detto anno. E nota che poi che 'l duca venne in Firenze, che fu uno dì anzi calen d'agosto MCCCXXVI, infino a la tornata de la detta oste in Firenze, che fu pochi dì più d'uno anno, si trovò speso il Comune di Firenze cogli danari del salaro del duca più di Vc migliaia di fiorini d'oro, che sarebbe gran cosa a uno ricco reame. E tutti uscirono delle borse de' Fiorentini, onde ciascuno cittadino forte si dolea. Lasceremo alquanto de' nostri fatti di Firenze ritornando adietro, dicendo di quello che 'l Bavero, lui coronato a Milano, fece in Lombardia e poi in Toscana.



XXXII - Come il Bavero dispuose della signoria di Milano i Visconti e misegli in pregione

Coronato in Milano Lodovico detto Bavero eletto re de' Romani, come adietro lasciammo, essendo in Milano e volea moneta come promessa gli fu al parlamento a Trento, Galeasso Visconti signore di Milano, il quale per sua superbia e signoria si tenea maggiore del detto Bavero in Milano, e avea a suo soldo bene XIIc di cavalieri tedeschi, essendoli domandata la detta moneta per lo Bavero, rispuose arrogantemente al signore, dicendo come imporrebbe la moneta, quando gli paresse luogo e tempo. E ciò non dicea sanza cagione, imperciò che tutti i nobili di Milano, e eziandio messer Marco suo fratello e gli altri suoi consorti, e quasi tutto il popolo di Milano odiavano la sua tirannesca signoria per gli soperchi incarichi e gravezze a·lloro fatte, e volea tutto e non parte, sì non s'ardia d'imporre i danari al popolo; e se fatto l'avesse non sarebbe ubbidito. E già molti de' maggiorenti de la sua signoria s'erano compianti al Bavero, per la qual cosa il detto signore rimandò per lo suo maliscalco e sua gente, ch'erano andati al soccorso di Voghiera, e fece parlare a tutti i conostaboli tedeschi ch'erano a messer Galeasso, e giurare segretamente a·llui; e venuto il suo maliscalco, il Bavero raunò uno grande consiglio, ove fu Galeasso e' suoi e tutti i migliori di Milano, e in quello dogliendosi del detto Galeasso e de' suoi, in prima gli fece rifiutare la signoria, e poi nel detto consiglio al detto suo maliscalco fece pigliare Galeasso e Azzo suo figliuolo, e Marco e Luchino suoi frategli; e ciò fu a dì VI del mese di luglio, gli anni di Cristo MCCCXXVII; per la qual cosa i nobili e 'l popolo di Milano furono molto allegri e contenti. E ciò fatto, riformò la terra di signoria d'uno suo barone vicario col consiglio di XXIIII de' migliori di Milano, i quali incontanente impuosono e ricolsono Lm fiorini d'oro, e diedongli al detto Bavero. E per questo modo la Chiesa di Dio fu vendicata de la superbia de' suoi nimici Visconti per lo suo nimico Lodovico di Baviera suo persecutore; sì che veramente s'adempié la parola di Cristo nel suo santo Vangelio, ove dice: "Io ucciderò il nimico mio col nimico mio etc.".



XXXIII - Come il Bavero, fatto suo parlamento in Lombardia, passò in Toscana

Per la detta presura di Galeasso e de' suoi si maravigliarono e impaurirono tutti i tiranni ghibellini di Lombardia e di Toscana, imperciò che propio lo studio e podere e dispendio di Galeasso, e per suo consiglio, il detto Bavero s'era mosso d'Alamagna e venuto in Lombardia; ed egli prima l'avea abbattuto di signoria e messo in pregione. Per la qual cosa il detto Bavero ordinò di fare uno parlamento generale a uno castello di bresciana che si chiama Liorci, e fece sommuovere e richiedere tutti i caporali di parte d'imperio di Lombardia e di Toscana al detto parlamento; e Galeasso mandò legato in pregione nel castello di Moncia; e Marco lasciò, perché nol trovò in nulla colpa; e Luchino e Azzo gli tagliò in XXVm di fiorini d'oro per loro redenzione, de' quali pagaro XVIm, e menò seco presi cortesemente al detto parlamento. E partissi di Milano a dì XII d'agosto nel detto anno. E al detto parlamento fu messer Cane signore di Verona, e messer Passerino signore di Mantova, e Rinaldo de' marchesi d'Esti, e Guido Tarlati disposto vescovo d'Arezzo, e ambasciadori di Castruccio e di tutte le terre di parte d'imperio, nel quale parlamento palesò lettere di trattato che Galeasso mandava al legato del papa contra 'l detto Bavero, per mostrare la cagione perché preso l'avea. Chi disse che furono vere, e chi che furono false. E nel detto parlamento in dispetto di santa Chiesa fece tre vescovi, uno in Chermona e l'altro in Commo e l'altro, uno de' Tarlati, a la Città di Castello. E ciò fatto, ordinò suo passaggio in Toscana; e truovasi ch'ebbe infino allora da' Milanesi e tiranni e terre ghibelline d'Italia CCm fiorini d'oro; e bisognavangli, però ch'egli e sua gente erano molto poveri di danari. E partito il detto parlamento, Marco e Luchino e Azzo Visconti si fuggirono e entrarono nel castello di Liseo, e poi feciono guerra a Milano. Il Bavero venne a Chermona, e di là passò per lo ponte il fiume del Po a dì XXIII d'agosto, gli anni di Cristo MCCCXXVII, e venne al borgo a San Donnino con MD cavalieri de' suoi, con quegli ch'avea trovati in Milano, e CCL di quegli di messer Cane, e CL di messer Passerino, e C di quegli de' marchesi d'Esti; e sanza nullo contasto passò per lo contado di Parma le montagne apennine, e capitò a Pontriemoli in calen di settembre nel detto anno. E sì avea il legato che in Lombardia era per la Chiesa più di IIIm cavalieri soldati, e non si mise a contastarlo, ch'assai era leggere per li forti passi; onde il detto legato molto fu abbominato di tradimento da' fedeli di santa Chiesa di Toscana, ed iscusavasi come non avea dal papa i danari di loro paghe, e però non poteva fare cavalcare la sua gente.



XXXIV - Come il Bavero si puose ad assediare la città di Pisa

Come il Bavero e la donna sua, la quale era figliuola del conte d'Analdo, furono passati in Toscana, Castruccio con grande compagnia e grandi doni e presenti e rinfrescamento di vittuaglia andò loro incontro infino a Pontriemoli, e acompagnogli in più giorni infino a Pietrasanta nel contado di Lucca, e là s'arestò, e non volle entrare in Lucca, se prima non avesse la città di Pisa, la quale da certi che·lla reggeano, i quali erano i più ricchi e possenti di Pisa e aversari di Castruccio, in nulla guisa voleano ubbidire il detto Bavero per tema di Castruccio e de le gravezze de le spese, dando cagione di non voler fare contra la Chiesa, imperciò che 'l Bavero era scomunicato, e non era imperadore con autorità di santa Chiesa; e ancora non voleano i Pisani rompere pace al re Ruberto e a' Fiorentini. E mandato il Bavero suoi ambasciadori, non gli lasciarono entrare in Pisa, ma si fornirono di gente e di vittuaglia, e afforzarono la città, e cacciarne i soldati tedeschi ch'aveano, e tolsono loro i cavagli; onde il detto Bavero molto s'aontò, e fermossi di non passare più innanzi, se prima non avesse Pisa a suo comandamento. E in questo intervallo di tempo Guido Tarlati disposto vescovo d'Arezzo si mise mezzano, e venne a Ripafratta, e mandò che' Pisani gli mandasson loro ambasciadori, i quali vi mandarono tre de' maggiori di Pisa, ciò fu messer Lemmo Guinizzelli Sismondi, e messer Albizzo da Vico, e ser Iacopo da Calci; e stati più giorni in trattato, e accordandosi i Pisani di dare al Bavero LXm fiorini d'oro, e s'andasse a suo viaggio sanza entrare in Pisa; il quale accordo in nulla guisa volle accettare. E partendosi i detti ambasciadori a rotta del trattato, Castruccio passò il fiume di Serchio con gente d'arme, e prese i detti ambasciadori; e poi il Bavero con sua gente passò simigliante, e il suo maliscalco con anche gente venne da Lucca, e puosono oste a la città di Pisa a dì VI di settembre, gli anni di Cristo MCCCXXVII, e la persona del signore si mise a Sammichele degli Scalzi.



XXXV - Come il Bavero ebbe la città di Pisa

I Pisani veggendosi traditi de la 'mpresa de' loro ambasciadori, e così subitamente venuto il Bavero e Castruccio all'assedio della città, isbigottirono assai; ché se ciò avessono creduto, di certo avrebbono prima mandato per soccorso in Firenze al duca di cavalieri e di gente, con tutto ch'a la 'nfinta stessono in trattato co·llui, e ebbono da' Fiorentini arme e saettamento assai. Ma veggendosi così assaliti francamente, ripresono vigore e buono ordine di guardia della città, rimurando tutte le porte, e guardando le mura. Il secondo dì il Bavero passò Arno, e puosesi nel borgo di San Marco, e Castruccio rimase dal lato de la città di verso Lucca con sua oste, e poi si stese l'oste a la porta di San Donnino e a quella della Legatia sanza contasto niuno, e in pochi dì feciono uno ponte di legname dal borgo a San Marco a San Michele de' Prati, e un altro ne fece fare in su barche dal lato di sotto a la Legatia, sì che in pochi giorni tutta ebbono assediata la città intorno intorno; ne la quale oste avea il Bavero, tra di sua gente e di quella di Castruccio e d'altri Ghibellini di Toscana e di Lombardia, IIIm cavalieri o più, male a cavallo, e popolo grandissimo del contado di Lucca e di Pisa medesimo, e di quello di Luni e della riviera di Genova; e di presente ebbono Porto Pisano; e poi faccendo cavalcare per lo contado co' caporali degli usciti di Pisa, in pochi giorni ebbe a suo comandamento tutte le castella e terre di Pisa. Onde ciò sappiendo i Pisani che teneano la città, molto isbigottiro: né già però non mandarono per soccorso al duca, se non di moneta, per pagare i loro soldati ch'erano a la guardia della terra, perché non s'ardivano a fare gravezza a' cittadini, perché il popolo minuto non si levasse contro a·lloro; e 'l duca vi mandò moneta per lettere di compagnie di Firenze ch'erano dentro, e più ve ne avrebbe mandati, se non ch'egli sentì ch'eglino stavano in trattato col Bavero, avegna che a la difensa fossono uniti e feroci. E più assalti e battaglie diede a le porte, e fece cavare sotto le mura, e più difici strani levare per dare battaglia a la città; ma tutto era niente, si era forte e bene guernita. E così vi stette il Bavero all'assedio con grande affanno e con più difalte più d'uno mese. Ma come piacque a Dio, per pulire i peccati de' Pisani, disensione nacque tra coloro che governavano la terra, e de' primi fu il conte Fazio figliuolo del conte Gaddo, giovane uomo, e Vanni di Banduccio Bonconti, che per lettere e promesse di Castruccio dissono di volere pace, e gli altri che co·lloro reggeano la terra, temendo, dissono il simigliante; e feciono trattato d'acordo, e di dargli la città, LXm fiorini d'oro, rimanendo in loro giuridizione e stato, e che Castruccio né' loro usciti non potessono entrare in Pisa sanza loro volontà, stando a' confini. E compiuto e giurato per lo Bavero il detto falso accordo, gli diedono la terra a dì VIII d'ottobre, gli anni della incarnazione di Cristo MCCCXXVII al nostro corso; e la domenica dì XI d'ottobre appresso v'entrò il Bavero e la donna sua con tutta sua gente paceficamente sanza nulla novità fare; e Castruccio e sua gente e gli usciti di Pisa rimasono di fuori. Ma al terzo giorno i Pisani medesimi per piacere al signore, e per paura, non potendo altro per lo popolo minuto, arsono i patti scritti del loro trattato, e liberamente sanza niuno nisi da capo gli diedono la signoria de la città, e rivocarono Castruccio e tutti i loro usciti i quali di presente tornarono in Pisa. E nulla novità v'ebbe, se non che uno ser Guiglielmo da Colonnata, il qual era stato bargello in Pisa, menandolo al Bavero uno suo conastabole, e il popolo minuto gli venia gridando dietro, il detto conastabole l'uccise ne la piazza in presenza del signore, credendoli piacere; per la qual cosa il detto Bavero per mostrare giustizia fece prendere il detto, ch'avea nome messer Currado de la Scala tedesco, e fecegli tagliare il capo, e fece mandare bando che ogni maniera di gente potesse andare e venire sano e salvo per Pisa e per lo contado, pagando la gabella di danari VIII per libbra d'ogni mercatantia: e ciò fece perché i mercatanti non si partissono di Pisa, e per avere maggiore entrata, e i Pisani civanza di moneta. E ciò fatto, fece una colta sopra i Pisani di LXm fiorini d'oro per pagare suoi cavalieri, e appena fu cominciata di pagare, che ne puose sopra quella una di Cm fiorini d'oro per fornire suo viaggio a Roma; onde i Pisani si tennono morti e consumati, imperciò che per la perdita di Sardigna e per quella guerra erano molto assottigliati d'avere; e chiunque avea niente in Pisa, si pentea forte dell'accordo, che di certo se si fossono sostenuti un altro mese, come poteano, aveano diliberi del Bavero loro e tutta Italia, ma dopo volta si ravidono co·lloro danno e struggimento. Del detto accordo da' Pisani al Bavero s'ebbe grande dolore per gli Fiorentini e per tutti coloro che teneano a la parte della Chiesa, imperciò che come il Bavero era per istraccarsi durando l'assedio, per la impresa di Pisa fu esaltato e ridottato da tutte genti.



XXXVI - Come quegli che fu vescovo d'Arezzo si partì male in accordo dal Bavero, e tornando ad Arezzo morì in Maremma

Nel detto anno Guido Tarlati signore d'Arezzo, e stato disposto vescovo, si partì di Pisa dal Bavero assai male contento, per grosse parole e rimprocci avuti da Castruccio dinanzi al detto signore; intra gli altri rimprocci che Castruccio il chiamò traditore, dicendo che quand'egli sconfisse i Fiorentini ad Altopascio, e venne con Azzo Visconti a Peretola, se 'l vescovo d'Arezzo fosse venuto colle sue forze verso Firenze per la via di Valdarno, la città di Firenze non si potea tenere; e in parte si potea appressare al vero. Il vescovo rispuose che traditore era egli ch'avea cacciato di Pisa e di Lucca Uguiccione da Faggiuola e tutti i grandi Ghibellini di Lucca che gli avevano data la signoria, sì come tiranno, e ch'egli non dovea rompere la pace a' Fiorentini, se non la rompessono a·llui, come avea fatto elli, rimproverandogli che se non fossono i suoi cavalieri e danari che gli mandò, non potea sostenere l'oste contra i Fiorentini, e per lui avea vinto. Per questi rimprocci il Bavero non gli avea fatto onore, né ripreso Castruccio, onde molto dispetto prese, e si partì di Pisa; e quando fu in Maremma, cadde malato al castello di Montenero, nel quale passò di questa vita a dì XXI del mese d'ottobre. E innanzi che morisse, in presenza di più genti, frati e cherici e secolari, o per isdegno preso o per buona coscienza, si riconobbe sé avere errato contro al papa e santa Chiesa, e confessò come papa Giovanni era giusto e santo, e 'l Bavero, che si facea chiamare imperadore, era eretico e fautore d'eretici, e sostenitore di tiranni, e non giusto né degno signore, promettendo e giurando (e di ciò a più notai fece fare solenni carte) che se Dio gli rendesse santade, che sempre sarebbe obediente a santa Chiesa e al papa, e nimico de' suoi ribelli; e con molte lagrime domandò penitenzia e misericordia: ebbe i sacramenti di santa Chiesa, e co la detta contrizione morì; onde fu tenuto gran fatto in Toscana. E lui morto, per gli suoi ne fu portato il corpo ad Arezzo, e là sepolto a grande onore, come quegli ch'avea molto acresciuta la città d'Arezzo e 'l suo vescovado. Per la sua morte l'oste d'Arezzo e di quegli di Castello, ch'erano con battifolli a l'assedio a Castello di Monte Sante Marie, se ne partirono come in isconfitta e tornarono ad Arezzo; e feciono gli Aretini signori de la terra per uno anno Dolfo e Piero Saccone da Pietramala.



XXXVII - Come il papa diede alcuna sentenzia contro al Bavero

Nel detto anno MCCCXXVII, a dì XX d'ottobre, papa Giovanni apo Vignone diede ultima sentenzia di scomunica contro al Bavero, sì come a persecutore di santa Chiesa e fautore degli eretici, privandolo d'ogni dignità temporale e spirituale.



XXXVIII - Come il Bavero fece Castruccio duca di Lucca e d'altre terre

Nel detto anno, a dì IIII di novembre, il Bavero per meritare Castruccio del servigio fattogli d'avere avuta per suo senno e prodezza la città di Pisa n'andò a la città di Lucca con Castruccio insieme, e fugli fatto da' Lucchesi grande festa e onore; e poi il menò Castruccio in Pistoia per mostrargli la città e contado di Firenze, e com'era a la frontiera e presso a guerreggiare la città di Firenze. E tornaro in Lucca per la festa di san Martino, per la quale con grande trionfo e onore il detto Bavero fece Castruccio duca de la città e distretto di Lucca, e del vescovado di Luni, e de la città e vescovado di Pistoia e di Volterra; e mutò arme a Castruccio, lasciando la sua propia della casa degl'Interminelli col cane di sopra, e fecelo armare a cavallo coverto, e bandiere a modo di duca, col campo ad oro, e al traverso una banda a scacchi pendenti azzurri e argento, sì come l'arme propia al tutto, co' detti scacchi del ducato di Baviera. E fatta la detta festa, si tornarono in Pisa a dì XVIII di novembre. E in quello brieve tempo che l'avea presa trasse il Bavero de la città di Pisa e del contado, che di libbre e che d'imposte, CLm di fiorini d'oro, e de' cherici di quella diocesia XXm fiorini d'oro, con grande dolore e torzioni de' Pisani, sanza quegli ch'ebbe da Castruccio quando il fece duca, che si dice che furono Lm fiorini d'oro. Lasceremo alquanto del processo del detto Bavero, che si riposa in Pisa e in Lucca, e rauna danari per fornire suo viaggio a Roma; e faremo incidenza d'altre cose che furono in Firenze e in altre parti del mondo in questi tempi, tornando poi a nostra materia per seguire il corso e andamento del detto Bavero.



XXXIX - Come il re di Scozia corse in Inghilterra

Nel detto anno MCCCXXVII, del mese d'agosto, il re di Scozia con più di XLm Scotti passò infra l'Inghilterra per guastare il paese più giornate. Il giovane Adoardo terzo re d'Inghilterra con tutta sua cavalleria e forza di gente a piè gli andò incontro, e rinchiuse tutti i detti Scotti in uno parco del vescovo di Durem, e tutti gli avrebbe in quello morti o presi, se non fosse la viltà e tradimento de' suoi Inghilesi, che non faceano la guardia come si convenia, onde i detti Scotti di notte si partirono, e tutti n'andarono sani e salvi sanza battaglia o caccia niuna.



XL - Come il popolo della città d'Imola fu sconfitto da la gente de la Chiesa

Nel detto anno, a dì VIII di settembre, messer Ricciardo de' Manfredi di Faenza con gente a cavallo, di quegli del legato cardinale ch'era a Bologna, essendo venuti nella città d'Imola, perché quegli della terra per trattato fatto con Alberghettino suo fratello che avea rubellata Faenza, ed egli con sua gente cavalcarono per avere Imola, il popolo d'Imola si levò a romore per cacciarne il detto messer Ricciardo e la gente de la Chiesa, onde si cominciò la battaglia in su la piazza d'Imola; e per forza d'arme il detto messer Ricciardo con gli Alidogi e loro fedeli, e colla detta cavalleria della Chiesa, ch'erano da Vc cavalieri, sconfissono e ruppono il popolo d'Imola, e uccisonne più di CCCC, che non v'ebbe buona casa che uomo non vi rimanesse morto; e poi corsono la terra e rubarla tutta, onde la piccola città d'Imola quasi rimase distrutta di buona gente, e disolata di preda.



XLI - Come in Firenze fu arso maestro Cecco d'Ascoli astrolago per cagione di resia

Nel detto anno, a dì XVI di settembre, fu arso in Firenze per lo 'nquisitore de' paterini uno maestro Cecco d'Ascoli, il qual era stato astrolago del duca, e avea dette e rivelate per la scienza d'astronomia, overo di nigromanzia, molte cose future, le quali si trovarono poi vere, degli andamenti del Bavero e de' fatti di Castruccio e di quegli del duca. La cagione perché fu arso sì fu perché, essendo in Bologna, fece uno trattato sopra la spera, mettendo che nelle spere di sopra erano generazioni di spiriti maligni, i quali si poteano costrignere per incantamenti sotto certe costellazioni a potere fare molte maravigliose cose, mettendo ancora in quello trattato necessità alle infruenze del corso del cielo, e dicendo come Cristo venne in terra accordandosi il volere di Dio co la necessità del corso di storlomia, e dovea per la sua natività essere e vivere co' suoi discepoli come poltrone, e morire de la morte ch'egli morìo; e come Anticristo dovea venire per corso di pianete in abito ricco e potente; e più altre cose vane e contra fede. Il quale suo libello in Bologna riprovato, e ammonito per lo 'nquisitore che no·llo usasse, gli fu opposto che l'usava in Firenze; la qual cosa si dice che mai non confessò, ma contradisse a la sua sentenzia, che poi che ne fu ammonito in Bologna, mai no·llo usò; ma che il cancelliere del duca, ch'era frate minore vescovo d'Aversa, parendogli abominevole a tenerlo il duca in sua corte, il fece prendere. Ma con tutto che fosse grande astrolago, era uomo vano e di mondana vita, ed erasi steso per audacia di quella sua scienza in cose proibite e non vere, però che la 'nfruenza delle stelle non costringono necessitade, né possono essere contra il libero arbitrio dell'animo dell'uomo, né maggiormente a la proscienzia di Dio, che tutto guida, governa e dispone a la sua volontà.



XLII - De la morte del gran medico maestro Dino di Firenze

Nel detto tempo, a dì XXX di settembre, morì in Firenze maestro Dino del Garbo grandissimo dottore in fisica e in più scienze naturali e filosofiche, il quale al suo tempo fu il migliore e sovrano medico che fosse in Italia, e più nobili libri fece a richesta e intitolati per lo re Ruberto. E questo maestro Dino fu grande cagione de la morte del sopradetto maestro Cecco, riprovando per falso il detto suo libello, il quale avea letto in Bologna, e molti dissono che 'l fece per invidia.



XLIII - Come messer Cane della Scala ricominciò guerra a' Padovani

Nel detto tempo messer Cane de la Scala signore di Verona ricominciò guerra a' Padovani col figliuolo di messer Ricciardo da Cammino di Trivigi, e presono il castello d'Esti che teneano i Padovani, e grande danno feciono co·lloro oste intorno a Padova; per la qual cosa i Padovani mandarono per aiuto al duca di Chiarentana, a la cui signoria s'erano dati, il quale mandò in loro aiuto M cavalieri tedeschi, per la qual cosa messer Cane si levò da oste e tornossi a Verona.



XLIV - Come i conti da Santa Fiore riebbono Magliano

Nel detto anno MCCCXXVII i Pancechieschi di Maremma, ch'aveano in guardia il castello di Magliano per lo duca di Calavra, per paura del maliscalco del Bavero, che cavalcò con grossa gente da Pisa in Maremma per andare verso Roma, temendo che' conti da Santa Fiore con quella gente non gli asediasse, misono fuoco nel detto castello, e vilmente se n'uscirono fuori, e abbandonarono, e' conti il si ripresono e racconciarono; e' loro mallevadori furono presi in Firenze per lo duca, e messi in pregione nelle Stinche.



XLV - Come la gente de la Chiesa osteggiarono Faenza

Nel detto tempo la gente della Chiesa ch'era col legato in Bologna cavalcarono con messer Ricciardo Manfredi sopra la città di Faenza per raquistarla, la quale avea rubellata Alberghettino suo fratello, e guastarla intorno con grandissimo danno de la contrada, ma però non poté avere la terra.



XLVI - Quando morì il re Giammo d'Araona

Nel detto anno, del mese d'ottobre, morì lo re Giammo d'Araona di suo male, e fue soppellito in Barzellona; e lo 'nfante Anfus suo figliuolo, il quale conquistò la Sardigna, ne fu fatto e coronato re d'Araona e di Sardigna. Il detto re Giammo fu savio e valoroso signore e di grandi opere e imprese, come per adietro le nostre croniche in più parti fanno menzione.



XLVII - Come il Bavero diede a Castruccio più castella de' Pisani

Nel detto anno, a dì III di dicembre, i Pisani per comandamento del Bavero renderono a Castruccio, detto duca di Lucca, per guidardone del suo servigio il castello di Serrezzano e quello di Rotina in Versilia, e Montecalvoli e Pietracassa, onde i Pisani si tennono forte gravati.



XLVIII - Come il duca fece cacciare uno popolano di Firenze, perché aringò contro a·llui

Nel detto anno, a dì VII di dicembre, uno popolano di Firenze chiamato Gianni Alfani, per cagione che in uno consiglio di dare aiuto al re Ruberto a richesta de' suoi ambasciadori il detto Gianni contradisse, il fece il duca condannare nell'avere e persona, e guastare i suoi beni; e con tutto che 'l detto Gianni fosse per sue ree opere degno di quello, e peggio, sì spiacque a tutti i popolani di Firenze per assempro di loro, e però ch'egli avea pure detto bene per lo Comune, e ragionevolemente, ma disselo con troppa audacia e prosunzione contra il signore. Avenne fatta menzione, non per lo detto Gianni, che non era degno di scrivere in cronica, ma per esemplo, e perché a' Fiorentini parve essere troppo fedeli del signore, per questa cagione recando in loro assempro che chi a uno offende a molti minaccia.



XLIX - Come il Bavero si partì di Pisa per andare a Roma

Nel detto anno MCCCXXVII il Bavero essendo stato in Pisa, poi che la vinse, come adietro facemmo menzione, non intese a fare guerra niuna contra' Fiorentini, né contra il loro signore messer lo duca, ma solamente a raunare moneta per fornire suo cammino verso Roma, e da l'ottobre ch'egli prese Pisa infino a la sua partita trasse da' Pisani, con XXm fiorini d'oro che impuose al chericato di Pisa, che di libbre e d'imposte e di loro rendite e gabelle, CCm fiorini d'oro, con molti guai de' Pisani, che alla loro difensione contra al detto Bavero non ardirono a imporre Vm. E ciò fatto, a dì XV di dicembre nel detto anno, con sua gente in numero di IIIm cavalieri e con più di Xm bestie uscì della città di Pisa, e acampossi a la badia di Santo Remedio presso a Pisa a tre miglia, e di là mandò innanzi per la via di Maremma il suo maliscalco co' conti a Santa Fiore e con Ugolinuccio da Baschio con VIIc cavalieri e IIm pedoni, acciò che prendessono i passi di Maremma, e fornissono il cammino di vittuaglia. E nel detto luogo soggiornò il Bavero VI dì per attendere Castruccio duca di Lucca, il quale mal volentieri andava con lui a Roma, temendo di lasciare isguernita la città di Lucca e di Pistoia. A la file non vegnendo il detto Castruccio, e il Bavero avendo lettere e messaggi da' Romani, che avacciasse sua andata a Roma se volesse la terra, acciò che la parte degli Orsini e della Chiesa non vi mettessero prima la forza e gente del re Ruberto, si partì a dì XXI di dicembre, e fece la pasqua di Natale a Castiglione della Pescaia; e poi di là passò il fiume d'Ombrone a la foce di Grosseto con grande affanno, perché per le gravi piogge il detto fiume era molto grosso, e uno ponte apposticcio ch'aveano fatto fare il suo maliscalco co' detti Maremmani, per soperchio incarico di sua gente si ruppe, e assai di sua gente e loro cavagli annegarono, e convenne che 'l signore passasse a la foce a la marina con due galee e più barche che fece venire da Piombino. Il quale passaggio, se 'l duca di Calavra co la sua gente e co' Sanesi avesse voluto impedire, assai era loro leggere e sicuro; ma poi che 'l Bavero fu in Toscana, il detto duca nol volle vedere né lui né sua gente, o per viltà di cuore, o per senno e comandamento del padre lo re Ruberto, per non venire a la zuffa co' Tedeschi, che l'andavano caendo. E così passò il Bavero la Maremma con grande affanno e con male tempo e grande soffratta di vittuaglia, albergando per necessità i più de la sua gente a campo nel cuore del verno. E pochi giorni apresso Castruccio con IIIc cavalieri de la migliore gente ch'egli avea, e con M balestrieri tra Genovesi e Toscani, seguì il Bavero e giunselo a Viterbo, e lasciò in Lucca e in Pistoia e in Pisa da M cavalieri per guardia con buoni capitani. Il detto Bavero, faccendo la via di Santa Fiore, e poi da Corneto e da Toscanella, giunse nella città di Viterbo a dì II del mese di gennaio del detto anno; ne la quale fu ricevuto a grande onore, sì come loro signore, però che Viterbo si tenea a parte d'imperio, ed erane signore e tiranno di quella uno ch'avea nome Salvestro di Gatti loro cittadino.

Lasceremo alquanto gli andamenti del Bavero, e torneremo a·cciò che fece il duca di Calavra.



L - Come il duca di Calavra si partì della città di Firenze, e andonne nel Regno per contradiare al Bavero

Sentendo il duca di Calavra ch'era in Firenze la partita del Bavero de la città di Pisa, e come già era entrato in Maremma, a dì XXIIII di dicembre nel detto anno fece uno grande parlamento in sul palagio del Comune ove abitava, ove furono i priori e' gonfalonieri e' capitani de la parte guelfa, e tutti i collegi degli uficiali di Firenze, e gran parte de la buona gente de la cittade, grandi e popolani; e quivi per suoi savi solennemente e con belle dicerie anunziò la sua partita, la quale a·llui era di necessità per guardare il suo regno e per contastare le forze del Bavero, confortando i Fiorentini che rimanessono in costanza e fedeli e con buono animo a parte di santa Chiesa e al padre e a·llui, e ch'egli lasciava loro capitano e suo luogotenente messer Filippo di Sangineto, figliuolo del conte di Catanzano di Calavra, e per suo consiglio messer Giovanni di Giovannazzo e messer Giovanni da Civita di Tieti, grandi savi in ragione e in pratica, e gente d'arme da M cavalieri, pagandogli CCm fiorini d'oro l'anno, com'egli ci fosse, per soldo de' detti cavalieri, promettendo che quando bisognasse egli in persona o altri di suo lignaggio verrebbe con tutte sue forze a l'aiuto e difensione di Firenze. A·cciò che fu proposto e detto per gli savi del duca, saviamente e con belle aringherie fornite di molte autoritadi fu fatta la risposta per gli Fiorentini per certi loro savi, mostrando doglia e pesanza di sua partita, però che con tutto non fosse stato vivo signore né guerriere, come molti Fiorentini avrebbono voluto, e come potea colle sue forze, sì fu pur dolce signore e di buono aiere a' cittadini, e nella sua stanza adirizzò molto il male stato di Firenze, ed ispense le sette ch'erano tra' cittadini, e con tutto che costasse grossamente la sua stanza in Firenze, che di vero si trovarono spesi per lo Comune, in XVIIII mesi che il detto duca fu in Firenze, co la moneta ch'egli aveva de' gaggi, più di DCCCCm di fiorini d'oro; e io il posso testimonare con verità, che per lo Comune fui a farne ragione, con tutto che' cittadini e tutti artefici guadagnarono assai da lui e da sua gente. E dilibero il detto parlamento, il dì apresso del Natale fece il duca grande corredo, e diè mangiare a molti buoni cittadini, e gran corte di donne, e con grande festa e danze e allegrezza; e poi il lunedì vegnente dopo terza, dì XXVIII di dicembre, si partì il detto duca di Firenze co la donna sua, e con tutti i suoi baroni, e con ben MD cavalieri de la migliore gente ch'avesse, e seguì suo cammino soggiornando in Siena e in Perugia e a Rieti; e a dì XVI di gennaio, anno detto, giunse a l'Aquila, e là si fermò con sua gente. Lasceremo alquanto del Bavero e del duca, faccendo incidenza per dire d'altre novità infra 'l detto tempo.



LI - Come il borgo a San Donnino s'arendé a la Chiesa

Nel detto anno MCCCXXVII, del mese di dicembre, il borgo a San Donnino in Lombardia, che tanto avea fatto di guerra e di danno a la parte della Chiesa, partitane la cavalleria di Milano per l'altre guerre cominciate per la venuta del Bavero in Toscana, per certo trattato tra' terrazzani s'arendéo a' figliuoli di messer Ghiberto da Coreggio di Parma per lo legato del papa ch'era in Lombardia, e costò danari assai al detto legato.



LII - Come fu fatto accordo tra' Perugini e la Città di Castello

Nel detto anno e mese si fece accordo da' Perugini a la Città di Castello, rimagnendo la signoria di Castello a' Tarlati d'Arezzo e a' figliuoli di Tano degli Ubaldini che n'erano signori, e a la parte ghibellina, rimettendo nella città certi usciti guelfi e parte rimanendo a' confini, riavendo il frutto di loro posessioni, e prendendo podestà e capitano di Perugia di parte ghibellina a·lloro volontà. E ciò feciono i Perugini perch'erano molto affannati de la detta guerra, e per la venuta del Bavero male potuti atare da' Fiorentini e dagli altri Toscani.



LIII - Come il papa fece X cardinali

Nel detto anno, a dì XVIII di dicembre, per le digiune Quattro Tempora, papa Giovanni per riformare e rafforzare lo stato suo e della Chiesa per la venuta del Bavero, e per la nimistà che la Chiesa avea presa co·llui, appo Vignone in Proenza fece X cardinali, i nomi de' quali furono questi: messer l'arcivescovo di Tolosa, che l'arcivescovo di Napoli, che messer Anibaldo di quegli di Ceccano in Campagna, lo vescovo di Siponto, cioè fra Matteo degli Orsini di Campo di Fiore, lo vescovo d'Alsurro ch'è di Francia, lo vescovo di Ciarteri anche francesco, lo vescovo di Cartaina di Spagna, lo vescovo di Mirapesce di tolosana, lo vescovo di San Paulo anche di tolosana, messer Giovanni figliuolo di messer Stefano de la Colonna di Roma, messer Imberto di Ponzo di Caorsa parente del detto papa.



LIV - Di certe novità che il legato del papa fece in Firenze

Nel detto anno, il dì apresso la Pifania, per mandato del cardinale degli Orsini legato in Toscana, il quale era in terra di Roma, in Firenze si celebrò tre dì continui processione per tutti i religiosi e secolari maschi e femmine che la vollono seguire, pregando Idio che desse il suo aiuto a santa Chiesa a la difensione del Bavero, e lui recasse a l'obedienza della Chiesa, e pace; e però diede grandi indulgenzie e perdono. E in questo tempo il papa diede al detto legato per sua mensa le rendite de la Badia di Firenze, ch'era morto l'abate, e vacava, il quale la prese, e poi non vi fu abate; e per gli monaci ch'erano X, con ogni fornimento di cappellani e della chiesa, lasciò Vc fiorini d'oro; e fu grande ragione, ché la Badia avea di rendita presso a IIm fiorini d'oro, ed ispendeasi fra X monaci e uno abate.



LV - Come il Bavero si partì di Viterbo e andonne a Roma

Nel detto anno MCCCXXVII, essendo il Bavero giunto in Viterbo, in Roma nacque grande questione tra 'l popolo, e spezialmente tra' LII buoni uomini, chiamati IIII per rione a la guardia del popolo romano, che parte di loro voleano liberamente la venuta del Bavero sì come loro signore, e parte di loro parendo mal fare e contra santa Chiesa, e parte voleano patteggiare co·llui anzi che si ricevesse in Roma; e a questo terzo consiglio s'apresono nel palese per contentare il popolo, e mandargli solenni ambasciadori a·cciò trattare. Ma Sciarra della Colonna e Iacopo Savelli, ch'erano capitani del popolo, coll'aiuto di Tibaldo di quegli di Santo Stazio, grandi e possenti Romani, i quali tre caporali erano stati cagione de la revoluzione di Roma, e cacciati n'aveano gli Orsini e messer Stefano de la Colonna, e' figliuoli, tutto fosse fratello carnale del detto Sciarra, però ch'era cavaliere del re Ruberto e teneasi a sua parte; per la qual cosa tutti gli amici del re Ruberto per tema si partirono di Roma, e tolto fu agli Orsini Castello Santangiolo, e tutte le forze di Roma a·lloro e a·lloro seguaci, sotto la forza e guardia del popolo. I sopradetti tre capitani del popolo sempre nel segreto, dissimulando il popolo, ordinavano e trattavano la venuta del Bavero e di farlo re de' Romani, per animo di parte ghibellina, e per molta moneta ch'ebbono da Castruccio duca di Lucca, e da la parte ghibellina di Toscana e di Lombardia. Incontanente mandarono segreti messi e lettere a Viterbo al Bavero, che lasciasse ogni dimoranza, e venisse a Roma, e non guardasse a mandato o detto degli ambasciadori del popolo di Roma. I quali ambasciadori giunti a Viterbo, ed isposta solennemente la loro ambasciata co le condizioni e patti loro imposte per lo popolo di Roma, commise il Bavero la risposta dell'ambasciata a Castruccio signore di Lucca, il quale, com'era per lo segreto ordinato, fece sonare trombe e trombette, e mandò bando ch'ogni uomo cavalcasse verso Roma; "e questa", disse agli ambasciadori di Roma, "è la risposta del signore imperadore". I detti ambasciadori cortesemente ritenne, e fece ordinare e mandò scorridori innanzi prendendo ogni passo, acciò che ogni messaggio o persona ch'andasse verso Roma fosse arrestato e ritenuto. E così si partì il detto Bavero con sua gente de la città di Viterbo martidì a dì V di gennaio, e giunse in Roma il giuovidì vegnente, dì VII di gennaio MCCCXXVII, nell'ora di nona, e con sua compagnia bene IIIIm cavalieri, sanza contasto niuno, com'era ordinato per gli detti capitani, e da' Romani fue ricevuto graziosamente, ed ismontò ne' palazzi di Santo Pietro, e là dimorò IIII giorni; poi passò il fiume del Tevero per venire ad abitare a Santa Maria Maggiore; e il lunidì vegnente salì in Campidoglio, e fece uno grande parlamento, ove fu tutto il popolo di Roma, ch'amava la sua signoria, e degli altri; e in quello il vescovo d'Ellera dell'ordine degli agostini disse la parola per lui con belle autoritadi, ringraziando il popolo di Roma dell'onore che gli aveano fatto, dicendo e promettendo com'egli avea intenzione di mantenergli e innalzargli, e di mettere il popolo di Roma in ogni buono stato, onde a' Romani piacque molto, gridando: "Viva, viva il nostro signore e re de' Romani!". E nel detto parlamento s'ordinò la sua coronazione la domenica vegnente, e nel detto parlamento il popolo di Roma il feciono sanatore e capitano del popolo per un anno.

E nota che col detto Bavero vennono in Roma molti cherici e parlati e frati di tutte l'ordini, i quali erano ribelli e sismatici di santa Chiesa, e tutta la sentina degli eretici de' Cristiani per contradio di papa Giovanni; per la qual cosa molti de' cattolici cherici e frati si partirono di Roma, e fu la terra e la santa città interdetta, e non vi si cantava uficio sacro né sonava campana, se non che s'uficiava per gli suoi cherici sismatici e scomunicati. E 'l detto Bavero commise a Sciarra della Colonna ch'egli costrignesse i cattolici cherici che dicessono il divino uficio; ma per tutto ciò niente ne vollono fare; e il santo sudario di Cristo fu nascoso per uno calonaco di San Piero che l'avea in guardia, perché non gli parea degno si vedesse per gli detti sismatici, onde in Roma n'ebbe grande turbazione.



LVI - Come Lodovico di Baviera si fece coronare per lo popolo di Roma per loro re e imperadore

Nel detto anno MCCCXXVII, domenica dì XVII gennaio, Lodovico duca di Baviera eletto re de' Romani fu coronato a Santo Pietro di Roma con grandissimo onore e trionfo, come diremo appresso; cioè ch'egli e la moglie con tutta sua gente armata si partirono la mattina da Santa Maria Maggiore, ove allora abitava, vegnendo a Santo Pietro, armeggiandogli innanzi IIII Romani per rione con bandiere, coverti di zendado i loro cavagli, e molta altra gente forestiera, essendo le vie tutte spazzate e piene di mortella e d'alloro, e di sopra a ciascuna casa tese e parate le più belle gioie e drappi e ornamenti che avessono in casa. Il modo come fu coronato, e chi il coronò, furono gl'infrascritti: Sciarra de la Colonna, ch'era stato capitano di popolo, Buccio di Proresso, e Orsino... stati sanatori, e Pietro di Montenero cavaliere di Roma, tutti vestiti a drappi ad oro; e co' detti a coronarlo sì furono de' LII del popolo, e 'l prefetto di Roma sempre andandogli innanzi, come dice il titolo suo, ed era adestrato da' sopradetti IIII capitani, sanatori e cavaliere, e da Giacopo Savelli, e Tibaldo di Santo Stazio, e molti altri baroni di Roma; e tuttora si facea andare innanzi uno giudice di legge, il quale avea per istratto l'ordine dello 'mperio. E col detto ordine si guidò alla sua coronazione. E non trovando niuno difetto, fuori la benedizione e confermazione del papa, che non v'era, e del conte del palazzo di Laterano, il quale s'era cessato di Roma, che secondo l'ordine dello 'mperio il doveva tenere quando prende la cresima a l'altare maggiore di Santo Pietro, e ricevere la corona quando la si trae, si providde, innanzi si coronasse, di fare conte del detto titolo Castruccio detto duca di Lucca. E prima con grandissima sollecitudine il fece cavaliere cignendogli la spada colle sue mani, e dandogli la collata; e molti altri ne fece poi cavalieri pur toccandogli co la bacchetta dell'oro, e Castruccio ne fece in sua compagnia VII. E ciò fatto, si fece consecrare il detto Bavero come imperadore, in luogo del papa o de' suoi legati cardinali, a sismatici e scomunicati, al vescovo che fu di Vinegia nipote che fu del cardinale da Prato, e al vescovo d'Ellera; e per simile modo fu coronata la sua donna come imperadrice. E come il Bavero fu coronato, si fece leggere tre decreti imperiali, prima della cattolica fede, il secondo d'onorare e reverire i cherici, il terzo di conservare le ragioni de le vedove e pupilli, la quale ipocrita dissimulazione piacque molto a' Romani. E ciò fatto, fece dire la messa; e compiuta la detta solennitade, si partirono di Santo Pietro, e vennono nella piazza di Santa Maria dell'Ariacelo dov'era apparecchiato il mangiare; e per la molta e lunga solennità fue sera innanzi che si mangiasse; e la notte rimasono a dormire in Campidoglio. E la mattina apresso fece sanatore e suo luogotenente Castruccio duca di Lucca, e lasciollo in Campidoglio; ed egli e la moglie se n'andarono a San Giovanni Laterano. In questo modo fu coronato a imperadore e re de' Romani Lodovico detto Bavero per lo popolo di Roma, a grande dispetto e onta del papa e della Chiesa di Roma, non guardando niuna reverenza di santa Chiesa.

E nota che presunzione fu quella del detto dannato Bavero, che non troverrai per nulla cronica antica o novella che nullo imperadore cristiano mai si facesse coronare se non al papa o a suo legato, tutto fossono molto contradi della Chiesa, o prima o poi, se non questo Bavero; la qual cosa fu molto da maravigliare. Lasceremo alquanto di dire ora più del Bavero, faccendo alcuna incidenza, però che rimane in Roma per ordinare e fare maggiori e più maravigliose cose. Ma come egli fu coronato, sanza soggiorno se fosse andato colla sua gente verso il regno di Puglia, nullo ritegno né difensione v'avea, con tutto che 'l duca di Calavra fosse a la frontiera a l'Aquila con MD cavalieri, e guernito Rieti, e Cepperano, e ponte Corbolo, e San Germano di gente d'arme; ma il detto Bavero si trovò in Roma a la detta sua coronazione più di Vm cavalieri, tra Tedeschi e Latini, buona gente d'arme e volonterosi di battaglia; ma a cui Idio vuole male gli toglie il buono consiglio, e così avenne a·llui, come inanzi nel suo processo faremo menzione.



LVII - Come quegli da Fabbriano furono sconfitti da la gente de la Chiesa

Nel detto anno MCCCXXVII, di gennaio, essendo l'oste della Chiesa sopra il castello di Fornoli ne la Marca d'Ancona, quegli da Fabbriano ribegli de la Chiesa con IIIIc cavalieri e IIm pedoni per levare il detto assedio vennono e puosonsi ivi presso a un altro castello che teneano que' della Chiesa. Tano da Iegi capitano della gente della Chiesa gli asalì con sua gente e miseli in isconfitta, e rimasonvi VII bandiere di cavalieri, e da CLXX cavagli, e ben IIIc uomini morti e IIIIc presi.



LVIII - Conta de' fatti di Firenze

Nel detto anno, a dì XXII di gennaio, si cominciò a fondare in Firenze la grande porta de la cittade sopra le mura che va verso Siena e verso Roma, presso al munistero de le Donne di Monticelli Oltrarno; e in quelli tempo si dificarono quelle mura nuove della cittade intorno a la detta porta verso il poggio di Bogoli. Domenica notte vegnente, a dì XXIIII di gennaio, s'apprese il fuoco in Firenze nel sesto di Borgo presso a la loggia de' Bondelmonti, e arsonvi due case sanza altro danno.



LIX - Come la città di Pistoia fu presa per lo capitano del duca e de' Fiorentini

Nel detto anno MCCCXXVII, a l'uscita di gennaio, essendo messo innanzi segretamente a messer Filippo di Sangineto, capitano di guerra per lo duca rimaso in Firenze, per uno Baldo Cecchi e Iacopo di messer Braccio Bandini Guelfi usciti di Pistoia come potea avere la città di Pistoia per imbolìo e forza, se si volesse assicurare, il detto messer Filippo cautamente intese al trattato, e segretamente fece fare nel castello dello 'mperadore di Prato ponte di legname, e scale e bolcioni e altri difici da combattere terre; e mercolidì sera, a dì XXVII di gennaio, serrate le porte, si partì il detto messere Filippo di Firenze con VIc uomini di cavallo di sua gente, e non menò seco nullo Fiorentino, se non messer Simone di messer Rosso della Tosa, che ordinò il trattato col detto messer Filippo. E anzi mezzanotte giunsono a Prato, dov'erano apparecchiati i detti difici di legname, e caricandogli in muli e aportatori mandati di Firenze, si mise in via menando seco IIm fanti a piè tra Pratesi e soldati de' Fiorentini ch'erano ordinati in Prato; e giunse a Pistoia anzi il giorno di costa a la porta di San Marco da la parte ov'era il fosso con meno acqua, e il luogo de la terra più solitario e peggio guardato. I detti Baldo e Iacopo passaro il fosso su per lo ghiaccio, e con iscala salirono in su le mura che non furono da nulli sentiti, e ivi su misono le bandiere del duca e del Comune di Firenze, e per simile modo ne misono dentro da C fanti; e trovandogli l'uficiale ch'andava ricercando le guardie, levò il romore, e egli e sua compagnia furono morti di presente, e la terra fu tutta ad arme. In quello la gente di messer Filippo puosono il ponte sopra il fosso, e con più scale messe a le mura molta gente vi misono dentro, e co' bolcioni dentro e di fuori pertugiarono il muro in due parti, per modo che vi poteano mettere il cavallo, onde menando a mano più ve ne furono messi; e messer Filippo in persona con alquanti di sua gente v'entrò dentro, e incontanente seminarono triboli di ferro, ch'aveano portati, per le vie d'onde i nemici poteano loro venire adosso, per impedire loro e' loro cavagli; e come vi furono ingrossati dentro, la cavalleria e gente di fuori e quegli entrati dentro combatterono la torre de la porta a Sa·Marco, e misono fuoco nel ponte e porta dell'antiporta. La gente di Castruccio, che v'erano dentro da CL cavalieri e Vc pedoni soldati a la guardia, sanza i cittadini, francamente parte di loro rimagnendo armati in su la piazza, e parte vennono a combattere la gente ch'era entrata da le mura, e per forza gli ripinsono allo stretto e rottura de le mura, e molti se ne gittavano fuori, se non fosse la virtù e sollecitudine del detto messer Filippo e di sua compagna, ch'erano dentro già con centocinquanta cavalieri, i quali montando in su i loro cavagli con grande vigore percossono a' nemici e per due riprese gli rimisono in rotta; e intanto arsa l'antiporta, e per quelli ch'erano dentro tagliata la porta, e le guardie de la torre morti e fuggiti, tutta la cavalleria e gente di fuori con grande vigore e grida e spavento di trombe e di nacchere entrarono ne la terra. E ciò sentendo la gente di Castruccio, con due suoi figliuoli piccoli che dentro v'erano, Arrigo e Galerano, si ridussono al Prato nel castello fatto per Castruccio chiamato Bellaspera, il quale tutto non fosse compiuto era molto maraviglioso e forte. Gli spaventati cittadini, uomini e femmine di Pistoia, de la sùbita presa non proveduti, e ancora non era giorno, a nulla difesa della città intesono se non a lo scampo di loro e di loro cose, correndo come ismarriti qua e là per la terra. La cavalleria e gente del capitano, e' Fiorentini e' Pratesi la maggior parte, si sparsono per la terra a la preda e ruberia, che quasi il capitano e messer Simone non rimasono con LXXX a cavallo co le bandiere ducali e del Comune di Firenze, i quali traendo dietro a' nimici nel Prato, i Tedeschi di Castruccio vigorosamente percossono al capitano e a sua gente, e diedono loro molto a·ffare per più assalti; e furono in pericolo d'essere sconfitti e cacciati i nostri della terra per mala condotta de' Borgognoni soldati, che s'erano sparti per la città a la ruberia, e lasciate le bandiere e 'l capitano; ma ischiarando il giorno, la gente cominciò ad andare al Prato al soccorso del capitano. I nimici veggendo la gente nostra ingrossare, e già di loro e morti e presi, si rinchiusono nel castello, e intesono di quello per la porta Luccese co' detti figliuoli di Castruccio sanza ritegno scampare, e fuggendo verso Serravalle, e lasciando molti l'arme e' cavagli, e presine e morti alquanti. Ma se per lo capitano fosse stato meglio proveduto, o da' suoi cavalieri meglio obbidito, che parte di loro fossono cavalcati di fuori a la porta Luccese, i figliuoli di Castruccio e tutta sua gente erano morti e presi. In questo modo fu presa la città di Pistoia giuovidì a dì XXVIII di gennaio anni MCCCXXVII, e tutta fu corsa e rubata sanza nullo ritegno, e durò la ruberia più di X dì, rubando Guelfi e Ghibellini, onde molto fu ripreso il capitano; che se a·cciò avesse riparato, e co la sua gente e con Vc cavalieri della Chiesa, ch'allora erano in Prato, fosse di presente cavalcato, avrebbe avuto Serravalle, Carmignano, Montemurlo, e Tizzano, o alcuno de' detti castelli. Ma il vizio della covidigia guasta ogni buono consiglio. Raquetata la ruberia, il capitano riformò la terra per lo re Ruberto e per lo duca, e lasciòvi per capitano il detto messer Simone de la Tosa con CCL soldati e M pedoni al soldo del Comune di Firenze, e il detto messer Filippo tornò in Firenze, domenica a dì VII di febbraio, con grande onore e trionfo fattogli per gli Fiorentini d'armeggiatori con bandiere e coverti di zendadi, e andargli incontro co la cavalleria e popolani a piè, ciascuna compagnia col suo gonfalone, e fattogli palio per mettere sopra capo, ma ciò non volle acconsentire, ma fecevi mandare sotto innanzi a·llui il pennone dell'arme del duca, ch'elli usava portare sopra capo, che gli fu posto in gran senno e conoscenza, e menonne seco molti pregioni pistolesi e altri, e uno figliuolo del traditore messer Filippo Tedici e uno suo nipote piccoli garzoni, e più altri cari figliuoli de' Ghibellini di Pistoia, e molta roba, drappi, arnesi, e gioelli.

Avemo sì distesamente inarrato la presura della città di Pistoia, però che per sì fatto modo e così forte città di mura e di fossi e guernita di gente d'arme non fu presa in Toscana già fa grandissimo tempo, e ancora per la sequela ch'avenne poi della detta presura, come diremo appresso. E per l'aquisto di Pistoia a dì VI di febbraio s'arendé la castellina ch'è sopra Puntormo, la quale molta guerra avea fatta a la strada che vae a Pisa.



LX - Come Castruccio si partì di Roma dal Bavero sì tosto come seppe la perdita di Pistoia

Essendo Castruccio in Roma col Bavero in tanta gloria e trionfo, come detto avemo, d'esser fatto cavaliere a tanto onore, e confermato duca, e fatto conte di palazzo e sanatore di Roma, e più ch'al tutto, era signore e maestro de la corte del detto imperadore, e più era temuto e ubbidito che 'l Bavero, per leggiadria e grandezza fece una roba di sciamito cremesi, e dinanzi al petto con lettere d'oro che diceano: "È quello che Idio vuole", e nelle spalle di dietro simili lettere che diceano: "E sì sarà quello che Idio vorrà". E così egli medesimo profetezzò in sé le future sentenzie di Dio. E stando lui in tanta gloria, come piacque a·dDio, prima perdé la città di Pistoia per lo modo che detto avemo. Come la gente di Castruccio ebbono perduta Pistoia, incontanente per terra e per mare mandarono messaggi e vacchette armate, sì che per la via di mare Castruccio seppe la novella in Roma in tre dì. Incontanente Castruccio fu al Bavero e re de' Romani detto imperadore, e dolfesi forte de la perdita di Pistoia, rimprocciando che se non l'avesse menato seco Pistoia non sarebbe perduta, mostrando grande gelosia della città di Pisa e di quella di Lucca, che nonn avessono mutazione. Incontanente prese congio da·llui, e partissi di Roma il primo dì di febbraio con sua gente. Ma Castruccio lasciò sua gente in cammino, ed egli con pochi con grande sollecitudine e rischio per gli passi di Maremma cavalcò innanzi, e giunse in Pisa con XII a cavallo a dì VIIII di febbraio, anni MCCCXXVII. E la sua gente, ch'erano Vc cavalieri e M pedoni a balestra, giunsono più giorni apresso. E nota che per la partita di Castruccio tutto l'osordio e imprese del Bavero ch'avea ordinate per passare nel Regno, gli vennono poi corte e fallite, come innanzi faremo menzione; però che Castruccio era di grande consiglio in guerra e bene aventuroso, ed egli solo più temuto dal re Ruberto e dal duca e da quegli del Regno, che 'l Bavero con tutta sua gente. Sì che per l'aquisto di Pistoia Castruccio si partì di Roma, onde allora il Bavero prolungò l'andare nel Regno, che se vi fosse ito sanza indugio e col senno di Castruccio e con sua gente, di certo il re Ruberto era in pericolo di potersi difendere, perché male s'era ancora proveduto a la difesa. Come Castruccio fue in Pisa, al tutto prese la signoria de la terra, e recò a sé tutte l'entrate e le gabelle de' Pisani; e oltre a·cciò gli gravò di più incarichi di moneta. E poco apresso per alcuno trattato credette avere Montetopoli per imbolìo, e cavalcòvi con sua gente una notte, e di sua gente per condotta del traditore entrarono infino a l'antiporta. La mattina per tempo quegli de la terra, e' soldati a cavallo e a piè che v'erano per lo Comune di Firenze, sentirono il tradimento, e vigorosamente difesono la porta, e uccisono il traditore, e coloro cu' egli avea già condotti dentro. Per la qual cosa Castruccio si tornò a Pisa, e poi in calen di marzo fece fare una grande cavalcata nel piano di Pistoia, ed egli medesimo venne a provedere Pistoia, come quegli che tutto suo animo era disposto in raquistarla; e fece fornire Montemurlo, e tornossi in Lucca sanza contasto niuno da' Fiorentini o dal capitano del duca.

Lasceremo alquanto de' processi di Castruccio, e diremo d'altre cose istrane ch'avennono ne' detti tempi.



LXI - Come e quando morì Carlo re di Francia

Nel detto anno MCCCXXVII, il dì di calen di febbraio, morì Carlo re di Francia di sua malatia, e cogli altri re fu soppellito a San Donis a grande onore. Questi non lasciò nullo figliuolo, ma la reina sua moglie, la quale, come adietro facemmo menzione, era sua cugina carnale, rimase grossa, e fu fatto governatore del reame messer Filippo di Valos suo cugino, e figliuolo che fu di messer Carlo di Valos. Al detto termine la detta reina fece una figlia femmina, sì che de la signoria del reame fu fuori e di quistione, e il detto messer Filippo ne fu re, come innanzi faremo menzione. Questo re Carlo fu di piccola bontà, e al suo tempo non fece cosa notabile, e in lui finì l'eritaggio del reame del suo padre il re Filippo, e de' suoi fratelli, che co·llui furono IIII re: Luis e Giovanni suo piccolo figliuolo nato della reina Cremenza poi che morì il padre, che non vivette che XX dì, ma pur fu nel numero de' re; e morto il detto fanciullo succedette e fu re il zio, ciò fu il re Filippo, e poi il detto Carlo, e di niuno rimase reda maschio; ciò avenne loro la sentenzia che 'l vescovo d'Ansiona profetezzò loro, come dicemmo adietro nel capitolo della presura e morte di papa Bonifazio, come per lo detto peccato commesso per lo re Filippo loro padre egli e' suoi figliuoli avrebbono gran vergogna e abbassamento di loro stato, e i·lloro fallirebbe la signoria del reame. E così avenne, che come adietro facemmo menzione, vivendo il detto re Filippo padre, le donne de' suoi detti tre figliuoli furono trovate in avolterio con grande vergogna de la casa reale, e in loro fallì la signoria del reame, che di nullo di loro rimase reda maschio. E però è da guardare d'offendere chi è in luogotenente di Cristo, né a santa Chiesa, a diritto né a torto, che con tutto che' suoi pastori per loro difetti non sieno degni, l'offesa a·lloro fatta è dell'onnipotente Iddio.



LXII - Come in tutta Italia fu corruzzione di febbre

Nel detto anno e mese di febbraio fu per tutta Italia una generale corruzzione di febbre mossa per freddo, onde i più de le genti ne sentirono, ma pochi ne morirono. Dissono gli astrolaghi naturali che di ciò fu cagione l'aversione di Mars e di Saturno.



LXIII - Come il conte Guiglielmo Spadalunga prese Romena e poi la lasciò

Nel detto anno, a dì XXVI di febbraio, Guiglielmo Spadalunga, de' conti Guidi ghibellini, coll'aiuto di IIIc cavalieri tedeschi ch'ebbe dagli Aretini, prese il castello di Romena, salvo la rocca, il quale era de' suoi consorti guelfi figliuoli del conte Aghinolfo; onde in Firenze per cagione dell'essere del Bavero n'ebbe grande gelosia e paura; e cavalcarvi le masnade de' cavalieri, e gli altri conti Guidi guelfi si raunarono co·lloro isforzo per contradiare il detto conte Guiglielmo, il quale veggendo sì sùbito soccorso, ed egli mal proveduto di vittuaglia, lasciò la terra con alcuno danno di sua gente.



LXIV - Come i Genovesi ripresono il castello di Volteri

Nel detto anno MCCCXXVII, a l'entrante di marzo, i Genovesi d'entro ripresono per forza e ingegno il castello di Volteri con grande danno di loro usciti che dentro v'erano, che molti ne furono morti e presi.



LXV - Come si cominciò guerra tra' Viniziani e gli usciti di Genova e que' di Saona

Nel detto tempo si cominciò guerra in mare tra' Viniziani e quegli di Saona e gli usciti di Genova, per cagione che' detti usciti di Genova corseggiando in mare in Soria e in Romania, più cocche e galee cariche d'avere de' mercatanti di Vinegia presono tra più volte nel detto anno, in quantità di valuta di più di LXXm fiorini d'oro, e più di IIIc Viniziani per più riprese, e in più legni affrontandosi co·lloro a·bbattaglia furono morti. A la fine volendo gli Viniziani pigliare la guerra per comune, e ordinato, e già armate LX galee, Castruccio signore di Lucca per animo di parte, che·ll'una parte e l'altra erano Ghibellini, prese in mano la differenza, e accordogli insieme con amenda a' Viniziani di libbre M di viniziani grossi, e grande danno e vergogna de' Viniziani; ma feciollo per non perdere il navicare, e per tema di soperchia spesa; ma più gli vinse animo di parte e la loro viltade.



LXVI - Come il Bavero fece cominciare guerra a la città d'Orbivieto

Nel detto anno il Bavero che si facea chiamare imperadore, essendo rimaso in Roma dopo la partita di Castruccio, mandò de' suoi cavalieri da MD a Viterbo, e fece cominciare guerra a la città d'Orbivieto, perché si teneano a la parte della Chiesa, e molte ville e castella di loro contado arsono e guastarono; e maggior danno avrebbono fatto, se non che a dì IIII di marzo in Roma nacque una grande zuffa tra' Romani e' Tedeschi, per cagione che di vittuaglia che prendeano non voleano dare danaio, onde molti Tedeschi furono morti, e furonne i Romani sotto l'arme, e abarrarsi in più parti in Roma. Per la qual cosa il Bavero ebbe sospetto di tradimento; s'afforzò in Castello Santo Angiolo, e tutta sua gente fece tornare ad abitare ne la contrada si chiama Portico di San Piero, e per la sua gente ch'era sopra Orbivieto rimandò, e fece ritornare in Roma. Alla fine s'aquetò la zuffa, e più Romani furono condannati, onde s'acrebbe la loro mala volontà contra il Bavero e sua gente.



LXVII - Come il Bavero fece torre la signoria di Viterbo e il suo tesoro a Salvestro de' Gatti che n'era signore

Nel detto anno MCCCXXVII, del mese di marzo, il Bavero, essendogli detto che 'l signore di Viterbo avea grande tesoro di moneta, e egli di ciò molto bisognoso, mandò il suo maliscalco e 'l cancelliere con M uomini a cavallo a la città di Viterbo, e giunti nella terra, subitamente feciono pigliare Salvestro de' Gatti e 'l figliuolo, ch'era signore di Viterbo, e quegli che gli avea data l'entrata de la terra e la signoria, opponendogli che egli stava in trattato col re Ruberto di dare a sua gente Viterbo, e fecelo martoriare per farlo confessare ove avea suo tesoro; il quale confessato ch'era nella sagrestia de' frati minori, vi mandaro, e vi trovarono XXXm fiorini d'oro; e quegli presi, con essi n'andarono a Roma, menandone preso il detto Salvestro e 'l figliuolo; sì che il piccolo tiranno dal maggiore fue sanza colpa di quel peccato degnamente pulito, e toltagli la signoria de la terra, e il suo tesoro.



LXVIII - Come il cancelliere di Roma si rubellò al Bavero

Nel detto anno, a dì XX di marzo, il cancelliere di Roma, ch'era nato degli Orsini, rubellò contra al Bavero la terra d'Asturi in su la marina, ch'era sua, e misevi le genti del re Ruberto, acciò che facessono guerra a Roma; per la qual cosa i Romani a furore corsono a disfare le case sue, e la bella e nobile torre ch'era sopra la Mercatantia a piè di Campidoglio, che si chiamava la torre del Cancelliere. E in questo tempo il Bavero fece in Roma una imposta di XXXm fiorini d'oro, per gran fame ch'avea di moneta; i Xm ne fece pagare a' Giudei, e gli altri Xm a' cherici di Roma, e gli altri a' laici romani; onde il popolo si turbò forte, perché non erano usati di così fatti incarichi, e attendeano dell'essere in Roma il Bavero avere grascia e non ispesa; per la qual cosa a' Romani cominciò a crescere la loro mala volontà e indegnazione contra il detto Bavero.



LXIX - Di certe leggi che fece in Roma Lodovico di Baviera sì come imperadore

Negli anni di Cristo MCCCXXVIII, a dì XIIII del mese d'aprile, Lodovico di Baviera, il quale si facea chiamare imperadore e re de' Romani, congregato parlamento nella piazza dinanzi a Santo Pietro in Roma, ove avea grandi pergami in su i gradi de la detta chiesa, dove stava il detto Lodovico parato come imperadore, acompagnato di molti cherici e parlati e religiosi romani, e altri di sua setta che l'aveano seguito, e di molti giudici e avogadi, in presenza del popolo di Roma fece pubblicare e confermò le 'nfrascritte nuove leggi per lui nuovamente fatte, la sustanzia in brieve de le quali è questa: che qualunque Cristiano fosse trovato in eresia contro a Dio e contra a la 'mperiale maestà, che secondo ch'è anticamente per le leggi, dovesse essere morto, così confermò che fosse; e di ciò potesse essere giudicato e sentenziato per ciascuno giudice competente, o fosse stato richesto o non richesto; incontanente trovato in quello peccato dell'eretica pravità o de la lesa maestà, fosse e dovesse essere morto, nonostante le leggi fatte per gli predecessori suoi, le quali negli altri casi rimanessono in loro fermezza. E questa legge volle s'intenda a le cose passate e a le presenti, e a quelle che fossono pendenti, e che debbono avenire. Ancora fece comandare che ciascuno notaio dovesse mettere in ciascuna carta ch'egli facesse, posti gli anni Domini, e indizione, e il dì: "Fatta al tempo dell'eccellente e magnifico domino nostro Lodovico imperadore de' Romani, anno suo etc.", e che altrimenti non valesse la carta. Item, che ciascuno si guardasse di dare aiuto o consiglio ad alcuno ribello o contumace del sacro imperadore o del popolo di Roma, sotto la pena de' suoi beni, e che piacesse a la sua corte. Queste leggi furono pensatamente fatte e ordinate per lo detto Bavero e per lo suo maculato consiglio a fine che sotto queste volle partorire lo suo iniquo e pravo intendimento contra papa Giovanni e la diritta Chiesa, come apresso faremo menzione.



LXX - Sì come il detto Lodovico diede sentenzia, e come potéo dispuose papa Giovanni XXII

Apresso, i·lunidì vegnente, a dì XVIII d'aprile del detto anno, il detto Lodovico per simile modo ch'avea fatto il giuovidì dinanzi fece parlamento, e congregare il popolo di Roma, cherici e laici, ne la piazza di San Piero, e in su i sopradetti pergami venne vestito di porpore, e co la corona in capo e la verga dell'oro ne la mano diritta, e la poma overo mela d'oro ne la manca, sì come imperadore; e puosesi a sedere sopra uno ricco trono rilevato, sì che tutto il popolo il potea vedere, intorniato di parlati e baroni e di cavalieri armati. E come fu posto a sedere, fece fare silenzio; e uno frate Niccola di Fabbriano dell'ordine de' romitani si fece al perbio, e gridò ad alte boci: "Ècci alcuno procuratore che voglia difendere prete Iacopo di Caorsa, il quale si fa chiamare papa Giovanni XXII?". E così gridò tre volte, e nullo rispuose. E ciò fatto, si fece al perbio uno abate d'Alamagna molto letterato e propuose in latino queste parole: "Hec est dies boni nuntii etc.", allegando sopra questa autoritade molto belle parole sermonando; e poi si lesse una sentenzia molto lunga e ornata di molte parole e falsi argomenti, inn-effetto di questo tenore. Prima nel proemio, come il presente santo imperadore, essendo avido dell'onore e di ricoverare lo stato del popolo di Roma, si mosse d'Alamagna lasciando il regno suo e' suoi figliuoli piccioli in adolescente etade, e sanza alcuna dimoranza era venuto a Roma, sappiendo come Roma era capo del mondo e de la fede cristiana, e che ella era vacua della sedia spirituale e temporale; e stando a Roma, dinanzi a·llui pervenne che Iacopo di Caorsa, il quale si faceva abusivamente dire papa Giovanni XXII, avea voluto mutare il titolo de' cardinalitichi, i quali sono a Roma, ne la città di Vignone, e non lasciò, se non perché i suoi cardinali non l'assentirono. E poi sentì che quello Iacopo di Caorsa avea fatto bandire le croce contro a' Romani, e queste cose fece asapere agli LII rettori del popolo di Roma e ad altri savi, come gli parve che si convenisse. Per la qual cosa per il sindaco della chericia di Roma, e per quello del popolo di Roma, costituiti da coloro che n'aveano balìa, fue isposto dinanzi a·llui e supplicato ch'egli procedesse sopra il detto Iacopo di Caorsa secondo eretico, e provedesse la Chiesa e 'l popolo di Roma di santo pastore e di fedele Cristiano, sì come altra volta fu fatto per Otto terzo imperadore. Onde volendo attendere a la piatà de' Romani e de la santa Chiesa di Roma, che rapresenta tutto il mondo e la fede cristiana, procedette sopra il detto Iacopo di Caorsa, trovandolo in caso di resia per gl'infrascritti modi, cioè, prima, che essendo il regno d'Erminia assalito da' Saracini, e volendo lo re di Francia mandarvi soccorso di galee armate, egli avea quella andata fatta convertire sopra i Cristiani, cioè sopra i Ciciliani. Ancora, che essendo egli pregato da' frieri di Santa Maria degli Alamanni ch'egli mandasse oste sopra i Saracini, avea risposto: "Noi avemo in casa i Saracini". Anche avea detto che Cristo avea avuto propio in comune co' suoi discepoli, il quale sempre amò povertade.

E appresso trovatolo in altri grandi peccati di resia, massimamente ch'egli s'avea voluto apropiare lo spirituale e 'l temporale dominio, di consiglio di Ioab, cioè di Ruberto conte di Proenza, faccendo contro al santo Vangelio, ove dice che Cristo, vogliendo fare distinzione dello spirituale dal temporale, disse: "Id quod est Cesaris Cesari, et quod est Dei Deo". E in altra parte del Vangelio disse: "Regnum meum non est de hoc mundo; et si de hoc mundo esset regnum meum, ministri mei etc.", e seguentemente: "Regnum meum non est hic". Sì che i detti e altri diversi e grandi peccati di resia ha commessi, anche ch'avea prosummito e avuto ardire contra la 'mperiale maestade, disponendo e cassando la sua elezione, la quale incontanente fatta, per quella medesima ragione è confermata, e non abisogna di confermagione alcuna, con ciò sia cosa che non sia sottoposto ad alcuno, ma ogni uomo e tutto il mondo è sottoposto a·llui. Onde avendo il detto Iacopo commessi cotali peccati, sì di resia e sì de la lesa maestade, nonostante ch'egli non sia stato citato, che non bisogna per la nuova legge fatta per lo detto imperadore, e per altre leggi canoniche e civili, rimovea, privava, e cassava il detto Iacopo di Caorsa da l'oficio del papato, e da ogni oficio e beneficio temporale e spirituale, e sommettendolo a ciascuno ch'avesse giuridizione temporale, che 'l potesse punire d'animaversione, secondo che eretico e commettitore de la lesa maestade; e che nullo re, prencipe, o barone, o comunità gli dovesse dare aiuto, consiglio, o favore, né averlo né tenerlo per papa, in pena di privazione d'ogni dignità, cherici e laici di cheunque stato fosse, e a pena d'essere condannato come fautore d'eretico, e di commettere peccato de la lesa maestà; e la metà della pena e condannagione fosse applicata a la camera dello 'mperadore, e l'altra metade al popolo di Roma, e chiunque gli avesse dato aiuto, consiglio o favore, da indi adietro cadesse in simile sentenzia, assegnando termine a scusarsi a chi contro a·cciò avesse fatto, a quegli d'Italia uno mese, e a tutti gli altri d'universo mondo infra due mesi, che si venissono a scusare. E data e confermata la detta sentenzia, disse il detto Lodovico Bavero che infra pochi giorni provederebbe di dare buono papa e buono pastore, sì che grande consolazione n'avrebbe il popolo di Roma e tutti i Cristiani. E queste cose disse ch'avea fatte di consiglio di grandi savi cherici e laici fedeli Cristiani, e de' suoi baroni e prencipi. De la detta sentenzia i savi uomini di Roma molto si turbarono; l'altro semplice popolo ne fece gran festa.



LXXI - Come il figliuolo di messer Stefano della Colonna entrò in Roma, e piuvicò il processo del papa contro al Bavero

Apresso la detta sentenzia data per lo Bavero contro a papa Giovanni XXII, il venerdì, dì XXII del detto mese d'aprile e de la detta indizione, messer Iacopo figliuolo di messer Stefano della Colonna venne in Roma ne la contrada di Santo Marcello, e ne la piazza de la detta chiesa, in presenza di più di M Romani ivi raunati, trasse fuori uno processo scritto, fatto per papa Giovanni contra Lodovico di Baviera, e nullo era stato ardito di recarlo e piuvicarlo in Roma, e quello diligentemente lesse; e disse che agli orecchi del chericato di Roma era pervenuto che certo sindaco era comparito dinanzi a Lodovico di Baviera, il quale abusivamente si fa dire imperadore, e sposto contra il santo papa Giovanni XXII, e ancora il sindaco del popolo di Roma, il quale sindaco, cioè quello del chericato di Roma, mai non ispuose; e se alcuno fosse venuto come sindaco vero, non era, con ciò sia cosa che il chericato, cioè i calonaci di Santo Pietro, e quegli di Santo Giovanni Laterano, e di Santa Maria Maggiore, i quali sono i primi nel chericato di Roma, e gli altri maggiore cherici seguente loro, e' religiosi abati e' frati minori e predicatori, e gli altri savi degli ordini, erano, già sono più mesi, partiti di Roma per cagione de la gente scomunicata ch'era entrata in Roma; e chi v'era rimaso e avea celebrato era scomunicato, sì che di ragione non poteano fare sindaco; e se alcuno fosse stato sindaco innanzi, e fosse rimaso in Roma, ancora era scomunicato: onde egli contradicendo a quello ch'era stato fatto per lo detto Lodovico, dicendo che papa Giovanni era cattolico e giusto papa, e ragionevolemente fatto per gli cardinali di santa Chiesa, e questo che si dice imperadore, imperadore non essere, ma essere eretico e scomunicato, e' sanatori di Roma e' LII del popolo, e tutti coloro che consentivano a·llui, e dessono, o avessono dato aiuto o consiglio o favore, similemente erano eretici e scomunicati. E intorno a la materia molte altre parole disse, profferendo di ciò provare di ragione, e se bisognasse, colla spada in mano in luogo comune. E apresso diligentemente il detto processo scritto conficcò con sue mani ne la porta de la detta chiesa di Santo Marcello sanza nullo contasto; e ciò fatto, montò a cavallo con IIII compagni, e partissi di Roma, e andonne a Pilestrino. De le quali cose grande mormorio fue per tutta Roma; e fatto assapere al Bavero ch'era a Santo Pietro, gli mandò dietro genti d'arme a cavallo per prenderlo, ma già era assai dilungato. Per la detta bontade e ardire del detto messer Iacopo, come il papa il seppe, il fece vescovo di... e mandò ch'egli andasse a·llui, e così fece.



LXXII - Come il Bavero e 'l popolo di Roma feciono legge contra qualunque papa si partisse di Roma

Il dìe sequente, ciò fu sabato, dì XXIII del detto mese d'aprile, richesti per bando i sanatori di Roma, e' LII del popolo, e' capitani di XXV, e' consoli, e' XIII buoni uomini, uno per rione, che fossono dinanzi a lo 'mperadore, e così fu fatto; e consigliarono assai sopra la novità fatta, come detto avemo, per messer Iacopo de la Colonna. E poi fue tratta fuori e pubblicata una nuova legge in questo tenore: che il papa, il quale lo 'mperadore e 'l popolo di Roma intendea di chiamare, e ogni altro che papa fosse, debbia stare ne la città di Roma, e non partirsi, se non tre mesi dell'anno, e non dilungarsi da Roma da due giornate in su, e allora co la licenza del popolo di Roma; e quando fosse asente da Roma, e fosse richesto per lo popolo di Roma, ch'egli tornasse in Roma; e se a le tre richeste non tornasse, s'intendesse essere casso del papato, e potessene chiamare un altro. E ciò fatto, sì perdonò il Bavero a tutti i Romani ch'erano stati e tratti a uccidere la sua gente a la zuffa e battaglia che fu al ponte dell'isola; e queste leggi e perdono fece il Bavero per contentare il popolo di Roma. E nota ingiusta e non proveduta legge, a imporre al pastore di santa Chiesa costituzioni e modi di stare o andare contra la libertà di santa Chiesa, e contra la somma podestà che deono avere, e sempre hanno avuta, i sommi pontefici.



LXXIII

Come Lodovico di Baviera col popolo di Roma elessono antipapa contro al vero papa. Negli anni di Cristo MCCCXXVIII, a dì XII di maggio, il dì dell'Ascensione la mattina per tempo, congregato il popolo di Roma, uomini e femmine che vi vollono andare, dinanzi a Santo Pietro, Lodovico di Baviera che si facea chiamare imperadore venne incoronato e parato coll'abito imperiale in su il pergamo, il quale era sopra le gradora di San Piero, con molti cherici e religiosi, e co' capitani del popolo di Roma, e intorno di lui molti de' suoi baroni; e fece venire dinanzi a·ssé uno frate Pietro da Corvara, nato de' confini tra 'l contado di Tiboli e Abruzzi, il quale era dell'ordine de' frati minori, inn-adietro tenuto buono uomo e di santa vita. E lui venuto, il detto Bavero si rizzò in su la sedia, e 'l detto frate Piero fece sedere sotto il solicchio. E ciò fatto, si levò frate Niccola di Fabbriano dell'ordine de' romitani, e propuose in suo sermone queste parole: "Reversus Petrus ad se dixit: "Venit angelus Domini, et liberavit nos de manu Erodis ed de omnibus factionibus Iudeorum'", appropiando il detto Bavero per l'angelo, e papa Giovanni per Erode; e intorno a·cciò molte parole. E fatto il detto sermone, venne innanzi il vescovo che fu di Vinegia, e gridò tre volte al popolo se voleano per papa il detto frate Pietro; e con tutto che 'l popolo assai se ne turbasse, credendosi avere papa romano, per tema rispuosono in gridando che sì. E poi si levò ritto il Bavero, e letta per lo detto vescovo in una carta il decreto che a confermazione del papa si costuma, l'appellò il detto Bavero Niccola papa quinto, e diedegli l'anello, e misegli adosso il manto, e puoselo a·ssedere da la mano diritta di costa a sé; e poi si levarono, e con grande trionfo entrarono nella chiesa di Santo Pietro; e detta la messa, con grande festa n'andarono a mangiare. Di questa lezione e confermagione del detto antipapa la buona gente di Roma forte si turbarono, parendo loro che 'l detto Bavero facesse contra fede e la santa Chiesa; e sapemmo poi di vero da la sua gente medesima, che quegli ch'erano savi, parve loro ch'egli non facesse bene; e molti per la detta cagione mai poi non gli furono fedeli come prima, spezialmente quegli de la bassa Alamagna ch'erano co·llui.



LXXIV - Come la città d'Ostia fu presa per le galee del re Ruberto

Il sequente dìe che fue fatto l'antipapa XIIII galee armate del re Ruberto entrarono in Tevero, e presono la città d'Ostia con grande danno de' Romani; e alquante de le dette galee vennono su per lo fiume del Tevero infino a Santo Paolo, scendendo in terra, e ardendo case e casali, e levando grande preda di gente e di bestiame; onde i Romani molto isbigottirono, gittando molte rampogne al signore. Per la qual cosa vi fece cavalcare a la detta Ostia VIIIc cavalieri di sua gente e molti Romani a piè a soldo, i quali assalendo la terra, molti ne furono morti e più fediti per gli molti balestrieri delle galee ch'erano in Ostia, e così si tornarono in Roma con danno e con vergogna.



LXXV - Come l'antipapa fece VII cardinali

A dì XV del mese di maggio del detto anno l'antipapa fatto per Lodovico di Baviera fece VII cardinali, i nomi de' quali furono questi: il vescovo che fu disposto di Vinegia per papa Giovanni, il quale fu nipote del cardinale da Prato; l'abate di Santo Ambruogio di Milano, il quale anche fu disposto; uno abate d'Alamagna, il quale lesse la sentenzia contra papa Giovanni; frate Niccola da Fabbriano de' romitani, il quale è stato nominato in questo, che sermonò contra papa Giovanni; l'altro fu messer Piero Orrighi e messer Gianni d'Arlotto popolani di Roma; l'altro, l'arcivescovo che fu di Modona; e alcuno altro Romano n'elesse, i quali non vollono accettare, avendo di ciò coscienza, ch'era contra Dio e contra fede. Tutti questi detti di sopra furono disposti di loro benifici per papa Giovanni, perch'erano sismatici e ribelli di Santa Chiesa, i quali furono confermati per lo detto Lodovico, sì come fosse imperadore; e egli fornì di cavagli e d'arnesi l'antipapa e' detti suoi sismatici cardinali. E con tutto che 'l sopradetto antipapa biasimava per via di spirito le ricchezze e onori ch'usava il diritto papa e' suoi cardinali e gli altri parlati de la Chiesa, e tenea l'oppinione che Cristo fue tutto povero e non ebbe propio comune, e così doveano fare i successori di santo Pietro: egli pur sofferse e volle co' suoi cardinali avere cavagli e famiglie vestite e cavalieri e donzelli e forniti d'arnesi, e usare larga mensa a mangiare sì come gli altri; e rimosse e diede molti benifici ecclesiastichi siccome papa, annullando quegli dati per papa Giovanni, e dando larghi brivilegi con falsa bolla e per moneta, però che con tutto che 'l Bavero l'avesse fornito, come avea potuto, egli da sé era sì povero di moneta, che per necessità convenne che 'l suo papa e' suoi cardinali e loro corte fosse povera, e per moneta desse brivilegi e dignità e benifici. E fatte le dette cose, il detto Bavero lasciò il suo papa ne' palagi di San Piero in Roma, e egli cogli più di sua gente si partì di Roma e andonne a Tiboli, a dì XVII del detto mese di maggio.



LXXVI - Come Lodovico di Baviera si fece ricoronare e confermare imperadore al suo antipapa

Sabato, a dì XXI del sopradetto mese di maggio, il detto Bavero si partì da Tiboli, e venne a San Lorenzo fuori le Mura, e ivi albergò, e tutta sua gente intorno acampata. Poi la domenica mattina, il dì de la Pentecosta, entrò in Roma, e 'l suo antipapa co' suoi sismatici cardinali gli vennono incontro insino a San Giovanni Laterano, e poi ne vennono per Roma insieme col detto Bavero; e ismontati a Santo Pietro, il Bavero mise a l'antipapa la berriuola dello scarlatto in capo, e poi l'antipapa coronò da capo Lodovico di Baviera, confermandolo, sì come papa, a essere degno imperadore. E ciò fatto, il detto Bavero confermò la sentenzia data per Arrigo imperadore contra lo re Ruberto e contra i Fiorentini e altri. E il detto antipapa in quegli giorni fece marchese della Marca, e conte di Romagna, e conte in Campagna, e duca di Spuleto, e fece più legati ne' detti luoghi e in Lombardia. E poi il Bavero si partì di Roma e andonne a Velletri, e lasciò sanatore in Roma Rinieri, figliuolo che fu d'Uguiccione da Faggiuola, il quale martorizzò e fece ardere due buoni uomini, l'uno lombardo, e l'altro toscano, perché diceano che 'l detto frate Piero di Corvara non era né potea essere degno papa, ma era papa Giovanni XXII degno e santo.



LXXVII - Come gente del Bavero furono sconfitti presso a Narni

Nel detto anno MCCCXXVIII, a dì IIII di giugno, IIIIc cavalieri di quegli del Bavero, venuti da Roma con MD pedoni, s'erano partiti da Todi per torre il castello di Santo Gemini. Sentendo ciò gli Spuletini, con loro isforzo e con CC cavalieri di Perugia ch'erano in Spuleto, ch'andavano in Abruzzi in servigio del re Ruberto, si misono in guato presso di Narni, e ivi ebbe grande battaglia e ritenuta per gli Tedeschi, ma per lo forte passo la gente del Bavero rimasono sconfitti e morti, e presi gran parte.



LXXVIII - Come il Bavero adoperò con sua oste in Campagna per passare nel Regno, e come si tornò a Roma

Nel detto anno, a dì XI di giugno, il popolo di Roma co la gente del Bavero stati più tempo ad assedio al castello della Mulara, nel quale era la gente del re Ruberto, per difalta di vittuaglia s'arendé al popolo di Roma, andandone sani e salvi la gente del re, ch'erano IIIc cavalieri e Vc pedoni. E ciò fatto, il Bavero colla detta oste andò a Cisterna, e arendési a·llui, e' Tedeschi la rubarono tutta e arsono; e per caro di vittuaglia ch'ebbe nel campo del Bavero, che vi valse o danari XVIII provigini il pane, e non ve n'avea, i Romani si partirono tutti e tornarsi in Roma; e 'l Bavero tornando a Velletri, que' della terra non ve lo lasciarono entrare per paura non rubassono la terra e ardessono, come aveano fatto a Cisterna; per la qual cosa gli convenne stare di fuori a campo a grande misagio. E in quella stanza la gente del re Ruberto ch'erano in Ostia, per tema non v'andasse l'oste del Bavero, la rubarono tutta e arsono, e abandonarla. Ancora nel detto dimoro a campo tra la gente del Bavero ebbe grande dissensione, da' Tedeschi dell'alta Alamagna a quegli della bassa, per cagione della preda di Cisterna e per lo caro della vittuaglia; e armarsi in campo l'una parte e l'altra per combattersi; onde il Bavero con gran fatica e promesse gli dipartì, mandandone a Roma que' de la bassa Alamagna, ed egli cogli altri si tornò a Tiboli dì XX di giugno, e là dimorò intorno d'uno mese per cercare via e modo d'entrare nel Regno; ma per povertà di moneta, e per la carestia grande ch'era al paese, e' passi forti e guardati dal duca di Calavra e da sua gente, non s'ardì a mettere, e tornossi a Roma a dì XX di luglio. Lasceremo alquanto degli andamenti del Bavero, e torneremo adietro a raccontare d'altre novità avenute in questo tempo in Toscana e per l'universo mondo, che ne sursono assai.



LXXIX - Come papa Giovanni aramatizzò di scomunica il Bavero e' suoi seguaci

Nel detto anno MCCCXXVIII, dì XXX di marzo, papa Giovanni appo Vignone aramatizzò di scomunica il Bavero e' suoi seguaci, e dispuose Castruccio del ducato di Lucca e di Luni, e Piero Saccone de la signoria d'Arezzo, ed ogni brivilegio ricevuto dal Bavero per sentenzia cassò e annullò.



LXXX - Come fu pace tra·re d'Inghilterra e quello di Scozia

Nel detto anno e mese di marzo si compié l'accordo e pace tra·re d'Inghilterra e quello di Scozia, ch'era durata la guerra... anni, con grande danno e abassamento degl'Inghilesi; e feciono parentado insieme, che il giovane re d'Inghilterra diè per moglie la serocchia al figliuolo del re di Scozia.



LXXXI - Come Castruccio fece rubellare Montemasso a' Sanesi

Nel detto anno, a dì X d'aprile, Castruccio prima fatto rubellare, e poi il fece fornire, Montemassi in Maremma, il quale certi gentili uomini maremmani, che v'aveano ragione, col favore di Castruccio l'aveano rubellato a dispetto de' Sanesi che v'erano ad oste, e con battifolle, e' Fiorentini vi mandarono in loro soccorso CCL cavalieri, ma giunsono tardi, sì che non poterono riparare a la forza della cavalleria di Castruccio. Per la qual cosa i Sanesi mandarono ambasciadori a Pisa a Castruccio, e dimandargli che non si travagliasse contro a·lloro. Castruccio per ischernie de' Sanesi non fece loro null'altra risposta, se non per una lettera bianca, ch'altro non dicea se non: "Levate via chelchello", in sanese, cioè il battifolle; onde i Sanesi forte ingrecaro, e rinforzarvi l'assedio coll'aiuto de' Fiorentini, che vi mandarono CCCL cavalieri, e per patti ebbono il detto Montemassi a dì... d'agosto MCCCXXVIII.



LXXXII - Come fu preso e disfatto il castello del Pozzo sopra Guisciana

Nel detto anno, a dì XXVI d'aprile, le masnade de' Fiorentini ch'erano in Santa Maria a Monte, presono il castelletto del Pozzo in su Guisciana, il quale era molto rafforzato. Vegnendo la gente di Castruccio per fornirlo, e que' del castello uscendo incontro per loro ricevere, le masnade de' Fiorentini entrarono in mezzo tra 'l castello e loro, e misongli in isconfitta, e ebbono il Pozzo, il quale i Fiorentini feciono di presente diroccare infino a le fondamenta. Quello Pozzo Castruccio avea molto fatto afforzare e murare, e tenealo per suo luogo propio.



LXXXIII - Come Castruccio corse la città di Pisa e fecesene fare signore

In questi tempi e mese d'aprile Castruccio essendo in Pisa, e non parendogli che la terra si reggesse bene a sua guisa, e convitando d'esserne al tutto signore, e certi grandi e popolani di Pisa, i quali a la venuta del Bavero erano de la setta di Castruccio, allora erano contra lui per non volerlo per signore, e aveano fatto trattato in Roma col Bavero ch'egli donasse la signoria a la 'mperadrice, acciò che Castruccio non avesse la signoria; e così fece per danari ch'ebbe da' Pisani (la quale donna mandò a Pisa per suo vicario il conte d'Ottinghe d'Alamagna, il quale da Castruccio infintamente fu ricevuto), ma due dì apresso Castruccio con sua cavalleria e con gente a piè assai del contado di Lucca corse la città di Pisa due volte, non riguardando reverenza o signoria del Bavero o de la moglie, e prese messer Bavosone d'Agobbio, il quale il Bavero v'avea lasciato per suo vicario, e messer Filippo da Caprona e più altri grandi e popolani di Pisa, e per forza si fece eleggere signore libero di Pisa per II anni, e ciò fu a dì XXVIIII d'aprile MCCCXXVIII; per la qual cosa il sopradetto conte d'Ottinghe si ritornò a Roma con onta e vergogna. Ben si disse che Castruccio il contentò di moneta, acciò che non si dolesse lui al Bavero né a la donna sua; ma di certo di questa novità nacque grande isdegno coperto dal Bavero a Castruccio, del quale sarebbe nato novità assai e diverse, se Castruccio fosse lungamente vivuto, come innanzi faremo menzione.



LXXXIV - Come i Fiorentini renderono il castello di Mangone a messer Benuccio Salimbeni di Siena

Nel detto anno, a dì XXX d'aprile, i Fiorentini per volontà e comandamento del duca loro signore, e per certe rapresaglie e roba de' Fiorentini sostenute da' Sanesi, renderono contra loro buona voglia il castello di Mangone a messer Benuccio de' Salimbeni di Siena, che vi cusava ragione per la moglie, la quale fu figliuola del conte Nerone da Vernia, e nipote del conte Alberto da Mangone; ma per certe ragioni e testamenti fatti con patti infra i conti da Mangone, chi di loro rimanesse sanza reda maschio legittimo, rimanesse e Vernia e Mangone al Comune di Firenze, e morto Alberto nullo ve ne rimanea, e 'l Comune di Firenze n'avea ragione, e n'era in possessione. Per la qual cosa il popolo di Firenze molto si turbò di renderlo; ma per lo male stato del nostro Comune, e per non recarne i Sanesi a nimici, e non potere contastare a la volontà del duca, si rendé per lo meno reo, con patti che messer Benuccio ne dovesse con C fanti fare oste e cavalcate col Comune di Firenze, e mandare uno palio di drappo ad oro per la festa del beato Giovanni.



LXXXV - Come Castruccio puose l'assedio a la città di Pistoia

Ne' detti tempi grande quistione nacque dal Comune di Firenze a messer Filippo di Sangineto, il quale il duca di Calavra avea lasciato in suo luogo e capitano di guerra in Firenze per cagione che oltre a' patti di CCm fiorini d'oro che 'l duca avea l'anno per la sua signoria e per tenere M cavalieri (che non ne tenea allora VIIIc), sì volea che' Fiorentini fornissono a loro spese la città di Pistoia e Santa Maria a Monte, e non bastava il costo de' soldati, che oltre a le masnade a cavallo pagati de' danari de' Fiorentini, teneano i Fiorentini in Pistoia M pedoni, e nel castello di Santa Maria a Monte Vc al loro soldo, sì volea il detto messer Filippo si fornisse di vittuaglia de la moneta del Comune le dette terre, e il duca ne volea e avea la signoria e dominazione libera de la detta città di Pistoia e di Santa Maria a Monte. Onde isdegno e gara nacque grande tra' rettori di Firenze e il detto messer Filippo e' suoi consiglieri; e non sanza giusta cagione de' Fiorentini, però che 'l detto messer Filippo quando prese Pistoia l'avea co la sua gente rubata e vota d'ogni sustanza, e no·lla volea fornire di vittuaglia de la pecunia che gli rimanea, pagati i suoi cavalieri, di CCm fiorini d'oro, che bene lo potea fare largamente, anzi gli rimandava al duca nel Regno. Onde i Fiorentini ingrecati e imbizzarriti per lo detto isdegno, s'acrebbe grossamente danno sopra danno e pericolo sopra vergogna, come innanzi faremo menzione; che per ispesa di IIIIm fiorini d'oro si trovava chi forniva la città di Pistoia, che costò poi a' Fiorentini più di Cm, con danno e vergogna del Comune di Firenze e del duca che n'era signore. Questa discordia sentendo Castruccio, e come Pistoia non era fornita per più di due mesi, co la grande volontà ch'aveva di riprenderla, e di vendicarsi di messer Filippo e de' Fiorentini de l'onta che·lline parea avere ricevuta de la perdita di quella, come sollecito e valoroso signore vi mandò la sua gente, in quantità di M cavalieri e popolo assai, a l'assedio, a dì XIII di maggio MCCCXXVIII, e egli rimase in Pisa a sollecitare di fornire la detta oste. E mandòvi i Pisani per comune, e col loro carroccio, i più contra loro volontà, e egli poi venne in persona nella detta oste a dì XXX maggio con tutto il rimaso di sua gente, e trovossi con XVIIc di cavalieri e popolo innumerabile, sì ch'elli cinse la città d'intorno intorno di sua oste e con più battifolli, sì che nullo vi potea entrare né uscire, avendo tagliate le vie e fatti i fossi e isbarre e steccati di maravigliosa opera, acciò che nullo potesse uscire di Pistoia, né' Fiorentini impedire né assalire sua oste da l'altra parte.



LXXXVI - Come i Fiorentini feciono grande oste per soccorrere la città di Pistoia, e come Castruccio l'ebbe a patti

Istando Castruccio a l'assedio di Pistoia per lo modo ch'avemo detto di sopra, dando a la città sovente battaglie con gatti e grilli e torri di legname armate, e riempiendo in alcuna parte de' fossi, ma poco o niente vi poté fare, però che la terra era fortissima di mura con ispesse torricelle e bertesche, e poi steccata con dupplicati fossi, come Castruccio medesimo l'avea fatta afforzare, e dentro avea per lo Comune di Firenze CCC cavalieri e M pedoni, buona gente d'arme a la guardia e difensione, sanza i cittadini guelfi, i quali sovente uscivano fuori assalendo il campo con danno de' nimici; e le masnade de' Fiorentini ch'erano in Prato spesso assalivano l'oste; ma poco levava, sì avea Castruccio afforzato il campo. In questa stanza i Fiorentini feciono disfare e tagliare co' picconi la rocca e le mura e tutte case e fortezze del castello di Santa Maria a Monte, e misonvi fuoco, e feciolla rovinare a dì XV di giugno del detto anno, per non avere a fornire tante guardie di castella, e per la tenza ch'aveano de la detta guardia co la gente del duca, sì come dicemmo dinanzi, e per fare partire Castruccio da l'assedio di Pistoia, o asottigliare sua oste, per venire a difendere Santa Maria a Monte. Ma egli, come costante e valoroso, niente si mosse da Pistoia, ma raforzò l'asedio. I Fiorentini veggendo che Pistoia era con difalta di vittuaglia, e non si potea fornire sanza possente oste o per battaglia con Castruccio, sì raunarono tutta loro amistà, e ebbono dal legato di Lombardia, il quale era in Bologna, Vc cavalieri, prestando loro per paga Xm fiorini d'oro, e IIIIc cavalieri del Comune di Bologna, e CC cavalieri del Comune di Siena, e gente di loro a piè con balestra, e da CCC cavalieri tra di Volterra, e San Gimignano, e Colle, e Prato, e' conti Guidi guelfi e altri amici, e messer Filippo di Sangineto capitano per lo duca VIIIc cavalieri, che ne dovea avere M, per la qual difalta, oltre a quegli, il Comune di Firenze ne soldò IIIIcLX sotto bandiere del Comune, onde furono capitani messer Gian di Bovilla di Francia e messer Vergiù di Landa di Piagenza. E raunata la detta cavalleria, la quale furono da XXVIc di cavalieri, molto bella e buona gente, la maggiore parte oltramontani, e popolo a piè grandissimo, e preso il gonfalone della Chiesa, e la croce dal legato cardinale ne la piazza di Santa Croce, si mosse di Firenze il capitano con parte dell'oste martidì XIII di luglio, e andonne a Prato; e il seguente e terzo dì apresso si mosse di Firenze tutta l'altra cavalleria e gente. E poi i·lunidì, dì XVIIII di luglio, uscì tutta l'oste de' Fiorentini di Prato ordinata e schierata, e puosonsi a campo di là dal ponte Agliana, e 'l seguente dì si puosono a le Capannelle, e quivi assai presso a l'oste di Castruccio, ispianando di concordia intra le due osti, avendo Castruccio promessa e ingaggiata la battaglia. Tutto uno giorno stette l'oste de' Fiorentini ischierata in sul campo per combattere; ma Castruccio veggendo tanta buona gente a' Fiorentini, e volonterosa di combattere, ed egli si sentia con assai meno cavalleria, non si volle mettere a la fortuna de la battaglia; ma con grandissima sollecitudine e studio personalmente intendea a fare imbarrare con alberi tagliati e fossi e steccati intorno a la sua oste, e spezialmente verso la parte ove avisava che l'oste de' Fiorentini si dovea porre. E così ingannati i Fiorentini da Castruccio di non volere la battaglia, mossono loro schiere, e tennono a mano diritta verso tramontana, e acamparsi al ponte a la Bura; che s'avessono tenuto di costa al fiume dell'Ombrone da la mano sinestra, di nicessità convenia che Castruccio venisse a la battaglia, o Fiorentini fornissono per forza Pistoia, e entrassono tra la terra e Serravalle, onde venia la vittuaglia a l'oste di Castruccio. Ma a cui Idio vuole male gli toglie il senno; che presono pure il peggiore, e strinsonsi a' poggetti di Ripalta, ove l'oste di Castruccio era più forte per lo sito del terreno, e dove avea più battifolli, e gente a piè innumerabile a la difesa. E stando nel detto luogo da VIII giorni badaluccandosi sovente le genti de le due osti insieme, ma poco poterono avanzare i Fiorentini; che s'aquistavano il giorno terreno, la notte era ripreso e afforzato di steccati per la gente di Castruccio. E sturbò ancora molto la 'mpresa, che messer Filippo capitano per lo duca di Fiorentini alquanto amalò, e non era bene inn-accordo col maliscalco che v'era colla cavalleria de la Chiesa e di Bologna, che l'uno volea tenere una via, e l'altro un'altra; e de' soldati de la Chiesa, che v'avea assa' Tedeschi, spesso passavano con fidanza a l'oste di Castruccio, onde si prese alquanta sospeccione, e dissesi che Castruccio avea fatti corrompere più conostaboli tedeschi de la gente de la Chiesa. E per le dette cagioni, e ancora che·legato da Bologna studiava di riavere la sua cavalleria per sue imprese di Romagna, sì·ssi prese partito in Firenze, per lo men reo, di fare tornare l'oste, e cavalcare in su quello di Pisa, e lasciare guernimento in Prato di gente e di vittuaglia, sì che se Castruccio si levasse da l'assedio di Pistoia, si fornisse la terra. E così levato il campo e l'oste de' Fiorentini, e schierati, a dì XXVIII di luglio, trombato, e richesto Castruccio di battaglia, non comparendo, si partì l'oste e tornò in Prato, e gran parte cavalcarono per la via di Signa in Valdarno di sotto; e faccendo vista di passare Guisciana per andare verso Lucca, e parte ne passarono, il maliscalco de la Chiesa con grande cavalleria e pedoni corsono sopra quello di Pisa, e presono e arsono il Ponte ad Era; e poi per forza combattendo presono il fosso Arnonico e uccisonvi e presono molte genti: e simile presono Cascina, e corsono a San Savino, e infino presso al borgo di San Marco di Pisa, avendo molti pregioni e grandissima preda, però che' Pisani non si prendeano guardia, trovandogli a mangiare co le tavole messe, e non v'avea cavalieri né genti a la difesa, che tutti erano a l'oste di Pistoia; sì che infino a le porte di Pisa poteano cavalcare sanza contradio. Castruccio per cavalcata che la gente de' Fiorentini facessono in su quello di Lucca o di Pisa, non si mosse dall'asedio di Pistoia, sentendo ch'era stretta di vittuaglia, e que' d'entro, d'onde era capitano messer Simone de la Tosa, isbigottiti, veggendo partita l'oste de' Fiorentini, e non aveano potuto fornirgli, ed era loro fallita la vittuaglia, cercarono trattato con Castruccio di rendere la terra, salve le persone con ciò che se ne potessono portare, e chi volesse essere cittadino di Pistoia rimanesse. E così fu fatto; e arrendessi Pistoia a Castruccio, mercoledì mattina a dì III d'agosto, gli anni di Cristo MCCCXXVIII. E nota se questa impresa fu con grande vergogna e danno e spesa de' Fiorentini, e quasi incredibile a dovere potere essere, che Castruccio tenesse l'assedio con XVIc di cavalieri o là intorno, e' Fiorentini, che n'aveano tra nell'oste e in Pistoia IIIm cavalieri o più, molto buona gente e popolo grandissimo, non poterlo levare da campo. Ma quello che per Dio è permesso nulla forza né senno umano può contastare.



LXXXVII - Come morì il duca Castruccio signore di Pisa e di Lucca e di Pistoia, e messer Galeasso de' Visconti di Milano

Come Castruccio ebbe racquistata Pistoia per suo grande senno e studio e prodezza per lo modo che detto avemo, sì riformò e rifornì la terra di gente e di vittuaglia, e rimisevi i Ghibellini, e tornò a la città di Lucca con grande trionfo e gloria a modo di triunfante imperadore, e trovossi in sul colmo d'essere temuto e ridottato, e bene aventuroso di sue imprese, più che fosse stato nullo signore o tiranno italiano, passati CCC anni, ritrovandone il vero per le croniche; e con questo, signore della città di Pisa, e di Lucca, e di Pistoia, e di Lunigiana, e di gran parte de la riviera di Genova di levante, e trovossi signore di più di IIIc castella murate. Ma come piacque a Dio, il quale per lo debito di natura raguaglia il grande col piccolo, e·ricco col povero, per soperchio di disordinata fatica presa nell'oste a Pistoia, stando armato, andando a cavallo e talora a piè a sollecitare le guardie e' ripari di sua oste, faccendo fare fortezze e tagliate, e talora cominciava colle sue mani acciò che ciascuno lavorasse al caldo del sole leone, sì gli prese una febbre continua, onde cadde forte malato. E per simile modo partendosi l'oste da Pistoia, molta buona gente di quella di Castruccio amalaro e morirne assai. Intra gli altri notabili uomini messer Galeasso de' Visconti di Melano, il quale era in servigio di Castruccio, amalò al castello di Pescia, e in quello in corto termine morì scomunicato assai poveramente, ch'era stato così grande signore e tiranno, che innanzi che 'l Bavero gli togliesse lo stato era signore di Melano e di VII altre città vicine al suo séguito, com'era Pavia, Lodi, Chermona, Commo, Bergamo, Noara, e Vercelli, e morì vilmente soldato a la mercé di Castruccio. E così mostra che i giudici di Dio possono indugiare, ma non preterire. Castruccio innanzi ch'egli amalasse, sentendo che 'l Bavero tornava da Roma, e parendogli averlo offeso in isturbargli la sua impresa del Regno per lo suo dimoro in Toscana, e presa la città di Pisa a sua signoria contra sua volontà e mandamento, temette di lui, e ch'egli nol levasse di signoria e di stato, come avea fatto Galeasso di Melano, si fece cercare trattato d'accordo segretamente co' Fiorentini; ma, come piacque a Dio, gli sopravenne la malatia, sì che si rimase, e lui agravato ordinò suo testamento, lasciando Arrigo suo primo figliuolo duca di Lucca; e che sì tosto come fosse morto, sanza fare lamento, dovesse andare in Pisa co la sua cavalleria e correre la città, e recarla a sua signoria. E ciò fatto, passò di questa vita sabato a dì III di settembre MCCCXXVIII. Questo Castruccio fu della persona molto destro, grande, d'assai avenante forma, schietto, e non grosso, bianco, e pendea in palido, i capegli diritti e biondi con assai grazioso viso: era d'etade di XLVII anni quando morì. E poco innanzi a la sua morte conoscendosi morire, disse a più de' suoi distretti amici: "Io mi veggo morire, e morto me, vedrete disasseroncato", in suo volgare lucchese, che viene a dire in più aperto volgare: "Vedrete revoluzione", overo in sentenzia lucchese: "Vedrai mondo andare". E bene profetezzò, come innanzi potrete comprendere.

E per quello che poi sapemmo da' suoi più privati parenti, egli si confessò e prese il sagramento e l'olio santo divotamente; ma rimase con grande errore, che mai non riconobbe sé avere offeso a Dio per offensione fatta contra santa Chiesa, faccendosi coscienza che giustamente avesse operato per lo 'mperio e suo Comune. E poi che in questo stato passò, e tennesi celata la sua morte infino a dì X di settembre, tanto che com'egli avea lasciato, corse Arrigo suo figliuolo co la sua cavalleria la città di Lucca e quella di Pisa, e ruppono il popolo di Pisa combattendo ovunque trovarono riparo. E ciò fatto, tornò in Lucca e feciono il lamento, vestendosi tutta sua gente a nero, e con X cavagli coverti di drappi di seta e con X bandiere; dell'arme dello 'mperio due, e di quelle del ducato due, e della sua propia due, e una del Comune di Pisa, e simile di quello di Lucca e di Pistoia e di Luni. E soppellissi a grande onore in Lucca al luogo de' frati minori di san Francesco a dì XIIII di settembre. Questo Castruccio fu uno valoroso e magnanimo tirannno, savio e accorto, e sollecito e faticante, e prode in arme, e bene proveduto in guerra, e molto aventuroso di sue imprese, e molto temuto e ridottato, e al suo tempo fece di belle e notabili cose, e fu uno grande fragello a' suoi cittadini, e a' Fiorentini e a' Pisani e Pistolesi e a tutti i Toscani in XV anni ch'egli signoreggiò Lucca: assai fu crudele in fare morire e tormentare uomini, ingrato de' servigi ricevuti in suoi bisogni e necessitadi, e vago di gente e amici nuovi, e vanaglorioso molto per avere stato e signoria; e al tutto si credette essere signore di Firenze e re in Toscana. Della sua morte si rallegrarono e rassicurarono molto i Fiorentini, e appena poteano credere che fosse morto. Di questa morte di Castruccio ci cade di fare memoria a noi autore, a cui avenne il caso. Essendo noi in grande turbazione della persecuzione che facea al nostro Comune, la quale ci parea quasi impossibile, dogliendone per nostra lettera a maestro Dionigio dal Borgo a San Sepolcro, nostro amico e divoto, dell'ordine degli agostini, maestro in Parigi in divinità e filosofia, pregando m'avisasse quando avrebbe fine la nostra aversità, mi rispuose per sua lettera in brieve, e disse: "Io veggio Castruccio morto; e alla fine della guerra voi avrete la signoria di Lucca per mano d'uno ch'avrà l'arme nera e rossa, con grande affanno, ispendio, e vergogna del vostro Comune, e poco tempo la gioirete". Avemmo la detta lettera da Parigi in quegli giorni che Castruccio avea avuta la vittoria di Pistoia di su detta, e riscrivendo al maestro com'elli Castruccio era nella maggiore pompa e stato che fosse mai, rispuosemi di presente: "Io raffermo ciò ti scrissi per l'altra lettera; e se Idio nonn-ha mutato il suo giudicio e il corso del cielo, io veggio Castruccio morto e sotterrato". E com'io ebbi questa lettera, la mostrai a' miei compagni priori, ch'era allora di quello collegio, che pochi dì innanzi era morto Castruccio, e in tutte le sue parti il giudicio del maestro Dionigio fu profezia.

Lasceremo alquanto delle novità di Toscana, e faremo incidenza faccendo menzione d'altre cose che in questi tempi furono in più parti del mondo, e degli andamenti del Bavero, il quale era rimaso a Roma, tornando poi a nostra materia de' fatti di Firenze.



LXXXVIII - Come Filippo di Valos fu coronato re di Francia

Nel detto anno MCCCXXVIII di maggio, a l'ottava di Pentecosta, messer Filippo di Valos, figliuolo che fu di messer Carlo di Valos, a cui succedette il reame di Francia, però che di niuno de' tre suoi cugini, ch'erano stati re di Francia e figliuoli del re Filippo il Bello, non rimase niuno figliolo maschio, fu coronato re di Francia a la città di Rens co la moglie a grande festa e onore; e ciò fatto, ristituì il reame di Navarra al figliuolo che fu di messer Luis di Francia suo cugino, faccendogline omaggio, che gli succedea per dote de la moglie, che fu figliuola del re Luis che fu re di Francia, per successione del re Filippo suo padre, e re di Navarra per lo retaggio della reina Giovanna sua madre, e per aquitarlo della quistione ch'egli avea mossa, dicendo ch'era vero reda del reame di Francia per la moglie, ch'era figliuola del re Luigi maggiore de' fratelli, figliuolo del re Filippo il Bello, e così suo cugino com'egli. E in quella coronazione, ordinato saviamente lo stato del reame, e' ordinò d'andare con tutto suo podere sopra i Fiamminghi, i quali s'erano rubellati da la signoria de·reame, e cacciato il loro conte e signore.



LXXXIX - Come il detto re di Francia sconfisse i Fiamminghi a Cassella

Ne' detti tempi, essendo quegli di Bruggia e di tutte le terre de la marina di Fiandra rubellato a Luis conte di Fiandra loro signore, come adietro in alcuna parte facemmo menzione, e Luis uscito di loro pregione, stando nella villa di Guanto, più volte gli feciono oste adosso, e l'assalirono, e cacciarono del paese tutti i nobili e i grandi borgesi; onde il detto conte andò in Francia e al suo sovrano signore, cioè a Filippo di Valos nuovo re di Francia, dolendosi di quello che gli faceano i Fiamminghi suoi vassalli, a' quali il detto re di Francia mandò comandando che dovessono tenere il conte per loro signore e rimetterlo in suo stato: i quali disobedienti, e con orgoglio rispondendo che non erano aconci d'ubbidire né 'l conte né lui, lo re ricordandosi de le 'ngiurie e vergogne fatte per gli Fiamminghi a' suoi anticessori e a la casa di Francia, sì s'aparecchiò d'andare ad oste sopra loro; e con grande esercito si mosse con tutta la baronia di Francia, e oltre a' Franceschi menò seco il conte di Savoia, e 'l Dalfino di Vienna, e 'l conte d'Analdo, e quello di Bari, e quello di Namurro, e più altri baroni di Brabante e di confini de la Magna, i quali erano suoi amici e al suo servigio, e con numero di più di XIIm cavalieri e popolo grandissimo a piè, e co la detta oste si mosse di Francia, e andonne in Fiandra. I Fiamminghi non ispaventati sentendosi venire adosso sì grande esercito, ma come valorosi e franchi lasciando ogni loro arte e mestiere, per comune vennono tutti a piede a le frontiere di Fiandra, e puosonsi a campo in sul poggio di Cassella per contradiare il re di Francia che non entrasse in loro paese. Lo re di Francia con sua oste s'acampò a piè del detto poggio, e quivi stettono più giorni sanza assalire l'una oste l'altra, se non di scaramucci e badalucchi, però che ciascuna oste era in luogo forte. A la fine tanto s'asicurarono le due osti, che quasi nullo stava armato per lo soperchio caldo ch'era allora. E' Fiamminghi sagacemente, per sapere lo stato e essere dell'oste de' Franceschi, vi mandarono uno pesciaiuolo di Bruggia a vendere pesci, molto savio e aveduto, e che sapeva bene il francesco, il quale avea nome Gialucola, ed era de' maggiori maestri dell'oste, il quale per la sua patria si mise a pericolo di morte, e più giorni vendendo i suoi pesci, usò e stette nell'oste de' Franceschi, e vide e conobbe loro condizione e stato; e tornato a' suoi, disse tutto, com'era a·lloro leggere di prendere il re di Francia e sconfiggere tutta sua oste, se volessono essere valenti, però che per lo caldo non istavano armati né in nulla guardia. E fé ordinare di fare richiedere il re di battaglia ordinata il dì di santo Bartolomeo d'agosto, ch'è a dì XXIIII del mese; la qual cosa per lo re e per tutta sua gente fu accettata allegramente. E poi disse a' suoi: "A noi conviene usare inganno con prodezza. Il re attende la giornata ordinata di battaglia, e in questo mezzo non fa quasi guardia, e spezialemente il meriggio per lo caldo si spogliano e dormono tutti.

Armianci segretamente, e subitamente assaliamo l'oste, e io con certi eletti n'anderò diritto a la tenda del re, che la so bene". E com'ebbe detto e ordinato, così fu fatto, che a dì XXIII d'agosto, gli anni di Cristo MCCCXXVIII, dì II innanzi il giorno de la battaglia ordinata, i Fiamminghi armati di corazze in sul pieno meriggio, sanza fare nullo romore né di trombe né d'altro stormento, scesono del poggio di Cassella, e assalirono il campo e l'oste del re di Francia, che non se ne prendeano nulla guardia, con grande danno e mortalità de' Franceschi per modo che, come aveano ordinato i Fiamminghi, venia fatto di mettere inn-isconfitta il re di Francia e sua oste. E già il sopradetto pesciaiuolo con sua compagnia era venuto sanza contasto niuno infino a la tenda del re, il quale re da' detti assalitori fu a condizione di morte, e con grande fatica e rischio apena poté ricoverare a cavallo. Ma che impedì i Fiamminghi, come piacque a Dio, il venire soperchio armati di corazze, e 'l caldo era grande, onde non si poteano per istanchezza del corso ch'aveano fatto reggere, ma molti ne traffelaro, e d'altra parte il conte d'Analdo e quello di Bari e quello di Namurro con loro gente, i quali erano co·lloro tende a l'estremità dell'oste, e non istavano nell'agio né morbidezze de' Franceschi, ma sanza dormire stavano armati a la tedesca, come s'avidono della scesa de' Fiamminghi, montarono a cavallo e misonsi al contasto, onde i Franceschi ebbono alcuno riparo, e vennonsi armando e montando a cavallo. Per la qual cosa la battaglia de' Franceschi rinforzò, e i Fiamminghi per istraccamento di loro soperchie armi affieboliro, onde in quello giorno, come piacque a Dio, furono sconfitti i Fiamminghi, e morirne in sul campo più di XIIm, e gli altri si fuggirono chi qua e chi là per lo paese. E ciò fatto, il re con sua oste ebbe incontanente Popolinghe, e poi la buona villa d'Ipro, e venne verso Bruggia. Quegli ch'erano rimasi in Bruggia contradi del re e del conte si teneano forte, credendo guarentire la terra; ma come piacque a Dio, e quasi fu uno miracolo, le donne e femmine di Bruggia congregate insieme, presono bandiere dell'arme del conte correndo in su la piazza dell'Alla di Bruggia, gridando in loro lingua: "Viva il conte, e muoiano i traditori!"; per la quale sommozione i detti caporali per paura si partirono, e le donne mandarono per lo conte, il qual era ad Andriborgo, e diedongli la signoria della terra; e poi vi venne il re di Francia con grande festa, e risagì signore il detto conte de la contea di Fiandra dal fiume de la Liscia in là, aquetandolo d'ogni spesa ch'avea fatta ne la detta oste, e amonendolo che fosse buono signore, e si guardasse che per sua difalta non perdesse la contea più; che se ciò gli avenisse, gli torrebbe la terra. E ciò fatto, si tornò lo re in Francia con grande vittoria e trionfo, e 'l conte rimase in Fiandra e fece abattere tutte le fortezze di Bruggia e d'Ipro, e fece morire tra più volte di mala morte più di Xm Fiamminghi de la Comune, i quali erano stati caporali e cominciatori de la disensione e rubellazione. Questa fu notabile e grande vendetta e mutazione di stato che Idio permise de' Fiamminghi per abbattere l'orgoglio e ingratitudine che 'l detto scomunato popolo aveano presa sopra i Franceschi per la vittoria ch'aveano avuta sopra loro l'anno del MCCCI a Coltrai, e più altre, come in que' tempi facemmo menzione, e però n'avemo fatta più distesa memoria.



XC - Come fu canonizzato santo Pietro di Morrone, papa Celestino

Nel detto anno MCCCXXVIII papa Giovanni co' suo' cardinali apo la città di Vignone in Proenza, ov'era la corte, canonizzò santo Pietro di Morrone, il quale fu papa Celestino V, onde al suo tempo, che fu gli anni di Cristo MCCLXXXXIIII, facemmo adietro compiutamente menzione; il quale rinunziò il papato per utile di sua anima, e tornossi al suo romitaggio al Morrone a fare penitenzia; e in sua vita, e poi dopo la sua morte, fece Idio per lui nel paese d'Abruzzi molti miracoli, e la sua festa si celebrò dì XVIII di maggio, e il corpo suo imbolato del castello di Fummone in Campagna, reverentemente fu portato nella città dell'Aquila.



XCI - Come gli usciti di Genova presono Volteri e riperdero

Nel detto anno, a dì VI di giugno, gli usciti di Genova ch'erano in Saona presono per forza il castello di Volteri presso a Genova, mettendo a morte chiunque vi trovarono dentro, ma poco il tennono, che' Genovesi v'andarono ad oste per terra e per mare, e riebbollo a patti.



XCII - Come quegli di Pavia rubarono la moneta che 'l papa mandava a' suoi cavalieri

Nel detto anno, a l'entrante di luglio, vegnendo da corte da Vignone la paga de' soldati che·lla Chiesa tenea col suo legato in Lombardia, i quali danari erano in quantità di LXm fiorini d'oro a la guardia di CL cavalieri, passando per lo contado di Pavia di qua dal fiume di Po, le masnade di Pavia ribelli della Chiesa, fatta posta della venuta de la detta moneta, e messisi in aguato, essendo passati parte de la detta scorta, sì assalirono il rimanente e misongli in rotta, e presono parte del tesoro, che furono più di XXXm fiorini d'oro, sanza i pregioni e cavagli e somieri e arnesi.



XCIII - Come la gente del re Ruberto presono Alagna

Nel detto anno, a l'entrante di luglio, la gente del re Ruberto in quantità d'ottocento cavalieri, ond'era capitano il dispoto di Romania nipote del detto re, e il conte Novello di quegli del Balzo, presono e entrarono per forza ne la città d'Alagna in Campagna col favore de' nipoti che furono di papa Bonifazio, e cacciarne con battaglia tutti i seguaci del Bavero, il quale si facea chiamare imperadore, onde fu grande favore al re Ruberto, e il contradio al detto Bavero. Nel detto anno, a dì XVII di luglio, i Ghibellini de la Marca con cavalieri d'Arezzo vennono in quantità di Vc cavalieri subitamente sopra la città da Rimine, per condotta dell'arciprete de' Malatesti ribello di Rimine, e presono i borghi, ma poi per forza ne furono cacciati con danno e con vergogna di quegli usciti di Rimine. Nel detto anno e mese di luglio ne la città di Vignone in Proenza, ove era la corte di Roma, fu grandissimo diluvio d'acqua per crescimento di Rodano; che per diverse piogge cadute in Borgogna, e nevi strutte a le montagne, il Rodano crebbe sì disordinatamente, che uscì de' suoi termini, e infinito danno fece in Valdirodano, e in Vignone guastò più di M case lungo la riva, e molte genti anegarono. Nel detto anno e mese di luglio Alberghettino, che tenea Faenza, venne ad acordo e comandamento del papa, cioè del legato del papa a Bologna.



XCIV - Come i Parmigiani e' Reggiani si rubellarono dal legato e dalla Chiesa di Roma

Nel detto anno, il primo dì d'agosto, quegli della città di Parma con trattato de' Rossi che n'erano signori rubellarono Parma a la signoria de la Chiesa, e cacciarne la gente e uficiali del legato, opponendo che gli oppressavano troppo, ed era pur vero, con tutto ch'eglino pure aveano male in animo, e in più casi erano stati mali Guelfi e non fedeli a parte di Chiesa. E per simile modo il seguente dì si rubellarono i Reggiani, e feciono lega con messer Cane signore di Verona e con Castruccio, onde i Fiorentini e gli altri Guelfi di Toscana ne sbigottirono assai.



XCV - Come il Bavero, che si facea chiamare imperadore, col suo antipapa si partì di Roma e venne a Viterbo

Nel detto tempo, gli anni di Cristo MCCCXXVIII, essendo il sopradetto Bavero in Roma in povero stato di moneta, perché gli aveano fallato il re Federigo di Cicilia e que' di Saona usciti di Genova e gli altri Ghibellini d'Italia di venire con loro armata e con moneta al tempo promesso; e la sua gente già per difetti venuta in discordia e da' Romani male veduti, e la gente del re Ruberto già presa forza in Campagna e in terra di Roma, sì s'avisò il detto Bavero che in Roma non potea più dimorare sanza pericolo di sé e di sua gente, si mandò il suo maliscalco a Viterbo con VIIIc cavalieri, ed egli appresso si partì di Roma col suo antipapa e' suoi cardinali a dì IIII d'agosto del detto anno, e giunse a Viterbo a dì VI d'agosto. E a la sua partita i Romani gli feciono molta ligione, isgridando lui e 'l falso papa e loro gente, e chiamandogli eretici e scomunicati, e gridando: "Muoiano, muoiano, e viva la santa Chiesa!"; e fedirono co' sassi, e uccisono di loro gente; e lo 'ngrato popolo gli fece la coda romana, onde il Bavero ebbe grande paura, e andonne in caccia e con vergogna. E la notte medesima ch'egli s'era il dì dinanzi partito entrò in Roma Bertoldo Orsini nipote del legato cardinale con sua gente, e la mattina vennero messer Stefano della Colonna, e furono fatti sanatori del popolo di Roma. E a dì VIII d'agosto vennono il legato cardinale e messer Nepoleone Orsini con loro seguaci con grande festa e onore; e riformata la santa città di Roma de la signoria di santa Chiesa, feciono molti processi contra il dannato Bavero e contra il falso papa, e su la piazza di Campidoglio arsono tutti i loro ordini e brivilegi; ed eziandio i fanciugli di Roma andavano a' mortori, ov'erano sotterrati i corpi de' morti Tedeschi e d'altri ch'aveano seguitato il Bavero, e iscavati de le monimenta gli tranavano per Roma e gittavangli in Tevero. Le quali cose per giusta sentenzia di Dio furono al Bavero e al suo antipapa e a' loro seguaci grande brobbio e abbominazione, e segni di loro rovina e abassamento. E per la loro partita si fuggirono di Roma Sciarra de la Colonna, e Iacopo Savelli, e i loro seguaci, i quali erano stati caporali di dare la signoria di Roma al Bavero, e di molti furono abattuti e guasti i loro palazzi e beni, e condannati. E poi a dì XVIII d'agosto entrò in Roma messer Guiglielmo d'Ebole con VIIIc cavalieri del re Ruberto e gente a piè assai con grande onore: onde la città fu tutta sicura, e riformata a l'ubbidienza di santa Chiesa e del re Ruberto.



XCVI - Come il Bavero andò a oste a Bolsena con trattato d'avere la città d'Orbivieto

Come il Bavero fu in Viterbo con sua gente, il quale avea ancora più di MMD cavalieri tedeschi, sanza gl'Italiani, sì venne a oste sopra il contado d'Orbivieto, e prese più loro castella e villate, faccendo grande danno. E a dì X d'agosto, l'anno detto, si puose a oste al castello di Bolsena, al quale fece dare continue battaglie; ma la sua stanza era in quello luogo per uno trattato ch'avea in Orbivieto, che gli dovea essere data la terra la vilia di santa Maria d'agosto, ch'è loro principale festa: andando i cittadini a l'offerta, i traditori d'entro doveano dare la terra per la porta che vae verso Bagnorea. E già v'era cavalcato il suo maliscalco con M cavalieri, ma come piacque a nostra Donna, si scoperse il detto tradimento in sul punto che giunse il maliscalco, e' traditori presi e giustiziati. E quando fu fallito al Bavero il suo intendimento, il dì appresso si partì coll'oste da Bolsena e tornossi a Viterbo, e poi a dì XVII d'agosto si partì di Viterbo col suo falso papa e' suoi cardinali e tutta sua gente, e venne a la città di Todi, non oservando i patti a' Todini che gli aveano dati IIIIm fiorini d'oro, acciò che non entrasse in loro terra; e venuto in Todi, impuose a' Todini Xm fiorini d'oro, e caccionne i Guelfi, e l'antipapa per bisogno di danari spogliò Santo Fortunato di tutti i gioelli e santuarie infino a le lampane, che v'erano d'ariento, che valea grande tesoro. E stando il Bavero in Todi, sì mandò il conte d'Ottinghe con Vc cavalieri per conte in Romagna, il quale co la forza de' Ghibellini di Romagna cavalcarono infino a le porte d'Imola, ardendo e guastando; e d'altra parte il detto Bavero fece cavalcare il suo maliscalco con M cavalieri a Fuligno, credendo avere la terra per tradimento; ma come piacque a Dio, non venne fatto, onde si tornarono a Todi, ardendo e dibruciando e levando prede per le terre del Ducato.



XCVII - Come il Bavero essendo a Todi ordinò di venire sopra la città di Firenze, e l'apparecchiamento che feciono i Fiorentini

Ne' detti tempi essendo il Bavero in Todi, e perseguitando con tanta rovina e Romagna e 'l Ducato, e essendo molto infestato da' Ghibellini usciti di Firenze e gli Aretini e gli altri Toscani di parte d'imperio, che dovesse venire ad Arezzo per venire da quella parte a oste sopra la città di Firenze, con ordine fatta, che Castruccio, che ancora vivea e era molto montato per la vittoria avuta sopra i Fiorentini de la città di Pistoia, con sua oste dovesse venire per lo piano di verso Prato, e gli Ubaldini co la forza del conte d'Ottinghe e de' Ghibellini di Romagna rubellare il Mugello, e da tutte parti chiudere le strade a' Fiorentini, mostrando al detto Bavero che, vinta la città di Firenze (che assai gli era possibile), era signore di Toscana e di Lombardia, e poi assai leggermente potea conquistare il regno di Puglia sopra il re Ruberto; onde il detto Bavero a·cciò s'accordò, e già avea questo preso per consiglio, e fece cominciare l'apparecchiamento per la sua venuta ad Arezzo. I Fiorentini ebbono grandissima paura, e bisognava bene, ch'egli era in sul tempo de la ricolta, e era carestia e scarso di vittuaglia, onde se fosse seguita la detta venuta del Bavero, e il detto ordine preso per gli Ghibellini, i Fiorentini erano in grande pericolo di potere guerentire la cittade, e da molte parti erano spaventati, veggendosi circundati di sì possenti tiranni e nimici. Ma però non si disperaro né si gittarono tra vili e cattivi, però che vile perisce chi a viltà s'appoggia; e piccolo riparo e rispitto molti casi fortuiti passa. Onde i Fiorentini presono conforto e vigore, e con grande consiglio e sollecitudine feciono rafforzare le castella di Valdarno, cioè Monteguarchi, e Castello San Giovanni, e Castello Franco, e l'Ancisa, e guernire di vittuaglia e d'ogni guernimento da difenzione e guerra; e mandarvi in ciascuna terra due capitani de' maggiori cittadini, uno grande e uno popolano, con masnade a cavallo e con grande quantità di buoni balestrieri. E per simile modo feciono guernire Prato e Signa e Artimino, e tutte le castella di Valdarno di sotto, e feciono isgombrare di vittuaglia e strame tutto il contado, e recare a la città o a terre forti e murate, acciò che' nimici non trovassono di che vivere per loro e per loro bestie. E mandarono per loro amistadi, e grande guardia si facea di dì e di notte ne la città, e a le porte e a le torri e mura, e faccendo rafforzare ovunque la città era debole; e come franchi uomini erano disposti a sostenere ogni passione e distretta per mantenere coll'aiuto di Dio la cittade. E ordinarono di mandare al re Ruberto e al duca, e così feciono, che rimossa ogni cagione, il duca personalmente co le sue forze venisse a la difensione della città di Firenze; e se non venisse, il Comune era fermo, che le CCm di fiorini d'oro che davano al duca per suoi gaggi secondo i patti, di non pagargli, se non tanti solamente quanto montassono i gaggi de' cavalieri che tenea messer Filippo di Sangineto suo capitano, che poteano montare l'anno CXm di fiorini d'oro; e il rimanente voleano per lo Comune per fornire la guerra. De la quale richesta il re e 'l duca molto si turbarono; ma veggendo il bisogno de' Fiorentini, però non volle mettere in aventura la persona del duca contra il Bavero, ma ordinarono di mandare messer Beltramon del Balzo con IIIIc cavalieri a suo soldo per contentare i Fiorentini. Ma tardi era il soccorso; ma come piacque a Dio, che mai non venne meno la sua misericordia a le strette necessitadi del nostro Comune, in brevissimo tempo ci diliberò del tiranno Castruccio per sua morte, come adietro facemmo menzione, e poi di diverse e varie mutazioni e novità ch'avennono al dannato Bavero, come innanzi faremo menzione; e non solamente Idio ci guarentì, ma ci adirizzò in vittorie, prosperità, e buono stato.



XCVIII - Come fu morto il tiranno messer Passerino signore di Mantova

Nel detto anno, a dì XIIII d'agosto, Luisi da Gonzaga di Mantova, con trattato fatto con messer Cane signore di Verona e coll'aiuto de' suoi cavalieri venuti segretamente a Mantova, tradì messere Passerino, e corse la città di Mantova gridando: "Viva il popolo, e muoia messer Passerino e le sue gabelle!", e con questa furia vegnendo in su la piazza, trovando il detto messer Passerino isproveduto e disarmato vegnendo a cavallo a la detta gente per sapere perché il romore fosse, il detto Luisi gli diede d'una spada in testa, ond'egli morì di presente; e poi prese il figliuolo e 'l nipote del detto messer Passerino, il quale suo figliuolo era fellone e reo, e degnamente gli fece morire per mano del figliuolo di messer Francesco de la Mirandola, cui messer Passerino per tradimento e a torto avea fatto morire; e poi si fece signore de la terra. E così si mostra il giudicio di Dio per la parola del suo santo Vangelio, "Io ucciderò il nimico mio col nimico mio", abbattendo l'uno tiranno per l'altro. Questo messer Passerino fu de la casa de' Bonaposi di Mantova, e gli antichi furono Guelfi; ma per essere signore e tiranno si fece Ghibellino, cacciando i suoi medesimi e ogni possente di Mantova. Fu piccolo de la persona, ma molto savio e proveduto e ricco, e fu signore in Mantova lungo tempo e di Modana, e sconfisse i Bolognesi, come adietro facemmo menzione, l'anno MCCCXXV; ma dopo il colmo de la detta sua gloria e vittoria ogni dì venne abassando suo stato, come piacque a Dio.



XCIX - Come quegli di Fermo de la Marca presono San Lupidio

Nel detto anno e mese d'agosto quegli de la città di Fermo de la Marca presono per tradimento il castello di San Lupidio, e corsollo e rubarlo tutto, e cacciarne i Guelfi con molta uccisione, e quasi la detta terra fu distrutta.



C - Come i Sanesi ebbono Montemassi co la forza de' Fiorentini

Nel detto anno e mese d'agosto i Fiorentini, non istanchi né sbigottiti per la tornata del Bavero in Toscana, mandarono in aiuto de' Sanesi Vc cavalieri, onde fu capitano messer Testa Tornaquinci, per difendergli da la forza di Castruccio, il quale avea mandati in Maremma VIc de' suoi cavalieri per levare i Sanesi da oste dal castello di Montemassi, e già aveano preso e rubato e arso il castello di Pavanico; e di certo i Sanesi non aveano podere di tenere campo, se non fosse la forza de' Fiorentini, che incontanente la gente di Castruccio si ritrasse, e' Sanesi ebbono il castello a patti, rendendosi a sicurtà ne le mani de' Fiorentini a dì XXVII d'agosto. Lasceremo de' fatti universali degli strani, e torneremo al processo e andamenti del Bavero.



CI - Come don Piero di Cicilia co la sua armata e di quegli di Saona vennono in aiuto del Bavero, e come arrivarono a Pisa, là dov'era il detto Bavero

Nel detto anno MCCCXXVIII, del mese d'agosto, don Piero, che re Piero si facea chiamare, figliuolo di Federigo signore di Cicilia, con LXXXIIII tra galee e uscieri, e con III navi grosse e più legni sottili, tra di Cicilia e degli usciti di Genova ch'abitavano in Saona, vennono al soccorso del Bavero detto imperadore con VIc cavalieri tra Catalani e Ciciliani e Latini; e tutto che secondo l'ordine e promessa giugnessono tardi al suo soccorso, puosono in più parti nel Regno, prima in Calavra, e poi ad Ischia, e poi sopra Gaeta, seguendo la stinea de la marina, faccendo danno e correrie a le terre del re Ruberto sanza contasto niuno. E poi in terra di Roma presono Asturi e vennono in foce di Tevero, credendo che 'l Bavero fosse a Roma; e non trovandolo, guastarono intorno a Orbitello, e arrivarono a Corneto; e di là sentendo novelle che 'l Bavero era a Todi, gli mandarono ambasciadori che venisse a la marina a parlamentare co·lloro, il quale Bavero avendo le dette novelle, mutò consiglio del venire verso Firenze per la via d'Arezzo, e partissi da Todi a dì XXXI d'agosto col suo antipapa e tutta sua corte e gente, e venne a Viterbo, e là lasciò il detto antipapa e la 'mperadrice e l'altra gente, e con VIIIc cavalieri andò a Corneto a don Piero; e là scendendo que' signori in terra, stettono in parlamento alquanti giorni con grandi contasti e riprensioni, perché l'armata non era venuta al tempo promesso, e domandava il Bavero i danari promessi per gli patti. Don Piero e suo consiglio il richiedea che venisse sopra le terre del re Ruberto, e egli verrebbe co l'armata per mare e darebbegli la moneta promessa, ch'erano XXm once d'oro. In questo contasto ebbono novelle e ambasciadori da' Pisani, come la gente di Castruccio aveano corsa la città di Pisa e cacciatane la signoria del Bavero; e d'altra parte il detto Bavero non si sentia in podere, né in disposizione la sua gente di volere andare nel Regno, sentendo i passi guerniti, e la carestia di vittuaglia grande in tutte parti: sì prese consiglio di venire verso Pisa co la donna sua e con tutta sua gente per terra, e l'armata per mare. E così fu fatto; che a dì X di settembre si partirono di Corneto, e vegnendo, morì a Montalto il perfido eretico e maestro e conducitore del Bavero maestro Marsilio di Padova; e giunse il Bavero e l'oste sua a Grosseto a dì XV di settembre; e l'armata di don Piero presono Talamone e guastarlo, e scesono a Grosseto, e col Bavero insieme vi puosono l'oste a petizione degli usciti di Genova e de' conti da Santa Fiore per torre il porto e 'l passo de la mercatantia a' Fiorentini e a' Sanesi e agli altri Toscani che per ischifare Pisa faceano quella via; e stettonvi IIII dì a l'assedio dandovi grandi battaglie co' balestrieri ch'erano in su l'armata, e salirono più volte in su le mura di Grosseto, e furonne cacciati per forza, e rimasonvene morti più di IIIIc de' migliori; ma per soperchia gente e battaglie non si potea la terra guari tenere. Ma in questa stanza venne novella e ambasciadori di certi imperiali di Pisa al Bavero, come Castruccio signore di Lucca era morto, e che' figliuoli con loro masnade aveano corsa la terra, e che per Dio si studiasse d'andare a Pisa, se non che temeano che non dessono la terra a' Fiorentini. Per la qual cosa il Bavero si partì da Grosseto a dì XVIII di settembre, e con sollecito cavalcare entrò in Pisa a dì XXI di settembre, e da' Pisani fu ricevuto con grande allegrezza per essere fuori de la signoria de' figliuoli di Castruccio e de' Lucchesi; i quali sentendo la sua venuta, si partirono di Pisa e tornarono a Lucca, e il Bavero riformò la terra di Pisa a sua signoria, e fece suo vicario Tarlatino de' Tarlati d'Arezzo, il quale fece cavaliere, e diede il gonfalone del popolo, onde i Pisani furono molto contenti, e parve loro tornare in loro libertade per la signoria tirannesca avuta da Castruccio e da' figliuoli. E ciò fatto, don Piero di Cicilia, avuti molti parlamenti col Bavero e coll'altra lega de' Ghibellini, si partì di Pisa co la sua armata a dì XXVIII di settembre, e simile feciono gli usciti di Genova. Ma a don Piero male avenne, che essendo col suo navilio già presso a l'isola di Cicilia, fortuna gli venne a la 'ncontra, e tutto suo navilio sciarrò in più parti alle piagge di terra di Roma e di Maremma, onde furono in grande pericolo e condizione di scampare; e perirono in mare da XV de le sue galee co la gente che v'era suso, e molte altre ruppono e straccarono in diverse parti; e don Piero con grande pericolo arrivò a Messina con IIII galee solamente; e·rimanente dell'altre arrivarono in diversi porti di Cicilia scemati di gente e d'arnesi, onde i Ciciliani ricevettono una grande sconfitta. Lasceremo alquanto di questa materia, e torneremo a' fatti di Firenze e dell'altra Italia.



CII - Come messere Cane della Scala ebbe la signoria della città di Padova

Nel detto anno MCCCXXVIII, essendo la città di Padova molto afflitta e anullata di podere e di signoria e di gente, e perduto la maggior parte di suo contado per la discordia di grandi cittadini, e per la persecuzione de la guerra avuta con messer Cane della Scala signore di Verona, quegli della casa da Carrara di Padova, cacciati i loro vicini e guasta loro parte guelfa per volere essere signori e tirannare, quasi per necessità non potendo bene tenere la terra, s'accordaro con messere Cane e imparentarsi co·llui, e diedongli la signoria di Padova a dì VIII del mese di settembre, la quale sì lungamente avea bramata; e a dì X del mese v'entrò con grande trionfo e signoria. E come fu in Padova, l'ordinò e compuose in assai giusto e convenevole stato secondo la terra ch'era guasta, sanza fare vendetta di niuno, e rimettendo nella città chiunque volle tornare sotto la sua signoria. E bene s'adempié la profezia di maestro Michele Scotto de' fatti di Padova, ove disse molto tempo dinanzi: "Padue magnatum plorabunt filii necem diram et orrendam datam Catuloque Verone".



CIII - Come i Fiorentini presono per forza il castello di Carmignano

Nel detto tempo, sentendo messer Filippo di Sangineto con gli altri capitani della guerra di Firenze e col consiglio de' priori, che·cci trovammo allora di quello collegio, sentendo che 'l castello di Carmignano non era bene fornito, ed erano isbigottiti de la morte di Castruccio, sì ordinarono segretamente d'assalirlo e di combatterlo e prenderlo per forza; e così misono a seguizione, che 'l detto capitano con certi Fiorentini e con parte della cavalleria e popolo a piè si partirono una notte ordinata di Samminiato e dell'altre terre di Valdarno, e feciono la via del monte, e la mattina furono intorno a Carmignano; e per simile modo, e a uno punto, vi venne la cavalleria de' Fiorentini ch'era in Prato, co' Pratesi e gente a piè assai, sì che si trovarono intorno a Carmignano VIIIc cavalieri oltramontani e Vm pedoni. Il castello era assai forte di sito, e parte murato per Castruccio e parte steccato e affossato, e con torri e bertesche di legname; ma era d'uno grande giro e porpreso, e dentro v'avea L cavalieri e da VIIc uomini a piè, che bisognava a la guardia due cotanti gente. Messer Filippo capitano de' Fiorentini fece tutti i cavalieri scendere a piè, e a ciascuno conastabole aggiunse pedoni con pavesi e balestra e raffi e stipa e fuoco, e a ciascuno diede la sua posta intorno al castello; e da più di XX parti a uno suono di trombe e nacchere il fece assalire e combattere; la quale battaglia fue aspra e dura e sostenne da la mattina a ora di nona. Ma a la fine per lo grande porpreso e per la prodezza de' nostri cavalieri in più parti vinsono la battaglia con grande danno di que' d'entro e entrarono per forza dentro a la terra e puosono le bandiere. Gli altri de la terra veggendo entrati i nimici dentro, abbandonarono le loro poste e la terra, e fuggirono, chi poté, nel girone de la rocca, e l'altra gente entrò poi ne la terra, e corsolla e rubarla tutta, e di gran preda la spogliarono; e ciò fu a dì XVI del mese di settembre del detto anno. E la rocca si tenne poi VIII giorni, avendovi ritti mangani e difici, i quali gli consumavano dì e notte, e eranvi con grande fame e difetto di vittuaglia per la molta gente che v'erano rifuggiti de' terrazzani. A la fine s'arendé la rocca e 'l girone a patti, salve le persone e ciò che se ne potessono portare. E ebbono i soldati che v'erano dentro per menda di loro cavagli MCC fiorini d'oro. Questi patti così larghi si feciono loro però che 'l Bavero era già giunto in Pisa, e di sua cavalleria già venuta in Pistoia, ond'era a la nostra oste grande pericolo a soprastarvi. Di questo acquisto di Carmignano ebbe in Firenze grande allegrezza, isperando che la fortuna prospera fosse adirizzata a' Fiorentini, ma più consigli si tennono di disfare la terra e la rocca per dubbio del Bavero, o di ritenerla; a la fine si vinse che si ritenesse e si recasse a minore giro, e si murasse tutta con torri di pietre e calcina, e rafforzare la rocca e 'l girone, e che mai non si lasciasse per gli Fiorentini, ma che si confiscasse a perpetuo al nostro contado; e così fu tutto di presente fatto.

 

 



CIV - Come il re di Francia fece fare pace tra 'l conte di Savoia e 'l Dalfino di Vienna

Nel detto anno, a l'uscita di settembre, lo re Filippo di Francia a preghiera e studio de la reina Crementa, la quale era stata moglie del re Luis di Francia e figliuola di Carlo Martello re d'Ungheria e nipote del re Ruberto, sì fece fare pace tra 'l conte di Savoia e 'l Dalfino di Vienna nipote de la detta reina, intra' quali era stata lunga e mortale guerra; e essendo la detta reina malata a morte, per darle consolazione lo re in sua presenza la fece fare, e basciare in bocca i detti signori, la quale poco apresso passò di questa vita, onde fu gran dammaggio, sì come di savia e valente donna e reina.



CV - Come il Bavero andò a Lucca, e dispuose de la signoria i figliuoli di Castruccio

Essendo il sopradetto Bavero in Pisa, i figliuoli di Castruccio gli furono molto abominati da' Pisani, e ch'eglino e il loro padre Castruccio aveano tenuto trattato co' Fiorentini contra l'onore della corona; e ciò fu in parte verità. Onde il Bavero era molto indegnato contra loro, e per lo correre ch'aveano fatto in Pisa, e la sua gente non lasciavano entrare in Lucca. Per la qual cosa la moglie che fu di Castruccio, per raumiliarlo contra i figliuoli, sì venne in Pisa, e donogli il valore di Xm fiorini d'oro, tra in danari e gioegli e ricchi destrieri, e rimisesi in lui, lei e' figliuoli. Per la qual cosa, e per consiglio de' Pisani e di certi Lucchesi, il Bavero andò a Lucca a dì V d'ottobre, e fugli fatto grande onore; ma per gli sombugli ch'avea nella città per gli cittadini, che non voleano che' figliuoli di Castruccio rimanessono signori, si levò la città a romore a dì VII d'ottobre, e s'asserragliò e abarrò da casa gli Onesti e in più parti. A la fine fu corsa per gli Tedeschi, e riformò la terra a sua signoria, e lasciò per signore il Porcaro suo barone, che tanto è a dire Porcaro in tedesco come conte castellano; ma in nostra lingua era chiamato Porcaro. E impuose a Lucca e al contado CLm di fiorini d'oro, tagliandogli per uno anno, promettendo di lasciargli franchi. E trasse di pregione messer Ramondo di Cardona e 'l figliuolo, che fu capitano de' Fiorentini, e pagogli per sua redenzione IIIIm fiorini d'oro, e fecelo giurare a la sua signoria, e ritennelo al suo soldo con C cavalieri; e ciò fu a priego del re di Raona; e tornò in Pisa a dì XV d'ottobre, e a' Pisani impuose Cm fiorini d'oro; per le quali imposte in Pisa e in Lucca n'ebbe grandi ramarichii e dolori per gli cittadini per la soperchia gravezza, e il loro male stato, e macerati de le guerre. In questa stanza il Porcaro, che 'l Bavero avea lasciato in Lucca, s'imparentò co' figliuoli di Castruccio, e rimisegli inn-istato e signoria, e mostrava di volersi tenere co·lloro insieme la signoria di Lucca e del contado; per la qual cagione per certi Lucchesi e Pisani furono fatti sospetti de la corona, onde per gelosia della 'mpresa del Porcaro de' fatti di Lucca e de' Tedeschi de la bassa Alamagna partiti da·llui e andati al Cerruglio, come appresso faremo menzione, il Bavero tornò a Lucca a dì VIII di novembre, e dispuose di signoria il detto Porcaro, il quale se n'andò per disdegno in Lombardia e poi in Alamagna, e a' figliuoli di Castruccio tolse ogni titolo del ducato, e mandò loro e·lla madre a' confini a Pontriemoli, e 'l Comune di Pisa con assento del Bavero condannarono i figliuoli di Castruccio, e Nieri Saggina loro tutore, e tutti gli usciti di Firenze, e chi furono caporali co·lloro a rompere il popolo di Pisa e correre la terra nell'avere e nella persona sì come traditori.



CVI - Come certi della gente del Bavero si rubellarono da lui, e vennono in sul Cerruglio di Vivinaia

In questo presente tempo i Tedeschi de la bassa Alamagna i quali erano col Bavero, conceputo il disdegno, cominciata la discordia tra 'l Bavero e loro infino a Cisterna, in Campagna, sì come adietro facemmo menzione, e istando in Pisa, e non potendo avere le loro paghe e gaggi dal Bavero, sì feciono infra loro cospirazione e congiura, e furono da VIIIc uomini a cavallo, e i più de' migliori di sua gente, seguendoli più altri gentili uomini rimasi a piè per povertà; e partirsi di Pisa a dì XXVIIII d'ottobre del detto anno, e credettono prendere e rubellare la città di Lucca e tenerlasi per loro; e venia loro fatto, se non che 'l Bavero sentendo loro folle partita, per messaggi battendo, mandò a Lucca che non fossono ricettati nella città; e così fu fatto. Per la qual cosa albergando ne' borghi di Lucca, gli rubarono d'ogni sustanzia, e vennono in Valdinievole, e non potendo entrare in niuna fortezza murata, sì si misono in sul Cerruglio, il quale è in su la montagna di Vivinaia e di Montechiaro, il quale luogo Castruccio avea afforzato quando avea la guerra co' Fiorentini, e quello rafforzarono e tennono, faccendosi dare trebuto e vittuaglia a tutte le terre vicine. E in questa loro stanza più trattati feciono cercare co' Fiorentini, e venne in Firenze il duca di Cambenic de la casa di quegli di Sassogna, e messer Arnaldo di..., loro caporali; ma poco effetto ebbono allora i loro trattati, perché voleano troppo larghi patti e molta moneta, e' Fiorentini si poteano male fidare di loro; e con questo tuttora erano in trattato col Bavero per riconciliarsi co·llui, per avere i loro gaggi, e parte n'ebbono, più per tema che non s'accordassono co' Fiorentini che per amore. Avenne che in questi trattati da·lloro al Bavero egli mandò a·lloro per ambasciadore e trattatore messer Marco de' Visconti di Milano, il quale ad istanzia del Bavero fece loro certa impromessa di moneta per levargli del luogo e menargli in Lombardia; i quali passato il termine, e non fornito per lo Bavero come avea promesso, ritennono il detto messer Marco cortesemente per loro pregione per LXm fiorini d'oro; e dissesi che 'l Bavero il vi mandò viziatamente per farlo ritenere per levarlosi d'intorno, non fidandosi di lui per quello ch'avea fatto a messer Galeasso suo fratello di torgli la signoria di Milano. Di questa compagna dal Cerruglio seguirono poi grandi novitadi e mutazioni ne la città di Lucca, come innanzi faremo per gli tempi menzione.



CVII - Come il re Ruberto e 'l duca suo figliuolo mandarono inn-aiuto de' Fiorentini Vc cavalieri

Nel detto anno, il dì d'Ognesanti, giunse in Firenze messer Beltramone del Balzo con Vc cavalieri, i quali il re Ruberto e 'l duca suo figliuolo mandò di Puglia al servigio de' Fiorentini e al suo soldo per contastare il Bavero; e ciò fu per sodisfare in parte la richesta ch'aveano fatta i Fiorentini di volere la persona del duca, sì come dovea venire a difendere la città di Firenze, dapoi che prendea CCm fiorini d'oro, com'era in patti. De la quale venuta de' cavalieri i Fiorentini furono altrettanto contenti come se fosse venuto il duca in persona, perciò che già rincrescea loro la sua signoria, e cercavano modo di non volergli dare l'anno i detti danari dapoi che non istava in Firenze personalmente; ma tosto si quetò la detta questione, come diremo apresso.



CVIII - Come morì Carlo duca di Calavra e signore di Firenze

Nel detto anno, a dì VIIII del mese di novembre, come piacque a Dio, messer Carlo figliuolo del re Ruberto duca di Calavra, e signore de' Fiorentini, passò di questa vita nella città di Napoli d'infermità di febbre presa a uccellare nel Gualdo; onde in Napoli n'ebbe grande dolore e in tutto il Regno, e soppellìsi al monistero di Santa Chiara in Napoli, a dì XIIII di novembre, a grande onore, sì come re; e poi se ne fece l'esequio in Firenze a dì II di dicembre a la chiesa de' frati minori, molto grande e onorevole di cera in grandissima quantità, per lo Comune e per la parte guelfa e per tutte l'arti; e furonvi le signorie e 'l capitano ch'era del duca, e uomini e donne e tutta la buona gente de la città di Firenze, che apena poteano capere nella piazza di Santa Croce non che nella chiesa. Di questo duca non rimase reda nulla maschio, ma due figliuole femmine, una nata, e d'una rimase grossa la duchessa; onde a lo re Ruberto suo padre e a tutto il Regno n'ebbe gran dolore, però che 'l re Ruberto non avea altro figliuolo maschio. Questo duca Carlo fu uomo assai bello del corpo, e informato, innanzi grosso, e non troppo grande; andava in capegli sparti, assai era grazioso, di bella faccia ritonda, con piena barba e nera, ma non fu di gran valore a quello che potea essere, né troppo savio; dilettavasi in dilicatamente vivere e de la donna, e più in ozio che in fatica d'arme, con tutto che 'l padre lo re Ruberto il tenea molto corto per gelosia de la sua persona, perché non avea più figliuoli; morì d'etade di.... anni; assai fu cattolico e onesto, e amava giustizia. De la morte di questo signore i cittadini di Firenze ch'amavano parte guelfa ne furono crucciosi, quanto per parte; ma il genero de' cittadini ne furono contenti per la gravezza della spesa e moneta che traeva de' cittadini, e per rimanere liberi e franchi, che già cominciava a dispiacere forte a' cittadini la signoria de' Pugliesi, i quali avea lasciati suoi uficiali e governatori, che a nulla altra cosa intendeano con ogni sottigliezza se non di fare venire danari in Comune, e di tenere corti i cittadini di loro onori e franchigia, e tutto si voleano per loro; e di certo, se 'l duca non fosse morto, non potea guari durare, che' Fiorentini avrebbono fatta novità contra la sua signoria, e rubellati da·llui.



CIX - Come i Fiorentini riformarono la città di signorie dopo la morte del duca

Dapoi che' Fiorentini ebbono novelle de la morte del duca, ebbono più consigli e ragionamenti e avisi, come dovessono riformare la città di reggimento e signoria per modo comune, acciò che si levassono le sette tra' cittadini; e come piacque a·dDio, quegli che allora erano priori, con consiglio d'uno buono uomo per sesto, di concordia trovarono questo modo ne la lezione de' priori e gonfalonieri, cioè che' priori con due arroti popolani per sesto facessono scelta e rapporto di tutti i cittadini popolani guelfi degni de l'uficio del priorato, d'età da XXX anni in suso; e per simile modo feciono i gonfalonieri de le compagnie con II popolani arroti per gonfalone; e simile recata facessono i capitani di parte guelfa col loro consiglio; e simile i cinque uficiali della mercatantia col consiglio di VII capitudini de le maggiori arti, due consoli per arte. E fatte le dette recate, ne la sala de' priori si congregarono i priori e' gonfalonieri a l'entrante del mese di dicembre, e co·lloro i XII buoni uomini consiglieri, e con cui i priori faceano le gravi diliberazioni, e con XVIIII gonfalonieri de le compagnie, e due consoli di ciascuna delle XII arti maggiori, e VI arroti fatti per gli priori e per gli detti XII consiglieri per ciascuno sesto, sì che in tutto furono in numero di LXXXXVIII; e messo ciascuno uomo recato a scruttino segreto di fave bianche e nere, ricolte per due frati minori e due predicatori e due romitani, forestieri savi e discreti, e parte di loro a vicenda stavano nella camera a ricogliere le fave e a noverarle; e chiunque avea LXVIII boci, cioè LXVIII fave nere, era aprovato per priore e messo in segreto rigistro scritto, il quale rimase apo i frati predicatori, e in una piccola cedola sottile iscritto il nome e sopranome suo, e messo in una borsa a sesto a sesto come venia; e quelle borse messe in uno forziere serrato a tre chiavi, e mandato nella sagrestia de' frati minori; e l'una chiave teneano i frati conversi di Settimo, che stavano a la camera dell'arme de' priori, e l'altra il capitano del popolo, e l'altra il ministro de' frati. E quando finiva l'uficio de' priori de' due in due mesi, anzi loro uscita il meno per III dì, i vecchi priori col capitano sonando e raccogliendo il consiglio facevano venire il detto forziere, e in presenza del consiglio s'apriva, e a sesto a sesto s'aprieno le dette borse, mischiando le bollette, e poi traendole in aventura; e quegli ch'era tratto era priore, oservando il divieto ne la persona di quegli ch'era due anni, che più non potea essere infra 'l tempo; e il figliuolo, padre, o fratello di quegli avea divieto uno anno; e la casa ond'era VI mesi. E questo ordine si fermò prima per gli opportuni consigli, e poi in pieno parlamento ne la piazza de' priori, ove fu congregato molto popolo, ov'ebbe molti dicitori, e lodando l'ordine, e confermandola a dì XI di dicembre MCCCXXVIII, sotto gravi pene chi contro facesse, e che di due in due anni del mese di gennaio si dovesse rifare da capo per simile modo, e chi vi si trovasse in registro che non fosse uscito o tratto vi rimanesse; e chi di nuovo fosse approvato per lo detto squittino fosse rimescolato con quegli che non fossono tratti; e quegli che tratti fossono si rimettessono a sesto a sesto in un'altra borsa infino che fossono gli altri tutti tratti.

Per simile modo e squittino s'aprovarono i XII uomini consiglieri de' priori; e chi era, durava il loro uficio IIII mesi, e qual era dell'uno collegio era dell'altro. I gonfalonieri de le compagnie si feciono per simile modo, salvo che poteano essere giovani di XXV anni o da indi in suso; e durava il loro uficio quattro mesi, che in prima duravano VI mesi. E per simile modo ciascuna de le XII maggiori arti feciono i loro consoli; e rimutossi il consiglio del Cento, e Credenza, e LXXXX, e generale, che soleano essere per antico; e fecesi uno consiglio di popolo di CCC uomini popolani scelti e approvati sofficienti e guelfi; e simile uno consiglio di Comune, ove avea grandi uomini de' casati e popolani di CCL uomini approvati, e furono recati a termine di IIII mesi, ove soleano essere per VI mesi, per avicendare i cittadini, e dare parte degli ufici. Per questo modo fu riformata la città di Firenze de' suoi reggimenti e uficiali, e poco tempo appresso per fuggire le pregherie si feciono per borse, overo sacchi, approvati per squittino le podestadi forestiere. Avemo così stesamente fatta memoria di questa riformazione, perché fu con bello ordine e comune; e seguìne assai tranquillo e pacefico stato al nostro Comune uno tempo, perché sia esemplo a coloro che sono a venire; ma com'è l'usanza de' Fiorentini di spesso volere fare mutazioni, per la qual cosa gli detti buoni ordini assai tosto si coruppono e viziaro per le sette de' malvagi cittadini, che al tutto voleano reggere sopra gli altri, mettendo con frode a le riformazioni de' loro seguaci non degni a' detti ufici, e lasciare adietro de' buoni e sofficienti, onde seguì poi molti danni e pericoli a la nostra città, come innanzi faremo menzione.



CX - Come in Firenze fu fatta una imposta sopra il chericato

In questi tempi si fece in Firenze per autorità d'una vecchia lettera di papa una imposta sopra il chericato di XIIm fiorini d'oro (bene ch'ella fosse ordinata innanzi per lo priorato ch'era stato al tempo che 'l Bavero dovea venire verso Firenze per la via d'Arezzo, e Castruccio era vivo, e dovea venire da la parte di Pistoia), acciò ch'egli atassono per li loro benifici la difensione de la città e del contado contra i rubegli e persecutori di santa Chiesa; de la quale imposta il detto chericato ingrato e sconoscente non volea pagare, e convenne che pagassono per forza; per la qual cosa appellarono al papa, e misono lo 'nterdetto in Firenze a dì XVIII di novembre, e poi il levarono infino a la Bifania, e poi il ripuosono infino che 'l vescovo di Firenze ch'era ne la Marca tornò, e levollo con loro grande vergogna, però che s'ordinava di trarre i cherici de la guardia del Comune; e ciò fu a dì V di febbraio anni MCCCXXVIII. Lasceremo alquanto de' fatti di Firenze, e diremo dell'altre novità degli strani che furono in questi tempi.



CXI - Come sobbissò per tremuoti gran parte de la città di Norcia del Ducato con più castella ivi intorno

Nel detto anno MCCCXXVIII, a l'entrante di dicembre, furono diversi tremuoti ne la Marca ne le contrade di Norcia, per modo che quasi la maggior parte de la detta città di Norcia sobbissò, e caddono le mura de la terra e le torri, case, e palazzi, e chiese, e de la detta rovina, perché fu sùbita e di notte, morirono più di Vm persone. E per simile modo rovinò uno castello presso a Norcia, che si chiama le Precchie, che non vi rimase persona né animale vivo; e per simile modo il castello di Montesanto, e parte di Monte Sammartino, e di Cerreto, e del castello di Visso.



CXII - Come il Bavero ne la città di Pisa condannò papa Giovanni, e papa Giovanni apo Vignone diè sentenzia contro al Bavero

Nel detto anno, a dì XIII del mese di dicembre, il Bavero, il quale si dicea essere imperadore, si congregò uno grande parlamento, ove furono tutti i suoi baroni e maggiori di Pisa, laici e cherici, che teneano quella setta, nel quale parlamento frate Michelino di Cesena, il quale era stato ministro generale de' frati minori, sermonò in quello contro a papa Giovanni, opponendogli per più falsi articoli e con molte autoritadi ch'egli era eretico e non degno papa; e ciò fatto, il detto Bavero a modo d'imperadore diè sentenzia contra il detto papa Giovanni di privazione. E in questi medesimi tempi e mese di dicembre, per le digiune Quattro Tempora, il detto papa Giovanni apo Vignone in concestoro de' suoi cardinali e de' parlati di corte piuvicò e fece gran processi contra il detto Bavero, sì come eretico e persecutore di santa Chiesa e de' suoi fedeli, e per sentenzia il privò e dispuose d'ogni dignità e stato e signoria, e commise a tutti gl'inquisitori della eretica pravità che procedessono contro a·llui e chi gli desse aiuto o conforto o favore.



CXIII - Come l'antipapa con suoi cardinali entrò ne la città di Pisa e predicò contro a papa Giovanni

Nel detto anno, a dì III di gennaio, l'antipapa di su detto, frate Piero di Corvara, entrò in Pisa a modo di papa con suoi VII cardinali fatti per lui, al quale per lo Bavero detto imperadore e da sua gente e da' Pisani fu ricevuto con gran festa e onore, andandogli incontro il chericato e' religiosi di Pisa e' laici col detto Bavero con grande processione a piè e a cavallo, con tutto che quegli che 'l vidono dissono che parea loro opera isforzata e non degna, e la buona gente e' savi di Pisa molto si turbarono, non parendo loro ben fare, sostegnendo tanta abbominazione. E poi a dì VIII del detto mese di gennaio il detto antipapa predicò in Pisa e diede perdono, come potea, di colpa e di pena, chi rinnegasse papa Giovanni, e tegnendolo per non degno papa, confessandosi de' suoi peccati infra gli otto dì, e confermando la sentenzia che 'l detto Bavero avea data contro a papa Giovanni per la predica di frate Michelino, come dicemmo adietro.



CXIV - Di certe cavalcate che la gente che 'l capitano del re Ruberto co la gente de' Fiorentini feciono sopra il contado di Pisa

Nel detto tempo, a dì X di gennaio, essendo il Bavero in Pisa con tutta sua forza, messere Beltramone del Balzo capitano della gente del re Ruberto essendo in Samminiato a le frontiere colla sua gente e con quella de' Fiorentini, in numero di M a cavallo e gente a piè assai, cavalcarono in sul contado di Pisa per la Valdera infino a ponte di Sacco, e levarono grande preda di gente, e di bestiame, e arsono tutto il paese, e stettonvi due dì e una notte, né però la gente del Bavero non uscirono di Pisa per soccorrere il loro contado, dicendo il Bavero a' Pisani, se volessono che cavalcassono, dessono danari a' suoi cavalieri; onde molto fu ripreso e tenuto a vile da la buona gente di Toscana. E poi a dì XXI di febbraio il detto messer Beltramone con sua gente e con quella de' Fiorentini cavalcarono sopra il contado di Pisa, e simile levarono grande preda, ma fu con danno d'alquanti di sua gente a piè, i quali per ghiottornia de la preda s'erano dilatati per lo paese, e a la ritratta ve ne rimasono de' morti e de' presi più di CL.



CXV - D'uno certo tradimento che fu scoperto che si doveva fare in Firenze

Nel detto anno, in mezzo gennaio, fu menato uno trattato per Ugolino di Tano degli Ubaldini con certi uomini di piccolo affare di Firenze di tradire la città di Firenze in questo modo: che dovea mettere di sagreto in Firenze CC de' suoi fanti, e quegli stare nel borgo d'Ognesanti e di San Paolo, e una notte ordinata fare mettere fuoco in quattro case, in diverse parti di Firenze in San Piero Scheraggio e Oltrarno, le quali si trovarono allogate a pigione e stipate di scope; e appresi i detti fuochi, quando la gente fossono tratti al soccorso del fuoco, i detti fanti, onde dovea essere capo uno Giovanni del Sega da Carlone, oso fante e ardito, si doveano raunare in sul prato d'Ognesanti con più altri loro seguaci e Ghibellini, gridando: "Viva lo 'mperadore!", e imbarrare le vie, e fare tagliare la porta del Prato e quella de le Mulina; e da Pistoia per cenno di fuoco ordinato doveano venire la notte M cavalieri di quegli del Bavero con M fanti in groppa a guida del detto Ugolino e altri usciti di Firenze, ed entrare in sul Prato e correre e combattere la terra. E da Pisa dovea simigliante quella notte muovere il maliscalco del Bavero con molta gente e venire a Firenze. Ma, come piacque a Dio, il detto trattato si scoperse per certi compagni del detto Giovanni del Sega, e liberò Idio la città di Firenze di tanto pericolo, con tutto che per molti cittadini si fece quistione, se potesse essere venuto fornito il detto tradimento, non essendo nella città possenti uomini ch'avessono risposto al tradimento, che non si trovò di vero; e in Firenze avea gente a cavallo assai, e a piè innumerabile quantità a la difensione, e la città grande, e in molte parti ripari e fortezze da difendere. Ma s'avessono proceduto, non era sanza grande rischio e pericolo, essendo il romore di notte e improviso, onde i cittadini sarebbono stati isbigottiti e in sospetto l'uno dell'altro per tema di maggiore ordine di tradimento, sì che ci e il pro e il contro. Ma come si fosse, il detto Giovanni fue menato in su uno carro per tutta la città attanagliato, e levatogli le carni di dosso co le tanaglie calde in fuoco, e poi piantato; e tre altri ch'aveano cerco e sentito il trattato, e non revelato, furono impiccati in sul prato d'Ognesanti; e Ugolino di Tano e più suoi seguaci condannati come traditori. E quegli che scopersono il trattato ebbono MM fiorini d'oro dal Comune, e brivileggiati che potessono sempre portare ogni arme da offendere e da difendere per guardia di loro persone. Ma per molti cittadini e forestieri si disse che la detta cerca e trattato sì pur fece, ma parendo al consiglio del Bavero impossibile a poterlo fornire e recarlo a fine sanza loro gran pericolo, sì il lasciarono, e il detto Ugolino degli Ubaldini e' suoi consorti a più loro amici e parenti fiorentini se ne scusarono, che non v'avea colpa.



CXVI - Come l'antipapa fece suo cardinale messer Giovannino Visconti di Milano

Nel detto anno, a dì XXVIIII di gennaio, l'antipapa a richiesta del Bavero e di messere Azzo Visconti di Milano fece suo cardinale messer Giovannino di messer Maffeo Visconti, e mandollo in Lombardia per suo legato; e il detto Bavero confermò sì come imperadore la signoria di Milano a messer Azzo Visconti, promettendogli il detto messer Azzo in certe paghe CXXVm di fiorini d'oro per sodisfare i suoi cavalieri, i quali erano al Cerruglio; onde ordinò loro capitano messer Marco Visconti, e licenziollo si tornasse a Milano. Il quale messer Azzo se n'andò in Lombardia con uno barone del Bavero che si chiamava il Pulcaro, con certi de' cavalieri dal Cerruglio, e giunto in Milano il detto Pulcaro ebbe da messer Azzo XXVm di fiorini d'oro, e andossene con essi nella Magna sanza risponsione al detto Bavero o a' cavalieri dal Cerruglio. Per la qual cosa saputo in Lucca, il Bavero si tenne male contento e ingannato dal Pulcaro e da messer Azzo Visconti; e i cavalieri de la compagna dal Cerruglio ritennono messer Marco Visconti loro capitano per pegno e come loro pregione per gli loro gaggi promessi per messer Azzo. In questi inganni e dissimulazioni vivea in Lucca e in Pisa il detto antipapa e quegli che si chiamava imperadore. E in questi dì quegli della città di Volterra e di San Gimignano feciono una tacita triegua col Bavero e co' Pisani, acciò che non gli cavalcassono, onde i Fiorentini furono molto crucciosi, e mandarvi loro ambasciadori forte riprendendogli.



CXVII - Come il capitano del Patrimonio e gli Orbitani furono sconfitti in Viterbo credendo avere presa la terra

Nel detto anno, a dì II di febbraio, il capitano del Patrimonio, che v'era per lo papa, co la forza degli Orbitani, avendo certo trattato con certi cittadini di Viterbo di dare loro l'entrata della terra, sì entrarono in Viterbo per una porta con CCC cavalieri e VIIc pedoni, e corsono la terra infino a la piazza, e per mala capitaneria si cominciaro a spargere per la città rubando, credendo avere vinta la terra. Il signore di Viterbo con molti de' cittadini si cominciarono a difendere e abarrare le vie; e combattendo, vinsono coloro ch'erano rimasi in su la piazza, onde furono sconfitti e cacciati; e rimasonvi tra morti e presi più di C a cavallo e più di CC a piè. E in questi medesimi dì que' d'Orbivieto lasciarono la signoria di Chiusi a' signori di Montepulciano, però che di loro era il vescovo di Chiusi, e rimisono in Chiusi ogni parte e usciti.



CXVIII - Come i Romani per carestia tolsono la signoria di Roma al re Ruberto

In questi tempi, a dì IIII di febbraio, essendo in Roma sanatore per lo re Ruberto messer Guiglielmo d'Eboli suo barone con CCC cavalieri a la guardia de la terra, i Romani avendo grande carestia di vittuaglia per lo grande caro che generalmente era per tutta Italia, dogliendosi del re Ruberto che non gli forniva del Regno, a romore si levò il popolo, gridando: "Muoia il sanatore!"; e corsollo in Campidoglio assalendolo aspramente, il quale con tutta sua gente non poté resistere; si s'arendé e uscì de la signoria con grande danno e vergogna, e' Romani feciono loro sanatori messer Stefano de la Colonna e messer Poncello Orsini, i quali del loro grano e di quello degli altri possenti Romani feciono venire in piazza, e racquetarono il popolo.



CXIX - Come il detto anno, e più il seguente, fue grande caro di vittuaglia in Firenze e quasi in tutta Italia

Nel detto anno MCCCXXVIII si cominciò e fu infino nel CCCXXX grande caro di grano e di vittuaglia in Firenze, che di soldi XVII lo staio ch'era valuto di ricolta, il detto anno valse XXVIII, subitamente in pochi dì montò in XXX soldi; e poi entrando il seguente anno CCCXXVIIII, ogni dì venne montando sì, che per la Pasqua del Risoresso del XXVIIII valse soldi XLII, e innanzi che fosse il novello per lo contado in più parti valse fiorino uno d'oro lo staio, e nonn-avea pregio il grano, possendosene avere per danari la gente ricca che n'avea bisogno, onde fu grande stento e dolore a la povera gente. E non fu solamente in Firenze, ma per tutta Toscana e in gran parte d'Italia; e fu sì crudele la carestia che' Perugini, e' Sanesi, e' Lucchesi, e' Pistolesi, e più altre terre di Toscana per non potere sostentare cacciarono di loro terre tutti i poveri mendicanti. Il Comune di Firenze con savio consiglio e buona provedenza, riguardando a la piatà di Dio, ciò non sofferse, ma quasi gran parte de' poveri di Toscana mendicanti sostenne, e fornì di grossa quantità di moneta la canova; mandando per grano in Cicilia, faccendolo venire per mare a Talamone in Maremma, e poi condurlo in Firenze con grande rischio e ispendio; e così di Romagna e del contado d'Arezzo, e non guardando al grave costo, sempre ch'era la grave carestia, il tenne a mezzo fiorino d'oro lo staio in piazza, tuttora col quarto orzo mescolato. E con questo era sì grande rabbia del popolo in Orto San Michele, che convenia vi stesse a guardia degli uficiali le famiglie delle signorie armate col ceppo e mannaia per fare giustizia, e fecionsene intagliare membri. E perdévi il Comune di Firenze in quegli due anni più di LXm fiorini d'oro per sostentare il popolo; e tutto questo era niente; se non che infine si provide per gli uficiali del Comune di non vendere grano in piazza, ma di fare pane per lo Comune a tutti i forni, e poi ogni mattina si vendea in tre o quattro canove per sesto di peso d'once VI il pane mischiato per danari IIII l'uno. Questo argomento sostenne e contentò la furia del popolo e della povera gente, ch'almeno ciascuno potea avere pane per vivere, e tale avea danari VIII o XII per sua vita il dì, che non potea raunare i danari di comperare lo staio. E tutto ch'io scrittore non fossi degno di tanto uficio, per lo nostro Comune mi trovai uficiale con altri a questo amaro tempo, e co la grazia di Dio fummo de' trovatori di questo rimedio e argomento, onde s'apaciò il popolo, e fuggì la furia, e si contentò la povera gente sanza niuno scandalo o romore di popolo o di città. E con questo testimonio di verità che anche in niuna terra si fece per gli possenti e pietosi cittadini tante limosine a' poveri, quanto in quella disordinata carestia si fece per gli buoni Fiorentini; ond'io sanza fallo stimo e credo che per le dette limosine e provedenza fatta per lo povero popolo, Idio abbia guardata e guarderà la nostra città di grandi aversitadi. Avemo fatto sì lungo parlare sopra questa materia per dare esemplo a' nostri cittadini che verranno d'avere argomento e riparo, quando in così pericolosa carestia incorresse la nostra città, acciò che si salvi il popolo al piacere e reverenza di Dio, e la città non incorra in pericolo di furore o rubellazione. E nota che sempre che la pianeta di Saturno saràe ne la fine del segno del Cancro e infino al ventre del Leone, carestia fia in questo nostro paese d'Italia, e massimamente nella nostra città di Firenze, però che pare attribuita a parte di quello segno. Questo non diciamo sia però necessitade, che Idio può fare del caro vile e del vile caro secondo sua volontà, o per grazia de' meriti di sante persone o per pulizione de' peccati; ma naturalmente parlando, Saturno secondo il detto de' poeti e astrolagi è lo Dio de' lavoratori, ma più vero la sua infruenza porta molto a l'overaggio e semente de le terre; e quand'egli si truova ne le case e segni suoi aversi e contrarii, come il Cancro e più il Leone, adopera male le sue vertù ne la terra, però ch'egli è di naturale isterile, e il segno del Leone isterile; sì che dà caro e sterelità, e non ubertà e abbondanza. E questo per isperienza avemo veduto per gli tempi passati, e basti a chi s'intende di queste ragioni, che così fu in questi tempi, il qual è di XXX in XXX anni, e talora ne le sue quarte, secondo le congiunzioni di buone o ree pianete.



CXX - Come l'antipapa del Bavero fece in Pisa processi contra papa Giovanni e lo re Ruberto e Comune di Firenze

Nel detto anno MCCCXXVIII, a dì XVIIII di febbraio, l'antipapa del Bavero, il quale era nella città di Pisa, in pieno parlamento e sermone, ove fu il detto Bavero e tutta sua baronia e parte de la buona gente di Pisa, fece processo e diè sentenzia di scomunica contro a papa Giovanni, e contro al re Ruberto, e contro al Comune di Firenze e chi loro seguisse, opponendo contro a' detti falsi articoli. Avenne in ciò grande maraviglia, e visibile e aperta, che raunandosi il detto parlamento, subitamente venne da cielo la maggiore tempesta di gragnuola e d'acqua con terribile vento, che per poco mai venisse in Pisa; e perché agli più de' Pisani pareva mal fare andando al detto sermone, e per lo forte tempo pochi ve n'andavano, per la qual cosa il Bavero mandò il suo maliscalco a cavallo con gente d'arme e con fanti a piede per la città a costrignere che la buona gente andasse al detto parlamento e sermone, e con tutta la forza pochi ve n'andarono. E in quello cavalcare per la terra il detto maliscalco, essendo la detta fortuna e tempesta, prese freddo a la persona, onde per guerire la sera fece uno bagno, ove fece mettere acqua stillata, e in quello bagnandosi vi s'apprese fuoco, e subitamente il detto maliscalco nel detto bagno arse e morì sanza altro male di persone; la qual cosa fu tenuto gran miracolo di Dio e segno contrario al Bavero e a l'antipapa, che' loro indegni processi non piacessono a Dio. E poi a dì XXIII di febbraio il detto Bavero palesò a' Pisani di partirsi di Toscana, e per sue grandi bisogne gli convenia ire in Lombardia, onde i Pisani per la sua appressione furono molto allegri.



CXXI - Come la parte ghibellina de la Marca presono la città d'Iegi, e tagliarono il capo a Tano che n'era signore

Nel detto anno, a dì VIII di marzo, i Ghibellini de la Marca, ond'era loro capitano di guerra il conte di Chieramonte di Cicilia, con gente del Bavero subitamente entrarono ne' borghi della città d'Iegi col favore e trattato di quegli de la cittade, de la quale era capo e signore Tano da Iegi, uno grande capitano di parte guelfa e molto ridottato in tutta la Marca, il quale tirannescamente lungo tempo l'avea soggiogata, e molto temuto e disamato da' suoi cittadini, e presi i borghi e la terra, assediarono i palazzi e rocca ov'era il detto Tano e sua famiglia, e quella combatterono; e perché il detto Tano era non proveduto né fornito, non potendosi difendere s'arrendé, al quale il detto conte di Chieramonte infra il terzo dì gli fece tagliare la testa, sì come a nimico e ribello dello 'mperio. E così gli fece confessare, e dicesi che di sua libertà confessò, e si rendé colpevole non di quello peccato che gli parea avere fatto mercé in servigio di santa Chiesa essere rubello dello 'mperio, ma che in quello tempo, essendo eletto capitano di guerra de' Fiorentini, e s'apparecchiava di venire, era disposto a petizione di certi grandi e popolani di Firenze, per cagione di sette, di guastare il nostro tranquillo stato, e farvi nuova parte, e sì come tiranno cacciare gente de la nostra città di Firenze. Se questo s'avesse potuto fare o no, egli di vero il confessò a la morte, onde per la grazia di Dio la nostra città fu libera del male volere del tiranno per mano de' nostri nimici non provedutamente



CXXII - Come gli Aretini ebbono il Borgo a Sansipolcro per assedio

Nel detto anno avendo i signori da Pietramala d'Arezzo impetrato dal Bavero titolo de la signoria d'Arezzo e de la Città di Castello, le quali teneano, e de la terra del Borgo a Sansipolcro, la quale non era sotto loro soggezione, volendola signoreggiare quegli del borgo, si misono a la difensione i Guelfi e' Ghibellini per essere liberi; onde i detti Tarlati signori da Pietramala co la forza degli Aretini e con loro amistà misono assedio con oste a la terra del Borgo a Sansipolcro, la quale era molto forte e di mura e de' fossi, e intorno a quella stettono più d'otto mesi ad assedio con più battifolli non avendo contasto niuno. Ben mandarono que' del borgo loro ambasciadori a' Fiorentini per darsi loro liberamente, se gli liberassono dell'asedio e gli difendessono dagli Aretini. Per gli Fiorentini si diliberò di non fare quella impresa per l'essere del Bavero, ch'allora era in Pisa, e perché il borgo era di lungi e fuori di nostre marce e impossibile a fornirlo. A la fine i borghigiani veggendosi abandonati dagli amici guelfi di Toscana, e certi de' migliori de la terra presi dagli Aretini in loro cavalcate, s'arrenderono agli Aretini sotto certi patti a l'uscita del mese di marzo, rimanendo la dominazione de la terra a' detti signori da Pietramala d'Arezzo.



CXXIII - Come il Bavero andò a Lucca e fece correre la terra, e dispuose della signoria i figliuoli di Castruccio

Nel detto anno, a dì XVI di marzo, il Bavero si partì di Pisa e andonne a Lucca per certa disensione cominciata in Lucca tra quegli della casa de' Pogginghi con séguito di loro amici grandi e popolani e quegli degl'Interminelli e' figliuoli di Castruccio e' loro seguaci, i quali ciascuna parte avea abarrata la terra, e si combatteano per non avere signoria di tiranni cioè de' figliuoli di Castruccio e' loro seguaci, o d'altri degl'Interminelli. Ivi al terzo dì che 'l Bavero vi fu venuto, fece correre la terra al suo maliscalco con la sua cavalleria, ove fu grande punga e battaglia, e misesi fuoco, ond'arsono la maggior parte de le case de' Pogginghi, e intorno a Santo Michele, e in Filungo infino a cantone Bretto, nel migliore e più caro de la cittade con grandissimo danno de' casamenti e d'avere. A la fine de' Pogginghi e di loro seguaci molti furono cacciati fuori de la terra; e ciò fatto, il Bavero riformò la terra e prese mezzo, e fece suo vicaro in Lucca Francesco Castracane degl'Interminelli per XXIIm di fiorini d'oro ch'ebbe da·llui tra danari e promesse; e dispuose d'ogni signoria i figliuoli di Castruccio, i quali, tutto fossono congiunti del detto messer Francesco, s'astiavano e voleano male insieme, perché ciascuno volea essere signore. E riformata la terra, il Bavero si tornò in Pisa a dì III d'aprile MCCCXXVIIII.



CXXIV - Come i seguaci de' figliuoli di Castruccio con messere Filippo Tedici corsono la città di Pistoia, e come ne furo cacciati

In quegli giorni entrarono nella città di Pistoia i figliuoli di messer Filippo Tedici co la forza de' figliuoli di Castruccio loro cognati, e con Serzari Sagina, che si chiamava signore d'Altopascio, e loro seguaci e masnade di loro amici tedeschi a cavallo e a piè, e corsono la terra, gridando: "Vivano i duchini!", cioè i figliuoli di Castruccio, sanza contasto niuno; e credendosi avere vinta la terra, quegli della casa de' Panciatichi, e di Muli, e Gualfreducci, e Vergellesi, antichi Ghibellini e nimici de' Tedici, con loro amici e coll'apoggio del vicaro che v'era per lo Bavero, con armata mano e con séguito del popolo e di molti loro amici cittadini ricorsono la terra la loro volta gridando: "Viva lo 'mperadore!"; e ruppono e sconfissono e cacciarono de la terra i Tedici e 'l signore d'Altopascio e' loro seguaci, e assai ne furono morti e presi.



CXXV - Come la gente del legato vollono prendere Reggio, e come Forlì e Ravenna feciono le comandamenta del legato

Nel detto tempo e mese per certo trattato dove' essere data l'entrata de la città di Reggio al legato del papa ch'era in Bologna, onde vi cavalcò il suo maliscalco con più di VIIIc cavalieri e gente a piede assai, e furono infino ne' borghi de la terra; ma vennono sì tardi, che già era scoperto il tradimento; onde furono presi e guasti di coloro che·ll'aveano ordinato, e la gente della Chiesa vi ricevettono danno e vergogna, e tornarsi a Bologna. E nel detto mese, a dì XXVI di marzo, i Forlivesi e que' di Ravenna per certo ordine di pace vennono a' comandamenti del legato a Bologna.



CXXVI - Come la gente di messer Cane di Verona furono sconfitti nel castello di Salò in bresciana

Nel detto anno, faccendo messer Cane de la Scala grande guerra a' Bresciani, fece fare una grande armata di gazzarre e d'altro navilio, e con molta gente d'arme a dì XXIIII di marzo fece assalire il castello di Salò in bresciana, e per gente de la terra ch'erano al tradimento fu data loro l'entrata, e corsono e rubarono la terra. A la fine i Bresciani avisati di questa cavalcata giunsono a Salò, e combatterono co' nimici e sconfissorgli e cacciarono de la terra, e rimasonne più di Vc morti.



CXXVII - Come il Bavero si partì di Pisa e andonne in Lombardia, e fece oste sopra Milano

Nell'anno MCCCXXVIIII, a dì XI d'aprile, si partì di Pisa Lodovico di Baviera, il quale si facea chiamare imperadore, per andare in Lombardia, per cagione che' Visconti che teneano la signoria di Milano non gli rispondeano come volea, per la quistione già mossa contra a messer Marco, e perché 'l Bavero mostrava d'abattere lo stato de' figliuoli di Castruccio, i quali erano a setta co' detti Visconti. E partendosi il Bavero di Toscana, diede speranza a' suoi seguaci di Pisa e di Lucca e dell'altra Toscana di tosto ritornare, con tutto che a' Pisani paresse M anni la sua partita per le 'ncomportabili gravezze ricevute da·llui, e con poco suo onore o stato de' Pisani o de' Lucchesi; e lasciò in Pisa suo vicario messer Tarlatino d'Arezzo con VIc cavalieri tedeschi, e in Lucca Francesco Castracane Interminelli con IIIIc cavalieri. E giunto il detto Bavero in Lombardia, fece richiedere a parlamento a Marcheria tutti i tiranni e' grandi lombardi, i quali la maggiore parte vi furono, ciò fue messer Cane della Scala, e il signore di Mantova, e quello di Commo e di Chermona, salvo che non vi furono i Visconti di Milano. E tenuto parlamento infino a venerdì santo, a dì XXI d'aprile, si ordinò co' detti Lombardi di fare oste sopra Milano, per cagione che messer Azzo Visconti e' suoi nol voleano ubbidire né dare la signoria libera di Milano, e sentiva che teneano trattato d'accordo col papa e colla Chiesa. E ciò fatto, si tornò a Chermona per ordinare la detta oste, e poco appresso, del mese di maggio, co la lega di Lombardia il detto Bavero andò sopra Milano con MM cavalieri e puosesi a Moncia, e ivi e nel contado di Milano stette più tempo guastando il paese; ma non v'aquistò terra niuna del contado di Milano, salvo ch'a l'uscita del mese di giugno, per via di trattati, con certi patti il Bavero ebbe la città di Pavia, e poi con sua gente si tornò a Chermona per le novitadi già cominciate ne la città di Parma e di Reggio e di Modana contro al legato e la Chiesa, come innanzi faremo menzione.



CXXVIII - Come la compagna de' Tedeschi dal Cerruglio vennono a Lucca e furono signori de la terra

Nel detto anno, quattro dì apresso partito il Bavero di Pisa, ciò fu a dì XV d'aprile, i suoi ribelli tedeschi ch'erano in sul Cerruglio in Valdinievole, come adietro facemmo menzione, i quali erano intorno VIc uomini a cavallo, molto aspra e buona gente d'arme, con trattato di certi Fiorentini, ond'era caporale e menatore messer Pino de la Tosa e il vescovo di Firenze con certi altri cittadini segreti, infino che 'l Bavero era in Pisa, faccendo loro grandi promesse di danari per lo Comune di Firenze, e ancora con certo trattato con masnade vecchie de' Tedeschi stati al servigio di Castruccio, i quali erano a la guardia del castello de l'Agosta di Lucca, si feciono loro capitano messer Marco Visconti di Milano, stato per loro gaggi promessi loro pregione. E partirsi di notte tempore di Valdinievole e vennono a Lucca; e com'era ordinato, fu data loro l'entrata del castello de l'Agosta; e incontanente mandarono per Arrigo figliuolo di Castruccio e per gli suoi frategli, i quali erano per confini del Bavero al castello loro di Monteggioli; e loro giunti, e entrati nel castello di Lucca, vollono correre la terra. I Lucchesi per tema d'essere rubati e arsi con Francesco Interminelli insieme, ch'era signore di Lucca per lo Bavero, s'arenderono, e diedono la signoria dell'altra terra a messer Marco e a' suoi seguaci del Cerruglio la domenica apresso. E poi in questo stante corsono il paese d'intorno, e chi non facea le comandamenta sì rubavano e uccideano come gente salvaggia e bisognosa che viveano di ratto. E perché quegli de la terra di Camaiore si contesono, furono arsi e rubati, e arsa e guasta la terra, e morti più di IIIIc di loro terrazzani a dì VI di maggio: e poi corsono e guastarono intorno a Pescia. E in questa mutazione di Lucca il detto messer Marco e' suoi seguaci mandarono a Firenze loro ambasciadori frati agostini a richiedere i Fiorentini ch'atenessono loro i patti de la moneta promessa, offerendosi di dare la signoria di Lucca e 'l castello libero a' Fiorentini, pagando le masnade di loro gaggi sostenuti ch'era lo stimo e loro domanda intorno di LXXXm fiorini d'oro, e promettendo di perdonare e di lasciare i figliuoli di Castruccio in alcuno stato cittadinesco, e non signori. Di ciò si tennono molti e più consigli in Firenze; e come la 'nvidia che guasta ogni bene, overo ch'ancora non fosse tempo di nostro felice stato, overo che paresse loro ben fare, contastatori ebbe in Firenze assai. Principale fu messer Simone de la Tosa contrario per setta, e per lignaggio consorto di messer Pino, e più suoi seguaci grandi e popolani, mostrando con belle ragioni e colorate la confidanza di messer Marco e de' Tedeschi istati nostri contrarii e nimici, e come non era onore del Comune di Firenze a perdonare a' figliuoli di Castruccio di tante offese ricevute dal padre; e così il benificio trattato per lo Comune di Firenze d'avere la signoria di Lucca, per invidia cittadina rimase, e presesi il peggiore con grande interesso e dammaggio del nostro Comune, come innanzi per lo tempo faremo menzione.

 

 



CXXIX - Come fu fatta pace tra' Fiorentini e' Pistolesi

Per la detta mutazione di Lucca i Ghibellini caporali che teneano la città di Pistoia, ciò erano, come dicemmo adietro, Panciatichi, e Muli, e Gualfreducci, e Vergiolesi, i quali erano contradi e nimici di messer Filippo Tedici e de' suoi, e sospetti de' figliuoli di Castruccio e loro seguaci per lo parentado di messer Filippo, conoscendo che bene non poteano tenere la città di Pistoia sanza grande pericolo, se non si facessono amici de' Fiorentini, per la qual cosa feciono cercare trattato di pace col Comune di Firenze, del quale trattato fu menatore e fattore messer Francesco di messer Pazzino de' Pazzi, però ch'avea parentado co' Panciatichi del lato guelfo, onde degli altri Panciatichi si fidarono con gli altri loro seguaci ch'erano signori di Pistoia: lo quale trattato ebbe tosto buono compimento, però che facea così bene per gli Fiorentini come per gli Pistolesi, e dievisi fine a dì XXIIII di maggio MCCCXXVIIII, in questo modo: che' Pistolesi renderono a' Fiorentini Montemurlo, pagando XIIc di fiorini d'oro a le masnade che v'erano dentro, e quetarono in perpetuo a' Fiorentini Carmignano e Artimino e Vitolino e più altre terre del monte di sotto, le quali aveano prese e teneano i Fiorentini; e promisono di rimettere tutti i Guelfi in Pistoia infra certo tempo, salvo i Tedici, e raccomunare gli ufici co' Guelfi, e d'avere gli amici per amici e' nimici per nimici del Comune di Firenze. E per pegno diedono a' Fiorentini la guardia de la rocca di Tizzano, la quale rimessa de' Guelfi oservarono in prima che 'l termine ordinato; e vollono che' Fiorentini avessono la guardia della città di Pistoia, e vi tenessono uno capitano popolano di Firenze con gente d'arme; e così fu fatto. E' Fiorentini per più fermezza di pace feciono fare per sindaco di Comune, che fu messer Iacopo Strozzi, cavalieri due de' Panciatichi, e uno de' Muli, e uno de' Gualfreducci, e donarono loro MM fiorini d'oro, e feciono in Pistoia XXXVI cavallate al soldo de' Fiorentini. E' detti Ghibellini di Pistoia feciono ordine che s'abbattesse ogni insegna d'aguglia e di Bavero e di Castruccio e di parte ghibellina, e feciono per sopransegna a·lloro bandiere i nicchi dell'oro sa·Jacopo. Di questa pace si fece gran festa in Pistoia d'armeggiare e d'altri giuochi, e ancora in Firenze il dì dell'Ascensione apresso si feciono ne la piazza di Santa Croce ricche e belle giostre, tenendosi tavola ferma per III dì per VI cavalieri, dando giostra a ogni maniera di gente a cavallo, perdere e guadagnare, ov'ebbe di molto belli colpi e d'abattere di cavalieri, e al continuo v'era pieno di belle donne a' balconi, e di molto buona gente.



CXXX - Come il legato di Lombardia fece fare oste sopra Parma, Reggio e Modana, e come feciono le sue comandamenta

Nel detto anno, a l'uscita di maggio, il legato del papa di Lombardia, ch'era in Bologna, fece fare oste sopra la città di Parma e quella di Reggio di più di MM cavalieri e popolo assai, perché s'erano rubellati a la Chiesa e non voleano ubbidire il legato. Poi per certo trattato in corte col papa di dissimulata pace Parma e Reggio feciono le comandamenta a dì XXV di giugno, mettendovi il legato suoi rettori e uficiali con poca gente, sì che la signoria e forza de le dette terre si rimase pure a' signori di quelle. E ciò fatto, a dì V di luglio vegnente la detta oste de la Chiesa venne sopra la città di Modana, per la qual cosa, come avea fatto Parma e Reggio, e in quella forma, i Modanesi s'arrenderono al legato.



CXXXI - Come il legato di Toscana co' Romani fece oste sopra Viterbo

In quello medesimo tempo il legato di Toscana, il quale era a Roma, fece co' Romani e con altro suo podere oste sopra la città di Viterbo, perch'era ribella a' Romani e a la Chiesa, e signoreggiavasi per tiranno, e quella guastarono intorno, e presono più castella de le loro, ma la città non poterono avere.



CXXXII - Come i Pisani cacciarono di Pisa il vicaro del Bavero e le sue masnade

Nel detto anno, del mese di giugno, i Pisani sentendo che 'l Bavero era rimaso in Lombardia per non tornare al presente in Toscana, e dispiacendo loro la sua signoria, e ancora per le novità e mutazioni de la città di Lucca, sì ordinarono col conte Fazio il giovane di cacciare il vicario del Bavero, ch'era messer Tarlatino di quegli da Pietramala d'Arezzo, e tutti i suoi uficiali, e feciono venire in Pisa da la città di Lucca messer Marco Visconti con certe masnade de' cavalieri de la compagna del Cerruglio nimici del Bavero, e uno sabato sera feciono levare la terra a romore e armare il popolo e' cavalieri di messer Marco, e tutti trassono a casa il conte Fazio, e tagliarono il ponte a la Spina, e misono fuoco nel ponte nuovo, e armarono e barrarono il ponte vecchio ch'è sotto le case del conte, acciò che le masnade del Bavero le quali erano in Pisa a petizione del suo vicario non potessono passare né correre il quartiere di Quinzica dov'era il conte co la forza sua e del popolo. La domenica mattina vegnente, dì XVIII di giugno, cresciuta la forza del conte e del popolo, e volendo passare il ponte vecchio per assalire e combattere il vicario al palagio, egli veggendosi mal parato a tanta forza, si partì con sua famiglia di Pisa, e fu rubato il palagio di tutti suo' arnesi; e poi riposato il romore, riformarono la terra di loro podestà, e mandarne le masnade del Bavero gran parte.



CXXXIII - Come messer Marco Visconti venne in Firenze per certi trattati, e poi tornato in Milano fu morto da' fratelli e nipote

Rivolto lo stato di Pisa per lo modo scritto nel passato capitolo, i Pisani e 'l conte Fazio providono messer Marco Visconti riccamente del servigio ricevuto da·llui. Il detto messer Marco non volle tornare a Lucca, però ch'era in gaggio per lo Bavero a' cavalieri del Cerruglio per loro soldi, come adietro facemmo menzione; cercò, e mandò lettere al Comune di Firenze che volea venire e passare per Firenze per andarsene in Lombardia con intendimento di parlare a' priori e con coloro che reggeano la città cose utili per potere avere la città di Lucca. Fugli data licenzia del venire sicuramente; il quale venne in Firenze a dì XXX di giugno nel detto anno con XXX a cavallo di sua famiglia; da' Fiorentini fu veduto graziosamente e fattogli onore assai, ed egli da·ssé, mentre dimorò in Firenze, al continuo mettea tavola, convitando cavalieri e buona gente, e fece nel palagio de' priori l'obbedienza di santa Chiesa dinanzi a' priori e a l'altre signorie e del vescovo di Firenze e di quello di Fiesole e di quello di Spuleto, ch'era Fiorentino, e dinanzi a lo 'nquisitore e di certi legati che erano in Firenze per lo papa. E promise d'andare a la misericordia del legato di Lombardia e poi al papa, e d'essere sempre figliuolo e difenditore di santa Chiesa. In Firenze tenne trattato co' cavalieri dal Cerruglio che teneano il castello di Lucca di dare al Comune di Firenze il detto castello e tutta la città, dando loro LXXXm fiorini d'oro; e de' maggiori caporali e conastaboli vennono in Firenze per lo detto trattato, profferendo di dare per sicurtà molti di loro caporali per istadichi per oservare la promessa. In Firenze se ne tennono più consigli, e gli più s'accordarono al trattato, e spezialmente la comune gente e quegli de la setta di messer Pino de la Tosa, il quale, come dicemmo adietro, avea menato il trattato di fare torre Lucca a messer Marco e a' cavalieri dal Cerruglio. L'altra setta, ond'era caporale messer Simone de la Tosa suo consorto, per invidia, o forse perché per loro non era mosso il detto trattato e non aspettavano l'onore, o forse utole, s'oppuose contro, mostrando più dubitazioni e pericoli, come si poteano perdere i danari, e la gente si mettesse per gli Fiorentini a la guardia del castello dell'Agosta. E così per mala concordia de' nostri non diritti cittadini a la republica rimase il trattato, e messer Marco si partì di Firenze a dì XXVIIII di luglio, e furongli donati per lo Comune di Firenze M fiorini d'oro per aiuto a le sue spese. Il detto messer Marco se n'andò a Milano, e da' suoi cittadini fu ricevuto a grande onore, e avea da' Milanesi grande séguito, maggiore che neuno de' suoi fratelli, o che messer Azzo Visconti suo nipote, ch'era signore di Milano. Per la qual cosa montò la 'nvidia e la gelosia che messer Marco non togliesse la signoria a messer Azzo per gli trattati fatti in Firenze co' Guelfi, e forse messere Marco per tornare in grazie del papa ed esser signore di Milano, che 'l potea e n'avea per aventura la 'ntenzione guardando suo tempo.

Avenne che a dì IIII di settembre nel detto anno, fatto messer Azzo uno grande convito ove fu messer Marco e messer Luchino e messer Giovannino Visconti suoi zii, e altri de' Visconti e più buona gente di Milano, compiuto il mangiare, e partendosi messer Marco e l'altra buona gente, fu fatto chiamare per parte di messer Azzo che tornasse al palazzo, che volea egli e' frategli parlare co·llui al segreto. Il detto messer Marco non prendendosi guardia, e non avendo arme, andò a·lloro, e entrato co·lloro in una camera, come i traditori caini aveano ordinato, co·lloro masnadieri armati uscirono adosso a messer Marco, e sanza fedirlo il presono e strangolarlo, sì ch'afogò, e morto il gittarono da le finestre del palazzo in terra. Di questa disonesta morte di messer Marco i Milanesi per comune ne furono molto turbati, ma nullo n'osò parlare per paura. Questo messer Marco fu bello cavaliere e grande della persona, fiero e ardito, e prode in arme, e bene aventuroso in battaglia più che niuno Lombardo a' suoi dì; savio non fu troppo, ma se fosse vivuto, avrebbe fatto di grandi novitadi in Milano e in Lombardia.



CXXXIV - Come le castella di Valdinievole feciono pace e accordo co' Fiorentini

Nel detto anno la lega delle castella di Valdinievole, come sono Montecatini, Pescia, Buggiano, Uzzano, il Colle, il Cozzile, e Massa, e Montesommano, e Montevettolino, veggendo il male stato di Lucca, e come i Pistolesi s'erano pacificati co' Fiorentini, e seguivane loro utile e bene, e per consiglio di loro amici ghibellini di Pistoia, spezialmente de' cavalieri novelli fatti per lo Comune di Firenze, e per posarsi in pacefico stato de le loro lunghe guerre e pericoli passati, cercavano pace co' Fiorentini, e compiési a dì XXI di giugno del detto anno, perdonando e dimettendo il Comune di Firenze ogni offesa ricevuta da·lloro ne la guerra castruccina, e eglino promisono a' Fiorentini d'avere gli amici per amici e' nimici per nimici, e feciono lega co' Fiorentini, e vollono un capitano di Firenze.



CXXXV - Come i Pisani trattarono di comperare Lucca, e come la gente de' Fiorentini cavalcarono in su le porte di Pisa, e come si fece pace tra Fiorentini e' Pisani

Nel detto anno, a l'entrata del mese di luglio, i Pisani sentendo i trattati menati per messer Marco Visconti co' Fiorentini e' cavalieri tedeschi del Cerruglio che teneano Lucca, per tema ch'a' Fiorentini non crescesse la forza e 'l podere avendo Lucca, e tornarla a parte guelfa, e non fossono loro più presso vicini, si s'intraversarono, e cercarono co' detti Tedeschi il detto trattato d'avere Lucca per LXm fiorini d'oro. E fatto il patto, diedono caparra XIIIm fiorini d'oro, i quali si perderono per la fretta che ebbono: non ne presono stadichi né cautela; e ciò avenne per le varie novità e mutazioni ch'avennono poi in Lucca. Per la qual cosa sentendolo i Fiorentini, di ciò molto crucciati feciono cavalcare sopra i Pisani messer Beltramone del Balzo maliscalco de la gente del re Ruberto, ch'era in Sa·Miniato co le masnade de' soldati de' Fiorentini, in quantità di più di M a cavallo e gente a piede assai, e corsono infino al borgo di San Marco di Pisa, e infino a l'antiporto sanza contasto niuno, ardendo e guastando, menandone grande preda di pregioni, di bestie e d'arnesi. E poi si volsono per Valdera rubando e ardendo ciò che si trovarono innanzi; e ebbono per forza combattendo il castello di Pratiglione e quello di Camporena, che 'l tenevano i Pisani, e feciollo disfare. I Pisani veggendosi così apressati da' Fiorentini, e eransi rubellati dal Bavero, e essendo in assai male stato, cercarono pace co' Fiorentini. I Fiorentini l'asentirono per potere meglio fornire la guerra di Lucca, e compiési la detta pace a Montetopoli per gli nostri e loro sindachi e ambasciadori, a dì XII del mese d'agosto del detto anno, con patti e franchigie de la pace vecchia, e ch'eglino sarebbono nimici del Bavero e di chiunque fosse nimico de' Fiorentini. Il settembre seguente certi Ghibellini di Pisa, dispiacendo la pace fatta co' Fiorentini, cercarono con quegli di Lucca di tradire Pisa; ma fu scoperto il tradimento, e certi ne furono presi e guasti, e molti ne furono fatti rubelli e isbanditi.



CXXXVI - Come i Fiorentini ripresono il contado d'Ampinana, che 'l tenea il conte Ugo

Nel detto anno, a dì XV di luglio, i Fiorentini mandarono di loro masnade in Mugello e feciono riprendere i popoli e contado del castello che fue d'Ampinana, il quale s'avea ripreso il conte Ugo da Battifolle per lo modo detto adietro al tempo della sconfitta d'Altopascio.



CXXXVII - Come si rubellò il castello di Montecatini da la lega de' Fiorentini

Nel detto anno, a dì XVII di luglio, gli amici ghibellini de' figliuoli di Castruccio i quali erano in Montecatini, coll'aiuto delle masnade de' Lucchesi ch'erano in Altopascio, rubellarono la terra da l'accordo de la lega, e cacciarne fuori i Guelfi, e fornissi per gli Lucchesi. Per la qual cosa le masnade de' Fiorentini cavalcarono in Valdinievole, e presono e arsono il borgo di Montecatini, e rimasevi per capitano messer Alnerigo Donati per gli Fiorentini, con gente d'arme a cavallo e a piede assai a la guardia di Buggiano e dell'altre terre della lega di Valdinievole, e per fare guerra a Montecatini. E in questa stanza da XII caporali e grandi Ghibellini del castello di Montevettolino andarono segretamente in Montecatini per ordinare di rubellare Montevettolino. E ispiandolo messer Amerigo, a l'uscita che feciono del castello gli fece prendere, e per la loro presura ebbe il castello di Montevettolino in signoria per lo Comune di Firenze, che innanzi non vi lasciavano entrare dentro le loro masnade. E infino allora si cominciò l'assedio di Montecatini per gli Fiorentini, non perciò stretto, come seguirono poi, come innanzi si farà menzione; ma erano le loro guernigioni di gente a cavallo e a piede ne le castella d'intorno, e non vi potea entrare vittuaglia se non di furto, o con grossa scorta.



CXXXVIII - Come messer Cane della Scala ebbe la città di Trevigi, e incontanente di malatia vi morì

Nel detto anno, a dì IIII di luglio, messer Cane della Scala di Verona andò ad oste sopra la città di Trevigi con tutto suo podere, e furono più di MM cavalieri e popolo grandissimo, la quale città di Trevigi era in comunità, ma il maggiore n'era l'avogaro di Trevigi: al quale assedio stette XV dì, e poi l'ebbe liberamente a patti, salvi tutti avere e persone, ciascuno in suo grado. E a dì XVIII del detto mese v'entrò messer Cane colla sua gente con grande festa e trionfo, e fu adempiuta la profezia di maestro Michele Scotto, che disse che 'l Cane di Verona sarebbe signore di Padova e di tutta la Marca di Trivigi. Ma come piacque a Dio, e le più volte pare ch'avegna per lo piacere di Dio e per mostrare la sua potenzia, e perché niuno si fidi in niuna felicitade umana, che dopo la grande allegrezza di messer Cane, adempiuti gli suoi intendimenti, venne il grande dolore, che giunto lui in Trevigi, e mangiato in tanta festa, incontanente cadde malato, e il dì de la Maddalena, dì XXII di luglio, morì in Trevigi, e fune portato morto a soppellire a Verona, e di lui non rimase né figlio né figlia legittimo, altro che due bastardi, i quali poi da' loro zii frategli di messer Cane perché non regnassono furono scacciati, e alcuno di loro fatto morire. E nota che questi fu il maggiore tiranno e 'l più possente e ricco che fosse in Lombardia da Azzolino di Romano infino allora, e chi dice di più; e nella sua maggiore gloria venne meno de la vita e di sue rede, e rimasono signori appresso lui messer Alberto e messer Mastino suoi nipoti.



CXXXIX - Come il legato di Lombardia ebbe la città di Faenza a patti

Nel detto anno, a dì VI di luglio, il legato di Lombardia da Bologna mandò grande oste sopra la città di Faenza, la quale aveva rubellata e tenea Alberghettino di Francesco Manfredi, e stettevi all'assedio XXV dì. A la fine per consiglio del padre e di messer Ricciardo suo fratello, ch'erano di fuori col legato, s'arrendé a patti con grandi impromesse al detto Alberghettino l'ultimo dì di luglio, e Alberghettino ne venne a Bologna al legato, e fecelo di sua famiglia, e dandogli robe e gaggi con sua compagnia, mostrandogli grande amore. A dì XXV del detto mese di luglio essendo l'oste de la Chiesa sopra Mattelica ne la Marca, da' Ghibellini e ribelli de la Chiesa furono sconfitti.



CXL - Come la città di Parma, e di Modana, e di Reggio si rubellarono al legato

Nel detto anno, a dì XV d'agosto, avendo il legato di Lombardia fatti venire in Bologna i figliuoli di messer Ghiberto da Coreggio e Orlando de' Rossi sotto sua confidanza (il quale Orlando era stato signore di Parma), per tema non gli facesse rubellare la terra, sotto protesto ch'egli non volea far pace co' detti figliuoli di messer Ghiberto, il ritenne in Bologna, e fecelo mettere in pregione. Per la qual cosa i fratelli e' consorti del detto Orlando col popolo della città, che l'amava molto, rubellarono al legato e a la Chiesa la città di Parma, e presono tutti gli uficiali del legato e quanta di sua gente v'avea. E per simile modo si rubellò la città di Reggio e quella di Modana, temendo di loro, e ispiaccendo lo 'nganno e tradimento fatto al detto Orlando sotto la detta confidanza.



CXLI - Ancora come i Tedeschi ch'erano in Lucca vollono venderla per danari a' Fiorentini, e no·lla seppono prendere

Ne' detti tempi, essendo la città di Lucca in grande variazione e in male stato e sanza nullo ordine di signoria o reggimento, se non al corso de' conastaboli de' Tedeschi dal Cerruglio che se n'erano signori e guidavallasi come preda guadagnata, i quali Tedeschi tennono con più genti e Comuni e signori d'intorno trattati per avere danari e dare la signoria di Lucca, vedendo che per loro no·lla poteano bene tenere, e ancora ne richiesono da capo il Comune di Firenze, il quale, come detto è adietro nel capitolo del trattato che ne fece messer Marco Visconti di Milano, per le 'nvidie de' cittadini non s'ebbe ancora per gli rettori del Comune di Firenze di ciò concordia. Ma certi valenti e ricchi cittadini di Firenze la vollono comperare per lo Comune LXXXm fiorini d'oro per loro vantaggio, e credendone fare al Comune di Firenze grande onore e grande loro guadagno, e fornire le spese, rimanendo in loro mano le gabelle e l'entrate di Lucca con certo ordine e patti. E a·cciò teneano co·lloro i mercatanti usciti di Lucca, e metteanvi Xm fiorini d'oro, e voleano che 'l Comune di Firenze vi mettesse innanzi solamente XIIIIm fiorini d'oro, e prendesse la guardia del castello de l'Agosta con XX i maggiori e migliori conastaboli per istadichi per oservare i patti; e gli primi danari si ritraessono fossono quegli del Comune di Firenze, e tutti gli altri insino LVIm di fiorini d'oro metteano di loro volontà singulari cittadini di Firenze. E di ciò potemo rendere piena fede noi autore, però che fummo di quegli. Ma la guercia e disleale sempre invidia de' cittadini di Firenze, e massimamente di coloro ch'erano al governamento de la città, nol vollono aconsentire, dando scusa di falsa ipocresia, dicendo come oppuosono l'altra volta sotto colore d'onestà, che fama correa per l'universo mondo che i Fiorentini per covidigia di guadagno di moneta hanno comperata la città di Lucca. Ma al nostro parere, e di più savi che poi l'hanno disaminata quistionando, che compensando le sconfitte e' danni ricevuti e ispendii fatti per lo Comune di Firenze per cagione de' Lucchesi per la guerra castruccina, niuna più alta vendetta si potea fare per gli Fiorentini, né maggiore laude e gloriosa fama potea andare per lo mondo che potersi dire: i mercatanti e' singulari cittadini di Firenze colla loro pecunia hanno comperata Lucca, e gli suoi cittadini e contadini, stati loro nimici, come servi. Ma a cui Idio vuole male gli toglie il senno, e non gli lascia prendere i buoni partiti; o forse, o sanza forse, ancora non erano purgati i peccati, né domata la superbia né l'usure, e' maliabrati guadagni de' Fiorentini, per fare loro spendere e consumare in guerra seguendo la discordia co' Lucchesi, che per ogniuno danaio che Lucca si comperava, C o più, ma dire potremmo infiniti, spesi poi per gli Fiorentini ne la detta guerra, come innanzi leggendo faremo per gli tempi menzione; che si potea co la sopradetta prestanza di moneta, e non ispesa né perduta, fare così onorata e alta vendetta de' Lucchesi, avendogli comperati come servi, e sopra servi i loro beni, e alle loro spese, e sotto il nostro giogo rendere loro pace e perdonare, e fargli liberi e compagni, come per l'antico soleano essere co' Fiorentini.

 

 



CXLII - Come messer Gherardino Spinoli di Genova ebbe poi per danari la signoria della città di Lucca

Essendo rotto il detto trattato da' Tedeschi di Lucca a' Fiorentini, però che' rettori del Comune di Firenze non lasciarono ciò compiere, come nel passato capitolo è fatta menzione, ma minacciaro chiunque se ne travagliasse, e alcuno ch'avea menato il trattato fatto mettere in carcere; messer Gherardino degli Spinoli di Genova s'accordò co' detti Tedeschi, e dando loro XXXm fiorini d'oro, e ritenendone alquanti di loro, chi volle co·llui rimanere a' suoi gaggi; li diedono la città di Lucca e feciolne signore, il quale vigorosamente la prese: a dì II di settembre del detto anno venne in Lucca, e ebbe la signoria de la città libera e sanza nullo contasto; e poi ordinò le sue masnade, e richiese i Fiorentini di pace o di triegua, i quali nulla ne vollono intendere, anzi feciono rubellare il castello di Collodi presso di Lucca a l'entrante d'ottobre, il quale messer Gherardino co la cavalleria sua e popolo di Lucca vennono a l'assedio del detto Collodi, il quale, non soccorso a tempo da' Fiorentini, com'era promesso, s'arendero a messer Gherardino e al Comune di Lucca, a dì XX del detto mese d'ottobre, con poco onore de' Fiorentini. Onde in Firenze ebbe molti ripitii e biasimi dati a coloro che non aveano lasciato prendere l'accordo co' Tedeschi, né saputo fare la guerra e impresa cominciata; e 'l detto messer Gherardino, avuto il castello di Collodi, con ogni sollecitudine procacciò di raunare moneta, e d'avere gente d'arme per levare i Fiorentini dall'assedio, il quale già aveano cominciato e posto al castello di Montecatini in Valdinievole.



CXLIII - Come i Melanesi e' Pisani si riconciliarono col papa e co la Chiesa, e furono ricomunicati per l'offese fatte per lo Bavero e antipapa

Del mese di settembre del detto anno apo la città di Vignone, ov'era la corte di Roma, i Milanesi e messer Azzo Visconti che n'era signore furono riconciliati e ricomunicati da papa Giovanni, e con patti ordinati co·lloro ambasciadori si rimisono de l'offese fatte a la Chiesa nel detto papa; e messer Giovanni figliuolo che fu di messer Maffeo Visconti, il quale il Bavero avea fatto fare cardinale al suo antipapa, come adietro fu fatta menzione, sì rinunziò al detto cardinalato; e 'l papa il fece vescovo di Noara, e levò lo 'nterdetto di Milano e del contado. E per simile modo il detto papa riconciliò e assolvette i Pisani, però ch'eglino aveano tanto adoperato col conte Fazio da Doneratico loro grande cittadino, il quale avea in guardia, come gli avea lasciato segretamente il Bavero quando si partì di Pisa, il suo antipapa in uno suo castello in Maremma, il quale antipapa da' detti fu ingannato e tradito, e poi mandato preso a Vignone a papa Giovanni, come innanzi faremo menzione. E fatta per gli ambasciadori de' Pisani ch'erano a corte la detta convegna con grandi vantaggi del detto conte Fazio, che 'l papa gli donò il castello di Montemassi, ch'era dell'arcivescovado, e altri ricchi doni e benifici ecclesiastichi, e così ad altri grandi cittadini di Pisa che seguirono la 'mpresa, e fattine assai cavalieri papali con ricchi doni. E tornati i detti ambasciadori in Pisa, il gennaio appresso si publicò in Pisa il trattato e l'accordo, e in pieno parlamento, e in mano d'uno legato cherico oltramontano mandato per lo papa, tutti i Pisani giurarono nella chiesa maggiore d'essere sempre ubbidenti e fedeli di santa Chiesa e nimici del Bavero e d'ogn'altro signore che venisse in Italia sanza la volontà della Chiesa.



CXLIV - Come il legato di Toscana ebbe Viterbo, e mise in pace tutto il Patrimonio, e simile la Marca

Nel detto anno e mese di settembre Salvestro de' Gatti, il quale tenea per tirannia la signoria de la città di Viterbo, e contra la Chiesa, fu a tradimento morto in Viterbo da uno figliuolo del prefetto, e corse la terra e ridussela a l'obedienza della Chiesa. E poi a l'entrante di novembre vegnente messer Gianni Guatani degli Orsini cardinale e legato in Toscana venne a Viterbo, e fece riformare la città e tutte le terre del Patrimonio in pace e in buono stato sotto la signoria de la Chiesa. E in questo tempo medesimo tutte le terre de la Marca si pacificarono e tornaro a l'ubbidenza di santa Chiesa, rimanendo le parti de le terre ciascuna in suo stato.



CXLV - Come il Bavero raunò sua gente in Parma credendosi avere la città di Bologna, e poi come si partì d'Italia e andonne in Alamagna

Nel detto anno, a l'entrante del mese d'ottobre, il Bavero che si tenea imperadore, il quale era a la città di Pavia, venne a Chermona, e poi a dì XVII di novembre venne a Parma, e là si trovò con cavalieri che gli mandò il vicario suo da Lucca, con più di MM cavalieri oltramontani, con intendimento d'avere la città di Bologna, e di torla al legato del papa messer Beltrando dal Poggetto che v'era dentro per la Chiesa. E ciò si cercava per certo trattato fatto per certi Bolognesi e altri; il quale trattato fu scoperto, e fatta giustizia di certi traditori, come innanzi nel seguente capitolo si farà menzione. E vedendo il detto Bavero che 'l suo proponimento non gli era venuto fatto, a dì VIIII di dicembre seguente si partì di Parma con ambasciadori de' maggiori caporali di Parma e di Reggio e di Modana, e andonne a Trento per parlamentare con certi baroni de la Magna e co' tiranni e signori di Lombardia, per ordinare al primo tempo d'avere nuova gente e forte braccio per venire sopra la città di Bologna, e per torre il contado di Romagna a la Chiesa. E stando al detto parlamento, ebbe novelle de la Magna com'era morto il dogio d'Osterichi, eletto che fu a re de la Magna e istato suo aversario, incontanente lasciò tutto il suo esordio d'Italia e andonne in Alamagna, e poi non passò di qua da' monti.



CXLVI - Come la città di Bologna volle essere tradita e tolta al legato cardinale per lo Bavero

Nel detto anno, del mese d'ottobre, cospirazione fu fatta nella città di Bologna per torla e rubellarla al detto legato cardinale, che dentro v'era per la Chiesa; e a·cciò era capo Ettor de' conti da Panigo con ordine de' Rossi da Parma, perché 'l detto legato tenea in pregione Orlando Rosso per lo modo che dicemmo adietro. E a questo trattato teneano l'arciprete di Bologna de la casa de' Galluzzi, e messer Guido Sabatini, e più altri grandi e popolari di Bologna, dispiacendo loro la signoria del legato. E co·lloro tenea mano Alberghettino de' Manfredi, il qual'era per lo legato levato di sua signoria di Faenza, e tenealo in Bologna intorno di sé a' suoi gaggi. E era l'ordine che 'l Bavero detto imperadore, il quale era venuto da Pavia a Parma colle sue forze, come nel capitolo dinanzi dicemmo, dovea venire a Modana e fare cavalcare parte di sua gente in Romagna; per la qual cavalcata con ordine del detto Alberghettino doveano fare rubellare Faenza e mettervi la detta cavalleria; e come le masnade della Chiesa per la detta venuta del Bavero e cavalcata di sua gente fossono uscite di Bologna per andare a le frontiere, come per lo legato era ordinato, si dovea levare la città di Bologna a romore per quegli caporali che guidavano il trattato, e loro seguaci; e il detto Ettor da Panigo con Guidinello da Montecuccheri con grande quantità di fanti e masnadieri a piè doveano al giorno nomato venire dalle montagne in Bologna con quegli cittadini ch'aveano fatta la congiura, e con loro séguito, ch'erano molti, cacciarne i·legato e sua gente, e mettervi dentro il Bavero co le sue genti. La quale congiurazione fu scoperta segretamente al legato per alcuno seguace de' congiurati, credendosene valere di meglio; per la qual cosa il legato fece pigliare il detto Alberghettino, e l'arciprete de' Galluzzi, e 'l detto messer Guido, e Nanni de' Dotti cognato d'Ettor da Panago, e più altri grandi cittadini e popolani di Bologna. Ma il detto Ettor non poté avere, perché già era a la montagna a raunare suo isforzo. E disaminata la detta congiura, e confessata per gli detti traditori, il legato trovò che la congiura era sì grossa, e tanti e tali cittadini di Bologna vi teneano mano, ch'egli non s'ardia a farne fare giustizia, con tutta la forza delle sue masnade, dubitando forte che la città di Bologna non si levasse a furore contra lui; e bisognavagli bene, avendo così di presso il Bavero e le sue forze. Per la qual cosa il legato mandò per aiuto di gente al Comune di Firenze perché fossono a la sua guardia; i quali Fiorentini gli mandarono di presente CCC cavalieri de le migliori masnade ch'avessono, e IIIIc balestrieri tutti soprasegnati di soprasberghe, il campo bianco e 'l giglio vermiglio, molto bella e buona gente, de' quali avea la 'nsegna del Comune di Firenze messer Giovanni di messere Rosso de la Tosa. E come la detta gente fu venuta in Bologna, il legato fu rassicurato e forte, e al terzo dì fece al suo maliscalco, armata tutta sua gente e quella de' Fiorentini, in su la piazza di Bologna mozzare il capo a' sopradetti presi caporali de la congiura, salvo che l'arciprete, perch'era sacro, fece morire d'inopia inn-orribile carcere.

E di queste cose io posso rendere testimonio, ch'io era allora in Bologna per ambasciadore del nostro Comune al legato. E se non fosse il soccorso che 'l nostro Comune vi mandò così sùbito, la città di Bologna era perduta per la Chiesa, e prendea stato d'imperio e ghibellino; e il legato e sua gente in pericolo di morte, o d'esserne cacciati, sì era la terra in grande gelosia, e pregna di male talento contra il legato e sua gente: e per cagione di ciò ritenne il legato più mesi la detta gente de' Fiorentini al suo servigio e guardia a' gaggi de' Fiorentini; ma male fu gradito per lo legato sì fatto e tale servigio de' Fiorentini, come innanzi si potrà vedere, ove tratteremo de' suoi processi.



CXLVII - Come i Pistolesi diedono il loro castello di Serravalle in guardia al Comune di Firenze

Nel detto anno, a dì XI di novembre, il Comune di Pistoia diedono in guardia il loro caro e forte castello di Serravalle al Comune di Firenze per tre anni liberamente; e ciò fu procaccio de' Panciatichi, e de' Muli, e de' Gualfreducci, e Vergiolesi, con anche case ghibelline, i quali amavano pace co' Fiorentini e buono stato de la loro città, e furono quegli che prima ordinarono la pace co' Fiorentini, e diedono loro la terra di Pistoia a guardia, come adietro facemmo menzione. La quale dazione di Serravalle fu molto cara e gradita per gli Fiorentini, e d'allora innanzi parve loro stare sicuri de la città di Pistoia, però ch'era e è gran fortezza, e quasi la chiave e porta del nostro piano e di quello di Pistoia; e ancora si può dire la rocca di Pistoia è l'entrata in Valdinievole, e di quello potere difendere le nostre castella e frontiere, e guerreggiare il contado di Lucca. E poi più tempo appresso stette sotto la guardia e signoria de' Fiorentini con grande pace e buono stato de la città di Pistoia, e d'allora innanzi i Fiorentini cominciarono a strignere più l'assedio di Montecatini.



CXLVIII - Come i figliuoli di Castruccio vollono torre la città di Lucca a messer Gherardino Spinoli

Nel detto tempo per le feste di Natale, a dì XXVII di dicembre, i figliuoli di Castruccio co·lloro amici e colle masnade vecchie de' Tedeschi ch'erano stati al soldo e amici di Castruccio credettono torre la signoria di Lucca a messer Gherardino; e con armata mano, a cavallo e a piè corsono la città di Lucca gridando: "Vivano i duchini!", da la mattina infino all'ora di terza sanza contasto alcuno. Onde messer Gherardino temette forte, e se non fosse ch'egli era nel castello de l'Agosta, egli perdeva la terra; ma rasicurato per lo conforto de' buoni uomini di Lucca ch'amavano la sua signoria, s'afforzò e fece armare sua gente, e apresso mangiare uscì de l'Agosta, e corse la città di Lucca infino a sera gridando: "Muoiano i traditori e viva messer Gherardino!". Per la qual cosa i figliuoli di Castruccio e' caporali di loro seguaci uscirono di Lucca e andarsene a·lloro castella, e messer Gherardino rimase signore, e molti Lucchesi de la setta castruccina mandò a' confini, e cassò e cacciò via le masnade vecchie, e rinovossi di soldati tedeschi di Lombardia; e molti de' suoi amici e consorti e parenti fece venire da Saona in Lucca per sicurtà di lui. E per le dette novità di Lucca i Fiorentini crebbono gente all'assedio di Montecatini, e credettollo avere con poca fatica e per loro gagliardia, la qual cosa venne allora manco il loro aviso; che a dì XVII di febbraio alquanti dell'oste de' Fiorentini ch'erano allo assedio di Montecatini, di notte tempore con iscale e difici di legname assalirono il castello e scalarono le mura, e parte di loro entrarono dentro valentemente; ma quegli de la terra erano sì forti e sì avisati, e di guerresche masnade, che ruppono gli asalitori, e quanti dentro n'erano entrati rimasono presi e morti.



CXLIX - Come i Turchi e' Tartari sconfissono i Greci di Gostantinopoli

Negli anni di Cristo MCCCXXX, essendo la forza e oste dello 'mperadore di Gostantinopoli passato la bocca d'Avida in su la Turchia per guerreggiare i Turchi, i quali Turchi mandarono per aiuto a' Tartari de la Turchia; e venuti con grande esercito assalirono l'oste de' Cristiani e Greci, e misongli inn-isconfitta, e pochi ne scamparono che non fossono presi o morti; e perderono tutta la terra di là dal braccio San Giorgio, che poi non v'ebbono i Greci nullo podere o signoria. E eziandio i detti Turchi con loro legni armati corsono per mare, e presono e rubarono più isole d'Arcipelago; per la qual cosa molto abassò lo stato e podere dello 'mperadore di Gostantinopoli. E poi continuamente ogn'anno feciono loro armate, quando di Vc e VIIIc legni tra grossi e sottili, e correano tutte l'isole d'Arcipelago rubandole e consumandole, e menandone gli uomini e le femmine per ischiavi, e molti ancora ne feciono loro tributari.



CL - Come il re d'Inghilterra fece tagliare la testa al conte di Cantibiera suo zio e il Mortimiere

Nel detto anno MCCCXXX, del mese di marzo, il giovane Adoardo re d'Inghilterra fece prendere il conte di Cantibiera suo zio, fratello carnale del padre, e oppuosegli cagione ch'egli ordinava congiura contra lui per rubellargli l'isola d'Inghilterra e per torgli la signoria, per la qual cosa gli fece mozzare la testa; onde fu molto ripreso, e detto gli fece torto, e che non era colpevole. Ben si trovò che 'l detto conte per consiglio d'indovini entrò in fantasia, e feciollo intendente che Adoardo suo fratello, e ch'era stato re d'Inghilterra e fatto morire, come adietro de' fatti d'Inghilterra facemmo menzione, dovea essere vivo e sano; per la qual cosa il detto conte suo fratello facea cercare di ritrovarlo, e mettevasene inchesta, ond'avea molto sommosso il paese. E poi del mese d'ottobre vegnente fece cogliere cagione al Mortimiere, il quale era stato governatore del reame e della reina sua madre, quand'ebbe la guerra col marito e co' dispensieri, opponendogli tradigione, e fecelo impiccare; si disse sanza colpa. E tali sono i guidardoni a chi s'impaccia tra' signori, o·ssi rivolge negli innormi peccati; che si dicea che 'l detto Mortimiere si giacea co la reina madre del detto re; e d'allora innanzi il re abassò molto la signoria e lo stato de la reina sua madre.



CLI - Come i Fiorentini per loro ordini tolsono tutti gli ornamenti a le loro donne

Nel detto anno, per calen d'aprile, essendo le donne di Firenze molto trascorse in soperchi ornamenti di corone e ghirlande d'oro e d'argento, e di perle e pietre preziose, e reti e intrecciatoi di perle, e altri divisati ornamenti di testa di grande costo, e simile di vestiti intagliati di diversi panni e di drappi rilevati di seta di più maniere, con fregi e di perle e di bottoni d'argento dorato ispessi a quattro e sei fila accoppiati insieme, e fibbiagli di perle e di pietre preziose al petto con diversi segni e lettere; e per simile modo si facevano disordinati conviti per le nozze de le spose, ed altri con più soperchie e disordinate vivande; fu sopra·cciò proveduto, e fatti per certi uficiali certi ordini molto forti, che niuna donna non potesse portare nulla corona né ghirlanda né d'oro né d'ariento né di perle né di pietre né di vetro né di seta né di niuna similitudine di corona né di ghirlanda, eziandio di carta dipinta, né rete né trecciere di nulla spezie se non semplici, né nullo vestimento intagliato né dipinto con niuna figura, se non fosse tessuto, né nullo addogato né traverso, se non semplice partita di due colori; né nulla fregiatura né d'oro, né d'ariento, né di seta, né niuna pietra preziosa, né eziandio ismalto, né vetro; né potere portare più di due anella in dito, né nullo scaggiale né cintura di più di XII spranghe d'argento; e che d'allora innanzi nulla si potesse vestire di sciamito, e quelle che·ll'aveano il dovessono marcare, acciò ch'altra nol potesse fare; e tutti' vestiri di drappi di seta rilevati furono tolti e difesi; e che nulla donna potesse portare panni lunghi dietro più di due braccia, né iscollato di più di braccia uno e quarto il capezzale; e per simile modo furono difese le gonnelle e robe divisate a' fanciulli e fanciulle, e tutti' fregi, e eziandio ermellini, se non a' cavalieri e a loro donne; e agli uomini tolto ogni ornamento e cintura d'argento, e' giubbetti di zendado o di drappo o di ciambellotto. E fu fatto ordine che nullo convito si potesse fare di più di tre vivande, e a nozze avere più di XX taglieri, e la sposa menare VI donne seco e non più; e a·ccorredi di cavalieri novegli più di C taglieri di tre vivande; e che a corte de' cavalieri novelli non si potessono vestire per donare robe a' buffoni, che in prima assai se ne donavano. Sopra i detti capitoli feciono uficiale forestiere a cercare e donne e uomini e fanciulli de le dette cose divietate con grandi pene. Ancora feciono ordine sopra tutte l'arti in correggere loro ordini e monipoli e posture, e che ogni carne e pesce si vendesse a peso per certo pregio la libbra. Per gli quali ordini la città di Firenze amendò molto delle disordinate spese e ornamenti a grande profitto de' cittadini, ma a grande danno de' setaiuoli e orafi, che per loro profitto ogni dì trovavano ornamenti nuovi e diversi. I quali divieti fatti, furono molto commendati e lodati da tutti gl'Italiani; e se le donne usavano soperchi ornamenti, furono recare al convenevole; onde forte si dolfono, ma per li forti ordini tutte si rimasono degli oltraggi; ma per non potere avere panni intagliati, vollono panni divisati e istrangi, i più ch'elle poteano avere, mandandoli a fare infino in Fiandra e in Brabante, non guardando a costo; ma però molto fu grande vantaggio a tutti i cittadini in non fare le disordinate spese nelle loro donne e conviti e nozze, come prima faceano; e molto furono commendati i detti ordini, però che furono utoli e onesti; e quasi tutte le città di Toscana e molte altre d'Italia mandarono a Firenze per asempro de' detti ordini, e confermargli nelle loro città.

 

 



CLII - Come messer Gherardino Spinola signore di Lucca cavalcò con suo isforzo per fornire Montecatini, e nol poté fornire

Nel detto anno, a dì XXIII d'aprile, Ispinetta de' marchesi Malispina venne di Lombardia in Lucca con gente d'arme; per la qual cosa messer Gherardino Spinola signore di Lucca con sue masnade a cavallo e a piè e col detto Spinetta cavalcarono per fornire Montecatini, e presono la rocca uzzanese, e iv'entro due degli Obizzi usciti di Lucca e L fanti, che co·lloro erano per lo Comune di Firenze a la guardia di quella. Ma però non poterono fornire Montecatini né appressarsi ad esso, però che' Fiorentini aveano afforzato l'assedio e fatte per loro fosse e tagliate in verso la parte di Lucca, e volto in quelle il fiume de la Pescia e de la Borra; e tornarsi in Lucca con poco onore. E poi a dì II di maggio vegnente il detto messer Gherardino raunata più gente e avuto da' Pisani aiuto, come sono usati per adietro, con VIc cavalieri e IIIc balestrieri, fece ancora pugna di fornire Montecatini, e venne con sue genti infino a' palizzati e oste de' Fiorentini, e di ciò gli avenne come l'altra volta; e per simile modo, e per le dette fosse e tagliate, non vi poté apressare né quelle passare, perché nell'oste de' Fiorentini avea più di M cavalieri e popolo grandissimo. E nota lettore che da piè di Serravalle infino a Buggiano per gli Fiorentini era affossato e steccato e imbertescato spesso tutta la detta bastita, il campo e l'assedio de' Fiorentini con guardie per tutto, e i detti fossi pieni d'acqua e accozzati insieme, e messi in quegli il fiume della Nievola e quello della Borra; la quale bastita tenea più di sei miglia nel piano; e da la parte del monte tra le castelletta d'intorno e altri battifolli per gli poggi e tagliate fatte e barre di legname messi, dove stavano di dì e di notte guardie con grossa gente a piè, erano più di XII poste di battifolli, sì che di Montecatini non potea uscire né entrare gente né vittuaglia, se non quello che si prendeano in preda nelle pendici e circustanze del poggio. E girava la detta impresa e guardia de' Fiorentini da XIIII miglia; che fu tenuta grande cosa e ricca impresa a chi la vide, che fummo noi di quegli. Che certo la bastita e la cinta de' fossi e di steccati che si legge fece Giullo Cesare al castello d'Aliso in Borgogna, ch'ancora si vede il porpreso, non fu maggiore né così grande, come quello che' Fiorentini feciono intorno a Montecatini. Lasceremo alquanto de' fatti de' Fiorentini e dell'assedio di Montecatini per raccontare altre novità state in questi tempi inn-altri paesi, ritornando poi assai tosto a nostra materia, come i Fiorentini ebbono per fame il detto Montecatini.



CLIII - Come il maliscalco de la Chiesa e gente del re Ruberto furono sconfitti presso de la città di Modana da' Modanesi

Nel detto anno MCCCXXX, a dì XXIIII d'aprile, tornando da Reggio messer Beltramone e messer Ramondo del Balzo, e messer Galeasso fratello del re Ruberto bastardo, ch'erano in Lombardia per lo detto re al servigio de la Chiesa, e 'l maliscalco de la Chiesa e del legato con molta buona gente d'arme in quantità di VIc cavalieri, i quali erano al servigio del legato ch'era in Bologna, credendo avere la villa di Formigine presso a Modana a VI miglia, com'era loro promessa per tradimento, sentendo ciò il signore di Modana, la notte dinanzi cavalcò col popolo di Modana, e con CCC cavalieri a la detta terra di Formigine. E la mattina trovandosi ingannati la detta gente de la Chiesa, e sentendo la venuta di quegli di Modana, temettono che non fosse aguato di più grossa gente che non erano, e ridussonsi schierati in su uno prato assai presso de la terra; e non s'avidono che 'l detto prato era affossato e impadulato d'intorno. Quegli di Modana, conoscendo il luogo, uscirono fuori francamente, e presono l'entrata del detto prato, e rinchiusono i detti cavalieri, i quali non poteano combattere né si poteano partire per gli pantani e fossi d'intorno; e quale si mise per combattere rimase morto da' pedoni ch'erano in su le ripe de' fossi, che tutti i cavagli scontravano co le lance, e meglio e più potea uno pedone che uno cavaliere; e per questo modo la detta gente furono la maggiore parte presi e menati in Modana, che pochi ne scamparono. La quale fu tenuta una grande disaventura, e fu grande isbigottimento al legato cardinale ch'era in Bologna, e a tutta la parte de la Chiesa di Lombardia e di Toscana.



CLIV - Come papa Giovanni per paura non lasciò passare in Proenza il conte d'Analdo

Nel detto mese d'aprile, vegnendo il conte d'Analdo a la corte del papa a Vignone con sua gente intorno di VIIIc cavalieri per avere la benedizione del papa, e per andare sopra i Saracini di Granata per uno suo boto e pellegrinaggio, e essendo già in Ricordana, papa Giovanni prese di sua venuta il maggiore sospetto del mondo, perché 'l detto conte era suocero del Bavero detto imperadore suo nimico; e mandò per lo siniscalco di Proenza e per tutti i cavalieri e baroni del paese che fossono in Vignone con arme e cavagli, e tutte le sue famiglie e de' cardinali e prelati fece armare, e tutti i cortigiani per sua guardia; e trovarsi i Fiorentini da C in arme a cavagli coverti, molto bella gente, sanza i Fiorentini a piè, che furono più di CCC armati. E ciò fatto, il papa mandò comandando al conte d'Analdo che non dovesse venire in Proenza sotto pena di scomunicazione, assolvendolo del suo boto se tornasse adietro, il quale conte per non disubbidire il papa si tornò in Analdo.



CLV - Come il legato fece oste sopra Modana, e tornò con poco onore

A l'entrante del mese di giugno nel detto anno, i Parmigiani ribelli del legato e de la Chiesa ebbono il borgo a San Donnino, il quale tenea la gente del legato; per la qual cosa, e ancora per la sconfitta ricevuta la sua gente da' Modanesi, il detto legato fece fare sua oste e cavalcata sopra Modana di più di MD cavalieri, e andarono infino presso a la terra guastando; e poi tornando i Modanesi, coll'aiuto de' Parmigiani e Reggiani cavalcarono appresso l'oste de la Chiesa presso di Bologna a VI miglia infino in sul fosso de la Muccia con VIIIc cavalieri e IIIm pedoni, e affrontarsi, il detto fosso in mezzo; ma non s'ardì l'oste de la Chiesa combattere, che essendo tanta cavalleria più di loro nimici, fu tenuta grande viltade. Lasceremo delle 'mprese del legato di Lombardia, e torneremo a' fatti dell'oste de' Fiorentini, e com'ebbono il castello di Montecatini.



CLVI - Come i Fiorentini per lungo assedio ebbono il forte castello di Montecatini

Nel detto anno, a dì XI di giugno, venuto soccorso da' Lombardi a messer Gherardino Spinola signore di Lucca di CCCCL cavalieri tedeschi, onde si trovò colle sue masnade e' Pisani e altri amici con più di MCC cavalieri e popolo grandissimo, uscì fuori a oste per soccorrere Montecatini, il quale era molto a lo stremo di vittuaglia per l'assedio de' Fiorentini, e puosesi a campo nel luogo detto... E come furono acampati, scandalo nacque tra messer Gherardino e messer Francesco Castracani, e fu fedito messere Gherardino da uno degl'Interminelli, e fuggìsi quegli in Buggiano, onde fu preso messer Francesco e' suoi seguaci e alcuno conastabole e mandati a Lucca, e alcuno giustiziato. I Fiorentini rinforzata loro oste di quantità di MVc cavalieri, co·lloro amistà e popolo grandissimo, e' s'accamparono il grosso dell'oste in sul Brusceto, quasi a lo 'ncontro dell'oste de' Lucchesi, il fosso e steccato in mezzo, e nondimeno fornite di guardie il procinto e la pieve sotto Montecatini. E dell'oste de' Fiorentini era capitano messer Alamanno degli Obizzi uscito di Lucca, con certi cavalieri di Firenze grandi e popolani pur de' maggiori e più savi e sperti in guerra, i nomi de' quali sono questi: messer Biagio Tornaquinci, messer Giannozzo Cavalcanti, messer Francesco de' Pazzi, messer Gerozzo de' Bardi, messer Talento Bucelli, e altri donzelli grandi e popolani capitani de le masnade de' pedoni. Messer Gherardino e sua gente feciono più assalti al fosso de' Fiorentini e in più parti; ma poco poterono accedere, che in tutte parti furono riparati. E richiesono i Fiorentini di battaglia, ma gli Fiorentini per loro vantaggio non la vollono prendere. A la fine, a dì XXII di giugno anzi il giorno, armata l'oste de' Lucchesi e schierati, e mandati privatamente la notte dinanzi CCCL cavalieri e Vc pedoni de le migliori masnade ch'avessono, ond'era capitano il Gobbole tedesco molto maestro di guerra, con Burrazzo de' conti da Gangalandi, e altri usciti di Firenze, e con Luzzimborgo fratello di messer Gherardino, e cavalcarono infino presso a Serravalle e dirimpetto a·luogo detto la Magione, ove avea meno guardia, e passarono per forza il ponte a la Gora sopra la Nievole, e vennono a la Pieve, e a quella combatterono co la guernigione e guardie di quella, che v'avea da C cavalieri e popolo assai per gli Fiorentini; e sconfissongli, e presono e menarono in Montecatini messer Iacopo de' Medici e messer Tebaldo di Ciastiglio conastabole francesco, e più altri. E l'oste de' Lucchesi, veduto per gli loro preso il passo, si ritrassono verso quella parte schierati per rompere l'oste de' Fiorentini e fornire il castello. Ma ciò veggendo l'oste de' Fiorentini, vi mandarono soccorso di Vc cavalieri e pedoni assai, i quali vi furono vigorosamente e sì presti, che non lasciarono passare più de la gente de' Lucchesi; e quegli ch'erano passati non poterono ritornare adietro sanza pericolo di loro, onde si ricolsono al poggio di Montecatini, e là su istando, feciono molti assalti all'oste e alle bastite de' Fiorentini di dì e di notte; e dall'altra parte facea il simile messer Gherardino co lo rimanente dell'oste de' Lucchesi da la parte di fuori.

E ciò veggendo i Fiorentini e' capitani di Firenze, e considerando il grande porpreso che la loro oste aveano a guardare, sì rifornirono l'oste di molte genti a piè cittadini di volontà, e per l'ordine di tutte l'arti che vi mandarono, e la parte guelfa e altri possenti singulari, e il Comune masnade di forestieri a soldo; onde si radoppiò l'oste di gente a piè, e mandovisi la podestà e altri cittadini, perché 'l capitano dell'oste era malato. E stato messer Gherardino alla punga per fornire il castello, o per ricoverare quegli ch'erano di là passati, per ispazio d'otto giorni, e veggendo che la sua potenzia non potea resistere a quella de' Fiorentini, e la sua oste era diminuita per quegli ch'erano inchiusi in Montecatini, e col rimanente di sua oste stava a grande rischio, si partì del campo, e ritrassesi con sua oste parte a Pescia e parte a Vivinaia; e poi si tornò in Lucca con poco onore e con grande sospetto, abandonando al tutto Montecatini. I Fiorentini apresso strinsono l'assedio, ponendo uno battifolle a·luogo detto le Quarantole, sì presso al castello, che tolsono le fontane di fuori, per modo che que' d'entro non avendo più di che vivere di vittuaglia, e male acque per bere, patteggiarono di rendere il castello liberamente al Comune di Firenze, salve le loro persone, arme e cavagli. E ciò fu a dì XVIIII di luglio del detto anno; e così fu fatto, e uscitine le masnade a cavallo e a piè de' Lucchesi, i Fiorentini v'entrarono con grande allegrezza, che v'erano stati ad assedio per più di XI mesi, e non vi si trovò dentro vittuaglia per tre dì.



CLVII - Come in Firenze ebbe grande quistione di disfare Montecatini

Ne la detta punga e presa di Montecatini fu grande abbassamento de lo stato di messer Gherardino signore di Lucca e de' Lucchesi, e esaltazione e grandezza de' Fiorentini, sì come d'una grande vittoria. E preso Montecatini, in Firenze n'ebbe grande quistione, e più consigli se ne tennono di disfarlo al tutto o di lasciarlo in piede. A molti parea di disfarlo per iscemare spesa di guardia e di guerra al Comune, e perpetuo segno e memoria di vendetta per la sconfitta che' Fiorentini v'ebbono a piede per cagione di quello, l'anno MCCCXV, da Uguiccione da Faggiuola e Pisani e Lucchesi, come adietro facemmo menzione. Altri consigliarono che non si disfacesse, però che' Montecatinesi erano naturalmente Guelfi e amatori del Comune di Firenze, e per novello e per antico: ricordandosi che al tempo che gli usciti guelfi di Firenze furono cacciati di Lucca per la forza del re Manfredi e de' Ghibellini di Toscana, come in questa cronica al detto tempo si fece menzione, nulla terra di Toscana, città, o castello gli volle ritenere, altro che quegli di Montecatini, ch'al tutto a·lloro si profersono e si vollono dare, per la qual cosa mai non furono amici de' Lucchesi, ma gli perseguirono infino che gli ebbono messi per forza sotto loro soggezzione, che prima erano esenti, e comunità per loro. Per questa cagione, e ancora perché nonn-era finita la guerra da' Fiorentini a' Lucchesi, e Montecatini è una forte terra e grande frontiera, e quasi in corpo del contado di Lucca, per potere fare guerra a Lucca si diliberò di lasciarlo in piede, e rimisonvisi i Guelfi usciti, e giurarono la fedeltà perpetua del Comune di Firenze, e promisono le fazzioni reali e personali sì come propia terra del contado di Firenze, e sempre per la festa di santo Giovanni di giugno offerere in Firenze a la sua chiesa uno ricco cero co la figura del detto castello; e' Fiorentini gli presono a loro guardia e libertà e difensione, come a·lloro amati suditi. E nota che 'l detto nome di Montecatino si è Monte Catellino, però che Catellina uscito di Roma di prima il puose per sua fortezza, e là si ridusse quando uscì di Fiesole, innanzi che da' Romani fosse sconfitto nel piano di Picceno, detto oggi Peteccio, assai ivi di presso vicino. E questo troviamo per autentica cronica; ma per lo scorso e corrotto volgare è mutato il nome di Catellino in Catino; e nonn-è da maravigliare se quello sito hae avute molte mutazioni e battaglie, però che di certo è de le reliquie di Catellina.



CLVIII - Come in questi tempi scurò il sole e la luna

Nel detto anno, a dì XVI del mese di luglio, alquanto dopo l'ora di Vespro, iscurò il sole quasi la metade ne la fine del segno del Cancro, e l'opposizione andata dinanzi de la luna e del sole, scurò la luna nel Sagittario. E poi, a dì XXVI di dicembre vegnente, scurò tutta la luna nel segno del Cancro; per la qual cosa e per certi savi astrolagi si disse dinanzi, intra l'altre cose, significava che, con ciò sia cosa che 'l segno del Cancro sia attribuito per l'ascendente de la città di Lucca, ch'eglino doveano avere molte ditrazioni e abbassamento, come ebbono per lo 'nnanzi a·lloro avenne per l'assedio che' Fiorentini feciono a la città di Lucca, e altre mutazioni e aversità ch'ebbono poi, come apresso faremo menzione. Lasceremo alquanto de' fatti e guerra da' Fiorentini a' Lucchesi, e diremo d'altre novità istate ne' detti tempi per altri paesi.



CLIX - Come il re Filippo di Francia venne a Vignone al papa a parlamentare co·llui

Nel detto anno, a l'entrante del mese di luglio, il re Filippo di Francia venne in Proenza sotto titolo di pellegrinaggio a Santa Maria di Valverde e a Marsilia a vicitare il corpo di santo Lodovico vescovo che fu di Tolosa, e figliuolo che fu del re Carlo secondo, e venne con poca compagnia, se non con sua privata famiglia. E fornito il suo pellegrinaggio venne a Vignone, e con papa Giovanni stette più d'otto dì a segreto consiglio da·llui al papa sanza altra persona, ragionando di più cose e trattati, che non si poté sapere. Dissesi sopra il passaggio per lui ordinato oltremare e altre mene d'Italia, che poi per l'esecuzioni si scopersono, come innanzi faremo menzione. E ciò fatto, sanza soggiorno il re si tornò in Francia.



CLX - Di certe osti che furono in Lombardia

Nel detto anno e mese di luglio i signori de la Scala di Verona feciono oste sopra la città di Brescia, e tolsono loro più castella in bresciana; e il legato di Lombardia fece fare oste sopra la città di Modana infino a' borghi, e guastarla intorno intorno, e tornarsi a Bologna.



CLXI - Di certo tradimento ordinato in Pisa, e come i Pisani mandarono preso l'antipapa a papa Giovanni a Vignone

Nel detto anno e mese di luglio ne la città di Pisa era ordinata cospirazione, ond'era capo messer Gherardo del Pellaio de' Lanfranchi, per cagione che a·llui e alla sua setta parea che quegli che reggeano la terra fossono contra parte imperiale, e tenessono troppo colla Chiesa e co' Fiorentini, overo per invidia de la signoria. La quale congiura scoperta, il detto messer Gherardo e più suoi seguaci si partirono di Pisa, e furono condannati per rubelli, e IIII popolani che ne furono presi come traditori furono impiccati. E ciò fatto, a dì IIII d'agosto vegnente, il Comune di Pisa in accordo col conte Fazio mandarono l'antipapa preso a Vignone in su due galee provenzali armate, con certo ordine e patti trattati per loro ambasciadori col papa. Il quale antipapa giunse a Vignone a dì XXIIII d'agosto, e poi il dì seguente in piuvico concestoro dinanzi al papa e' cardinali e tutti i prelati di corte il detto antipapa col capestro in collo si gittò a' piè del papa cheggendo misericordia; e con bello sermone e autorità si confessò peccatore e eretico col Bavero insieme che fatto l'avea, mettendosi a la mercé del papa e de la Chiesa. Per la qual cosa il papa risposto al suo sermone saviamente, co·llagrime, più per soperchia allegrezza, si disse, che per altra pietade, il levò colle sue mani di terra e basciollo in bocca e perdonogli, e fecegli dare una camera sotto la sua tesoreria e libri da leggere e studiare; e vivea de la vivanda del papa, faccendolo tenere sotto cortese guardia, non lasciandogli parlare ad alcuna persona. E in questo modo vivette poi tre anni e uno mese; e lui morto, fu soppellito onorevolemente a la chiesa de' frati minori in Vignone in abito di frate. Di questo inganno e tradimento fatto per gli Pisani dell'antipapa il Comune di Pisa e il conte Fazio ne furono in grande grazia di papa Giovanni, e ciò che voleano aveano in sua corte, e mandava in Pisa da XX robe da cavalieri; onde i Fiorentini e gli altri Comuni di Toscana istati sempre fedeli e amatori di santa Chiesa molto ne sdegnarono.



CLXII - Come il re di Spagna sconfisse i Saracini di Granata

Nel detto anno, del mese d'agosto, il re di Castello e di Spagna essendo ad assedio d'uno castello del re di Granata, l'oste de' Saracini di Granata vegnendolo per soccorrere furono sconfitti e morti, e presi più di XVm Saracini, e lo re di Spagna ebbe la terra.



CLXIII - D'una nuova e bella limosina che uno nostro cittadino lasciò a' poveri di Cristo

Del mese di settembre del detto anno morì in Firenze uno nostro cittadino di piccolo affare, che non avea figliuolo né figliuola, e ciò ch'avea lasciò per Dio per ordinato testamento; e intra gli altri legati che fece lasciò che a tutti i poveri di Firenze, i quali andassono per limosine, fossono dati danari VI per uno. E per gli suoi esecutori fu ordinato per bando che in ciascuno sesto, ne le maggiori chiese di quegli sesti, in una mattina si raunassono tutti i poveri, e in quelle rinchiusi, perché non andassono dall'una chiesa a l'altra; e dando a ciascuno povero, come n'usciva, danari VI, si trovò che montò libbre CCCCXXX di piccioli, che furono per numero più di XVIIm di persone tra maschi e femmine piccioli e grandi, sanza i poveri vergognosi e quegli degli spedali e pregioni e religiosi mendicanti, che disparte ebbono la loro limosina a danari XII l'uno, che furono più di IIIIm. La qual cosa fu tenuto gran fatto, e grandissimo numero di poveri; ma di ciò nonn-è da maravigliare, però che non solamente furono di Firenze, ma per le limosine che vi si fanno traggono di tutta Toscana e più di lungi a Firenze. Per lo gran fatto che allora fu tenuto n'avemo fatta memoria, e per dare buono esemplo a chi per l'anima sua vorrà fare limosina a' poveri di Cristo.



CLXIV - Di certe novitadi ch'ebbe in Lucca, e come per tradimento riebbono il castello di Buggiano

Nel detto anno, a dì X di settembre, avendo messer Gherardino Spinoli signore di Lucca rimessi in Lucca per accordo quegli de la casa de' Quartigiani, e' Pogginghi, e gli Avogadi, e altri quando prese la signoria, che per Castruccio e gli suoi n'erano stati cacciati, come adietro facemo menzione, il detto messer Gherardino per gelosia corse la terra con sua cavalleria, e fece prendere messer Pagano Quartigiani e uno suo nipote e altri, opponendo loro che trattavano col signore d'Altopascio e co' Fiorentini di dare loro la terra. E di vero vi si mandaro bandiere a' detti per gli Fiorentini, e certo trattato era; per la qual cosa fece loro tagliare le teste. E poi, a dì XVIIII di settembre, per trattato e tradimento quegli del castello di sopra di Buggiano si rubellarono a' Fiorentini, e presono la loro podestà ch'era Tegghia di messer Bindo Bondelmonti, e renderlo a' Lucchesi; e venutavi la cavalleria di Lucca a due dì apresso, combatterono i borghi di Buggiano, ne' quali erano le guernigioni de le masnade de' Fiorentini; i quali Lucchesi vi ricevettono grande danno, che le dette masnade uscirono fuori e combatterongli e ruppono e ripinsongli nel castello. Per la quale rubellazione i Fiorentini molto turbati ordinarono di fare oste a Lucca per lo modo che seguirà apresso, onde assai ne cresce materia.



CLXV - Come i Fiorentini puosono oste e assedio a la città di Lucca

Come i Fiorentini ebbono perduto il castello di Buggiano, sì ordinarono d'andare a oste sopra la città di Lucca, sentendola molto affiebolita; e partite le masnade di Pistoia e di Valdinievole, salirono in sul poggio del Cerruglio di notte, e quello, datovi assalto di battaglia, ebbono a patti a dì V d'ottobre del detto anno. E per simile modo ebbono il castello di Vivinaia, e Montechiaro, e San Martino in Colle, e Porcari. E poi a dì VIII d'ottobre scesono al piano e acamparsi a Lunata; e a dì X d'ottobre si strinsono all'assedio della città a mezzo miglio, prendendo il campo da la strada che vae a Pistoia a quella che va ad Altopascio; e quello campo affossaro e steccaro con bertesche e porte, e faccendovi molte case d'assi e coperte di lastre e tegoli per potervi vernare. E de la detta oste, al cominciamento, fu capitano messer Alamanno degli Obizzi uscito di Lucca con consiglio di VI cavalieri di Firenze; e avevavi al soldo de' Fiorentini XIc di soldati a cavallo al cominciamento de l'oste, e in Lucca non avea che Vc cavalieri, e poi vennono nell'oste de' Fiorentini de la gente del re Ruberto e di Siena e di Perugia da IIIIc cavalieri e popolo grandissimo. E a dì XII d'ottobre i Fiorentini vi feciono correre tre palii per vendetta di quegli che fece correre Castruccio a Firenze; il primo di quegli da cavallo fu una melagranata fitta in una lancia, e iv'entro fitti XXV fiorini d'oro nuovi; e l'altro fu di panno sanguigno, che 'l corsono i fanti a piè; e l'altro di baraccame bambagino, che 'l corsono le meretrici dell'oste. E gli detti palii si feciono tenere presso a la porta di Lucca quanto potea trarre uno balestro, armata tutta l'oste; e mandarono bando che chi di Lucca volesse uscire a correre, o vedere correre i detti palii, potesse venire e tornare salvamente; onde molti n'uscirono a vedere la festa. Intra gli altri n'uscirono CC cavalieri tedeschi armati, i quali erano usciti di Montecatini quando fu assediato, che per trattato fatto per gli Fiorentini si rimasono nel campo al soldo de' Fiorentini, ond'era capo il Gobbole tedesco, il quale poi fece molta guerra a' Lucchesi. De la quale uscita de' detti CC cavalieri grande isbigottimento ne presono i Lucchesi, e grande favore l'oste de' Fiorentini. Ma la peggiore capitaneria che nella detta oste fosse adoperata di guerra per gli Fiorentini sì fu che 'l capitano col suo consiglio non lasciarono fare guasto nullo, ma lasciarono seminare il piano delle VI migliaia d'intorno a Lucca, sotto cagione di dare esemplo a' Lucchesi di bene trattargli, acciò che si rendessono a' Fiorentini. Ma il capitano e gli altri usciti di Lucca n'aricchirono per le dette difensioni, faccendo ricomperare i contadini di Lucca, e per lo detto modo corruppono e guastarono la detta oste. E per questa cagione i Fiorentini elessono per loro capitano Cantuccio di messer Bino de' Gabbriegli d'Agobbio, la quale lezione fu fatta più per ispezialtà di setta, che ragionevole, a fare capitano uno scudiere non uso di guerra a guidare tanti gentili uomini e cavalieri e baroni, onde male n'avenne, che se difetto fu nella detta oste ne la capitaneria di messer Alamanno Obizzi, maggiore avenne per quella del detto Cantuccio; ma fu per altra forma e caso più pericoloso, come innanzi faremo menzione.

Lasceremo alquanto del detto assedio di Lucca, che vi dimorò più mesi, per raccontare d'altre cose che furono ne' detti tempi; e poi ritorneremo a nostra materia a raccontare del fine de la detta oste.



CLXVI - Come le castella di Fucecchio e di Santa Croce e Castello Franco di Valdarno si diedono liberi al Comune di Firenze

Nel detto anno e mese d'ottobre, osteggiando i Fiorentini la città di Lucca, il castello di Fucecchio, e di Castello Franco, e di Santa Croce, i quali erano a la guardia del Comune di Firenze istati, dapoi si rivolse lo stato di parte guelfa in Lucca, di loro libera volontà e a·lloro stanza e mossa, si diedono e sottomisono al Comune di Firenze, sì come loro distrittuali e contadini con mero e misto imperio, essendo eglino trattati in Firenze come contadini e popolani, e faccendo ogni fazione di Comune, reale e personale, con giusto estimo ordinato di libbra, e dando ciascuna de le dette terre uno cero grande co la figura di quello castello a la festa del beato santo Giovanni Batista di giugno; e gli detti patti si compierono e fermarono e accettarono in Firenze a dì IIII di dicembre MCCCXXX.



CLXVII - Come di prima il re Giovanni di Buem passò in Italia e ebbe la città di Brescia e quella di Bergamo

Nel detto anno, essendo il re Giovanni di Buem, figliuolo che fu dello 'mperadore Arrigo di Luzzimborgo, venuto in Chiarentana per certe bisogne ch'avea a·ffare col duca di Chiarentana suo cognato, e quegli della città di Brescia in Lombardia essendo in male stato, e molto oppremuti da' loro usciti e dal signore di Milano e da quegli di Verona, e dal re Ruberto, a cui i Bresciani s'erano dati, non erano soccorsi né atati (e male il potea fare per la forza de' Ghibellini di Lombardia), sì mandarono loro segreti ambasciadori con pieno sindacato al detto re Giovanni, e diedonglisi liberamente. Il Boemino, povero di moneta e cupido di signoria, accettò e prese la detta signoria, e sanza altro consiglio; e co' detti ambasciadori vi mandò CCC cavalieri, e poi incontanente apresso si mise al cammino, e giunse in Brescia con IIIIc cavalieri a dì XXXI d'ottobre MCCCXXX, e da' Bresciani fu ricevuto a grande onore come loro signore. E poco stante lui in Brescia, la città di Bergamo era in grande divisione, e combattiensi insieme i cittadini; una de le parti, che si chiamavano i Collioni, mandò al detto re Giovanni ch'egli mandasse per la terra, il quale vi mandò il suo maliscalco con CCC cavalieri, e fugli data l'entrata della terra, e caccionne la parte di..., e rimase al re Giovanni la signoria. La quale venuta in Italia del detto re Giovanni fece grande mutazione e rivoluzione, come per innanzi leggendo di suoi processi faremo menzione.



CLXVIII - D'uno grande diluvio d'acqua che fu in Cipri e in Ispagna

Nel detto anno MCCCXXX, del mese di novembre, nell'isola di Cipri piovve quasi al continuo XXVIII dì e le notti; la qual cosa stata disusata e isformata, né mai ricordata in quello paese, per l'abondanza di quella piova crebbono sì le riviere scendendo da le montagne, che giunte a la città di Niccosia e a quella di Limisa, tutto che di loro natura siano di poca acqua, crebbono tanto che quelle città tutte allagarono diversamente, e molte case di quelle rovinaro, e tra in quelle due città e castella e maserie dell'isola vi morirono per la somersione del diluvio più di VIIIm persone. Nel detto anno per simile modo fu disordinato diluvio ne le parti di Spagna, e crebbe sì diversamente il fiume della grande città di Sibilia, che quasi pareggiò d'altezza le mura de la detta città, e se il riparo de le dette mura non fosse stato, la città profondava tutta; e di fuori de la terra fece innumerabile danno di casali profondare, e di gente anegare in grande quantità. Nel detto anno, a dì XVI di gennaio, fu morto Matteo de'... tiranno e signore di Corneto con più suoi seguaci ghibellini da' Guelfi di quella terra a romore di popolo, e' Guelfi ne rimasono signori.



CLXIX - Come si ritrovò il corpo di santo Zenobio

A mezzo il detto mese di gennaio l'arcivescovo di Pisa fiorentino, il vescovo di Firenze, e quello di Fiesole, e quello di Spuleto fiorentino, con calonaci di Firenze e molti cherici e prelati, feciono scoprire l'altare di santo Zenobi di sotto a le volte di Santa Reparata per trovare il corpo del beato Zenobio, e convenne fare cavare sotterra per X braccia anzi che si trovasse; e trovatolo in una cassa commessa in una arca di marmo, di quello levato alquanto del suo teschio del capo, e nobilemente il feciono legare in una testa d'argento a similitudine del viso e testa del detto santo per poterlo annualmente per la sua festa con grande solennità mostrare al popolo; e l'altro corpo rimisono in suo luogo con grande devozione d'orazioni e canti, e sonando le campane del Duomo di dì e di notte per X dì quasi al continuo, dando per gli vescovi perdono al popolo che 'l vicitasse. Per la quale traslazione e indulgenzia quasi tutto il popolo e persone di Firenze devote, uomini e donne, piccoli e grandi, v'andarono a vicitarlo con grande devozione e oferta.



CLXX - Come si levò l'oste de' Fiorentini da Lucca, e come i Lucchesi si diedono al re Giovanni di Buem

Tornando a nostra materia dell'assedio de la città di Lucca per gli Fiorentini, come lasciammo nel quinto capitolo scritto adietro, per la partita de' cavalieri tedeschi che n'uscirono, e de la venuta de la gente del re Ruberto e de' Sanesi e Perugini e altre amistà che mandarono aiuto a' Fiorentini, la detta oste crebbe assai di gente d'arme a piè e a cavallo, e quegli di Lucca scemando isbigottirono molto. Per la qual cosa i Fiorentini ordinarono ch'al tutto l'oste acircondasse la terra intorno intorno, acciò che vittuaglia né altro aiuto vi potesse entrare; ch'al continuo per gli Pisani nascosamente era fornita di gente d'arme per la guardia de la terra e di vittuaglia contra' patti de la pace. E ciò fu fatto a dì XVIIII del mese di dicembre, che una parte dell'oste valicarono gli Oseri che vanno da Pontetetto, e fecionvi su più ponti e valichi, e puosonsi a la villa di Cattaiuola alquanto di là dal detto Pontetetto, verso la parte di Pisa, ove avea ricchi e begli casamenti e giardini fatti per Castruccio; e 'l sopradetto Gobbole tedesco con sue masnade e con molti briganti a piè e fanti di volontà si puosono nel borgo del Ponte a San Piero, e in capo del prato in su la strada che vae a Ripafratta feciono una bastita, overo battifolle, guernito di gente d'arme, per lo quale circuito d'assedio i Lucchesi d'entro furono molto ristretti e afflitti, e cominciò loro a mancare la vittuaglia e vino e molte altre cose necessarie; e convenne loro ogni vittuaglia e vino raccomunare, e fare taverne di vino inacquato per lo Comune, e carne poveramente; e simile canova di pane, dandolo per peso alle masnade e alle famiglie. Per la quale stremità quegli che reggeano Lucca, per loro feciono cercare accordo co' Fiorentini, mandando uno di loro maggiori più sagreto in Firenze sotto salvocondotto e sagretamente con certi patti d'arendere la terra (e fu l'opera assai di presso all'accordo per diversi patti e modi, partendosi messer Gherardino della signoria), e dargli danari, e disfaccendosi il castello de l'Agosta, rimanendo i Ghibellini in Lucca co' Guelfi insieme, e raccomunando gli ufici a la guardia e signoria de' Fiorentini, e faccendo certi gentili uomini ghibellini in numero di XXIIII de' più caporali cavalieri per lo Comune e popolo di Firenze per loro sicurtà, al modo di que' di Pistoia, donando a ciascuno Vc fiorini d'oro de' danari del Comune di Firenze, rimanendo le gabelle e l'entrate del Comune di Lucca al Comune di Firenze per fornire la spesa della guardia di Lucca, e i·rimanente scontare del dono si facesse a' detti cavalieri; e oltre a·cciò in termine di V anni sodisfare tutti i cittadini di Firenze che furono presi da Castruccio di ciò che si ricomperarono da·llui, che montavano fiorini Cm d'oro e più. E di certo sarebbe venuto fatto; ma la 'nvidia e avarizia, le quali guastano ogni bene, parte di quegli Fiorentini che sentivano e guidavano il detto trattato co' caporali cittadini di Lucca, per volerne l'onore e il profitto tutto a·lloro propietà, lo scopersono a messer Gherardino, e co·llui tennono nuovo trattato, e andaronne chiusamente in Lucca a parlargli certi di loro; per la quale cagione si guastò l'uno trattato per l'altro, rimanendo in grande sospetto i cittadini di Lucca con messer Gherardino. E io autore, con tutto non fossi degno di sì grandi cose menare, posso essere vero testimonio, però che fui di quello numero con pochi diputato per lo nostro Comune a menare il primo trattato, il quale fu guasto per lo modo detto. Ma la giustizia divina, la quale non perdona alla pulizione degl'innormi peccati, come a Dio piacque, tosto vi mise penitenza con vergogna del nostro Comune per gli modi dupplicati e improvisi e non pensati che diremo qui apresso; in prima, che mutando i Fiorentini il capitano dell'oste Cantuccio de' Gabbriegli d'Agobbio, di cui dinanzi facemmo menzione, giunse nell'oste con sua compagna di L cavalieri e C sergenti a piè a dì XV di gennaio; e come uomo poco iscorto e uso a guidare sì fatta oste, che v'avea CCC gentili uomini più grandi e più maestri e degni di lui, avenne ch'alcuno Borgognone di piccolo affare fece alcuna follia; e la famiglia di Cantuccio prendendolo, e a la guisa come fosse podestà in Firenze il volesse giustiziare, i Borgognoni per isdegno, che n'avea nell'oste più di VIc a cavallo al soldo de' Fiorentini, fiera gente e aspra, s'armarono, e tolsono il malfattore a la famiglia del capitano, e fedirgli e uccisonne; e a furore corsono a la casa e loggia del capitano, e rubarono tutto, e uccisono cui poterono di sua famiglia, e misono fuoco nell'albergo, e però arse il quarto del campo con grande danno e pericolo; onde il campo e oste de' Fiorentini fu a grande rischio, se non fosse per gli savi capitani consiglieri che v'erano di Firenze, ch'atutarono il furore coll'aiuto de' cavalieri tedeschi, che gli ubbidirono e seguirono, e nascosono il capitano e cui poterono di sua famiglia, e rimase a·lloro al tutto la guardia dell'oste; e se non fosse la fiebolezza di que' di Lucca, l'oste de' Fiorentini stava in grande pericolo per la detta novità e discordia. In questo stante messer Gherardino, riconfortatosi della discordia dell'oste de' Fiorentini, lasciò il trattato co·lloro, e mandò incontanente suoi ambasciadori con sindachi di pieno mandato in Lombardia al re Giovanni, e diedongli la signoria di Lucca con certi patti, ed egli la promise di difendere; e a dì XII di febbraio mandò in Firenze il detto re tre suoi ambasciadori, i quali con belle parole e promesse di pace e d'amore richiesono per sua parte i Fiorentini, pregandogli si dovessono partire da l'assedio di Lucca, sì come di sua terra, e fare triegue co·llui; e loro in pieno consiglio fu risposto com'era la detta oste sopra Lucca a petizione della Chiesa e del re Ruberto, e che però non si leverebbe. Partirsi i detti ambasciadori, e andarne a Pisa. Pochi dì apresso avuta la detta risposta, il re Giovanni mandò il suo maliscalco in Parma con VIIIc cavalieri per soccorrere Lucca; e ciò sentendo i Fiorentini, presono al loro soldo messer Beltramon del Balzo, che tornava di pregione di Lombardia, iscambiato per lo legato con Orlando Rosso di Parma, e feciollo capitano di guerra; e ito lui nell'oste da Lucca, parendogli folle la stanza per le novità state ne la detta oste, che molto l'avea scompigliata e pochi giorni dinanzi uno messer Arnoldo tedesco conastabole de' Fiorentini, si partì del campo con C cavalieri, e entrò in Lucca, e per lo maliscalco del re Giovanni che venia a Lucca, gli parve il migliore di levare l'oste.

E così fece a dì XXV del detto mese di febbraio MCCCXXX, e ricolsonsi sani e salvi in sul poggio di Vivinaia, e di quello partendosi, rubarono la terra e misonvi fuoco. E così tornò in vano la 'mpresa dell'oste de' Fiorentini, che nel cominciamento e poi fu così prospera, e Lucca così affinita. E però non si dee nullo disperare, né d'alcuna impresa fare grolia, né avere troppa speranza, se prima non si vede la fine, che sovente riescono le 'mprese ad altro segno che non sono cominciate, per lo piacere di Dio. E poi il primo dì di marzo apresso il maliscalco de·re Giovanni venne di Lombardia, e entrò in Lucca con VIIIc cavalieri tedeschi, e prese la signoria della terra per lo re, e partissene messer Gherardino male contento dal re Giovanni e da' Lucchesi, e con suo dammaggio di più di XXXm fiorini d'oro messi de' suoi danari ne la detta signoria e guerra de' Lucchesi, e non gli poté riavere. E dogliendosene il detto messer Gherardino al re Giovanni, gli fu rimprocciato ch'egli era istato traditore, ch'egli avea tenuto trattato co' Fiorentini di dare loro Lucca; e mostrata gli fu innanzi al re una lettera del Comune di Firenze, la quale messer Gherardino s'avea fatta fare a sua cautela del trattato.



CLXXI - Come la gente del re Giovanni cavalcarono in su il contado di Firenze nella contrada di Greti

Per la detta venuta della gente del re Giovanni in Lucca i Fiorentini abandonarono il borgo di Buggiano che teneano, e misonvi fuoco; e simile lasciarono il castelletto del Cozzile e quello de la Costa sopra Buggiano a dì VIIII di marzo del detto anno; e poi a dì XV del detto mese di marzo il sopradetto maliscalco del re Giovanni ch'era in Lucca con M cavalieri e MM pedoni si partirono di Buggiano e passarono sotto Montevettolino, ispianando le tagliate, entrarono in Greti in sul contado di Firenze sanza contasto niuno, e presono e arsono il borgo di Cerreto Guidi, e combatterono il castello; e presono e arsono Collegonzi e Agliana, e corsono il paese per III dì, e menarne preda di C pregioni e IIIIc bestie grosse e MM minute; e feciono danno assai con grande vergogna de' Fiorentini, ch'aveano altrettanti cavalieri e più al loro soldo, che per loro non fu fatto contasto niuno. Che se pure CC cavalieri avessono difesa la tagliata da Montevettolino a la Guisciana, ch'assai era leggere a difendere, non ne tornava mai niuno adietro, che tutti rimaneano o presi o morti; però che la cavalcata, tutto fosse per loro ardita e franca, sì fu folle e con mala provedenza di non lasciare guardia al passo. Ma dissesi che certi conastaboli de' Fiorentini ch'erano a la guardia de le castella di Valdinievole seppono la cavalcata, e stettono al tradimento, e lasciarono valicare i nimici sanza volergli contastare, i quali ciò saputo, furono acommiatati da' Fiorentini e cassi di loro soldi.



CLXXII - Come al re Giovanni fu data la signoria di Parma, di Reggio, e di Modana

Nel detto anno, a dì II di marzo, Giovanni re di Buem entrò nella città di Parma in Lombardia con grande onore, la quale gli fu data per Orlando Rosso e quegli della sua casa de' Rossi, per contradio del legato cardinale ch'era in Bologna per la Chiesa loro contradio. E per simile modo si diede poco apresso al detto re la città di Reggio e quella di Modana per certi patti, per non tornare a la signoria della Chiesa e de' suoi legati e uficiali caorsini; per la qual cosa il papa si mostrò molto turbato, e mandò sue lettere bollate in Firenze, le quali in coram populi si lessono, e piuvicaro, come di suo volere né de la Chiesa il re Giovanni non era passato in Italia, né presa la signoria di Lucca e delle sopradette terre di Lombardia, ma tutto fu disimulazione del papa e del legato, come per lo 'nanzi per loro processi si potrà comprendere.



CLXXIII - Come si cominciò grande guerra in mare tra' Catalani e' Genovesi

Nel detto anno e mese di marzo si cominciò la guerra da' Catalani a' Genovesi e' Viniziani molto aspra e dura, per cagione di più ruberie fatte in mare per gli Genovesi andando in corso sopra' Catalani e' Viniziani. E per cagione di ciò i Genovesi co' loro usciti e que' di Saona feciono triegua, onde poi nacque pace tra·lloro, come per innanzi faremo menzione. I Viniziani per loro viltà e tema de' Genovesi feciono pace assai tosto co·lloro, per piccola amenda di meno di Xm fiorini d'oro, che 'l valere di più di Cm fiorini d'oro aveano perduti, sanza più buona gente di Vinegia morti da' Genovesi in mare. Quella guerra de' Catalani durò poi più tempo con grande uccisione e dammaggio dell'una parte e dell'altra, come per gli tempi si troverà.



CLXXIV - Come il popolo di Colle di Valdelsa uccisono il loro capitano e signore, e diedonsi a la guardia de' Fiorentini

Nel detto anno, a dì X di marzo, essendo signore di Colle di Valdelsa messer Albizzo ch'era arciprete di Colle, che s'era fatto capitano di popolo co' suoi frategli, messer Desso e Agnolo de la casa di Tancredi, che teneano la terra a modo di tiranni, soppressando disordinatamente il popolo e chiunque avea podere ne la terra; per la qual cosa il popolo di Colle, dispiaccendo loro sì fatta tirannia e signoria, con ordine di tradimento, coll'aiuto di quegli da Montegabri e da·pPicchiena, de' detti signori loro cugini e parenti, in su la piazza di Colle, usciti coloro da mangiare, uccisono il detto capitano arciprete e Agnolo suo fratello; e messer Desso si difese gran pezza francamente, ma alla fine per lo soperchio de' nimici fu fedito, poi preso per tradimento d'Agnolino Granelli de' Tolomei, e poi in pregione lo strangolaro; e uno fanciullo di quello Agnolo d'età di X anni presono, e per paura il tennono pregione, e tengono ancora, acciò che nullo di quella progenia scampasse, con tutto ch'un altro suo fratello era a Firenze. E ciò fatto, per tema di loro parenti, ch'erano i Rossi di Firenze e altri possenti e grandi di Firenze, feciono popolo, e diedono poi la guardia de la terra di Colle al Comune e popolo di Firenze per più anni, chiamando podestà e capitano fiorentino. Della qual cosa i Fiorentini furono contenti, però ché 'l detto capitano tiranneggiava in Firenze con certi grandi, e al tempo del caro fu molesto al popolo di Firenze di fare divieto e non lasciare venire vittuaglia a Firenze, e era amico di Castruccio tutto si tenesse Guelfo.



CLXXV - Quando si cominciarono le porte del metallo di Santo Giovanni, e si compié il campanile de la Badia di Firenze

Nel detto anno MCCCXXX si cominciarono a fare le porte del metallo di Santo Giovanni molto belle e di maravigliosa opera e costo, e furono formate in cera, e poi pulite e dorate le figure per uno maestro Andrea Pisano, e gittate furono a fuoco di fornello per maestri viniziani. E noi autore per l'arte de' mercatanti di Calimala, guardiani dell'opera di Santo Giovanni, fui uficiale a far fare il detto lavorio. E il detto anno s'alzò e compié il campanile della Badia di Firenze, e per noi fu fatto fare a priego e a istanzia di messer Giovanni degli Orsini di Roma, cardinale e legato in Toscana e signore de la detta Badia, e della sua entrata di quella Badia.



CLXXVI - Di certi miracoli che furono in Firenze

L'anno MCCCXXXI morirono in Firenze due buoni e giusti uomini e di santa vita e conversazione e di grandi limosine, tutto che fossono laici. L'uno ebbe nome Barduccio, e soppellìsi in Santo Spirito a·luogo de' frati romitani; e l'altro ebbe nome Giovanni..., e soppellìsi a San Piero Maggiore. E per ciascuno mostrò Idio aperti miracoli di sanare infermi e atratti e di più diverse maniere, e per ciascuno fu fatta solenne sepoltura, e poste più immagini di cera per voti fatti.



CLXXVII - D'uno parlamento che fu fatto intra·re Giovanni e·legato di Lombardia

Nel detto anno, a dì XVI d'aprile, fu fatto uno parlamento segreto in sul fiume della Scoltena tra Bologna e Modana intra·re Giovanni di Buem, figliuolo che fu dello 'mperadore Arrigo, e legato di Lombardia cardinale, che dimorava per la Chiesa in Bologna; e furono in accordo insieme, e al dipartire si basciarono in bocca; e poi il dì seguente con grande festa mangiarono insieme al castello di Piumaccio. Per la qual cosa tutti i signori e tiranni di Lombardia e ancora il Comune di Firenze, il quale si tenea nimico del detto re Giovanni per la nimistà antica d'Arrigo imperadore suo padre, e per la sua impresa di Lucca e di Brescia, presono grande sospetto e isdegno contra il cardinale legato, parendo loro che disimulatamente egli e la Chiesa avessono fatto venire il detto re Giovanni in Italia; e che colla forza del detto re, e per trattato del papa Giovanni e del re di Francia, volesse occupare la signoria di Lombardia e di Toscana; onde a riparare ciò si trattò di fare compagnia e lega e giura col re Ruberto insieme contro al detto re Giovanni e contra chiunque gli desse aiuto o favore; e de la detta lega il papa disimulando co' Fiorentini, per sue lettere che mandò loro, si mostrò contento; onde poi seguì l'abassamento del detto re e del legato, come innanzi faremo menzione.



CLXXVIII - Come si divise e partì la casa de' Malatesti da Rimine

Nel detto anno, del mese di maggio, essendo la casa de' Malatesti da Rimine in Romagna nel maggiore stato e colmo che fossono stati mai, e di loro fatti poco tempo dinanzi VI cavalieri con grande onore, e trionfavano non solamente la città da Rimine ma quasi tutta la Romagna; ma per la cupidigia della tirannica signoria messer Malatesta il giovane figliuolo di messer Pandolfo a tradimento cacciò di Rimine tutti i suoi consorti, e loro perseguendo con arme per uccidergli, e alquanti ne prese, e morirono poi in pregione, opponendo loro che volevano cacciare lui; per la qual cosa fu guasta la detta casa, e commossesene quasi tutta la Romagna. E pare una maladizione in quello paese, e ancora pessima usanza di Romagnuoli, che volentieri sono traditori tra·lloro. E nota che pare ch'avegna nelle signorie e istato delle dignità mondane che come sono in maggiore colmo hanno di presente la loro discesa e rovina, e non sanza providenza del divino giudicio per pulire le peccata, e perché niuno si confidi della fallace prospera ventura.



CLXXIX - Come la città di Firenze fu lungamente interdetta

Nel detto anno, a dì X di maggio MCCCXXXI, il legato di Toscana mise lo 'nterdetto a la città di Firenze per cagione ch'egli avea impetrata dal papa a sua mensa la pieve di Santa Maria in Pineta che vacava, al modo ch'avea fatta la Badia di Firenze, de la quale pieve erano padroni la casa de' Bondelmonti, e a·lloro stanza, e perché pareva a' cittadini che 'l detto legato volesse occupare tutti i buoni benifici di Firenze, e ancora quello benificio preso a inganno contro a' Bondelmonti, per la qual cosa non gli lasciarono avere la rendita né' frutti di quella pieve; e innanzi ne sostennono lo 'nterdetto XVIIII mesi, con grande sconcio e fatica de' cittadini in ogni atto spirituale, tanto che i detti Bondelmonti s'accordarono col legato, per la qual cosa i detti Bondelmonti molto furono obbrigati al popolo di Firenze.



CLXXX - Come il re Giovanni si partì di Lombardia, e andonne oltremonti

Nel detto anno, avendo il re Giovanni ordinato col legato insieme una disimulata pace e trattato di rimettere gli usciti guelfi in Lucca, alquanti ve ne tornarono contra volere de' Fiorentini. E intra gli altri che cercò il detto trattato fu messer Manno degli Obizzi, per la qual cosa molto venne in disgrazia de' Fiorentini; e poi quegli Guelfi ch'erano tornati in Lucca, per la mala signoria se ne partirono. Poi il detto re Giovanni, riformata Lucca e Parma e Reggio e Modana a la sua signoria, vi lasciò Carlo suo figliuolo con VIIIc cavalieri, e egli si partì di Parma a dì II di giugno per andare a corte e in Francia e nella Magna, per ordinare maggiori cose col papa e col re di Francia per sottomettere la libertà degl'Italiani, come innanzi farà menzione.



CLXXXI - Come delle masnade de' Fiorentini furono sconfitti a Buggiano

Nel detto anno messer Simone Filippi di Pistoia vicario in Lucca del re Giovanni fece porre oste e battifolli al castello di Barga in Carfagnana che si tenea per gli Fiorentini, sentendo ch'era male fornito; per la qual cosa i Fiorentini feciono cavalcare messer Amerigo de' Donati capitano di Valdinievole con IIIIc cavalieri sopra Buggiano per fare levare il detto assedio da Barga. Ma le masnade di Lucca di notte vennono a Buggiano, da Vc cavalieri. Messere Amerigo e sua gente isproveduti di tale avenimento, e non prendendosi guardia, furono assaliti subitamente sul Brusceto sotto Montecatini, e rotti e sconfitti a dì VI di giugno, e rimasonne da C a cavallo tra morti e presi, e messere Amerigo e gli altri fuggiro in Montecatini; e il luglio apresso si perdé Uzzano per tradimento, che 'l teneano i Fiorentini.



CLXXXII - Come papa Giovanni ricomunicò i Milanesi e' Marchigiani

Nel detto anno, a dì IIII di giugno, papa Giovanni apo Vignone ricomunicò i Milanesi e' Marchigiani, i quali erano stati sì lungamente iscomunicati e in contumacia di santa Chiesa per molti falli fatti contro a la Chiesa, come adietro è fatta menzione; e ciò fece il papa a petizione del legato di Lombardia, l'una per rompere la lega già cominciata tra' Lombardi, e l'altra perché i Marchigiani fossono riverenti al legato, che 'l n'avea fatto marchese e signore.



CLXXXIII - Di fuochi che s'apresono nella città di Firenze in questo anno

Nel detto anno, a dì XXIII di giugno, la notte de la vilia di santo Giovanni s'apprese fuoco in sul ponte Vecchio dal lato di là, e arsono tutte le botteghe, che v'erano da XX, con grande danno di molti artefici, e morirvi due garzoni, e in parte arsono delle case di San Sipolcro della magione dello Spedale. E poi, a dì XII di settembre la notte vegnente, s'aprese fuoco a casa Soldanieri da Santa Trinita in certe case basse di legnaiuoli e di maliscalco, le quali case erano a lo 'ncontro della via di Porta Rossa, e morirvi VI persone, che per lo 'mpetuoso fuoco del molto legname e stalle non poterono scampare. E poi a dì XXVIII di febbraio la notte vegnente s'apprese fuoco nel palagio del Comune, ove abita la podestà, e arse tutto il tetto del vecchio palazzo e le due parti del nuovo dalle prime volte in su. Per la qual cosa s'ordinò per lo Comune che si rifacesse tutto in volte infino a' tetti. E poi a dì XVI di luglio vegnente s'apprese nel palazzo dell'arte della lana d'Orto San Michele, e arse tutto da la prima volta in su, e morìvi uno pregione, che 'l vi mise credendo scampare, e la sua guardia; poi per l'arte della lana si rifece più nobile e tutto in volte infino al tetto.



CLXXXIV - Come in Firenze nacquono due leoncegli

Nel detto anno, a dì XXV di luglio, il dì di santo Iacopo, nacquono in Firenze II leoncini del leone e leonessa del Comune, che stavano in istia incontro a San Pietro Scheraggio; e vivettono, e fecionsi grandi poi: e nacquono vivi e non morti, come dicono gli autori ne' libri della natura delle bestie, e noi ne rendiamo testimonianza, che con più altri cittadini gli vidi nascere, e incontanente andare e poppare la leonessa; e fu tenuta grande maraviglia che di qua da mare nascessono leoni che vivessono, e non si ricorda a' nostri tempi. Bene ne nacquono a Vinegia due, ma di presente morirono. Dissesi per molti ch'era segno di buona fortuna e prospera per lo Comune di Firenze.



CLXXXV - Come i Fiorentini presono la signoria di Pistoia

Nel detto anno, il dì seguente la festa di sa·Iacopo, essendo in Pistoia in grande sospetto e gelosia della signoria della terra, che parte de' cittadini ch'amavano di ben vivere, voleano la signoria de' Fiorentini, e parte voleano rimanere liberi; i Fiorentini avendo ciò sentito, di que' dì per lo detto sospetto mandata di loro gente in Pistoia, in quantità di Vc cavalieri e MD pedoni, e' feciono correre la terra gridando: "Vivano i Fiorentini!", sanza fare nulla ruberia né altro malificio. Per la qual cosa i Pistolesi per solenne consiglio, non potendo altro, diedono la signoria al Comune e popolo di Firenze per uno anno; e riformata la terra ne mandarono fuori più di C confinati, e gran parte di Guelfi ritornarono in Pistoia, che' più erano contradi a la signoria de' Fiorentini, per volere tiranneggiare la terra, e torre lo stato a' cavalieri de' Panciatichi e Muli e Gualfreducci ghibellini, fatti cavalieri per lo popolo di Firenze, e a·lloro seguaci, parendo loro che i Fiorentini gli mantenessono in maggiore stato per le promesse fatte, che non parea agl'ingrati Guelfi rimessi in Pistoia per gli Fiorentini. E poi appresso, innanzi che fosse mezzo l'anno, parendo a' Pistolesi che' Fiorentini gli trattassono benignamente, e manteneangli in pacefico stato e sanza gravezze, di loro buona volontà feciono sindachi due di loro anziani, e mandargli a Firenze a dare la guardia e signoria della terra liberamente a' Fiorentini per due anni, oltre a la prima dazione; e' Fiorentini la presono e solennemente l'ordinarono, eleggendo loro le podestadi forestieri di VI in VI mesi, e uno capitano della guardia grande popolano di Firenze di tre in tre mesi, con VI cavagli e L fanti, e uno conservadore di pace forestiere con X cavagli e C fanti, e la podestà di Serravalle e due castellani de le rocche fiorentini. E in Firenze elessono XII buoni popolani di tre in tre mesi, a cui diedono piena balìa della governazione di Pistoia, e delle riformazioni delle signorie co' priori di Firenze insieme, e ciò fu in mezzo gennaio; e poi all'uscita del febbraio seguente i Fiorentini vi feciono cominciare uno bello e forte castello da la parte de la terra di verso Firenze per più sicurtà della terra, il quale si compié, e misonvi guardie e castellani con C fanti alle spese de' Pistolesi; e oltre a·cciò CCC fanti a la guardia de la terra.



CLXXXVI - Come i Sanesi osteggiarono e sconfissono i conti da Santa Fiore, e' Pisani ebbono Massa

Nella detta state i Sanesi feciono oste sopra i conti da Santa Fiore, e gli Orbitani sopra quegli da Baschia in Maremma, e feciono loro grande danno. Ed essendo i detti Sanesi all'assedio d'Arcidosso, i conti da Santa Fiore con CC cavalieri tedeschi avuti da Lucca, e con tutto loro isforzo, vennono per soccorrere il detto castello, e furono sconfitti da' Sanesi; e poi ebbono il detto castello i Sanesi. E in questo stante dell'oste de' Sanesi i Massetani si rubellarono dalla loro signoria, e cacciarono di Massa la podestà di Siena, e la casa de' Ghiozzi e loro seguaci e parte, e dieronsi a' Pisani.



CLXXXVII - Come i Catalani co·lloro armata vennono sopra Genova, per la qual cosa i Genovesi co' loro usciti feciono pace

Nel detto anno, a l'entrante d'agosto, i Catalani con armata di XLII galee e XXX legni armati vennono nella riviera di Genova e di Saona, e arsonvi più castegli e ville e manieri, e feciono danno grande; né però i Genovesi né que' di Saona non s'ardirono di contastargli, per cagione ch'erano male in ordine e peggio in accordo i Guelfi d'entro e' Ghibellini di fuori, ch'erano in Saona. E fatto per gli Catalani la detta vergogna e dammaggio a' Genovesi e a' loro usciti, se n'andarono sani e salvi in Sardigna. Per la detta venuta de' Catalani i Genovesi d'entro e que' di fuori parendo loro avere di ciò grande vergogna, cercarono di fare pace tra·lloro; e l'una parte e l'altra mandarono grande e ricca ambasceria a Napoli al re Ruberto, commettendogli le loro questioni, e pregandolo gli pacificasse insieme: il quale re Ruberto diede fine a la detta pace a dì VIII di settembre MCCCXXXI, con patti che gli usciti tornerebbono tutti in Genova, e rendebbono tutte le fortezze di Saona e della riviera che teneano al Comune; e feciono loro signore il detto re Ruberto di concordia di tutti que' d'entro e que' di fuori, oltre al termine ch'egli l'avea in signoria da' Guelfi d'entro per III anni, e dandogli alle spese del Comune CCC cavalieri e Vc sergenti a la guardia della terra e del suo vicario, e 'l Castello di Peraldo sopra Genova, e promisono d'essere contro al Bavero, e contro al re Giovanni, e contro a ogn'altro signore che passasse in Italia contra il volere del papa e della Chiesa e del re Ruberto, rimanendo liberi Ori e Spinoli della guerra del re Ruberto a don Federigo che tenea Cicilia, d'aoperarne a·lloro volontà d'atare l'una parte e l'altra, come a·lloro piacesse; però ch'uno d'Oria era amiraglio di quello di Cicilia, e uno Spinola del re Ruberto. E i Fiorentini mise il re Ruberto nella detta pace, che gli usciti si teneano per nimici de' Fiorentini, per l'aiuto ch'eglino aveano fatto al detto re contra loro, quand'erano all'assedio di Genova. La quale pace poco piacque al re, dubitando forte della potenzia de' Ghibellini tornando nella città, e assai il mostrò a' Guelfi; ma eglino la pur vollono. E poi di gennaio MCCCXXXIII prolungarono la signoria di Genova al re Ruberto per V anni, la qual pace e signoria per lo re poco tempo durò, che i Ghibellini la ruppono, e cacciarne fuori i Guelfi, e tolsono la signoria del re, come innanzi per gli tempi si farà menzione.



CLXXXVIII - Come il legato di Lombardia fece assediare la città di Forlì, e s'arendé a·llui

Nel detto anno, del mese d'agosto, il legato del papa ch'era in Bologna fece fare oste a la città di Forlì in Romagna, la quale oste fece con forza di MVc cavalieri e popolo grandissimo; e fecevi porre battifolli perché non faceano le sue comandamenta, e aveano cacciato il suo vicario e tesoriere. E' Fiorentini, con tutto fossono indegnati contro al legato per l'amistà e compagnia ch'avea presa col re Giovanni, sì pur mandarono in aiuto della Chiesa ne la detta oste C cavalieri, e istettevi la detta oste infino all'uscita d'ottobre. E poi partita l'oste, per patti s'arrenderono al legato a dì XXI di novembre sotto certi patti e convenzioni, cioè di torre suo vicario e tesoriere, e pagare il censo solamente; ma le masnade de' loro cavalieri a la guardia della terra vollono eleggere que' della terra di Forlì a·lloro volontà, giurando ubbidenza del detto legato.



CLXXXIX - Come il duca d'Attene passò in Romania con gente d'arme e non poté aquistare niente

Nel detto anno, del mese d'agosto all'uscita, il duca d'Attena, cioè conte di Brenna, si partì da Brandizio, e passò in Romania con VIIIc cavalieri franceschi menati di Francia gentili uomini, e Vm pedoni toscani al soldo vestiti insieme, la quale fu molto buona e bella gente d'arme, per racquistare sua terra che gli occupavano que' della compagna. E co' detti cavalieri il seguirono molta gente del regno di Puglia. E come fu di là, prese la terra dell'Arta, e molto del paese, casali e ville; e se i suoi nimici fossono venuti a battaglia di campo co·llui, di certo avrebbe racquistato suo paese e avuta vittoria, ch'egli avea seco molta buona cavalleria da tenere campo a tutti quegli di quella Romania, Latini e Greci. Ma que' della compagnia maestrevolemente si tennono alla guardia delle fortezze, e non vollono uscire a battaglia. Per la qual cosa la cavalleria e gente del duca usi a grandi spese per lo bistento e lungo dimoro non potendo avere battaglia, istraccarono e non poterono durare; e tornò in vano la 'mpresa del duca, che gli era costata grande tesoro, e per necessità si partirono tutti del paese col duca insieme. Dissesi per gli savi infino che si mosse, che se vi fosse ito con meno gente e di meno costo tegnendosi a guerra guerriata e rinfrescata gente, vincea suo paese e avea onore della 'mpresa.



CXC - D'avenimenti di guerra da noi a que' di Lucca, onde morì messere Filippo Tedici di Pistoia

Nel detto anno, a dì XIIII di settembre, essendo quegli di Buggiano a·ffare loro vendemmie con guardia di LXX cavalieri di que' di Lucca, la nostra gente di Valdinievole, intorno di CL cavalieri e pedoni assai, uscirono loro adosso e sconfissongli e cacciarono infino al borgo di Buggiano. In questa caccia, com'era ordinato, vennono da CC de' loro cavalieri da Pescia, e trovando i nostri sparti e seguendo i nimici, percossono loro adosso e sconfissongli, e rimasono de' nostri presi V conastaboli, e da L e più cavalieri. E poi a dì XXI del detto mese, partendosi di Lucca CC cavalieri e M pedoni a la condotta di messer Filippo de' Tedici di Pistoia per pigliare il castello di Popiglio de la montagna di Pistoia, che dovea loro essere dato, e iscesi i cavalieri a piè, perch'era stretto luogo, entrarono nel castello lasciando di fuori i cavagli. Quegli del castello che non sentirono il trattato francamente gli ripinsono fuori; que' del paese d'intorno trassono a' valichi e a' forti passi delle montagne, e presono i loro cavagli e misongli in isconfitta; e fuvi morto da' villani, com'era degno, il detto messer Filippo traditore di Pistoia e più altra buona gente, e presi più di C cavagli. E poi il marzo vegnente que' di Lucca ch'erano in Buggiano misono aguato per pigliare Massa in Valdinievole. Per la gente de' Fiorentini ch'erano in Montecatini, sentito, uscirono loro adosso e sconfissongli, e rimasono di loro assai presi e morti, e IIII bandiere da cavallo ne vennono prese a Firenze. E così va di guerra guerriata, che talora nell'uno luogo si perde e nell'altro si guadagna.



CXCI - Come il marchese di Monferrato tolse Tortona al re Ruberto

Nel detto anno, del mese di settembre, il marchese di Monferrato con sua forza entrò ne' borghi e terra di Tortona in Piemonte, la quale gli fu data da' cittadini; e la gente che v'era dentro per lo re Ruberto, ond'era capitano messere Galeasso fratello bastardo del detto re, e' si ridussono nella città e rocca di sopra, e poi non potendo tenere la città di sopra che non era bene fornita, sì·ll'abandonarono co·lloro vergogna, e rimase alla signoria del marchese.



CXCII - Come il fiume del Po ruppe gli argini di Mantovani

Nel detto anno, del mese d'ottobre, crebbe il fiume del Po in Lombardia sì diversamente, che ruppe in più parti degli argini di mantovana e di ferrarese, e guastò molto paese, e morirvi anegando Xm persone tra piccoli e grandi.



CXCIII - Quando si ricominciò a lavorare la chiesa di Santa Reparata di Firenze, e fu grande dovizia quello anno

Nel detto anno e mese d'ottobre, essendo la città di Firenze in assai tranquillo e buono stato, si ricominciò a lavorare la chiesa maggiore di Santa Reparata di Firenze, ch'era stata lungo tempo vacua e sanza nulla operazione per le varie e diverse guerre e ispese avute la nostra città, come adietro s'è fatta menzione, e diessi in guardia per lo Comune la detta opera all'arte della lana, acciò che più l'avanzasse, e istanziòvi il Comune gabella di danari II per libbra d'ogni danaro ch'uscisse di camera del Comune, come anticamente era usato, e oltre a·cciò ordinarono una gabella di danari IIII per libbra sopra ogni gabelliere della somma che comperasse gabella dal Comune, le quali due gabelle montavano l'anno libbre XIIm di piccioli. E' lanaiuoli ordinarono ch'ogni fondaco e bottega di tutti gli artefici di Firenze tenessono una cassettina ove si mettessono il danaro di Dio, di ciò che si vendesse e comperasse; e montava l'anno al cominciamento libbre IIm. E di queste entrate si forniva la detta opera. E in questo anno fu in Firenze grande divizia e ubertà di vittuaglia; e valse lo staio del grano colmo soldi VIII di piccioli di libbre tre il fiorino d'oro, che fu tenuto gran maraviglia alla disordinata carestia stata l'anno del MCCCXXVIIII e poi del MCCCXXX, come dicemmo adietro. E in questi tempi si feciono in Firenze molti buoni ordini e adirizzamento sopra ogni vittuaglia, e ogni carne e pesce si dovesse vendere a peso, e ogni volatio certo pregio convenevole; e sopra·cciò vi feciono uficiale, e misono pene chi non l'osservasse.



CXCIV - Di guerra che fu mossa in Buemmia al re Giovanni

Nel detto anno, del mese di novembre, essendo il re Giovanni andato in Buemmia, raunò suo isforzo coll'aiuto dell'arcivescovo di Trievi suo zio e del dogio di Chiarentana suo cognato, e trovossi con più di Vm cavalieri, per cagione che 'l re di Pollonia e lo re d'Ungheria e 'l dogio d'Ostericchi suoi nimici, e ancora con ordine del Bavero, che per le 'mprese sue di Italia gli voleva male, e·re d'Ungheria a petizione del re Ruberto e suo zio, e genero del re di Pollonia, aveano raunato grande esercito di più di XVm cavalieri tra Tedeschi e Ungheri per cavalcare in su i·reame di Buemmia e guastarlo. Le quali osti istettono afrontati più giorni sopra la riviera di... ciascuno dalla sua parte; poi per le 'mprese del re Giovanni gli convenne partire per andare in Francia. Per la qual cosa il re Giovanni da' savi fu tenuto folle di cercare nuove imprese in Italia per lasciare in periglio il suo reame. Ma tutto ciò facea a petizione del re di Francia per certi grandi intendimenti, come per lo 'nanzi leggendo si potrà comprendere. E partito lui di Boemmia, i suoi nimici valicarono in suo reame, e per due volte sconfissono la gente del re Giovanni con grande guastamento di suo paese; e più l'avrebbono guasto, se non fosse la forte vernata che gli fece partire.



CXCV - Come il re di Francia promise di fare il passaggio oltremare

Nel detto anno, per la pasqua della Natività di Cristo, il re Filippo di Francia piuvicò in Parigi dinanzi a' suoi baroni e prelati com'egli imprendea di fare il passaggio d'oltremare per racquistare la Terrasanta dal marzo vegnente a due anni, domandando a' prelati e comunanze di suo reame aiuto e susidio di moneta; e richiese i duchi e' conti e' baroni che s'ordinassono d'andare co·llui; e mandò suoi ambasciadori a Vignone a papa Giovanni a notificare a·llui e a' suoi cardinali la sua impresa, richeggendo la Chiesa per XXVII capitoli grandi susidii e grazie e vantaggi, intra' quali ebbe di molti sconvenienti e oltraggiosi. Intra gli altri volea tutto il tesoro de la Chiesa e le decime di tutta Cristianità per VI anni, pagando in tre, e in suo reame le 'nvestiture e promutazioni d'ogni benificio eccresiastico; e domandava titolo del reame d'Arli e di Vienna per lo figliuolo; e che d'Italia volea la signoria per messere Carlotto suo fratello. Perché 'l papa né' suoi cardinali la maggiore parte non gli vollono accettare, rispondendo che passati erano XL anni che i suoi anticessori aveano aute le decime del reame per lo passaggio, e consumatele in altre guerre contra i Cristiani, ma che·re seguisse sua impresa, e alla sua mossa la Chiesa gli darebbe ogni aiuto che si convenisse temporale e spirituale al sussidio del santo passaggio; per le quali domande e risposte si cominciò alcuno isdegno tra la Chiesa e 'l re di Francia.



CXCVI - Come gli Aretini vollono prendere Cortona

Nel detto anno, all'uscita di gennaio, messer Piero Saccone de' Tarlati signore d'Arezzo per avere la città di Cortona certo trattato e tradimento ordinò con messer Guccio fratello di messer Rinieri di... che n'era signore, promettendogli più vantaggi; e il detto per discordia ch'avea col fratello, perché nol trattava come volea, aconsentì al detto tradimento. E cavalcarvi gli Aretini di notte, ma discoperto il tradimento, il detto messer Guccio dal fratello fu preso, e de' suoi seguaci cittadini che co·llui intendeano al tradimento, in quantità di più di XXX, furono impiccati a' merli delle mura della terra al di fuori, e il detto messer Guccio fu messo in oscura pregione, nella quale con grande stento, com'era degno, finì sua vita.



CXCVII - Come gli usciti di Pisa vennono sopra Pisa, e come i Fiorentini mandarono loro soccorso

Nel detto anno, a dì VIIII di gennaio, avendo gli usciti di Pisa, ond'era capo il vescovo che fu d'Ellera in Corsica, fatta lega co' Parmigiani e con certi Ghibellini di Genova, ond'era capo Manfredi de' Vivaldi, che tenne il castello de·Lerici, e ancora con gente di Lucca, i quali furono in quantità di Vc cavalieri e popolo assai, e presono più terre de' Pisani di là dal fiume della Magra, e corsono sopra Serrezzano, e poi vennono iscorrendo infino presso di Pisa. Onde i Pisani furono in grande gelosia e paura di loro cittadini d'entro, amici e partefici di loro usciti; e dì e notte stavano sotto l'arme, e chiuse le porte, dubitando di perdere la terra. Mandarono per più ambasciadori l'uno apresso l'altro al Comune di Firenze pregando che per Dio gli soccorressono, e mandassono di loro cavalieri a la guardia della terra, promettendo d'essere sempre frategli e amici del Comune di Firenze. Per la qual cosa i Fiorentini mandarono loro CC cavalieri, e a Montetopoli, e a l'altre castella de' Fiorentini di Valdarno ne mandarono più di Vc, che a richiesta de' Pisani andassono a Pisa o dove a·lloro bisognasse; e giunti in Pisa i detti cavalieri, i loro usciti si ritrassono, e' Pisani mandarono fuori certi confinati, di cui dubitavano, e la città rimase in pace e sanza sospetto. Il quale servigio de' Fiorentini venne a que' che reggeano Pisa a grande bisogno; che se ciò non fosse stato, di certo si rubellava loro la terra, e mutava stato.



CXCVIII - Come i Bolognesi si diedono liberamente a la Chiesa, e come il legato fece uno castello in Bologna

Nel detto anno, a dì X di gennaio, per procaccio e segacità del legato di Lombardia che dimorava in Bologna, fece tanto che i Bolognesi si diedono per loro solenni consigli a perpetuo privileggiati e liberi sanza alcuno patto o salvo al papa e a la Chiesa di Roma, promettendo loro, e con simulate lettere di papa Giovanni, che infra uno anno il papa co la corte verrebbe a stare in Bologna; e sotto questo inganno cominciò a fare fare uno forte e magno castello in Bologna alla fine del loro prato in su le mura, dicendo che ciò facea per l'abituro del papa, ordinandolo a ogni atto d'abituro nobilemente a·cciò. E per sé fece fare quasi un altro compreso di castello più infra la terra, pigliando più case di cittadini, dicendo l'abiterebbe egli venuto il papa. E fece segnare tutte le liveree dove dovessono abitare tutti gli altri cardinali. E tutto ciò fu fatto ad arte e simulatamente per fare la detta fortezza per meglio dominare i Bolognesi. I Bolognesi per lo vantaggio che s'aspettavano vegnendo in Bologna la corte, che tutti speravano d'essere ricchi, si lasciarono ingannare, e assentirono che si facessono la detta fortezza e castello in Bologna, e mandarono loro solenni ambasciadori de' maggiori cittadini e sindachi apo Vignone al papa, dandogli per solenne obbrigagione liberamente la signoria, e pregandolo da parte del loro Comune l'avacciamento della sua venuta alla sua città di Bologna. I quali ambasciadori e sindachi dal papa furono ricevuti graziosamente, e accettata per la Chiesa la loro obrigagione, promettendo loro più volte il papa in piuvichi concestori di venire infra l'anno a Bologna fermamente. La quale promessa fu disimulata e infinta, e non s'attenne per lo papa, onde fu ripreso da tutti i Cristiani che 'l seppono, che già promessa di papa non dee essere mendace sanza necessaria cagione, la quale non fu in lui. Ma la divina providenza non dimette la giustizia della sua pulizione a chi manca fede e con frode e inganno; che poco tempo apresso il sopradetto legato compiuto il detto castello, e quando più groliava e trionfava, la sua oste fu sconfitta a Ferrara, e i Bolognesi si rubellarono da la Chiesa, e lui cacciarono di Bologna, e il detto castello tutto disfeciono e abatterono, come innanzi faremo menzione.



CXCIX - Come il legato fu fatto conte di Romagna ed ebbe libera la città di Forlì

Nell'anno MCCCXXXII papa Giovanni fece conte di Romagna i·legato, e que' di Forlì gli diedono liberamente la signoria de la terra, e entròvi dentro il detto legato con più di MVc cavalieri di sua gente a grande trionfo e onore, con intenzione di vicitare tutte le terre di Romagna, e poi andare ne la Marca; ma rimase, dubitando di Bologna per certe novità ch'aparvono in Lombardia, come poco apresso faremo menzione.



CC - Come il Comune di Firenze ordinò di fare la terra di Firenzuola oltre alpe

Nel detto anno, avendo i signori Ubaldini disensione e guerra insieme, ciascuna parte a gara mandando al Comune di Firenze di volere tornare a l'ubidienza e a la signoria del Comune, traendogli di bando, per gli Fiorentini fu accettato; ma ricordandosi che per molte volte s'erano riconciliati per simile modo col Comune di Firenze, e poi rubellatisi a·lloro posta e vantaggio, come si può trovare per adietro, si provide per lo detto Comune di fare una grossa e forte terra di là dal giogo dell'alpe in sul fiume del Santerno, acciò che i detti Ubaldini più non si potessono rubellare, e' distrittuali contadini di Firenze d'oltre l'alpe fossono liberi e franchi, ch'erano servi e fedeli de' detti Ubaldini; e chiamarono a fare fare la detta terra sei grandi popolani di Firenze con grande balìa intorno a·cciò. E essendo i detti uficiali in sul palazzo del popolo co' signori priori insieme in grande contasto, come si dovesse nominare la detta terra, e chi dicea uno nome e chi un altro, noi autore di questa opera trovandone tra·lloro, dissi: "Io vi dirò uno nome molto bello e utole, e che si confà a la 'mpresa, però che questa fia terra nuova e nel cuore dell'alpe, e nella forza degli Ubaldini, e presso alle confini di Bologna e di Romagna; e s'ella nonn-ha nome che al Comune di Firenze ne caglia e abbiala cara, a' tempi aversi di guerra che possono avenire, ella fia tolta e rubellata ispesso; ma se·lle porrete il nome ch'io vi dirò, il Comune ne sarà più geloso e più sollecito a la guardia: perch'io la nominerei, quando a voi piacesse, Firenzuola". A questo nome tutti inn-accordo sanza alcuno contasto furono contenti, e il confermarono, e per più aumentare e favorare il suo stato e potenza le diedono per insegna e gonfalone mezza l'arme del Comune, e mezza quella del popolo di Firenze; e ordinarono che la maggiore chiesa di quella terra, conseguendo al nome, si chiamasse San Firenze; e feciono franco chi l'abitasse X anni, recando tutte le genti vicine e ville d'intorno ad abitarla, e traendogli d'ogni bando di Comune; e ordinarvi mercato uno dì della semmana. E cominciossi a fondare al nome di Dio a dì VIII d'aprile del detto anno quasi alle VIII ore del dì, provedutamente per istrolagi, essendo ascendente il segno del Leone, acciò che·lla sua edificazione fosse più ferma e forte, e stabile e potente.



CCI - Come i Turchi per mare guastarono gran parte di Grecia

Nel detto anno, del mese di maggio e di giugno, i Turchi armarono CCCLXXX tra barche grosse e legni con più di XLm Turchi, e vennono per mare sopra Gostantinopoli, e combatterollo, e avrebbollo avuto, se non fosse l'aiuto de' Latini e Genovesi e Viniziani. E poi guastarono più isole d'Arcipelago, e menarne in servaggio più di Xm Greci; e que' di Negroponte per paura si feciono tributari, onde venne in ponente grande cramore al papa e al re di Francia e agli altri signori de' Cristiani; per la qual cosa s'ordinò per loro che l'anno seguente si facesse armata sopra i Turchi, e così si fece.



CCII - Come que' della Scala tolsono al re Giovanni la città di Brescia e di Bergamo, e come s'ordinò lega da noi a' Lombardi

Nel detto anno, parendo a' Guelfi della città di Brescia male stare sotto la signoria del re Giovanni, per l'antica nimistà avuta collo imperadore Arrigo suo padre, e per dispetto d'uno forte castello ch'egli avea fatto fare al disopra della terra per tenergli più suggetti, sì trattarono cospirazione e di dare la terra a' signori della Scala da Verona, promettendo loro di mantenergli in loro stato, e di cacciarne la parte ghibellina, che teneano col re Giovanni, e così aseguiro: o che a dì XIIII del mese di giugno cavalcato là messer Mastino della Scala con XIIIIc di cavalieri e popolo grandissimo, e i Guelfi della terra cominciarono il romore con armata mano, gridando: "Muoiano i Ghibellini e il re Giovanni, e vivano i signori della Scala!"; e combattendo contra loro, apersono alcuna porta della terra ch'era in loro podere, e per quella vi misono messer Mastino e sua gente, e cacciarne i Ghibellini e la gente del re Giovanni; e assai ne furono presi e morti, salvo quegli che scamparono nel castello, o si fuggirono della terra. Al quale castello si puose l'assedio, e fu tutto affossato e steccato intorno, e tennesi per la gente del re Giovanni infino a dì IIII del mese di luglio, ch'aspettavano soccorso dal figliuolo del re Giovanni ch'era a Parma, il quale non s'ardì di venire sentendo la potenza di messer Mastino, e ch'egli avea la terra, per la qual cosa s'arenderono, salve le persone. E poi il detto messer Mastino il settembre vegnente per simile modo tolse la città di Bergamo a la gente del re Giovanni, e fecesi la lega già trattata da' detti signori della Scala, e quello di Melano, e quello di Mantova, e' marchesi da Ferrara col re Ruberto e col Comune di Firenze contra al Bavero e al re Giovanni, o chi gli desse aiuto o favore; e avere gli amici per amici, e' nimici di ciascuno per nimici, non traendone imperio né Chiesa. La quale lega fu ordinata di IIIm cavalieri; VIc al re Ruberto e VIc cavalieri al Comune di Firenze, e VIIIc cavalieri a' signori della Scala, e VIc cavalieri al signore di Milano, e CC cavalieri al signore di Mantova, e CC cavalieri a' marchesi da Ferrara, e confermossi per ambasciadori e sindachi con solenni contratti e saramenti. E fu in patti che la lega aterebbe conquistare a messer Azzo di Milano la città di Chermona e 'l borgo a San Donnino, e a' que' della Scala la città di Parma, e al signore di Mantova la città di Reggio, e a' marchesi da Ferrara la città di Modona, e a' Fiorentini la città di Lucca. E nota, lettore, nuova mutazione di secolo, che il re Ruberto capo di parte di Chiesa e de' Guelfi, e simile il Comune di Firenze, allegarsi in compagnia co' maggiori tiranni e Ghibellini d'Italia, e spezialmente con messer Azzo Visconti di Milano, il quale fue al servigio di Castruccio a sconfiggere i Fiorentini ad Altopascio, e poi venire a oste infino a la città di Firenze, come adietro facemmo menzione: ma a·cciò condusse il re Ruberto e' Fiorentini la dubitazione del Bavero e del re Giovanni, e lo sdegno preso col legato per la compagnia fatta col re Giovanni.

La quale lega da cui fu lodata e da cui biasimata, ma a·ccerto ella fu allora lo scampo della città di Firenze e la confusione del re Giovanni e del legato, come innanzi leggendo si troverrà.



CCIII - D'una grande punga fatta sopra Barga, e come i Fiorentini la perdero

Nel detto anno, essendo i Lucchesi colla gente del re Giovanni all'assedio di Barga in Carfagnana, la quale si tenea per gli Fiorentini, e aveavi intorno più battifolli e bastite con quantità di VIIIc cavalieri e popolo grandissimo, i Fiorentini sentendo ch'a quegli della terra falliva la vittuaglia, fecionvi cavalcare il loro capitano della guerra con tutta la loro cavalleria; e partirsi di Pistoia a dì VII di luglio, e cavalcarono per la via della montagna; e giunti sopra Barga in nulla guisa poterono fornire la terra per le tagliate e fortezze che v'aveano fatte intorno i Lucchesi, e tornarsene adietro con poco onore. Ma poi i Fiorentini volendo vincere la punga feciono compagnia con Ispinetta marchese, tutto fosse Ghibellino, ma nimico era di que' di Lucca, e feciongli grandi vantaggi di moneta, e mandargli CC cavalieri, e egli ne menò di Lombardia da' signori della Scala e di Mantova altri CC, sì che con IIIIc cavalieri e popolo assai giunse in Carfagnana sopra Barga dì XII di settembre, promettendo a' Fiorentini di fornirla per forza. I Fiorentini d'altra parte si mossono di Pistoia a dì VII di settembre in quantità di VIIIc cavalieri e popolo assai, e presono il Cerruglio, e Vivinaia, e Montechiaro con intendimento che' Lucchesi si levassono da Barga; e se a quegli fossono rimasi, e afforzatigli e forniti, a certo aveano vinta la guerra di Lucca, però che sono sì sopra a Lucca, che ogni dì gli poteano correre infino a le porte. Ma veggendo che' Lucchesi non si partivano dall'assedio, anzi quello rinforzaro, e cavalcatovi messer Simone Filippi vicario del re Giovanni con tutta la forza rimasa in Lucca, e fatto venire cavalieri da Parma, i Fiorentini abandonarono il Cerruglio e quell'altre fortezze di sopra Lucca, e cavalcarono in Carfagnana al soccorso di Barga, e a quello pugnarono dall'una parte e Spinetta dall'altra con ogni forza e ingegno; e richeggendo di battaglia messer Simone Filippi, il quale colla sua gente era sì afforzato, che i Fiorentini né Spinetta si poteano loro apressare; e veggendo che·lla terra non si potea più tenere, non volle combattere, onde i Fiorentini perderono la punga, e partirsi e tornarsi a Pistoia, e Spinetta nelle sue terre, e Barga s'arendé a' Lucchesi salve le persone a dì XV d'ottobre. Di questa impresa i Lucchesi montarono assai nella guerra, e' Fiorentini ne calarono; e grande ripitio n'ebbe in Firenze contro a coloro che reggeano la terra; l'una che la 'mpresa fu folle a tenere terra così di lungi e con poco utile, e ispiacque infino al cominciamento a' più de' Fiorentini, e al principio si poteva fornire per ispesa di IIIc fiorini d'oro, e quegli ch'allora erano al priorato nol seppono fare; e poi costò al Comune di Firenze più di Cm fiorini d'oro sanza la vergogna. E nota che sempre è riuscito male al Comune di Firenze a fare le 'mprese isformate e da lungi; e leggendo questa per adietro si troverrà manifesto.



CCIV - Come i Genovesi co·lloro armata corsono la Catalogna

Nel detto anno, a dì XX d'agosto, si partirono di Genova L galee armate e VI legni di Genovesi per andare sopra i Catalani, per fare vendetta della venuta che feciono l'anno dinanzi sopra la riviera di Genova; e giunti in Catalogna la corsono tutta, le loro riviere, e simile l'isola di Maiolica e di Minorica, e feciono grandi guasti e ruberie in più parti sanza nullo contasto, e presono V galee di Catalani, le quali per paura percossono a terra, e gran parte de la gente lo scamparono, e le galee arsono, e tornarono a Genova sani e salvi a dì XV d'ottobre MCCCXXXII con grande onore.



CCV - Come e perché il Comune di Firenze condannò il Comune di San Gimignano

Nel detto anno, a dì X di settembre, avendo la podestà di San Gimignano con più gente della terra con bandiere levate corso sopra i loro usciti alla villa di Campo Urbiano del contado di Firenze, e quella villa combatterono e arsono, perché riteneano i loro usciti. Per la quale cosa indegnato il Comune di Firenze feciono citare la detta podestà, overo capitano, con più terrazzani di San Gimignano che furono nella detta cavalcata, e non comparirono; onde fu condannato in Firenze il Comune di San Gimignano in libbre Lm, e la detta podestà, ch'era di Siena, e CXLVII uomini di San Gimignano a essere arsi. E volendo il Comune di Firenze far fare l'eseguizione alle loro masnade, il Comune di San Gimignano chiesono misericordia e perdono, rimettendosi a la mercé del popolo e Comune di Firenze liberamente; per la qual cosa fu loro fatta grazia e perdonato a dì X d'ottobre, ribandendo i loro usciti, e rendendo i loro beni, e amendando a que' di Campo Urbiano ogni loro dammaggio a·lloro stimo e degli ambasciadori di Firenze, ch'andarono a vedere il guasto; e così fu fatto.



CCVI - Come il capitano di Milano ricominciò guerra al legato di Lombardia e al re Giovanni

Nel detto anno, del mese d'ottobre, messer Azzo di Milano avendo trattato d'avere la città di Chermona, che si tenea per la Chiesa, e cavalcatavi sua gente, ed entratine parte dentro a la terra per una porta ch'a·lloro fu data per gli traditori, per forza combattendo, dalle masnade della Chiesa che v'erano ne furono cacciati fuori, e rimasonne presi e morti. E poi per questa cagione messer Azzo col signore di Mantova con più di MVc cavalieri venne sopra la città di Modona, e istettevi intorno per XX dì guastandola d'intorno. Per la qual cosa in Bologna ebbe gran paura e sospetto, e il legato ch'era in Romagna per andare nella Marca tornò con sua gente a Bologna in grande fretta, e con grande gelosia e paura di perdere Bologna.



CCVII - Di più fuochi apresi nella città di Firenze

Nel detto anno, a dì XIII di novembre, s'apprese fuoco da San Martino nella via che va in Orto San Michele, e arsono III case e la torre overo palazzo de' Giugni con grande danno di lanaiuoli, che in quelle aveano loro botteghe, e morirvi IIII tra uomini e garzoni. E la sera apresso s'aprese Oltrarno da casa i Bardi, e arsono II case. E quella medesima sera s'apprese al canto di Borgo San Lorenzo, ma poco arse. E poi a dì XVIIII di novembre s'apprese al borgo al Ciriegio, e arse una casa. E a dì XXVI di gennaio di mezzodì s'apprese fuoco contra il campanile vecchio di Santa Reparata da la via di Balla, e arse una casa. E nota che bene si mostra in Firenze la 'nfruenza del pianeto di Mars, che in quella ha potenza, che essendo nel segno del Leone sua tripicitade, è segno di fuoco, che in poco più d'uno anno tanti fuochi s'accesono nella nostra cittade, come appare qui, e poco adietro e innanzi; overo che s'appresono per mala provedenza e guardia; e a questo si dee dare più fede. E non vi maravigliate perché in questo nostro trattato facciamo ricordo d'ogni fuoco apreso nella città di Firenze, che all'altre novità paiono piccolo fatto; ma niuna volta vi s'aprende fuoco, che tutta la città non si commuova, e tutta gente sia sotto l'arme e in grande guardia.



CCVIII - Come l'oste de' marchesi da Ferrara fu sconfitta dal figliuolo del re Giovanni a San Filice

Nel detto anno, essendo a oste la gente de' marchesi da Ferrara coll'aiuto della lega di Lombardia in quantità di MC cavalieri e popolo assai sopra il castello di San Filice nel contado di Modona, della quale oste era capitano messer Giovanni da Campo Sampiero di Padova, e avendo il detto castello molto stretto con battifolli, Carlo figliuolo del re Giovanni si partì di Parma con sua gente, e venne a Modona per soccorrere il detto castello, e il legato da Bologna mandò la sua cavalleria intorno di VIIIc cavalieri alle frontiere di Modona, comandando loro che a richiesta del detto Carlo fossono contra i marchesi. Il detto Carlo avendo novelle come l'oste de' marchesi era molto sparta e male ordinata, come franco duca, sanza attendere l'aiuto dalla gente del legato, ma tuttora gliene crebbe vigore e baldanza, uscì di Modona con VIIIIc cavalieri molto buona cavalleria e con tutto il popolo di Modona; e giunto all'oste de' nimici subitamente gli assalì, e durò la battaglia dalla nona infino passato vespro molto ritenuta. A la fine la gente de·re Giovanni ebbono la vittoria, e di que' della lega de' Lombardi vi rimasono tra morti e presi più di Vc cavalieri e popolo assai; e rimasevi preso il detto messer Giovanni e molti conostaboli; e ciò fu a dì XXV di novembre del detto anno; onde montò molto la grandezza del re Giovanni, e ancora i·legato ne prese vigore; e perché disamava i marchesi, perché liberamente non gli vollono dare la signoria di Ferrara, e incontanente fece loro muovere guerra, e ardere la villa di Consandoli; e' marchesi, tutto fossono sconfitti, corsono in sul bolognese, e arsono la villa di Cierie.



CCIX - Come messer Azzo Visconti tolse la città di Pavia al re Giovanni

Nel detto anno, a l'uscita di novembre, messer Azzo Visconti capitano di Milano prese la città di Pavia che gli fu data da certa parte de' cittadini, la quale tenea la gente del re Giovanni, e corsa la terra combattendo, le masnade del re Giovanni non poterono risistere per la grande potenza di que' di Melano, si ridussono nel forte castello il quale avea fatto fare messer Maffeo Visconti anticamente quando signoreggiava Pavia, e quello tennono francamente più di IIII mesi, attendendo soccorso da Piagenza e da Parma dal figliuolo del re Giovanni e da la gente della Chiesa, e ancora la venuta del re Giovanni in Lombardia, come aveano promesso. Ma il detto castello era tutto affossato e steccato al di fuori per que' di Milano, e con forti battifolli e bastite forniti di grande cavalleria e grandissimo popolo. Ma venuto il re Giovanni in Lombardia con grande potenza di cavalleria, come innanzi faremo menzione, venne all'entrata di marzo con più di MD cavalieri al soccorso del detto castello, e per forza d'arme ruppe alcuno battifolle e isteccato, ma per la forza del luogo pochissima quantità di vittuaglia vi poté mettere dentro. E lui partito, poco tempo appresso fallì a quegli del castello la vivanda; per la qual cosa uno conte tedesco che v'era dentro per lo re Giovanni s'arendé possendosi partire sano e salvo con sue genti; e così fece. Della detta punga molto esaltò il capitano di Milano, e 'l re Giovanni n'abassò.



CCX - Come il re Giovanni andò a Vignone a papa Giovanni

Nel detto anno, del mese di novembre, il re Giovanni venne di Francia a Vignone in Proenza per parlamentare con papa Giovanni, e in sua compagnia menò più baroni e signori di Valdirodano per farsi fare salvocondotto, perché dubitava di venire nelle terre del re Ruberto; e bisognavagli bene, che per contastare la sua venuta il siniscalco di Proenza, messer Filippo di Sangineto, raunò in Vignone più di VI cavalieri gentili uomini di Proenza, e que' di Vignone erano aparecchiati in arme a suo comandamento; ma il papa a priego de' detti signori gli diè licenzia del venire sicuro, e comandò al siniscalco che non gli dovesse offendere. E venuto il re Giovanni in Vignone dinanzi al papa, il papa gli fece grande asalto di parole e minacce, riprendendolo delle sue imprese delle terre di Lombardia e di Lucca, ch'aparteneano alla Chiesa; ma tutto fu opera disimulata, però che tutte sue imprese erano con ordine del re di Francia e del legato di Bologna per abattere i tiranni di Lombardia, e perché il re di Francia per sé, overo per messer Carlotto suo fratello, il quale era sanza reame, cercavano sagretamente col papa d'essere l'uno di loro re in Italia. Il re Giovanni con infinte scuse si rimise a la mercé del papa, e riconciliollo il papa con seco com'era ordinato, e ristette in corte più di XV dì, ciascuno giorno a consiglio sagreto col papa, ove ordinarono più cose segrete, che poco tempo apresso partorirono, e le congiure ordinate furono palesi, come innanzi leggendo faremo menzione. E partitosi il re Giovanni di corte, se n'andò in Francia per seguire la traccia. Lasceremo alquanto degli andamenti del re Giovanni per dire d'altre novità di Toscana, ma tosto torneremo a sua materia, ch'assai ne cresce tra mano.



CCXI - Come i Sanesi sconfissono i Pisani, e poi i Pisani gli cavalcarono infino presso a Siena

Nel detto anno, avendo i Pisani tolta la signoria di Massa in Maremma, come addietro facemmo menzione, i Sanesi co·lloro capitano, in quantità di IIIc cavalieri e popolo assai, cavalcarono al soccorso d'uno castello che' Pisani co' Massetani aveano assediato, ond'era capitano messer Dino della Rocca di Maremma con CC cavalieri e M pedoni. Trovandogli i Sanesi male ordinati, sì gli sconfissono a dì XVI di dicembre nel detto anno co·lloro grande danno, e furonne assai presi e morti, e fu preso il detto capitano. E poi i Sanesi corsono la Valdera infino a Folcole con grande danno de' Pisani. Per la quale sconfitta i Pisani adirati mandarono per soccorso a Lucca e a Parma, e soldarono quanta gente poterono avere, onde in poco tempo ebbono VIIIc buoni cavalieri oltramontani, e feciono loro capitano di guerra Ciupo degli Scolari uscito di Firenze, il quale del mese di febbraio vegnente cavalcò in sul contado di Siena infino al piano di Filetta, guastando e ardendo quanto innanzi si trovarono sanza nullo contasto, e arsono il bagno a Macereto, e poi tornarono in Valle di Strova e a la badia a Spugnole, e in quelle contrade feciono il somigliante, e gli scorridori corsono infino a Camposanto presso a due miglia a Siena, levando grandi prede e faccendo danno assai; e più avrebbono fatto, se non che i Fiorentini mandarono delle loro masnade CC cavalieri a la guardia del castello di Colle, onde i Pisani dubitando si ritrassono, e tornarsi a Pisa con grande onore. I Sanesi richiesono i Fiorentini d'aiuto, e ch'eglino mandassono a Siena le loro masnade per volere combattere co' Pisani quand'erano sopra loro. I Fiorentini nol vollono loro dare per non rompere pace a' Pisani, e per dubbio de' Fiorentini e di loro mercatantie ch'erano in Pisa; onde i Sanesi presono grande isdegno contra i Fiorentini, e tutta l'onta e vergogna e danno ricevuto da' Pisani si riputarono avere ricevuto da' Fiorentini, perché non gli aveano soccorsi.



CCXII - Come il figliuolo del re Giovanni venne a Lucca, e come il detto re Giovanni tornò in Lombardia

Nel detto anno, in calen di gennaio, Carlo figliuolo del re Giovanni venne di Parma a Lucca, e da' Lucchesi gli fu fatto grande onore sì come a·re e a·lloro signore, ma poco vi dimorò in Lucca: ma innanzi ch'egli si partisse volle da' Lucchesi XLm fiorini d'oro, ma a la fine con grande fatica e renzione de' cittadini n'ebbe XXVm; sì che la festa che' Lucchesi feciono della sua venuta tornò loro in amarore e danno. E ciò fatto, il detto Carlo si tornò in Lombardia per vedere il re Giovanni suo padre, il quale tornava di Francia, ed era venuto a Torino all'uscita di gennaio col conastabole del re di Francia, e col conte d'Armignacca, e con quello di Forese, e col maliscalco di Mirapesce, e più altri signori e baroni, e con un fioretto di VIIIc cavalieri eletti di Francia e di Borgogna e di Valdirodano. E dissesi ch'avea avuto da·re di Francia o in dono overo in presto Cm fiorini d'oro. E giunse in Parma a dì XXVI di febbraio, e là si trovò col figliuolo con più di IIm buoni cavalieri, sanza Vc che di sua gente avea nella città di Lucca. E per soccorrere il castello di Pavia e ricoverare la terra si partì di Parma a dì X di marzo con MD cavalieri, e fece la punga a Pavia per lo modo che dicemmo adietro nel capitolo della perdita ch'egli fece della città di Pavia. E non potendo fornire suo intendimento cavalcò in sul contado di Milano, e poi in su quello di Bergamo, faccendo grande dammaggio; ma però il capitano di Milano non si volle partire da oste dal castello di Pavia, né afrontarsi a battaglia col re Giovanni, il quale non potendo avere battaglia si tornò a Parma a dì XXVII di marzo.



CCXIII - Come il legato mandò a' Fiorentini che·ssi partissono dalla lega de' Lombardi

Nel detto anno, dì primo di febbraio, vennono in Firenze ambasciadori del legato, pregando il nostro Comune che si dovessono partire dalla lega de' signori di Lombardia, dicendo ch'erano tiranni e suoi nimici e di santa Chiesa, e allegando molte autorità e ragioni, che la nostra città co·lloro non era né convenevole né bella compagnia, e ch'egli erano stati co' nostri nimici a sconfiggerne. Fu loro risposto che ciò non poteva essere che la lega rimanesse, però ch'ell'era fatta con asentimento di papa Giovanni e del re Ruberto, e contro al Bavero e contro al re Giovanni nostri nimici e di santa Chiesa; e che il legato non facea bene a tenere lega o conversazione col re Giovanni. E per la detta richesta del legato maggiormente si confermò la detta lega per l'avenimento del re Giovanni, con tanta forza di cavalleria quanta menava d'oltramonti, avendo di lui e del legato grande sospetto; e videsi per opera, come per gli seguenti capitoli seguirà. E di certo, se·lla detta lega non fosse fatta e mantenuta, la nostra città portava grande pericolo, però che il legato col re Giovanni aveano ordinato di cominciar guerra da più parti per sottomettere a·lloro la nostra repubblica, ch'a certo la maggiore volontà che·legato avesse era che' Fiorentini gli si dessono come i Bolognesi, e ciò ch'egli adoperava col re Giovanni era a questo fine: e ciò si trovò veramente per lettere trovate, e per gli loro osordi e trattati; e però non fu follia se' Fiorentini s'allegarono col minore nimico per contastare al maggiore e più possente.



CCXIV - Come l'oste del legato sconfissono i marchesi a Consandoli, e poi puosono l'oste a Ferrara, e Fiorentini vi mandarono soccorso

Nel detto anno, a dì VI di febbraio, la cavalleria e gente del legato ch'era in Argenta subitamente cavalcarono a Consandoli, ov'era la gente de' marchesi, e coloro virilmente assalirono e sconfissono, e presono la villa e il porto e tutto il loro navilio; e fu preso Niccolò marchese con XL buoni uomini caporali con grande dammaggio e perdita de' marchesi. Per la quale sconfitta molto abassò lo stato de' marchesi, e montò la signoria e potenzia del legato in tale modo, che di presente sanza indugio, per comandamento del legato, la sua cavalleria, in quantità di MD cavalieri e popolo e navilio grandissimo, si puose ad oste sopra la città di Ferrara. E di presente presono il borgo di contro e l'isola di San Giosso, e poi di giorno in giorno crebbe l'oste; e mandòvi il legato tutti i caporali di Romagna, e al continovo erano nella detta oste i due quartieri del popolo di Bologna e tutta la loro cavalleria; e aveano compreso e quasi chiusa la città di Ferrara e di qua e di là da Po, sì che sanza grande pericolo non vi potea entrare né uscire persona. Onde a' marchesi e a que' della terra di Ferrara parea male stare, e molto isbigottirono per lo sùbito improviso assedio, che non s'erano forniti e non si credeano avere guerra dal legato, e per la sconfitta ricevuta a San Filice erano molto afieboliti. Ed era per perdersi la terra certamente, se non che mandarono per soccorso a' signori di Lombardia ch'erano tenuti alla lega, e al Comune di Firenze. Per la qual cosa i Fiorentini vi mandarono IIIIc cavalieri della migliore cavalleria ch'egli avessono, onde feciono capitano messer Francesco degli Strozzi, e Ugo degli Scali colla 'nsegna del Comune di Firenze, il campo bianco e 'l giglio vermiglio, e di sopra l'arme del re Ruberto. E partirono di Firenze a dì II di marzo, e convenne che facessono per necessità, non potendo andare né da Parma, né da Bologna, né per Romagna, la via per mare a Genova con grande fatica e ispendio, e poi da Genova a Milano, e poi a Verona; e là furono ricevuti da que' signori a grande onore. E la parte de' cavalieri che toccavano della taglia al re Ruberto, per non andare contro a le 'nsegne della Chiesa e del legato, per grazia rimasono a le frontiere da noi a Lucca.



CCXV - Come il re Giovanni venne in Bologna al legato

Nell'anno MCCCXXXIII, a dì III d'aprile, il re Giovanni venne in Bologna al legato, e pasquò co·llui con grande festa; de la quale venuta in Bologna del re Giovanni molto si turbarono i Bolognesi, e male ne parve loro; ma ciò non poterono riparare contro la volontà del legato, anzi convenne loro pagare per comandamento del legato al detto re Giovanni contro a·loro volere fiorini XVm d'oro. E promise al legato d'andare con sua cavalleria nell'oste di Ferrara, sentendo che la lega venia al soccorso e mandòvi innanzi il conte d'Armignacca con IIIc de' suoi cavalieri e le sue insegne, e tornò a Parma per ordinare sua mossa. I Fiorentini veggendo scopertamente la lega fatta tra·re Giovanni e il legato, mandarono sagretamente a' loro cavalieri che non si guardasse per loro reverenza del legato, che l'aveano per loro nimico, dapoi ch'era venuto il re Giovanni a Bologna, e presi gaggi da·llui, e mandata sua gente e sue insegne nell'oste a Ferrara.



CCXVI - Come l'oste del legato ch'era all'assedio di Ferrara fu sconfitta

Essendo l'oste del legato intorno a Ferrara molto ingrossata, e più era per essere giugnendovi il re Giovanni colle sue forze come dovea, quegli della lega di Lombardia dubitando che·lla terra non si perdesse per loro indugio del soccorso, diliberarono di soccorrerla innanzi che vi venisse il re Giovanni; e mandarvi subitamente XVIIc di cavalieri, VIc de' signori della Scala, Vc cavalieri di que' di Milano, CC cavalieri del signore di Mantova, e XXV gazzarre armate in Po, e IIIIc cavalieri del Comune di Firenze. E venuta la detta cavalleria in Ferrara quasi sagreta a que' dell'oste, subitamente presono consiglio d'assalire l'oste; ma quella essendo molto afforzata di fossi e di palizzi, ciascuna masnada rifiutava d'assalire da quella parte, e in ciò ebbe tra·lloro grande contesa. A la fine i capitani che v'erano per gli Fiorentini francamente promisono di fare la 'mpresa coll'avogaro di Trevigi e Spinetta marchese, insieme con uno fioretto di CL cavalieri delle masnade de' signori della Scala, intra' quali avea più di XL usciti di Firenze gentili uomini, i quali tutti di grande e buono volere sotto la bandiera del nostro Comune si ridussono, e non lasciando, perché in quella fosse al di sopra il rastrello e l'arme del re Ruberto. E uscirono per la porta che va a Francolino, per assalire l'oste da la parte ov'era più forte di fossi e di steccati. Tutta l'altra gente della terra a cavallo e a piè uscirono per la porta del Leone, a uno cenno di campana, e simile il navilio per Po per assalire il ponte da San Gioso. L'asalto fu forte e sùbito, ma niente aprodava per le barre e tagliate e fosse ch'erano tra la terra e l'oste, se non che la gente de' Fiorentini cogli altri detti di sopra assalirono al di dietro dell'oste, e per forza di spianatori feciono uno stretto valico al fosso e ruppono alquanto dello steccato; il quale per lo sùbito e improviso assalto da tante parti con grida e suono di campane e di stormenti, e quasi come isbalorditi que' dell'oste, male fu difeso, sì che con grande affanno quasi uno innanzi altro salirono in su lo spianato del campo, i quali schierati in sul detto campo trovarono ivi presso il conte d'Armignacca, con quasi tutta la cavalleria di Linguadoco e colle insegne del re Giovanni in quantità di VIc cavalieri, i quali francamente i nostri gli asalirono; e 'l conte e sua gente si difesono e sostennono vigorosamente con ritenuta battaglia più di spazio d'una ora, non sappiendo qual parte s'avesse il migliore; e in tutta la detta oste non ebbe altra gente che punto reggesse o combattesse. Alla fine per la nostra buona gente e buoni capitani, i quali ciascuno fece il dì maraviglia in arme, ebbono la vittoria, e que' dell'oste della schiera del conte furono sconfitti e rotti. E ciò fatto, tutta l'altra oste si mise in volta e in fugga; ma poco valse il fuggire, che per lo fiume del Po, e per le gazzarre e legni armati che v'erano all'asalto, quasi non ne scamparono se non pochi che si misono a nuoto, che tutti furono o presi o morti o annegati in Po; e cadde il ponte di San Gioso per lo carico grande della gente che fuggia, onde molti n'anegarono, e rimasevi preso il conte d'Armignacca, e l'abate di Granselva, e tutti i baroni di Linguadoco, e' signori di Romagna, e la cavalleria di Bologna, che non furono morti a la battaglia.

La detta dolorosa sconfitta fu a dì XIIII d'aprile MCCCXXXIII, per la quale isconfitta molto abassò la potenzia e signoria del legato, e lo stato de·re Giovanni molto n'afiebolìo. E' signori di Ferrara e le masnade della lega tutti furono ricchi di pregioni e di preda. Ma pochi dì apresso i marchesi per avere l'amore de' Bolognesi lasciarono tutti i popolani di Bologna, e poco apresso la cavalleria e' signori di Romagna, per recarglisi ad amici e torgli al legato.



CCXVII - Di fuochi e altre novità state nella città di Firenze

Nel detto anno MCCCXXXIII s'apprese fuoco in Firenze dì XVIIII d'aprile di notte da la porta dell'alloro da Santa Maria Maggiore, e arsevi una casa. E poi a dì XVII di luglio s'apprese in Parione, e arsene un'altra. E in questo anno si cominciò a fondare la grande porta da San Friano, overo da Verzaia, e fu molto isformata a comparazione dell'altre della città; e furonne assai ripresi gli uficiali che·lla feciono cominciare. E in questo anno, uno mese innanzi la festa di san Giovanni, sì feciono in Firenze due brigate d'artefici, l'una nella via Ghibellina, tutti vestiti a giallo, e furono bene CCC; e nel Corso de' Tintori dal ponte Rubaconte fu l'altra brigata vestiti a bianco, e furono da Vc. E durò da uno mese continuo giuochi e sollazzi per la città, andando a due a due per la terra con trombe e più stormenti, e colle ghirlande in capo danzando, col loro re molto onorevolemente coronato e con drappo ad oro sopra capo, e alla loro corte faccendo al continuo e cene e desinari con grandi e belle spese. Ma la detta allegrezza poco tempo apresso tornò in pianto e dolore, spezialmente in quelle contrade, per cagione del diluvio che venne in Firenze, e più gravò là che in altra parte della città, come innanzi faremo menzione; e parve segno per contrario della futura aversità, sì come le più volte aviene delle false e fallaci felicità temporali, che dopo la soperchia allegrezza segue soperchio amarore. E ciò è bene da notare per assempro di noi e di chi apresso di noi verrà.



CCXVIII - Di certi andamenti del re Giovanni a Bologna a richesta del legato

Nel detto anno, a dì XV di maggio, dopo la detta sconfitta da Ferrara il legato dubitando di suo stato mandò per lo re Giovanni, il quale venne di Parma a Bologna a parlamentare co·llui con poca compagnia, e tosto si partì con moneta ch'ebbe dal legato. Ma poi a dì VIII di giugno ritornò a Bologna con IIm cavalieri per andare in Romagna, e fare soccorrere il castello di Mercatello in Massa Tribara ch'era assediato dagli Aretini. Della quale venuta i Bolognesi ebbono grande paura e sospetto, che 'l re Giovanni non gli volesse signoreggiare, e rimettervi i Ghibellini. Ma dimorando lui in Bologna, gli Aretini ebbono per patti il detto castello per lo 'ndugio del soccorso del re Giovanni; e dissesi palese che 'l re Giovanni sì come amico degli Aretini, e a·lloro preghiera e per animo di parte ghibellina, indugiò il soccorso. Per la qual cosa il legato s'indegnò co·llui, e partissi da Bologna sanza suo congio a dì XV di giugno, e tornossi in Parma. E poi a dì XVI di luglio il detto re Giovanni venne alla città di Lucca, e fecevi fare a' Lucchesi una imposta di XVm fiorini d'oro per pagare sua gente; e quella ricolta, a dì XIII d'agosto si partì di Lucca egli e 'l figliuolo, e andonne a Parma.



CCXIX - Come furono morti il conte dell'Anguillara e Bertoldo degli Orsini da' Colonnesi

Nel detto anno, a dì VI di maggio, essendo stata lungamente briga tra' Colonnesi e gli Orsini di Roma, essendo il conte dall'Anguillara con Bertoldo di messer... degli Orsini suo cognato, vegnendo per certo trattato d'accordo per accozzarsi con messer Stefano della Colonna e con gli altri, Stefanuccio di Sciarra della Colonna con sua compagnia di gente d'arme a cavallo mise uno aguato fuori del castello di Cesaro, e improviso assalirono i detti Bertoldo Orsini e il detto conte, i quali di ciò non si guardavano ed erano meno gente di loro. Veggendosi assalire si difesono vigorosamente, ma per lo soperchio furono rotti, e' detti Bertoldo e il conte morti, il quale Bertoldo era il più ridottato uomo di Roma e il più valentre; e di lui fu grande danno, e molto ne furono ripresi i Colonnesi, sì per lo tradimento, e ancora perché per quante guerre erano state tra gli Orsini e' Colonnesi insieme, mai in loro persone non s'erano né morti né fediti, e questo fu cominciamento di molto male; e però n'avemo fatta menzione.



CCXX - Come i Saracini presono il forte castello di Giubeltaro in Ispagna

Nel detto anno, del mese di giugno, i Saracini di Morrocco e quegli di Granata, sentendo che 'l forte castello di Giubeltaro in Ispagna, che anticamente fu loro, era male fornito di vittuaglia e per la carestia ch'era al paese, e per certo trattato subitamente con grande navilio e esercito di gente a cavallo e a piè vi vennono per mare e per terra, e quello in pochi giorni per tradimento del castellano ebbono a patti per molti danari gli diedono; tutto fosse mal fornito, si potea tenere tanto che fosse soccorso. Come il re di Spagna il seppe, incontanente v'andò a oste con tutto suo podere, e avrebbelo riavuto assai tosto, perché ancora non era bene fornito per lo sùbito soccorso del re di Spagna, se non che, come piacque a Dio, per fortuna di mare il navilio del re di Spagna partito di Sibilia col foraggio e fornimento dell'oste soprastette più giorni, onde l'oste de' Cristiani ebbe grande soffratta di vittuaglia, e per necessità gli convenne partire; e se i Saracini di Granata l'avessono saputo, non ne campava uomo, che non fosse morto o preso. E partita la detta oste, III dì appresso vi giunse il detto navilio col fornimento, ma il soccorso fu invano. E così aviene sovente de' casi della guerra, come dispone Idio per le peccata.



CCXXI - Come il re Adoardo il giovane sconfisse gli Scotti a Vervicche

Nel detto anno, a dì XVIIII di luglio, essendo il re Adoardo il giovane d'Inghilterra con grande oste d'Inghilesi e d'altra gente sopra la città, overo terra, di Vervicche, ch'è a' confini tra l'Inghilterra e la Scozia, gli Scotti per soccorrere la terra vi vennono col loro re, ch'avea nome Davit, figliuolo che fu del valente Ruberto di Brus re di Scozia, onde adietro è fatta menzione, e con tutto loro isforzo degli Scotti, i quali sanza indugio s'affrontarono a battaglia con gl'Inghilesi. E per la buona cavalleria ch'avea il re d'Inghilterra, e di Fiandra e di Brabante e d'Analdo, onde fu capitano messer Amerigo di Bielmonte, mise gli Scotti in isconfitta; e rimasonvi tra morti e presi più di XXVm uomini, ch'erano quasi tutti a piè. E avuta il re d'Inghilterra la detta vittoria, pochi dì apresso gli s'arendé la terra di Vervicche liberamente. La detta guerra ricominciò in questo modo, come facemmo menzione, al tempo del buono Adoardo il vecchio, avolo di questo giovane Adoardo: grandi guerre e battaglia furono intra·llui e 'l re Ruberto di Brus, onde poi fu pace; e morto il re Ruberto di Brus rimase suo figliuolo il detto Davit piccolo fanciullo; e lui cresciuto in età, il detto Adoardo il giovane gli diede per moglie la serocchia, e coronollo del reame di Scozia faccendolo ugnere re, che mai più niuno in Iscozia fu unto e sagrato, riconoscendo da·llui il reame con certo omaggio. Il detto Davit per suduzione di Filippo di Valos re di Francia si rubellò dal re d'Inghilterra, e colla moglie passò in Francia; per la qual cosa si rinovellò l'antica guerra tra gl'Inghilesi e gli Scotti; onde il re d'Inghilterra cassò il detto Davit de·reame di Scozia, e fecelo suo ribello, ed elesse e coronò per re di Scozia Ruberto di Bagliuolo consorto per nazione di Ruberto di Brus, e imprese la detta guerra, onde nacque la detta sconfitta. E tutto che 'l re d'Inghilterra avesse la vittoria nella detta guerra, morirono il conte d'Eriforte e due altri suoi cugini e più altri grandi baroni d'Inghilterra. Avemo steso la detta ricominciata guerra, perché ne surse e nacque poi la grande guerra tra 'l re di Francia e d'Inghilterra, come innanzi farà menzione.



CCXXII - Come il Dalfino di Vienna fu morto dalla gente del conte di Savoia

Nel detto anno, all'uscita del mese di luglio, essendo il Dalfino di Vienna ad assedio dell'Amperiera, castello del conte di Savoia, con MVc cavalieri tra di sua gente e d'amici, volendo il detto Dalfino fare dare battaglia al detto castello, e andando in persona disarmato proveggendo intorno a quello, gli venne uno quadrello di balestro grosso per tale modo che, lui recato al padiglione e sferrato, passò di questa vita. E però è follia a' prencipi di mettersi a sì fatte cerche disarmati, che mettono a pericolo loro e tutta loro oste. Ma per la morte del Dalfino i suoi baroni e cavalieri non abandonarono l'assedio, ma come franchi e valenti, tanto vi stettono ch'ebbono il castelletto per forza, e quanti dentro vi trovarono tutti gli manganarono fuori delle mura; e poi corsono il paese e terre di Savoia sanza contasto niuno. Apresso lui fu fatto Dalfino messer Uberto suo fratello, il quale era a Napoli col re Ruberto suo zio, il quale venuto in suo paese per consiglio di papa Giovanni e del re Ruberto, per cagione che 'l re di Francia domandava al papa di volere il reame di Vienna e d'Arli, sì si pacificò col conte di Savoia, perché il re di Francia non gli signoreggiasse.



CCXXIII - Come il re d'Ungheria venne a Napoli, e il figliuolo isposò la figlia del duca di Calavra

Nel detto anno, l'ultimo dì di luglio, Carlo Umberto re d'Ungheria con Andreas suo secondo figliuolo con molta baronia arrivaro alla terra di Bestia in Puglia, e loro venuti a Manfredonia, da messer Gianni duca di Durazzo e fratello del re Ruberto con molta baronia furono ricevuti a grande onore, e conviati infino a Napoli; e là vegnendo, il re Ruberto gli si fece incontro infino a' prati di Nola, basciandosi in bocca con grandi acoglienze, e ordinovisi e fecesi fare per lo re una chiesa a onore di nostra Donna per perpetua memoria di loro congiunzione. E poi giunti in Napoli, si cominciò la festa grande, e fu molto onorato il re d'Ungheria dal re Ruberto, il quale era suo nipote, figliuolo che fu di Carlo Martello primogenito del re Carlo secondo, il quale per molti si dicea ch'a·llui succedea il reame di Cicilla e di Puglia; e per questa cagione parendone al re Ruberto avere coscienza, e ancora perch'era morto il duca di Calavra figliuolo del re Ruberto; e nonn-era rimaso di lui altro che due figliuole femmine, né·re Ruberto non avea altro figliuolo maschio, innanzi che 'l reame tornasse ad altro lignaggio sì volle il re Ruberto che dopo lui succedesse il reame al figliuolo del detto re d'Ungheria suo nipote. E per dispensagione e volontà di papa Giovanni e di suoi cardinali sì fece sposare al detto Andreas, ch'era d'età di VII anni, la figliuola maggiore che fu del duca di Calavra, ch'era d'età di V anni, e lui fece duca di Calavra a dì XXVI di settembre del detto anno con grande festa, a la quale il Comune di Firenze mandò VIII ambasciadori de' maggiori cavalieri e popolani di Firenze, con L famigliari tutti vestiti d'una assisa per fare onore a' detti re, i quali molto gradiro. E compiuta la detta festa, poco apresso si partì il re d'Ungheria e tornò in suo paese, e lasciò a Napoli il figliuolo co la moglie alla guardia del re Ruberto con ricca compagnia.



CCXXIV - Come fu fatta pace tra' Pisani e' Sanesi

Nel detto anno, a dì II di settembre, essendo stato lungo trattato d'accordo da' Pisani a' Sanesi della guerra avuta insieme per cagione della città di Massa, menato per lo Comune e vescovo di Firenze, i quali in ciò molto s'adoperaro, vi si diè compimento nella città di Firenze, ov'era grande ambasceria dell'uno Comune e dell'altro in questo modo: che Massa rimanesse libera rimettendo dentro ogni parte che n'era fuori, e non v'avessono affare né Pisani né Sanesi, ma che il detto vescovo di Firenze vi mettesse la signoria per tre anni a sua volontà, il quale al continuo vi mettea signoria di Firenze; di questa pace furono mallevadori per l'uno Comune e per l'altro il Comune di Firenze, con pena di diecimila marchi d'argento a pagare per la parte che·lla pace rompesse a l'altra. La quale pace poco tempo s'attenne per gli Sanesi, come innanzi farà menzione.



CCXXV - Come la città di Forlì e quella d'Arimino e di Cesena in Romagna si rubellarono al legato

Nel detto anno MCCCXXXIII, domenica a dì XVIIII di settembre, Francesco di Sinibaldo Ordilaffi, il quale era cacciato di Forlì per lo legato, entrò in Forlì nascosamente in uno carro di fieno; e come fu nella città mandò per tutti i suoi amici, caporali della terra, da' quali molto era amato per li suoi antichi; e saputa la sua venuta, furono molto allegri, perché parea loro male stare alla signoria de' Caorsini e di Linguadoco. E incontanente feciono armare tutto il popolo, e corsono a la piazza gridando: "Viva Francesco, e muoia il legato, e chi è di Linguadoco!", e corsono la terra, e rubarono gli uficiali del legato, e alquanti ne furono morti, e gli altri che scamparono si fuggirono a Faenza. E poi il mercoledì apresso, a dì XXII di settembre, messer Malatesta d'Arimino con suoi seguaci entrò in Rimino con CC cavalieri e pedoni assai per una porta che gli fu data da que' della terra, e corse la terra, e uccisono e rubarono e presono quanta gente v'avea dentro del legato, ch'erano più di cinquecento tra a cavallo e a piè, che non ne poté fuggire alcuno. E simile in que' dì si rubellò la città di Cesena per gli cittadini medesimi, salvo il castello ch'era molto forte; in quello si ridussono le masnade del legato, ma quello assediato d'entro e di fuori per que' di Cesena e per gli altri Romagnuoli, afossandolo e steccandolo d'intorno, il quale non avendo soccorso dal legato, s'arrenderono poi all'entrante di gennaio, salve le persone. E nota che non fu sanza cagione la detta rubellazione; intra·ll'altre maggiori fu perché tutti i signori e caporali di Romagna furono presi alla sconfitta di Ferrara in servigio della Chiesa e del legato, e convennonsi ricomperare, e per loro redenzione il legato come ingrato signore non li volle sovenire di niente, né solamente prestare loro di sua moneta.



CCXXVI - Come i figliuoli che furono di Castruccio vollono torre Lucca al re Giovanni e come egli si partì d'Italia, e lasciò Lucca a' Rossi di Parma

Nel detto anno avendo il re Giovanni di Buem intendimento di partirsi d'Italia, veggendo che·lle sue imprese non gli riuscivano prospere come s'avisava, essendo in Parma cercò per più trattati di vendere la città di Lucca, e co' Fiorentini e co' Pisani e con altri. Ma alla fine parendogli vergogna di ciò fare, non vi diede compimento. Sentendo questo i figliuoli che furono di Castruccio, dubitando di non perdere loro stato, i quali il re Giovanni tenea seco istadichi in Parma per sospetto di loro, nascosamente si partirono di Parma e vennono in Carfagnana, e co·lloro seguaci di Lucca e di fuori ordinarono di torre e rubellare la città di Lucca al re Giovanni. E a dì XXV di settembre del detto anno la notte entrarono in Lucca con grande séguito di gente a·ccavallo e a·ppiè, e corsono la terra, e furonne signori quello dì e·ll'altro seguente, salvo del castello dell'Agosta, nel quale si ridussono le masnade del re Giovanni ch'erano in Lucca. Sentendo il re Giovanni la partita de' figliuoli di Castruccio e·lla detta cospirazione, subitamente si partì di Parma con parte di sua gente, e in meno di due dì fu venuto a·lLucca; cioè fu lunedì sera a dì XXVII di settembre; e per lo sùbito avenimento di lui, ch'a pena si potea credere per gli Lucchesi se non quando il vidono, e giunto in Lucca, la sua gente corsono la terra; e·lla notte medesima i figliuoli di Castruccio e·lloro seguaci si partirono di Lucca e andarne in Carfagnana; i quali il re Giovanni fece isbandire come traditori. E alquanti giorni apresso dimorò in Lucca; ma innanzi si partisse trasse da' Lucchesi quanta moneta poté avere, e·ppoi lasciò a' Rossi di Parma la guardia e·lla signoria della città di Lucca, e impegnolla loro per XXXVm di fiorini d'oro ch'ebbe da·lloro contanti, e tornato in Parma, incontanente si partì col figliuolo e con certi caporali di sua gente a dì XV d'ottobre del detto anno, e andossene nella Magna lasciando Parma e·lLucca alla signoria de' Rossi, e Reggio alla signoria di quegli da Fogliano, e Modona alla signoria di que' di casa i Pigli, e da ciascuno ebbe moneta assai. Tale e così onorevole fu la partita di Lombardia e di Toscana del re Giovanni, ch'al cominciamento ch'egli venne in Italia ebbe dalla fallace fortuna tanta prosperità con poca fatica, avendo ferma speranza d'essere in poco di tempo al tutto re e·ssignore d'Italia coll'aiuto della Chiesa e del suo legato, e col favore del re di Francia, la quale al tutto gli tornò in vano.



CCXXVII - D'una grande quistione che mosse papa Giovanni che l'anime beate non poteano vedere Iddio perfettamente infino al dì del giudicio

Nel detto anno MCCCXXXIII si piuvicò per papa Giovanni apo Vignone, con tutto che più di due anni dinanzi l'avesse conceputo e trovato, l'opinione della visione dell'anime quando sono passate di questa vita, cioè ch'egli sermonò in piuvico concestoro per più volte dinanzi a tutti suoi cardinali e prelati di corte che niuno santo, eziandio santa Maria, non può perfettamente vedere la beata speme, cioè Iddio in trinitade, la qual'è la vera deitade, ma dicea che·ssolo possono vedere l'umanità di Cristo la quale prese della vergine Maria; e·lla detta visione imperfetta dicie che durerebbe infino al chiamare dell'angelica tromba, ciò fia quando il figliuolo di Dio verrà a giudicare i vivi e' morti, dicendo a' beati: "Venite benedicti patris mei, percipite regnum, etc."; e de converso, cioè a' dannati: "Ite maladetti in ignem etternum"; d'allora inanzi per gli beati perfettamente sarà in loro la visione chiara della vera e infinita deità; e così sarà il contradio delle pene de' dannati, che sì come per lo merito del bene fare infino al detto giorno la loro beatitudine fia imperfetta e non compiuta, così dicie e s'intendea del male avere fatto la pulizione e·lla pena e 'l supplicio essere imperfetti. Onde nota che non mostrava per lo suo oppinione che inferno sia infino al dire della parola "Ite maladitti etc.". Questo suo oppenione provava e argumentava per molte autorità e detti di santi; la quale quistione dispiaceva alla maggiore parte de' cardinali; nondimeno e' comandò loro e a tutti i maestri e prelati di corte sotto pena di scomunicazione che ciascuno studiasse sopra la detta quistione della visione de' santi, e facessene a·llui relazione, secondo che ciascuno sentisse o del pro o del contro, tuttora protestando che infino allora nonn-avea diterminato ad alcuna delle parti, ma ciò che-nne dicea e proponea era per via di disputazione e d'esercizio di trovare il vero. Ma con tutte le sue protestagioni di certo si dicea e vedea per opera ch'egli sentiva e credeva al detto oppinione; però che qualunque maestro o prelato gli recava alcuna autorità o detto di santi che in alcuna parte favorasse il detto suo oppinione, il vedea volentieri, e gli faceva grazia d'alcuno benificio. Il quale oppinione sermonandolo a Parigi il ministro generale de' frati minori, il quale era del paese del papa e sua criatura, fu riprovato per tutti i maestri di divinità di Parigi, e per gli frati predicatori e romitani e carmelliti, e per lo re Filippo di Francia il detto ministro fu forte ripreso dicendogli ch'egli era eretico, e che s'egli non si riconoscesse del detto errore, il farebbe morire come paterino, però che suo reame non sostenea nulla resia; ed eziandio se 'l papa medesimo ch'avea mosso il detto falso oppinione il volesse sostenere, il riproverebbe per eretico, dicendo laicamente, come fedele Cristiano, che invano si pregherebbono i santi, o avrebbesi speranza di salute per gli loro meriti, se nostra Donna santa Maria e santo Giovanni e santo Piero e Paolo e gli altri santi non potessono vedere la deità infino al dì del giudicio, e avere perfetta beatitudine in vita etterna; e che per quella oppinione ogni indulgenza e perdonanza data per antico per santa Chiesa, o che si desse, era vana; la qual cosa sarebbe grande errore e guastamento della fede cattolica. E convenne che innanzi si partisse il detto ministro sermonasse il contradio, dicendo che ciò ch'avea detto era in quistionando, ma la sua credenza era quella che santa Chiesa era consueta di credere e predicare. E sopra ciò il re di Francia e lo re Ruberto ne scrissono a papa Giovanni riprendendolo cortesemente, che con tutto che 'l detto oppinione sostenesse in quistionando per trovare il vero, non si convenia a papa di muovere le quistioni sospette contra la fede cattolica, ma chi le movesse dicidere e istirpare. Della qual cosa molto furono contenti la maggiore parte de' cardinali, i quali ripugnavano il detto oppinione. E per questa cagione il re di Francia prese grande audacia sopra papa Giovanni e no·llo richiedea di quella grazia o cosa ch'egli domandasse, ch'egli osasse disdire. E fu grande cagione perché papa Giovanni condiscese al re di Francia in dargli intendimento della signoria d'Italia e dello imperio di Roma per gli trattati mossi per lo re Giovanni, come in alcuna parte avemo fatta menzione, e faremo per lo 'nanzi. Il sopradetto oppinione si quistionò in corte mentre che papa Giovanni vivette, e poi per più d'uno anno; alla fine si dichiarò e fu riprovato, come innanzi leggendo si potrà trovare. Lasceremo della detta quistione, ch'assai n'avemo detto, e torneremo a nostra materia de' fatti della nostra città di Firenze per contare d'una grande aversità e pericolo di diluvio d'acqua che venne in quegli tempi in quella, la quale è bene da farne distesa memoria, che fu delle maggiori novità e pericolo che mai ricevesse la città di Firenze dapoi ch'ella fu rifatta. E però cominceremo in raccontando quello diluvio il XII libro, però che ne pare che si convenga, però che fu quasi uno rimutamento di secolo della nostra città.



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