Tomo terzo



LIBRO DODECIMO



I - Qui comincia il libro dodecimo, il quale, nel suo cominciamento faremo memoria d'uno grande diluvio d'acqua che venne in Firenze e quasi in tutta Toscana

Nelli anni di Cristo MCCCXXXIII, il dì di calen di novembre, essendo la città di Firenze in grande potenzia, e in felice e buono stato, più che fosse stata dalli anni MCCC in qua, piacque a Dio, come disse per la bocca di Cristo nel suo Evangelio: "Vigilate, che·nnon sapete il dìe né l'ora del iudicio Dio", il quale volle mandare sopra la nostra città; onde quello dì de la Tusanti cominciòe a piovere diversamente in Firenze ed intorno al paese e ne l'alpi e montagne, e così seguì al continuo IIII dì e IIII notti, crescendo la piova isformatamente e oltre a modo usato, che pareano aperte le cataratte del cielo, e con la detta pioggia continuando grandi e spessi e spaventevoli tuoni e baleni, e caggendo folgori assai; onde tutta gente vivea in grande paura, sonando al continuo per la città tutte le campane delle chiese, infino che non alzòe l'acqua; e in ciascuna casa bacini o paiuoli, con grandi strida gridandosi a Dio: "Misericordia, misericordia!" per le genti ch'erano in pericolo, fuggendo le genti di casa in casa e di tetto in tetto, faccendo ponti da casa a casa, ond'era sì grande il romore e 'l tumulto, ch'apena si potea udire il suono del tuono. Per la detta pioggia il fiume d'Arno crebbe in tanta abondanza d'acqua, che prima onde si muove scendendo de l'alpi con grande rovina ed empito, sì che sommerse molto del piano di Casentino, e poi tutto il piano d'Arezzo, del Valdarno di sopra, per modo che tutto il coperse e scorse d'acqua, e consumòe ogni sementa fatta, abbattendo e divellendo li alberi, e mettendosi inanzi e menandone ogni molino e gualchiere ch'erano in Arno, e ogni edificio e casa presso a l'Arno che fosse non forte; onde periro molte genti. E poi scendendo nel nostro piano presso a Firenze, acozzandosi il fiume della Sieve con l'Arno, la qual era per simile modo isformata e grandissima, e avea allagato tutto il piano di Mugello, non pertanto che ogni fossato che mettea inn-Arno parea un fiume, per la quale cosa giuovedì a nona a dì IIII di novembre l'Arno giunse sì grosso a la città di Firenze, ch'elli coperse tutto il piano di San Salvi e di Bisarno fuori di suo corso, in altezza in più parti sopra i campi ove braccia VI e dove VIII e dove più di X braccia; e fue sì grande l'empito de l'acqua, non potendola lo spazio ove corre l'Arno per la città ricevere, e per cagione e difetto di molte pescaie fatte infra la città per le molina, onde l'Arno per le dette pescaie era alzato oltre l'antico letto di più di braccia VII; e però salì l'altezza de l'acqua alla porta de la Croce a Gorgo e a quella del Renaio per altezza di braccia VI e più; e ruppe e mise in terra l'antiporto de la detta porta, e ciascuna delle dette porte per forza ruppe e mise in terra. E nel primo sonno di quella notte ruppe il muro del Comune di sopra al Corso de' Tintori incontro a la fronte del dormentorio de' frati minori per ispazio di braccia CXXX; per la quale rottura venne l'Arno più a pieno ne la città, e addusse tanta abondanza d'acqua, che prima ruppe e guastò il luogo de' frati minori, e poi tutta la città di qua da l'Arno; generalmente le rughe coperse molto, e allagò ove più e ove meno; ma più nel sesto di San Piero Scheraggio e porte San Piero e porte del Duomo, per lo modo che chi leggerà per lo tempo avenire potrà comprendere i termini fermi e notabili onde faremo menzione apresso. Nella chiesa e Duomo di San Giovanni salì l'acqua infino al piano di sopra de l'altare, più alto che mezze le colonne del profferito dinanzi a la porta. E in Santa Liperata infino a l'arcora de le volte vecchie di sotto al coro; e abbatté in terra la colonna co la croce del segno di san Zanobi ch'era ne la piazza. E al palagio del popolo ove stanno i priori salì il primo grado della scala ove s'entra, incontro a la via di Vacchereccia, ch'è quasi il più alto luogo di Firenze. E al palagio del Comune ove sta la podestà salì nella corte di sotto dove si tiene la ragione braccia VI. Alla Badia di Firenze, infino a piè de l'altare maggiore, e simile salì a Santa Croce al luogo de' frati minori infino a piè de l'altare maggiore; e in Orto San Michele e in Mercato Nuovo salì braccia II; e in Mercato Vecchio braccia II, per tutta la terra. E Oltrarno salìo ne le rughe lungo l'Arno in grande altezza, spezialmente da San Niccolò, e in borgo Pidiglioso, e in borgo San Friano, e da Camaldoli, con grande disertamento delle povere e minute genti ch'abitavano in terreni. In piazza infino a la via traversa, e in via Maggio infino presso a San Felice. E il detto giuovidì ne l'ora del vespro la forza e empito de l'acqua del corso d'Arno ruppe la pescaia d'Ognesanti e gran parte del muro del Comune, ch'è a lo 'ncontro e dietro al borgo a San Friano, in due parti, per ispazio di braccia più di Vc. E la torre de la guardia, ch'era in capo del detto muro, per due folgori fu quasi tutta abattuta. E rotta la detta pescaia d'Ognesanti, incontanente rovinò e cadde il ponte alla Carraia, salvo due archi dal lato di qua. E incontanente apresso per simile modo cadde il ponte da Santa Trinita, salvo una pila e un arco verso la detta chiesa, e poi il ponte Vecchio è stipato per la preda de l'Arno di molto legname, sì che per istrettezza del corso l'Arno che v'è salì e valicò l'arcora del ponte, e per le case e botteghe che v'erano suso, e per soperchio dell'acqua l'abatté e rovinò tutto, che non vi rimase che due pile di mezzo. E al ponte Rubaconte l'Arno valicò l'arcora dal lato, e ruppe le sponde in parte, e intamolò in più luogora; e ruppe e mise in terra il palagio del castello Altafronte, e gran parte de le case del Comune sopr'Arno dal detto castello al ponte Vecchio. E cadde in Arno la statua di Mars, ch'era in sul pilastro a piè del detto ponte Vecchio di qua. E nota di Mars che li antichi diceano e lasciarono in iscritta che quando la statua di Mars cadesse o fosse mossa, la città di Firenze avrebbe gran pericolo o mutazione. E non sanza cagione fu detto, che per isperienza s'è provato, come in questa cronica farà menzione. E caduto Mars, e quante case avea dal ponte Vecchio a quello da la Carraia, e infino alla gora lungo l'Arno rovinato, e in borgo Sa·Iacopo, eziandio tutte le vie lung'Arno di qua e di là rovinaro, che a riguardare le dette rovine parea quasi uno caos; e simile rovinaro molte case male fondate per la città in più parti. E se non fosse che la notte vegnente rovinò del muro del Comune dal prato d'Ognesanti da braccia CCCCL per la forza dell'acqua, la quale rottura sfogò l'abondanza della raccolta acqua, onde la città era piena e tuttora crescea, di certo la città era in grande pericolo, e per montare l'acqua in tutte parti della città il doppio che non fece; ma rotto il detto muro, tutta l'acqua ch'era ne la città ricorse con grande foga a l'Arno, e fu venuta quasi meno e nella città fuori del corso d'Arno il venerdì ad ora di nona, lasciando la città e tutte le vie e case e botteghe terrene e volte sotterra, che molte n'avea in Firenze, piene d'acqua di puzzolente mota, che non si sgombrò in sei mesi; e quasi tutti i pozzi di Firenze guastò, e si convennero rifondare per lo calo del letto d'Arno. E seguendo il detto diluvio apresso la città verso ponente, tutto il piano di Legnaia, e d'Ertignano, e di Settimo, d'Ormannoro, Campi, Brozzi, Sammoro, Peretola, e Micciole infino a Signa, e del contado di Prato, coperse l'Arno diversamente in grande altezza, guastando i campi, vigne, menandone masserizie, e le case e molina e molte genti e quasi tutte le bestie; e poi passato Montelupo e Capraia, e per la giunta di più fiumi che di sotto a Firenze mettono in Arno, i quali ciascuno venne rabbiosamente rovinando tutti i loro ponti. Per simile modo e maggiormente coperse l'Arno e guastò il Valdarno di sotto, e Pontormo e Empoli e Santa Croce e Castelfranco, e gran parte de le mura di quelle terre rovinaro, e tutto il piano di San Miniato e di Fucecchio e Montetopoli e di Marti al Ponte ad Era. E giugnendo a Pisa sarebbe tutta sommersa, se non che l'Arno sboccò dal fosso Arnonico e dal borgo a le Capanne nello stagno; il quale stagno poi fece un grande e profondo canale infino in mare, che prima non v'era; e da l'altro lato di Pisa isgorgò ne li Osori e mise nel fiume del Serchio; ma con tutto ciò molto allagò di Pisa, e fecevi gran danno, e guastò tutto 'l piano di Valdiserchio e intorno a Pisa, ma poi vi lasciò tanto terreno, che alzò in più parti due braccia con grande utile del paese. Questo diluvio fece alla città e contado di Firenze infinito danno di persone intorno di IIIc, tra maschi e femine, piccioli e grandi, ch'al principio si credea di più di IIIm, e di bestiame grande quantità, di rovina de' ponti e di case e molina e gualchiere in grande numero, che nel contado non rimase ponte sopra nullo fiume e fossato che non rovinasse; di perdita di mercatantie, panni lani di lanaiuoli per lo contado, e d'arnesi, e di masserizie, e del vino, che·nne menòe le botti piene, assai ne guastòe; e simile di grano e biade ch'erano per le case, sanza la perdita di quello ch'era seminato, e il guastamento e rovina delle terre e de' campi; l'acqua coperse e guastò, i monti e piaggie ruppe e dilaniò, e menò via tutta la buona terra. Sì che a stimare a valuta di moneta il danno de' Fiorentini, io che vidi queste cose per nullo numero le potrei né saprei adequare, né porrevi somma di stima; ma solo il Comune di Firenze sì peggiorò di rovina di ponti e mura di Comune e vie, che più di CLm di fiorini d'oro costaro a·rrifare. E questo pericolo non fu solamente in Firenze e nel distretto, con tutto che l'Arno per la sua disordinata abondanza d'acqua in quella peggio facesse, ma dovunque hae fiumi o fossati in Toscana e in Romagna, crebbono per modo che tutti i loro ponti ne menaro e usciro di loro termini, e massimamente il fiume del Tevero, e copersono le loro pianure d'intorno con grandissimo dannaggio del contado del Borgo a Sansipolcro, e di Castello, di Perugia, di Todi, d'Orbivieto, e di Roma; e il contado di Siena e d'Arezzo e la Maremma gravò molto. E nota che·nne' dì che fue il detto diluvio e più dì appresso in Firenze ebbe grande difetto di farina e di pane per lo guasto delle molina e de' forni; ma i Pistolesi, Pratesi, Colle, e Poggibonizzi, e l'altre terre del contado e d'intorno, soccorsono con grande abondanza di pane e di farina la città di Firenze, che venne a grande bisogno. Fecesi questione per li savi Fiorentini antichi, che allora viveano in buona memoria, qual era stato maggiore diluvio, o questo, o quello che fu gli anni Domini MCCLXVIIII. I più dissono che l'antico non fu quasi molto meno acqua, ma per l'alzamento fatto del letto d'Arno, per la mala provedenza del Comune di lasciare alzare le pescaie a coloro ch'aveano le molina inn-Arno, ch'era montato più di braccia VII da l'antico corso, la città fu più allagata e con maggiore damaggio che per l'antico diluvio; ma a cui Dio vuole male li toglie il senno. Per lo quale difetto avenuto delle pescaie incontanente fu fatto dicreto per lo Comune di Firenze che infra' ponti nulla pescaia né molino fosse, né di sopra a Rubaconte per ispazio di IIm braccia, né di sotto a quello dalla Carraia per ispazio di IIIIm braccia, sotto gravi pene; e dato ordine, e chiamati oficiali a fare rifare i ponti e le mura cadute. Ma tornando al proposito a la quistione di sopra, crediamo che questo diluvio fosse troppo maggiore che l'antico, che solamente non fu tanto il crescimento per piova, come fue per terremuoto. Di certo che l'acqua chiara surgea d'abisso con grandi sampilli sopra più terreni; e questo vedemo in più parti, e eziandio in sulle montagne; e però più a pieno avemo messo in nota in questa cronica di questo disordinato diluvio a perpetua memoria, perch'è istata grande novità da notare, che dapoi che·lla città di Firenze fu distrutta per Totile Flagellum Dei, non ebbe sì grande aversità e damaggio come fu questo.



II - D'una grande questione fatta in Firenze, se 'l detto diluvio venne per iudicio di Dio o per corso naturale

In Firenze ebbe del detto diluvio grande ammirazione e tremore per tutte genti, dubitando non fosse iudicio di Dio per le nostre peccata, che poi che bassò il diluvio più dì apresso non finava di piovere con continui tuoni e baleni molto spaventevoli; per la qual cosa le più delle genti di Firenze ricorsono a la penitenzia e comunicazione, e fu bene fatto per apaciare l'ira di Dio. E di ciò fu fatta quistione a' savi religiosi e maestri in teologia, e simile a' filosofi in natura e a strolaghi, se 'l detto diluvio fosse venuto per corso di natura o per iudicio di Dio. Per li astrolaghi naturali fu risposto, ponendo inanzi la volontà di Dio, che gran parte della cagione fu per lo corso celesto e forti coniunzioni di pianete, assegnandone più ragioni, le quali in parte racconteremo in brieve e al grosso, per meglio fare intendere, in questo modo, cioè che a dì XIIII del maggio passato fu ecrissi, o vuoli oscurazione di grande parte del sole nel segno della fine del Tauro casa di Venus con caput Draconis; per la quale scurazione infino allora per savi religiosi e per mostramento d'astrolaghi fu sermonato in pergamo in Firenze, il quale noi udimo, che ciò significava grande secco nella presente state vegnente, e poi ne l'opposizione di quello eclissi grande soperchio d'acque, e tremuoti e grandi pericoli e mortalitade di genti e di bestie; amonendo le genti a penitenzia. E poi apresso a l'entrante di luglio fu congiunzione a grado di Saturno con Marte alla fine del segno de la Vergine, casa di Mercurio; il quale significa soperchio d'acque e sommersione per li due detti pianeti infortuni. Ma quello che dissono che gravò più, seguendo l'una congiunzione l'altra, sì fu che il dì del diluvio il sole si trovòe ne l'opposizione del suo eclissi a gradi XVIIII de lo Scorpione in congiunzione con cauda Draconis e con la stella che·ssi chiama Cuore de lo Scorpione, che sempre sono infortune e fanno grandi pericoli in mare e in terra; e Venus pianeta acquosa si trovò ne la fine del detto Scorpione, e per agiunta il sole in tale congiunzione si trovò assediato intra·lle due infortunate, cioè Saturno e Mars, congiunte insieme per sestile aspetto; Saturno nella Libra in sua esaltazione congiunta co·llui la luna, la qual è portatrice del tempo futuro; e a·llui venne con segni e ascendenti aquatichi stata nella sua congiunzione dinanzi, cioè ne la Libra medesima con Saturno e con Venus e Mercurio pianeti aquatichi; e l'ascendente de la sua congiunzione fu Tauro sua esaltazione e casa di Venus ov'era stato l'eclissi del sole, e nella sua opposizione di quello lunare dinanzi al diluvio fu il suo ascendente il Cancro sua casa, che significa abondanza d'acqua; e i detti pianeti aquatichi, Venus e Mercurio, erano in Iscorpione, segno aquatico e casa di Marte, e con cauda Dragone. E nel cominciamento e grande parte di quello lunare dinanzi al diluvio furo grandi piogge in Firenze e in molte parti, e questo fu segno del futuro diluvio. E da l'altra parte la pianeta di Mars a la venuta del diluvio si trovò nel segno del Sagittario in sua propietà caldo e secco, e che volontieri saetta, inviluppato nel detto segno co·Mercurio pianeto convertivole e reo co' rei, freddo e umido e aquatico, e contra la complessione di Mars e del detto segno, il quale Mars combattendosi co' raggi di Saturno, mandaro in terra le loro influenze, cioè soperchi di tuoni e di piove, e baleni con folgori, e sommersioni e tremuoti. E per agiunta al fatto, la pianeta di Iove, la qual è fortunata, dolce e buona, in quell'ora si trovòe nel segno de l'Aquario casa di Saturno, e con Saturno congiunta in trino aspetto, e con Mars in sestile aspetto, sì che la sua vertù fu vinta da li detti due infortuni, e con neente di podere; ma convenne ch'agiugnesse alla infortuna de' rei per lo segno d'Aquario ov'era. E nota, lettore, e raccogli, se neente intenderai de la detta scienza, tu troverai al punto e giorno che venne il diluvio congiunte quasi tutte e sette le pianete del cielo insieme corporalmente, o per diversi aspetti e in case e termini di segni, da commuovere l'aria e' cieli e gli elementi a darne le sopradette influenze. Domandati ancora i detti astrolaghi perché il detto diluvio avenne più a Firenze che a Pisa, ch'era in su l'Arno medesimo, e là giù dovea esere e fu più grosso, o ad altre terre di Toscana, fu risposto che prima ci fu la cagione de la mala provedenza de' Fiorentini, come detto è, per l'altezze de le pescaie; l'altra secondo istorlomia, Saturno, il quale dà infortuna, e sumersione, e ruine, e diluvii ne la sua opposizione, era nel segno de la Libra, in sua esaltazione; la quale Libra s'atribuisce a la città di Pisa, e a l'opposito del segno de l'Ariete, il quale Ariete pare s'atribuisca a la città di Firenze, e l'ascendente de l'entrare del sole nell'Ariete nello detto anno fu segnore; la Libra e l'Ariete si trovò... di ponente col sole in cadimento; il quale (di cui l'Ariete è esaltazione) si trovò congiunto e assediato al tempo del diluvio in mala parte e infortuni, come detto è. E Mars, il quale è segnore del segno de l'Ariete, si trovò congiunto con Saturno e vinto da·llui per lo modo che di sopra è fatta menzione. E queste contrarietà e congiunzioni paiono cagione del soperchio diluvio e damaggio a la città di Firenze più che a Pisa. E basti quello che in questo avemo raccolto di più lunghe disposizioni de li astrolaghi sopra questa questione. Sopra la detta questione i savi religiosi e maestri in teologia rispuosono santamente e ragionevolmente, dicendo che·lle ragioni dette delli astrolaghi poteano in parte essere vere, ma non di necessità, se non in quanto piacesse a Dio; però che Idio è sopra ogni corso celesto, e elli il fa movere e regge e governa; e 'l corso di natura è apo Dio, quasi come al fabro è il martello, che con esso può foggiare diverse spezie di cose, come averà imaginato nella sua mente. Per simile modo e maggiormente il corso di natura e delli elementi, e eziandio le demonia, per lo comandamento di Dio sono flagella e martella a' popoli per punire le peccata; e a la nostra fragile natura non è possibile d'antivedere l'abisso e etterno consiglio del predestino e prescienza de l'Altissimo, ma eziandio male si conoscono per noi l'opere sue fatte e a noi visibili. Ed acciò che di questa questione utile si tragga per li lettori, diciamo che Idio ha signoria di mandare e premettere i suoi iudicii al mondo, e secondo corso di natura, e quando a·llui piace sopra natura, e ancora contra natura, sì come omnipotente segnore de l'universo; e fallo a due fini, o per graziosa misericordia, o per aseguizione di iustizia. Ed acciò che per chi leggerà sia più chiaro e aperto ad intendere, di molte e lunghe ragioni e sottili allegagioni de' detti savi ritrarremo al grosso e ricoglieremo, dicendo alquanti veri e chiari esempli e miracoli della sacra Scrittura sopra la detta materia; e cominceremo dal principio del Genesi, ove dice: "In principio creò Idio il cielo e la terra; et dixit, et fatta sunt etc.". Questo fue grazia e sopra natura a fare per la sua infinita potenzia il corso del cielo e di natura per una sola parola, che prima era neente; e chi ha podere di fare la cosa, pur materialmente parlando, la può disfare e mutare: maggiormente Idio può tutto fare, e alterare, disfare, e mutare. Apresso in quello medesimo Genesi, capitolo VIII, disse Idio a Noè: "Fa' l'arca, ch'io voglio mandare il diluvio dell'acque sopra terra, perché muoiano tutte creature per le peccata delle genti etc.". E questo fue per la sua giustizia. Apresso si legge nel XXIII capitolo del detto Genesi delli angeli che vennero ad Abraam e a Lot, i quali per lo peccato contra natura distrussono le cinque città di Sogdoma e Gomorra e l'altre; e questa fue eseguizione di giustizia, e sopra corso di natura. E se pur X uomini giusti e sanza il detto peccato vi fossono trovati, disse Idio ad Abraam ch'avrebbe perdonato a li altri, tanta è la sua clemenzia e misericordia infinita. E nel XX capitolo del Genesi Idio anunziò ad Abraam, ch'avea C anni, e a Sarra sua moglie, ch'avea anni LXXXX ed era sterile, ch'ella conceperebbe Isaac padre d'Israel, e così fu; e ancora questo fu sopra natura, e per grazia di Dio, acciò che di quello nascesse il suo popolo e il suo unigenito figliuolo Gesù Cristo. E che leggiamo ancora nel libro de l'Esodo, cominciando al X capitolo, delle pestilenzie che Idio mandò sopra Faraone e il suo popolo d'Egitto per li prieghi di Moisè e d'Aron, e per la crudeltà che faceano al popolo di Dio; e alla fine per grazia al popolo Israel aperse il mare, ove passarono salvi, e Faraone colla cavalleria e popolo suo in quello mare la sommerse. E la detta grazia del popolo Israel, e le dette pestilenzie sopra Faraone, furo per operazioni e iudicio divino e sopra natura, e non per corso di stelle. Ancora al detto suo populo per grazia e sopra natura, e contra natura, Idio li nutricò XL anni nel deserto di manna, e con la guida della colonna de la nuvola e del fuoco. E parte di quello popolo per lo peccato de la 'nfedelità li consumò per ferro; e parte per lo peccato de la golosità li perseguitò colle trafitte de' serpenti; e parte di loro per superbia e ribellazione l'inghiottì la terra; ciò fu Abi e Daviron e loro seguaci; e parte di loro per lo peccato d'usare il fare il sacrificio indegnamente, per fuoco li pulì e distrusse; e tutte queste pestilenzie furo sopra natura e per iudicio di Dio per le peccata del popolo. La grande città di Ninive era giudicata da Dio a pericolare per li loro peccati, e per li sermoni di Giona profeta mandato da Dio si corressero e tornaro a penitenzia, e ebbono grazia e misericordia da Dio; onde si manifesta chiaramente che Idio rimuove per li prieghi e penitenzia i suoi giudicii, e però maggiormente può e dee seguire il corso di natura il volere di Dio, e adoperare sopra natura come a·llui piace, però che la fece, com'è detto dinanzi. Che diremo della grazia e miracolo che Idio fece sopra natura e contra 'l corso di natura per li prieghi di Iosuè suo servo, e capitano e re del suo popolo, di fare tornare il sole braccia X adietro del suo corso? Nelli libri de' Re intra gli altri miracoli, per lo peccato della vanagloria che commise Davit a fare numerare il suo popolo, molto del popolo di Dio per pestilenzia morire contra corso di loro natura. E quante diverse persecuzioni di battaglie si leggono in quelli libri de' Re, e nelli altri libri, che Idio permise quando in pro e quando incontro al suo popolo per li loro peccati o meriti? Che Nabucdonosor distrusse la prima volta la città di Ierusalem, e tutti i Giudei menò in servaggio, quelli che scamparo di morte; e poi Nabucdonosor per li suoi peccati d'uomo fu bestia per VII anni, e poi per simile modo distrusse la seconda volta Ierusalem Antioco re; e tutto fu per li peccati de' figliuoli Israel e per le loro abominazioni. E quando si riconobbono a Dio, con piccolo podere e cominciamento, Giuda Maccabeo il padre e' fratelli feciono la vendetta, e distrussono il regno d'Antioco, e tutti i detti giudicii di Dio furo per li peccati, e sopra ogni corso di natura. E però disse Idio al suo popolo: "Io sono lo Idio Sabaot", cioè a dire, in latino, lo Idio de l'oste e delle battaglie, "e doe vinto e perduto a cui mi piace, secondo i meriti e peccati, e la vittoria delle battaglie è nella mia destra". E tutto questo è per la divina potenzia e sopra 'l corso d'ogni natura. Assai è detto sopra miracoli che sono sopra natura e contra natura che Idio fece nel vecchio Testamento. Del nuovo alquanto diremo. Può esere, o fu mai, o sarà maggiore grazia, che la divina potenzia degnò d'incarnare nella graziosa vergine Maria, ed esere Idio e uomo nato di vergine, e sofferire passione e morte, e ne la passione scurò tutto il sole nel mezzodì, e era la luna in suo opposito, che secondo corso di natura non potea scurare; ma fu sopra natura, perché il fattore de la natura sofferia pena. E così grande e sì fatto misterio fu sopra ogni potenzia naturale, e ciò piacque a l'Altissimo per osservare giustizia per lo peccato del primo uomo, e per fare grazia e misericordia per ricomperare l'umana generazione; e nullo verbo è impossibile a Dio. I miracoli che fece Gesù Cristo vangelizzando in terra, e poi i suo' apostoli e li altri santi e martiri e vergini per lo suo nome, sono ancora tutto dì; i quali sono sopra ogni natura e corso celesto; sopra le quali dette vere ragioni e argomenti principalmente la soluzione della nostra questione [è] molto chiara. Che diremo de la rovina de la città di Ierusalem la terza volta, e per la persecuzione e scerramento de' Giudei fatto per Tito e per Vespasiano imperadori di Roma, per la vendetta del peccato commesso della giusta e non giusta morte di Cristo figliuolo di Dio? Certo questo fue chiaro ed evidente iudicio di Dio, e non per corso di natura, che mai poi non ebbero i Giudei istato né ricetto di loro segnoria, e sono passati più di MCCC anni ch'è durato il loro esilio. Dell'altre molte persecuzioni, rovine, pestilenzie, diluvii, e battaglie, naufragi, avenute al tempo de' Romani e de' pagani per iudicio di Dio e pulimento de' peccati oltre al corso di natura, prima e poi che venne Cristo, a raccontarle sarebbono infinite e confusione del nostro trattato; e simile poi al tempo de' Cristiani per la venuta de' Gotti, e Vandali, e Saracini, e di Lungobardi, de li Ungheri, de' Teotonici, Spagnuoli, e Catalani, e Franceschi, e Guaschi, che sono venuti in Italia, e tutto dì vengono; delle quali pestilenzie assai chiaramente a' buoni intenditori si possono comprendere per questa cronica, e per altri libri che di ciò fanno menzione, le quali tutte sono state e sono per lo giudicio di Dio per pulire li peccati. E però tornando al proposito della nostra questione e a sentenzia, e racogliendo i sopradetti esempli veri e chiari, tutte le pestilenzie e battaglie, rovine e diluvii, arsioni e persecuzioni, naufragii e esilii avengono al mondo per permissione de la divina giustizia per pulire i peccati, e quando per corso di natura, e quando sopra natura, come piace e dispone la divina potenzia. E nota ancora, lettore, che, la notte che cominciò il detto diluvio, uno santo eremita ch'era nel suo solitario romitoro di sopra a la badia di Valombrosa stando in orazione sentì e visibilmente udì un fracasso di demonia di sembianza di schiere di cavalieri armati, che cavalcassero a furore. E ciò sentendo il detto romito fecesi il segno della croce, e si fece al suo sportello, e vide la moltitudine de' detti cavalieri terribili e neri; e scongiurando alcuno da la parte di Dio che·lli dicesse che ciò significava, e li disse: "Noi andiamo a somergere la città di Firenze per li loro peccati, se Idio il concederà". E questo io autore per saperne il vero ebbi da l'abate di Valombrosa, uomo religioso e degno di fede, che disaminando l'ebbe dal detto suo romito. E però non credano i Fiorentini che la presente pestilenzia, ond'è fatta questione, sia loro avenuto altro che per giudicio di Dio, bene che in parte il corso del sole s'accordasse a ciò per punire i nostri peccati, i quali sono soperchi e dispiacevoli a Dio, sì di superbia l'uno vicino coll'altro in volere segnoreggiare e tiranneggiare e rapire, e per la infinita avarizia e mali guadagni di Comune, di fare frodolenti mercatantie e usure, recati da tutte parti de l'ardente invidia l'uno fratello e vicino coll'altro; sì della vanagloria de le donne e disordinate spese e ornamenti; sì de la golosità nostra di mangiare e bere disordinato, che piùe vino si logora oggi in uno popolo di Firenze a taverne, che non soleano logorare li nostri antichi in tutta la città; sì per le disordinate lussurie delli uomini e delle donne; e sì per lo pessimo peccato della ingratitudine di non conoscere da Dio i nostri grandi beneficii e il nostro potente stato, soperchiando i vicini d'intorno. Ma è grande maraviglia come Dio ci sostiene (e forse parràe a molti ch'io dica troppo, e a me peccatore non sia lecito di dire), ma se non ci volemo ingannare noi Fiorentini, tutto è il vero; di quante battiture e discipline ci ha date Idio al nostro presente tempo, pur da li anni MCCC in qua, sanza le passate che scritte sono in questa cronica: prima la nostra divisione di parte bianca e nera; poi la venuta di meser Carlo di Francia, e 'l cacciamento che fece di parte bianca, e le sequele e rovina che furono per quella; poi il giudicio e pericolo del grande fuoco che fue nel MCCCIIII, e poi di più altri apresso stati nella città di Firenze per li tempi con grande damaggio di molti cittadini; apresso della venuta d'Arrigo di Luzimborgo imperadore nel MCCCXII, e il suo assedio a Firenze e guastamento del nostro contado, e conseguente la mortalità e corruzione che poi fu in cittade e in contado; appresso la sconfitta da Montecatino nel MCCCXV; apresso la persecuzione e guerra castruccina, e la sconfitta d'Altopascio nel MCCCXXV, e la sequela della sua rovina, e la sformata spesa fatta per lo Comune di Firenze per le dette guerre fornire; apresso il caro e la fame l'anno MCCCXXVIIII, e la venuta del Bavero si dicea imperadore; apresso la venuta del re Giovanni di Boemia, e poi il presente diluvio; ond'è nata la questione, che raccogliendo tutte l'altre dette aversitadi inn-una, non furono maggiori di questa. E però istimate, Fiorentini, che queste tante minacce di Dio e battiture non sono sanza cagione di soperchi peccati, e paiono a l'aversitadi li detti giudicii, che di nostri antichi. Ed io autore sono di questa sentenzia sopra questo diluvio: che per li oltraggiosi nostri peccati Idio mandò questo giudicio mediante il corso del cielo, e apresso la sua misericordia, però che poco duròe la rovina per non lasciarne al tutto perire, per li prieghi delle sante persone e religiose abitanti nella nostra città e d'intorno, e per le grandi limosine che·ssi fanno in Firenze. E però carissimi fratelli e cittadini, che al presente sono e che saranno, chi leggerà e intenderà, dee avere assai gran matera di correggersi e lasciare i vizii e' peccati per lo tremore e minacce de la iustizia di Dio, per lo presente e per lo tempo a venire; e acciò che l'ira di Dio più non si spanda sopra noi, e che pazientemente e con forte animo sostegnamo l'aversità, riconoscendo Idio onnipotente, e ciò faccendo, e con vertù bene adoperando meritiamo misericordia e grazia da·llui, la quale fia dupplicata, e esaltazione e magnificenza de la nostra città. Di questo diluvio e sùbito avenimento a la nostra città di Firenze corse la fama e novella tra tutti i Cristiani, e ancora più grave e pericolosa che non fu, con tutto fosse quasi inestimabile. E vegnendo al cospetto della maestà del re Ruberto, amico, e per fede e devozione di noi segnore nostro, si dolfe di noi di tutto suo cuore, e come il padre fae al figliuolo, per suo sermone per lui dittato ci mandò amonendo e confortando, e il suo podere profferendo per la forma e modo che conterà il detto suo sermone, overo pistola; la quale in questa nostra opera ci pare degna di mettere in nota verbo a verbo a perpetua memoria, acciò che i nostri successori cittadini che verranno e leggeranno quella, sia manifesta la sua clemenza e sincero amore che 'l detto re portava al nostro Comune, e di ciò possano [trarre] uttilità di buoni e santi esempli e amunizioni e conforto, però che tutta è piena d'auttoritadi della divina scrittura, sì come quelli ch'è sommo filosofo e maestro, più che re che portasse corona già fa mille e più anni; e con tutto che in latino, come la mandòe, fosse più nobile e di più alti verbi e intendimenti per li belli latini di quella, ci parve di farla volgarizzare, acciò che seguisse la nostra materia volgare, e fosse utile a' laici come a li alletterati.



III - Questa è la lettera e sermone che il re Ruberto mandò a' Fiorentini per cagione del detto diluvio

Ai nobili e savi uomini priori dell'arti, e gonfaloniere di iustizia, consiglio e Comune della città di Firenze, amici diletti e devoti suoi, Ruberto per la grazia di Dio di Ierusalem e di Cecilia re, salute e amore sincero. Intendemo con amaritudine di tutto il cuore, e con piena compassione d'animo, lo piangevole caso e avenimento di molta trestizia, cioè il disaveduto e sùbito accidente, e molto dannoso cadimento, il quale per soprabondanza di piene d'acque, per divino consentimento in parte aperte le cataratte del cielo, venne nella vostra cittade; li quali casi né a·nnoi conviene altrimenti sporli, né da Voi altrementi imputarli, se non come la Scrittura divina dice, cotali cose a caso avenire. Non si conviene a·nnoi, il quale per la reale condizione la veritade hae a conservare, d'essere amico lusinghiere, né di riprendere la iustizia di Dio, dicendo che voi siate innocenti. La dottrina dell'Apostolo dice: "Se noi diremo che noi non abbiamo peccato, noi inganniamo noi medesimi, e non fia in noi veritade". Adunque li nostri peccati richeggiono che non solamente che noi incorriamo in questi pericoli, ma eziandio in maggiori. Noi dovemo apropiare il singulare diluvio alli particulari peccati, siccome lo universale diluvio fue mandato da Dio per li universali peccati, per li quali ogni carne avea abreviata la via sua de l'umana generazione. Noi conosciamo l'ordine di queste pestilenzie per la scrittura del Vangelio, però che poi la verità di Dio antimise la sconfitte date da li nemici, soggiunse li diluvii de le tempeste, per le quali parla santo Gregorio dicendo così sopra il Vangelio, dov'è scritto "Saranno segni nel sole e ne la luna etc.": "Noi sostenemo", dice santo Gregorio, "sanza cessamento, avegna che prima che Italia fosse conceduta ad essere fedita dal coltello de' pagani, io vidi in cielo schiere di fuoco, e vidi colui medesimo splendiente di splendori al modo del balenare, il quale poi isparse il sangue umano. La confusione del mare e delle tempeste nonn-è solamente nuova levata, ma con ciò sia cosa che molti pericoli già anunziati e compiuti sieno, non è dubbio che non seguitino eziandio pochi, i quali restano a cotale imputazione, di passare a nostra corezzione, non a stravolgimento di disperazione". E noi crediamo intra queste cose non solamente la iustizia di Dio essere nutrice di costoro, ma crediamo la bontà divina essere sì come madre pietosamente correggente e in meglio commutante, dicente santo Agustino nel sermone del bassamento de la città di Roma: "Idio anzi il giudicio opera disciplina molte volte non eleggendo colui cui elli batta, non volendo trovare cui elli condanni". E egli medesimo dice sopra quello verso del salmo: "Sì come viene meno il fumo, vengono meno ellino; tutto ciò che di tribulazioni noi patiamo in questa vita, è battitura di Dio, il quale ne vuole correggere, acciò che nella fine non ne condanni". Imperciò santo Agustino medesimo nel predetto sermone delle tribolazioni e pressure del mondo dice: "Quante volte alcuna cosa di pressura e di tribulazioni noi sofferiamo, le tribulazioni sono insiememente nostre correzzioni". Ma in queste cose con molto studio è da guardarci, che noi alcuna cosa notabilmente non meritiamo de li nostri meriti, e che noi non ci maravigliamo, quasi s'elle non fossono cagioni di queste tribulazioni quelle cose che·nnoi dicemo; però che Agustino medesimo dice nel sermone dell'abassamento di Roma: "Maravigliansi li uomini; or si maravigliassono ellino solamente e non bestemiassero". Ancora è da schifare per queste cose il mormorare contra Dio, sì come la nostra niquitade biasimasse la divina dirittura, e sì come se le nostre inumerabili e grandissime colpe riprendessono la somma iustizia; sì come n'amonisce Agustino nel predetto sermone delle tribulazioni del mondo, dicendo: "O fratelli, nonn-è da mormorare, sì come alcuni di coloro mormorano". E l'Apostolo dice: "E' furono vasi di serpenti". Or che cosa disusata sostiene ora l'umana generazione, la quale non patissono li nostri padri? Ancora c'è un'altra cosa: poco sarebbe riconoscere i peccati, se quello non si propone a schifare per inanzi quelli. In quello caso nonn·è da dubitare che colui che pregherà per perdonanza quella con orazioni impetri, e così acquisti la divina grazia, e schiferàe la rigidezza del iudicio, sì come per lo savio Salamone si dice: "Figliuolo, tu peccasti, or non vi arrogere più; ma priega de li passati peccati, ch'elli ti sieno dimessi". Noi leggiamo d'altre cittadi, le quali per li loro gravi peccati con ampia vendetta diceano esere disfatte, essere riserbate, e rivocata la sentenzia per penitenzia e per orazioni. Al tempo d'Arcadio Imperadore volendo Idio fare paura alla città di Gostantinopoli, e spaurendola per amendarla, revelòe a uno fedele uomo che quella città dovea perire per fuoco da cielo. Costui lo manifestòe al vescovo, e 'l vescovo il predicò al popolo. La città si convertìe in pianto di penitenzia, siccome già fece l'antica Ninive. Venne il dìe che Idio avea minacciato, e ecco di verso levante una nuvola con puzzo di solfo, e stette sopra la cittade, acciò che li uomini non pensassono che colui ch'avea così detto fosse per falsitade ingannato; e fuggendo li uomini a la chiesa, la nuvola cominciò a scemare, e a poco a poco si disfece, e il popolo fue fatto sicuro. Siccome Agostino nel detto sermone introduce: "Secondo questo Idio per bocca di profeta avea avanti detto che·lla ismisurata città di Ninive si dovea disfare; e troviamo che essa fue deliberata per asprezza di penitenzia, e per grido d'orazione, né da la penitenzia e d'adorare non siano di lungi le limosine loro salutevoli compagne, secondo il consiglio di Daniello dato a Nabocodonosor, che con elimosine ricomperasse le sue peccata, e ratemperasse la sentenzia di Dio contra lui pronunziata". Aguardiamo insieme dunque lo spaventevole giudicio, e pensiamo di cercare il remedio, ma schifiamo il rimanente che è da temere; per le quali cose non le nostre parole, ma quelle del Salvatore profferiamo in mezzo; e elli disse: "Or pensate voi che quelli XVIII sopra li quali cadde la torre in Siloe e uccisorli fossono colpevoli sanza tutti li altri abitanti in Ierusalemme? No, io dico a voi; ma se voi non farete penitenzia, simigliantemente perirete". Dove Tito dice: "Una torre è aguagliata a la cittade, acciò che·lla parte spaventi il tutto; quasi dica tutta la cittade poco poi fia occupata, se·lli abitanti perseverranno nella infedelitade". La qual cosa mostra Beda, dicendo: "Però ch'ellino non fecero penitenzia, nel quarantesimo anno de la passione di Cristo, li Romani, cominciando da Galilea ond'era cominciata la predicazione del Segnore, l'empia gente infino a le radici distrussero". Ma acciò che per quelle parole ch'avemo dette di sopra non siamo giudicato grave amico, e acciò che noi non inganniamo li meriti de le vostre virtudi, le quali ci confidiamo essere acetti ne la benignitade di Dio, atendendo a la divina Scrittura, la quale non pur riprende li presuntuosi per amaestrarli, ma adolcisce li aflitti, acciò che per remedio di consolazione li conforti spesse volte in suoi luoghi; queste cotali passioni e pressure confessiamo che vengono per provarci; però che in quello che Idio esamina si loda la vertude della pazienzia in noi. L'Apostolo testimoniò: "La sua pietosa provedenza non ci lascia tentare oltre la nostra possa, ma la contentazione fae frutto". Quale utilitade cerchiamo noi fedeli maggiore, che cotali miserie noi prendiamo efficace argomento de l'amore di Dio che ne apruova perché e al proponimento a voi santo e religioso cherico Iudit femenina per esemplo dirizza e manda la seguente parola: "E ora, o fratelli, però che voi che siete preti nel popolo di Dio, da voi dipende l'anima di coloro al vostro parlare, dirizziate li cuori loro, sì chè·ssi ricordino coloro che sono tentati che li nostri padri furono tentati, acciò che fossono provati s'elli adoravano veramente Idio suo: ricordare si debbono come 'l padre nostro Abraam fu tentato, e provato per molte tribulazioni fatto è amico di Dio; così fue Isaac, così Iacob, così Moisè, e tutti quelli che piacquero a Dio, per molte tribulazioni passarono fedeli". Onde e a Tobia disse l'angelo: "Però che tu eri caro a Dio, fue necessario che la tentazione ti provasse". Or crediamo noi e voi esere migliori e più inocenti che li nostri padri patriarchi, i quali per tante miserie di battiture o mandate o concedute da Dio trapassaro i santi? O desdegnamo, o maggiormente indegnamo noi degni membri di patire quelle cose le quali non ischifarono gli apostoli, nostro corpo la Chiesa, nostro capo Cristo, cioè il fuoco, il ferro, li martirii villani, noi quasi dischiattati, e come non apartenessimo loro, e come non partefici di loro fortuna, o forse più santi, con impazienzia portiamo cotali cose? Ma·sse per impazienzia ch'è in noi, elli ci pare troppo malagevole seguitare li padri di ciascuno testamento, almeno non disdegnamo per pazienzia le virtudi prendere esempli da l'infedeli prencipi e filosofi, li quali furono: come scrive Seneca, libro primo dell'ira, di Fabio, che prima vinse l'ira sua che Anibale; e Iulio Cesare nel libro della vita de' Cesari; e d'Ottaviano Agusto nel Policrato libro terzo, capitolo XIIII; di Domiziano, sì come testimonia il bello parlatore Licinio; ed Antigone re, secondo Seneca, libro terzo dell'ira; e de la pazienzia de' filosofi, cioè di Socrate libro terzo di Seneca de l'ira, e di Diogenes libro III dell'ira, anzi il fine, a ciò che non passi il manifesto od occulto lamentamento d'alcuno o d'alcuni, sì com'è contradio. Ancora per li mormoramenti de li credenti che dicono che questi tempi sono peggiori che gli antichi tempi e che Idio hae riserbato la indegnazione dell'ira sua infino ad ora e ch'elli hae serbati li presenti die a spandere quella, leggano overo odano li leggenti da Adam fatiche e sudore, spine, e triboli, diluvio, dicadimento; trapassarono tempi pieni di fatica, di fame e di guerre, e però sono scritte, a ciò che noi non mormoriamo del presente tempo contra Dio. Passò quel tempo appo li padri nostri, remotissimi molto da li nostri temporali, quando il capo dell'asino morto si vendéo altrettanto auro; quando lo sterco colombino si comperòe non poco argento; quando le femine patteggiaro insieme del manicare i loro fantolini. Or non avemo noi in orrore udire quelle cose? Tutte quelle cose leggiutole, spaventiamocene sì, che noi avemo maggiormente onde ci allegrare, che onde mormorare delli nostri tempi. Quando fue dunque bene a l'umana generazione? quando non paura? quando non dolore? quando certa felicitade? quando non vera felicitade? dove fia la vita sicura? Or non è questa terra quasi una grande nave portante uomini tempestanti, pericolanti, soggiacenti a tanti marosi, a tante tempeste, tementi il pericolare, sospirante in porto, ed è compensare la conoscente e grata ragione de la vostra considerazione, e il pensamento della diritta bilancia, quanto in ricchezze in morbidezze in potenzia, e, cittadini, Idio la vostra cittade nobilitòe, scampòe, e sopra tutte le vicine, anzi remote cittadi, sanza comparazione esaltò, sì ch'ella puote essere asomigliata ad adornato albore fronzuto e fiorito dilatante li rami suoi infino a termini del mondo. Per tanti e sì grandi benificii temporali non vi divieti l'aversitade di dire le vostre lingue col santo Iob: "Se noi riceviamo li beni da la mano del Signore, perché non sostenemo li mali?". Ancora queste aflizzioni alcuna volta salutevolemente ne sono mandate, e avegnonci a spirituale profitto, però che·sse alcuna volta non ne fossono mandate o permesse da Dio, noi ci crederemmo qui avere cittadi stabili e dimoranti, e poco cureremo di cercare de l'etterna, con san Piero dicendo: "Buono è a noi essere qui". Ma li mali che più ne priemono ci fanno passare a cielo, e intendere a la futura gloria. E se per aventura alcuno svergognato o arrogante presumisce di storcersi contro a l'opera de lo etterno artefice, intenda rispondere a·llui la bontade delle creature, la quale il fabricatore di tutte le cose dal principio raguardòe nelle sue creature. Se il fiume, il quale aministròe tanti dilettamenti e tante grandi uttilitadi dal cominciamento de la tua cittade, perché gravemente porti se una volta con disusato allagare ti fece alcuni danni?Ma diràe un altro calognatore, però che noi dicemo dinanzi che le tribulazioni ne sono amonimenti e correzzioni, dicono, a ciò ch'io diventi migliore sono puniti quelli, perch'io viva quelli muoiano, perch'io sia serbato quelli sono perduti. "None perciò", dice santo Giovanni Grisostimo, "ma sono puniti per li loro peccati propi, ma fassi di questo a quelli che veggono materia di salvarsi". Or forse si leveranno contro invidiosi, iudicando voi per lo partimento del detto cadimento essere i·maggiori peccati intrigati di loro, e per questo esere più odiosi a Dio? anzi si crederanno esser più giusti di voi, e meno colpevoli e più graziosi al giusto iudice?Questi di vero per quello medesimo errore antimetteranno per suoi meriti il re Salomone certamente pacifico, a cui fu riserbato lo edificare del tempio, e ne' cui tempi sottorise la tranquillitade della pace, e il cui regno non cognobbe guerra, al suo padre David santissimo, a cui fue interdetto l'edificare di quello medesimo tempio, lo quale fue nomato da Dio uomo spanditore di sangue, il quale e sotto essere provocato da continui pericoli di guerre, e due volte da Dio manifestamente e piuvicamente fu corretto. In quello medesimo modo coloro che non sanno li santi libri diranno che·lli amici di Iob fossono più inocenti di lui, e antimetteranno loro nel riguiderdonamento; imperciò che noi non leggiamo ch'elli fossono esaminati da Dio nelle pestilenzie sì come Iob, però che di vero elli non erano auro o argento da provare ne la fornace del fuoco, né da riporre nel tesauro del sommo re, ma erano maggiormente paglia o letame, le quali messe in sul fuoco gettano puzzo spiacente a Dio e abominevole alli uomini. Or giudicheremo noi per simile cechitade che·lli marinari fossono migliori che Ionas il profeta, per lo quale si pruova che si levòe la tempesta, e però fue sommerso in mare e tranghiottito dal pesce, lo quale fue messaggio di Dio banditore di penitenzia, e figura di Cristo passuro, e li marinari furono pagani e adoratori d'idoli? Non maraviglia, se·lle grazie e prerogative di vertudi che noi dicemmo, Idio raguardò in voi, le quali elli esamini; e provate, guiderdoni e coroni voi, li quali siete conosciuti sempre essere stati in italia chiaro braccio della Chiesa e nobile fondamento di tutta la fede. Non si maraviglino dunque li rimproveranti invidiosi, se un poco inanzi con le promesse sentenzie della santa Scrittura noi mostriamo per la pruova delle vostre virtudi voi essere acetti a Dio, aprovati al suo beneplacimento. Se impertanto voi riconoscerete umilemente che per li vostri peccati voi incorreste nelli predetti danni, e comportateli con virtù di pazienza, con pagamenti per ciò di divote voci rendere grazie. Dice il sapientissimo re: "Figliuolo mio, non gittare la disciplina del Segnore, e non fallare quando da·llui se' corretto; colui cui il Segnore ama, sì 'l gastiga, e come padre in figliuolo si compiace". La quale sentenzia non isdegna d'allegare l'Apostolo nelle sue pistole, dicendo: "Figliuolo mio, non mettere i·non calere la disciplina del Segnore, né ti sia fatica, quando da·llui sarai ripreso: colui cui il Segnore ama si 'l gastiga; elli batte chiunque elli riceve in figliuolo". Ecco adunque per le soprascritte cose avete chiaramente che per le pressure delle predette passioni si dimostrano in voi esere virtudi e meriti, e che non solamente voi siete ricevuti in amici da Dio, ma spezialmente da·llui siete in figliuoli adottati. A li figliuoli a' quali s'impone la disciplina non solamente remunerazione si promette, ma·ssi serba loro certa ereditade. Appare dunque per la vertade della santa Scrittura che·lle virtudi e li meriti sono remunerati dal iustissimo re delli re, eziandio in alcuni di vero; ne' quali publicamente, manifestamente eziandio, rilucono temporalmente, ad esemplo del mutamento de' buoni, sì come è scritto del beato Iob, al quale furono restituiti dupplicati per li perduti beni; ma nelli altri più preziosi, e migliori sanza comparazione, si serba il meritamento nella futura gloria. Li predetti amonimenti, li quali noi stimiamo non esere alla vostra prudenzia tanto soperchi quanto necessarii, provedemo di mandare per debito di caritade alla vostra dilezzione, e ancora le compassioni a le quali ci condogliamo con tutte le interiora dell'amistade, e le consolazioni de' veri libri vi soggiugnemo, a le quali d'abondante offeriamo d'agiugnere quelle consolazioni di fatto che noi fare possiamo, altre volte oferte; ma la promessa nostra lettera, pochi dìe poi che a·nnoi fue manifesto il sopradetto vostro caso, ordinammo di mandarvi, ma però che 'l presente di più persone contenea molto meno, ritenne quella più tostamente essere venuta, il mandare d'essa sospendemo. Ma ora piùe deliberatamente provedendo, e estimando in ogni caso che s'apartenea a vostra informazione e a vostra cautela, vi mandiamo; né alla vostra amistà rincresca di bene leggere la lunghezza della presente lettera, la quale non rincrebbe a noi di compilare intra tante e sì faticose sollicitudini.

Data a Napoli sotto il nostro secreto anello, di II di dicembre, seconda indizione, anni MCCCXXXIII.



IV - Ancora di certe novità che furono in Firenze per cagione del diluvio

Il dìe apresso che fue cessato il diluvio, essendo rotti i sopradetti tre ponti in Firenze, e tutta la città aperta e schiusa lungo il fiume d'Arno, certi grandi di Firenze cercaro di fare novità contro a' popolani, avisandosi di poterlo fare, però che sopra l'Arno non avea che uno ponte, e quello era in forza di grandi, e la città scompigliata e tutta schiusa, e le genti tutte isbigottite. Onde uno di casa i Rossi fedì uno de' Magli loro vicino, per la qual cosa tutto il popolo fue sotto l'arme, e più dì si fece grande guardia in Firenze di dì e di notte; e alla fine i grandi e possenti e ricchi, che aveano a perdere, non aconsentiro alla follia de' malvagi, e ancora il popolo aveano preso vigore e forza; onde non s'ardiro di cominciare novità; e ancora se l'avessono cominciata n'avrebbono avuto il peggiore. E pertanto si riposòe la città, e quello de' Rossi che fece il malificio fue condennato. E fecesi incontanente fare per lo Comune certi ponticelli di legname sopra l'Arno, e uno grande sopra piatte e navi incatenate; ma al cominciamento, innanzi che i detti ponti fossono fatti, si passava l'Arno per navi. E avenne poi, a dì VI di dicembre essendo venuta una grande piova in Arno, si rivolse una nave ove avea da XXXII uomini, de' quali annegaro XV uomini cittadini, e li altri per l'aiuto di Dio scamparo. Lasceremo alquanto de' fatti di Firenze e del diluvio, ch'assai n'avemo detto, e diremo alquanto de' fatti di Lombardia e della nostra lega. Ma nonn-è da lasciare di dire, che quando il legato ch'era a Bologna seppe l'aversità ch'era avenuta a' Fiorentini ne fece grande allegrezza, dicendo che ciò era loro avenuto perch'erano stati contro a·llui e contro a santa Chiesa a Ferrara; e forse in parte disse il vero; ma non giudicava sé de' suoi defetti e futuro avenimento, né credea che 'l suo iudicio e sentenzia di Dio gli fosse così da presso, come tosto leggendo si potrà trovare.



V - Come falliro le triegue, e ricominciossi guerra dalla lega al legato, e le terre che tenea il re Giovanni

Nel detto anno, per calen gennaio, fallendo le triegue da la gente del re Giovanni e del legato a la nostra lega, si fece per li collegati uno parlamento a Lierci, per consigliare se fosse da seguire le triegue o ricominciare la guerra. Acordavansi i collegati al prolungare le triegue, salvo messer Mastino e 'l Comune di Firenze; e questo si fece per lo migliore per non lasciare prendere forza al legato e al re Giovanni; e ordinaro si rincominciasse la guerra, e confermarono in quello parlamento la divisa del conquisto per lo modo detto, cioè che 'l segnore di Milano avesse Cremona, e messer Mastino Parma, e que' da Mantova Reggio, e' marchesi Modona, e' Fiorentini Lucca. Per la qual cosa que' da Milano cavalcaro sopra la città di Piagenza; e quelli di Verona e di Mantova sopra Parma e Reggio; e' marchesi da Ferrara sopra Modona; e la nostra gente ch'erano in Valdinievole corsono sopra Buggiano. E poi, a dì VIII di gennaio, quelli di Lucca corsono sopra Ficecchio e Santa Croce, e levaro grande preda di bestie grosse, e rincominciossi la guerra. E poi, a dì XXIII del mese di febbraio apresso, essendo cavalcati IIIIc cavalieri di quelli della lega di Lombardia sopra Parma e Reggio, furono sconfitti presso al castello di Correggio da quelli di Parma e da la gente del legato, e rimasevi preso Ettor de' conti da Panago e più altri conostabili.



VI - Come il legato perdéo Argenta, e poco apresso fu cacciato di Bologna

Nel detto anno, a dì VII di marzo, essendo i marchesi da Ferrara co·lloro oste stati a l'assedio della terra d'Argenta più mesi, nella quale era la gente della Chiesa e del legato, l'arcivescovo d'Ambruno mandato per lo papa in Lombardia, volle essere a parlamento co' collegati di Lombardia a Peschiera, e in quello richiese per lo papa tre cose: che lega più non fosse, promettendo pace onorevole per li collegati; la seconda, che si levasse l'oste da Argenta; la terza che i marchesi dovessono liberare il conte d'Armignacca e li altri pregioni sanza costo. Fu risposto per messer Mastino per bocca d'uno delli ambasciadori di Firenze che·lla lega non si potea partire; ma in caso che Parma rimanesse libera alla Chiesa, si cesserebbe l'oste ordinata. Quella d'Argenta e de' pregioni, fu risposto per li detti ambasciadori di Firenze che in quanto Ferrara rimanesse a' marchesi per lo censo usato, e Argenta per uno piccolo censo, s'accorderebbono col legato cardinale. L'arcivescovo prese termine di rispondere, e partìsi e venne a Bologna al legato. In questa stanza Argenta essendo forte stretta dell'assedio, e non possendo essere soccorsi, fallendo loro la vittuaglia, s'arendero; però che, dapoi che·lla gente della Chiesa furo sconfitti a Ferrara, non ardiro di tenere campo contra la gente della lega, onde molto abassò la potenzia del legato. E avuta i marchesi la vittoria d'Argenta, pochi dì apresso cavalcaro in sul contado di Bologna col loro sforzo. Il legato del papa cardinale ch'era in Bologna mandòe al riparo quasi tutta sua cavalleria, e volea mandare fuori nella detta cavalcata i due quartieri del popolo di Bologna; e già erano armati in sulla piazza, con tutto che mal volontieri andavano, e male parea loro essere trattati. Onde avenne, come piacque a Dio, e di vero sanza ordine proveduta, uno messer Brandaligi de' Goggiadini con... de' Beccadelli, uomini poveri al bisogno del loro stato e vaghi di mutazioni e di novitadi, parendo loro male stare sotto la segnoria del legato, e veggendo abassato lo stato suo per la sconfitta da Ferrara e per la perdita d'Argenta, essendo saliti in sulla ringhiera del palazzo di Bologna colle spade ignude in mano, sì cominciaro a gridare: "Povolo, povolo, e muoia il legato, e chi è di Linguadoco!". Alle quali grida e romore il popolo armato fu scommosso seguendo il romore cominciato, si partiro di su la piazza iscorrendo per la terra: e combattero il palagio del grano e il vescovado, dove stavano il maliscalco e li altri officiali del legato; e in quelli misono fuoco, e rubaro e uccisono tutti li oltramontani che trovaro per la terra; e ciò fatto, assaliro e combattero il nuovo castello ov'era il legato, per uccidere lui e sua gente che v'erano fuggiti dentro, e misonvi l'assedio di dì e di notte; e questa rubellazione fu fatta a dì XVII del detto mese di marzo MCCCXXXIII. E nota che tutta questa rovina avenne al legato perch'era male co' Fiorentini, che·sse fosse stato bene di loro, la sconfitta ch'ebbe a Ferrara la sua gente non avrebbe avuta, né perduta Argenta, né 'l popolo di Bologna li sarebbe rubellato per dotta de' Fiorentini, né·lla Romagna; ma la disordinata cupidità di volere segnoria fa montare in superbia e in ingratitudine contro all'amico, spezialmente i cherici; e questo principalmente il fece cadere in questo errore, e di somma prosperità in poco di tempo cadere in grande pericolo e abassamento. Sentendosi la novella in Firenze, i Fiorentini la maggior parte ne furo lieti, e non crucciosi, per la lega che i·legato avea fatta col re Giovanni; ma per tema di sua persona e reverenza de la Chiesa vi mandaro incontanente IIII ambasciadori, de' maggiori cittadini di Firenze, e co·lloro IIIc cavalieri di loro masnade e delle vicherie a piè di Mugello, per guarentire il legato e sua gente; e giunti a Bologna con molta fatica, e lusinghe e prieghi faccendo al popolo di Bologna per parte del Comune di Firenze, trassono del castello il legato e sua gente e suoi arnesi, il lunidì d'Alba, dì XXVIII di marzo, per la porta di fuori del castello, fasciato intorno con li detti ambasciadori e colla nostra gente armata; e con tutto questo fue in grande pericolo il legato di perder la vita, che lo sfrenato popolo di Bologna li vennero dietro isgridandolo con villane parole, e con armata mano per offendere e rubare lui e sua gente, insino al ponte a San Ruffello; e poi i loro contadini correndo alle strade infino a Leurignano in su l'alpe. E di certo, se 'l soccorso de' Fiorentini non fosse stato, e il loro proveduto argomento, il legato rimanea morto e rubato con tutta sua gente. E partito lui di Bologna, il popolo a furore abattero e disfecero il castello, in modo che in pochi dì non vi rimase pietra sopra pietra, ch'era uno ricco e nobile lavorio. I Fiorentini condussono il legato in Firenze a dì XXVI di marzo, e fu ricevuto a grande onore e processione, e presentatoli per lo Comune IIm fiorini d'oro per ispese; no·lli volle ricevere, ringraziando molto il Comune del grande e onorevole servigio allui fatto, riconoscendo per loro la vita e lo stato. E di Firenze si partì a dì II d'aprile; e fue acompagnato per ambasciadori e gente d'arme da' Fiorentini infino presso a Pisa; e di là n'andò a corte, e giunse a Vignone a dì XXVI d'aprile. E come fue dinanzi al papa e a' cardinali in piuvico consistoro si dolfe de la fortuna a·llui incorsa, e vergogna e danno fattoli per li Bolognesi, dimandando vendetta per sé e per la Chiesa, lodandosi in palese del soccorso e onore ricevuto da' Fiorentini; ma in segreto al papa disse che ogni disaventura si riputava avuta per la gente che' Fiorentini mandaro al soccorso di Ferrara, onde la sua oste fue sconfitta. Per la qual cosa il papa non volle poi vedere né udire i Fiorentini, con tutto che prima avea cominciato a disamarli per la mala informazione fattali per lettere dal detto legato contro a Fiorentini sì per la 'mpresa della lega. E di certo se papa Giovanni fosse più lungamente vivuto, elli avrebbe adoperato ogni abassamento e damaggio di Fiorentini, e già l'avea ordito, però che sopra tutti i cardinali amava messer Beltramo dal Poggetto cardinale d'Ostia suo nepote, ma per li più si dicea piuvicamente ch'elli era suo figliuolo, e di molte cose il simigliava.



VII - Di novità ch'ebbe in Bologna dopo la cacciata de·legato

Appresso la cacciata del legato di Bologna la terra rimase in grande scandalo tra' cittadini, che ciascuno de' maggiorenti volea essere segnore, e quelli cittadini ch'erano stati amici del legato v'erano sospetti. E se non fosse che i Fiorentini vi mandaro di presente CC cavalieri con due savi e grandi cittadini per ambasciadori e consiglieri dello stato della terra, e per guardia di quella, di certo i Bolognesi si sarebbono stracciati insieme, e datisi per loro discordia a meser Mastino della Scala, o a' marchesi, o ad altri tiranni; e stettevi la detta gente de' Fiorentini per due mesi, avendo dirizzata la terra in assai buono stato secondo la loro fortuna, con tutto ch'assai fossero pregni di male volontadi tra·lloro. Incontanente che li ambasciadori e' cavalieri di Firenze si furono partiti di Bologna, partoriro le loro niquitadi; e i figliuoli di Romeo di Peppoli, e' Goggiadini, e' loro seguaci ch'aveano rubellata la terra al legato, a romore e a furore ne cacciarono i Sabatini, e' Rodaldi, e' Bovattieri, e parte de' Beccadelli, e più altre case e famiglie de' grandi e di popolo, e arsono loro le case, e tali disfeciono, e più confinati fecero ne la terra; onde tra cacciati e confinati n'uscirono più di MD cittadini; e ciò fue a dì di giugno MCCCXXXIIII. E se non fosse che' Fiorentini vi rimandaro incontanente loro ambasciadori e cavalieri al riparo de la loro fortuna, Bologna era al tutto guasta e deserta, o venuta in mano di tiranno. E nota che questo giudicio di Dio non fue sanza cagione e giustizia, che con tutto che fosse giusta la cacciata del legato di Bologna per la sua superbia e tirannia, lo ingrato popolo di Bologna non l'avea a fare, sì per reverenza di santa Chiesa, e sì per l'utile che' Bolognesi traevano della stanza del legato in Bologna, che tutti n'aricchiano; ma la parola di Dio non puote preterire, cioè: "Io ucciderò il nimico mio col nimico mio".



VIII - Come la lega di Lombardia ebbe Chermona, ed altre novità ch'avennero per quella in Lombardia e in Toscana

Nell'anno MCCCXXXIIII, del mese d'aprile, l'oste della lega di Lombardia co' loro segnori, in quantità di IIIm cavalieri, furo sopra la città di Chermona. E poi in calen di maggio patteggiòe il segnore di Chermona di rendere la terra al segnore di Milano, com'erano le convenenze giurate della lega con certi patti e ordini, intra gli altri che·sse per lo re Giovanni, a cui s'erano dati, non fossero soccorsi con oste campale infino a mezzo luglio, darebbono la terra per lo modo patteggiato, e così feciono, però che 'l soccorso non fu fatto; però che il re Giovanni e 'l figliuolo erano partiti di Lombardia, e la sua gente non era possente a resistere a la forza della lega. Infra questo tempo, all'uscita di maggio, la detta oste venne sopra la città di Reggio e poi sopra Modana, e guastarle d'intorno. E poi volendo andare sopra la città di Parma e porrervi l'assedio, essendo già tra Reggio e Parma, avenne per ordine fatto, e ordinato infino in corte di papa per lo cardinale dal Poggetto in qua dietro legato in Lombardia, onde si spendea, e fatto era diposito di Lm fiorini d'oro per dare a' conestaboli tedeschi della bassa Magna, i quali doveano prendere messer Mastino della Scala principalmente e li altri segnori, e cominciare la zuffa ne l'oste, com'era ordinato per fornire loro tradimento. La quale cosa fue revelata a messer Mastino per uno suo antico conestabole ch'era di quella giura; per la qual cosa il tradimento non venne fatto, e furonne alquanti presi e guasti, e partirsi de l'oste XXVII bandiere de' detti Tedeschi, e andarne in Parma; onde l'oste fue tutta scerrata, e que' tiranni e segnori si tornaro i·lloro terre con grande sospetto e paura di loro persone di non esere o presi o morti da' loro soldati; e ciò fu a dì VII di giugno del detto anno. Per la detta cavalcata de la lega di Lombardia, com'era ordinato, messer Beltramone dal Balzo capitano di guerra de' Fiorentini con VIIIc cavalieri cavalcò sopra 'l contado di Lucca, e guastò Buggiano e Pescia con intendimento d'andare infino a Lucca; e dovevavisi fermare l'oste, e crescervi gente a cavallo e a piede per li Fiorentini; e la lega di Lombardia ferma a Parma doveano mandare a la detta oste di Lucca inn-aiuto de' Fiorentini Vc cavalieri. Ma le genti ordinano le cose, e Dio le dispone: che per la detta novità de' Tedeschi fatta in Lombardia ogni ordine de l'assedio di Parma e di Lucca tornò in vano, e la nostra gente d'arme col capitano si tornò in Pistoia.



IX - Di certe reliquie sante che vennero in Firenze

Nel detto anno, a dì XIII d'aprile, furo mandate in Firenze delle reliquie di santo Iacopo e di santo Alesso, e alquanto del drappo che vestì Cristo, per procaccio d'uno monaco fiorentino di Valombrosa di santa vita, il quale le procacciò in Roma da' suo' segnori. E venute in Firenze, furono ricevute a grande processione di cherici, e furonvi i priori e l'altre segnorie e molta buona gente di Firenze, e con grande devozione furono messe ne l'altare di Santo Giovanni.



X - Di novità che fuoro ne la città d'Orbivieto

Nel detto anno, all'uscita d'aprile, battaglia cittadina si cominciò in Orbivieto, e fue morto Nepoleuccio de' Monaldeschi che n'era segnore per Manno di meser Currado suo consorto; e corsa la terra, ne cacciaro fuori tutta la setta e seguaci del detto Napoleuccio, onde la detta città fu guasta e partita, e 'l detto Manno se ne fece segnore.



XI - Di certo fuoco che·ss'apprese in Firenze

A dì X di giugno del detto anno, la mattina a la campana del giorno, s'apprese fuoco nel popolo di Santo Simone alla fine del Parlagio antico verso Santa Croce, e arsonvi II case e tre femine.



XII - Quando si cominciò a fondare il campanile di Santa Reparata e 'l ponte a la Carraia

Nel detto, anno a dì XVIII di luglio, si cominciò a fondare il campanile nuovo di Santa Reparata, di costa a la faccia della chiesa in su la piazza di Santo Giovanni. E a ciò fare e benedicere la prima pietra fue il vescovo di Firenze con tutto il chericato e co' segnori priori e l'altre segnorie co·molto popolo a grande processione; e fecesi il fondamento infino all'acqua tutto sodo; e soprastante e proveditore della detta opera di Santa Liperata fue fatto per lo Comune maestro Giotto nostro cittadino, il più sovrano maestro stato in dipintura che·ssi trovasse al suo tempo, e quelli che più trasse ogni figura e atti al naturale; e fulli dato salario dal Comune per remunerazione della sua vertù e bontà. Il quale maestro Giotto tornato da Milano, che 'l nostro Comune ve l'avea mandato al servigio del segnore di Milano, passò di questa vita a dì VIII di gennaio MCCCXXXVI, e fu seppellito per lo Comune a Santa Reparata con grande onore. E in questo tempo e istante si cominciò a fondare il nuovo ponte a la Carraia, il qual era caduto per lo diluvio, e fue compiuto di fare in calen di gennaio MCCCXXXVI, e costò più di XXVm di fiorini d'oro, e restrinsesi II pile al Vecchio; e fecionsi di nuovo le mura sopra la riva d'Arno da l'un lato e da l'altro, per adirizzare il corso del fiume, e per più bellezza e fortezza de la città.



XIII - Come messer Mastino ebbe il castello di Colornio in parmigiana

Nel detto anno, del mese d'agosto, messer Mastino della Scala con la lega di Lombardia venne all'assedio del castello di Colornio in sul contado di Parma, e 'l Comune di Firenze vi mandò CCCL cavalieri, molto bella e buona gente, onde fu capitano Ugo delli Scali; sì che messer Mastino vi si trovò con IIIm cavalieri, e bisognavali bene, che' Parmigiani con la cavalleria ch'avea loro lasciata il re Giovanni, con l'aiuto di Lucca e di Reggio e di Modana, si trovarono con più di IIm buoni cavalieri, i quali per più volte feciono punga per rompere l'oste e di combattere con messer Mastino; ma l'oste era sì forte di fossi e di steccati, che non ebbono podere, né messer Mastino non si volle mettere a battaglia campale. Per la quale cosa i Parmigiani non potero fornire Colornio, e quello abandonato, s'arendéo a messer Mastino a dì XXIIII di settembre del detto anno. La quale vittoria fu cagione a messere Mastino d'avere poco apresso la città di Parma, come inanzi faremo menzione.



XIV - Come i Fiorentini riebbono il castello d'Uzzano in Valdinievole

Nel detto anno, a dì XII di settembre, per trattato di messer Beltramone dal Balzo capitano di guerra de' Fiorentini, e per tradimento e costo di IIm fiorini d'oro, il castello d'Uzzano di sopra a Pescia in Valdinievole s'arendéo al Comune di Firenze; e ciò fatto, il detto messer Beltramone dal Balzo capitano di guerra de' Fiorentini cavalcò con Vc cavalieri e popolo assai per due volte infino a le porti di Lucca, ardendo e guastando e levando gran preda con grave danno di Lucchesi. Ma ciò potea fare sicuramente per l'oste de la lega ch'era a Colornio in Lombardia, e la cavalleria di Lucca era a Parma, sì che·lla città di Lucca era isfornita di genti d'arme.



XV - Come il re Giovanni simulatamente donò la città di Lucca al re di Francia

Nel detto anno, a dì XIII d'ottobre, essendo il re Giovanni a Parigi simulatamente e per favore de' Lucchesi e a·lloro richesta donò al re Filippo di Francia tutte le ragioni ch'elli avea in Lucca e nel contado; e il detto re di Francia significò a tutti i mercatanti di Firenze ch'erano in Parigi, come a·llui apartenea la signoria di Lucca e ch'ellino scrivessono al nostro Comune che a la città di Lucca né al contado non si facesse guerra; ma però non si lasciò. E lo re Ruberto per sue lettere e ambasciadori de la detta impresa di Lucca molto si dolfe al re di Francia suo nipote, e pregandolo ch'elli lasciasse la detta impresa di Lucca, però che·lla signoria non era sua di ragione, e erali stata tolta per tradimento, e rubellata per Uguiccione da Faggiuola e poi per Castruccio Interminelli, per la qual cosa il re di Francia non vi mandò sua gente né ne prese possessione.



XVI - Come i Fiorentini per guardia della terra feciono in Firenze VII bargellini

Nel detto anno, per calen novembre, coloro che reggeano la città di Firenze crearono uno nuovo oficio in Firenze; ciò furono VII capitani di guardia della città, ciascuno con XXV fanti armati, e in ogni sesto de la città ne stava uno, e nel sesto d'Oltrarno due; i quali guardavano la città di dì e di notte, di sbanditi e di zuffe e offensioni e di giuoco e d'arme, e fuoro chiamati bargelli. L'oficio de' detti ebbe bello colore e buona mossa; ma quelli che reggeano la città il feciono più per loro guardia e francamento di loro stato, perché dubitavano ch'a la nuova reformazione de la lezione de' priori, che·ssi dovea fare il gennaio apresso, non avesse contesa, perché certi popolani ch'erano degni d'essere al detto oficio per sette n'erano schiusi. Durò il detto uficio uno anno e non più, fornita la detta lezione; e poi ne surse un altro oficio di maggiore lieva, che·ssi chiamò conservatore, come inanzi al tempo faremo menzione.



XVII - Conta di guerra tra' Catalani e' Genovesi

Nel detto anno i Genovesi co·lloro galee armate feciono grande danno a' Catalani, che presono di loro quattro grandi cocche in Cipri, e altre quattro in Cicilia, e quattro galee in Sardigna, tutte cariche di ricco avere, e li uomini tutti misono alle spade o anegaro in mare, e VIc ne 'mpiccaro a uno colpo in Sardigna, la quale fue una grande crudeltà; ma non fu sanza merito in parte di giudicio di Dio alla loro città, come seguendo in questo assai tosto faremo menzione.



XVIII - Come i Turchi furo sconfitti in mare da galee de la Chiesa e del re di Francia

Nel detto anno l'armata de la Chiesa di Roma e del re di Francia e' Viniziani, in quantità di XXXII galee mandate in Grecia per difenderla da' Turchi che tutta la correano e guastavano, iscontrandosi col navilio de' Turchi ch'era infinito, combattero co·lloro. I Turchi fuggendo a terra, ne morirono più di Vm, e arsono di loro navilio CL legni grossi sanza i sottili e piccioli, e poi corsono tutte le loro marine e alquanto fra terra, levando gran preda di schiavi e di cose con grande danno di loro.



XIX - De la morte di papa Giovanni XXII

Nel detto anno, a dì IIII di dicembre, morì papa Giovanni apo la città di Vignone in Proenza, ov'era la corte, d'infermità di flusso, che tutto il suo corpo si disolvette, e per quello si sapesse, morì convenevolmente assai ben disposto apo Dio, rivocando il suo oppinione mosso de la visione dell'anime de' santi. E ciò fece, secondo si disse, più per infestamento del cardinale dal Poggetto suo nipote e degli altri suoi parenti, a ciò che non morisse con quella sospeccionosa fama, che da suo movimento, non credendo sì tosto morire, e elli morì il dì seguente. E a ciò che sia manifesto a chi per li tempi leggerà questa cronica, e non possa avere preso errore per quella oppinione, sì metteremo apresso verbo a verbo la detta dichiarazione fatta fedelmente volgarizzare, come avemo la copia dal nostro fratello che allora era in corte di Roma."Giovanni vescovo, servo di servi di Dio, a perpetua memoria. Né sopra quelle cose che dell'anime purgate partite da' corpi, se a la resurrezzione de' corpi la divina essenzia con quella visione, la quale l'Apostolo chiama "fiaccole", vegghiamo, sì per noi come per molti altri, in nostra presenzia recitando e allegando la sacra Scrittura e li originali detti de' santi, o per altro modo ragionando, spesse volte dette sono altrementi che per noi dette e intese fossono, e intendansi e dicansi, possano nelli orecchi de' fedeli dubbio e oscurità generare; ecco la nostra intenzione la quale con la santa Chiesia cattolica intorno a queste cose abbiamo, e abbiamo avuto, per lo tenore delle presenti, come seguita: dichiariamo, confessiamo certamente e crediamo che l'anime purgate partite da' corpi sono ne' cieli de' cieli e in paradiso con Cristo, e in compagnia delli angeli raunate, e veggiono Idio e la divina essenzia faccia a faccia chiaramente, in quanto lo stato e la condizione dell'anima partita dal corpo comporta. E se altre cose e quale o per altro modo intorno a questa materia per noi dette predicate, overo scritte fossono, per alcuno modo quelle cose abbiamo dette, predicate, overo scritte, recitando e disputando i detti della sacra Scrittura e de' santi, e così vogliamo essere dette, predicate, e scritte. Anche se alcune altre cose sermocinando, disputando, domatriando, amaestrando, overo per alcuno altro modo dicemmo, e predicamo, o scrivemo intorno a le predette cose, overo altre cose che raguardano la fede cattolica, la sacra Scrittura, overo a' buoni costumi, in quanto sono consone a la fede cattolica e a la determinazione de la Chiesa a la sacra Scrittura e a' buoni costumi, la sponiamo; altrementi per altro modo quelle cose abbiamo avute, e vogliamo per non dette, predicate e scritte, e quelle revochiamo espressamente; e le predette tutte cose, e qualunque altre predette e scritte per noi di qualunque mai fatti in ogni luogo, e in qualunque luogo o in qualunque stato, che abbiamo, e abbiamo avuto da quinci adietro, e sommettiamo a la determinazione de la Chiesa e de' nostri successori. Data a Vignone a dì III di dicembre, anno XVIIII del nostro pontificato". E poi anullò le reservazioni per lui fatte, che da la sua morte innanzi non avessono vigore.



XX - Del tesoro che·ssi trovò la Chiesa dopo la morte di papa Giovanni, e di sua vita e costumi

Dissesi che l'eclissi del sole, che fue del mese di maggio l'anno dinanzi, significò la sua morte dovere esere quando il sole verrebbe a l'opposizione del suo mezzo corso; e così parve che fosse. De la morte del detto papa se ne fece in Firenze l'osequio a dì XVI di dicembre ne la chiesa di Santo Giovanni con grande e ricca luminaria, e grande solennità e celebrazione d'oficio per lo chericato e per tutti i cittadini. E nota che dopo la sua morte si trovò nel tesoro de la Chiesa a Vignone in monete d'oro coniate il valere e compito di XVIII milioni di fiorini d'oro e più; e il vasellamento, corone, croci, e mitre, e altri gioielli d'oro con pietre preziose lo stimo a larga valuta di sette milioni di fiorini d'oro, che ogni milione è mille migliaia di fiorini d'oro la valuta. E noi ne possiamo di ciò fare piena fede e testimonianza vera, che il nostro fratello carnale, uomo degno di fede, che allora era in corte mercatante di papa, che da' tesorieri e da altri che fuoro deputati a contare e pesare il detto tesoro li fu detto e acertato, e in somma recato per farne relazione al collegio de' cardinali per mettere in aventario, e così il trovaro. Il detto tesoro, la maggior parte, fu raunato per lo detto papa Giovanni per sua industria e sagacità, che infino l'anno MCCCXVIIII puose la reservazione di tutti i beneficii collegiati di Cristianità, e tutti li volea dare egli, dicendo il facea per levare le simonie. E di questo trasse e raunò infinito tesoro. E oltre a ciò e per la detta reservazione quasi mai non confermò elezzione di nullo parlato, ma promovea uno vescovo inn-uno arcivescovado vacato, e del vescovado del vescovo promosso promovea uno minore vescovo, e talora avenia bene sovente che d'una vacazione d'uno grande vescovado o arcivescovado o patriarcato facea sei o più promozioni; e simile d'altri benifici; onde grandi e molte provisioni di moneta tornavano a la camera del papa. Ma non si ricordava il buono uomo del Vangelio di Cristo, dicendo a' suoi discepoli: "Il vostro tesoro sia in cielo, e non tesaurizzate in terra"; né del tesoro che Piero e li altri apostoli chiesero a Mattia, quando asortiro i·lloro collega in luogo di Iuda Scariotto. E questo basti, e forse è detto più ch'a·nnoi non si conviene, però che 'l detto tesoro dicea papa Giovanni raunava per fornire il santo passaggio d'oltremare; e forse avea quella intenzione. Molto tesoro consumò in Lombardia per abattere i tiranni, e mantenere grande il suo nepote, overo figliuolo, legato di Lombardia, come adietro è fatta menzione, e talora contro a' Turchi. Allegravasi oltre modo d'uccisione e morte de' nimici; molto amò il nostro Comune di Firenze mentre fumo favorevoli e aiutatori del detto suo legato; e più grazie al Comune e singolari cittadini fece, che X vescovadi diede al suo tempo a' Fiorentini e molti altri benifici ecclesiastici; ma poi che 'l nostro Comune fue contro al detto legato, ne fu nimico, e cercava ogni nostro abassamento. Modesto fu e sobrio in suo vivere, e più amava vivande grosse che dilicate, e in sé propio poco spendea; quasi ogni notte si levava a dire l'uficio e istudiare; e le più mattine dicea la messa, e assai era latino di dare udienza, e tosto spediva. Piccolo fu di persona, prosperoso e collerico, e tosto si movea a ira. Savio in iscienza, e d'un aguto spirito, e magnanimo fu a le gran cose. Assai fece grandi e ricchi i suoi parenti, vivette da LXXXX anni, e seppellito fue in Vignone; ma poi i suoi parenti ne portaro o tutto o parte del suo corpo a Caorsa: e nel papato regnò anni XVIII e mesi. Lasciamo omai della materia, ch'assai avemo detto, e de' suoi modi e costumi, e diremo della lezione di papa Benedetto che succedette appresso lui.



XXI - De la lezione di papa Benedetto XII

Dopo la morte e sepoltura di papa Giovanni i cardinali, ch'erano allora XXIIII, e tutti ritrovandosi in Vignone, per lo siniscalco di Proenza del re Ruberto furo messi nel conclavi per bene guardati e distretti, a ciò che tosto facessono lezione di papa. E avendo tra·lloro tira e discordia della lezione, perché dell'una maggiore setta, della quale era capo il cardinale di Peragorgo, ciò era fratello del conte di Peragorgo, con séguito grande de' cardinali caorsini e franceschi, e il cardinale de la Colonna, sì trattaro d'eleggere papa il cardinale fratello del conte di Comingio, uomo savio e valoroso e di buona vita: fuoro a·llui, e profersorli le loro voci, con patto ch'elli promettesse loro di non venire a Roma; la qual cosa non volle promettere, dicendo che inanzi rinunzierebbe il cardinalato ch'elli avea certo, che 'l papato ch'era in aventura. Per la qual cosa rimescolata la divisione de la lezione tra' collegi quasi per gara, non credendo venisse fatto, misono a squittino quelli di loro collegio ch'era tenuto il più minimo de' cardinali; ciò fu il cardinale Bianco di piccola nazione di tolosana, il quale era stato monaco e poi abate di Cestella, però uomo di buona vita. Sanza osservazione d'ordinato squittino, parve opera divina, che ciascuna setta di cardinali a·rrigatta li diedono le loro voci, e così fu eletto papa la vilia di santo Tomè apostolo dopo vespero, a dì XX di dicembre MCCCXXXIIII. E lui eletto papa, ciascuno s'amirò, e elli medesimo ch'era presente disse: "Avete eletto uno asino", o per grande umilità non conoscendosi degno, o profetizzando il suo stato, però che fue uomo di grosso intelletto quanto ne la pratica cortigiana, ma sofficiente assai in iscrittura. E poi si coronò papa a dì III di gennaio al luogo de' frati predicatori a Vignone, e chiamossi papa Benedetto XII. E come fue eletto, diede commiato a tutti i prelati, salvo a' cardinali, e donò al collegio de' cardinali de la camera Cm fiorini d'oro per ispese.



XXII - Di certo diluvio d'acque che fu in Firenze e in Fiandra

Nel detto anno, a dì V di dicembre, fu tanta piova, che 'l fiume d'Arno crebbe isformatamente per modo che, se le pescaie ch'erano nel fiume inanzi al grande diluvio fossono state in piede, gran parte de la città sarebbe allagata; ma per lo diluvio il letto d'Arno era abassato più di VI braccia; ma pur così ruppe e ne menòe uno ponte di legname fatto a grossi pali, il quale era fatto tra 'l ponte Vecchio e quello di Santa Trinita, e uno ponte di piatte grosse incatenato, ch'era fatto tra 'l ponte a Santa Trinita e quello da la Carraia, con danno assai. In Fiandra e in Olanda e Silanda in questo tempo fuoro tante soperchie piove, e gonfiamento del fiotto del mare, che tutte case e terre di quelle marine si disertaro.



XXIII - Come uno frate Venturino da Bergamo commosse molti Lombardi e Toscani a penitenzia

Nel detto anno, per le feste della Nattività di Cristo, un frate Venturino da Bergamo dell'ordine de' predicatori d'età di XXXV anni, di picciola nazione, per sue prediche recòe a penitenzia molti peccatori micidiali e rubatori, ed altri cattivi uomini de la sua città e di Lombardia. E per le sue efficaci prediche commosse ad andare a la quarentina a Roma e al perdono più di diecimila Lombardi gentili uomini e altri, i quali tutti vestiti quasi dell'abito di santo Domenico, cioè con cotta bianca e mantello cilestro o perso, e in sul mantello una colomba bianca intagliata con tre foglie d'ulivo in becco; e venieno per le città di Lombardia e di Toscana a schiere di XXV o XXX, e ogni brigata con sua croce innanzi gridando pace e misericordia; e giugnendo ne le cittadi si rassegnavano prima a la chiesa de' frati predicatori, e in quella dinanzi a l'altare si spogliavano da la cintola in su, e si batteano un pezzo umilmente. E ne la nostra città di Firenze fu loro fatte grandi elimosine, che per le devote genti, uomini e donne, ogni dì erano messe tavole, e piena tutta la piazza vecchia di Santa Maria Novella, ove ne mangiavano per volta Vc o più ben serviti; e così durò XV dì continui, come passavano a Roma. Infra 'l detto tempo fue in Firenze il detto frate Venturino, e predicò più volte; e a le sue prediche traeva tutto 'l popolo di Firenze quasi come a uno profeta. Le dette sue prediche non erano però di sottili sermoni né di profonda scienzia, ma erano molto efficaci e d'una buona loquela e di sante parole, dicendole molto dubbiose e acentive a commuovere genti, quasi affermando e dicendo: "Quello ch'io vi dico sappia, e non altro; ché Dio così vuole". Andonne a Roma co' detti pellegrini, e co·molti altri di Toscana che 'l seguiro, che fue innumerabile popolo con molta onestà e pazienzia. E poi da Roma andòe a Vignone al papa il detto frate Venturino per impetrare grazia di perdono a chi·ll'avea seguito. In corte, o per invidia o per altra sua presunzione, fu acusato al papa, e apostili più articoli di peccati e di resia, de' quali fue disaminato, e fatta inquisizione, e fu trovato buono Cristiano e di santa vita; ma per la sua presunzione, e perché diceva che non era niuno degno papa se non stesse a Roma a la sedia di san Piero, e per tema ch'ebbe il papa che per le sue prediche non comovesse il popolo cristiano, sì·lli diè i confini a dimorare a Frisacca, una terra nelle montagne di Ricordana, e comandolli che non confessasse persona, né predicasse a popolo. E questi sono i meriti c'hanno le sante persone da' prelati di santa Chiesa; overo che fue giusto per temperare la soperchia ambizione del frate, tutto ch'adoperasse con buona intenzione.



XXIV - Come i Ghibellini di Genova ne cacciaro i Guelfi e la segnoria del re Ruberto

Nel detto anno, essendo ne la città di Genova tornati per pace fatta per lo re Ruberto tutti i Ghibellini, come adietro in alcuna parte facemmo menzione, e mandando a Genova il re uno meser Bolgro da Tollentino suo uficiale per ordinare la guardia della terra, e che 'l termine de la signoria del re si prolungasse, e essendovi per podestà per lo re messer Giannozzo Cavalcanti di Firenze, sombuglio e comozione nacque in Genova tra' Guelfi e' Ghibellini; perché a la maggiore parte de' Genovesi ch'erano d'animo imperiale, e naturalmente sono altieri e disdegnosi, rincrescea la segnoria del re, e non volendo prolungare più la segnoria al re; per la quale dissensione cominciaro tra·lloro battaglia cittadina, e asserragliaro tutta la terra e imbarraro. Alla prima ebbono il migliore i Guelfi, ma poi si partiro tra·lloro; che i Salvatichi per cagione ch'ad uno di loro per lo sopradetto meser Bolgaro, quando fu podestà di Genova, per mandato del re Ruberto fece tagliare il capo a uno de' maggiori della casa, perch'era gran pirrato e rubatore in mare, per lo quale sdegno s'accordaro co' Ghibellini e co·lloro seguaci a torre la segnoria al re, accordati a ciò fare co li Orii e Spinoli. E avuto grande soccorso di genti da Saona e della riviera, per terra e per mare cresciuto loro podere, per forza di battaglia ne cacciaro i Guelfi e le segnorie del re, a dì XXVIII di febraio del detto anno, con gran vergogna del re Ruberto; e fune dato colpa a la podestà di troppa negligenzia. Cacciati i Guelfi di Genova, andarsene al Monaco, e poi col favore del re Ruberto armaro galee, e furono segnori del mare, rubando chi meno poteva di loro, e tenendo la città di Genova molto stretta. I Ghibellini che rimasono segnori in Genova feciono due capitani, uno di casa d'Oria e uno di casa Spinola. Per questa mutazione molto si sconciò il buono istato di Genova e di mercatantia, e male vi si tenea ragione, onde molto abassò il podere de' Genovesi; e' Guelfi medesimi che tennero co' Ghibellini fuoro poi cacciati di Genova.



XXV - Come cominciò l'abassamento de' Tarlati d'Arezzo, e come fue tolto loro il Borgo a Sansipolcro

Nell'anno di Cristo MCCCXXXV, essendo messer Piero Saccone de' Tarlati d'Arezzo, fratello che fu del valente vescovo d'Arezzo, di cui adietro in più luogora avemo fatta menzione, co' suoi fratelli e consorti segnori al tutto d'Arezzo, e de la Città di Castello, e del Borgo a Sansipolcro, e di tutte loro castella, e di quelle di Massa Tribara, dominando come tiranni infino nella Marca, e avendo disertato Nieri d'Uguiccione da Faggiuola, e i conti da Montefeltro, e quegli da Montedoglio, e la casa delli Ubertini, e il vescovo d'Arezzo delli Ubertini e' figliuoli di Tano da Castello, e più altri baroncelli del paese, ghibellini e guelfi, per segnoreggiare tutto; e per loro presunzione, presa la città di Cagli, nella quale i Perugini cusavano alcuna ragione, e perché contro a' Perugini teneano la Città di Castello, i Perugini co' detti Ghibellini segretamente feciono lega e compagnia e con messer Guiglielmo segnore di Cortona, e dando a Nieri da Faggiuola di loro genti, e per trattato fatto con Ribaldo da Montedoglio cognato de' Tarlati, che per loro tenea il Borgo a Sansipolcro, entròe il detto Nieri nel detto Borgo con CC cavalieri e Vc pedoni a dì VIII d'aprile del detto anno, e prese la terra, salvo la rocca, che·ssi tenne infino a dì XX d'aprile, nella quale era messere Uberto di Maso de' Tarlati; e vegnendo gli Aretini co·lloro sforzo per soccorrella, i Perugini con tutta loro lega e forza vi fuoro più grossi e possenti, sì che al tutto rimasono segnori della terra e della rocca, la quale s'arendé loro, salve le persone. E questo fue il cominciamento de la loro rovina e abassamento.



XXVI - D'una rovina che fece parte della montagna di Falterona

Nel detto anno, a dì XV di maggio, una falda de la montagna di Falterona da la parte che discende verso il Decomano in Mugello, per tremuoto e rovina scoscese più di quattro miglia infino a la villa si chiamava il Castagno, e quella con tutte le case, persone e bestie salvatiche e dimestiche e alberi sobissò, e assai di terreno intorno, gittando abondanza d'acqua ritenuta, oltre a l'usato modo torbida come acqua di lavatura di cenere; e gittò infinita quantità di serpi, e due serpenti con quattro piedi grandi com'uno cane, li quali l'uno vivo e l'altro morto fuoron presi a Decomano. La quale torbida acqua discese nel Decomano, e tinse il fiume della Sieve; e la Sieve tinse il fiume dell'Arno infino a Pisa; e durò così torbido per più di due mesi, per modo che dell'acqua d'Arno a neuno buono servigio si poteva operare, né' cavalli ne voleano bere; e fue ora che i Fiorentini dubitaro forte di non poterlo mai gioire, né poterne lavare o purgare panni lini o lani, e che però l'arte della lana non se ne perdesse in Firenze; poi a poco a poco venne rischiarando, e tornando in suo stato.



XXVII - Di certi scontrazzi che fuoro tra·lla nostra gente e quella di Lucca

Nel detto anno, a dì VI di giugno, avendo il capitano della guerra de' Fiorentini, messer Beltramone dal Balzo, posto uno battifolle, overo bastita, tra Uzzano e Buggiano in Valdinievole per guerreggiare Buggiano e Pescia, tornando da quello la nostra gente in quantità di CL cavalieri, certi de' nemici per ordine d'aguato uscirono loro adosso, e combattero, e fuoro rotti i nimici, e presine XXII cavalieri, e uno conestabole morto. Intanto, com'era ordinato per li nimici, vennero da Pescia a Buggiano CC cavalieri di quelli di Lucca e assalirono i nostri, che·ssi credeano avere vinto, e misolli in isconfitta, e rimasonvi de' nostri IIII conestaboli presi e uno morto, con più cavalieri presi e morti.



XXVIII - Come i Perugini furo sconfitti da li Aretini

Nel detto anno, a dì VIII di giugno, avendo i Perugini e i loro collegati presa grande baldanza sopra li Aretini per la rubellazione del Borgo a Sansipolcro, col segnore di Cortona in quantità di VIIIc cavalieri e Vm pedoni erano partiti di Cortona e intrati in sul contado d'Arezzo guastando la contrada di Valdichiana. Messer Piero Saccone segnore d'Arezzo uscito di Castiglione Aretino con Vc cavalieri di sue masnade e pedoni assai, venne arditamente contro a Perugini, i quali, veggendo li Aretini, si cominciarono a ricogliere verso Cortona male ordinati e peggio capitanati. Li Aretini, intra' quali avea di buoni capitani di guerra, veggendo il loro male reggimento, assaliro vigorosamente i cavalieri di Perugia ch'erano ischierati in sulla strada alla guardia de' guastatori, e dopo la prima afrontata alquanto ritenuta i cavalieri perugini furono rotti e sconfitti, e rimaservi de' cavalieri pur de' migliori cittadini e forestieri da C tra presi e morti, e più di CC pedoni, e seguendo la caccia infino a le porte di Cortona; e se non fosse il refugio della terra, pochi ne sarebbono scampati. E ciò fatto, li Aretini cavalcaro guastando e ardendo in sul contado di Perugia per V dì, e fuoro infino a le forche di Perugia presso a la città a due miglia; e per diligione de' Perugini v'impiccarono de' Perugini presi colla gatta, overo muscia, al lato, e colle lasche del lago infilzate pendenti dal braghiere dell'impiccati. Per la qual cosa i Perugini molto aontati, non feciono come genti isbigottiti né sconfitti; ma subitamente raunaro danari, e mandaro in Lombardia per M cavalieri tedeschi, i quali erano stati delle masinade del re Giovanni, molto buona gente, i quali erano di poco partiti di Parma, quando si rendé a messere Alberto e Mastino, e chiamavansi i cavalieri de la Colomba; però che s'erano ridotti a la badia de la Colomba in Lombardia e ne la contrada, vivendo di ratto e sanza soldo. E quelli soldati vennero a Perugia, co' quali, co' Perugini, e coll'aiuto de' Fiorentini, che incontanente saputa la sconfitta mandarono a Perugia CL cavalieri colla 'nsegna del Comune di Firenze feciono apresso di gran cose contra li Aretini, come per lo inanzi leggendo si potrà trovare. E in questo tempo, a dì XV di giugno, passando per Firenze da CL balestrieri genovesi, i quali andavano ad Arezzo in servigio di messer Piero Saccone, che·lli mandavano i parenti della moglie ch'era de li Spinoli di Genova, andando al dilungo per la terra con bandiere levate, e colle sopransegne imperiali e ghibelline, i fanciulli e' garzoni e popolo minuto di Firenze a grido li seguiro fuori della porta, e tutti li rubaro e presono e fediro, sicché non potero andare al servigio delli Aretini, e tornarsi a Genova; e convenne che i mercatanti di Firenze ch'aveano a fare in Genova mendassero loro il danno ricevuto. De la qual cosa, e de' cavalieri che' Fiorentini mandaro loro subitamente sanza richesta, i Perugini ebbono molto a grado da' Fiorentini, che per lo sùbito avenimento della sconfitta erano molto sbigottiti; e per questo piccolo soccorso presono vigore e conforto per lo modo detto di sopra, e 'l consiglio de' Perugini ordinòe di trovare moneta per via di gabelle al modo di Firenze, onde soldaro i detti M cavalieri.



XXIX - D'una armata che 'l re Ruberto fece sopra Cicilia

Nel detto anno, a dì XIII di giugno, partiti del porto de la città di Napoli una armata di LX galee e più altri legni che il re Ruberto mandòe sopra l'isola di Cicilia con M cavalieri, onde fu capitano il conte Curiliano di Calavra e il conte di Chiermonte rubello di quello di Cicilia. E i Fiorentini li mandaro aiuto al re per quella armata C cavalieri; di più non potero servire il re per la gente de' Fiorentini ch'era in Lombardia in servigio della lega, e sopra la città di Lucca e al servigio di Perugini, come adietro è detto. La detta armata stettono in su l'isola di Cicilia il luglio e l'agosto faccendo grande danno, ma nulla terra murata v'acquistaro, però che e' parenti e' fedeli del conte di Chiermonte non li rispuosono come aveano promesso; e chi disse che 'l detto conte non volle perché il re no·lli fece quello onore quando venne a·llui, come si credette, e per animo imperiale; e a ciò diamo fede, che tornata la detta armata a Napoli, il detto conte si partì dal re e andonne in Alamagna al Bavero, e poi tornò al servigio di messer Mastino della Scala, onde s'era mosso.



XXX - Come la città di Parma e di Reggio s'arendero a' segnori della Scala, e quello che di ciò seguitò

Nel detto anno, avendo la lega di Lombardia co' cavalieri di Firenze (e al continuo n'avea al loro servigio CCCCL) molto aflitta la città di Parma, dapoi ch'ebbono il castello di Colornio, come adietro facemo menzione, Orlando e messer Marsilio de' Rossi di Parma, che teneano la segnoria della terra, trattato feciono con messer Azzo Visconti da Milano di darli Parma e Lucca; per la qual cosa messer Mastino e li altri segnori de la lega e' Fiorentini si turbaro molto, e ordinaro parlamento... e tutti vi fuoro, e messer Azzo a Solcino, e molto isdegno si scoperse allora tra messer Azzo e messer Mastino, che messer Azzo pur volea seguire la 'mpresa. I Fiorentini temendo di Lucca, che non venisse a le mani di messer Azzo, e confidandosi più di messer Mastino per le impromesse fatte a·lloro di rendere loro Lucca, antipuosono con ogni opera e coll'aiuto delli altri allegati di levare messer Azzo dal suo proponimento, e di paciarlo con messer Mastino, e dopo molti trattati s'accozzaro insieme in sul fiume del Leglio, e rimisesi la questione nelli ambasciadori di Firenze, i quali accordaro che Parma fosse di messer Mastino, e la lega atasse a messer Azzo acquistare Piagenza e il borgo a San Donnino. E ciò fatto, e confermato per solenni strumenti, i Rossi di Parma, non aspettando soccorso dal re Giovanni, trattaro concordia con messer Mastino e con la lega, mosso prima il trattato per Ispinetta marchese, e poi seguito e tratto a fine per mano di messere Marsilio da Carrara di Padova loro zio; e in tutto si rimisono i·llui, e rendero la città di Parma a messer Mastino e a messer Alberto de la Scala con promesse di larghi e grandi patti, lasciando loro Pontriemoli e più castella in parmigiana, e promissione di lasciarli i maggiori cittadini di Parma, e che avessono dal Comune annualmente per loro provisione grande quantità di moneta, in quantità di Lm fiorini d'oro. E elli promisono a meser Mastino d'aoperare con effetto con messer Piero Rosso loro fratello, il quale tenea la città di Lucca per lo re Giovanni, di farliele rendere, acordandosene per certa quantità di moneta col detto re. E questi patti di Lucca, dicea messer Mastino, facea a petizione del Comune di Firenze, per osservare i patti della lega, e così ne scrisse al detto Comune di Firenze, e continuo dicea a li ambasciadori de' Fiorentini ch'erano intorno di lui a Verona, e quando di ciò mancasse messer Piero Rosso, sarebbono di sua gente al servigio de' Fiorentini atare acquistare Lucca Vc cavalieri e tutte queste promesse erano inganno. Ebbono la possessione della città di Parma i segnori della Scala di Verona a dì XXI di giugno il detto anno MCCCXXXV, e entròvi messer Alberto de la Scala con VIc cavalieri, però che messer Mastino per alcuno disagio di sua persona preso a Colornio se n'era ito a Verona; e al cominciamento quelli della Scala osservaro largamente i patti a' Rossi di Parma infino che ebbono la possessione di Lucca. Essendo renduta la città di Parma a messer Mastino, poco apresso i segnori da Fogliano, che teneano la città di Reggio, per non avere adosso l'oste della lega, cercaro trattato con messer Mastino, e con certi patti rendero la città di Reggio a dì IIII di luglio del detto anno, a meser Mastino, il quale incontanente la rinvestì e diede a quelli da Gonzaga segnori di Mantova, com'era in patti de la lega, riconoscendola da·llui per omaggio, dandogline ogn'anno uno falcone pellegrino, il quale li doveano mandare a Verona.



XXXI - Come meser Azzo segnore di Milano ebbe a patti la città di Piagenza e di Lodi, e' marchesi Modana

E poi per simile modo, a dì XXVII di luglio del detto anno, si rendé la città di Piagenza a meser Azzo segnore di Milano; ma poi li Scotti di Piagenza con certi altri la rubellaro a meser Azzo, e più tempo stettono in trattato col re Ruberto di darli la terra. Il re per sua lunghezza, overo per tema di fare sì grande impresa contra meser Azzo, no·lli soccorse, per la quale cosa sotto certi patti s'arendero a meser Azzo a dì XV di dicembre MCCCXXXV. E poi, a l'entrante di settembre MCCCXXXV, s'arendé la città di Lodi al detto meser Azzo; e così fu a ciascuno de' collegati della lega di Lombardia osservati i patti del conquisto fatto, che a' marchesi da Ferrara, dopo molto stento avutasi la città di Modana per meser Mastino, la diede loro a dì VIII di maggio MCCCXXXVI, salvo che al Comune di Firenze non furo atenute le convenenze de la città di Lucca, onde poi tra 'l Comune di Firenze e meser Mastino ne seguiro grandi novità, sì come apresso per li tempi faremo menzione. Lasceremo alquanto de' fatti di Lombardia, e diremo di quelli di Firenze e d'altre parti che furono in que' tempi.



XXXII - Come i Fiorentini presono in guardia il castello di Pietrasanta, e con vergogna i·lasciaro

Nel detto anno, a dì VIIII di luglio, tegnendosi il castello di Pietrasanta del contado di Lucca per Niccolaio de' Pogginghi, che·ll'avea avuto in pegno dal conestabole di Francia, al tempo che venne in Lucca col re Giovanni, per Xm fiorini d'oro che·lli avea prestati, non potendo di suo podere guardare la terra, la diede in guardia al Comune di Firenze, salvo si ritenne la rocca; i quali vi mandaro C cavalieri e IIIc pedoni, capitano meser Gerozzo de' Bardi. Per la quale folle baldanza due dì apresso certi usciti di Lucca, in quantità di CC pedoni, presono il poggio della Pedona ch'è tra Pietrasanta e Camaiore, e quello intendeano d'aforzare; incontanente vi cavalcò meser Piero Rosso con le masinade di Lucca a cavallo e a piede, e quello poggio assediaro; e non essendo forniti di vittuaglia né soccorsi, s'arendero, e fuoro menati a Lucca presi; de' quali caporali ne furo impiccati XVIII, intra' quali ebbe due de' Pogginghi. Ma poi l'aprile vegnente il detto Niccolao di Poggio rendé Pietrasanta a meser Mastino de la Scala, che tenea già Lucca, per XIm fiorini d'oro, mandandone fuori le masnade de' Fiorentini; ma non compié l'anno apresso, che meser Mastino fece pigliare il detto Niccolao in Lucca, e opponendoli trattava co' Fiorentini, e tolseli i detti danari e più; e così il traditore dal traditore fu tradito giustamente.



XXXIII - Di grande corruzzione di vaiuolo che fue in Firenze

Nel detto anno e istate fue in Firenze una grande corruzzione di male di vaiuolo, che tutti i fanciulli di Firenze e del contado ne fuoro maculati diversamente; per la quale malatia più di IIm ne falliro per morte in Firenze tra maschi e femine. Dissesi per alcuni strolagi e naturali, che la congiunzione di Marte e di Saturno nel segno de la Libra, e il Giove a·lloro opposizione nell'Ariete, ne fu cagione.



XXXIV - Come si rubellò Grosseto a' Sanesi, e poi il riebbono per danari

Nel detto anno, a dì XXVIII di luglio, essendo Batino segnore di Grosseto per tirannia, sì come il più possente cittadino di quella, stato più tempo in Siena a' confini e quasi in cortese pregione (però che i Sanesi li aveano tolto Grosseto tortevolemente e a inganno, e in Siena il teneano per paura) il detto Batino si partì celatamente di Siena, e rubellò Grosseto. Per la qual cosa a' Sanesi surse assai guerra in picciol tempo, per la qual cosa i Sanesi incontanente feciono oste a Grosseto con molto dispendio e mortalità di loro gente per lo pestilenzioso luogo. E essendo ad oste infino a dì VIII di novembre, per certo falso trattato di que' d'entro fu data a' Sanesi una porta de la città, e rotto alquanto del muro; e intrato dentro il conte Marcovaldo de' conti Guidi loro capitano di guerra con più di CCC uomini, com'era ordinato, fuoro rinchiusi e quasi tutti presi; e di grande aventura scampòe il conte. E raforzata l'oste de' Sanesi, Batino essendo andato a Pisa per soccorso, da' Pisani ebbe aiuto de' cavalieri, e ancora per suoi danari soldò cavalieri, sì che menò i·Maremma Vc cavalieri, e francamente levò da oste i Sanesi e villanamente, che lasciaro tutto il loro campo e arnesi, e misonsi in fuga. E poi co' detti cavalieri corse Batino tutte le terre de' Sanesi di Maremma infino al bagno a Petriuolo, levando grandi prede; e ciò fu a dì XXVI di novembre del detto anno. Ma poi i Sanesi trattarono acordo col detto Batino, e promisonli Xm fiorini d'oro, e elli rendesse loro Grosseto, a dì XXVI di luglio MCCCXXXVI; ma rupporli dislealmente la 'mpromessa, che non li pagaro che·lla prima paga di Vm fiorini d'oro; e così fue ingannato il tiranno tirannescamente.



XXXV - Come i Sanesi per inganno presono la città di Massa, e ruppono pace a' Pisani

Ancora nel detto anno tegnendo i Fiorentini la guardia della città di Massa in Maremma per l'acordo fatto da' Pisani a' Sanesi per lo vescovo di Firenze, come adietro facemo menzione, l'anno MCCCXXXIII, e essendovi per podestà Teghia di meser Bindo de' Bondelmonti e per capitano Zampaglione de' Tornaquinci, la setta de' cittadini ch'amavano i Sanesi, e per loro trattato, cominciarono il romore e battaglia nella città, e abarrarsi ne la terra; e la parte de' Sanesi s'accostaro col detto Zampaglione loro capitano, e dissesi per corruzzione di moneta. Incontanente vi cavalcaro i Sanesi popolo e cavalieri, e entraro ne la terra da la parte di sopra ov'era la forza della loro setta. I Fiorentini vi mandaro allora il loro vescovo e altri ambasciadori per acquetare la terra, ma neente v'adoperaro per la forza de' Sanesi ch'aveano presa gran parte de le fortezze de la città; e convenne per forza ch'al tutto fossono segnori de la terra, e cacciarne i caporali amici de' Pisani; e ciò fu a dì XXIIII d'agosto del detto anno. Per la qual cosa i Pisani si turbaro molto contro a' Sanesi, perch'aveano loro rotta pace, e però diedono i·loro soccorso de' cavalieri a Batino di Grosseto contro a' Sanesi, come detto avemo. Ma più si dolfono de' Fiorentini, perché s'erano fidati di loro, e data in guardia la città di Massa, ed erano mallevadori della pace sotto pena di Xm marchi d'argento, con tutto che noi sapemo di vero che' Fiorentini non ci usaro frode né inganno contra' Pisani, ma falliro in negligenza di non mandare la forza de' loro cavalieri al soccorso della podestà di Massa, e non puliro il capitano loro cittadino, il quale si disse che fu colpevole della rivoluzione della città.



XXXVI - Di certi fuochi appresi in Firenze

Nel detto anno, a dì XXV d'agosto, s'aprese fuoco in Firenze da San Gilio, e arse una casa de' tintori. E poi a dì XVII di settembre s'apprese nella piazza di San Giovanni verso il corso delli Adimari, e arsono V case.



XXXVII - Come i Perugini e' loro collegati ebbono la Città di Castello

Nel detto anno, sabato notte ultimo dì di settembre, il marchese di Valliana avendo tenuto segreto trattato con tre fratelli di Monterchi anticamente suoi fedeli, i quali erano a la guardia ne la Città di Castello sopra una porta, per raporto d'una loro madre, subitamente e di notte si partì dal Monte Sante Marie, e cavalcò co' figliuoli di Tano da Castello, e con Nieri da Faggiuola, e con meser Branca da Castello, con Vc cavalieri de' Perugini e pedoni assai; e anzi dì giunsono a le porte di Castello, che dovea loro esere data per li detti traditori: fu loro risposto. E quando meser Ridolfo Tarlati, ch'era in Castello segnore con C cavalieri, sentì i nemici, fue a l'arme per difendere la terra; e vegnendo a la porta ov'erano i traditori, li fu gittato da loro de la torre d'entro: incontanente sbigottito abarrò la via dinanzi per difensione; ma il marchese e' suoi compagni e' maestri di guerra incontanente feciono agirare la loro gente da l'altra parte della terra, faccendo vista con grande tumulto di grida e di sono di trombe e di nacchere d'assalire altra porta; e rimase con pochi a tagliare la detta porta. Que' d'entro storditi per lo sùbito assalto, e male proveduti, corsono per la terra per paura a l'altre porte. Intanto fu tagliata e aperta quella ov'erano i traditori; e tagliato il ponte, e entrati dentro, e poi grande battaglie ebbono a le sbarre de la via, e per forza le vinsono, però che messer Ridolfo e' figliuoli vedendo i nimici dentro si fuggiro con parte di sua gente ne la rocca; che se fosse stato fermo a la difesa, non perdea la terra. La città per li Tedeschi fue tutta corsa e rubata, e 'l castello de la rocca assediato dentro e di fuori; e per la troppa gente in quella rifuggiti, non essendo fornita al bisogno di vittuaglia, s'arrendero pregioni a dì V d'ottobre. E messer Ridolfo con due suoi figliuoli e li altri della rocca n'andaro presi a Perugia. E poco apresso i Perugini ebbono il forte castello di Citerna, e più altre della contrada. Avemo detto sì distesa questa presa di Castello perché fue d'aventuroso avenimento, e con bello accorgimento e prodezza di guerra. E nota che se questa vittoria non fosse avenuta a' Perugini, elli erano per disertarsi de la guerra con li Aretini; però che già cominciava loro a rincrescere la grossa spesa de' cavalieri soldati, sì come popolo e cittadini male proveduti a guerra, e poco mobolati di moneta comunemente.



XXXVIII - Come il re d'Inghilterra isconfisse li Scotti

Nel detto anno, la state MCCCXXXV, il giovane Adoardo re d'Inghilterra con sua baronia ancora passò in Iscozia con Ruberto di Balliuolo, il quale n'avea fatto nuovo re, e contra Davit re nato di Ruberto di Brus, combattéo con lui e con li Scotti e sconfisseli. Ben vi rimase morto per soperchio affanno il conte di Cornovaglia, fratello carnale del re d'Inghilterra; e prese il re Adoardo quasi tutto il paese di Scozia, salvo le fortezze delle montagne, e de' boschi e maresi. E 'l detto re Davit di Brus si tornò in Francia al re Filippo di Valos suo collegato, avendo quasi perduto il reame. Lasceremo alquanto delli strani, e torneremo a nostra materia de' fatti di Firenze e delle pertinenze.



XXXIX - Come i Fiorentini criarono di nuovo l'uficio del conservadore, e quello ne seguì

Nel detto anno, per calen di novembre, i Fiorentini che reggeano la città feciono u·nuovo reggimento di segnoria, il quale chiamaro il capitano della guardia e conservatore di pace e di stato de la città. E il primo fue meser Iacopo Gabrielli d'Agobbio; e il detto dì entrò in segnoria con L cavalieri e con C fanti a piè, con salario di Xm fiorini d'oro l'anno con grande arbitrio e balìa sopra li sbanditi; e sotto il suo titolo de la guardia stendea il suo uficio di ragione e di fatto a modo di bargello e sopra ogni altra signoria, e faccendo iustizia di sangue come li piacea, sanza ordine di statuti. E tornò a stare ne palagi che fuoro de' figliuoli Petri dietro e di costa a la chiesa di San Piero Scheraggio, i quali in quelli tempi si comperarono per lo Comune di Firenze da' creditori de la compagnia delli Scali fiorini VIIm d'oro. Questo uficio feciono e criarono quelli cittadini popolari che reggeano la terra per fortificare loro stato e per paura di non perderlo, quasi al modo dell'anno dinanzi aveano fatti i VII bargellini, come adietro facemo menzione. Il detto messere Iacopo stette in segnoria uno anno faccendo aspro uficio, e faccendosi molto temere a' cittadini grandi e popolani; e li sbanditi quasi si cessaro tutti di città e di contado; però che prese Rosso figliuolo di Gherarduccio de' Bondelmonti, il quale avea bando di contumace de la testa per certa riformagione, e non per istatuto né micidio per lui fatto, ma per una cavalcata ch'elli con certi avea fatta a Monte Alcino in servigio de' Tolomei di Siena; e feceli tagliare il capo contro al volere de la maggiore parte de' Fiorentini, però che non avea fatta offensione a nullo cittadino né in nostro distretto, ma per farsi temere: però che chi a uno offende molti minaccia. E poi più altri per simile modo giudicò a morte, e condannò quasi tutti i Comuni e popoli di contado per cagione di ritenere sbanditi a diritto e a torto, come li piacque. E così menando rigido e crudo il suo oficio, molte cose inlicite e di fatto fece in Firenze, a petizione di coloro che l'aveano chiamato e reggeano la città, e ancora per non licito guadagno. Poi compiuto l'anno se n'ando ad Agobbio ricco di molti danari. E in suo luogo ci venne in calen di novembre MCCCXXXVI, per uno anno apresso, messer Accorrimbono da Tolentino, uomo d'età di più di LXXV anni, il quale altra volta stato in Firenze per podestà fu buono rettore. Al cominciamento di suo uficio cominciò bene; ma poco appresso dilatando suo uficio, che l'avea di fatto, infino a' piati minuti intese per guadagneria di sé e di sua corte. E infra 'l suo tempo, a dì XIII di luglio MCCCXXXVII, essendo a sindacato uno meser Niccola de la Serra d'Agobbio stato podestà di Firenze, e trovandosi in defetto, e per l'esecutore delli ordinamenti de la giustizia suo parente, il quale era del contado d'Agobbio, col favore del detto meser Accorrimbono e della nuova podestà, ch'era nipote del detto meser Accorrimbono, non lasciando a' sindachi in ciò fare loro officio, gente minuta si commosse, e fue in parte la città a romore in su le piazze de le segnorie, perché non si facea iustizia de la podestà e di sua famiglia; e co' sassi cacciati fuoro e fediti, e alquanti morti delle famiglie delle dette segnorie a·lloro gran difetto, spezialmente quella del detto meser Accorrimbono, onde tutta la città si comosse. E volendo il detto meser Accorrimbono fare iustizia in persone di certi che avea presi per lo detto romore, per paura del popolo minuto non ebbe l'ardire, e non l'avrebbe potuto fare per la furia del popolo; e convenne fosse condannata la podestà vecchia, e certi de' detti che feciono il romore, in pecunia. Per la quale cosa e cagioni si fece decreto che infra X anni nullo rettore di Firenze potesse esser d'Agobbio o del contado. Conseguendo l'uno errore sopra l'altro, il detto meser Accorrimbono, a petizione di certi caporali che reggeano la città, per cagione di setta fece una inquisizione del mese di settembre contra meser Pino della Tosa, ch'era morto il giugno dinanzi, ch'elli e Feo di meser Odaldo de la Tosa e Maghinardo delli Ubaldini aveano tenuto trattato con meser Mastino de la Scala di tradire Firenze; e fune costretto e martoriato il figliuolo di meser Pino per farlo confessare ciò, ed altri gentili uomini di Firenze amici di messer Pino, per disfare la sua memoria e distruggere i suoi amici; e ciò fu fatto per invidia, e chi disse per operazione d'alcuno consorto del detto messer Pino. La qual cosa non fu né si trovò vero; e il detto Maghinardo se ne venne personalmente a scusare. Ben fu vero che messer Pino per mandato del re Ruberto, da cui tenea terra, cercò con meser Mastino concordia co·llui e col nostro Comune, dandone la città di Lucca libera. E per la detta cagione parendo al detto messer Accorrimbono avere male impreso, per sua ricoperta condannò parte de la casa di messer Pino a disfare, perché cominciò il trattato sanza parola de' priori, e il detto Feo per contumacia; la qual cosa fu molto biasimata da più cittadini, però che messer Pino era stato il più suficiente e valoroso cavaliere di Firenze, e il più leale a parte guelfa, popolo e Comune. Ben fue un grande imprenditore di gran cose per avanzarsi; per la qual cosa il detto oficio di capitano di guardia e conservatore venne sì in orrore de' cittadini di Firenze, che per nullo modo o procaccio di certi caporali che reggeano la città, non potero avere balìa di raffermare il detto messere Accorrimbono né altri in suo luogo; e venne meno il detto oficio, il qual'era arbitraro e di fatto, sanza ordine, legge o statuto osservare, per potere per lo detto oficio disfare e cacciare di Firenze cui fosse piaciuto a certi che reggeano la città, ch'aveano criato il detto uficio, e per tenere in tremore i cittadini. Avemo sì lungo fatta memoria di questo officio e de' suoi processi per lasciarne esemplo a' cittadini che saranno, a ciò che per bene de la nostra città non siano mai vaghi di fare uficiali arbitrari, che perché si criino sotto colore e titolo di bene di Comune, sempre mai fanno dolorosa uscita per le cittadi, e nascene tirannica segnoria.



XL - Come messer Mastino della Scala ebbe la città di Lucca

Nel detto anno MCCCXXXV, in calen di novembre, dopo molti trattati fatti per Orlando Rosso con messer Mastino de' fatti di Lucca, sempre con parole e promesse di farlo ad istanza de' Fiorentini, tanto si menò il trattato, che messer Piero Rosso, il quale n'avea la possessione, non si potéo più difendere da' fratelli, e mal volontieri andòe a Verona, e aconsentì di dare a messer Mastino la segnoria di Lucca. E così ebbe messere Mastino della Scala la posessione e la segnoria de la città di Lucca e del contado per mano d'Orlando e di messer Piero de' Rossi di Parma, com'erano state fatte le convenenze quando renderono Parma, come dicemo adietro. E partissi messer Piero Rosso a dì XX di dicembre del detto anno de la città di Lucca, e andossene a Pontriemoli, che di patti rimase a' Rossi con più altre castella in parmigiana per lo modo detto; e in Lucca rimase poi vicario per meser Mastino meser Giliberto tedesco con Vc cavalieri, e sempre dando meser Mastino falsa speranza a' Fiorentini per sue lettere, e dicendolo e promettendolo e giurandolo a' loro ambasciadori, ch'al continuo il seguivano per cagione di ciò, di rendere al Comune di Firenze la città e contado di Lucca com'erano i patti de la lega, quando avesse riformata la terra in buono stato; de la quale promessa fallì sì come fellone e traditore, e i Rossi di Parma tradì e disertò, come inanzi faremo menzione, sì come falso e disleale tiranno, che s'avea conceputo con disordinata e folle covidigia e malvagio consiglio che per la città di Lucca e per la sua forza avere la signoria di tutta Toscana, come inanzi per li suoi esordi e processi si potrà trovare; per lo quale tradimento nacquero diverse e maravigliose novità e mutazioni in Lombardia e in Toscana ordinate per li Fiorentini.



XLI - Come le terre del viscontado in Valdambra si diedono al Comune di Firenze

Nel detto anno, essendo già la segnoria de' Tarlati d'Arezzo molto abassata per la perdita del Borgo a Sansipolcro e per quella de la Città di Castello, come dicemo adietro, e per la forza de' Perugini ch'era col loro ordine montata con l'aiuto de' Fiorentini, che ispesso con le loro masnade correano insino in su le porte d'Arezzo, e aveano riposto il Monte San Savino, e di quello i Perugini faceano guerra al continuo, e più volte vi sconfissono di loro masnade; per la qual cosa quelli del viscontado, cioè il castello del Bucino in Valdambra, e quello di Cenina, Galatrone, Rondine, e la Torricella, i quali teneano i Tarlati, e di gran parte v'aveano su ragione per certe compere per loro fatte da certi de' conti Guidi, temendo de la guerra, e conoscendo che li Aretini non li poteano difendere né soccorrere, si diedono al Comune di Firenze a dì II di novembre, faccendoli franchi per V anni, dando li detti castelli uno cero a la festa di san Giovanni ciascuno anno. Il quale fu un bello acquisto a Fiorentini, e un grande allargamento e aconcio di loro contado per quello che·nne seguìo apresso.



XLII - Come ne la città di Pisa ebbe battaglia, e furone cacciati certa parte

Nel detto anno e tempo, essendo la città di Pisa in grande setta e divisione, che l'una parte era il conte Fazio con la maggiore parte de' popolani che reggeano li ufici de la città, l'altra setta erano i non reggenti, ond'erano capo messer Benedetto e messer Ceo Maccaioni de' Gualandi, e certi de' Lanfranchi e più altri grandi, e Cola di Piero Bonconti e più altri popolani, i quali ordinarono cospirazione in Pisa per abattere il conte e i reggenti suoi seguaci, con trattato di messer Mastino de la Scala, che·lli aveano promessa la signoria di Pisa, e elli dovea loro mandare le sue forze de' cavalieri da Lucca. La quale cospirazione partorì romore e battaglia cittadina, che a dì XI di novembre del detto anno i detti de' Gualandi e' loro seguaci con armata mano assalirono la podestà di Pisa e cacciarlo di Pisa e rubarlo, e arsono tutti li atti e scritture di Comune, e ruppono le pregioni e liberaro i presi. E poi ne la piazza di San Sisti tutto il dì combattero li anziani e il conte e il popolo di Pisa, ch'erano raunati armati in su la piazza de li anziani. E non potendo resistere al popolo si ridussero la sera al capo del ponte a la Spina a la porta de le Piagge, e quivi s'aforzaro con barre e serragli aspettando il loro soccorso da Lucca da messer Piero Rosso, il quale mandava loro CCCC cavalieri e popolo assai; e già erano presso del castello d'Asciano; sentendolo il conte e il popolo dubitando loro venuta afrettaro la battaglia la notte con fuoco mettendo e con molto saettamento, e promettendo a' loro soldati tedeschi e italiani paga doppia; i quali gran parte scesi de' cavalli manescamente combattero, e per forza d'arme la notte medesima cacciarono i rubelli de la città; che s'avessero indugiato il romore, o sostenuto la notte infino a la mattina che il loro soccorso da Lucca fosse giunto a Pisa, elli avrebbono vinta la città, e messer Mastino n'era segnore. Sentendosi la novella in Firenze, i Fiorentini mandaro incontanente CCC cavalieri di loro masnade a Montetopoli in servigio del conte e delli anziani di Pisa per soccorrella: per lo sùbito riparo non bisognaro, ringraziandone per loro ambasciadori molto i Fiorentini; con tutto che per la loro ingratitudine poco tempo il tennero a mente i Pisani, come per inanzi leggendo si troverà. Poi i Pisani a dì XV di dicembre fecero il conte Fazio loro capitano di guerra, e crebbono le masnade de' soldati infino D e Vc a piè a la guardia de la terra, e isbanditi per ribelli i loro nemici, e disfecero i beni loro, i quali se n'andaro a Lucca; e aforzaro i Pisani di fossi e di steccati Quinzica e 'l borgo di San Marco, e la porta a le Piagge e il ponte a la Spina di ponti e catene, e tagliarono le vie di Lucca, e fecionvi bertesche e ponti e levatoi assai.



XLIII - Come il marchese Spinetta ebbe Serezzano

Conseguendo messer Mastino de la Scala il suo proponimento d'avere la segnoria di Pisa a suo podere, sì ordinò con Ispinetta marchese Malespina e col vescovo di Luni suo cosorto di fare rubellare a' Pisani la terra di Serezzano; e così fu fatto, che a dì IIII di dicembre del detto anno i detti vescovo e Spinetta, essendo per certi terrazzani di loro parte data una porta de la terra, v'entrarono con M fanti, e presero la segnoria sanza nullo contasto, onde i Pisani si tennero forte gravati da messer Mastino e da Spinetta, e entrato in grande sospetto e paura di loro usciti e di loro séguito, faccendo di dì e di notte guardare la città di Pisa con gente d'arme a cavallo e a piede.



XLIV - Del tradimento che messer Mastino de la Scala fece a' Fiorentini de la città di Lucca

Nel detto anno, per calen di dicembre, parendo a' Fiorentini che messer Mastino e Alberto de la Scala li menassono per lunga di dare loro la signoria de la città di Lucca, com'era l'ordine e 'l patto de la lega, come adietro è fatta menzione; e tenendo in parole e in vana speranza certi ambasciadori e sindachi del Comune di Firenze, ch'al continuo li seguivano per la detta cagione, sì ordinaro di mandare a Verona, oltre a quelli, una solenne e grande ambasceria da sei de' maggiori cittadini grandi e popolani di Firenze per sapere il fine di loro intendimento. I quali essendo a Verona co' detti tiranni, e nel paese a più parlamenti co·lloro e con li altri caporali lombardi, con cui i Fiorentini aveano fatta la lega, dimandando la posessione di Lucca e che fossero attenuti i patti, i detti de la Scala con belle parole e false promesse menando per lunga di giornata in giornata i detti nostri ambasciadori, alla fine faccendo trattare ad Orlando Rosso di Parma, dimandando di Lucca grossa quantità di moneta, dicendo n'aveano speso, e convenia spendere al re Giovanni di Buemme per avere sua pace de la presa di Lucca. I detti ambasciadori scrivendolo a Firenze, i Fiorentini diliberaro che, dapoi che per altro modo non si potea avere Lucca, non lasciassono per numero di pecunia, rimettendola ne' detti ambasciadori. I quali dopo lungo trattato di parole fuoro con dissimulata concordia da la parte di detti messer Mastino e messere Alberto di darne loro CCCLXm di fiorini d'oro, parte contanti e parte a certi termini, sicurandoli nella città di Vinegia a·lloro volontà. E nota, lettore, l'errore e fallo de' Fiorentini, che nel MCCCXXVIIII potero avere Lucca da' soldati del Cerruglio per LXXX fiorini d'oro, e poi nel MCCCXXX per patti de' cittadini e di messer Gherardino Spinola per minore quantità, sì come adietro facemo menzione; e poi vi spesono e vollono spendere disordinata somma di moneta. Istimo che Idio nol permettesse per purgare i peccati e mali guadagni de' Fiorentini e di Lucchesi, e eziandio de' Lombardi. Torniamo a nostra materia: che quando fu data l'ordine, e trovati i danari e fatti i sindachi per li Fiorentini, il disleale Mastino e traditore per malvagio consiglio del marchese Spinetta e d'altri Ghibellini, ed eziandio con soduzzione del segnore di Milano e de li altri segnori lombardi per farli nimici del Comune di Firenze, però che parea loro che messer Mastino fosse apo loro troppo grande, mostrandoli con vana speranza che tenendo per sé Lucca avrebbe di leggere la città di Pisa per la loro divisione; e avea la città d'Arezzo a sua volontà, e con le sue forze leggere li era d'avere tosto la Romagna e Bologna per le divisioni e mutazioni di quelle, per la partita e cacciata de·legato; e ciò avuta, i Fiorentini non potrebbono resistere a le sue forze, ma li avrebbe come circundati e assediati; faccendoli vedere che per le divisioni di Firenze tra' grandi e' popolani e il popolo minuto per le soverchie gravezze, e i non reggenti de le signorie de li uffici della città, agevole gli era d'avere la città di Firenze a la sua segnoria, e poi tutta Toscana, e più a lunge; il traditore Mastino giovane d'età, e più di senno e fellonia, e trascotato e ambizioso per la felicità dove l'avea messo la fallace fortuna, fue desideroso come tiranno d'acquistare terra e segnoria, e di farsi re in Lombardia e in Toscana, non guardando a fede promessa e giurata a' Fiorentini, né considerando che la potenzia di Dio è più che forza umana, mosse nuova questione a' detti ambasciadori, dicendo: "Noi non vogliamo di Lucca danari, che n'avemo assai; ma volemo che' Fiorentini, se vogliono Lucca, con le loro forze ci aiutino acquistare la città di Bologna, o almeno non li fossero incontro volendola acquistare, come ci promisono per li patti della lega, quando la segnoreggiava il legato". Sapendo ciò i Fiorentini, e avveggendosi però a tardi de la fellonesca intenzione del Mastino e de la non vera e sofistica dimanda di Bologna, che con le loro forze aveano sconfitta l'oste de·legato a Ferrara, per la qual cagione i Bolognesi aveano cacciato il legato e tornati a la lega de' Fiorentini e Lombardi, come è detto adietro, deliberaro che innanzi si lasciasse Lucca, che si fosse contro a' Bolognesi; e però mandaro che i detti ambasciadori, protestato e richesto di loro ragioni il Mastino, e' si partissono; e così feciono, i quali tornaro in Firenze a dì XXIII di febraio del detto anno. E inanzi che fossero giunti in Firenze, o apena partiti da Verona, partorì il Mastino la sua prava intenzione; ciò fu, che a dì XIIII di febraio del detto anno le sue masnade ch'erano in Lucca, sanza richesta o isfidamento alcuno, corsono Valdinievole e 'l Valdarno di sotto, che teneano i Fiorentini, e levando grandi prede. E in quelli giorni simigliantemente le sue masnade ch'erano in Modana corsono in sul contado di Bologna.



XLV - De l'ordine che presono i Fiorentini al riparo del Mastino

I Fiorentini, tornati i loro ambasciadori da Verona, e avedendosi com'erano stati gabbati e traditi villanamente dal Mastino, tutti di concordia ordinato VI de' maggiori cittadini, uno per sesto, due de' grandi e quattro popolani sopra la guerra col Mastino, e XIIII popolani a trovare moneta con grandissima balìa, ciascuno officio per termine d'uno anno; il quale ordine fue allora lo scampo di Firenze per l'eseguizioni che fecero i·lloro riparo e in guerreggiare i tiranni della Scala, sì come inanzi leggendo potrete trovare. Che il Mastino avea minacciato che innanzi il mezzo maggio prossimo verrebbe a vedere le porte di Firenze con IIIIm armadure a cavallo, per abattere l'orgoglio de' Fiorentini; ed erali possibile, ch'elli era segnore di Verona, di Padova, di Vicenza, di Trevigi, di Brescia, di Feltro, di Civita Belluna, di Parma, di Modona, e di Lucca; e aveano di rendita l'anno di gabelle de le dette X cittadi e di loro castella più di VIIc migliaia di fiorini d'oro, che non ha re de' Cristiani che·lli abbia se none il re di Francia, sanza l'altro loro séguito e amistà de' Ghibellini, che mai non fuoro tiranni in Italia di tanta potenzia; onde a' Fiorentini parea avere forte partito a le mani, ma come franchi e vertudiosi, quasi neuno discordante, recandosi ciascuno in sé la 'ngiuria del tradimento del Mastino, sì diliberaro di seguire magnificamente la 'mpresa. Onde poi i Fiorentini, come piacque a Dio, poco tempo appresso osteggiaro loro più volte infino a Verona villanamente, come inanzi leggendo si potrà trovare, faccendo di magnifiche imprese contra i detti tiranni. E in quelli medesimi giorni per li loro danari avrebbono fatto rubellare al Mastino la città di Modona, ed era già fornita per li soldati ch'erano in Modana, se non che i Bolognesi non vollono in servigio de' marchesi da Ferrara loro amici, di cui per li patti de la lega dovea essere Modana. E poi i Fiorentini per loro ambasciadori si dolfono a tutti li altri collegati lombardi del tradimento de' tiranni de la Scala, per loro scusa richeggendoli d'aiuto, e fecero nuova lega col re Ruberto, co' Perugini, Sanesi e l'altre terre guelfe di Toscana, e co' Bolognesi e co' Guelfi di Romagna, con grandi ordini e aperti per riparare la loro potenzia. Lasceremo alquanto de la guerra cominciata col Mastino per dire d'altre novità state in questi tempi, ritornando poi a quelle; però che in ciò molto ne cresce grande matera e maravigliosa e quasi incredibile, come leggendo per inanzi il processo della detta guerra si potrà trovare.



XLVI - Come i Colligiani si diedono da capo a la guardia de' Fiorentini e fecionvi la rocca

Nel detto anno MCCCXXXV, all'uscita del mese di gennaio, compiuto o per compiere il primo termine che' Colligiani s'erano dati a la guardia del Comune di Firenze, sì si diedono da capo per tre anni oltre al primo termine e ancora con più liberi patti; per la qual cosa i Fiorentini per volontà de' Colligiani, e per essere più sicuri della guardia e con meno spesa, sì ordinaro e feciono fare in Colle alle spese de' Colligiani una forte rocca al disopra della terra in su la piazza del Comune presso della pieve, con ali di mura e intrata per sé, e ordinaronvi uno castellano fiorentino con XL fanti al continuo a la guardia, de' quali l'una metade de le spese pagavano i Fiorentini e l'altra i Colligiani.



XLVII - Come papa Benedetto determinò l'oppinione di papa Giovanni suo anticessoro de la visione dell'anime beate

Nel detto anno, essendo per papa Benedetto tenuti più consistori con suoi cardinali apo Vignone, e con molti maestri in divinità fatta per più tempo solenne esaminazione sopra l'oppinione di papa Giovanni de la visione dell'anime beate, se dopo il dì giudicio crescerebbe loro beatitudine o no, onde in qua dietro in più capitoli è fatta per noi memoria sopra la detta questione; e spezialmente per la dechiarazione che ultimamente avea fatta papa Giovanni a la sua fine; patendo al papa e agli altri maestri che in quella parte ove conchiuse che l'anime beate vedeano la divina essenzia faccia a faccia chiaramente, in quanto lo stato e la condizione de l'anima partita dal corpo comporta, non fosse perfettamente dichiarato, ma lasciato ancora in nube il detto oppinione, sì 'l volle dichiarare. E dì XXVIIII di gennaio per lo detto papa in piuvico consistoro fu determinata e dato fine e silenzio santamente a la detta questione, cioè che la gloria de' beati è perfetta, e come i santi sono in vita etterna e veggono la beata speme de la Trinità; e che dopo il giudicio la detta gloria sarebbe istensiva ne l'anima e nel corpo, ma però non crescerebbe a l'anima sensivamente più che si fosse prima nell'anime beate. E sopra ciò fece decreto che chi altro credesse fosse eretico. Lasceremo de la detta materia, che assai n'è detto, e torneremo a nostri fatti di Firenze.



XLVIII - Come il Comune di Firenze ricominciò guerra a' segnori d'Arezzo

Nelli anni di Cristo MCCCXXXVI, a dì XIIII d'aprile, sentendo i Fiorentini che messer Piero Saccone de' Tarlati segnore d'Arezzo tenea trattato con messer Mastino della Scala di fare con lui lega e compagnia, e di ricevere in Arezzo la sua gente e cavalleria per difendersi, e fare guerra a' Fiorentini e a' Perugini, e al continuo erano in Arezzo suoi ambasciadori, sì·ssi diliberò in Firenze di cominciare aperta guerra a la città d'Arezzo; e il detto dì si sbandiro le strade. Chi disse che i Fiorentini ruppono la pace alli Aretini fatta l'anno MCCCXVI per lo re Ruberto indebitamente, e non si convenia a la magnificenza del Comune di Firenze rompere pace a li Aretini, se prima per loro non fosse mossa guerra apertamente; e chi disse che non era rompimento di pace a l'offese fatte per loro a' Fiorentini in dare sempre aiuto a Castruccio e a li altri nimici del Comune di Firenze, e al presente legarsi con messer Mastino fatto loro nemico, e datali la signoria d'Arezzo. Vedendo li Aretini che 'l Comune di Firenze volea cominciare loro apertamente guerra, per levarsi il furore d'adosso sì cercaro per più trattati d'avere concordia co' Fiorentini e co' Perugini; i quali trattati tornaro tutti in vano, però ch'erano con inganno; che' signori d'Arezzo al continuo atendeano grossa gente da messer Mastino, e vennono infino a Forlì in Romagna più di VIIIc cavalieri; per la qual cagione i Fiorentini mandaro in Romagna di loro masnade VIc cavalieri, e con l'aiuto de' Bolognesi e de li altri Guelfi romagnuoli fuoro più di XIIc di cavalieri; e tutta la detta state stettono in Romagna a la guardia de' passi, per modo che la gente di messer Mastino per nullo modo potero passare ad Arezzo. E infra questo tempo i Fiorentini feciono cavalcata sopra la città d'Arezzo di VIIc cavalieri e popolo assai a dì III di luglio del detto anno. E i Perugini da l'altra parte col loro sforzo infino a le porte d'Arezzo, acozzandosi le dette due osti, faccendo grande guasto di biade, ed arsione di posessioni nel contado d'Arezzo e intorno a la città, dimorandovi ad oste sanza alcuno contasto infino a dì VIII d'agosto con gran danno de li Aretini. E in questo anno, il maggio passato, a petizione de' Perugini e con la loro forza, i Guelfi di Spuleto cacciaro i Ghibellini della città di Spuleto.



XLIX - Come i Fiorentini feciono compagnia e lega col Comune di Vinegia, e l'ordine di quella

Vedendo i savi uomini di Firenze che governavano la città, com'erano entrati in grande impresa per la guerra incominciata, e che s'apparecchiava maggiore, co' tiranni de la Scala di Verona per lo fatto di Lucca, e considerando che per loro poco si potea fare guerra, se non da la parte di Lucca, sanza aiuto o compagnia di segnore o d'altro Comune di Lombardia per offendere il Mastino, e cessarsi la guerra da presso e recarla da lungi, più trattati cercato col segnore di Milano e con altri tiranni e grandi lombardi. E sentendo che 'l Comune di Vinegia avea grande questione e isdegno preso col Mastino di Verona per le saline da Chioggia a Padova, che per sua forza tenea occupate, e più altri divieti di mercatantie e cose aveano fatte contra loro libertà in padovana e in trevigiana, sì feciono cercare per trattato de' nostri mercatanti usanti a Vinegia, di fare col detto Comune di Vinegia lega e compagnia contro a' detti tiranni de la Scala. Il quale trattato con molte arti e lusinghe fatte a' Viniziani per li Fiorentini per inducerli a·cciò, a' detti Viniziani piacque; e poi secretamente mandati a Vinegia savi e discreti ambasciadori per lo Comune di Firenze, vi si diè compimento in Vinegia per la forma e capitoli specificati qui apresso.



L - La lega tra 'l Comune di Vinegia e di Firenze

MCCCXXXVI, indizione IIII, a dì XXI di giugno, la lega tra 'l Comune di Vinegia e di Firenze fu fatta a Vinegia per li sindachi de' detti Comuni con questi patti.

In prima fecero tra·lloro lega, compagnia e unità, la quale duri dal detto dì infino a la festa di san Michele di settembre che viene, e da la detta festa ad uno anno;

e che per li detti Comuni si soldino IIm cavalieri e IIm pedoni al presente, i quali steano a far guerra in trevigiana e veronese; e quando parrà a' detti Comuni, se ne soldino maggiore quantità;

e che tutte le mende de' cavalli e ogni spesa che occorresse si debbiano pagare comunemente;
e che per la detta guerra fare si debbia tenere uno capitano di guerra a comuni spese;

e che per lo Comune di Firenze si mandino uno o due cittadini a stare a Vinegia o dove bisognerà, e abbiano balìa con quelli che·ssi eleggeranno per lo Comune di Vinegia di crescere e menomare i detti soldati come a·lloro parrà, e a potere spendere per fare rubellare le terre che si tengono sotto la segnoria di quelli de la Scala;

e che sia licito al Comune di Vinegia e di Firenze possano tenere per fare la detta guerra due cittadini e sue bandiere, come a' detti Comuni piacerà; e abbia il capitano de la guerra pieno arbitrio; e che per tempo di tre mesi, anzi la fine de la detta lega, si convengano insieme ambasciadori de' detti Comuni a prolungare o non prolungare la lega predetta;

e che il Comune di Firenze faccia viva guerra a la città di Lucca; e s'ella s'avesse, facciano guerra a Parma;

e che i detti Comuni, o alcuno di quelli, non faranno pace, triegua, o terranno alcuno trattato con quelli de la Scala, se non fosse di coscienza e di volontà di ciascuno di detti Comuni.

Questi patti traemo de li atti del nostro Comune. E ferma la detta lega, fu piuvicata in Vinegia e in Firenze in uno medesimo dì, XV di luglio de la detta indizione, in pieni parlamenti con grande festa e allegrezza in ciascuna de le dette cittadi. E nota, lettore, che questa fue la più alta impresa che mai avesse fatta il Comune di Firenze, come si potrà trovare apresso; e ancora che ciò fue una grande maraviglia per più ragioni, a legarsi il Comune di Vinegia con quello di Firenze: prima, che non si truova che 'l Comune di Vinegia s'allegasse mai co·neuno Comune o segnore, per la loro grande eccellenza e signoria, se non a l'antico conquisto di Gostantinopoli e di Romania, e dall'altra parte i Viniziani naturalmente sono stati d'animo imperiale e Ghibellini, e' Fiorentini d'animo di santa Chiesa e Guelfi; ancora, stati i Fiorentini contro a' Viniziani in servigio de la Chiesa, quando fuoro sconfitti a Ferrara, com'è fatto menzione adietro, l'anno MCCC... Onde apertamente si manifesta che ciò fue permissione divina per abattere la superbia e tirannia di quelli de la Scala, i quali erano i più trascotati due fratelli, Alberto e Mastino, felli e dileggiati con ogni abominevole vizio che fossono in tutta Italia, montati per la fallace e ingannevole felicità mondana in poco tempo in sì alto soglio, e in sì alto stato e segnoria, non degna a·lloro né per senno né per meriti; onde s'adempié i·lloro le parole del santo Vangelio dette per lo santo Spirito per la bocca in persona de la nostra Donna: "Fecit potentiam in bracchio suo, dispersit superbos mente cordis sui, deposuit potentes de sede, et exaltavit humiles": per certo così avenne, come leggendo si potrà trovare.

E piuvicata la detta lega, i Viniziani fecero loro ordini sopra la detta guerra, come parve loro si convenisse; e' Fiorentini elessono X savi cittadini mercatanti, e de le maggiori compagnie di Firenze, con piena balìa a trovare moneta e fornire la detta guerra; e asegnato loro CCLm di fiorini d'oro per anno sopra certe gabelle, radoppiandole gran parte. E per cagione che 'l nostro Comune in questo tempo, per le guerre e spese fatte per adietro, si trovò indebitate le gabelle e l'entrate del Comune per lo tempo a venire in più di Cm fiorini d'oro, e danari bisognavano maneschi per fornire la detta impresa; i detti X officiali sopra i fatti di Vinegia, col consiglio d'altri mercatanti savi e sottili a ciò fare, e intra' quali altri noi fummo di quelli, si trovò modo che le compagnie e' mercatanti di Firenze prendessono sopra loro lo 'ncarico di fornire di moneta per la detta impresa, infino a guerra finita, in questo modo: ch'elli ordinaro fra loro una taglia di Cm fiorini d'oro, il terzo prestare le dette compagnie a Comune, e le due parti stribuiti tra altre ricchezze e cittadini a prestare sopra le dette gabelle assegnate a certi termini inanzi, quali d'uno anno, e quali in più, come veniano i pagamenti de le dette gabelle; e chiunque prestasse sopr'esse al Comune, avesse di guiderdone libero e sanza tenimento di restituzione a ragione di XV per C l'anno; e chi non volesse credere al Comune sopra le dette gabelle, prendesse la sicurtà e iscritta libera da le dette compagnie e mercatanti, e avesse di guiderdone a ragione di otto per cento l'anno; e quelli che faceano la sicurtà per lo Comune sopra loro aveano de la detta scritta e promessa V per C; e qual uomo avea de la detta prestanza e non era mobolato, sì che non potea prestare né al Comune né la scritta de le compagnie, trovava chi prendea il debito sopra sé, avendo a ragione di XX per C; e così si civia ciascuno: per lo detto modo si fornì la spesa onoratamente per lo nostro Comune. E quando fuoro spesi i detti Cm fiorini d'oro de la prima taglia, si ricominciavano da capo per simile modo, mandando a Vinegia ciascuno mese, come bisognava per li soldi de' cavalieri e pedoni che forniano la guerra. E a Vinegia dimoravano al continuo due savi e discreti cittadini a fornire le dette paghe, e provedere le condotte de' soldati; e simile per lo Comune di Vinegia; e due altri ambasciadori, uno cavaliere e uno giudice, a stare continui in Vinegia col dogi e col suo consiglio a dare ordine a la guerra; e due altri cavalieri militanti stare per ciascuno di detti Comuni ne l'oste, col consiglio del capitano de la guerra. Questo in somma fue l'ordine del fornire de la guerra ordinata per la detta lega, e altro modo non ci avea. E questo per li savi fu molto comendato. E di presente, piuvicata la lega, v'andaro di Firenze M pedoni tutti soprasegnati di soprasberga bianca col segno di san Marco e del giglio vermiglio; e di Romagna v'andòe la nostra cavalleria, che v'era stata a la guardia del passo com'è detto adietro, che fuoro da VIc cavalieri, ond'era capitano messer Pino de la Tosa, e messer Gerozzo de' Bardi: e in Vinegia se ne soldaro di presente per li detti Comuni MD tra Tedeschi e altri oltramontani, e pedoni assai, e miserli in su la trevigiana a cominciare la guerra. E di quelli giorni si rubellò a quelli de la Scala per quelli da Camino il castello d'Ovreggio, non essendovi ancora la nostra gente, né avendovi ordine d'oste o di capitano di guerra. Messer Alberto de la Scala di sùbito vi cavalcò da Trevigi con M cavalieri, e combattendo il racquistò con gran danno di coloro che·ll'aveano rubellato. Lasceremo alquanto de la guerra cominciata in Trivigiana, e diremo de' fatti di Toscana conseguenti per la detta guerra.



LI - Come le masnade di messer Mastino ch'erano in Lucca cavalcaro in sul contado di Firenze

Nel detto anno, a dì XXV di luglio, le masnade di messer Mastino ch'erano in Lucca, in quantità di IIIIc cavalieri e popolo assai, uscirono di notte di Buggiano e vennero subitamente a Cerreto Guidi in Greti, e quello sproveduto, combattero il borgo ed ebberlo, e feciono grande danno di preda e d'arsione di case e di biade sanza alcun contasto; però che 'l capitano e cavalleria de' Fiorentini erano gran parte in Pistoia per cagione de la festa di santo Iacopo. E poi a dì V d'agosto seguente la gente di messer Mastino, in quantità di VIIIc cavalieri e molti pedoni, onde fue capitano e conducitore Ciupo delli Scolari rubello di Firenze, e uscì di Lucca e guadò Arno e guastò il borgo a Santa Fiore e altre villate di Sa·Miniato, e albergaro due notti a la villa di Martignano sotto San Miniato. La gente de' Fiorentini, ch'erano in Empoli e ne le castella del Valdarno e di Valdinievole, li seguiro francamente; per la qual cosa i nemici temendo la stanza d'essere sorpresi, perché non erano venuti proveduti di vittuaglia, si partiro a dì VII d'agosto con isconcia levata, e passando per lo borgo di Santa Gonda per paura de' Saminiatesi, scesi per comune a' balzi e a le tagliate e isbarre fatte, non ardiro di mettervi fuoco; e molti ve ne rimasono, e li altri fuggendo sanza ordine in più parti si ricolsono, alquanti passando Guisciana, ma i più per lo contado di Pisa straccati, e molti per sete spasimaro e annegaro in Guisciana. E se la nostra cavalleria avesse più studiato il cavalcare, non ne campava uomo per la mala condotta. E per le dette cavalcate il paese di Valdarno e di Greti le terre non murate stavano in grande tremore; per la qual cosa il Comune di Firenze ordinò che subitamente fossero rifatte le mura d'Empoli e di Pontormo, che alquanto n'erano cadute per cagione del grande diluvio, e ordinaro che 'l borgo di Montelupo si compiesse di murare in su la riva d'Arno e del fiume di Pesa; e che fosse rifatto e murato il borgo di Cerreto Guidi; e così fu fatto in poco di tempo, faccendo loro alcuna franchigia e munità. E ordinossi in Firenze di fare grossa cavalcata a Lucca per vendetta di quella, e per oservare la promessa fatta per la lega de' Viniziani, come faremo menzione nel seguente capitolo.



LII - Come i Rossi di Parma tornarono amici di Fiorentini, e come messere Piero Rosso sconfisse il maliscalco di messer Mastino sotto al Cerruglio

Come dinanzi promettemmo di dire di maravigliosi avenimenti e casi improvisi che avvengono per le guerre, intendiamo apresso narrare e seguire, però che per cagioni di quelle del nimico spesso si fa amico e dell'amico nimico. Prima avemo detto di messer Mastino, che di grande amico del nostro Comune fatto perverso nimico per li suoi vizii e falli e tradimenti fatti contro al nostro Comune dell'opera di Lucca, come adietro avemo detto, e così per converso diremo de' Rossi di Parma, i quali in questi presenti tempi stati grandi aversari e nimici nostri, come adietro è fatta menzione, in picciolo tempo divenuti amici e confidentissimi. E però nelle cose del secolo, e spezialmente ne' casi delle guerre, non si dee avere niuna stabile confidanza, però che per oltraggi ricevuti si fa spesso dell'amico nimico, e per bisogno o per servigi ricevuti, o isperanza di ricevere, si fa del nimico amico. Essendo in Pontriemoli messere Piero e messer Marsilio e Orlando de' Rossi di Parma e' loro consorti, i quali tanti onori e benifici fatti aveano a messer Mastino di darli la città di Parma e quella di Lucca, il detto mesere Mastino a petizione di quelli da Coreggia di Parma suoi cugini, istati nimici e aversari de' detti Rossi, ma maggiormente siccome fanno sovente i tiranni, che promesse fatte non osservano se non a·lloro vantaggio, così a' detti Rossi messere Mastino gli tradì e ingannò; che in piccolo tempo tolse e fece torre loro tutte fortezze e posessioni ch'aveano in Lombardia, e feceli assediare nel detto castello di Pontriemoli, ov'erano ridotti con tutte loro donne e famiglie. I quali Rossi veggendosi così trattati da meser Mastino, e dalle sue forze male si poteno riparare sanza altro aiuto, trattato feciono col Comune di Firenze d'essere di loro parte e lega contro al traditore Mastino, i quali dal nostro Comune, siccome mare ch'ogni fiume riceve, furono ricevuti e accettati graziosamente, dimettendo ogni ingiuria ricevuta da meser Piero Rosso, mentre tenne la città di Lucca; ma maggiormente ricordandosi i Fiorentini dell'antica amistà di mesere Ugolino Rosso stato nostro podestà, coll'oste del nostro Comune alla battaglia da Certomondo contro agli Aretini. Per la qual cosa il detto meser Piero personalmente venne in Firenze a dì XXIII d'agosto del detto anno, il quale da' Fiorentini fu veduto e ricevuto onoratamente, e di presente fu fatto per li Fiorentini loro capitano di guerra. Il quale, come valente cavaliere, con quantità di DCCC cavalieri con certi masnadieri a piè de' Fiorentini, a dì XXX del detto mese d'agosto bene aventurosamente cavalcò sopra la città di Lucca per guastare le vigne e per fare levare l'assedio da Pontriemoli. E il primo dì si puose a Capannole guastando intorno le sei miglia, e poi valicò Lucca e puosesi al ponte a San Quirico. E in quel luogo stette per III dì, correndo sanza alcuno riparo ciascuno giorno infino alle porte di Lucca. Le masnade di Lucca in quantità di DC cavalieri e pedoni assai, ond'era capitano il maliscalco di mesere Mastino, per savia maestria di guerra tutti uscirono di Lucca, e ridussonsi in sul Cerruglio per impedire la vittuaglia e·lla reddita alla nostra gente. Messer Piero per non esere sopreso tornò adietro schierato ordinatamente, e quando furono presso di sotto al Cerruglio al luogo dov'era il fosso ch'avea fatto meser Ramondo di Cardona quando colla nostra oste fu sconfitto ad Altopascio, come adietro facemmo menzione, quello per li nemici alquanto rimesso, e in su quello alla guardia posti VIII bandiere di cavalieri di meser Mastino con certo popolo per contendere il passo a mesere Piero, li nostri scorridori e feditori, in quantità di CL cavalieri, il detto passo combatterono, e per forza d'arme vinsono e sconfissono i nimici, cacciandogli infino al Cerruglio, e credendosi avere il castello contro a volontà di meser Piero, ch'al continuo facea gridare e sonare la ritratta per tema d'aguato. Ma nostri volonterosi di vincere, più che accorti di guerra, intra gli altri mesere Gherardo di Viriborgo tedesco, ch'aveva il pennone de' feditori del nostro Comune, follemente entrò combattendo dentro alla porta del Cerruglio, onde da' nimici, i quali erano proveduti e in posta d'aguato dentro e di fuori, fu abattuto e morto, e tutti i nostri, che co·llui erano saliti al Cerruglio furono morti e sconfitti, e presi conestaboli e altri assai. Il maliscalco di meser Mastino, avuta la detta vittoria, con grande audacia con tutta sua gente venne discendendo il poggio, tuttora cacciando i nostri. Messer Piero come savio e franco capitano, e niente sbigottito per la rotta de' suoi, fece ischiera e capo grosso di sua gente, confortando i suoi e attendendo i nimici vigorosamente; i quali per lo vantaggio della scesa e per la vittoria avuta con grande empito percossono i nostri e assai gli ripinsono adietro; ma per buona capitaneria di meser Piero, e per la franca gente ch'era co·llui, sostennero combattendo vigorosamente, per modo che in poco d'ora la gente di meser Mastino furono messi inn-isconfitta, e rimasonne assai morti, e presi XIII conestaboli e cavalieri assai; il maliscalco di mesere Mastino colla sua insegna e più altre vennero in Firenze; la quale sconfitta fu a dì V di settembre MCCCXXXVI. E·cciò fatto, meser Piero, raccolta sua gente, infino a notte trombando dimorò colle torce accese sul campo, e·lla notte albergò a Gallena, e poi l'altro dì con grande onore tornò a Fucecchio. Avemo sì disteso questo capitolo, perché in sì poco di tempo d'una giornata di tanta gente furono tre sì fatti avenimenti di battaglie e di guerre recate a onorevole fine di vittoria per la valentria di meser Piero Rosso. E poi poco appresso meser Piero partito da Fucecchio, e venne in Firenze con poca gente subitamente, sanza volere alcuno triunfo da' Fiorentini. E per richesta e mandato di Viniziani convenne ch'andasse a Vinegia per essere capitano e duca dell'oste della lega ch'era in trevigiana; e così n'andò a Vinegia all'uscita del mese di settembre, e di là fece di magnifiche cose in opera di guerra contro a meser Mastino, come inanzi leggendo si potrà trovare. E Orlando Rosso suo fratello rimase in Firenze per capitano di guerra de' Fiorentini.



LIII - Di novità di Firenze, e come i Fiorentini tolsono a' conti Guidi certe terre di Valdarno e di Chianti, e feciono Castello Santa Maria

Nel detto anno, a dì XV d'agosto, la notte vegnente s'aprese il fuoco a casa Toschi al canto di Mercato Vecchio incontro alla chiesa di San Piero Bonconsiglio, e arsonvi IIII case basse con gran danno di pizzicagnoli ch'abitavano in quelle. E in calen di settembre del detto anno fu riposto e aforzato per li Fiorentini il castello di Laterino per contrario delli Aretini. E tornarvi incontanente ad abitare le genti di quello castello, ch'erano in tre borghi recati al piano di sotto, il quale aveva fatto disfare il vescovo d'Arezzo de' Tarlati, come adietro fu fatta menzione. All'entrata del mese d'ottobre del detto anno si rubellò a Guido, figliuolo che·ffu del conte Ugo da Battifolle, il castello del Terraio in Valdarno, e tutti i borghi di Ganghereto, e·lle Conie, e·lle Cave, e Balbischio, e Moncione del Viscontado in Chianti, per male reggimento che 'l giovane facea a' suoi fedeli d'opera di femmine, e ancora per sudducimento e conforto di certi grandi popolari di Firenze reggenti nimici de' conti. E per simile modo si rubellò Viesca in Valdarno a' figliuoli furono del conte Ruggieri da Doadola, volendosi dare le dette terre al Comune di Firenze, il quale le prese poco tempo poi apresso per certe ragioni vi cusava il Comune, come facemmo menzione in questo adietro, ove trattammo di ciò. Intanto i detti conti avendo col loro sforzo andati per raquistare le dette terre, non ebbono il podere; perché tutte le terre del Valdarno per comune l'andarono a·ssoccorrere per mandato del nostro Comune, fatto per rettori tacitamente; onde non potendo a·cciò contradiare, si compromisono in sei popolani di Firenze, i quali elessono i priori, e diedono la rocca di Ganghereta in guardia del Comune di Firenze; i quali sentenziarono a dì XXII di novembre che·lle dette terre fossono del Comune di Firenze, dando al sopradetto Guido delle sue ragioni fiorini VIIIm d'oro; e penogli avere infino a gran tempo apresso, e nogli ebbe poi interamente. E·cciò fu grande ingratitudine, con forza del popolo di Firenze, e poco si ricordarono de' servigi fatti per li loro anticessori al Comune e popolo di Firenze e parte guelfa; che secondo giusto prezzo, alle ragioni v'avieno i conti, valeano più di fiorini XXm d'oro, con tutto fossono terre di giuridizione d'imperio, che male si potea vendere o comperare. Ma come si fosse, i detti conti e·lloro consorti ne rimasono mal contenti. Ma·cciò fece il popolo di Firenze, ricordandosi di quello che 'l conte Ugo avea aoperato a suo torto contro al Comune di Firenze, quando fu la sconfitta d'Altopascio, di riprendere le ville d'Ampinana in Mugello l'anno MCCCXXV. E poi apresso, di calen di settembre MCCCXXXVII, il Comune di Firenze ordinò e fece cominciare una terra in Valdarno infra quelle terre nel piano di Giuffrena i·lluogo propio del Comune di Firenze, e puosele nome Castello Santa Maria, faccendovi tornare dentro uomini di tutte le villate e terre d'intorno con certa franchigia e imunità, per torre a perpetua ogni giuridizione e fedeltà a' detti conti. E poi, in calen di novembre MCCCXXXVIII, quelli della detta terra di Santa Maria andarono e presono la rocca di Ganghereto, ch'era data per gli conti a guardia del Comune di Firenze, e quella misono in puntelli e feciolla rovinare. Credesi fu con consentimento di certi rettori di Firenze, ed eravi alla guardia quelli di Monteguarchi, onde poi fu accusa fatta per quelli di Monteguarchi, e fue condannato il Comune della nuova terra a pagare a' conti fiorini VIIIm d'oro per lo forfatto, rimanendo a·lloro la propietà delle terre de' conti di quello aquisto, che valieno IIIIm fiorini e più. Lasceremo alquanto de' fatti di Firenze, e diremo di quelli della nostra lega e di Viniziani, come operarono contro al Mastino.



LIV - Come l'oste de' Viniziani e Fiorentini, ond'era capitano messere Piero Rosso, si puosono a Bovolento

Nel detto anno MCCCXXXVI, all'entrante d'ottobre i conti da Collalto in trevigiana si rubellarono da quelli della Scala, e dierono la Motta e altre loro castella al Comune di Vinegia; e alla Motta si fece ragunata e capo la gente della nostra lega e di Viniziani. In quelli giorni a dì XV d'ottobre, credendosi i Viniziani per trattato di moneta avere il castello di Mestri, furono ingannati e traditi dal castellano che v'era per mesere Mastino, credendo prendere de' maggiori di Vinegia che v'andavano; ma non vi giunsono al termine dato; ma di loro masnade a piè vi rimasono presi più di CCL; onde i Viniziani rimasono molto aontati. Poi a dì XX d'ottobre si partirono dalla Motta messere Piero e mesere Marsilio Rossi capitani dell'oste nostra e de' Viniziani con MD cavalieri e IIIm pedoni, vegnendo francamente per trevigiana ardendo e guastando il paese: e sanza alcuno contasto vennero infino alle porte di Trevigi, e di là vennero poi a Mestri e arsono tutti i borghi; e poi si misero a gran pericolo vegnendo in padovana per le molte fiumane e canali che aveano a passare, ond'erano tagliati i ponti; per la qual cagione si missono a grande affanno e rischio, abandonandosi alla fortuna come ardita e valentre gente. E come piacque a·dDio giunsono alla Pieve di Sacco in calen di novembre. La qual cosa apena si potea credere per meser Alberto e meser Mastino della Scala, ch'erano in Padova con più di IIIIm cavalieri, i quali uscirono fuori infino al ponte a..., e se fossono cavalcati inanzi, della nostra gente non iscampava uomo, che non fosse morto o preso; in tale luogo erano condotti, che inanzi non poteano andare né adietro tornare. Ma il senno e ardimento di mesere Marsilio Rosso colla grazia di Dio gli scampò, che incontanente mandò più lettere e messaggi nel campo di quelli della Scala a messere Mastino e conestaboli e baroni richeggendo di volere battaglia. Messere Mastino, che di natura era vile di mettersi a fortuna di battaglia, ancora dubitando de' suoi medesimi per le molte lettere nel suo campo venute, e credendosi sanza mettersi a battaglia soprenderli tutti per istracca, e assediarli, tagliando loro i ponti inanzi e adietro per torre loro la vettuaglia; e ciò fatto, si tornò in Padova con tutta sua cavalleria. Ma a·ccui Iddio vuole male gli toglie il senno e·lla provedenza, e al suo nimico dà ardire e argomento. E così avenne nel nostro bene aventuroso oste: sanza indugio ispogliate d'ogni sustanze le villate di Pieve di Sacco e d'intorno. E di là si partirono con grande affanno, faccendo fare più ponti di graticci, e dove di legname, sopra più riviere e canali salvamente passarono. E a dì V di novembre arrivarono alla terra e villata di Bovolento presso di Padova a VII miglia, e in sul gran canale del fiume dell'Alice che va a Chioggia, per avere da Vinegia e da Chioggia continovo vittuaglia e libero cammino e andamento. Quello Bovolento chiusono e afforzarono di fossi e di steccati, e feciono molte case di legname per potere ivi vernare. La qual bastita e terra di Bovolento fu cagione dello abassamento di quelli della Scala, e·lla loro perdita della città di Padova, come inanzi leggendo si potrà trovare. Lasceremo alquanto di questa nostra guerra di Lombardia, e diremo d'una grande guerra si cominciò tra il re di Francia e quello d'Inghilterra.



LV - Di grande guerra che·ssi cominciò tra il re di Francia e quello d'Inghilterra

Nel detto anno MCCCXXXVI si cominciò grande guerra intra Filippo di Valois re di Francia e Adoardo il terzo re d'Inghilterra, e·lle cagioni, tutte fossono assai di casi vecchi di loro padri e anticessori e di novelli, intra gli altri fu che il detto Adoardo il giovane re d'Inghilterra radomandò a·re di Francia la contea di Ginese in Aquitania detta Guascogna, la quale meser Carlo di Valois, padre che·ffu del detto re Filippo e fratello del re Filippo il Bello, avea tolto per forza e a inganno ad Adoardo secondo, padre del detto Adoardo il giovane, opponendo ch'era caduta per amenda a·re di Francia per fallimenti d'omaggi che 'l re d'lnghilterra dovea fare al re di Francia per la Guascogna. Ma maggiormente per la covidigia della casa di Francia per volere occupare e sottomettersi la duchea di Guascogna e torla alla casa d'Inghilterra, per la qual contea di Ginese infino al tempo di Carlo il giovane re di Francia avea promessa di rendere a quello d'Inghilterra. E poi non potendola riavere, s'acconciava Adoardo il giovane di lasciarla e di darla in duarda alla serocchia, maritandosi al figliuolo del detto re Filippo di Valois, il quale a·cciò non volle asentire, ma diegli per moglie la figliuola del re Giovanni di Buemia, onde crebbe lo sdegno. E maggiormente perché il detto re di Francia avea ritenuto Davit in qua adietro re di Scozia suo rubello, e datogli aiuto e favore di gente e di moneta alla guerra di Scozia contro al detto re Aduardo, per la qual cosa il detto re Aduardo, ritenne poi mesere Uberto d'Artese della casa di Francia rubello e nimico del detto re Filippo. Onde al re di Francia maggiormente monta lo sdegno diponendo il suo saramento e impromessa del santo passaggio d'oltremare, come adietro facemmo menzione, cominciando il re di Francia al detto re d'Inghilterra grande guerra in Guascogna, e faccendogli ricominciare guerra inn-Iscozia e in mare, faccendo venire galee di Genovesi al suo soldo, rubando ogni Inghilese e Guascone, e tutte maniere di gente ch'andassono o venissono d'Inghilterra. Della qual cosa fu molto ripreso e biasimato i·rre di Francia da tutti i Cristiani e dal papa e dalla Chiesa di Roma, lasciando sì grande e alta impresa promessa, come era il santo passaggio, per cominciare guerra a suo torto co' suoi vicini cristiani. Per la qual cosa il papa rivocò e·lli levò tutto il sussidio delle decime di Cristianità a·llui concedute, salvo quelle del reame di Francia, le quali avea in sua balìa. Il valentre Aduardo però non isbigottito ma francamente imprese sua difesa, allegandosi poi col re d'Alamagna detto Bavero, il quale in questi tempi avea mandati suoi ambasciadori al papa per venire a misericordia e all'amenda della Chiesa, e per avere sua pace; già era ottitriata per la Chiesa, andando al conquisto d'oltremare, e quitando le terre della Chiesa, cioè Cicilia e 'l Regno e 'l Patrimonio, e·lla Marca, e·lla Romagna, e di grazia a Firenze tutto il suo distretto. Il re di Francia per sue lettere e ambasciadori al papa e a' cardinali sturbò l'accordo, perché volea per lo fratello il reame d'Arli e di Vienna; per la qual cosa il Bavero indegnato s'allegò col re d'Inghilterra contro al re di Francia, col duca di Brabante suo cugino, e col conte d'Analdo, e co·messer Gian signore di Bielmonte e zio del conte, e col duca di Ghelleri e col marchese di Giulieri, tutti suoi cognati, il sire di Falcamonte, e più altri baroni della Magna, dimandando ancora Aduardo a Filippo di Valois il reame di Francia, il quale diceva dovea succedere a·llui per ragione del retaggio per la madre d'Aduardo, che·ffu figliuola del re Filippo il Bello re di Francia, del cui non rimase altra reda per linea reale. E così dovea egli succedere al reame, com'elli giudicò la terra d'Artese alla contessa figliuola del conte d'Artese, perché succedesse alla corona di Francia per retaggio delle figliuole della detta contessa maritate a' reali, e tolsela al sopradetto messere Ruberto, che·ffu figliuolo del figliuolo del conte d'Artese, ciò fu mesere Filippo d'Artese, il qual era fratello della detta contessa; perché morì prima che 'l conte suo padre, ne disertò il re messer Ruberto suo figliuolo. Della quale richiesta il re di Francia forte dispettò, e crebbe lo sdegno e·lla guerra. Ma i·rre Aduardo poi apresso cominciò per mare e per terra con suoi allegati aspra guerra al re di Francia come inanzi leggendo si potrà trovare. Lasceremo alquanto de' fatti d'oltremonti, e torneremo a' processi della nostra guerra col Mastino di Verona.



LVI - Come messere Mastino tolse 'l castello di Pontriemoli a' Rossi di Parma

Nel detto anno, essendo il castello di Pontriemoli, che tenieno i Rossi di Parma, molto stretto d'assedio da quelli di Lucca e marchesi Malespini colla forza di mesere Mastino, Orlando Rosso colla cavalleria e masnada di Firenze in quantità di MCCC cavalieri e IIIm pedoni ond'era capitano... si partirono di Firenze a dì XVII di novembre, e cavalcarono sopra Lucca per soccorrere Pontriemoli e·llevare il detto assedio; ma·ffu tardi, che quelli ch'erano in Pontriemoli per molti difetti s'arrenderono a patti, salve le persone e loro cose; così tornò la detta cavalcata a Fucecchio a dì XXV di novembre, avendo fatto poco danno a' Lucchesi. E·lle famiglie e donne de' detti Rossi uscirono di Pontriemoli e vennero tutti a Firenze; i quali furono ricevuti graziosamente.



LVII - Come i Viniziani tolsono le saline di Padova a mesere Mastino della Scala

In questo anno, essendo la nostra oste e di Viniziani, ch'era accampata alla bastita e nuova terra di Bovolento, cresciuta in quantità di più di IIIm cavalieri, quasi i più Todeschi al soldo de' detti II comuni, e più di Vm pedoni, i Viniziani mandarono loro oste con grande navilio e barche imborbottate e molti difici da battaglia da Chioggia alle saline di Padova, le quali teneva meser Mastino, e avevavi su fatte due fortezze, ov'erano bastite, quasi come due castella di legname con molto guernimento e gente d'arme alla difesa. E sentendo ciò meser Mastino e messere Alberto ch'erano in Padova con più di IIIm cavalieri e popolo grandissimo, uscirono di Padova per venire alla difesa delle dette saline; messere Piero Rosso con tutta la nostra oste e de' Viniziani gli si fece incontro schierato per combattere, e credettesi a·ccerto che·ssi combattesse, e per tre dì se ne fece in Firenze e in Vinegia solenni processioni con grandi obligazioni e prieghi a·dDio, che·cci desse la vittoria. Il Mastino non si volle recare a battaglia; onde i Viniziani, a cui toccava la detta causa delle saline, ed era la principale cagione della loro impresa, vigorosamente combatterono le dette bastite, e per forza l'ebbono a dì XXII di novembre del detto anno; onde abassò molto l'orgoglio del Mastino e de' suoi. E poi a dì XVI di dicembre vegnente CCCC cavalieri di quelli di mesere Mastino ch'andavano a Monselici furono rotti e sconfitti da' nostri, ch'erano usciti di Bovolento loro incontro.



LVIII - Ancora della detta guerra da·nnoi a mesere Mastino

Nel detto anno, a dì XXVIIII di gennaio, messere Piero Rosso si partì da Bovolento con IIm cavalieri e gente a piè assai, e andò a Padova, e assalì la porta del borgo d'Ognesanti, ch'era in trattato d'avere il detto borgo per tenervi l'oste, e affocata la porta per entrarvi dentro, e parte di sua gente ve n'entrò. La gente di mesere Alberto, ch'era in Padova, furono accorti, e missono fuoco nel borgo; per la qual cosa veggendo mesere Piero che non potea aquistare, si partì e tornò a Bovolento. Ma poco apresso, a dì VII di febraio, il detto meser Piero si partì di notte dal campo di Bovolento con CCC cavalieri eletti e con alquanti pedoni, e ordinò che MCC cavalieri richesti il seguissono apresso, e giunse di notte meser Piero al borgo di San Marco di Padova; e quello, come ordinato era, li fu dato, ed entrovvi colla sua gente. Li MCC cavalieri e pedoni che venieno apresso fallirono la notte il cammino. E per soperchia freddura e fiumi e canali a passare non poterono giugnere a Padova; ma poi che furono molto ravvolti, si tornarono a Bovolento: alcuni dissono che per inganni furono traviati. Messere Piero essendo nel detto borgo infino a ora di nona, e non giugnendo la sua gente, dubitò della stanza; e bisognava che meser Alberto e sua gente avessono saputo il vero: meser Piero e sua compagnia erano tutti morti e presi, però che in Padova avea più di IIm cavalieri e popolo grandissimo. Il valente messer Piero veggendosi a tal partito, come savio e aveduto capitano, con tutta sua gente armata fece sembianti d'assalire la porta della città e quella combattere, e faccendo vista d'avere presso il suo soccorso della sua gente che gli era fallita. Messere Alberto temendo della città fece di quella chiudere le porti e·llevare i ponti. Messere Piero e sua gente si ritrasse e uscì del borgo, faccendo al fine di quello mettere, fuoco, acciò che' nimici per quello nol potessono seguire, e con tutta sua gente si tornò la sera sano e salvo al campo di Bovolento. E nota che meser Piero andava sì spesso a Padova, però che al continuo era in trattato, con meser Marsilio da Carrara suo zio e co' suoi consorti, i quali, come dicemmo adietro più tempo passato, per gara di loro vicini e cittadini aveano data la signoria di Padova a meser Cane della Scala; e Messere Alberto e Mastino gli trattavano male, e maggiormente per lo 'nganno e tradimento fatti a' detti Rossi di Parma loro nipoti sotto loro confidanza, quando feceno rendere Parma, come adietro facemmo menzione. E poi a dì XX di febraio essendo partiti del campo da Bovolento da DL cavalieri, e cavalcato in sul padovano e·llevata grande preda, que' di Padova in quantità di DCCC cavalieri si pararono loro dinanzi ad un passo e combatterli e' nostri furon sconfitti, e rimasonvi tra morti e presi intorno di cento e più di mezza la preda. Per quella cagione a dì XXIII di febraio, meser Piero cavalcò con MD cavalieri fino alle porte di Padova, e prese un borgo e misevi fuoco, e arsonvi più di CCCC case. In questa cavalcata di meser Piero meser Mastino ordinò con ribaldi, e fece mettere fuoco nel campo da Bovolento, e arse bene il quarto, e tutta la camera dell'oste. E se non fosse il buono soccorso di quelli che v'erano rimasi a guardia, ardeva tutto; e così va ne' casi di guerra per pulire i peccati de' popoli. Tornato mesere Piero al campo, in pochi dì fu ristorato e rifatto l'arsione del detto campo, che i Viniziani di presente vi mandarono ogni guernimento che bisognava a·rraconcio della bastita. E pochi dì apresso all'entrata di marzo, si rubellò a mesere Mastino III ville, ciò furono Coldigrano in trevigiana, e Cittadella e Campo San Piero in padovana. Lasceremo alquanto della guerra del Mastino, e torneremo a' nostri fatti di Toscana e d'altre parti.



LIX - Come sotto trattato d'accordo cogli Aretini vollono i Perugini pigliare Arezzo, e poi ebbono Lucignano

Nel detto anno, all'entrante del mese di febraio, non lasciando il nostro Comune per la grande impresa di Lombardia e di guerreggiare la città di Lucca e quella d'Arezzo, essendo la città d'Arezzo molto afritta da' Perugini e da' Fiorentini, però che da mesere Mastino non potieno avere soccorso perch'era assediato elli medesimo nella città di Padova, come detto è dinanzi; né d'altra parte da niuno Ghibellino d'Italia non poteano avere soccorso, e per loro male si poteano difendere da' detti due Comuni; in più trattati d'accordo e di pace furono da·lloro a' detti Comuni, ma più co' Perugini, che·lli tenieno più stretti, ed avieno de' loro prigioni. Alla fine i Perugini volieno sì larghi vantaggi e di castella e della signoria della città d'Arezzo, che i Tarlati che·nn'erano signori in nulla guisa si vollono accordare né fidare de' Perugini, però che in que' dì, stando nel detto trattato d'accordo co' detti Perugini, i detti Perugini di notte con grande forza di gente a·ppiè e a cavallo vennero infino alle mura d'Arezzo. E per alcuno della terra fu loro insegnato d'entrare per la fogna, overo cateratta, della gora delle mulina che corre per Arezzo; e alcuni di loro v'entrarono. Ma·cciò sentito nella terra, corsono con arme a·rriparo, e uccisono quelli ch'erano passati dentro; onde i Perugini la mattina si partirono e tornarsi a·cCortona; e per questa cagione si ruppe il trattato dell'acordo dagli Aretini a' Perugini. Ma de' Fiorentini si volieno ben fidare i Tarlati d'Arezzo, e dar loro la guardia della terra, però che meser Piero Saccone e meser Tarlato erano nati per madre di casa i Frescobaldi di Firenze, e aveanvi più singulari amici e parenti, e da' Fiorentini si tenieno meno gravati che da' Perugini. E così per la detta cagione de' Perugini si ruppe il trattato, e si ricominciò guerra contro agli Aretini, con tutto che nel segreto tuttora rimasono gli Aretini in trattato d'accordo co' Fiorentini. E rotto il detto trattato co' Perugini, quelli di Lucignano d'Arezzo, ch'erano molto oppressati da' Perugini per le loro masnade, che stavano nel Monte San Savino, sì mandarono a Firenze loro ambasciadori e sindachi con pieno mandato per dare Lucignano al Comune di Firenze. I Fiorentini no·lli vollono prendere per non dispiacere a' Perugini, né rompere i patti della lega; che intra gli altri patti era che ogni conquisto di terra o castella si facesse sopra il Comune d'Arezzo fosse a comune de' detti II Comuni. Ancora v'era lo 'nfrascritto patto, che i collegati della detta lega durante la detta lega per sé né per altrui né possa né debbia fare pace o triegua overo altra composizione overo alcuno trattato tenere co' nemici de' detti allegati sanza espressa volontà e consentimento de' detti collegati, bene ch'allora era già spirato il termine della detta lega; per la qual cosa i detti sindachi e ambasciadori di Lucignano se n'andarono poi a Perugia, e dieronsi liberi a·lloro: e' Perugini li presono sanza farne nulla richesta al Comune di Firenze. E per simile modo il vescovo d'Arezzo, ch'era de' detti collegati, si prese Montefocappio, un forte castello degli Aretini. Onde i Fiorentini sdegnarono molto, e seguirono apresso il trattato segreto co' Tarlati d'Arezzo, e misero a seguizione, come diremo apresso nel seguente capitolo.



LX - Come i Fiorentini ebbono per patti la città d'Arezzo e 'l suo contado

Nel detto anno, a dì VII di marzo MCCCXXXVI, si compié il trattato e accordo dal Comune di Firenze a' signori Tarlati d'Arezzo in questo modo, ch'egli ebbono dal Comune di Firenze fiorini XXVm d'oro per la dazione della terra e rinunziagione della signoria di quella; e fiorini XIIIIm d'oro per la loro ragione e parte, che' detti messere Piero e meser Tarlato aveano nel viscontado comperato per lo vescovo d'Arezzo loro fratello da' conti Guidi, il quale, come dicemmo adietro, s'era renduto prima al Comune di Firenze, e fiorini IIImDCCC d'oro n'ebbe per patti Guido Alberti conte per la sua quarta parte del viscontado, e venderlo colla solennità si convenne al Comune di Firenze; che·ffu al Comune di Firenze uno nobile e bello aquisto, tutto fossero terre d'imperio. E oltre a·cciò il comune d'Arezzo ebbe inpresto dal Comune di Firenze fiorini XVIIIm per pagare le loro masnade a cavallo e a piè, ch'erano a pagare di presso a sei mesi; e e·lli diedono con solenni sindachi d'accordo quasi di tutti gli Aretini ch'erano inn Arezzo la signoria e guardia della città d'Arezzo e del contado al Comune e popolo di Firenze per tempo e termine di X anni a venire con mero e misto imperio, rimanendo a' Tarlati tutte loro posessioni e castella, e lasciando i Tarlati ogni signoria, e rimanendo semprici cittadini d'Arezzo alla guardia del Comune di Firenze, faccendoli i Fiorentini cittadini e popolani di Firenze, e altri vantaggi per guardia di loro. E a dì X del detto marzo a ora di nona i Fiorentini ebbono la posessione della città d'Arezzo per lo modo diremo apresso. Che v'andarono a prenderla XII de' maggiori cittadini di Firenze grandi e popolani con sindacato e pieno mandato, e i·lloro compagnia D cavalieri in arme, e IIIm e più pedoni del Valdarno di sopra. A' quali gli Aretini, uomini e donne, piccoli e grandi, con solenne processione e grande allegrezza e buona voglia con rami d'ulivo in mano, gridando: "Pace, pace, e viva il Comune e popolo di Firenze!", vennono loro incontro presso a due miglia. E giunti alla città con grande onore e magnificenza furono ricevuti per meser Piero Saccone che·nn'era stato signore. Fu dato il gonfalone del popolo d'Arezzo e·lle chiavi delle porti al sindaco del Comune di Firenze con nobile diceria e grandi autorità, magnificando il popolo e Comune di Firenze. E poi i detti XII nostri cittadini riformarono la città di podestà per patti, i primi sei mesi meser Currado de' Panciatichi di Pistoia del lato guelfo, e gli altri seguenti VI mesi meser Giovanni Panciatichi suo fratello. Dall'anno inanzi dovieno esere podestà fiorentini alla lezione del Comune di Firenze; e per simile modo rifermarono la città d'Arezzo di nuovi anziani cittadini d'Arezzo, quelli che a·lloro piacque, Guelfi e Ghibellini. E capitano di guardia e conservadore di pace fu Bonifazio de' Peruzzi grande popolano, il primo per termine di VI mesi con XXV cavalieri e fanti; e poi per conseguente di sei in sei mesi il detto uficio, uno popolano guelfo di Firenze alla elezione del detto Comune di Firenze; e rifeciono popolo in Arezzo, e diedono i gonfaloni delle compagnie del popolo. Ed ebbono gli Aretini per lo Comune di Firenze perpetua pace, dimettendo e perdonando ogni ingiuria, interessi e danni ricevuti, l'uno Comune dall'altro, rimettendo i Guelfi in Arezzo, e ogni altro uscito che vi potesse tornare, cancellando ogni bando e levando ogni rapresaglia e divieto dall'uno Comune all'altro, e singulari persone e·lloro seguaci. E poi a dì X d'aprile vegnente mesere Piero Saccone venne in Firenze con certi de' suoi consorti e altri buoni uomini d'Arezzo, con più di cento a cavallo. Da' Fiorentini fu ricevuto onorevolemente come gran signore, e dimorò in Firenze VI dì; e alla fine ricevuti più corredi da' priori, e dati continovo desinare e cene a' cittadini, alla sua partita fece un corredo in Santa Croce molto nobile, ov'ebbe M o più buoni cittadini alla prima mensa, con IIII messe di pesce, molto onoratamente serviti da donzelli di Firenze, fornita tutta la corte di capoletti franceschi molto nobili. E in questa stanza, a dì XVI d'aprile, i marchesi del Monte Sante Marie co' castellani e col favore e masnade di Perugini per tradimento presono il castello di Monterchi, salvo la rocca, che v'era uno de' Tarlati. Per la qual cosa meser Piero e sua gente si partì di Firenze sùbito; ma il capitano della guardia d'Arezzo, sanza attesa, avuta la novella vi fece cavalcare CCCL cavalieri delle masnade di Firenze ch'erano in Arezzo, con popolo assai di volontà colle 'nsegne del Comune di Firenze, e venuti a Monterchi il dì di venerdì santo, trovarono i nimici accampati di fuori del castello e parte dentro; più prieghi furono fatti a' detti marchesi e a' castellani e a quelli conestaboli che v'erano per lo Comune di Perugia, che per amore del Comune di Firenze si dovessono partire e·llasciare il castello ch'era a·lloro guardia; dopo molte parole scusandosi non facieno contro al Comune di Firenze, ma contro a' Tarlati loro nimici, e dilaiando per parole, attendendo la cavalleria di Perugia, che venia al soccorso, quelli che v'erano per lo Comune di Firenze ciò sentendo per loro spie, assalirono il campo de' castellani e de' marchesi ch'erano schierati in arme, e forte combattendo in poca d'ora gli sconfissono; e poi combattendo entrarono nella terra, e per forza d'arme la raquistaro con gran danno di castellani e di loro seguaci; e più sarebbe stato di morti, se non fosse la divozione del dì ch'era. Di questo raquisto di Monterchi i Tarlati e tutti gli Aretini si tennono molto contenti di Fiorentini, e presono di loro maggiore confidanza. E poco apresso i Fiorentini ordinarono in Firenze XII consiglieri popolani due per sesto di tre in tre mesi, con grande balìa co' priori insieme a provedere al continuo sopra lo stato pacifico e guardia d'Arezzo. E di presente per ciò seguire ordinarono e feciono cominciare e compiere uno grande e forte castello al di sopra della piazza di Perci della città d'Arezzo, il quale costò più di XIIm fiorini d'oro pagati per li Fiorentini; e ordinarvi II castellani con C fanti alla guardia, e fornito tuttora per VI mesi di vittuaglia e d'arme e di guernimento grandissimo; e al continuo si teneva in Arezzo per li Fiorentini il meno CCC cavalieri di loro masnade alla guardia, e più come bisognava. Di questo castello parte degli Aretini ne furono contenti, spezialmente i Tarlati e' loro seguaci, per sicurtà di loro, che disposti loro della signoria quasi tutto il popolo gli odiava, i Guelfi perch'erano loro nimici, e i Ghibellini perch'erano mal contenti, perch'aveano data la terra; ma al vero i più degli Aretini ne furono mal contenti. Ma poi vi feciono fare i Fiorentini in Arezzo un altro piccolo castello sopra la porta del piano che va a·lLaterino, per più sicura entrata, con corridoio di fuori grande tra 'l muro e parapetto per li cavalieri, e·ssu per le mura per li pedoni per correre dall'uno castello all'altro. In somma i Fiorentini misero inn-Arezzo in uno anno tra di questo e di dono più di Cm fiorini d'oro, sanza quelli vi si spesono poi, che·ffu un gran fatto, compensando la spesa di Lombardia e·ll'altre spese che facea il Comune di Firenze e a mantenere la guerra al continovo contro a·lLucca. Del detto aquisto della città d'Arezzo, tutto costasse a' Fiorentini danari assai, n'agrandì e montò molto la magnificenza del Comune di Firenze, e da lungi di gran fama per tutti i Cristiani, che 'l sentirono, e d'apresso più onorati e dottati dalle comuni vicinanze. Il detto aquisto, tutto fosse mediante costo di moneta, e industria di certi nostri cittadini che 'l trattarono, che non ne valsono di peggio al modo usato di corrotti cittadini; ma di certo, se non fosse stato la nobile e alta impresa di Lombardia, e risistenza fatta contro a meser Mastino per lo Comune di Firenze e quello di Vinegia, non venia fatto, che i signori Tarlati non vi sarebbono mai aconsentiti; ma feciollo per la cagioni dette per non potere altro, perduta ogni speranza di soccorso. E nota che più di LX anni era stata retta la città d'Arezzo per parte ghibellina e imperiale, e quasi in guerra col Comune di Firenze.



LXI - Ancora delle sequele de' fatti d'Arezzo da·nnoi a' Perugini

Dapoi che' Fiorentini ebbono la città d'Arezzo per lo modo detto nel passato capitolo, i Perugini isdegnarono forte contro a Fiorentini, tegnendosi da·lloro ingannati e traditi per li patti, ch'avieno avuti insieme della lega fatta tra·lloro e col re Ruberto e co' Bolognesi, e mandarne in Firenze loro ambasciadori a dolersi di ciò e in piuvico consiglio, ove fu loro risposto saviamente a tutti i loro capitoli, come per ragione e secondo i patti contro a·lloro non s'era fallito in niuno articolo, però che·lla lega non conteneva niente, che dandosi la città d'Arezzo a niuno de' detti Comuni, l'uno all'altro fosse tenuto, o·ssi rompesse lega; e già era il termine della lega ispirato; mostrando ancora a' Perugini come gli Aretini in niuna guisa si volieno accordare o fidare di Perugini per cagione delli loro collegati ghibellini, vescovo d'Arezzo, Pazzi, Ubertini, conti da Montefeltro, Nieri da Faggiuola, conti da Montedoglio, e' figliuoli di Tano da Castello, e il signore di Cortona, e tutti i loro usciti, i quali erano nimici caporali de' Tarlati. E se i Fiorentini non avessono preso Arezzo sanza indugio, come feciono, di certo potea riuscire in mal luogo per parte guelfa e per l'uno Comune e per l'altro. Ancora allegando come prima avieno fallito i Perugini e rotti i patti a' Fiorentini, quando presono Lucignano d'Arezzo per lo modo detto per noi nel terzo capitolo innanzi a questo. Ma secondo buona e caritevole compagnia non era però del tutto licito di fare per Fiorentini, che come dice il Provenzale in sua gobola "Uomo saggio non dee faglia per l'altrui faglia". Ben dice la legge in alcuna parte: "Qui frangit fidem, fides frangatur eidem"; ma·cciò non basta alla magnificenza del nostro Comune. Ma come si fosse, o ragione o torto dell'uno Comune o dell'altro, o d'ambedue, i Perugini rimasono mal contenti. Alla fine dibattuta la quistione per ambasciadori dell'uno Comune e dell'altro, si trovò un mezzo d'accordo, che i Perugini avessono in Arezzo un giudice d'appellaggione in termine di V anni sotto titolo di conservadore di pace con salaro di D fiorini d'oro in sei mesi con sua famiglia. Questo uficio fu in nome più che in fatto, però ch'al tutto erano gli ufici e signoria d'Arezzo di Fiorentini. E dopo il termine di V anni dovessono rimanere a' Perugini il castello d'Anghiari, e Foiano, e Lucignano, e Monte San Savino, ch'ellino s'aveano presi e si tenieno; e pace faccendo cogli Aretini, lasciando mesere Ridolfo Tarlati e i figliuoli e più altri prigioni d'Arezzo, ch'elli aveano in prigione in Perugia, presi nella Città di Castello quando l'ebbono, come contammo adietro. Lasceremo alquanto de' fatti di Firenze e d'Arezzo e di Perugia, ch'assai n'è detto, e torneremo a nostra matera a seguire il processo della guerra di Lombardia contro a meser Mastino.



LXII - Come per ordine di mesere Mastino volle esere morto mesere Piero Rosso a Bovolento per rompere l'oste nostra

All'uscita del mese di marzo, cominciando l'anno MCCCXXXVII, essendo mesere Piero Rosso capitano dell'oste nostro e de' Viniziani all'asedio di Padova a Bovolento, per trattato di Messer Mastino da certi conestaboli tedeschi ch'erano nell'oste, con séguito di mille cavalieri, volle esere tradito e morto; ma come piacque a·dDio, si scoperse il trattato, e non vegnendo loro fatto, si partirono e missono fuoco nel campo, e arsene gran parte; per la qual novità fu grande scompiglio alla nostra oste. Ma il valentre meser Piero per l'accidente occorso, poco ismosso dagli aguati della fortuna, non dubitando; ma a dì V d'aprile apresso con IIIm cavalieri cavalcò subitamente infino alle porte di Trevigi, e fece loro gran danno di preda e d'arsione, lasciando a guardia del campo a Bovolento M cavalieri. E nota che in quelli tempi all'asedio di Padova avea al soldo de' Fiorentini e Viniziani Vm uomini a cavallo con barbute, sanza quelli da·ppiè ch'erano grande quantità, sanza l'oste che in que' tempi il Comune di Firenze fece sopra la città di Lucca, come faremo menzione nel seguente capitolo; che considerato lo stato d'Italia, la città di Firenze mostrò con effetto gran potenza. In questi tempi, a dì XIIII di maggio, si rifermò la lega da·nnoi a' Viniziani cogli altri Lombardi contro a meser Mastino; e·ll'avogaro di Trevigi per soperchi ricevuti si rubellò da meser Mastino col suo forte Castello Nuovo, e venne in persona a Vinegia per allegarsi coll'altra lega.



LXIII - Come i Fiorentini feciono oste sopra Lucca

A dì XVI di maggio del detto anno MCCCXXXVII mesere Azzo da Coreggia, sentendosi in Lombardia che' Fiorentini volieno fare oste a Lucca, venne per meser Mastino per suo vicaro in Lucca con CCC cavalieri alla guardia della città. I Fiorentini per la sua venuta, e per oservare i patti della lega, avendo ordinata oste sopra Lucca, e·lla lega di Lombardia sopra Verona, a dì XXX di maggio si diedono le 'nsegne, e mosse l'oste; e furono i Fiorentini co·lloro soldati DCCC cavalieri e popolo grandissimo, onde fu capitano Orlando de' Rossi da Parma, uomo grosso e materiale, ma per amore di meser Piero e di mesere Marsilio Rossi, ch'erano in Lombardia al servigio de' Fiorentini e Viniziani, li feciono quello onore. E di Bologna in servigio de' Fiorentini furono CL cavalieri, e da meser Malatesta da Rimino C cavalieri, da Ravenna XXX, da Perugia C cavalieri, d'Arezzo meser Piero Saccone de' Tarlati con LX cavalieri e con C fanti, e del Comune d'Arezzo CCC fanti, d'Orbivieto LX cavalieri, del re Ruberto CLXXX cavalieri, della Città di Castello XXXV cavalieri, da Cortona cento fanti; da Siena C cavalieri, ma non vollono andare in su quello di Lucca, istettono alla guardia di Sa·Miniato, però che non vollono esere alla lega. E poi, partita l'oste, soldarono i Fiorentini CCCXL cavalieri di quelli della compagnia della Colomba, ch'erano stati co' Perugini, e mandarli nella detta oste; sicch'ella fu di IIm cavalieri e popolo assai; e guastarono Pescia e Buggiano e·ll'altre castella di Valdinievole, e andarono infino a Lucca e di là dal Serchio sanza contasto alcuno, faccendo gran guasto. Tornò la detta oste in Firenze a dì XXX di luglio male ordinata, però che fu sanza ordine e male capitanata.



LXIV - Come la forza della lega cavalcarono sopra la città di Verona, e partirsene con poco onore

Tornando a nostra materia della guerra da·nnoi a meser Mastino, com'era dato l'ordine della lega, esendo la nostra propia oste sopra la città di Lucca, come detto avemo, mesere Marsilio Rosso, uomo di gran senno e valore, si partì dall'oste da Bovolento a dì VIIII di giugno del detto anno con IImCCCC cavalieri di nostri e de' Viniziani, rimanendo al campo di Bovolento mesere Piero Rosso con MDC cavalieri e popolo assai; e andonne a Mantova meser Marsilio per cavalcare sopra Verona, e a dì XX del detto giugno vi giunse in Mantova messer Luchino Visconti di Melano cogli altri allegati di Lombardia, co' marchesi da Esti, e con quelli da Gonzago di Mantova, in somma co' nostri cavalieri e de' Viniziani più di IIIIm, onde fu fatto capitano generale mesere Luchino detto; e di presente cavalcarono fin presso alla città di Verona. E meser Carlo figliuolo del re Giovanni, ch'era alla lega nostra de' Lombardi contro a meser Mastino, venne di Chiarentana con suo sforzo. E in quelli giorni ebbe che·lli si arendero la città di Belluna e poi quella di Feltro, che·ssi tenieno per meser Mastino. Il tiranno mesere Mastino, veggendosi così accanato dalla forza della lega da tante parti, come disperato, ma però francamente, uscì di Verona con IIIm cavalieri e popolo grande, e richiese di battaglia meser Luchino e gli altri allegati. Mesere Luchino o per sua viltà, che così si disse, overo per tema di tradimento, overo che·ll'uno tiranno al tutto non vuole abattere l'altro, ma quale si fosse la cagione, veggendo che meser Mastino colle sue forze uscito a·ccampo per combattere, la notte a dì XXVII di giugno si sbarattò la nostra oste e della lega, e villanamente si dipartirono chi da una parte e chi da un'altra, onde messere Luchino fu molto spregiato. Messere Mastino avendo vinto quella punga prese vigore, e·llasciata fornita Verona, si partì con IImD cavalieri, e venne presso a Mantova a VII miglia sanza alcuno contasto. E poi sentendo che' Padovani tenieno trattato con mesere Piero Rosso perché meser Marsilio Rosso e·lla sua cavalleria non potesse tornare al campo di Bovolento, subitamente si mosse il primo dì di luglio, e in due giorni fu posto in sul canale tra Bovolento e Chioggia, acciò che vettuaglia o altro fornimento non potesse venire da Vinegia né da Chioggia all'oste di Bovolento, e per impedire mesere Marsilio ch'era ivi presso colla sua gente e cavalleria a V miglia, e per la sùbita venuta di meser Mastino non potea andare più inanzi sanza grande pericolo di lui e di sua gente. E venia fatto a meser Mastino al tutto di rompere quella oste, se non fosse la provedenza di meser Piero Rosso ch'era all'oste a Bovolento, che sapiendo che meser Mastino era in parte ch'elli non potea aver acqua per la sua oste, se non di quella del canale, ordinò che tutta l'ordura dell'oste di Bovolento al continuo si gittasse nel canale; e oltre a·cciò in quella contrada ha molta erba, che·ssi chiama cicuta, donde del sugo si fa veleno; faceva cogliere a' ribaldi, e tagliare, e pestare, e gittare per lo canale; per la qual cosa l'acqua del canale venea sì corrotta all'oste di mesere Mastino, che v'era presso a·ttre miglia, che uomini né bestie non ne potieno né ardivano di bere; e quale uomo o bestia ne beveano erano a pericolo di morte. Per la qual cosa convenne di nicissità che meser Mastino colla sua oste si levasse e partisse, e tornandosi a Verona a dì XIII di luglio. E il dì apresso messere Marsilio Rosso colla sua cavalleria passò e venne al campo di Bovolento. E nota, lettore, isvariate vicende e casi che·ffa la fortuna del secolo, spezialmente nelle guerre, che in pochi dì la guerra da·nnoi a meser Mastino fu inn-istretti partiti d'esere vinta e perduta per ciascuna parte, come fatto avemo menzione.



LXV - Come la città di Padova s'arrende a mesere Piero Rosso, e fuvi preso mesere Alberto della Scala

Partito meser Mastino e perduta la punga della sua impresa, e messere Marsilio Rosso colla sua cavalleria tornato al campo di Bovolento, come detto è, e·ll'oste nostra molto rinvigorita, incontanente mesere Piero con tutta l'oste si partì dal campo di Bovolento, ove tanto era dimorata, e puosonsi presso alle mura di Padova; a dì XXII del mese di luglio del detto anno i Padovani, a' quali pareva male stare per la tirannia di quelli della Scala, spezialmente a meser Albertino da Carrara e a' suoi ch'avieno data la terra a meser Mastino, ed elli in ogni cosa gli trattava come servi o ischiavi, ispezialmente il matto e scellerato mesere Alberto della Scala ch'era alla guardia di Padova, e sentendo partito meser Mastino colle sue forze, e·ll'oste nostra e di Viniziani così possente di costa alla città, dond'erano capitani i suoi parenti messere Piero e mesere Marsilio de' Rossi, ordinarono di tradire e di pigliare meser Alberto della Scala con tutti i suoi consiglieri e caporali e conestaboli ch'erano in Padova; e così venne loro fatto, e·llevarono la città a romore. E quelli del campo con ordine fatta assalirono la terra da più parti: quelli da Carrara col popolo corsono a furore al palazzo e presono mesere Alberto e tutti i suoi seguaci, e apersono la porta verso il campo, e missono nella città meser Piero e meser Marsilio Rosso con tutta la cavalleria; i quali entrarono nella città con più di IIIIm cavalieri, sanza i pedoni, a dì III d'agosto MCCCXXXVII. E corsono la città sanza fare nullo male o ruberia, se nonne a' soldati e gente v'erano con messere Alberto della Scala. E il detto mesere Alberto co' caporali ch'erano co·llui ne furono mandati prigioni a Vinegia. E meser Albertino da Carrara fatto signore di Padova, e messo alla lega con CCCC cavalieri di taglia. Dell'aquisto di Padova si fece grande allegrezza in Vinegia e in Firenze e in tutte le terre guelfe di Toscana.



LXVI - Come morì il valentre capitano messere Piero Rosso, e poco apresso messer Marsilio suo fratello

Pella perdita di Padova e presura di mesere Alberto della Scala e de' suoi seguaci e consiglieri molto abassò la potenza e·llo stato di meser Mastino e di suoi, e così ne montò la grandezza de' Fiorentini e de' Viniziani e delli altri collegati di Lombardia, e massimamente de' Rossi di Parma, avendo fatta sì alta vendetta di meser Mastino e di messere Alberto della Scala, colla speranza della loro vittoria e stato di raquistare la signoria della loro città di Parma; e sarebbe loro venuto fatto assai tosto coll'aiuto e potenza di Fiorentini e Viniziani e degli altri della lega. Ma·lla fortuna fallace delle cose mondane le più volte dopo la grande allegrezza e vana filicità per lei mostrata è tosto con uscimenti miseri e dolorosi; e così avenne molto poco apresso, che tegnendosi per meser Mastino il forte e ben guernito castello di Monselici, di presente avuta Padova, meser Piero vi cavalcò con grande oste a·ccavallo e a piè, e a' borghi di sotto faccendo dare continovi e solleciti assalti e battaglie da più parti, e quasi vinti per lui parte de' fossi e delli steccati di quelli, aversi i borghi per forza di battaglia, meser Piero per dare più vigore di combattere alle sue genti smontò da·ccavallo, e a piè con più altri cavalieri, la quale capitaneria già non fu lodata, ma ripresa. Combattendo meser Piero l'antiporto, lanciata gli fu una corta lancia manesca, la quale il percosse alla giuntura delle corazze e ficcoglisi per lo fianco. Il valente capitano però non ismagato si trasse il troncone del fianco, e gittossi nel fosso di costa all'antiporto per passare alla terra, credendola avere vinta. Per la qual cosa l'acqua gli entrò per la piaga, e quella incrudelita per lo molto sangue perduto, il valentre e vertudioso duca spasimò, e per li suoi tratto del fosso e portato per lo canale in burchio così fedito a Padova, il quale passò di questa vita a dì VII d'agosto del detto anno MCCCXXXVII: della cui morte fu grandissimo danno a tutta quanta la lega, imperò che egli era il più sofficiente capitano e savio di guerra e prode di sua persona, che nullo altro ch'a·ssuo tempo fosse non che in Lombardia, ma in tutta Italia. Fu soppellito alla chiesa di San Francesco in Padova con grande corrotto, onorato il corpo suo, come a grande signore si convenia; in Firenze e in Vinegia avuta la novella se ne fece grande dolore. E poi fatto per sua anima l'esequio con grande solennità, messer Marsilio suo fratello per soperchio affanno per lui durato nell'aspre cavalcate, com'è detto adietro, innanzi che meser Piero fosse morto, era caduto malato in Padova, e colla giunta del dolore della morte di messer Piero s'accorò duramente l'animo, e come piacque a Dio, passò di questa vita a dì XIIII del detto mese d'agosto, e fu sopellito in Padova di costa al fratello a grande onore. Questo meser Marsilio era de' più savi e valorosi cavalieri di Lombardia, e del migliore consiglio. E così in pochi dì quasi fu annullata la casa de' Rossi di Parma, quand'erano per ricoverare loro stato. Lasceremo alquanto de' fatti di Lombardia, e diremo d'altre novità che furono a que' tempi.



LXVII - Di novità fatte in questi tempi in Firenze, e di grande dovizia fu di vittuaglia

Ritornando alquanto adietro per seguire l'ordine del tempo nel nostro trattato, all'uscita di giugno del detto anno MCCCXXXVII nacquero in Firenze VI lioncini della lionessa vecchia e delle due giovani sue figliuole. La qual cosa secondo l'agurio delli antichi pagani fu segno di grande magnificenzia della nostra città di Firenze; e certo in questo tempo e poco apresso fu in grande colmo e potenzia, come leggendo poco apresso si potrà trovare. De' detti piccoli lioni alquanto cresciuti il Comune di Firenze ne fece presenti a più Comuni e signori loro amici. E nel detto anno, a dì XXVIIII di luglio, si cominciò a fondare i pilastri della loggia d'Orto Sammichele di pietre conce, grossi e ben formati, ch'erano prima sottili, e di mattoni, mal fondati. Furonvi a·cciò cominciare i priori e podestà e capitano con tutto l'ordine delle signorie di Firenze con grande solennità; e ordinarono che di sopra fosse un grande e magnifico palazzo con due volte, ove si governasse e guardasse la provisione del grano ogn'anno per lo detto popolo. E·lla detta opera e fabrica si diè in guardia all'arte di porta Santa Maria, e diputossi al lavorio la gabella della piazza e mercato del grano e altre gabellette di piccole entrate a tale impresa, a volerla tosto compiere. E ordinossi che ciascuna arte di Firenze prendesse il suo pilastro, e in quello facesse fare la figura di quel santo in cui l'arte ha riverenza; e ogni anno per la festa del detto santo i consoli della detta arte facessono co' suoi artefici offerta, e quella fosse della compagnia di Santa Maria d'Orto San Michele per dispensare a' poveri di·dDio; che·ffu bello ordine e divoto e onorevole a tutta la città. In quel tempo la notte del dì XXX di luglio, che 'l dì era tornata l'oste da Lucca, s'aprese il fuoco Oltrarno in via IIII Leoni, e arsonvi III case con gran danno. E·lla notte medesima s'aprese nel monistero delle donne della Trinita in campo Corbolino, e arse il loro dormentoro. In questo anno in Firenze e d'intorno in Toscana fu grande dovizia e abondanza di vettuaglia, e in Firenze valse lo staio del grano al colmo soldi VIII di soldi LXII il fiorino dell'oro, che·ffu disordinata viltà al corso usato, e a interesso di coloro ch'avieno le posessioni, ed eziandio di lavoratori di quelle; ma poco tempo apresso ne fu vendetta di grande carestia, come inanzi faremo menzione.



LXVIII - Come in questo anno aparirono in cielo due stelle comete

Nel detto anno, all'entrata di giugno, aparve in cielo la stella comata chiamata Ascone, con grande chioma, cominciandosi quasi a vista sotto la tramontana quasi nella regione del segno del Tauro, durando più di IIII mesi atraversando l'emisperio insino al mezzogiorno, e·llà ebbe fine. E poi apresso, inanzi che quella venisse meno, n'aparve un'altra nella regione del segno del Cancro chiamata Rosa, e durò da due mesi. Queste stelle comate non sono stelle fisse, benché stelle paiano co' raggi, o chiome, o nubolose; ma dicono i filosofi e astrolagi che·cciò sono vapori secchi, e talori misti, che·ssi criano entro l'aria del fuoco sotto il cielo della luna per grandi congiunzioni de' corpi celesti, ciò sono le pianete; e sonne di nove maniere, quale per la potenza di Saturno, e quale di Giove o di Marte, e così degli altri, e tali miste di due pianete o più. Ma quale si sieno, ciascuna è segno di futura novità al secolo, il più in male, e talora segno di morte di grandi re e signori, o tramutagioni di regni e di genti, e massimamente nel crimato del pianeto che·ll'ha criata, dove stende sua signoria; ma·lle più significano male, cioè fame e mortalità, e altri grandi accidenti e mutazioni di secoli; e queste pure significarono grandi cose e novità, come leggendo poco apresso si potrà vedere per buono intenditore e discreto.



LXIX - Di battaglie in mare tra' Genovesi e Viniziani

Nel detto anno e mese di giugno X galee degli usciti guelfi di Genova armate a Monaco trovandosi in Romania in corso con altre X galee del Comune di Vinegia si combatterono insieme, e·lle Viniziane furono sconfitte e prese la maggiore parte con grande loro dannaggio d'avere e di persone; ma però i Viniziani non s'ardirono di cominciare guerra scoperta co' Genovesi d'entro o quelli di fuori.



LXX - Come la città di Bologna venne alla signoria di meser Taddeo di Peppoli loro cittadino

Nel detto anno, a dì VII di luglio, essendo i Bolognesi in male ordine e peggiore disposizione tra·lloro di sette e di parti, dapoi che uscirono dalla signoria della Chiesa e del legato, volendo ciascuna casa di coloro che 'l cacciarono esere signori, i Peppoli co·lloro seguaci di popolo furono ad arme, e cacciarono di Bologna meser Brandalis Goggiadini, quelli propio che·ffu principale a cacciarne il legato e' suoi consorti e seguaci. E poi apresso, a dì XXVIII d'agosto, messer Taddeo figliuolo che·ffu di Romeo de' Peppoli coll'aiuto de' marchesi da Ferrara suoi parenti si fece fare capitano di popolo e signore di Bologna. E poi conseguente a dì II di gennaio il papa apo Vignone fece aspri processi contro al detto meser Taddeo e contro al Comune di Bologna, perché non volieno ubidire la Chiesa, né amendare il danno fatto al legato, quando il cacciarono di Bologna. E poi apresso all'uscita del mese di marzo seguente si scoperse tradimento e congiura in Bologna, i quali avieno ordinato d'uccidere il capitano e torli la signoria; e di ciò era caporale Macerello de' conti da Panago stretto parente del detto capitano, e di cui più si fidava, con suo séguito e d'alcuno di Ghisolieri e altri Bolognesi. Il quale trattato scoperto, alcuno ne fu preso e tagliato il capo. Ma quello Macerello con molti altri uscirono di Bologna rubelli. E meser Taddeo al tutto rimase signore, e fortificossi di stato e di gente d'arme, tenendo DCCC soldati alle spese del Comune, e allegossi co' Fiorentini. E nota, lettore, se·lla comata, onde dinanzi facemmo menzione, ch'aparì nel segno del Tauro, il quale troviamo intra altre città e paesi essere attribuito alla città di Bologna, e mostrò assai tosto le sue infruenze di tanta mutazione di signoria alla città di Bologna. E come più adietro facemmo menzione, quando il legato cardinale ne fu cacciato, poco dinanzi scurò la luna nel segno del Tauro, e per alquanti intendenti di quella scienzia fu pronosticato dinanzi la mutazione di Bologna contro al legato, e noi fummo di quelli che·llo 'ntendemmo, con tutto che·ll'operazioni di lui e di sua gente e uficiali assai aparecchiarono l'opere e·lla matera alla costellazione, onde si sperava quella uscita. Assai avemo detto de' fatti di Bologna, ma ènne paruto di nicistà, come di città vicina e amica di Firenze, considerando l'antica unione e libertà e stato e potenza del buono popolo di Bologna, tornato a' nostri tempi per discordie e signoria tirannica di singulare cittadino, per dare asempro alla nostra città e popolo di Firenze a·ssapere i nostri cittadini guardare la libertà della nostra republica, e non cadere a tirannia di signore. Onde mi fa temere della nostra città di Firenze per le discordie e, male reggimento: e questo basti a' buoni intenditori.



LXXI - Della morte del re Federigo di Cicilia, e di novità ne seguì all'isola

Nel detto anno, a dì XXIIII di giugno, morì di suo male don Federigo re, che tenea l'isola di Cicilia: lasciò più figliuoli, ma il suo maggiore don Piero, cui egli a·ssua vita avea coronato re, come in adietro in alcuna parte si fece menzione, ed era quasi uno mentacatto; per la qual cosa dopo la morte del padre molte mutazioni ebbe l'isola, che 'l conte Francesco di Ventimiglia, de' maggiori baroni dell'isola, per soperchi ricevuti dal detto Federigo prendendo parte contro a·llui per lo conte di Chiermonte suo cognato, si rubellò con tutte le sue castella, e cercò trattato col re Ruberto di Puglia, di cui di ragione era l'isola, e mandò a Napoli un suo figliuolo. Ma per suo poco senno, overo peccato, affrettandosi troppo inanzi ch'avesse soccorso del Regno, male glie n'avenne, che cavalcandogli adosso l'oste del re Piero, subitamente per iscontrazzo presono due suoi figliuoli, e per simile modo egli in persona con un altro suo figliuolo scontrandosi co' nimici, combattendo furono morti. E così fu quasi distrutto quello lignaggio, e perderono tutte loro castella, che·nn'avea assai e forti; ma però l'isola rimase in grande tribolazione e sospetto, come inanzi faremo menzione. Lasceremo di ciò, e diremo alquanto della guerra dal re di Francia e quello d'Inghilterra.



LXXII - Come il re di Francia fece prendere l'Italiani, e piggiorò la sua moneta; e come l'armata del re d'Inghilterra venne in Fiandra

Nel detto anno MCCCXXXVII Filippo di Valos re di Francia, lasciato il suo buono proponimento giurato del santo passaggio d'oltremare, come adietro facemmo menzione, per seguire la guerra cominciata col re d'Inghilterra, per la sua avarizia cominciò a seguire male sopra male; che inn-una giornata, a dì X d'aprile, per tutto il suo reame subitamente fece prendere tutti l'Italiani, così i mercatanti e·lle compagnie di Firenze e d'altre parti come i prestatori a usura, e tutti gli fece rimedire, pognendo a ciascuno certa grande taglia di moneta, e convennela a ciascuno pagare. E fece fare nuova moneta d'oro, che·ssi chiamavano scudi, piggiorando la lega della buona moneta XXV per C, e·lle monete dell'argento all'avenante. E poi fece un'altra moneta d'oro, che chiamò leoni, e poi un'altra che chiamò padiglioni, piggiorando ciascuna e di lega e di corso, per modo che dove il nostro fiorino d'oro, ch'è ferma e leale moneta e di fine oro, valea alla buona moneta ch'era prima in Francia soldi X di parigini inanzi fosse gli anni MCCCXXXVIIII, valse il fiorino d'oro in Francia soldi XXIIII e mezzo di parigini e il quarto più a tornesi piccioli. E poi l'anno MCCCXL fece un'altra moneta nuova d'oro chiamata agnoli, e peggiorolla tanto, e così quella dell'argento, e' piccioli, che 'l nostro fiorino d'oro valse a quella moneta soldi XXX di parigini. Lasceremo alquanto a dire delle corrotte monete del re di Francia, e seguiremo a nostra matera dell'ordine della detta guerra, cioè che poi del mese di luglio vegnente alla festa della Maddalena, com'era ordinato per la lega e giura fatta contro al re di Francia, il Bavero, che·ssi facea chiamare imperadore, venne a Colonia, che vi dovea esere il re d'Inghilterra, il quale per molto affare dell'isola e per la guerra ch'avea di Guascogna fallì la giornata. Fuvi il duca di Brabante, e quello di Ghelleri, e quello di Giulieri, e il conte d'Analdo, e altri signori allegati, e gli ambasciadori del re d'Inghilterra; e a quella asembrea si rifermò la lega, e gli ambasciadori d'Inghilterra per lo re promisono i gaggi e' soldi alli Alamanni e agli altri allegati e·lla venuta del re in persona alla settembria. Per la qual cosa il detto Bavero e gli altri allegati mandarono disfidando il re di Francia, dicendo di venirlo a vedere insino alla città di Cambragio alla frontiera del reame di Francia, e di tenere campo in su·rreame, e combattere co·llui; del quale sfidamento il re di Francia prese grande sdegno e onta, e providesi di presente di tesoro e d'ordine di cavalieri e di gente d'arme per fornire la sua impresa guerra. E poi conseguente non potendo il re d'Inghilterra passare di qua da mare, come promesso avea alli allegati, per molti affari di là e perché venia il verno, volendo fornire la promessa di gaggi, sì mandò CCC cocche e CXX batti a remi armati; in sulla quale armata fu il vescovo Niccola, e il conte di Monte Aguto, e quello di Sofolco, e meser Gianni d'Arsi, signori di gran valore con molta altra buona gente d'arme, e con danari assai e con XIIm sacca di lana de lo re, istimandosi tra moneta e·lle lane DCm di fiorini d'oro e più; e arrivaro alla Suma in Fiandra all'entrante di novembre, e puosonsi all'isola di Gaggiante alla bocca del porto della Suma detto le Schiuse, e in sull'isola scesero parte di loro gente, e co' Fiamminghi che v'erano per lo conte di Fiandra, il quale ubidia il re di Francia, si combatterono; e al principio furono morti dell'Inghilesi ch'erano scesi non proveduti, e in sull'isola del Gaggiante era il fratello bastardo del conte di Fiandra con gente d'arme alla difesa. Sentendo ciò la gente dello stuolo, isceserne in grande abondanza, e quanti Fiamminghi vi trovarono misono a morte; e presono il fratello del conte, e tutta l'isola misono a fuoco e a fiamma. E poi la detta armata non potendo porre alle Schiuse, perché i Fiaminghi ubidiano il conte loro e·rre di Francia, sì n'andarono a Dordette inn-Olanda, e·llà scaricaro, e vennero in Brabante, e tennero parlamento colli allegati, e diedono ordine alla guerra. Sentendo papa Benedetto e' suoi cardinali la 'mpresa della sopradetta guerra, mandò due legati cardinali in Francia al re per mettere accordo da·llui a quello d'Inghilterra; e parlamentato co·llui assai a Parigi, n'andarono verso Inghilterra, e passarono il mare a dì XXVII di novembre; ma niente adoperaro. Lasceremo alquanto a dire di questa guerra, che assai tosto ce ne converrà dire maggiori cose, e torneremo a dire della nostra guerra col Mastino.



LXXIII - Come la città di Brescia si rubellò a mesere Mastino, e·ssi diede alla nostra lega e altre castella

Nel detto anno, all'entrante di settembre, s'arrendé alla nostra lega il castello di Mestri e quello delli Orci e quello di Canneto in bresciana. E poi a dì VIII d'ottobre per trattato della detta lega i Bresciani ch'erano sotto la tirannia di meser Mastino, e parea loro male stare, e veggendo che meser Mastino era molto abassato di suo stato e di podere, e perdute le dette castella, sì levarono la città a romore e rubellarono la parte detta la città vecchia di Brescia. In Brescia era per capitano per meser Mastino uno meser Bonetto con D cavalieri tedeschi, il quale si ridusse in parte della città nuova di verso Verona, e mandò per soccorso a meser Mastino. E' cittadini con ordine fatta in quello medesimo dì che' Bresciani levarono la città a romore, certi gentili uomini de' più possenti di Brescia, i quali erano cortesemente istadichi a Verona, subitamente se ne partirono per diverse vie, e vennono a Brescia. Per la qual cosa i Bresciani veggendosi a quello punto, e temendo la venuta della forza di meser Mastino, sì mandarono per la nostra gente della lega; e di presente vi giunsono da MD cavalieri, com'era ordinato, e fu data loro la porta di San Gianni, ed entrarono nella città. E di presente misono fuoco nella porta di San Giustino per assalire nella città nuova la gente di mesere Mastino. Messere Bonetto e sua gente veggendosi a pericolo, dubitando di non esere sopresi dalla forza della nostra cavalleria ch'era nella città, si partì di Brescia per porta Torre Alta e andossene a Verona. E poi quelli della lega colla volontà e procaccio de' Fiorentini ciechi, che·sse ne feciono capo, fu data la signoria di Brescia a meser Azzo Visconti signore di Milano, che·nn'era grande quistione tra' Lombardi, che ciascuno di quelli signori la voleva. E certo i Fiorentini l'aveano a procacciare a messere Azzo, per amore che con Castruccio ci fu a sconfiggere ad Altopascio, e poi alle porte di Firenze. Messer Mastino veggendosi perduta Padova e presovi il fratello, e poi Brescia e più altre terre ch'elli tenea, come per noi è fatta menzione, e fallitoli e venuto meno suo tesoro, isbigottì molto, e mandò suoi ambasciadori a Vinegia per trattato di meser Alberto che v'era prigione, del mese di dicembre; e cercarono co' Viniziani certo accordo sanza saputa dell'altra lega. Onde i Fiorentini e gli altri allegati presono grande sospetto. I Viniziani si scusaro che·cciò che facieno era a onore della lega, e però i Viniziani volieno e dimandavano tali patti e sì larghi, che meser Mastino no·lli volle oservare; e ricominciossi la guerra più aspra che prima, che apresso, all'entrante di marzo, la nostra gente cavalcaro sul veronese sanza trovare alcuno contasto, e passarono il fiume dell'Alice, e guastarono XVI grosse ville con gran danno del paese.



LXXIV - Di certe novità fatte in Firenze

Nel detto anno MCCCXXXVII, essendosi pacificati insieme la casa di Malatesti da Rimino, i Fiorentini elessono per loro capitano di guerra meser Malatesta il giovane, uomo assai valoroso, e venne in Firenze molto onorevolemente a dì XIII d'ottobre, tegnendo molto onorata vita, sanza prendere parte o setta alcuna nella città, o farsi bargello, però che·cci amava per comune; ma al suo tempo non si fece né oste né cavalcata sopra Lucca, però ch'al continovo i Fiorentini stavano inn-isperanza d'averla per trattati, che' Viniziani tenieno d'accordo con meser Alberto e con meser Mastino; la quale riuscì vana speranza per la dislealtà e tradimento de' Viniziani, come per lo inanzi faremo menzione. In questo anno, a dì VIII di gennaio, meser Benedetto Maccaioni di Lanfranchi ribello di Pisa avendo segretamente soldati in Firenze CCC soldati a cavallo subitamente cavalcò in Maremma e di dì e di notte, che·lli dovea esere dato Castiglione della Pescaia, e fulli data una porta; ma·lla gente della terra subitamente furono alle difese, e cacciarline fuori. Della detta cavalcata si dolfono molto i Pisani de' Fiorentini, ed ebbono gran paura di perdere Castiglione o Piombino. Il vero fu ch'alcuno de' reggenti di Firenze seppono il detto trattato, e diedonvi aiuto e favore; ma i priori non ne sentirono niente; ma per tema di peggio i Pisani ne furono più cortesi contro a' Fiorentini, che prima tutto dì cercavano gavillazioni in Pisa contro a' nostri mercatanti per abattere la nostra franchigia per indirette soffisme. In questo tempo, a l'entrante di febraio, i Fiorentini ebbono in guardia dal vescovo d'Arezzo ch'era degli Ubertini, la forte rocca del suo castello di Civitella e Castiglione degli Ubertini in Valdarno e pacificaro il vescovo e' suoi co' Tarlati d'Arezzo per fortificamento della signoria presa per li Fiorentini della città d'Arezzo. E fecesi legge e decreto in Firenze a dì XIIII di marzo che nullo cittadino comperasse castello alcuno alle frontiere del distretto di Firenze. E·cciò si fece perché quelli della casa de' Bardi per loro grande potenzia e ricchezza avieno in que' tempi comperati il castello di Vernia e quello di Mangone da meser Benuccio Salimbeni da Siena, e quello del Pozzo da Decomano da' conti, dubitando il popolo di Firenze non montassono ellino e gli altri grandi in potenzia e superbia per abassare il popolo, come feciono apresso non gran tempo, come si farà menzione. In quelli giorni s'aprese il fuoco nel popolo di San Brocolo nella casa alta de' Riccomanni presso alla Badia, e arse tutta di mezzogiorno di sopra la volta, non potendo esere difesa. E dopo l'uficio di meser Malatesta, e lui partito, quelli che reggeano Firenze, feciono venire sotto titolo di capitano di guerra, overo per bargello, meser Iacopo Gabrielli d'Agobbio, il quale entrò in uficio in calen di febraio MCCCXXXVIII, e stette II anni con grande balìa; il quale per la sua asprezza fece in Firenze e nel contado di sconce cose e albitrare sanza ordine di ragione, onde nacquero novitadi sconce di città, come inanzi faremo menzione.



LXXV - Come nella città d'Orbivieto feciono popolo, e simile quella di Fabriano

Alla fine del detto anno MCCCXXXVII, dì XXIIII di marzo, la città d'Orbivieto si levò a romore e inn-arme per soperchio di quelli della casa di Monaldeschi, che tirannescamente la signoreggiavano; e feciono popolo, e cacciarne i detti Monaldeschi e' loro seguaci. E per simile modo si fece in que' dì popolo nella città di Fabriano nella Marca, e cacciarne i loro tiranni e potenti che signoreggiavano la terra.



LXXVI - Come certa gente di Lucca furono sconfitti da' marchesi Malespini guelfi

L'anno MCCCXXXVIII, a dì XXVI di marzo, essendo cavalcati CC soldati a cavallo della città di Lucca e popolo a piè assai nella contrada di Lunigiana adosso a marchesi Malespini da Villafranca, da' detti marchesi e loro genti furono sconfitti e ricevettonvi gran danno di prigioni e di morti la gente di meser Mastino, secondo la quantità di gente ch'erano, che pochi ne tornarono in Lucca. Lasceremo alquanto delle novità di Firenze e di Toscana e d'altre parti, e torneremo a dire sopra la guerra da·nnoi a meser Mastino, che·nne cresce matera.



LXXVII - Come la nostra oste di Lombardia andarono infino alle porte di Verona, e corsonvi il palio, ed ebbono Montecchio

Nel detto anno, rotto ogni trattato d'accordo da·nnoi e Viniziani con meser Mastino, la nostra gente intorno di IIIm cavalieri cavalcaro sopra la città di Verona a dì XVIII d'aprile, e per forza combattendo ebbono la terra di Soave presso a Verona, ch'era guernita per meser Mastino, e morìvi di sua gente più di CCCC uomini. E poi a dì XXI d'aprile si strinsono presso alle porte di Verona al gittare d'uno balestro, e' nostri capitani dell'oste, che tuttora v'avea uno cavaliere di nobili e uno popolano di maggiori di Firenze, e simile di Vinegia, per dispetto e vergogna di meser Mastino feciono correre uno palio di sciamito dinanzi alla porta di Verona, mandando bando che ciascuno di Verona che volesse potesse sicuramente venire di fuori a vedere il giuoco e correre il palio; ma pochi n'uscirono. E partitosi l'oste nostra da Verona, a dì III di maggio s'arrendé a·lloro il grande e forte castello di Montecchio, il quale è·lla chiave tra Verona e Vincenza; e quello fornito di vettuaglia e di gente d'arme, la nostra oste si tornò al castello di Lungara, il quale era a quelle frontiere ben disposto a·ffare guerra al Mastino. E nota, lettore, come adopera la fortuna nel secolo, e maggiormente ne' processi delle guerre, che poco tempo dinanzi messere Mastino ch'era in tanto stato e signoria, che signoreggiava Verona, Padova, Trevigi, Vincenza, Parma, Lucca, e·lla città di Feltro, e Civita Belluna, e molti grandi e forti castelli, e avea gran tesoro ragunato, e a' suoi soldi al continovo tenea più di Vm cavalieri tedeschi alle spese delle dette otto città; ed era un grande e possente tiranno, il maggiore di tutta Italia o che fosse stato intra C anni; e poco dinanzi minacciati avea i Fiorentini di venirli a vedere infino alle porte di Firenze con Vm barbute di ferro, e fatta fare una ricchissima corona d'oro e di pietre preziose per coronarsi re di Toscana e di Lombardia; e poi intendea d'andare nel regno di Puglia e torlo per forza d'arme al re Ruberto; e sarebbegli venuto fatto, se non fosse il giudicio di Dio per aumiliare la sua superbia, e·lla potenza del Comune di Firenze e di quello di Vinegia, che ripugnaro e recaro a poca potenza e basso stato co·lloro operazione e danari, per lo modo che leggendo avete inteso; e ancora, come intenderete, il recarono a maggiore stremità, che convenne che 'ngaggiasse a usura la sua corona e tutti i suoi gioelli per avere danari per resistere alla sua guerra; però che per guardare le sue terre e tenute gli convenia in ciascuna mettere grossamente, salvo che di Lucca e di Verona, tiranneggiandole con grandi torzioni traeva alcuna cosa. E però nullo signore o tiranno o Comune si può fidare nella sua potenza, imperò ch'ogni potenza umana è vana e fallace. E·ll'onnipotente Iddio Sabaot dà vinto e perduto a·ccui gli piace secondo i meriti e i peccati. Lasceremo alquanto della guerra da·nnoi a meser Mastino per dire d'altre novità ocorse inn-Italia e oltremonti in questi tempi.



LXXVIII - Come il duca di' Brabante co' suoi allegati fece grande oste sopra il vescovo di Legge, e fer pace

Nel detto anno MCCCXXXVIII, a dì VIIII d'aprile, il duca di Brabante cogli altri allegati e giurati contro al re di Francia, e col figliuolo del Bavero, con VIIIm cavalieri e più di LXm pedoni brabanzoni e d'intorno al paese, quali tutti armati a corazze e barbute come cavalieri, andarono sopra il vescovo di Legge per la quistione che 'l duca avea co·llui per la terra di Mallina; e maggiormente perché il detto vescovo era in collega col re di Francia, per levarsi di mezzo loro paese, e i·rre di Francia non avesse podere e non potesse fare risistenza alla impresa loro della guerra incominciata. Il vescovo veggendosi sì sùbito assalire da tanta potenza, ed egli male proveduto al riparo della detta oste, e da·rre di Francia non avuto soccorso, s'accordò col duca e colli altri allegati, siccome seppono divisare, giurando loro di non essere più di collega col re di Francia.



LXXIX - D'una grande armata che il re Ruberto mandò sopra l'isola di Cicilia con poco aquisto

Nel detto anno, sentendo il re Ruberto che·ll'isola di Cicilia era in mala disposizione per lo nuovo re Pietro, e per la rubellazione del conte Francesco di Ventimiglia e di suoi seguaci, ordinò una grande armata per passare in Cicilia; e partissi la detta armata di Napoli a dì V di maggio con LXX tra galee e uscieri, con MCC cavalieri, e di là arrivaro dì VII di maggio nella contrada di Tremole, ed ebbono di presente tre castella d'ivi intorno, e puosonsi ad assedio a Tremole. E poi a dì X di giugno si partì di Napoli la seconda armata con maggior navilio, con gran gente di baroni del Regno e Provenzali, onde furono capitani Carlo il duca di Durazzo nipote del re figliuolo di suo fratello, messer Gianni, e 'l conte Novello di quelli dal Balzo; e puosonsi al detto asedio di Tremole, ed ebbollo a patti all'uscita d'agosto, salvo la rocca, dopo molte battaglie date e fracasso di difici, e arsono la terra tutta. E rubellossi al re Piero il conte Ruggieri da Lentino con tutte le sue castella, ch'era uno de' maggiori baroni dell'isola e di discendenti de' principali baroni che rubellarono l'isola al re Carlo primo: e così si rivolge il secolo. La detta armata per infermità si partì e tornaro a Napoli con poco aquisto od onore; ch'essendo più di IImD cavalieri, potieno cavalcare tutta l'isola sanza contasto, ed e' non si mossono mai da Tremole, onde infracidò l'oste; e corrotta, ingenerò pestilenza d'infermità e di mortalità.



LXXX - Come molte città del regno di Puglia ebbono discordia e divisione tra loro cittadini

Nel detto anno si cominciò nel regno di Puglia, che signoreggiava il re Ruberto, una grande discordia e maladizione nella città di Sermona, e in quella dell'Aquila, e in Gaeta, e in Salerno, e in Barletta, che in ciascuna delle dette terre si criò parte, e combattendosi insieme; e·ll'una parte cacciò l'altra, e guastarsi quasi le dette terre, e d'intorno a quelle; e il paese per cagione delle dette discordie tutto s'empié di malandrini e di ladroni, rubando per tutto; e a queste discordie tenieno mano molti baroni del Regno, chi coll'una parte e chi coll'altra. E·lla maggiore fu quella di Barletta, e che più durò e con maggiori battaglie. Dell'una parte era capo casa Marra, e co·lloro il conte di Sanseverino e tutti i suoi seguaci; dell'altra la casa di Gatti, e co·lloro il conte di Minerbino, chiamato il Paladino, e co' suoi seguaci, i quali feciono molto di male, e guastando la terra di Barletta e tutto il paese d'intorno. Delle quali discordie il re ne fu molto ripreso, e dovea esere a tanto savio signore come era, e di senno naturale e di scienzie; e per propia avarizia delle pene e composizioni di misfatti di suoi sudditi sofferia il guastamento del suo regno, possendolo correggere e salvare con alquanta giustizia. E niente si ricordava delle parole del savio re Salamone: "Diligite iustitiam, qui iudicatis terram". Bene che poi che·lle dette terre furono ben guaste, il re vi mandò le sue forze assediando Minerbino e 'l conte; e' suoi fratelli vennono a Napoli alla misericordia del re, e tutti i loro beni piubicati alla corona, e venduti e barattati, ed ellino prigioni a Napoli; e furono diserti con male fine e disfatti. Questi conti di Minerbino furo stratti di vile nascimento, che furono figliuoli d'uno figliuolo di meser Gianni Pipino, il quale fu nato d'uno piccolo e vile notaiuolo di Barletta; ma per sua industria fu molto grande al tempo del re Carlo secondo, e guidava tutto il regno, guadagnando d'ogni cosa, e arricchì per modo che lasciò i suoi figliuoli conti; i quali poi per loro superbia e stracotanza, com'è detto, vennero tosto a mal fine. E nota che rade volte i sùbiti avenimenti di grande stato hanno tosto dolorosa fine, e 'l male aquistato non passa le più volte terza reda; e così avenne di costoro. Lasceremo de' fatti del Regno e di Cicilia, e diremo alquanto de' fatti di Firenze stati nel detto anno.



LXXXI - Come i Colligiani si diedono al Comune di Firenze, e di novitadi di Firenze nel detto anno

Nel detto anno MCCCXXXVIII, il dì di san Giovanni di giugno, cavalcando IIII bandiere da cento a·ccavallo di nostri soldati verso Buggiano per levare preda, messo loro aguato, furo sconfitti, e presi due conestaboli e·lla maggiore parte di loro gente. E nel detto anno, a dì XII di luglio, essendo i Colligiani in grande divisione tra·lloro, e per guastarsi la terra e cacciarne parte, di concordia diedono la signoria della terra e·lloro distretto alla guardia del Comune di Firenze per XV anni, chiamando al continovo podestà e capitano cittadini di Firenze, e·lla guardia della rocca a·lloro spese; e così s'aquetaro le loro discordie sotto il bastone del Comune e popolo di Firenze, rimanendo in pace e buono stato. E nel detto anno, a dì XV di dicembre, s'aprese il fuoco Oltrarno in via Quattro Paoni, e arsonvi II case. E poi a dì VII di febraio di mezzodì s'aprese il fuoco da casa i Cerretani dalla porta del vescovo, e arse il loro palagio con più di X case dall'una via e dall'altra con grande dannaggio, sanza potersi difendere. E nota che apunto in cinquanta anni s'aprese il fuoco e arse il detto palagio de' Cerretani, come in questa adietro si troverrà, che·ffu grande maladizione a quella schiatta non sanza cagione.



LXXXII - Ancora della guerra da·nnoi a mesere Mastino

Nel detto anno MCCCXXXVIII, tornata l'oste nostra e de' Viniziani al castello di Lungara, come adietro facemmo menzione, messere Mastino con suo sforzo venne ad oste sopra il castello di Montecchio per raquistarlo, non sentendolo ben fornito per la sùbita ribellazione, e perché dubitava, tegnendosi Montecchio per la nostra gente, di perdere la città di Vincenza. La nostra gente, ch'era a Lungara, per soccorrere Montecchio e fornirlo si partiro di Lungara, IIm cavalieri e popolo e fornimento assai, a dì XV di giugno, e vegnendo colle schiere fatte per combattere con meser Mastino e colla sua gente, ch'era con MCC cavalieri, non attese la nostra gente e non volle venire alla battaglia, ma si levò da·ccampo con danno e con vergogna da quelli del castello, per la sùbita levata inanzi che·lla nostra gente vi s'apresasse, lasciando tutto il campo fornito; giugnendovi poi la nostra gente, forniro Montecchio riccamente. Come meser Mastino si partì colla sua gente da Montecchio, se ne venne diritto a Lungara a dì XVII di giugno, credendola avere per battaglia, avisandosi ch'ella fosse sguernita per la cavalcata fatta a Montecchio per li nostri. Ma dentro v'erano rimasi alla guardia D cavalieri de' nostri e de' Viniziani, i quali difesono la terra con danno d'alquanti di quelli di meser Mastino. E partito da Lungara, e·llui tornato a Verona con poco onore, rimandò parte della cavalleria che gli era rimasa alla guardia e guernigione delle sue terre, e con poca gente a cavallo si ritenne in Verona. E poi CCC cavalieri de' nostri da Lungara cavalcarono infino a Verona alle porte sanza alcuno contasto, sì era asottigliata la potenzia del Mastino. E in questi tempi, a dì XVIIII d'agosto, s'arrendé a' Padovani il castello di Monselici, salvo la rocca, la qual poi per difetto di vittuaglia s'arrendé a dì XXV di novembre apresso, salve le persone. E a dì XXVIIII di settembre del detto anno, avendo meser Mastino uno falso trattato d'eserli dato il castello di Montagnana, menato per Spinetta marchese e per due suoi famigliari, ch'erano al soldo nostro a Montagnana, i quali lo scopersono a meser Ubertino da Carrara, ed elli notificandolo alla nostra oste di Lungara che stessono aparecchiati al socorso di Montagnana, messer Mastino seguendo il suo trattato vi fece cavalcare Spinetta marchese con Vc cavalieri e MD pedoni. La nostra gente, ch'avieno ordinato lo 'nganno del trattato, in quantità di D cavalieri si partirono dal nostro campo di Lungara, e andarono di sùbito a Montagnana, e simile CC di quelli di Padova. Vegnendo la detta gente di meser Mastino a Montagnana, per aguato fatto per li nostri gli asalirono e missogli inn-isconfitta; ove rimasono annegati e morti ben CCC tra cavallo e a piè, e presi XXII conestaboli tra·ccavallo e a piè, e de' migliori Italiani da XII che meser Mastino avesse a suo soldo, di quelli da Coreggia, e di quelli da Fogliano, e altri Lombardi e gentili uomini co·lloro e gente a cavallo e a piè presi assai, onde fu gran rotta allo stato di meser Mastino, nel suo dichinamento. Lasceremo alquanto de' fatti della guerra da·nnoi al Mastino, che tosto vi torneremo a darvi fine, e torneremo alquanto adietro a dire della 'mpresa della guerra dal re di Francia a quello d'Inghilterra e suoi allegati e Fiamminghi.



LXXXIII - Come i Fiamminghi cacciaro il loro conte, e rubellarsi al re di Francia

Essendo la contea di Fiandra in grande bollimento per la guerra cominciata dal re di Francia a·rre d'Inghilterra, e il duca di Brabante e gli altri allegati, che parte di Fiaminghi sarebbono stati contenti di rubellarsi al conte di Fiandra e al re di Francia, e parte ne tenieno col conte; per la qual cosa più discordie ebbono col conte loro signore, perché tenea col re di Francia, e cacciarlo di Fiandra alcuna volta alla cortese a modo di confini, e poi rimandavano per lui, come popolo ch'era in bacillare e in non fermo stato. Alla fine si levò in Guanto uno di vile mestiere, che facea e vendea il melichino, cioè cervogia fatta con mele, ch'avea nome Giacopo d'Artivello, e fecesi mastro della Comuna di Guanto. E questo fu l'anno MCCCXXXVII; e per suo bello parlare e franchezza montò in brieve tempo in tanto stato e signoria col favore della Comune di Guanto, che cacciò di Fiandra al tutto il conte e tutti i suoi seguaci, e così di Guanto e di Bruggia e d'Ipro e delle altre ville di Fiandra ch'amavano il conte; imperò che chiunque facea resistenza si partia di Guanto con VIm o più della Comuna, e venia contro a que' cotali, a combatterli e cacciarli; e così in poco tempo fu al tutto signore di Fiandra. Ben si disse di vero che 'l vescovo di Niccola, ch'era in Brabante per lo re d'Inghilterra, col favore e consiglio di Brabanzoni e con molti danari di quelli del re d'Inghilterra spesi in Fiandra fece fare tutta quella rivoltura; onde poi apresso seguì grande favore al re d'Inghilterra, come inanzi leggendo si troverrà.



LXXXIV - Come 'l re d'Inghilterra passò in Brabante

Essendo Fiandra quasi rubellata al re di Francia e al conte, come detto avemo, lo re Aduardo il giovane giunse ad Anguersa in Brabante con più di CCC navi e con molta baronia e gente d'arme di suo paese, e con molta lana e danari, e colla moglie e due sue figliuole; e·cciò fu a dì XXII di luglio gli anni MCCCXXXVIII, e in Anguersa fece sua stanza ferma infino all'uscita di settembre, bene che in questa stanza andasse colli allegati a più parlamenti a più ville del paese, intra·lli altri nella contea di Los a' confini d'Alamagna colli ambasciadori del Bavero. E in quello parlamento si piuvicò con privilegi imperiali il re d'Inghilterra essere vicaro dello 'mperio, salvo in Italia; e poi ne venne a Borsella, e·llà fermò parentado col duca di Brabante; ciò fu la figliuola del duca al figliuolo maggiore del re d'Inghilterra. E allora il duca da capo giurò la lega e d'esere contro al re di Francia, e mandolli rinuziando ogni omaggio tenea da·llui nel reame di Francia, e mandollo sfidando infino a Parigi per uno franco e ardito cavaliere brabanzone, e bene parlante; e fornì bene la bisogna.



LXXXV - Come il re d'Inghilterra e' suoi allegati vennero ad oste in su il reame di Francia

E·cciò fatto, si mosse il re d'Inghilterra e il duca di Brabante da Borsella co·lloro oste, e andarne a Valenzina inn-Analdo; e ivi siccome vicario d'imperio fece richiedere il vescovo di Cambrai che dovesse rendere la città di Cambrai, ch'era dello imperio, il quale non vi comparì. Per la qual cosa, a dì XX di settembre, di Valenzina si mosse inanzi meser Gianni d'Analdo zio del conte con IIm cavalieri tra d'Analdo e Alamanni al soldo, e il sire di Falcamonte con D cavalieri, e puosonsi dinanzi alla città di Cambrai alla villa d'Apre. E bene che Cambrai sia terra d'imperio e tenela l'arcivescovo, il re di Francia l'avea guernita di sua gente, che v'era dentro il conestabole di Francia con IIIm armadure. Il re d'Inghilterra venne alla detta oste con sua gente con IImD cavalieri tra Inghilesi e altri suoi amici. Il duca di Brabante con IIIIm cavalieri, tra di Brabante e di Legge e Alamanni a soldo, e popolo di Brabante e d'Analdo per comune, grandissima quantità; e vennevi il conte, overo duca, di Ghelleri, per simile modo con IIm cavalieri, e quello di Giulieri con MD cavalieri. Tutta questa gente e·lla maggiore parte furono a' gaggi o provisione del re d'Inghilterra. Vennevi il marchese di Brandiborgo figliuolo del Bavero con CC armadure sanza soldo; e più di MD cavalieri tedeschi il seguiro di volontà non richesti; sicché l'oste degli allegati fu più di XIIIIm di cavalieri e più di LXm a piè, armati a corazze e barbute la maggior parte; e di costa a Cambrai stette l'oste da VIIII giorni, e corsono infino a Doai guastando e rubando. E il sire di Falcamonte corse infino a Bapalma e a Ros in Vermandos, però che·rre di Francia era ancora a Compigno. E poi si partì di là la detta oste, e puosonsi al monte Sammartino presso a San Quentino a due leghe; poi a dì XIIII d'ottobre mutarono campo e passarono il fiume dell'Osa, e mutaro su per la riviera tre campi; e poi puosono campo a tre leghe presso alla Cina in Francia. E poi sentendo la venuta del re di Francia, si ritrassono adietro alla Capella, e poi vennero alla Samingheria in Tiracia. E di questi campi corsono infino presso appiè da·lLaona e d'Ares in Francia, faccendo infinito danno di ruberie e d'arsioni, però che 'l detto paese è molto pieno di ricche e buone ville e d'assai. E dal tempo che' Romani si partirono del paese, anticamente quando il signoreggiarono, non aveano sentito che guerra si fosse.



LXXXVI - Come il re di Francia con sua oste venne contro al re d'Inghilterra

Il re di Francia sentendo come il re Aduardo avea passato in Brabante, e il grande aparecchio del detto re che gli altri allegati ch'avieno fatto a Cambrai, incontanente si provide. E prima avendo richiesti tutti suoi baroni del reame, e il re di Navarra, suo cugino, e il re Giovanni di Buemia, e 'l conte di Savoia, e 'l Dalfino di Vienna, e ciascuno gli venne in aiuto con gente d'arme assai a·ccavallo e a piè. E sentendo ch'erano entrati nel reame i nimici, si partì di Parigi subitamente, però che non avisava che' suoi nimici fossono arditi d'entrare in su·reame: e in questo prese fallo. E sanza attendere tutta sua oste, venne di presente a Compigno, e poi di là venne a Perona in Vermandos. E·llà si trovò tra della gente di suo reame e degli altri detti signori e amici con XXVm di buona gente d'arme a cavallo e popolo a piè infinito, e partissi da Perona, e puosesi a campo di costa al fiume dell'Osa, a petto all'oste di quello d'Inghilterra a una lega e mezzo, essendo intra·lle dette osti la riviera d'Osa; e così stettono afrontati più dì.



LXXXVII - Come l'oste del re di Francia e di quello d'Inghilterra s'affrontaro, e poi si partiro da·ccampo sanza combattere

Essendo i detti II eserciti così di presso, ch'erano tanta gente, e cavalli, e somieri, e carreggio, che·lla minore oste teneva più d'una e mezza lega, comprendendo tutto il paese, lo re d'Inghilterra e' suoi allegati richiesono di battaglia il re di Francia, però che·lla stanza non facea più per loro, perch'avieno guasto e rubato tutto il paese, e·lla vittuaglia venia alla loro oste molto dalla lunge e con iscorta, e in que' giorni valse il pane uno grosso tornese d'argento in quella oste. Lo re di Francia accettò la battaglia, e prese il gaggio; e 'l sabato, a dì XXIII d'ottobre MCCCXXXVIII, era la giornata. E ciascuna oste s'armò e schierò. E·rre d'Inghilterra venne con sua gente schierato nel luogo ordinato, e stette in sul campo infino a vespro. Il re di Francia e sua oste s'armò, ma però non si mosse con sua gente del campo, ma con inganno e maestria di guerra si credette vincere i nimici. E mandando a uno passo di riviera, onde all'oste del re d'Inghilterra venia la vittuaglia, da IIIm cavalieri e sergenti a piè e balestrieri assai per impedire il detto passo. Ma il re d'Inghilterra e' suoi allegati prima s'erano di ciò proveduti, e guernito il detto passo; ma veggendosi inn-istremo luogo per la vittuaglia, e·cche il re di Francia non venia a battaglia, trombato e ritrombato, e poi si partirono del campo schierati, e andarsene ad Avenes in Tiraccia, e poi a Mabrugam inn-Analdo, e di là n'andarono a Borsella. E là fatto loro parlamento, ordinarono d'essere colle loro forze tornati in Brabante a primo tempo. E diedono congio a tutti gli Alamanni, i quali n'andarono tutti ricchi tra di gaggi del re d'Inghilterra, e·lle ruberie fatte sopra i Franceschi. Lo re di Francia si tornò sano e salvo, ma con poco onore, a Parigi. E per simile modo diè congio alle sue genti, e che fossono tornati a primo tempo. Avemo fatto sì lungo conto delle dette osti sanza battaglia, imperò che·ggià è lungo tempo non si asembrò tanta baronia di presso per combattere, quanto fu quella: che·ssi può dire di vero, che fosse il fiore e·lla forza della cavalleria di Cristiani. E di certo fu grazia e opera di Dio, bene che si puose in viltà del re di Francia e di Franceschi che battaglia non vi fu tra·lloro, né si spargesse tanto sangue cristiano. E·llo re Ruberto suo zio infino da Napoli al continovo per lettere e messaggi confortava il re di Francia che per lo migliore non si mettesse alla battaglia con Bramanzoni, e Tedeschi, e Fiamminghi, gente disperata e crudele, e per alcuno si disse che 'l re di Francia dubitò di tradimento, e però non si mise a battaglia; ma quale si fosse, provide il migliore e il più sicuro per lui. Lasceremo alquanto della guerra de' detti II re, ch'assai tosto apresso ci converrà raccontare come feciono altressì grande assembramento o maggiore, e torneremo a nostra matera a dire degli avenimenti e fine della nostra guerra col Mastino, e dell'altre novità di Firenze e d'Italia e d'altri paesi in questi tempi.



LXXXVIII - Del male stato ch'ebbono la compagnia de' Bardi e quella de' Peruzzi per la detta guerra, e tutta la nostra città di Firenze

Nel tempo ch'era la detta guerra da·rre di Francia con quello d'Inghilterra sì erano mercatanti del re d'Inghilterra la compagnia di Bardi e quella di Peruzzi di Firenze, e a·lloro mani venia tutte sue rendite, e·llane e cose; ed ellino forniano tutte le sue spesarie, gaggi, e bisogne; e sopramontarono tanto le spese e bisogne del re, oltre alle rendite e cose ricevute per lui, che i Bardi si trovarono a ricevere da·rre, tornato dell'oste detta, tra di capitale e provisioni e riguardi fatti loro per lo re più di CLXXXm di marchi di sterlini; e' Peruzzi più di CXXXVm di marchi, e ogni marco valea fiorini IIII e terzo d'oro, che montarono più di MCCCLXVm fiorini d'oro, che valeano un reame. Ben avea in questa somma assai quantità di provisioni fatte a·lloro per lo detto re per li tempi passati; ma come che si fosse, fu la loro gran follia per covidigia di guadagno o per raquistare il loro follemente prestato mettere così di grosso il loro e l'altrui inn-uno signore. E nota che i detti danari non erano la maggiore parte delle dette compagnie, anzi gli aveano inn-accomanda e in diposito di più cittadini e forestieri. E di ciò fu il grande pericolo a·lloro e alla nostra città, poco apresso come si troverrà leggendo. E·cche n'avenne che per cagione di ciò non potendo rispondere a cui dovieno dare in Inghilterra, e in Firenze, e in altre parti dove avieno a·ffare, e del tutto perderono la credenza, e fallirono di pagare, ispezialmente i Peruzzi, con tutto che non si cessassono per le loro grandi posessioni ch'avieno in Firenze e nel contado, e per loro grande potenzia e stato ch'avieno in Comune. Ma per questa difalta e per le spese del Comune in Lombardia molto mancò la potenzia e stato di mercatanti di Firenze; e però di tutto il Comune e·lla mercatantia e ogni arte n'abassò, e vennero in pessimo stato, come inanzi si farà menzione; però che fallite le dette due colonne, che per la loro potenzia, quando erano in buono stato, condivano colli loro traffichi gran parte del traffico della mercatantia di Cristiani, ed erano quasi uno alimento, onde ogn'altro mercatante ne fu sospetto e male creduto. E per le dette cagioni e per altre, come si dirà tosto, la nostra città di Firenze ricevette gran crollo e male stato universale non guari tempo apresso. E per agiunta del male stato delle dette compagnie il re di Francia faccendo pigliare in Parigi e per tutto il reame i loro compagni e cose e mercatantie, e di più Fiorentini per la detta cagione, e per li molti danari che 'l Comune avea presi per forza in presto da' cittadini e spesi nella 'mpresa di Lombardia e di Lucca, onde poi de' rimbalzi e del mancamento della credenza più altre minori compagnie di Firenze poco tempo apresso ne fallirono, come inanzi si farà menzione. Lasceremo di questa matera, e torneremo a seguire il trattato della guerra con messere Mastino.



LXXXIX - Come la nostra gente e de' Viniziani entrarono ne' borghi di Vincenza

Tornando a nostra matera della guerra da·nnoi a mesere Mastino, le cui forze erano molto afiebolite, avenne che a dì XVI d'ottobre MCCCXXXVIII, sentendo meser Mastino che·lla città di Vincenza era molto stretta e stava male, sì mandava per loro soccorso e conforto CL cavalieri, i quali passando, dalla gente nostra ch'era in Montecchio furono assaliti e sconfitti, e presi cinque conestaboli e·lla maggiore parte di quelle masnade. E di presente, come era stato trattato, la nostra oste e cavalleria entraro ne' tre borghi di Vincenza a dì XVIII d'ottobre del detto anno, e quasi tutta la terra aveno, se non la parte ch'era col castello; e quello poco tempo sarebbe potuto tenere, avendo perduto ogni speranza di soccorso.



XC - Come i Viniziani tradirono i Fiorentini e feciono pace con messer Mastino, e convennela fare al nostro Comune

Messer Mastino, veggendosi ch'era per perdere la città di Vincenza, e·sse quella fosse perduta, era assediato in Verona, fece segretamente trattare sua pace co' Viniziani sanza saputa de' Fiorentini, e spese per suoi ambasciadori grossamente in Vinegia a certi maggiorenti, ch'avieno stato e podere nel Comune, e rimissesi liberamente i·lloro, pregandoli che non volessono al tutto disfare; che·cciò faccendo, guastavano e abattevano parte d'imperio e ghibellina inn-Italia, i Viniziani sono per antico naturalmente stati. E per prendere loro vantaggio, col conforto di quelli cittadini che·nne guadagnavano, e ancora per priego de' Pisani e di quelli Ghibellini che teneano Lucca, per loro ambasciadori segreti e lettere con grande stanzia pregando i Viniziani per Dio e per amore di parte non assentissero che' Fiorentini avessero la città di Lucca, essi acordassono con meser Mastino. Per la qual cosa i Viniziani ingannarono e tradirono i Fiorentini e gli altri allegati, che avieno promesso e giurato di non far mai niuno acordo sanza la volontà di tutti gli allegati, e·cche i Fiorentini avessono libera la città di Lucca e 'l suo distretto; ma·cciò non oservarono, ma fecionsi l'accordo a·lloro volontà, e vollono ed ebbono la città di Trevigi a dì II di dicembre del detto anno, e Castello Franco e Basciano, e·cciò ch'era aquistato per la nostra gente e per la loro. E·cciò fatto mandarono loro ambasciadori a Firenze a dì XVIIII di dicembre, e diedono il partito a' Fiorentini in pieno consiglio, che·sse noi volessimo la pace ch'ellino avieno fatta con messere Mastino, che ci farebbono confermare per la detta pace a meser Mastino e al Comune di Lucca le terre e castella che·nnoi avavamo di quelle di Lucca; ciò erano Fucecchio, Castello Franco, Santa Croce, Santa Maria a Monte, Montetopoli in Valdarno, e Montecatini, e Montesommano, e Montevettolino, e·lla Massa e il Cozzile e Uzzano in Valle di Nievole, e Avillano, e Sovrano, e Castello Vecchio in Valle di Lima, arogendo loro per la detta pace faccendo il castello di Pescia e quello di Buggiano e loro tenitori, e Altopascio. E se·cciò non volessono prendere, e' s'aveano fatta la loro pace, e quella oserverebbono, o prendessino i Fiorentini il partito o non con messer Mastino. A' Fiorentini del detto partito parve troppo male, però che' Fiorentini si stimavano d'avere affare co' Viniziani come co·lloro medesimi, e·cche per loro fosse osservata leale compagnia, però che fermamente si credieno i Fiorentini avere Lucca secondo i patti giurati per li Viniziani, e gli altri Lombardi della lega dovieno avere Parma. Per lo detto partito più consigli segreti si tennono in Firenze, o di prendere o di lasciare la detta pace; e fuvi il pro e 'l contro: che molti cittadini per lo sdegno del tradimento de' Viniziani allegando ch'era pericolo della città fare pace col nimico tiranno, rimanendo vicino colla forza e riparo di Lucca, per dotta de' suoi tradimenti non s'accordavano alla detta pace; e ch'era meglio a rimanere co·llui inn-iscoperta guerra, e più sicuro partito. Altri consigliarono che, considerando i molti danari ispesi per lo Comune nella detta guerra, onde il Comune era indebitato a' suoi cittadini e altri di bene di CCCCLm di fiorini d'oro e più sopra le gabelle ed entrate del Comune, che·bbene per più di sei anni a venire erano asegnate, si prese per lo meno reo che·ssi mandassono solenni ambasciadori a Vinegia a pregare quello Comune che·cci oservassono i patti della lega giurati, o migliorassono i patti offerti a·lloro podere; o se meglio non potessono (e questo fu segreto commesso loro), che non si partissono da mercato per lo migliore del Comune nostro, acciò che per lo detto accordo il Comune prendesse lena e uscisse di debito, e avanzassonsi le dette castella, che sono nel cuore di Lucca, da potersi difendere e guerreggiare il tiranno se bisognasse. E questo partito si vinse a dì XI di gennaio. E andarono a Vinegia mesere Francesco di meser Pazzino de' Pazzi, e mesere Alesso de' Rinucci giudice, e Iacopo degli Alberti, e sindaco con pieno mandato. E in Vinegia istettono alquanti dì per prendere vantaggio co' Viniziani. Ma i perfidi, stratti del sangue d'Antenore traditore della sua patria di Troia, seguendo il loro pertinace proponimento non si vollono smuovere, se non ch'arrosono Asciano e 'l Colle, ch'era sopra Buggiano, i quali, avendo noi Buggiano, no poteno tenere. E così si fermò la sforzata e non volontaria pace in Vinegia tra 'l Comune di Vinegia e di Firenze con meser Mastino a dì XXIIII di gennaio MCCCXXXVIII. E uscì di prigione meser Alberto della Scala e gli altri ch'erano presi co·llui in Vinegia. E fu la pena di Cm fiorini d'oro per osservare la detta pace sanza altra malleveria, possendo i Guelfi ribelli di Lucca tornare in Lucca e riavere i beni loro, salvo XXX caporali stare a' confini. Per la qual pace pochi Guelfi s'asicurarono di tornare a Lucca. E poi tornati i nostri ambasciadori in Firenze, a dì VII di febraio del detto anno furono date le dette castella a' Fiorentini. E poi a dì XI di febraio si bandì la pace, ma però che nullo andasse a Lucca sanza licenzia. Notate, e sievi a perpetua memoria a voi Fiorentini che questo leggerete, il villano tradimento fatto al nostro Comune per li Viniziani, essendo per noi tanto adoperato e con tanto ispendio, il quale troviamo che·ffu in XXXI e mezzo mesi più di DCm di fiorini d'oro, sempre adoperandosi per lo nostro Comune con fede e fervore per farli grandi, e abattere la superbia del loro vicino nimico tiranno; e oltre a·cciò per agiunta al loro fallire, avendo ellino ad avere di resto dal nostro Comune alla fine della guerra intorno di XXVm di fiorini d'oro, e meno, faccendo ragione, per risidui delle paghe di cavalieri nostri e d'arnesi mandati nell'oste prestati per loro, perché talora indugiava alquanto d'andare la moneta a Vinegia per le nostre paghe, e' Viniziani n'adomandavano fiorini XXXVIm d'oro, avendo avanzato il quarto danaio di tutta la spesa fatta per loro nella detta guerra sopra i nostri e loro cavalieri e pedoni per gabelle gravi e imposte fatte per loro sopra·cciò ch'andava nell'oste; e non volieno isbattere la parte nostra del conquisto di Mestri e del ponte di Praga, ch'era e sono di grande entrata di passaggi; e volendo il nostro Comune contare co·lloro e pagarli di ciò, che restassono ad avere, e però vi mandarono ambasciadori e ragionieri, mai non ne vollono mostrare ragione, né commetterla inn-amici comuni fuori di Vinegia, se non "ego voleo, ego giubeo", cioè così vuole meser lo doge e il Comune di Vinegia. E sopra·cciò feciono rapresaglia sopra i Fiorentini con forti e aspre leggi, onde tutti i Fiorentini se ne partirono all'uscita di gennaio MCCCXXXVIIII. E simili leggi e più forti furono fatte per Fiorentini sopra i Viniziani, o sopra quale Fiorentino vi stesse o avesse a·ffare. Cotale fu la partita della disleale compagnia del Comune di Vinegia contro al nostro Comune di Firenze.



XCI - Del podere ed entrata ch'avea il Comune di Firenze in questi tempi

Acciò che' nostri discendenti possano comprendere lo stato ch'avea il nostro Comune di Firenze in questi tempi, e come si fornì lo spendio della detta guerra del Mastino, la quale volea il mese il meno XXVm di fiorini d'oro ch'andavano a Vinegia, sanza le spese oportune che bisognavano di qua al nostro Comune, che·lle più volte sanza quelli di Lombardia avea a soldo M cavalieri, sanza la guardia delle terre e castella si teneno, in brieve il narreremo apresso del podere del nostro Comune, l'entrata e così l'uscita, e messioni del Comune, dall'anno MCCCXXXVI al MCCCXXXVIII, che durò la guerra da·nnoi e meser Mastino. Il Comune di Firenze in questi tempi signoreggiava la città d'Arezzo e 'l suo contado, e Pistoia e 'l suo contado, Colle di Valdelsa e·lla sua corte, e in ciascuna di queste terre avea fatto fare un castello, e tenea XVIIII castella murate del distretto e contado di Lucca, e del nostro contado e distretto XLVI castella forti e murate, sanza quelle de' propii cittadini, e più terre e villate sanza mura, ch'erano grandissima quantità.



XCII - Entrata del Comune di Firenze

Il Comune di Firenze di sue rendite assise ha picciola entrata, come si potrà vedere, ma reggevasi in que' tempi per entrata di gabelle; e quando bisognava, come dicemmo adietro al cominciamento della guerra del Mastino, si civiva per prestanze e imposte a' mercatanti e ricchezze e altri singulari, assegnandole con guidardoni sopra le gabelle. E in questi tempi queste infrascritte erano le gabelle levate per noi diligentemente de' ligistri del Comune, che, come potrete vedere, montarono in questi tempi da CCCm di fiorini d'oro l'anno, talora più, talora meno, secondo i tempi; che sarebbe gran cosa a uno reame, e non n'ha più il re Ruberto d'entrata, né tanti d'assai quello di Cicilia né quello di Raona. Vendesi l'anno la gabella delle porti di mercatantie e vettuaglia e cose ch'entravano e uscieno della città fiorini LXXXXmCC; la gabella del vino si vendea a minuto, pagando il terzo, fiorini LVIIIImCCC. L'estimo de' contadini, pagando l'anno, soldi X per libra di loro estimo si vende fiorini XXXmC d'oro; la gabella del sale, vendendo a' cittadini, soldi XL di piccioli lo staio, e a' contadini soldi XX, vendesi fiorini XIIIImCCCCL d'oro. Queste IIII gabelle erano diputate alla spesa della guerra di Lombardia. I beni de' ribelli sbanditi e condannati valeano l'anno VIIm d'oro. La gabella sopra i prestatori a usura fiorini IIIm d'oro. I nobili del contado pagavano l'anno fiorini IIm d'oro. La gabella de' contratti l'anno fiorini XIm d'oro. La gabella del macello delle bestie della città fiorini XVm d'oro; quella del macello del contado fiorini IIIImCCCC d'oro. La gabella delle pigioni l'anno fiorini IIIImCL d'oro. La gabella della farina e macinatura fiorini IIIImCCL d'oro. La gabella di cittadini che vanno di fuori in signoria valea l'anno fiorini IIImD d'oro. La gabella dell'acuse e scuse fiorini MCCCC d'oro. Il guadagno della moneta dell'oro valea l'anno, pagate le fatture, fiorini IImCCC d'oro. L'entrata del guadagno della moneta di quattrini e di piccioli, pagato l'ovraggio, fiorini MD d'oro. I beni propi del Comune e passaggi fiorini MDC d'oro. I mercati di città delle bestie vive fiorini IImCL d'oro. La gabella di segnare pesi e misure e paci e beni in pagamento l'anno fiorini DC d'oro. La spazzatura d'Orto Sa·Michele e prestare bigonce fiorini DCCL d'oro. La gabella delle pigioni di contado fiorini DL d'oro. La gabella de' mercati di contado fiorini IIm d'oro. Le condannagioni che·ssi riscuotono si ragiona l'anno, e·lli più anni monta troppo più, fiorini XXm d'oro. L'entrata de' difetti de' soldati a cavallo e a·ppiè, non contando quelli ch'erano in Lombardia, fiorini VIIm d'oro. La gabella delli sporti delle case l'anno fiorini VmDL d'oro. La gabella delle trecche e trecconi fiorini CCCCL d'oro. La gabella del sodamento fiorini MCCC d'oro, cioè di portare arme di difensione, a soldi XX di piccioli per uno. L'entrata delle prigioni fiorini M d'oro. La gabella de' messi fiorini C d'oro. La gabella de' foderi del legname vien per Arno fiorini L d'oro. La gabella degli aprovatori de' sodamenti si fanno al Comune fiorini... d'oro. La gabella de' richiami a' consoli a dell'arti, la parte del Comune, fiorini... d'oro. La gabella sopra le posessioni del contado fiorini... d'oro. La gabella delle zuffe a man vote fiorini... d'oro. La gabella da Firenzuola fiorini... d'oro. La gabella di coloro che non hanno casa in Firenze, e vale il loro da fiorini M in su, fiorini... d'oro. La gabella delle mulina, entrata e pescaie, fiorini... d'oro. Somma da fiorini CCCm, e più. O signori Fiorentini, come è mala provedenza acrescere l'entrata del Comune della sustanza e povertà de' cittadini colle sforzate gabelle per fornire le folli imprese! Or non sapete voi che come è grande il mare è grande la tempesta, e come cresce l'entrata è aparecchiata la mala spesa? Temperate, carissimi, i disordinati disideri, e piacerete a·dDio, e non graverete il popolo innocente.



XCIII - Ispese del Comune di Firenze in que' tempi

Le spese ferme e di nicessità del Comune di Firenze per anno, e valea libre III soldi II il fiorino dell'oro. Il salaro del podestà e di sua famiglia l'anno libre XVmCCXL piccioli. Il salaro del capitano del popolo e sua famiglia l'anno libre VmDCCCLXXX piccioli. Il salaro dell'eseguitore degli ordini della giustizia contro a grandi per sé e sua famiglia libre IIIImDCCC piccioli. Il salaro del conservadore del popolo e sopra gli sbanditi, con L cavalieri e C fanti, fiorini VIIImCCCC d'oro: questo uficio nonn-è stanziale, se non come occorrono i tempi di bisogno. Il giudice dell'appellagione sopra le ragioni del Comune libre MC di piccioli. L'uficiale sopra gli ornamenti delle donne e altri divieti libre M di piccioli. L'uficiale sopra la piazza d'Orto Sa·Michele della biada libre MCCC di piccioli. Li uficiali sopra la condotta de' soldati e notai e messi libre M di piccioli. Li uficiali e notai e messi sopra i difetti de' soldati libre CCL di piccioli. I camarlinghi della camera del Comune, e·lloro uficiali e massari, e·lloro notai e frati, che guardano gli atti del Comune, libre MCCCC di piccioli. Li uficiali sopra le rendite propie del Comune libre CC di piccioli. I soprastanti e guardie delle prigioni libre DCCC di piccioli. Le spese del mangiare e bere de' signori priori e di loro famiglia costa l'anno libre IIImDC di piccioli. I salari de' donzelli e servidori del Comune e campanai delle due torri, cioè quella de' priori e della podestà, libre DL di piccioli. Il capitano con LX berrovieri che stanno al servigio e guardia de' priori libre VmCC di piccioli. Il notaio forestiere sopra le riformagioni e suo compagno libre CCCCL di piccioli. Il cancelliere e dittatore delle lettere e suo compagno libre CCCCL piccioli. Per lo pasto de' lioni, e torchi, e candele, e panelli per li priori libre IImCCCC di piccioli. Il notaio che ligistra nel palagio de' priori i fatti del Comune libre C di piccioli. I messi che servono tutte le signorie, per loro salaro libre MD di piccioli. Trombadori e banditori del Comune, che sono i banditori VI e trombadori, naccheraio e sveglia, cenamelle e trombetta, X, tutti con trombe e trombette d'argento, per loro salaro l'anno libre M di piccioli. Per limosine a' religiosi e spedali l'anno libre IIm piccioli. Secento guardie che guardano di notte alle poste per la città libre XmDCCC di piccioli. Il palio di sciamito che·ssi corre l'anno per san Giovanni, e quelli di panno per santo Bernaba e santa Reparata costano l'anno fiorini C d'oro. Per ispie e messi che vanno fuori per lo Comune libre MCC di piccioli. Per ambasciadori che vanno per lo Comune stimati l'anno più di fiorini Vm d'oro. Per castellani e guardie di rocche si tengono per lo Comune fiorini IIIIm d'oro. Per fornire la camera dell'armi e balestra e saettamento e pavesi fiorini MD d'oro. Somma l'opportune ispese sanza i soldati a·ccavallo e a piè da fiorini XLm d'oro o più l'anno. A' soldati a·ccavallo e a piè non era né regola né numero fermo, ch'erano quando più e quando meno secondo i bisogni che occorrono al Comune. Ma al continovo si può ragionare, sanza quelli della guerra di Lombardia, e non faccendo oste, da DCC a M, e simile pedoni continui. E non facciamo conto delle spese delle mura e de' ponti, e di Santa Reparata, e di più altri lavori di Comune, che non si può mettere numero ordinato.



XCIV - Ancora della grandezza e stato della città di Firenze

Dapoi ch'avemo detto dell'entrata e spesa del Comune nostro di Firenze in questi tempi, ne pare si convenga di fare menzione dello stato e condizione di quella, dell'altre grandi cose della città; perché i nostri successori che verranno per li tempi s'avegghino del montare o bassare di stato o potenzia che facesse la nostra città, acciò che per li savi e valenti cittadini, che per li tempi saranno al governo di quella, per lo nostro ricordo e asempro di questa cronica procurino d'avanzarla inn-istato e podere. Trovamo diligentemente che in questi tempi avea in Firenze circa a XXVm d'uomini da portare arme da XV in LXX anni, cittadini, intra' quali avea MD nobili e potenti che sodavano per grandi al Comune. Avea allora in Firenze da LXV cavalieri di corredo. Ben troviamo che anzi che fosse fatto il secondo popolo, che regge al presente, erano i cavalieri più di CCL, che poi che 'l popolo fu, i grandi non ebbono lo stato e signoria sì grande come prima, e però pochi si facieno cavalieri. Istimavasi avere in Firenze da LXXXX di bocche tra uomini e femmine e fanciulli, per l'aviso del pane bisognavano al continuo alla città, come si potrà comprendere apresso; ragionandosi avere comunemente nella città da MD uomini forestieri, e viandanti e soldati, non contando nella somma di cittadini riligiosi e frati e religiose e rinchiuse, onde faremo menzione apresso. Ragionasi in questi tempi avere nel contado e distretto di Firenze da LXXXm uomini. Trovamo dal piovano che battezzava i fanciulli (imperò che per ogni maschio che battezzava in San Giovanni, per avere il novero, mettea una fava nera, e per ogni femmina una bianca) trovò ch'erano l'anno in questi tempi dalle VmD in VIm, avanzando le più volte il sesso mascolino da CCC in D per anno. Trovamo che' fanciulli e fanciulle che stavano a leggere del continuo da VIIIm in Xm. I garzoni che stavano ad aprendere l'abbaco e algorisimo in VI scuole da M in MCC. E quelli che stavano ad aprendere gramatica e loica in IIII grandi scuole da DL in DC. Le chiese ch'erano allora in Firenze e ne' soborghi, contando le badie e·lle chiese de' frati e religiosi, trovamo CX, delle quali erano LVII paroccie con popolo, V badie con due priori con da LXXX monaci, XXIIII monisteri di monache con da D donne, X regole di frati con più di DCC frati, XXX spedali con più di mille letta per albergare poveri e infermi, e da CCL in CCC cappellani preti. Le botteghe dell'arte della lana erano CC e più, e faceano da LXXm in LXXXm di panni, di valuta di più di MCC migliaia di fiorini d'oro; che bene il terzo e più rimaneva nella terra per overaggio, sanza il guadagno de' lanaiuoli; del detto ovraggio viveano più di XXXm persone. Ben trovamo che da XXX anni adietro erano CCC botteghe o circa, e faceano per anno più di Cm panni; ma erano più grossi della metà valuta, però ch'allora non ci venia né sapeano lavorare lana d'Inghilterra, com'hanno fatto poi. I fondachi dell'arte di Calimala di panni franceschi e oltramontani erano da XX, che faceano venire per anno più di Xm panni di valuta di più di CCCm di fiorini d'oro, che tutti si vendeano in Firenze sanza quelli che mandavano fuori. Banchi di cambiatori LXXX banchi. La moneta dell'oro battea per anno CCCLm di fiorini d'oro, talora CCCCm; e di danari da quattro più di XXm libre. Le botteghe di calzolai e zoccolai e pianellai erano da CCC. Il collegio di giudici da LXXX in C; e notari da DC; medici di fisica e di cirogia da LX; e botteghe di speziali allora da C. Mercatanti e merciai, grande numero, da non potere bene stimare per quelli ch'andavano fuori di Firenze a negoziare; e molti altri artefici di più mestieri, maestri di pietra e di legname. Fornora avea allora in Firenze CXLVI, e trovamo per la gabella della macinatura e per fornari ch'ogni dì bisognava alla città dentro CXL moggia di grano, onde si può stimare quello bisognava l'anno; non contando che·lla maggiore parte degli agiati e ricchi e nobili cittadini co·lloro famiglie più di IIII mesi, e tali più dell'anno, in villa in contado. Troviamo che intorno gli anni MCCLXXX ch'era la città in filice e buono stato, ne volea la settimana da DCCC moggia. Di vino trovamo per la gabella delle porte n'entrava l'anno da LVm di cogna, e inn abondanza talora più Xm cogna. Bisognava l'anno IIIIm tra buoi e vitelle; castroni, pecore LXm; capre e becchi XXm; porci XXXm. Entravano del mese di luglio per la porta a San Friano CCCC some di poponi per dì, che tutti si stribuivano nella cittade. In questi tempi avea in Firenze le 'nfrascritte signorie forestieri, che ciascuno tenea ragione, e aveano colla da tormentare, la podestà, il capitano del popolo, l'assecutore degli ordini della giustizia, il capitano della guardia, overo conservadore del popolo; tutte queste signorie avieno albitro di pulire reale e personale: il giudice della ragione e apellagione, il giudice sopra le gabelle, l'uficiale sopra la piazza e vittuaria, l'uficiale sopra gli ornamenti delle donne, quello della mercatantia, quello sopra l'arte della lana, gli uficiali ecresiastici, la corte del vescovo di Firenze e di quello di Fiesole, e dello inquisitore della eretica pravità. Altre degnità e magnificenza della nostra città di Firenze non sono da lasciare di mettere in memoria per dare aviso a quelli verranno dopo noi. Ell'era dentro bene albergata di molti belli palagi e case, e al continovo in questi tempi s'edificava, migliorando i lavori di farli agiati e ricchi, recando di fuori asempro d'ogni miglioramento e bellezza. Chiese cattedrali e di frati d'ogni regola, e monisteri magnifichi e ricchi; oltre a·cciò non era cittadino che non avesse posessione in contado, popolano o grande, che non avesse edificato od edificasse riccamente troppo maggiori edifici che in città; e ciascuno cittadino ci peccava in disordinate spese, onde erano tenuti matti. Ma·ssi magnifica cosa era a vedere, ch'uno forestiere non usato venendo di fuori, i più credeano per li ricchi difici d'intorno a tre miglia che tutto fosse della città al modo di Roma, sanza i ricchi palagi, torri e cortili, giardini murati più di lungi alla città, che inn-altre contrade sarebbono chiamati castella. In somma si stimava che intorno alla città VI miglia avea più d'abituri ricchi e nobili che recandoli insieme due Firenze non avrebbono tante: e basti assai avere detto de' fatti di Firenze.



XCV - Di che progenia furono quelli della Scala di Verona

Ancora ne pare che·ssi convenga, dapoi ch'assai avemo detto de' fatti di Firenze, fare menzione del cominciamento di quelli della Scala di Verona, che tanto hanno fatta risonare Lombardia e Toscana di loro guerre e tirannie, come adietro è fatta menzione. Che pare che Idio permetta sovente di fare nascere di picciola progenia tiranni possenti per abattere l'orgoglio e superbia de' popoli e di nobili per li loro peccati. Troviamo che al tempo del grande tiranno Azzolino di Romano, onde adietro facemmo menzione, il quale disertò quasi tutti i noboli della Marca Trevigiana, di Padova e di Verona, intorno fa da LXXXX anni, in Verona avea un vile uomo, chiamato Giacomo Fico; chi dice che questo Giacomo faceva le scale e vendeale, e da questo prencipio presono l'arme e 'l nome, e chi dice che fu mercatante di Montagnana; questi ebbe due figliuoli Mastino e Alberto. Quello Mastino era grande e forte della persona e azuffatore e giucatore, ma pro', valoroso e savio nel suo mestiere. E alla prima fu capitano di ribaldi, seguendo Azzolino a piè nelle sue cavalcate. Poi per suo franco adoperare piacendo al tiranno, il fece capitano delle sue masnade a piè; poi gli venne in tanta grazia, che 'l fece quasi proveditore e dispensatore di tutte le sue masnade da·ccavallo e da·ppiè. E quando Azzolino fu morto, trovandosi in quello uficio col séguito di soldati si fece fare capitano di Verona, e poi si fece fare cavaliere sé e Alberto suo fratello, il quale fu savio, e valoroso, e da bene; e così per la fortuna montati inn-istato, che 'l Mastino era signore di Verona, e mesere Alberto podestà di Mantova, e il figliuolo del signore di Mantova mesere Botticella per mesere Mastino era podestà di Verona. Avenne che certi gentili uomini rimasi in Verona avendo inn-orrore e invidia della signoria e tirannia del Mastino, essendo di vile nascimento, e per forza e tirannia fatto loro signore, feciono congiura d'ucciderlo, e furono XXV; e ciascuno promise e giurò di fedirlo. E così aseguiro, che vegnendo un giorno al palagio del Comune sanz'arme a modo di signore, che non si prendea guardia, e giugnendo in sulla piazza, tutti i detti congiurati, colle coltella in mano ciascuno, il fedì e·ll'uccisono sanza contrario niuno, e nullo fu ardito di levarlo di terra. La podestà, meser Botticella, di presente il fece asapere a meser Alberto a Mantova, il quale tutta la notte apresso che l'ebbe saputo cavalcò segretamente, venne in Verona, ed entrò nel palagio, lasciando che tutta la cavalleria di Mantova il seguisse apresso; e così feciono. La podestà la mattina vegnente fece richiedere tutti i buoni uomini di Verona a consiglio, e quelli medesimi ch'avieno morto meser Mastino, propognendo che volea che·lla terra si rifermasse a reggimento comune e di popolo. E ragunato il consiglio, mesere Alberto uscì della camera disarmato e venne nel consiglio, e salì nella ringhiera, donde tutti quelli del consiglio s'amiraro. E meser Alberto con allegro viso cominciò disimulatamente a biasimare le tirannie e male opere del suo fratello, e lodava ciò che di lui era fatto, onde il consiglio erano tutti contenti; ma come seppe ch'erano venute le masnade da Mantova, com'era ordinato il tradimento per lui e per lo podestà, fece serrare il palagio e uscire fuori i fanti armati, e uccisono tutti coloro che aveano ucciso meser Mastino, e gittarli morti per le finestre del palazzo, e poi meser Alberto corse la terra e fecesene signore; e perseguì tutte le schiatte di coloro ch'avieno morto messere Mastino, e cacciolli di Verona. Questa fu la morte e vendetta del primo Mastino. Il detto meser Alberto ebbe più figliuoli, i quali fece tutti cavalieri essendo quasi garzoni. Rimasene dopo la sua morte tre in vita; messer Bartolomeo, questi regnò signore di Verona apresso al padre, non ebbe figliuolo. Il secondo fu meser Checchino, ch'anche regnò apresso. Il terzo fu messere Cane, che·ffu valente tiranno e signore da bene, di cui adietro facemmo menzione, e fu amico del nostro Comune; di costui non rimase figliuolo niuno madornale. Dopo lui regnarono i nipoti figliuoli di meser Checchino, ciò furono meser Alberto e messer Mastino, di cui lungamente avemo fatta menzione. E assai sia detto di quelli della Scala, tornando a nostra materia.



XCVI - Come i Romani feciono pace intra·lloro e popolo, e mandarono a Firenze per avere leggi

Nel detto anno, in calen di novembre, i Romani per certe revelazioni di sante persone, e fu quasi spirazione divina, si convertirono a pace generale i noboli insieme e' popolani, dimettendo per l'amore d'Iddio l'offensioni l'uno all'altro, che·ffu una mirabile cosa. E poi l'agosto vegnente feciono popolo, e mandarono loro ambasciadori a Fiorenza a pregare il nostro Comune, che mandassono loro gli ordini della giustizia, che·ssono sopra i grandi e possenti in difensione de' popolani e meno possenti, e altri buoni ordini che·nnoi avemo. Il Comune di Firenze mandaro a Roma loro ambasciadori co' detti ordini, i quali da' Romani furono onoratamente ricevuti e graditi. E nota come si mutano le condizioni e·lli stati del secolo, che' Romani che anticamente feciono la città di Fiorenza e diedolle le loro leggi, in questi nostri tempi mandaro per le leggi a' Fiorentini.



XCVII - Di più battaglie e sconfitte che furono in uno giorno in sul contado di Milano

Nel detto anno, essendo rimasi ne' borghi di Vincenzia gran parte delle masnade da cavallo state in Lombardia al nostro servigio e di Viniziani, com'è detto adietro, dapoi che·ffu fatta la pace col Mastino e pagati cortesemente per li nostri Comuni, sì feciono una compagna, e furono bene IImD cavalieri; e non si vollono partire da Vincenza, se non avessono moneta da meser Mastino. Messer Loderigo Visconti, consorto di meser Azzo Visconti signore di Milano e suo ribello, andò a Vincenza con sua moneta, e col favore e moneta di meser Mastino, il quale per levarsi delle sue terre la detta gente stati suoi aversari, e per mandarli adosso a meser Azzo suo nimico, fece conducere al detto meser Loderigo la detta compagna. E all'entrante del mese di febraio gli condusse in su il milanese passando il fiume dell'Adda; e sopra quello di Melano stettono XII dì faccendo gran danno di ruberie, ma non d'arsione. Alla fine s'accamparo alla villa di Lignano presso di Milano a XII miglia. Sappiendosi la novella in Milano, ebbono grande turbazione, e uscirono di Milano, popolo e cavalieri, a dì XV di febraio, con ordine di loro strolago, promettendo loro di vincere i nimici, ma male provide la dolorosa vittoria che a·lloro ne seguì, della quale oste fu capitano meser Luchino Visconti zio di messer Azzo, però che 'l detto meser Azzo era gravato di gotte, e furo da IIIm cavalieri e Xm pedoni. Ed essendo una parte della gente di Milano da M cavalieri e IIIm pedoni nella villa d'Aro, e di quella poi andaro alla villa di Parobico, la detta schiera, ond'era capitano Giovannuolo Visconti e messere Giovanni dal Fiesco, e più di XX gentili uomini di Brescia; il maliscalco dell'oste tedesco, messere Luchino coll'altra gente s'acamparo nella villa da Nervia. Sentendo ciò meser Loderigo, sabato notte, a dì XVIIII di febraio, in sull'ora del mattutino colla sua gente cavalcò alla detta villa di Parobico, e di notte assalì i nimici, i quali accampati di fresco, e non proveduti per l'asalto della notte, ella detta villa schiusa, furono sconfitti in poca d'ora, e mortine grande quantità, ispezialmente di pedoni per la notte, e morivvi meser Giovanni dal Fiesco di Genova capitano di quella gente, e più altri Lombardi e Tedeschi. La domenica mattina, a dì XX del mese, avendo messere Loderigo avuta la vittoria detta mandò di sua gente da DCC cavalieri verso Milano a uno passo di fiume per torlo a' Milanesi, i quali feciono grande danno al popolo che fuggieno a Milano per la detta sconfitta; e lasciò a Parobico CCCC cavalieri co' prigioni e colla preda, e poi col rimanente di sua oste, ch'erano MD cavalieri, si tenne schierato a·ccampo di fuori della villa uno miglio. Messere Luchino sentendo la notte l'assalto fatto alla sua gente a Parobico, uscì di Nerviano e fece due schiere, elli con MCCCC cavalieri tedeschi, ed Ettorre da Panago con DCC italiani, tra' quali avea CC cavalieri del Comune di Bologna al servigio di que' di Milano, e venia per soccorrere la sua gente, e trovolli sconfitti. Ettorre entrò in Parobico, ove avea i detti CCCC cavalieri di quelli di meser Loderigo che guardavano la preda, e quelli assalirono, e dopo lunga battaglia Ettorre gli sconfisse. Messer Luchino s'affrontò con meser Loderigo la domenica in sull'ora di terza, e·ffu tra·lloro aspra battaglia che durò infino a nona passata. Alla fine fu scavalcato e fedito messer Luchino e preso, e rotta la sua gente e messi in caccia. In quest'ora sopravennero alla battaglia detta Ettorre da Panago co' suoi Italiani, ch'avieno sconfitto i CCCC cavalieri che meser Loderigo avea lasciati in Parobico, e percossono sopra la gente di meser Loderigo, i quali credendosi avere vinto il campo erano sciarrati cacciando li sconfitti; per la qual cosa furono di presente rotti e sconfitti, e riscosso mesere Luchino e gli altri prima presi; e·ffu preso meser Loderigo e maggior parte di sua gente, e menati a Milano. E così fu rotta e morti e presi quasi tutta la detta infortunata compagna; che tornando meser Luchino verso Milano, per la via al sopradetto passo fu sconfitto Malerba tedesco capitano de' detti DCC cavalieri che meser Loderigo avea mandati al passo verso Milano. Ma·lle dette vittorie del signore di Milano furono con grande dannaggio di sua gente, che·vvi morirono più di D uomini di cavallo, e più di IIIm a piede del popolo di Milano. Avenne fatto sì lungo conto per le svariate battaglie e rotte che furono tra·lle dette genti; che in una giornata furono fatte V sconfitte tra dall'una parte e dall'altra, che non fu mai inn-Italia; e di questo sapemo il vero da più genti di fede che vi furono presenti. Lasceremo di questa matera e torneremo a nostro conto.



XCVIII - Come messere Mastino venne a Lucca

L'anno MCCCXXXVIIII, fatta la pace da·nnoi a meser Mastino, come adietro facemmo menzione, messer Mastino venne a Parma, e riformò la terra, e fecesene signori i suoi cugini figliuoli di meser... da Coreggia, volendo elli tuttora eserne sovrano; ma poco apresso la tolsono al tutto a·llui, come inanzi faremo assai tosto menzione. Poi a dì XI d'aprile venne a Lucca, e fece a' Lucchesi una imposta di XXm fiorini d'oro, che·nn'avea gran bisogno. E poco stette in Lucca, che come l'ebbe riformata, vi lasciò per suo vicaro Guiglielmo Canaccio delli Scannabecchi di Bologna, antichi Ghibellini usciti di quella; e tornossi a Verona. Nella sua stanza a Lucca in Firenze n'ebbe gran sospetto per li suoi trattati e tradimenti, e fecesi grande guardia e in Firenze e nelle castella delle frontiere. Lasceremo alquanto de' nostri fatti d'Italia, e diremo come il re di Spagna sconfisse grande oste di Saracini in Granata.



XCIX - Come i Saracini furono sconfitti dal re di Spagna in Granata

Nel detto anno MCCCXXXVIIII, del mese di giugno, il figliuolo del re di Morocco saracino passò in Granata con molto navilio e con innumerabile gente di Mori detti Saracini per andare sopra il re di Spagna. Sentendo ciò il re di Spagna fece armare XXX galee e XII legni di corso e XX navi, overo cocche, per contastare il detto passaggio; ma fu a tardi, che i Mori del Garbo, che sono vicini al contro di Granata, presono tempo fatto, e passarono sanza contasto alcuno anzi venisse l'armata del re di Spagna. Poi venuto il re di Spagna, isceso in terra si puose ad assedio alla città di Linda. I Saracini vennono per comune alla 'ncontra de' Cristiani per guarentire la terra. Il re di Spagna per maestria di guerra e per sottrarre i Saracini si levò dall'asedio a dì XXXI di luglio, faccendo sembiante di dubitare e di fuggire; e prima messi in aguato della migliore gente a cavallo e a piè ch'egli avesse in sua oste, i Saracini veggendo che' Cristiani quasi si partieno a modo di rotta, gli seguiro sanza alcuno ordine in grandissima moltitudine; e passati gli aguati, i Cristiani percossono sopra loro, e in poca d'ora gli misono inn isconfitta, nella quale rimasono de' Mori tra morti e presi più di XXm. E nota che come noi Cristiani solavamo tenere la Terrasanta in Soria, e chi v'andava o mandava o dava sussidio avea grande perdonanza da santa Chiesa, così i Saracini dell'universo infino in Arabia mantengono il reame di Granata in Ispagna, e al continovo vi mandano gente e moneta, e talora generali e grandi passaggi ad obrobbio della Chiesa di Roma e del re di Francia e degli altri Cristiani, avendo il reame di Granata tra·lle terre de' Cristiani intorneata, ed essendo sì presso ov'è oggi la sedia apostolica, sanza avere a passare mare. E intendesi solo a tesorizzare sanza volerlo spendere al servigio della Cristianità e sostenere, ma nutricare le guerre dall'uno re de' Cristiani all'altro; ma tale peccato non passerà guari impunito.



C - Di certi segni ch'aparvono in Firenze e altrove, onde poco apresso seguì assai di male

Nell'anno MCCCXXXVIIII, a dì VII di luglio, tra·lla nona e 'l vespro scurò il sole nel segno del Cancro più che·lle due parti; ma perché fu dopo il merigge al dicrinare del sole non si mostrò di scurità come fosse notte, ma pure si vide assai tenebroso. E nota, secondo che scrivono gli antichi dottori di strologia, ogni scurazione del sole nel Cancro, che viene quasi de' cento anni una volta, è di grande significazione di mali a venire al secolo; imperò che 'l Cancro è ascendente del mondo, e più significa dove è in quella parte dell'emisperio ove fa tenebre, cioè essendo il sole al merigge, che·nnoi volgarmente diciamo l'ora di nona; ma pure, come allora avenne, significò in Firenze e d'attorno fame e mortalità grande, come inanzi leggendo si troverrà. E per agiunta avenne in Firenze il primo dì d'agosto seguente grandi e disordinati truoni e baleni, gittando più folgori in città e in contado di Firenze; intra·ll'altre una ne cadde in sulla torre della porta della città contro a San Gallo, e abatté parte d'uno merlo, e poi percosse e arse dell'uscio della porta, e uccise uomini. E poi, a dì IIII di settembre, simile furono diversi truoni e folgori, e una ne percosse in sulla torre del palagio del popolo, e abatté parte d'uno merlo, e tutti furono segni di futuri mali alla nostra città, come tosto apresso seguirono; che il detto anno in sulla ricolta valse lo staio del grano soldi XX, e poi montò in soldi L, e inanzi che fosse l'altra ricolta; se non fosse la provedenza del Comune di farne venire per mare, il popolo moria di fame, e costò al Comune lo 'nteresso più di Lm fiorini d'oro, tutto che certi uficiali cittadini ne feciono baratteria assai con meser Iacopo Gabrielli insieme, ch'era capitano della guardia del popolo, overo tiranno de' popolani reggenti, condannando gl'innocenti ingiustamente, perch'avieno grano per loro vivere e per loro famiglie, e·llasciando i possenti colle grandi endiche, onde seguì assai di male apresso. E·ffu il detto anno simile gran caro di vino, che di vendemmia valse il cogno del comunale vino fiorini VI d'oro, e ciascuna arte di Firenze fu in male stato per guadagnare.



CI - Come morì messer Azzo Visconti e·ffu fatto signore di Melano messer Luchino

Nel detto anno, a dì XVI d'agosto, morì mesere Azzo Visconti signore di Milano, e 'l dì apresso furono fatti signori il vescovo di Noara meser Giovanni, che·ffu cardinale dell'antipapa, e meser Luchino suo fratello e figliuoli di meser Maffeo Visconti; ma a meser Luchino rimase la signoria. E poi a XXI mesi apresso s'accordò con papa Benedetto e colla Chiesa per lo misfatto d'esere stati coll'antipapa e favorato il Bavero per prezzo di Lm fiorini d'oro contanti, e poi ogn'anno Xm per censo. E per simile modo s'accordò meser Mastino della Scala colla Chiesa per Vm fiorini d'oro per anno. O Chiesa pecuniosa e vendereccia, come i tuoi pastori t'hanno disviata dal tuo buono e umile e povero e santo cominciamento di Cristo!



CII - Come la città di Genova e quella di Saona feciono popolo e chiamarono dogio

Nel detto anno MCCCXXXVIIII, a dì XVIIII di settembre, quelli della città di Saona feciono popolo, e tolsono le due castella ch'erano nella terra a quelli di casa Doria e di Spinoli di Genova che·lle teneano, e cacciarline fuori. E poi tre dì apresso i cittadini di Genova si levaro a romore e dispuosono i capitani, ch'era l'uno delli Spinoli e·ll'altro Doria, e cacciarono della terra loro e' loro consorti e altri possenti; e feciono popolo, e chiamarono dogio al modo di Viniziani uno Simone di Boccanegra de' mediani del popolo. Questo dogio fu franco e valentre. E poi l'anno apresso, per cospirazione di certi grandi fatta contro a·llui, fece prendere e tagliare il capo a due delli Spinoli e a più altri loro seguaci. E·ffu aspro in giustizia, e spense i corsali di Genova e della riviera, tuttora ritenendo la sua signoria a parte ghibellina, e tenendo in mare più galee armate per lo Comune a guardia della riviera.



CIII - Di novità furono in Romagna, e poi pace tra·lloro

Nel detto anno, del mese di settembre, essendo la gente del capitano di Furlì a oste sopra Calvoli, il capitano di Faenza colla forza di Bolognesi e d'altri di loro parte gli levarono d'assedio inn-isconfitta. E poi, l'ottobre apresso, per procaccio de' Fiorentini fu trattato di pace tra' signori e Comuni di Romagna. L'una parte erano quelli di Forlì e Cesena, e meser Malatesta da Rimino e que' da Polenta di Ravenna, tutto fosson Guelfi co' Ghibellini a·llega; e·ll'altra parte Faenza, Imola, i conti Guidi, e altri loro seguaci. E per sindachi e ambasciadori delle parti si rimisono nel Comune di Firenze. E in sul palagio de' priori si diè sentenzia, e·ssi baciaro in bocca faccendo pace.



CIV - Come il marchese di Monferrato tolse la città d'Asti al re Ruberto

Nel detto anno, a dì XXVI di settembre, il marchese di Monferrato tolse la città d'Asti, e fecela rubellare al re Ruberto, per cui si tenea, e furonne cacciati quelli dal Soliere di sua parte e' Guelfi. E furonne signori i Gottineri e' Ghibellini. E·lla cagione fu perché il re Ruberto per sua avarizia non pagava le sue masnade che vi tenea, onde al bisogno non feciono retta né difesa, ch'avieno pegno l'armi e cavalli. La qual perdita fu gran danno a·rre Ruberto per le sue terre di Piemonte e a tutta parte guelfa di Lombardia.



CV - D'accordo e lega fatta da' Fiorentini a' Perugini

Nel detto anno, a dì VI di novembre, i Fiorentini feciono lega e compagnia co' Perugini per lo nostro vescovo e altri ambasciadori di Perugia, e di nostri a Licignano di Valdambra, e quitarono i Perugini a' Fiorentini ogni ragione dell'aquisto d'Arezzo, rimanendo a' Perugini libero Licignano d'Arezzo e 'l Monte San Savino e altre castella d'Arezzo che si teneano.



CVI - Di certi ordini della lezione de' priori di Firenze, i quali furono corretti per lo migliore

A dì XXIII di dicembre del detto anno si fece parlamento in Firenze, ove si corresse l'ordine della elezzione di priori e di XII loro consiglieri e di gonfalonieri delle compagnie, i quali in prima com'erano eletti, erano i loro nomi iscritti in polizze, e messe in borse, e per sesti. A' tempi, quando si traieno per detti ufici, si rimettieno in altre borse, infino che tutti n'erano tratti; e poi ricominciavano, sicché si può dire ch'erano a vita, ch'era sconcia cosa e disonesta a volere gli eletti signoreggiare la replubica sanza dare parte agli altri così o più degni di loro. E corressesi che come fossono tratti la prima volta si stracciasse la polizza del loro nome, e alla riformazione delli ufici si rimettano da capo allo squittino cogli altri insieme. E·ffu ben fatto per levare la superbia e tirannia a' cittadini reggenti.



CVII - Come le città della Marca uccisono e cacciarono i loro tiranni e feciono popolo

In questo anno, del mese di febraio, quasi tutte le terre della Marca d'Ancona feciono popolo, e uccisono Marcennaio che signoreggiava Fermo e meser Accorrimbono da Tolentino, e quello da Mattelica e il marchese; e i tiranni che quelli popoli non poterono uccidere cacciarono inn-esilio.



CVIII - Come la gente del re Ruberto presono l'isola di Lipari e sconfissono i Messinesi

Nel detto anno, a dì XVII di novembre, avendo la gente del re Ruberto presa l'isoletta di Lipari in Cicilia e assediato il castello di quella e molto stretto, il conte di Chiermonte di Cicilia colla forza de' Missinesi armò in Cicilia VIII galee e VII uscieri e XL legni con gente assai, e venne al soccorso di Lipari. E·ll'amiraglio del re Ruberto, ch'era messer Giufredi di Marzano conte di Squillace, maestrevolmente fece ritrarre suo oste dal castello e ridurre al suo navilio dall'una parte del golfo, e armò XVIII galee e VI uscieri e una cocca che v'avea, e diede luogo a' Ciciliani, sicché forniro il castello con grande festa e gazzara. La mattina apresso volendosi partire il conte di Chiermonte per tornare a Messina, l'amiraglio del re Ruberto gli asalì, e·lla battaglia fu in mare aspra e dura. Alla fine i Ciciliani furono sconfitti e morti, e preso il conte di Chiermonte con molta buona gente di Messina, che pochi ne scamparo. E arrendessi il castello alle genti del re Ruberto. E tornando l'amiraglio a Napoli, essendo sopra l'isola d'Ischia, fortuna forte gli prese e menolli infino in Corsica, e rupponvi IIII galee feggendo a terra cariche di prigioni, che i più iscamparo. Lasceremo alquanto di fatti di Firenze e dell'altre novità d'Italia, e diremo della guerra dal re di Francia a quello d'Inghilterra e suoi allegati Fiamminghi e Bramanzoni e Anoieri.



CIX - Come si ricominciò la guerra dal re di Francia a quello d'Inghilterra e suoi allegati

Nel detto anno, a dì VIIII di dicembre, i Fiaminghi e Brabanzoni colli Anoieri rifermaro lega insieme contro al re di Francia. E poi, a dì XXIII di gennaio, Aduardo terzo re d'Inghilterra venne d'Analdo a Guanto, e giurò alla detta lega, faccendosi nominare re di Francia per la redità della madre, portando inn-insegne e suggello l'arme di Francia e d'Inghilterra dimezzata. E poi, a dì XX di febraio, si partì di Bruggia, e andonne in Inghilterra, promettendo di tornare assai tosto con tutto suo isforzo. Partito il re d'Inghilterra, la gente di Francia ch'erano in Tornai corsono infino ad Odanardo in Fiandra all'entrante d'aprile MCCCXL, faccendo arsione e gran danno al paese. Per la qual cosa quelli di Bruggia e quelli di Guanto per comune cogli altri Fiaminghi vennero ad oste sopra Tornai, e stettonvi più dì guastandolo intorno V giorni. E in quelli giorni quelli d'Ipro col conte di Sofolco e con quello di Salisbiera e altra gente del re d'Inghilterra cavalcaro sopra Lilla, e per aguato furono sconfitti, e presi i detti conti. Per la qual cosa i Fiaminghi, ch'erano a oste sopra Tornai, se ne partirono isconciamente. E poi in quelli giorni, del mese d'aprile, il conte, e meser Gianni d'Analdo, e il signore di Falcamonte cavalcaro in su il reame di Francia infino a Rens, faccendo grande uccisione e incendi, levando gran preda sanza contasto alcuno. E poi, IIII di maggio, il conestabole di Francia con gente d'arme assai a cavallo e a piè venne sopra Valerzina inn-Analdo, e stettevi tre settimane faccendo al paese grandissimo danno. E così per guerra guerriata si consumaro gran parte di quelli paesi a danno di ciascuna parte.



CX - Come il re d'Inghilterra sconfisse in mare l'armata del re di Francia

Li anni di Cristo MCCCXL, il dì di san Giovanni, a dì XXIIII di giugno, il buono Aduardo terzo re d'Inghilterra arrivò in Fiandra al porto della Suina con CXX cocche armate; ivi su IIm cavalieri gentili uomini e popolo infinito con molti arcieri inghilesi; e trovovvi l'armata del re di Francia, ch'erano da CC cocche con XXX tra galee di Genovesi e barche armate a remi, delle quali era amiraglio Barbavara da Portoveneri grande corsale, il quale avea fatto grande danno in mare sopra gl'Inghilesi e' Guasconi e' Fiaminghi e alle loro riviere, e presa l'isola del Gaggiante, ch'è alla 'ncontra della detta Suina, e rubata e arsa, e mortovi più di CCC Fiamminghi. Quelli di Bruggia come sentirono la venuta del re d'Inghilterra, sì·lli mandaro loro ambasciadori alle Schiuse, pregando per Dio e per loro amore che non si mettesse a battaglia contro l'armata del re di Francia, ch'erano altrettanti e più della sua, e più le galee genovesi; e ch'elli attendesse due giorni e riposasse sé e sua gente, e che di presente armerebbono C cocche di buona gente in suo aiuto, e potea avere sicura vittoria. Il valente re non volle attendere, ma fece armare i suoi cavalieri e sergenti, e partiti per le navi, oltre a' marinai, e cominciò la battaglia francamente; la qual fu aspra e dura, durando tutto il giorno, che non si sapea chi avesse il migliore, infino alla notte. Il franco re con L cocche bene armate di sua baronia, e riposato e fresco, percosse la sera con piena marea e a piene vele sopra i nimici sparti e stanchi del combattere, e misseli in rotta e inn-isconfitta; e tutti furo tra presi e morti, che non ne scamparo se non due galee e XX barge, e·cciò fu perch'elli era di notte, e' Fiaminghi v'erano tratti delle marine d'intorno, e co·lloro legni e barche, e chiusono le due bocche della Suina intra·ll'isola del Gaggiante, ch'è alla bocca del porto, alla terra ferma, sicché tutti rimasono rinchiusi siccome in una gabbia. E rimasonvi tra morti e annegati più di Xm uomini, e più d'altrettanti presi dell'armata del re di Francia. E tutto il suo navilio e armi e arnesi rimasono in preda agl'Inghilesi e a' Fiaminghi.



CXI - Come parte di Fiaminghi furono sconfitti a Santo Mieri

Per lo caldo della sopradetta vittoria que' di Bruggia e d'Ipro con meser Ruberto d'Artese vennero sopra Santo Mieri, che dovea loro esere dato per trattato; erano da Xm a piè. In Santo Mieri era il duca di Borgogna e 'l conte d'Armignacca con MCC cavalieri. Que' di Bruggia assalirono una porta, che dovea loro essere data, e quella già presa, que' d'Ipro rimasi adietro male ordinati, il conte d'Armignacca uscì fuori colla cavalleria per un'altra porta, e assalì que' d'Ipro, i quali non ressono, ma si misero in fuga; e poi sanza seguire la caccia asaliro que' di Bruggia, i quali feciono alcuna retta, e morinne più di D; e veggendo in fuga que' d'Ipro, e già era notte, si fuggiro al loro campo sanza séguito di nemici; e·lla notte per paura si fuggiro verso Casella, e·llasciarono tutto il loro campo, e·cciò fu a dì XXVIII di luglio.



CXII - Come il re d'Inghilterra co' suoi allegati si puosono ad assedio alla città di Tornai, e fu triegua da·lloro al re di Francia

Lo re Aduardo, avuta la detta vittoria di mare, come dicemmo adietro, non istette ozioso; incontanente scese in terra con sua gente, e venne a Bruggia e poi a Guanto, e da' Fiaminghi gli fu fatto onore, come a·lloro signore, faccendogli omaggio come a·rre di Francia. E·llà fece parlamento, dove fu il duca di Brabante e 'l conte d'Analdo e tutti gli allegati, e quivi ordinaro generale oste sopra la città di Tornai; e sanza indugio vi cavalcaro e acamparsi intorno il detto re d'Inghilterra, e il duca di Brabante, e il conte d'Analdo, e il duca di Giullieri, e quello di Ghelleri, e il conte di Los, e il sire di Falcamonte, con più baroni di Valdireno d'Alamagna in quantità di più di VIIIm cavalieri; e·lle ville di Fiandra, e di Brabante e d'Analdo per comuni con più di LXXXm d'uomini bene armati, i più a corazzine e barbute, e fecionvi IIII campi; né già per quella piccola rotta avuta a Santo Mieri non lasciaro, ma vigorosamente seguiro l'oste del re d'Inghilterra. I due campi furono di qua dal fiume dello Scalto, e due di là dal fiume, faccendo grandi e più ponti in sulla riviera da potere andare dall'una oste all'altra e potere avere spedita la vittuaglia e guernigione dell'oste. In Tornai era il conestabole di Francia con bene IIIIm cavalieri e Xm sergenti a piè, sanza i cittadini, ch'erano più di XVm; e tra quelli dentro e quelli di fuori ebbe molti assalti e pugnazzi e badalucchi a cavallo e a piè; ma per la molta gente ch'era nella città, e bestie, e non proveduta di vettuaglia a sofficienza, avea assai difetti. Onde i cittadini si cominciarono a dolere al conestabole, e che levasse loro l'assedio, o elli cercherebbono loro accordo. Il conestabole mandò per soccorso al re di Francia, mostrandogli come la terra era per perdersi. Il re Filippo di Valos vi venne al soccorso in persona con più di Xm cavalieri e popolo grandissimo, e acampossi presso alla città a una lega. Ma però l'oste del re d'Inghilterra e degli altri allegati non si mossono, ch'erano molto aforzati i campi loro, e signori del combattere e schifare la battaglia. I·rre di Francia non potendo combattere co' nimici, né impedire la vittuaglia a' loro campi, né fornire Tornai sanza grande pericolo, dubitò forte di perdere la terra. E incontanente cercò trattati d'accordo per mano del duca di Brabante con grosso spendio a' caporali delle Comuni di Brabante, che non erano così costanti alla guerra come i Fiamminghi e li Anoieri. Il re d'Inghilterra non volea intendere trattato, conoscendo che·lla terra non si potea difendere né tenere per difetto di vittuaglia; e avendo la città di Tornai, ch'è·ssì forte e possente e acostata a Fiandra e Analdo e al Brabante e all'altre terre dello 'mperio, e·lla chiave del reame di Francia, avea per vinta la guerra; che·rre di Francia non avrebbe tenuta terra da Compigno i·llà. Ma i Brabanzoni sentendo il trattato che menava il loro duca, e per la corruzione della moneta del re di Francia, come dicemmo dinanzi, feciono punta falsa, e subitamente si levaro da campo e tornarono i·lloro paese. Il re d'Inghilterra e gli altri allegati veggendosi ingannato e fallito da' Brabanzoni, e a·rre d'Inghilterra fallia moneta, che i suoi uficiali di là il ne tenieno a dieta e scarso, compié il trattato al meglio che potero, faccendo triegua fino alla san Giovanni all'avenire, rimettendosi della pace nel papa e·lla Chiesa di Roma. E se infra 'l termine non fosse fatto l'accordo, riporre la città di Tornai nello stato ch'allora era, che non vi si trovò da vivere per VIII giorni. E così si giuraro le triegue e·ll'accordo per li due re e gli altri allegati, e·llevarsi da oste a dì XXVI di settembre MCCCXL. Ma·llo re di Francia non tenne fede, ma come riebbe libero Tornai, il fece fornire per II anni; e poi andaro di triegue in triegue, e altre mutazioni di guerre, come 'nanzi per li tempi faremo menzione. Lo re d'Inghilterra ristette in Fiandra infino a mezzo novembre, che si partì dalle Schiuse, e andonne inn-Inghilterra. E incontanente fece prendere i suoi tesorieri e uficiali, che no·ll'aveano ben fornito di moneta, e tolse loro molti danari.



CXIII - Come l'armata del re d'Ispagna quasi perì per fortuna

Nel detto anno, del mese d'aprile, mandando il re d'Ispagna sua armata di LXXX galee sopra i Saracini di Granata, che teneano monte Giobeltaro, acciò che no·llo potessono venire a fornire i Saracini di Setta, grande fortuna di mare li soprese; e·lli percossono a·tterra e ruppono XXIIII galee con grande danno de' Cristiani. Lasceremo alquanto de' fatti degli oltramontani, e torneremo alquanto adietro a raccontare delle novità state in questi tempi alla nostra città di Firenze e per l'altra Italia.



CXIV - Di grande mortalità e carestia che·ffu in Firenze e d'intorno, e d'una cometa ch'aparve

In detto anno MCCCXL, all'uscita di marzo, aparve inn-aria una stella cometa in verso levante nel fine del segno del Virgo e cominciamento della Libra, i quali sono segni umani, e mostrano i beni sopra i corpi umani di grande ditreazione e morte, come diremo apresso; e durò la detta commeta pochi mali, ma assai ne seguiro di male significazioni sopra le genti, e spezialmente alla nostra città di Firenze. Che incontanente cominciò grande mortalità, che quale si ponea malato, quasi nullo ne scampava; e morinne più che il sesto di cittadini pure de' migliori e più cari, maschi e femmine, che non rimase famiglia ch'alcuno non ne morisse, e dove due o·ttre e più; e durò quella pestilenza infino al verno vegnente. E più di XVm corpi tra maschi e femmine e fanciulli se ne sepellirono pure nella città, onde la città era tutta piena di pianto e di dolore, e non si intendea apena ad altro, ch'a sopellire morti. E però si fece ordine che come il morto fosse recato alla chiesa la gente si partisse; che prima stavan tanto che si facea l'asequio, e a tali la predica con solenni ufici a' maggiorenti; e ordinossi che non andasse banditore per morti. In contado non fu sì grande la mortalità, ma pure ne morirono assai. Con essa pistolenza seguì la fame e il caro, agiunta a quello dell'anno passato; che con tutto lo scemo di morti valse lo staio del grano più di soldi XXX, e più sarebbe assai valuto, se non che 'l Comune ne fece provedenza di farne venire di pelago. Ancora aparì un altro nuovo segno; che a dì XVI di maggio del detto anno, di mezzogiorno, cadde in Firenze e d'intorno una gragnuola grossa e spessa, che coperse le tettora, le terre e·lle vie, alta come grande neve, e guastò quasi tutti i frutti. Per questa mortalità, a dì XVIII di giugno, per consiglio del vescovo e di riligiosi si fece in Firenze generale processione, ove furono quasi tutti i cittadini sani maschi e femmine col corpo di Cristo ch'è a Santo Ambruogio, e con esso s'andò per tutta la terra infino a ora di nona, con più di CL torchi accesi. E poi apresso agiunsono di mali segni, che·lla mattina di san Giovanni essendo uno grande e ricco cero in su uno carroccio fatto per li signori della moneta per offerere a san Giovanni, si stravolse sprovedutamente con tutto il carro, e cadde in su' gradi della porta de' priori, e tutto si spezzò; e bene fu segno dovea cadere la moneta de' Fiorentini e rompere quelli che·lla guidavano, come seguì apresso poco tempo con gran danno de' Fiorentini. Quella mattina in San Giovanni cadde uno palchetto, che v'era fatto di costa dal coro, dov'erano su tutti i cantori cherici ch'uficiavano, e molti se ne magagnaro delle persone. E poi s'agiunse male sopra male, che a dì XX di luglio apresso la notte seguente s'aprese uno gran fuoco in Parione, e valicò nella gran ruga da San Brancazio, ove si facea l'arte della lana, insino presso alla chiesa, ove arsono XLIIII case con gran danno di mercatantie, panni e lane, e maserizie, e di case e palazzi. I Fiorentini isbigottiti e impauriti per li detti segni e danni e·ll'arti e·lle mercatantie non istettono mai peggio per guadagnare; quelli che reggeano il Comune, per conforto di riligiosi per mostrare alcuna piatà, ordinarono che·ssi traessono certi sbanditi di bando, pagando al Comune certa gabella, e che' beni de' rubelli ch'erano in Comune fossono renduti alle vedove e a' pupilli, a·ccui succedeano; ma non fu perfetta la grazia e misericordia, che dovesse piacere a·dDio, però che·ssi dovea ristituire il prezzo che in prima li avieno per ordini fatti ricomperare dal Comune alle dette vedove e popilli, e non si fece; onde non ristettono a tanto le nostre pestilenze, che per le nostre peccata ne seguirono assai apresso, come inanzi leggendo si troverranno, che avenne poi in più casi che i vivi ebbono astio de' morti per le soperchie tribolazioni occorse alla nostra città. Lasceremo alquanto de' fatti di Firenze, e diremo d'altre novità d'intorno, tornando assai tosto a seguire dell'aversità ch'avennono alla nostra città di Firenze



CXV - Come li Spuletani levaro da oste inn-sconfitta quelli di Rieti

Nel detto anno, all'uscita di giugno, il conte di Triveti del regno di Puglia, essendo per lo re Ruberto vicaro nella città di Rieti, essendo posto ad oste sopra il castello di Luco co' cittadini di Rieti insieme, li Spuletini co·lloro amistà vennero al soccorso di quello, e sconfissono il detto conte e quelli di Rieti, con gran dannaggio di presi e di morti.



CXVI - Come messere Attaviano de' Belforti si fece signore di Volterra

Nel detto anno, a dì VIII di settembre, nella città di Volterra si levò romore, e·ffu ad arme e battaglia cittadina. L'una parte era capo meser Attaviano di quelli di Belforte, che·sse ne volea fare signore; e dall'altra parte il vescovo suo nipote nato per femmina, con certi popolani che volieno vivere in libertà; ma·lla tirannia colla forza di forestieri invitati per meser Attaviano furono vincitori, e cacciarne il vescovo e suoi seguaci, i quali si ridussono in Berignone suo castello, e meser Attaviano si fece signore della città, e poi seguitandoli, onde seguì assai di male; e fece il detto meser Attaviano uccidere due fratelli del vescovo a tradimento avendoli sicurati, costrignendoli per avere il detto castello di Berignone ch'elli avea asediato; e 'l vescovo che v'era dentro soferse innanzi di vederli morire che rendere il castello.



CXVII - Come certe galee di Genovesi sconfissono i Turchi

Nel detto anno XII galee di Genovesi ch'erano ite in Romania per loro mercatantia, ritrovandosi nel mare Maggiore di là da Gostantinopoli con CL o più legni tra grossi e piccoli armati di Turchi saracini, i Genovesi francamente l'assalirono e missogli inn-isconfitta faccendo di loro grande molesta d'ucciderli, ed annegarli in mare, dove ne rimaseno morti più di VIm, e guadagnarono i Genovesi molta roba e danari. In questo anno VI altre galee di Genovesi ch'andavano in Fiandra furono prese dall'armata dell'Inghilesi a Samavi in Brettagna, e perdervi il valere di CCm di fiorini d'oro; e così va della fortuna della guerra di mare.



CXVIII - Come in Firenze fu fatta una grande congiurazione, e·lla città fu a romore e ad arme

Tornando a nostra matera in raccontando l'aversità occorse alla nostra città di Firenze in questi tempi per lo suo male reggimento, mi fa molto turbare la mente sperando peggio per l'avenire. Considerando che per segni del cielo, né per pistolenze di diluvio, né di mortalità, e di fame, i cittadini non pare che temano Iddio, né si riconoscano di loro difetti e peccati; ma al tutto abandonata per loro la santa carità umana e civile, e solo a baratterie e tirannia con grande avarizia reggere la republica. Onde mi fa temere forte del giudicio d'Iddio. E acciò che meglio si possano intendere le motive delle disensioni e delle novità occorse, e perché sia assempro a que' che sono a venire, acciò che mettano consiglio e riparo a simili casi, sì il narreremo brievemente il difetto del male reggimento ch'allora era in Firenze, e quello ne seguì di male, bene che non sia però scusa di mali adoperanti contra il Comune. Per difetto di mali uficiali e reggenti la città di Firenze si reggea allora e poi un tempo per due per sesto di maggiori e più possenti popolani grassi. Questi non volieno a reggimento né pari né compagnoni, né all'uficio del priorato né agli altri conseguenti ufici mettere, se non cui a·lloro piacea, che facessono a·lloro volontà, schiudendo molti de' più degni di loro per senno e per virtù, e non dando parte né a grandi né mezzani né minori, come si convenia a buono reggimento di Comune. E oltre a questo, non bastando loro la signoria del podestà, e quella del capitano del popolo, e quella dell'asecutore degli ordini della giustizia contro a' grandi, ch'erano ancora di soperchio a buono reggimento comune, si criarono l'uficio del capitano della guardia; e a·cciò elessono e feciono ritornare in Firenze messer Iacopo Gabrielli d'Agobbio, uomo sùbito e crudele e carnefice, con C uomini a cavallo e CC a piè al soldo del Comune, ed elli con grosso salaro, acciò che facesse a senno de' detti reggenti. Il quale a guisa di tiranno, o come esecutore di tiranni, procedea di fatto in civile e cherminale a sua volontà, come gli era posto in mano per li detti reggenti, sanza seguire leggi o statuti, onde molti innocenti condannò a·ttorto inn-avere e in persona, e tenea i cittadini grandi e piccoli in grande tremore, salvo i suoi reggenti, che col suo bastone faceano le loro vendette e talora l'offese e·lle baratterie; non ricordandoci noi Fiorentini ciechi, overo infignendoci di ricordare quello di male ch'avea operato il detto meser Iacopo al simile uficio l'anno MCCCXXXV, e poi mesere Accorrimbono: onde per loro difetto era fatto divieto X anni, e no·llo oservaro. Di questo inniquo uficio e reggimento erano mal contenti i più di cittadini, e massimamente i grandi e possenti; e però certi grandi cercaro cospirazione in città per abattere il detto mesere Iacopo, e suo uficio e suoi seguaci reggenti. E più tosto li fece muovere, che in que' tempi fu condannato per lo detto mesere Iacopo mesere Piero de' Bardi in libre VIm, perch'avea offeso un suo fedele da Vernia, non istrettuale di Firenze, onde gli parve ricevere torto. E meser Andrea de' Bardi era costretto di rendere al Comune il suo castello di Mangone, ch'elli s'avea comperato. Questi Bardi erano di più possenti cittadini di Firenze d'avere e di persone; e di loro danari aveano comperato dalla figliuola d'Alberto conte Vernia e Mangone, e il castello dal Pozzo da' conti da Porciano, onde il popolo di Firenze era male contenti, però che il Comune vi cusava suso ragione, come inn-adietro inn-alcuna parte facemmo menzione. Per lo detto sdegno e superbia di Bardi, e simile di Frescobaldi, per una condannagione fatta a meser Bardo Frescobaldi di libre IIImDCC per la pieve a San Vincenzo (dissero a·ttorto furono capo della detta congiura e cospirazione, con tutto ch'assai dinanzi fosse conceputo per lo male reggimento, come detto è adietro). Co' detti Bardi teneno parte di Frescobaldi e di Rossi, e di più case di grandi, e d'alcuna possente di popolani di qua da Arno; e rispondea loro il conte Marcovaldo, e più suoi consorti da' conti Guidi, i Tarlati d'Arezzo, i Pazzi di Valdarno, Ubertini, Ubaldini, Guazalotri da Prato, i Belforti di Volterra e più altri, e ciascuno dovea venire con gente a cavallo e a piè in gran quantità, e mandare la notte di Tutti Santi; e·lla mattina vegnente, come le genti fossero allo esequio de' morti, levare il romore e correre la città, e uccidere mesere Iacopo Gabrielli e' caporali de' reggenti, e abattere l'uficio di priori e rifare in Firenze nuovo stato, e·cchi disse disfare il popolo. E sarebbe loro venuto fatto certamente per la loro forza e séguito, se non che 'l sopradetto meser Andrea de' Bardi, o che·lli paresse mal fare, o per altra cagione o quistione con suoi consorti, manifestò la detta congiura a Iacopo degli Alberti suo cognato e di caporali reggenti. Incontanente il detto Iacopo il rivelò a' priori e agli altri suoi compagni reggenti, essi guerniro d'armi e di gente, essendo la città in gran paura e sospetto, e ciascuna parte temea di cominciare. Ma acciò ch'a' congiurati non giugnesse il loro sforzo, il dì d'Ognisanti nel MCCCXL, in sull'ora di vespro, i caporali de' reggenti salirono in sul palagio de' priori, e quasi per forza feciono sonare a stormo la campana del popolo, che alcuno di priori amici de' Bardi la contesono assai, ciò fu meser Francesco Salvesi e Taldo Valori, l'uno priore e·ll'altro gonfaloniere per porta San Piero; onde molto furon ripresi di presunzione, e·cche sentissono il trattato. Come la campana cominciò a sonare, tutta la città fu commossa a romore, e ad arme a cavallo e a piè, in sulla piazza de' priori co' gonfaloni delle compagnie, gridando: "Viva il popolo e muoiano i traditori!". E incontanente feciono serrare le porte della città, acciò che gli amici e soccorso de' congiurati non potessono entrare nella città, i quali i più erano in via e presso alla terra per entrare la notte con gran forza di gente. I congiurati veggendo scoperto il loro trattato e fallito il loro aiuto, che quasi nullo di loro congiurati di qua dall'Arno rispuose loro né·ssi scopersono per paura del popolo, e 'l popolo commosso a furore contro a' congiurati, si tennero morti, e intesono solo al loro scampo e riparo, guardando i detti casati d'Oltrarno i capi de' ponti, saettando e uccidendo chi di là volesse passare; e misono fuoco a capo di due ponti di legname, ch'allora v'erano, l'uno contra le case de' Canigiani e·ll'altro di Frescobaldi; acciò che 'l popolo nogli assalisse, credendosi tenere il sesto d'Oltrarno tanto che 'l soccorso venisse. Ma·cciò venne loro fallito, che i popolani d'Oltrarno francamente gli ripugnaro, e tolsono loro i ponti coll'aiuto di popolani di qua dall'Arno, ch'andaro i·lloro aiuto per lo ponte alla Carraia. Messer Iacopo Gabrielli capitano si stava armato a·ccavallo in sulla piazza colla cavalleria, con gran paura e sospetto, sanza usare alcuno argomento o riparo di savio e valente capitano; istando fino alla notte quasi come stupefatto; onde molto fu biasimato. Ma il valente messer Maffeo da Ponte Carradi, allora nostro podestà, francamente con sua compagnia armato a cavallo passò il ponte Rubaconte con pericolo grande e rischiò di sua persona, e parlò a' congiurati con savie parole e cortesi minacce, li condusse la notte sotto sua sicurtà e guardia a partirsi fuori della città per la porta da San Giorgio, sanza quasi romore d'uomini o spargimento di sangue, o incendio o ruberie, onde molto fu commendato, ch'ogni altro modo era con grande pericolo della cittade. E come furono partiti, il popolo s'aquetò, e l'altro di apresso fatta di loro condannagione si disarmaro i popolani, e ciascuno fece i suoi fatti come prima. Per sì fatto modo guarentì Idio la nostra città di grande pericolo, non guardando a' nostri peccati e male reggimento di Comune; ma per non essere di tanto benificio grati a·dDio, la detta congiura ebbe apresso di male sequele a danno della nostra città, come inanzi si farà menzione.



CXIX - Chi furono i congiurati che furono condannati

Partiti i detti congiurati, il dì apresso si tenne consiglio come si dovesse procedere contro a·lloro; per lo migliore del Comune si prese di non fare grande fascio, però ch'a troppi cittadini sarebbe toccato, che sentiro la detta congiura e·ss'aparecchiarono con arme e cavalli, ma non si mostrarono; ma solamente si procedesse contro a quelli caporali che si mostraro e furono in arme, i quali furono citati e richesti; e non comparendo subitamente furono condannati nell'avere e nelle persone, siccome ribelli e traditori del loro Comune. I quali furono la prima volta l'infrascritti: messere Piero di meser Gualterotto de' Bardi e Bindo e Aghinolfo suoi fratelli, Andrea e Gualterotto di Filippozzo e Francesco loro nipote, messer Piero di Ciapi suo nipote, messer Gerozzo di meser Cecchino e meser Iacopo di meser Guido, mesere Simone di Gerozzo, ma non v'ebbe colpa di certo; Simone e Cipriano di Geri, e Bindo di Benghi, tutti della casa de' Bardi; messer Iacopo priore di Sa·Iacopo, messer Albano, messer Agnolo Giramonte e Lapo suoi nipoti, messer Bardo Lamberti, Niccolò e Frescobaldo di Guido, Giovanni e Bartolo di mesere Fresco, Iacopo di Bindo e Geri di Bonaguida, Mangeri di meser Lapo, tutti di Frescobaldi; e Andrea Ubertelli, Giovanni di Nerli, ser Tomagno degli Angiolieri, capellano del detto priore, Salvestrino e Ruberto di Rossi, più de' suoi consorti che vi tenieno mano, non si mostrarono; di qua dall'Arno non si mostrò alcuno. I loro palazzi e beni in città e in contado a·ffurore furono disfatti e guasti. E ordinossi con tutte le terre vicine guelfe e quelli della lega di Lombardia che non ritenessono i detti nuovi ribelli. E di ciò feciono il peggiore, per la qual cosa i detti n'andaro i più a Pisa, e il priore a corte di papa a procurare quanto poterono in detto e in fatto contro al Comune di Firenze. Per la detta diliberazione della nostra città per lo Comune a dì XXVI di novembre si fece una grande processione e offerta a San Giovanni per tutte l'arti, e s'ordinò ch'ogni anno per l'Ognisanti si facesse; e ordinossi di trarne di bando gli sbanditi per certa gabella per fortificare il popolo; che·ffu gran male a recare in città molti rei uomini e mafattori. Ma altro rimedio ci voleva per apaciare Iddio, a·llui la gratitudine e tra' prossimi cittadini la carità, ma ad altro s'intese; e ordinossi che ogni popolano che potesse fosse armato di corazze e barbute alla fiamminga, e impuosone VIm, e molte balestra per fortificare il popolo. E del mese di gennaio seguente il Comune comperò Mangone da meser Andrea de' Bardi VIImDCC fiorini d'oro, scontandone MDCC che 'l Comune v'avea spesi inn-acconcime inanzi si rendesse a messere Benuccio Salimbeni marito della detta contessa da Mangone. E il castello di Vernia s'arrendé al Comune di Firenze pagandone a meser Piero de' Bardi, che v'era dentro asediato, fiorini IIIImDCCCLX d'oro. E fecesi dicreto per lo Comune che nullo cittadino potesse aquistare o tenere castello di fuori di nostro contado e distretto di lungi il meno per venti miglia. E del detto mese di gennaio furono condannati VIIII di conti Guidi ch'avieno tenuta mano alla sopradetta congiura; e furo quasi tutti i loro caporali, salvo il conte Simone e Guido suo nipote da Battifolle che non assentiro alla detta congiura. Di ciò furono ripresi molto da' savi quelli che governavano la città, di condannare i nostri possenti vicini i conti Guidi, a recarline a scoperti nimici di quello peccato che non condannaro i nostri cittadini ch'erano colpevoli, come co·loro alla detta congiura; bene s'aparecchiarono in arme co·lloro fedeli per venire a Firenze. E poi più d'un anno apresso fu scoperto un altro trattato co' detti nuovi ribelli, onde fu preso Schiatta de' Frescobaldi, e tagliatogli il capo, e condannati Paniccia di Bernardo, e Iacopo di Frescobaldi, e Biordo di meser Vieri, e Giovanni Ricchi de' Bardi, e Antonio degli Adimari, e Bindo di Pazzi, tutti come ribelli. Lasceremo alquanto de' nostri fatti di Firenze, ch'assai ce n'è convenuto dire a questa volta, faccendo incidenzia per dire alquanto d'altre novità istate in questi tempi per l'universo; ma tosto vi torneremo a dire, ch'assai ci cresce materia a' nostri fatti.



CXX - Come il re di Spagna sconfisse i Saracini in Granata

Nel detto anno, in calen di novembre, furono sconfitti i Saracini di Setta e dell'altro paganesimo di Barberia e di Levante ch'erano passati di qua da·mmare, innumerabile quantità, al soccorso di quelli di Granata, per lo buono re di Spagna; e rimasene tra morti e presi più di XXm, con molto tesoro e arnesi di Saracini.



CXXI - Come arse Portoveneri

Nel detto anno, il dì di calen di gennaio, s'aprese fuoco in Portoveneri nella riviera di Genova, e·ffu sì impetuoso, che non vi rimase ad ardere casa piccola o grande, salvo i due castelli, overo rocche, che v'hanno i Genovesi, con infinito danno d'avere e di persone, e non sanza giudicio di Dio, che quelli di Portoveneri erano tutti corsali, e pirati di mare, e ritenitori di corsali.



CXXII - Come in Firenze si feciono due capitani di guardia

Nel detto anno, in calen di febraio, si partì di Firenze il tiranno, meser Iacopo de' Gabrielli d'Agobbio, ricco delle sangui de' Fiorentini ciechi, che più di XXXm fiorini d'oro si disse ne portò contanti. Ver'è che per la sua partita i savi rettori di Firenze corressono il loro errore del suo tirannico uficio, e scemaro le spese del Comune, overo le radoppiarono, che là dove prima avieno uno bargello per loro esecutore ne elessono due, l'uno a petizione del detto meser Iacopo e suo parente (ciò fu meser Currado della Bruta, capitano della guardia in città per arricchire la povertà di Marchigiani), l'altro a guardia in contado sopra gli sbanditi, meser Maffeo da Ponti Carradi di Brescia stato nostro podestà: questi n'era più degno per le sue virtù e operazioni; ma·ll'uno e·ll'altro uficio era d'oltraggio e a grande danno e spesa del Comune. Ma i reggenti cittadini per mantenere le loro tirannie, e tali di loro baratterie, come dicemmo adietro, gli sostenieno a tanto danno di Comune e gravezza di cittadini per essere temuti e grandi. Ma poco apresso Iddio ne mostrò giudicio assai aperto per le loro prave operazioni, a gran danno e vergogna e abasamento del nostro Comune, come inanzi faremo menzione. Ma gravami che non fu sopra le loro persone propie, com'erano degni i mali operanti, e come toccò ad alquanti di loro. Ma Iddio si riserba e non lascia nullo male impunito, bene non sia a tempi e piacere de' disideranti; e spesso pulisce il popolo per li peccati de' rettori, e non sanza giusto giudicio, però che il popolo è bene colpevole a sostenere le male operazioni di loro reggenti; e questo basti a tanto.



CXXIII - Come i Pugliesi e' loro seguaci furono cacciati di Prato

Nel detto anno, del mese di febraio, i Guazaliotri di Prato col caldo e favore di certi Fiorentini levarono a romore la terra di Prato per sospetto de' Pugliesi e Rinaldeschi loro vicini, overo per rimanerne signori; e battaglia ebbe nella terra, e morivvi alquanti dell'una parte e dell'altra; alla fine i detti Pugliesi e Rinaldeschi co·lloro seguaci furono cacciati della terra, e molti altri fatti confinati, e' Guazzalotri ne rimasono signori.



CXXIV - Come la città di Lucca volle essere tolta a messere Mastino da Verona

Nel detto anno e mese di febraio meser Francesco Castracani delli Interminelli ordinò col favore di Pisani di torre la città a mesere Mastino con alcuno trattato d'entro, vegnendo di fuori con gente assai a cavallo e a piè. Guiglielmo Canacci vicario di meser Mastino scoperto il trattato prese il Ritrilla delli Uberti e XIII cittadini, che vi teneano mano, e corse e guarentì la terra, come piacque a·dDio per riserballa a' Fiorentini per loro grande danno e vergogna, come in poco tempo apresso si potrà trovare. E poi il detto Guiglielmo fece oste in Carfagnana, e tolse più terre che tenea il detto meser Francesco Castracani.



CXXV - Come il castello di San Bavello s'arrendé a' Fiorentini

Nell'anno di Cristo MCCCXLI, a dì XV d'aprile, i Fiorentini avendo fatto porre oste al castello di San Bavello di Guido Alberti di conti Guidi, infino che fu condannato cogli altri conti, come dicemmo poco adietro, per cominciare l'esecuzioni delle loro condannagioni, essendo molto stretto, e non attendea soccorso, s'arrendé al Comune di Firenze salve le persone. Il quale feciono tutto diroccare per ricordo e vendetta contro al detto Guido: che più tempo dinanzi avendo il Comune di Firenze per sua lettera richesto e citato il detto Guido per alcuna cagione, per dispetto del nostro Comune nel detto San Bavello dinanzi a più suoi fedeli al messo del Comune fece mangiare la detta lettera con tutto il sugello, e poi accomiatandolo villanamente, dicendo per dispetto del Comune, se più vi tornasse, o egli o altri, gli farebbe impiccare per la gola; onde sentendosi in Firenze, grande sdegno ne venne quasi a tutti i cittadini.



CXXVI - D'uno fuoco s'aprese in Firenze

Nel detto anno, la notte seguente di calen di maggio, s'aprese il fuoco in Terma in una casa ch'abitava Francesco di meser Rinieri Bondelmonti, e arsonvi IIII suoi fanciulli maschi con ciò ch'elli v'avea, non potendoli iscampare; onde fu una grande pietade; ma non sanza giudicio di Dio, che 'l detto Francesco aveva occupata la detta casa e tolta a una donna vedova cui era; ma il peccato fu delli innocenti figliuoli, che portarono la pena a' loro corpi della colpa del padre.



CXXVII - Come mesere Azzo da Coreggia rubellò e tolse Parma a meser Mastino

Nel detto anno, tornando da Napoli dal re Ruberto mesere Azzo da Coreggia di Parma, avendo trattato col re e colli ambasciadori di meser Luchino ch'erano a Napoli lega e compagnia, e di rubellare Parma a meser Mastino. Valicò per Firenze chiusamente, e poi ristette alla Scarperia in Mugello per VIII dì, tenendo trattato e ragionamento con certi nostri cittadini reggenti di torre e rubellare la città di Parma a meser Mastino suo nipote e benefattore per esserne al tutto signore; che meser Mastino l'avea tolta a' Rossi e a Gran Quirico, e rimessi que' da Coreggia suoi zii in Parma, tutto ne volesse esere signore e sovrano. I Fiorentini intesono al trattato e favorallo, isperando come Parma fosse tolta a meser Mastino di potere avere agevolmente la città di Lucca; il detto meser Azzo ci tradì poi, come si vedrà pe' suoi processi. E com'elli fu in Lombardia diè compimento all'opera coll'aiuto di quelli da Gonzago signori di Mantova e di Reggio, e fatti nimici di quelli della Scala. E a dì XXII di maggio datali l'entrata di Parma da quelli di sua parte dentro, corse la terra, e con tradimento ne cacciò la gente di meser Mastino che di lui non si prendieno guardia, e fecesene signore. Per la qual mutazione di Parma si può dire fosse assediata la città di Lucca e quasi perduta per meser Mastino, che no·lla potea fornire sanza grande costo; onde i Fiorentini si mostrarono molti allegri; ma non sapeano il futuro che·nne dovea loro avenire. Messere Mastino veggendosi tolta Parma, la quale a·llui era la chiave e porta di potere entrare a sua posta in Toscana, e per quella forma mantenea la città di Lucca, veggendo che no·lla potea tenere sanza suo gran costo e pericolo, incontanente con savia e sagace pratica cercò di venderla e co' Pisani e co' Fiorentini, che a gara ciascuno ne volea esere signore, e con ciascuno tenea trattato. I Pisani per paura di non volere i Fiorentini vicini, e così di presso e colla forza di Lucca, temieno di loro stato, e cercarono in prima di torla a mezzo co' Fiorentini; ma tutto era con frode e con vizio Pisanoro. Ancora sentendo questa cerca meser Luchino Visconti signore di Melano, che·ssi facea nimico di meser Mastino, proferse a' Fiorentini, se·lla città di Lucca volessono asediare e torla a meser Mastino, di darne aiuto all'asedio M de' suoi cavalieri fermi, e volerne da·lloro certa somma di moneta; ed era il meglio a·ffarlo per vendicarsi del tradimento del Mastino; e venia tosto fatto con poco affanno e spesa, a comparazione di quello ne seguì poi. Ma i Fiorentini, non fidandosi dell'antico nimico, non vi si vollono accordare, overo nol promisse il divino distino overo providenza. Ma i Fiorentini come grandi e·llarghi e sicuri mercatanti, e migliori d'altre mercatantie che di guerra, vollono fare a·lloro senno, e i Pisani il somigliante; onde fu e seguì molto male per l'uno Comune e per l'altro, ma più per li Fiorentini in questo anno medesimo e apresso, come assai tosto faremo menzione, spedite, prima di raccontare altre novità state d'intorno in questo tempo.



CXXVIII - Come il re Ruberto ebbe Melazzo in Cicilia per assedio

Nel detto tempo, avendo il re Ruberto presa l'isola di Lipari in Cicilia, come adietro facemmo menzione, e veggendo per lo detto aquisto assai gli era possibile d'avere Melazzo che v'è alla 'ncontra, e quello avuto potere più strignere Messina, sì fece armare a Napoli XLV tra galee e uscieri, e più altro navilio grosso e minuto da portare foraggio e altro guernimento d'oste, con DC cavalieri e M pedoni oltre a' marinieri. Col suo amiraglio partì di Napoli la detta armata a dì XI di giugno del detto anno, e per terra mandò il re in Calavra messer Ruggieri di Sanseverino con gente d'arme a cavallo e a piè per rinfrescare l'armata, come avesse presa terra. La quale armata giunse in Cicilia a dì XV di giugno, e bene aventurosamente si puosono all'asedio della terra di Melazzo per terra e per mare, chiudendola dal lato fra terra ove si ricoglie quasi a isola per ispazio d'uno migliaio, con grande fosso e isteccati con molte bertesche; e simile verso la terra di Melazzo con fosso e steccati, sicché non ne potea uscire né entrare persona, se non per furto, sanza gran pericolo. E il navilio era d'intorno alla guardia del porto e della piaggia. Melazzo era ben fornito e di gente d'arme e di vettuaglia per più d'uno anno, e poco curavano l'assedio; ma lo re Ruberto il fece continovare con molto affanno e spendio, e fece cominciare a far fare un grosso muro dentro al fosso e steccato detto dinanzi sì che il campo era molto forte. E veggendo don Piero signore dell'isola che·ll'asedio pure continovava, e a quelli di Melazzo venia fallendo la vittuaglia, tre volte vi venne con tutto lo sforzo di Ciciliani ad asalire il campo, e simile feciono que' della terra dal lato d'entro; ma invano furono gli asalti, ma con gran danno de' Ciciliani, per la fortezza del campo e rinfrescamento che facea fare al continuo il re Ruberto all'oste. Fallendo la vettuaglia alla terra per lo lungo assedio e per l'affanno del detto osteggiare, don Piero, che·ssi facea re di Cicilia, amalò e morìo. Per la qual cosa Melazzo s'arrendé all'amiraglio del re Ruberto a dì XV di settembre MCCCXLI, salvo l'avere e le persone, e di terrazzani e di forestieri. Il quale fu un bello aquisto al re Ruberto, tutto gli costasse più di Lm once d'oro; fece lasciare guernita la terra di gente d'arme e di vittuaglia.



CXXIX - Come messer Alberto della Scala andò sopra Mantova e tornonne in isconfitta

Nel detto anno, a dì XI di giugno, messer Alberto della Scala venne ad oste sopra il mantovano con M cavalieri e MD pedoni di masnade sanza i paesani, per l'aiuto che quelli da Gonzago signori di Mantova aveano dato a messere Azzo da Coreggia, quando rubellò Parma a meser Mastino, mandando loro soccorso. A' detti signori di Mantova, e coll'aiuto di quelli da Melano, furono loro alla 'ncontra con DCCC cavalieri e popolo assai, e ingaggiarsi di combattere. Alla fine meser Alberto rifiutò la battaglia, e partissi quasi inn-isconfitta, lasciando ciò ch'avea nel campo suo con gran danno e vergogna.



CXXX - Come i Fiorentini patteggiarono di comperare Lucca da meser Mastino, e mandaro però loro stadichi a Ferrara

Tornando a nostra matera, mi conviene raccontare della folle impresa fatta per lo nostro Comune di Firenze della città di Lucca, come cominciammo a narrare nella fine del terzo capitolo iscritto adietro. Avendo i caporali rettori di Firenze a mano il trattato con meser Mastino della Scala di comperare da·llui la città di Lucca e 'l suo distretto, ch'elli tenea libera e spedita, la quale, come dicemmo adietro, tenea bargagno co' Pisani e col nostro Comune di darla a·cchi più glie ne desse, si criò in Firenze, del mese di luglio MCCCXLI, uno uficio di XX cittadini popolani a seguire il detto trattato con piena balìa di ciò fare, e di fare venire danari in Comune per ogni via e modo ch'a·lloro paresse, e fare guerra, e oste, e pace, e lega, e compagnia, come e con cui a·lloro piacesse, per termine di loro uficio d'uno anno, non possendo essere asindacati di cosa che facessono. La qual cosa fu confusione e pericolo del nostro Comune, come si mosterrà apresso per loro processi. I nomi de' quali non ligisterremo in questo, però che non sono degni di memoria di loro virtù o buone operazioni per lo nostro Comune, ma del contrario, come inanzi per le loro operazioni si potrà vedere, acciò che' nostri successori si guardino di dare le sformate balìe a' nostri cittadini per lunghi tempi. Le quali per isperienza si manifesta per antico e per novello essere la morte e abassamento del nostro Comune, però che nulla fe' o carità era rimasa ne' cittadini, e spezialmente ne' reggenti, a conservare la republica; ma ciascuno alla sua singularità o di suoi amici per diversi studi o modi. E però cominciò ad andare al dichino il nostro Comune al modo di Romani, quando intesono alle loro singularità e·llasciarono il bene comune. E non sanza cagione, quando de' maggiori e de' più possenti popolani di Firenze diputati al detto uficio ne furono capo ed esecutori. Bene ve n'ebbe alcuni tra·lloro innocenti, secondo si disse. Confermato il detto uficio per consigli, incontanente seguiro il trattato con meser Mastino, e per ingannare i Pisani overo noi medesimi, li si promisono e fermaro co' suoi procuratori di dare CCLm di fiorini d'oro in certe paghe; avendo il nostro Comune debito a dare a' cittadini per la guerra del Mastino più di CCCCm di fiorini d'oro; e potendola avere Lucca da' Tedeschi dal Cerruglio l'anno MCCCXXVIIII, come dicemmo adietro, per LXXXm di fiorini d'oro, che·ffu savia provedenza, overo molto folle per lo nostro Comune; e più ancora, essendo in quistione e in bargagno co' Pisani, e quasi come tutta guasta e assediata. E per osservare i patti a mesere Mastino a dì VIIII d'agosto del detto anno mandarono a Ferrara sotto la guardia de' marchesi, siccome amici e mediatori dal nostro Comune, a meser Mastino L stadichi: II de' detti XX in persona, e XVIII figliuoli o fratelli o nipoti degli altri XX, e XXX altri cittadini; de' quali L stadichi v'ebbe VII cavalieri e X donzelli delle maggiori case di Firenze, e gli altri di maggiori e più ricchi popolani e mercatanti della nostra città. E noi autore di questa opera, tutto ch'a·nnoi non si confacesse e fosse contra nostra volontà, fummo del detto collegio e numero per lo sesto di porta San Piero, e istemmo in Ferrara due mesi e mezzo con più di CL cavalli al continovo, e ciascuno con famigliari vestiti d'assise, con grandi e onorate spese, sperando d'avere gran vittoria della detta impresa, e ricevendo grande onore da' signori marchesi di conviti al continuo. E meser Mastino vi mandò uno suo figliuolo bastardo con LX stadichi gentili uomini di Verona e di Vincenza e del suo distretto, o loro figliuoli. Ma non comparivano in Ferrara apo i Fiorentini d'assai di nobiltà e d'orrevolezza. I detti XX, fatta la detta impresa, feciono al continovo molte disordinate spese, gravezze a' singulari cittadini di prestanze e d'imposte per essere forniti di moneta; veggendosi venire in aspra guerra co' Pisani per la detta compera di Lucca, e' soldarono di nuovo gente da cavallo e da piè d'arme in grande quantità; e spendieno ogni mese più di XXXm fiorini d'oro. E richiesono d'aiuto i vicini e·lli amici. E nota, lettore, se meser Mastino seppe fare savia e alta vendetta della guerra e ingiuria ricevuta da' Fiorentini per lo suo tenere di Lucca, vendendola loro per ingordo pregio, sì fatta medesima azione di Lucca assediata, e con aspra guerra co' Pisani e cogli altri loro vicini e co' Lombardi suoi nimici, come apresso faremo menzione, tornando alquanto adietro.



CXXXI - Come i Pisani si puosono ad assedio alla città di Lucca

I Pisani sentendo al continuo il trattato che' Fiorentini tenieno con messere Mastino d'avere la città di Lucca, ed ellino con meser Mastino non potendosi accordare, riserbando la fortuna a' Fiorentini la mala derrata di Lucca colle sue sequele, nonn-istettono i Pisani oziosi, ma inanzi che' Fiorentini compiessono la folle compera di Lucca, di più mesi si providono, e incontanente soldarono cavalieri, sicché da·lloro ebbono MCC cavalieri e CCC cavallate di cittadini. E·cciò potieno bene fare, che il loro Comune avea di mobile ragunati più di CLm di fiorini d'oro, e mandaro loro ambasciadori a Milano, e feciono lega e compagnia con meser Luchino Visconti signore di Milano e fatto nimico di meser Mastino. E nonn-è da dimenticare di mettere in nota uno crudele tradimento commesso per li Pisani per recarsi ad amico meser Luchino. Uno messere Francesco da Postierla di nobili di Milano, cui n'avea cacciato, il quale ito a·ccorte a lamentarsi al papa, e volendo tornare in Toscana, essendo amico al suo parere de' Pisani, mandò a·lloro per navile che 'l levasse da Marsilia, e per sicurtà di suo salvocondotto il Comune di Pisa gli mandaro una loro galea armata passaggera, e lettera di salvocondotto, ove si ricolse. Arrivato a Pisa, com'era ordinato il tradimento con meser Luchino, incontanente il detto meser Francesco, uomo di grande autorità e valore, con due suoi figliuoli i Pisani mandaro legati a Milano; a·ccui meser Luchino fece tagliare la testa. E per tale vittima si fece la lega e compagnia da meser Luchino e Pisani, della quale per lo innormo peccato commesso per li Pisani poco apresso fu aperta vendetta fatta contro a' Pisani, come si troverrà leggendo. Ma il detto messer Luchino oltre a·cciò volle promissione da·lloro di L mila fiorini d'oro in certi termini, e dierli XII stadichi i Pisani di figliuoli di loro conti e di migliori e di più cari cittadini per osservare i patti; e meser Luchino mandò loro M cavalieri colle sue insegne a soldo di Pisani, e capitano meser Giovanni Visconti suo nipote. E' signori di Mantova e di Reggio mandaro loro CC cavalieri, e quelli da Coreggia di Parma CL cavalieri, e meser Albertino da Carrara di Padova CC cavalieri per contrari di meser Mastino; e feciono lega con tutti i conti Guidi salvo col conte Simone e 'l nipote, e cogli Ubaldini, e col signore di Furlì, e cogli altri Ghibellini di Romagna, e col dogio di Genova, che tutti diedono loro aiuto di cavalieri o di balestrieri; e tali colle loro forze mossono guerra e ruppono le strade a' Fiorentini; e·cciò fu per procaccio e trattato di nostri nuovi ribelli. E ciò fatto per li Pisani, come seppono che i Fiorentini avieno fermo il patto con meser Mastino, e mandati gli stadichi, di presente a dì... d'agosto ebbono il castello del Cerruglio, quello di Montechiaro per IIIm fiorini d'oro ne spesono a' masinadieri che·ll'aveano in guardia per meser Mastino; e guernirli di loro gente, per impedire gli andamenti de' Fiorentini al soccorso di Lucca. E·cciò fatto, con tutta la loro cavalleria e popolo per comune subitamente a dì... d'agosto del detto anno vennero alla città di Lucca, e puosonvi l'assedio intorno intorno, e 'n poco tempo apresso l'affossaro e steccaro con bertesche dalla Guscianella, che va a Pontetetto, infino al fiume del Serchio, che·ffu per ispazio di più di VI miglia. E simile teneno il procinto della Guscianella insino al Serchio di sopra guernito di fortezze e di gente, ch'era altressì grande spazio o più. E poi apresso alla città feciono un altro fosso con isteccati, che·ffu una maravigliosa opera fatta in poco tempo, per modo che nullo potea entrare o uscire di Lucca sanza grande pericolo; e al continovo v'era per comune i due quartieri di Pisa a muta, e talora i tre quartieri, e così di loro molti contadini e balestrieri, assai genovesi; e bisognava bene, sì era lungo il procinto. E in mezzo di detti due procinti era accampata l'oste de' Pisani e di Lombardi in tre siti e campi spianati dall'uno campo all'altro. E·cciò poterono fare liberamente e sanza contasto, perciò che' Fiorentini per la 'mprovisa e sùbita impresa di Pisani non erano ancora aparecchiati al contasto e in Lucca non avea da CL cavalieri di meser Mastino e D pedoni di soldo, ond'era capitano Guiglielmo Canacci; e co·llui Frignano da Sesso, e Ciupo delli Scolari, e meser Bonetto tedesco, ch'avieno assai a·ffare pure di guardare la città. Ma il detto Guiglielmo Canacci al continuo proccurava Lucca per li Pisani. E partissi di Lucca e andò però a meser Mastino, e·llasciò la guardia agli altri detti capitani. Lasceremo alquanto di Pisani e del loro assedio di Lucca, e diremo tornando alquanto adietro quello che i Fiorentini feciono per la detta guerra mossa per li Pisani.



CXXXII - Come i Fiorentini si forniro essendo i Pisani all'assedio di Lucca, e cavalcaro sopra quello di Pisa

Sentendo i Fiorentini l'aparecchio d'oste che faceano i Pisani, inanzi che ponessono l'assedio alla città di Lucca incontanente crebbono la loro cavalleria, sicché egli ebbono IIm cavalieri a soldo loro, e mandaro per l'amistadi, per esser aparecchiati se' Pisani movessono loro guerra. I Sanesi ne mandarono CC cavalieri il Comune, e C le case guelfe di Siena, e CC balestrieri, i Perugini CL cavalieri, quelli d'Agobbio con meser Iacopo Gabrielli con L cavalieri, il signore di Bologna CCC cavalieri, il marchese da Ferrara CC cavalieri, meser Mastino CCC cavalieri, e dalle terre guelfe di Romagna CL cavalieri, dal signore di Volterra il figliuolo con L cavalieri e CC pedoni, messere Tarlato d'Arezzo con L cavalieri e CC pedoni. Prato XXV cavalieri e CL pedoni, San Miniato CCC pedoni, San Gimignano e Colle ciascuno CL pedoni. Come i Fiorentini ebbono ragunata loro gente e amistadi elessono per capitano di guerra messer Maffeo da Ponte Carradi di Brescia, ch'era loro capitano di guardia. E questo fu il secondo gran fallo de' Fiorentini apresso al primo della folle compera di Lucca che con tutto che meser Maffeo fosse un valente e buono cavaliere, non era sofficiente duca a guidare sì grande esercito. Che nella nostra cavalleria aveva L o più conestaboli di maggiore affare di lui; ma·ll'ambizione dell'uficio de' XX e delli altri reggenti ebbono a schifo il savio consiglio del re Ruberto, ch'al tutto biasimava la 'mpresa di Lucca. E però non vollono per capitano niuno de' reali suoi nipoti né altri grandi baroni, per guidare la 'mpresa più a·lloro senno. E ciò fatto, feciono cavalcare loro capitano colla sopradetta cavalleria e popolo grandissimo a Fucecchio e all'altre terre del Valdarno. E mandaro loro ambasciadori a Pisa a richiedere e protestare a' Pisani che non si travagliassono della 'mpresa di Lucca, com'era ne' patti della pace spressamente tra·lloro. I Pisani diedono loro infinte e false scuse, e di presente presono il Cerruglio e Montechiaro, e puosono l'assedio con tutta loro oste alla città di Lucca. E come dicemmo nel passato capitolo, i Fiorentini aveggendosi della impresa e tradimento di Pisani di presente feciono cavalcare la loro oste, ch'era nel Valdarno di sotto, in sul contado di Pisa, e furono IIImDC cavalieri e più di Xm pedoni di soldo. E di presente presono il Ponte ad Era e il fosso Arnonico, e guastarono e arsono tutto il borgo di Cascina, e·lla villa di San Sevino e di San Casciano, e infino al borgo delle Campane presso a Pisa a due miglia. E poi si rivolsono per la via che va in Valdera, e andaro fino a Ponte di Sacco, levando grandi prede e faccendo grandi arsioni sanza contasto alcuno, istando sopra il contado di Pisa per più dì; e più sarebbono stati, se non che grande fortuna di pioggia li sopprese; onde avendo arse e guaste le villate non vi potero dimorare né andare più inanzi, e tornarsi a Fucecchio e nell'altre castella di Valdarno. E nota che questo fu il terzo gran fallo della impresa di Lucca e mala capitaneria, e·cciò non si riprende dopo il fatto. Ch'assai si vide chiaro, e si disse inanzi per li savi e intendenti, ch'a volere levare l'assedio da Lucca e disertare i Pisani l'oste di Fiorentini si dovea porre al fosso Arnonico ch'era bene albergato, e quello aforzare verso Pisa di fossi e steccati e aforzare il Ponte ad Era, e fare un piccolo battifolle a piè di Marti o in su Castello del Bosco, e in quelli lasciare guardia e guernigione di gente d'arme per avere ispedito il cammino e·lla vittuaglia. E poi al continovo fare grosse cavalcate in Valdera, e a Vada, e a Porto Pisano, e Livorno, e infino alle porte di Pisa intorno intorno, faccendo ponte di legname sopra l'Arno; e potieno di continovo cavalcare i·loro Piemonte e 'n Valdiserchio, e 'mpedire la vettuaglia ch'andava da Pisa all'oste di Lucca onde convenia per nicistà si levasse l'oste da Lucca. E·cciò sentimmo poi da' Pisani, che di questo istavano continovo in gran paura; e convenia per forza venissono a battaglia co' Fiorentini, e·lla battaglia era a lezione e con vantaggio dell'oste de' Fiorentini. Ma il distino ordinato da Dio per punire le peccata non può preterire, ch'accieca l'animo de' popoli e di loro duchi e rettori in non lasciare prendere il migliore partito. E così avenne al nostro Comune.



CXXXIII - Come i Fiorentini compiuto il mercato della città di Lucca con meser Mastino presono la posessione essendo asediata

Infra·lla detta stanza il Mastino non dormia, ma sagacemente prese suo tempo e mandò suoi ambasciadori a Firenze, richiesono e protestarono il Comune che prendesse la posessione della città di Lucca e delle castella che tenea; e se·cciò non facessono, s'accorderebbe co' Pisani e darebbela a·lloro. E per alzare la sua mercatantia e fare la sua vendetta di Fiorentini, come dicemmo adietro, al continovo stava in bargagno co' Pisani per trattato di Guiglielmo Canacci, ribello di Bologna, stato per suo capitano in Lucca. Sopra·cciò si tennono in Firenze più consigli, e per li più savi si consigliava per lo migliore che·lla 'mpresa si lasciasse, e guerreggiassesi sopra il contado di Pisa, e com'era gran follia a prendere la posessione di terra assediata; e che molto pericolo e spesa ne potea venire, e potiesi lasciare ragionevolemente coll'onore del Comune; però che 'l primo patto era che per lo prezzo detto di CCLm di fiorini d'oro meser Mastino dovea dare la città e·lle castella libere e spedite. Ma·ll'ambizione dell'uficio de' XX e de' loro seguaci, ch'aveano fatta la prima impresa, vinse contra il savio e buono consiglio, ma pur volerla, dicendo che lasciarla troppo era gran vergogna e abassamento del Comune di Firenze; questo fu il quarto gran fallo sopra fallo fatto per l'uficio di XX. E incontanente mandaro due altri dell'uficio de' XX e altri ambasciadori con quelli di meser Mastino al marchese da Ferrara, ch'era mediatore per migliorare i patti. E giunti a Ferrara tosto s'acordò la bisogna, scemando della prima somma LXXm di fiorini d'oro per l'asedio di Lucca e perdita del Cerruglio e di Montechiaro, sicché rimase il patto a CLXXXm di fiorini d'oro: i Cm pagare infra uno anno, avendo XXVII nuovi stadichi per sicurtà di ciò, e·lli LXXXm fiorini in cinque anni apresso, ogni anno XVIm fiorini d'oro, mallevadori di ciò il marchese e 'l signore di Bologna, e tenere meser Mastino al suo soldo D cavalieri infino che fosse levato l'assedio di Lucca. Che 'nanzi che messere Mastino si fosse partito da mercato l'avrebbe fatto per Cm fiorini d'oro, siccome posessione disperata e ch'avea perduta, e a' Pisani in nulla guisa la volea dare, tutto ne facesse il sembiante, e per dispetto di meser Luchino, che co·lloro insieme l'avea assediata in sua vergogna; e questo sapemmo di certo, però ch'eravamo presenti al trattato, del numero delli stadichi. Ma·lla fretta e troppa volontà di chi l'avea a·ffare, o altra privata cagione, e bene si disse per molti cittadini che baratteria s'usò per li trattatori del primo mercato dall'una parte e dall'altra, e noi ne sentimmo tanto in Ferrara, quando si recò il mercato a CLXXXm, che quelli che v'erano per messere Mastino dissono ch'elli non avea mai sentito che·lla prima somma fosse più che CCm di fiorini d'oro. E così, se vero fu, i nostri cittadini savi ingannaro l'oste, overo il nostro Comune cieco; e fermo il secondo patto, incontanente tornaro da Ferrara i nostri ambasciadori co' sindachi di meser Mastino. E di presente feciono i nostri rettori muovere l'oste ch'era in Valdarno, e col capitano agiunsono II cittadini per sesto per consiglieri della guerra; e andarono in arme con compagnia nobilemente a' gaggi del Comune, e andarono in sul contado di Lucca, parte per la via d'Altopascio e parte dell'oste andò per Valdinievole; e accampossi tutta la detta nostra oste in sul colle delle Donne a dì... di settembre; e poi ebbono la posessione di Pietrasanta e di Barga da' proccuratori di meser Mastino. Come l'oste de' Fiorentini fu acampata, l'oste de' Pisani, ov'era a tre campi, si recarono a uno; e tegnendosi ancora per que' di Lucca la fortezza di Pontetetto, che impedia molto la scorta di Pisani, sì v'andò gran parte dell'oste de' Pisani e stettonvi più dì ad assedio, e per forza combattendo l'ebbono. In quella dimora la gente di meser Mastino con suoi sindachi e nostri, e colla gente che si volea mettere in Lucca, che furono CCC cavalieri e D pedoni, con Xm fiorini d'oro per pagare le masnade che·nn'uscirono poi, e co·lloro Ciupo delli Scolari e tutti i Ghibellini, che v'erano per meser Mastino in Lucca, con cenni di fuoco ordinati que' di Lucca a un'ora uscendo fuori co' nostri che v'andavano, si scontraro al luogo ordinato, ruppono parte delli steccati e apianaro i fossi, e sanza contasto entraro in Lucca sani e salvi. E di vero, se grossa gente fosse cavalcata co·lloro, rotta era la gente de' Pisani, che in quello punto non erano rimasi alla guardia dell'oste che D cavalieri. Entrata la detta gente in Lucca v'ebbe grande allegrezza; e i nostri sindachi, ch'erano Giovanni Bernardini di Medici, e Naddo di Cenni di Naddo, e Rosso di Ricciardo de' Ricci, presono la posessione del castello dell'Agosta e della città dal sindaco di meser Mastino, ch'era Arriguccio Pegolotti nostro antico cittadino ghibellino, a dì... di settembre. E il detto Giovanni de' Medici, ch'era ordinato ad esservi capitano, si fece fare cavaliere, e i detti Naddo e Rosso rimasono camarlinghi per lo Comune a ricevere la moneta che vi si mandava, e pagare le masnade a·ccavallo e a piè, e fornire l'ordine della vittuaglia. E feciolla sì bene ciascuno de' detti, come inanzi si leggerà.



CXXXIV - Come l'oste de' Fiorentini fu sconfitta a Lucca da quella di Pisani

Istando la detta nostra oste in sul colle delle Donne e in su quello di Grignano, più scaramucci ebbono la nostra gente con quella de' nimici, ch'erano in San Gromigno e in San Gennaio, quando a danno dell'una parte e quando dell'altra; e fornendo Lucca del continovo di moneta, ch'altro non bisognava loro, però che per danari i Tedeschi dell'oste de' Pisani di dì e di notte fornivano Lucca di ciò che bisognava. Ma·lla 'ngannevole fortuna, ma più la mala provedenza dell'uficio de' XX e del loro consiglio di reggenti ch'erano in Firenze, e che a ciascuno per loro ambizione parea essere il buono, mesere Alardo di Valleri, o il conte Guido da Montefeltro mastri di guerra, si diliberaro che·lla detta nostra oste iscendesse al piano verso Lucca, e fossero alla battaglia co' Pisani. E questo mandaro, aspramente comandando a' capitani dell'oste. E questo fu il quinto fallo, e sanza rimedio, che Lucca era fornita ancora per più di VIII mesi; e ciò sapieno di certo, e tutto dì si fornia per lo modo detto; che stando a bada co' Pisani e fermi, gli straccavano e consumavano di spese in poco di tempo. E di vero si seppe che, 'ndugiandosi pure XV dì, meser Giovanni Visconti si partia con tutta la cavalleria del capitano di Milano, perché i Pisani non gli oservavano i patti promessi; e·cciò disse poi in Firenze, quando vi fu prigione, palesemente. L'altro gran fallo, ma pazzia, fu andare a combattere a posta e vantaggio del nimico, ch'erano dentro alla fortezza del fosso e steccati di loro campo, e poteno prendere e lasciare la battaglia, e rinfrescarsi a·lloro posta e vantaggio; e oltre a·cciò e' nonn-erano meno ma più gente di nostri a·ccavallo e a piè; ma al fallo della guerra segue incontanente la disciplina. I capitani dell'oste ubidendo il comandamento da Firenze, overo per le nostre peccata pulire, il distino di Dio li vi condusse. Il dì di calen di ottobre iscesono al piano di Lucca, e accamparsi la notte al luogo detto la Ghiaia e greto di Serchio, presso al campo di nimici a meno d'uno miglio, e·ll'una parte e·ll'altra feciono la spianata; e que' del campo di Pisa abattero verso la spianata una parte dello steccato, e richiesono la battaglia, e' nostri l'accettarono lietamente per lo giorno apresso. E così martedì, a dì II d'ottobre del detto anno MCCCXLI, le due osti s'affrontaro. I nostri ch'erano rimasi IImDCCC cavalieri e popolo grandissimo feciono due schiere, l'una di MCC cavalieri per feditori, la qual conducea il nostro capitano messer Maffeo con quelli Fiorentini che v'erano, con iscelta delle migliori masnade ch'avessono e co' Sanesi, che più donzelli delle case di Siena guelfe si feciono il dì cavalieri, e portarsi francamente. E in quella schiera fu mesere Ghiberto da Fogliano, e Frignano da Sesso, e uno conte d'Alamagna, e meser Bonetto tedesco colla gente di meser Mastino, che in quella giornata cogli altri feditori insieme feciono maraviglie d'arme, essendo fasciati di costa con più di IIIm balestrieri. La schiera grossa con tutta l'altra cavalleria e popolo e colla salmeria caricata che·ffu follia, guidavano gli altri capitani. E messere Gian della Vallina borgognone avea la 'nsegna reale, che per bontà de' nostri cittadini nullo la richiese di portare. I Pisani, ch'erano da IIIm cavalieri, feciono III schiere; l'una di feditori da DCCC cavalieri, la quale conducea... fasciata con molti balestrieri genovesi e pisani, che·nn'avieno più di noi e migliori. L'altra grossa schiera co' cavalieri del signore di Milano guidava meser Giovanni Visconti colla insegna della vipera. Un'altra schiera di CCCC cavalieri riposta adietro presso alla bocca de' loro steccati e a quella guardia, perché li nostri di Lucca ch'erano usciti della città non assalissono il campo. Quella terza schiera di Pisani guidava meser Ciupo delli Scolari, che 'l dì si fece cavaliere, e meser Francesco Castracane. Fatte le dette schiere delle due osti, s'affrontaro insieme in sull'ora della terza; e prima i feditori dall'una parte e dall'altra. La battaglia fu aspra e forte, però che da ciascuna parte di feditori era il fiore della cavalleria dell'oste; e per la forte percossa di feditori di Pisani, tutto fossono meno gente di nostri, feciono assai rinpignere adietro la nostra schiera de' feditori; ma poco apresso i feditori di Pisani furono rotti e sconfitti; e fuggendo parte si tornarono dentro alli steccati e parte alla loro schiera grossa. I nostri feditori avendo avuta la vittoria de' feditori di Pisani, francamente asaliro la loro schiera grossa; e quella fu una ritenuta e aspra battaglia, e durò infino dopo nona, e gran mortalità v'ebbe di cavalli, e abattuta di cavalieri per li molti balestrieri dell'una parte e dell'altra, e fu abattuta la 'nsegna di meser Luchino, e preso messer Giovanni Visconti capitano della sua gente, e Arrigo di Castruccio, e messer Bardo Frescobaldi, e più di migliori Pisani da cavallo e d'altri nostri usciti, e quasi rotta e sbarattata la detta schiera, con tutto rilevassono un'altra insegna della vipera di Melano, parte di loro si rannodaro colla schiera di meser Ciupo delli Scolari che stava ferma. E con tutto che' nostri feditori combattessono e cacciassono i nimici, la nostra ischiera grossa non si mosse né pinse inanzi a favorare i nostri feditori, che·ffu gran fallo e mala capitaneria; ma dissesi fu per difetto di meser Gianni della Vallina, ch'avea la 'nsegna reale, che non volle andare contro alla 'nsegna di meser Luchino per saramento fatto essendo suo prigione in Lombardia. Ma maggior fallo fu de' nostri rettori a darli la 'nsegna reale, e che sì grande oste non capitanaro di sofficienti duci, e non vi furono di nobili cittadini a·ccui ne calesse. I nostri della prima schiera credendosi avere la vittoria, si partiro di qua e di là seguendo prigioni. Dissesi che mesere Ciupo delli Scolari, che stava colla schiera disparte a vedere le contenenze della battaglia, e raccogliendo a·ssua schiera que' che fuggivano, usò una maestria di guerra, che mandò più ribaldi alla nostra schiera grossa e tra·lla nostra salmeria, gridando e dando boce che' nostri feditori erano sconfitti; onde la salmeria si cominciò tutta a partire. Quelli della nostra grossa schiera, ch'erano di lungi, ov'era la battaglia e caccia per uno terzo di miglio, tra per la detta falsa voce, e veggendo i nostri sciolti di schiera alla caccia de' nimici e mischiati tra·lloro, e veggendo fuggire la salmeria, e·lla schiera di meser Ciupo ferma e cresciuta colle 'nsegne levate, credettono a·ccerto che' nostri fossono rotti, e sanza rotta o caccia di nimici si ruppono tra·lloro e missonsi in fuga; e simile i pedoni. Messer Ciupo colla sua riposata schiera veggendo in fuga la nostra schiera grossa, percosse a' nostri feditori stati prima a due battaglie vincitori, ch'erano sparti e ricogliendo prigioni sanza ordine o ritegno alcuno, fedirono tra·lloro, e ruppogli e sconfissolli di presente, e ricoveraro i loro prigioni, salvo messere Giovanni Visconti, ch'era menato alla schiera grossa, e più altri barattati, che·ssi ricomperaro poi da quelli che·lli avieno presi, sanza rassegnarli al Comune. In questa battaglia non moriro di nostri oltre a CCC uomini tra cavallo e a piè, e niuno uomo di nome salvo Frignano da Sesso, e certi conestaboli di meser Mastino e di marchesi, ch'alla battaglia si portaro valentremente. Cavalli vi moriro più di IIm tra dall'una parte e dall'altra per le molte balestre e per lo modo della battaglia, che·ffu quasi com'uno torniamento con più riprese. Prigioni non vi rimasono de' nostri che da DCCC a M tra a cavallo e a piè, però che·lla nostra schiera grossa si partì salva per lo modo detto, e ricoveraro in Pescia, e' nimici non seguiro caccia, e molti de' nostri si fuggiro in Lucca; e meser Tarlato d'Arezzo fu di quelli. Questi furono i prigioni di rinomea di nostri che vi rimasono: cittadini, messer Giovanni della Tosa, messer Francesco Brunelleschi, messer Barna de' Rossi, Albertaccio da Ricasoli, che·ssi ricomperaro per danari; di forestieri, messer Maffeo nostro capitano, messer Bonetto tedesco, e VI altri conestaboli di meser Mastino, e de' marchesi, e del signore di Bologna, che poi di Pisa si fuggiro. E rimasonvi presi da VIII tra cavalieri e donzelli di Siena, e 'l figliuolo del signore di Volterra; tutti questi furono presi nel mezzo del campo combattendo tra' nimici. E meser Iacopo Gabrielli fu preso fuggendo in Lucca. E se non che a' Pisani rimase il campo e l'onore, per lo giudicio e volere d'Iddio e per lo nostro male provedimento, più di Pisani vi morirono assai che di nostre genti; e il costo a·lloro innumerabile per le paghe doppie e mende de' cavalli. Ma pure la nostra mal guidata oste fu sconfitta con nostro danno e vergogna e disinore, sventuramente a dì II d'ottobre MCCCXLI.



CXXXV - Digressione sopra la detta sconfitta

Quando fu la detta sconfitta, noi Giovanni Villani autore di questa opera eravamo in Ferrara stadico di meser Mastino per lo nostro Comune cogli altri insieme, come dicemmo adietro; e in due giorni apresso avemmo la novella assai più grave ch'ella non fu, onde ci cusammo tutti essere prigioni di meser Mastino, stimandoci che 'l nostro Comune per la detta sconfitta fosse rotto e sbarattato, e che·cci convenisse ricomperare non solamente Cm fiorini d'oro promessi, ma·lla redenzione de' prigioni e·lla menda de' cavalli di meser Mastino. E compiagnendoci insieme amaramente sì del pericolo incorso al nostro Comune, e sì del nostro propio danno e interesso, uno de' nostri compagni cavaliere compiagnendosi quasi verso Iddio, mi fece quistione dicendo: "Tu hai fatto e fai memoria de' nostri fatti passati e degli altri grandi avenimenti del secolo, quale puote esere la cagione, perché Iddio abbia permesso questo arduo contro a·nnoi, essendo i Pisani più peccatori di noi, sì di tradimenti sì d'essere sempre stati nimici e persecutori di santa Chiesa, e·nnoi ubidenti e benefattori?". Noi rispondemmo alla quistione, come Iddio ne spirò oltre alla nostra piccola scienza, dicendo che in noi regnava solo un peccato intra gli altri che più spiacea a Dio che quelli de' Pisani; ciò era non avere in noi né fede né carità. Rispuose il gentiluomo quasi commosso, dicendo: "Come la carità, che più se ne fa in Firenze in uno dì, che in Pisa in uno mese?". Dissi ch'era vero; ma per quello membro di carità che·llimosina si chiama, Iddio ci ha guardati e guarda di maggiori pericoli; ma·lla vera carità è fallita in noi; prima verso Iddio, di non esere a·llui grati e conoscenti di tanti benifici fatti e in tanto podere e stato posta la nostra città, e per la nostra prosunzione non istare contenti a' nostri termini, ma volere occupare non solamente Lucca, ma l'altre città e terre vicine indebitamente. Come col prossimo eravamo caritevoli, a ciascuno è manifesto a ditrarre e tradire e volere disertare l'uno vicino compagno e consorto l'altro, ed eziandio tra fratelli carnali, e colle pessime usure contro a' meno possenti e bisognosi. Della fe' e carità verso il nostro Comune e replubica è anche manifesto tutta esere fallita; che venuto è tempo, per li nostri difetti, che ciascuno cittadino per una sua piccola utilità ditrae e froda e mette a non calere ogni gran cosa di Comune, che che pericolo ne corra. Ove i Pisani sono il contrario, cioè che sono uniti tra·lloro, e fedeli e·lleali al loro Comune, benché in altre cose sieno così, o maggiori peccatori di noi; ma come disse il nostro signore Gesù Cristo nel Vangelo: "Io pulirò il nimico mio col nimico mio etc.". E fatto silenzio alla detta quistione, che ciascuno fu contento della detta difinizione, e riconoscemmo i nostri difetti e poca carità tra·nnoi in comune e in diviso. Il marchese da Ferrara sentendo la nostra turbazione mandò per noi, e tutti ci ebbe in sua presenza e del suo privato consiglio. Prima dolutosi con noi del sinistro caso e fortuito avenimento occorso alla nostra gente e alla sua; ma poi, come il buono padre fa al suo figliuolo, confortandone, mostrandone la piccola perdita ricevuta, e com'era de' casi della guerra, e da non curare, potendosi ricoverare, magnificando il nostro Comune di gran potenzia, e per sé e per li amici dicendo che di ciò si farebbe alta e grande vendetta, profferendo al nostro Comune tutto suo podere, e di venire in persona elli o il suo fratello con tutte sue forze, e così ci pregò significassimo al nostro Comune. E immantenente mandò in Firenze suoi ambasciadori colla detta proferta, onde prendemmo gran conforto. E per simile modo fece al nostro Comune meser Mastino e 'l signore di Bologna. Ma meser Albertino da Carrara signore di Padova fece della nostra sconfitta falò e grande allegrezza per dispetto di meser Mastino, e avea di sua gente C cavalieri coll'oste de' Pisani contro a·nnoi; ma male si ricordava o era grato, ma ingratissimo de' benifici ricevuti elli e' suoi antichi dal nostro Comune. Ed elli, colla nostra potenza e de' Viniziani, di servo di quelli della Scala fatto signore di Padova, come adietro facemmo menzione al conquisto di quella. Avemo per questo capitolo fatta sì lunga digressione sopra la detta nostra sconfitta per dare assempro di correzione di nostri difetti a' nostri successori, e perch'abbino ricordo e memoria di quelli che·cci sono stati amici e contrari nella nostra aversità, ritornando apresso a nostra materia.



CXXXVI - Della materia medesima

Come in Firenze giunse la prima e sùbita novella della detta sconfitta, tutta la città fu commossa di grande dolore e paura, e faccendo grande guardia di dì e di notte, istimandosi che·lla rotta e dannaggio fosse più grande che nonn-era. Ma il giorno apresso fu saputo il vero della piccola perdita di morti e di presi, e·cche la città di Lucca non era perduta, ma si tenea francamente, né perduto nullo altro castello che per noi si tenesse, s'apersono le botteghe, e ciascuno disarmato intese a·ffare i fatti suoi come prima, non parendo che battaglia o sconfitta fosse fatta; e in ciò per li cittadini si mostrò grande magnificenza. E poi apresso che incontanente s'ordinò di rifare maggiore oste che·lla prima, richeggendo d'aiuto il re Ruberto e gli altri amici, con soldando gente d'arme a cavallo e a piè, quanti se ne potessero avere; ed elessono per capitano di guerra, per averlo più tosto, meser Malatesta da Rimino tenuto savio uomo in guerra, il quale venne in Firenze a dì... di febraio con CC cavalieri, intra' quali avea de' migliori uomini di Romagna e della Marca e oltramontani, e CC pedoni alla guardia di sua persona; e per lo suo uficio da' Fiorentini fu ricevuto a grande onore avendo di lui grande speranza di vittoria. E oltre a·cciò non potendosi avere dal re Ruberto per capitano uno di nipoti, ch'assai si prontò per li Fiorentini, come inanzi si farà menzione, e sentendo che 'l duca d'Atene venia di Francia a Napoli, certi reggenti della nostra città scrissono al detto duca, e feciono scrivere a' suoi amici e mercatanti alla sua venuta a Vignone in Proenza dov'era la corte, che·lli piacesse di fare la 'mpresa d'essere sovrano capitano al servigio del nostro Comune. Il gentile signore e bisognoso pellegrino per suo avantaggio e a richiesta de' detti suoi amici e grandi di Firenze, che di ciò il confortaro e richiesono ad altro maggiore intendimento, come inanzi lui venuto in Firenze si potrà comprendere, accettò la 'mpresa, e sanza indugio con C gentili uomini avea in sua compagnia per mare venne a Napoli, che a Pisa, né in quelle marine, non potea porre e non avea cavalli. E giunto a Napoli, sanza fare asapere di suo intendimento al re Ruberto si venne fornendo d'arme e di cavalli, dando voce di volere andare in sua terra in Romania. Lasceremo alquanto della 'mpresa del duca d'Attene, ma assai tosto vi ci converrà tornare, crescendone di suoi fatti grande e nuova matera, e diremo alquanto di processi che 'l re Ruberto tenne col nostro Comune ne' fatti di Lucca.



CXXXVII - Come il re Ruberto domandò a' Fiorentini la signoria di Lucca ed ebbela, promettendogli d'atase

Lo re Ruberto essendo molto infestato per lettere del nostro Comune, e per quelli delle nostre compagnie e suoi mercatanti ch'erano intorno di lui, che mandasse uno di nipoti con gente d'arme all'aiuto dell'oste che 'l nostro Comune intendea di fare contra i Pisani per levare l'assedio di Lucca, per la sua grande avarizia non volendo fare la 'mpresa e disdire l'aiuto al nostro Comune non potea con suo onore, sì volle fare e fece una sottile segacità, che mandò a Firenze del mese di novembre una grande ambasciata, ciò fu il vescovo di Grufo grande maestro, e meser Gianni Barili de' maggiori di Napoli, e Niccola degli Acciaiuoli con grande compagnia, e fece per quella dimandare inn-un grande e bello consiglio la posessione e signoria della città di Lucca, come sua e di sua giuridizione, tutta gli fosse tolta da Uguiccione dalla Faggiuola e Comune di Pisa, come assai adietro facemmo menzione. E se·cciò si facesse per li Fiorentini promettea tutte le sue forze per mare e per terra contra li Pisani, a·ffare le nostre vendette e levare l'oste loro da Lucca, stimandosi di certo che' Fiorentini per loro alterezza così gran costo e danno e vergogna, com'avieno ricevuta per la 'mpresa di Lucca, negassono la sua dimanda e richiesta, e·cciò faccendo avea giusta causa di negare l'aiuto dimandato per lo nostro Comune. I Fiorentini sopra·cciò saviamente avisati e con buono consiglio liberamente rispuosono agli ambasciadori, e in loro presenza rifermaro in quello consiglio di dare al re, o a·lloro per lui, libera la posessione di Lucca; e feciono sindachi a·cciò fare, e andaro per scorta co·lloro in Lucca, e diedono la posessione e 'l dominio con bollate carte. E·cciò fatto, i detti ambasciadori andaro a Pisa, e richiesono i Pisani da parte del re con solenni protestagioni che·ssi levassono dallo assedio della sua città di Lucca. I Pisani parendo a·lloro che·lla detta richiesta fosse opera disimulata a posta de' Fiorentini, la quale nel vero non era, ma come che fosse, a·lloro ne parea avere mal partito a mano a recarsi il re Ruberto incontro, e d'altra parte da·lLucca l'assedio non volieno levare; disimulatamente dissono di rispondere al re per loro ambasciadori; e così feciono dilaiando e menando il re per parole, e non ne vollono in fine far niente; ma rafforzando al continovo l'assedio di Lucca colle forze di meser Luchino Visconti e degli altri tiranni di Lombardia di parte imperiale; ed era a' Pisani assai agevole, essendo sì presso di Lucca, essere afforzati.



CXXXVIII - Come i Fiorentini mandarono al re Ruberto per aiuto e no·ll'ebbono, e·cciò che·nne seguì

I Fiorentini veggendosi così menare mandaro ambasciadori a Napoli a richiedere al re Ruberto il suo aiuto, e uno de' nipoti per loro capitano, e che oservasse quello avea fatto promettere a' suoi ambasciadori quando li fu renduta la possessione di Lucca, come detto avemo adietro; i quali ambasciadori con grande stanzia e studio seguiro; ma poco valse che a nulla si movesse, bargagnando di mandare il duca d'Attene con DC cavalieri, pagando il Comune di Firenze la metà del soldo ed elli l'altra metà; e ancora non potendo meglio, per lo nostro Comune fu accettato, ma no·llo volle il re oservare. O avarizia, nimica della reale vertù di magninimità, come guasti ogni bene e onorata impresa! Che·sse lo re Ruberto ci avesse oservata la 'mpromessa fatta fare al nostro Comune per li suoi ambasciadori, e mandato uno de' nipoti con M cavalieri a mezzo nostro soldo all'oste de' Fiorentini, e XII galee armate sopra i Pisani a tor loro l'entrata del porto, ch'assai gli era leggere a fornire, colla gran forza e ragunata di Fiorentini col loro oste, di certo i Pisani con tutto l'aiuto di meser Luchino di Milano e d'altri Lombardi non avieno podere di tenere campo né assedio a Lucca. Per lo quale difetto del re Ruberto nacquono molte sconvenenze e pericoli e danni con sua vergogna e del nostro Comune, come apresso si potrà comprendere, che' Fiorentini si condussono di fare oste per loro, per soccorrere Lucca di più di IIIIm cavalieri e popolo infinito, come nel seguente capitolo si farà menzione, con poco onore e grande spendio. Ma quello che più portò di rischio e di pericolo, non solamente al nostro Comune ma a tutta parte guelfa e di Chiesa, e a tutta Italia, ed eziandio al re Ruberto e al suo regno, si fu che per lo sopradetto isdegno preso col re Ruberto a·ssuo gran difetto certi reggenti del nostro Comune per sodducimento e consiglio di meser Mastino della Scala mandaro segretamente due popolani di maggiori reggenti ambasciadori con quelli di meser Mastino a Trento in Alamagna, ov'era venuto il Bavero, che·ssi facea chiamare imperadore, per altre sue bisogne, e co·llui trattaro per tal modo che mandò a Firenze e poi alla nostra oste più di suoi baroni con da L cavalieri, la maggiore parte di corredo; intra gli altri caporali furo il duca di Tecchi col suo grande sugello e il suo Luffo Mastro e il Porcaro conte, promettendo se 'l nostro Comune il volesse ricevere il duca di Techi per suo vicario co·llarghi patti, farebbe partire tutti i Tedeschi del campo de' Pisani, incontanente vedessono quello sugello, e rompere l'oste di Pisani, e tornare tutti dal nostro. E di certo venia fatto; ma di ciò avuti i nostri reggenti segreto consiglio, e certi savi amatori di parte guelfa e di Chiesa, e a·ccui toccava lo stato e parte più che a coloro ch'avieno menato il detto trattato, s'avidono che·cciò faccendo era pericolo di tornare il reggimento di Firenze e di tutta Toscana assai tosto a parte ghibellina e d'imperio; consigliarono che non si seguisse il detto trattato per lo migliore, che che della 'mpresa seguisse da·nnoi a' Pisani; e così rimase, e' detti baroni si tornaro in Alamagna. Ma per la detta loro venuta il re Ruberto entrò in tanta gelosia, che non sapea che·ssi fare, temendo forte Firenze non prendesse rivoltura di parte d'imperio e ghibellina. E molti suoi baroni e prelati e altri del Regno ricchi uomini, ch'aveano dipositati loro danari alle compagnie e mercatanti di Firenze, per la detta cagione entraro in tanto sospetto, che ciascuno volle esere pagato, e fallì a' Fiorentini la credenza in tutte parti dove avieno affare, per modo che poco tempo apresso per cagione di ciò, e gravezze di Comune e per la perdita di Lucca, apresso molte buone compagnie di Firenze falliro, le quali furono queste: quella de' Peruzzi; gli Acciaiuoli, tutto non cessassono allora, per loro grande potenza in Comune, ma poco apresso; e' Bardi ebbono gran crollo, e non pagavano a cui dovieno, e poi pur falliro; falliro i Bonaccorsi, i Cocchi, li Antellesi, quelli da Uzzano, i Corsini, e Castellani, e Perondoli, e più altri singulari mercatanti e più artefici e piccole compagnie a gran danno e rovina della mercatantia di Firenze, e universalmente di tutti i cittadini; che·ffu maggiore danno al Comune che·lla sconfitta o perdita di Lucca. E nota che per li detti fallimenti delle compagnie mancarono i danari contanti in Firenze, ch'apena se ne trovavano. E·lle posessioni in città calarono a volerle vendere le due derrate per uno danaio, e in contado il terzo meno a valuta, e più calaro. Lasceremo a dire della detta matera, e diremo della grande oste, che' Fiorentini feciono per diliberare Lucca dall'asedio di Pisani, e non venne loro fatto.



CXXXIX - D'una grande e nobile oste che' Fiorentini feciono poi per levare i Pisani dallo assedio di Lucca

Volendo i Fiorentini seguire la loro folle impresa di fare oste per levare i Pisani dall'asedio di Lucca, e sentendo fallia a quelli d'entro assai tosto la vittuaglia, ebbeno più di IIm oltramontani cavalieri, buona gente al loro soldo; cittadini a cavallo ve n'ebbe XL con VI consiglieri del capitano, che·ffu mala providenza; e non si ricordavano i rettori di Firenze di quello che scrive Lucano di Cesare quando facea le sue osti, non dicea alle sue milizie: "Andate!", ma: "Venite!"; e·cciò faccendo avea sempre vittoria e onore. E così aviene il contrario a' signori e rettori de' Comuni, quando personalmente non sono a guidare i loro eserciti, lasciando la cura e providenza a' soldati e strani: e questo basti, che·lla sperienza fa pruova del fatto. Alla nostra oste mandò aiuto D cavalieri meser Mastino, e D il signore di Bologna, CCCC cavalieri i marchesi da Ferrara, e CC dalle terre guelfe di Romagna, e CCC da' Sanesi, e CL da Perugia, e CL dall'altre terre d'intorno; e' conti Guidi guelfi con Xm tra pedoni e balestrieri di masnada, sanza i contadini e distrettuali: e diedonsi le 'nsegne domenica d'ulivo, a dì XXIIII di marzo. E il dì di nostra Donna apresso, MCCCXLII, si mosse l'oste e andarne in Valdinievole. E questo fu il sesto gran fallo e errore di XX che guidavano la guerra e 'l reggimento della città. Che·sse ancora fossono iti assediare o porre oste a Pisa, era vinta la guerra, e levato l'assedio da Lucca; ma no·llo permise Iddio per li nostri difetti e peccati, e per arogere alle nostre disciprine e spendio e abassamento della nostra città, e con nostra vergogna avendo ragunata sì grande potenzia e nobile oste, che sarebbe stato sofficiente a uno reame. Ben fu gran colpa di questo difetto di nostri cittadini ch'erano caporali in Lucca, ch'al continuo scriveano a Firenze: "Soccorrete, soccorrete, che·lla terra nonn-è fornita per uno mese"; ed era fornita per più di tre. E tutto fu del fallo della guerra veduto dinanzi per li savi. Partissi la detta oste da Pescia e di Valdinievole dì XXVII di marzo, e puosesi ed acampossi sul poggio di Grignano e in sul colle delle Donne, ove fu l'altra volta; e in que' luoghi tenne l'oste il nostro capitano, meser Malatesta, uno mese e mezzo, istando in vani trattati di corrompere i soldati dell'oste de' Pisani, non faccendo pruova o valoria alcuna, come potea e dovea avendo tanta buona gente a·ccavallo e a piè; ma meser Malatesta trovò il rocco a petto al cavaliere, che 'l capitano dell'oste de' Pisani era Nolfo figliuolo del conte Federigo da Montefeltro suo parente, che sapea delle volte romagnuole tenendolo in trattato vano altressì bene com'elli; e molti cittadini ne presono sospetto d'inganno e tradimento per la lunga stanza, perdendo tanto tempo bello e utole con tanto possente oste; onde molto fu ripreso meser Malatesta, e mandato gli fu da Firenze riprendendolo forte, che movesse l'oste verso i nimici, che che avenire ne dovesse. In questa stanza i Pisani e loro allegati non dormiro, che i Tarlati d'Arezzo si disse trattaro di rubellare la città d'Arezzo al nostro Comune. E Guiglielmo degli Altoviti, ch'era per capitano di guardia inn-Arezzo, fece per la detta cagione pigliare mesere Piero Saccone e meser Ridolfo e messere Luzimborgo e Guido e... de' Tarlati, e mandogliene presi a Firenze; e nel palagio de' priori di sopra fu loro prigione più tempo, e chi·lli facea colpevoli e chi no; ma per quello seguì apresso pure mostrò fossono colpevoli; e più volte si tennero consigli di giudicarli a morte, ma vinsene il peggio per corrotti cittadini. E fu fatto prendere in Lucca meser Tarlato e tenuto sotto cortese guardia, il quale poco apresso uscendo fuori di Lucca a diporto con meser Giovanni de' Medici si fuggì nel campo de' Pisani. E poi e per l'altri Tarlati si rubellaro molte castella di loro e del contado d'Arezzo alli Aretini, faccendo loro guerra. Gli Ubaldini si rubellaro al nostro Comune, e colla forza de' Ghibellini di Romagna e con certe bandiere a·ccavallo di meser Luchino di Milano assediarono la terra di Firenzuola; e andandovi di nostre genti di Mugello, ond'era guidatore uno de' Medici, per soccorrella male ordinati, furono per aguato sopresi e rotti a Rifredo; e pochi dì apresso ebbono Firenzuola per tradimento d'alcuno loro fedele che v'abitava dentro, e tutta l'arsono e disfeciono e ripuosono di sopra a quella Montecoloreto, e afforzallo; e per tradimento ebbono il castello di Tirli che nonn-era fornito, a gran vergogna del nostro Comune. E gli Ubertini e' Pazzi rubellarono Castiglione loro castello e Campogiallo e-lla Treggiaia, sicché intorno al nostro contado avea gran bollore stando la nostra oste in su quello di Lucca.



CXL - Come l'oste de' Fiorentini si strinse a Lucca per fornilla e nol potero fare, e Lucca s'arrendé a' Pisani

Partissi meser Malatesta colla nostra oste a dì VIIII di maggio da Grignano; e' Tedeschi delle nostre masnade per essere male ordinati rubarono tutto il nostro campo; e scesi al piano, s'accampò l'oste a San Piero in Campo di costa al fiume del Serchio, presso a' nimici intorno di due miglia; e quello dì giunse nel nostro per la via di Bologna e da Pistoia il duca da·tTecchi e Luffo Mastro e 'l Porcaro baroni del Bavero, con L armadure con XXV cavalieri a spron d'oro, ciascuno a grandi destrieri, molto nobile gente, col trattato ordinato a Trento in Alamagna col Bavero co' nostri ambasciadori, come adietro facemmo menzione. E il detto dì giunse alla detta nostra oste da Firenze il duca d'Atene con meser Uguiccione de' Bondelmonti e meser Manno de' Donati con da C cavalieri franceschi a nostri gaggi in sua bandiera. E a dì X di maggio la mattina per tempo si mosse l'oste da San Piero in Campo cavalcando schierati da uno e mezzo miglio verso i nimici richieggendogli di battaglia. Non vollono uscire di loro steccati, e di ciò feciono saviamente. La nostra oste, non potendo avere la battaglia, passarono due rami del fiume del Serchio; il terzo ramo era sì ingrossato per acqua ritenuta per li nimici e pioggia cominciata, che·lla sera non potero passare, e quella notte con gran disagio e sofratta di vittuaglia e di tutte cose, e asaliti da' nimici stettono in su quella isola, faccendo quella notte fare uno ponte di legname per passare sopra quello ramo di Serchio. E il dì apresso passò tutta l'oste di là alquanto sopra il colle di San Quirico, ov'era un forte battifolle guernito per li Pisani alla guardia del poggio e del ponte a San Quirico. Veggendo i Pisani passato per li nostri il fiume, temendo di perdere la fortezza di San Quirico sì vi mandarono più gente alla difesa, ed ebbe tra·lla nostra gente e·lla loro più badalucchi a danno di Pisani. E di certo si disse, se 'l capitano nostro avesse fatto pugnare l'oste verso la fortezza, i Pisani l'abandonavano ed era vinto il passo; che nonn-era comparazione la forza di nimici alla nostra gente, che solo i ribaldi e' ragazzi dell'oste nostra avrebbono vinto colle pietre il battifolle e 'l ponte. E di ciò fu assai ripreso meser Malatesta, il quale colla nostra oste valicò oltre, e accamparsi su 'n un poggio incontro al prato di Lucca, lasciandosi adietro la bastita e fortezza di San Quirico. E se 'l capitano fosse almeno isceso al piano di contra al prato di Lucca, si fornia allora la terra per forza, e partivasi l'oste di Pisani in rotta; però che non era ancora per li Pisani fatta chiusa né fortezza alcuna al prato di Lucca da quella parte. E oltre a·cciò i nostri ch'erano in Lucca, uomini e femmine e fanciulli, veggendo la potenza della nostra oste armati e disarmati uscirono nel prato sanza contasto di nimici. Il capitano nostro pur volle che·ll'oste s'accampasse al poggio quel dì, e·lla notte cominciò gran pioggia; ma però i Pisani non lasciaro di rafforzare il battifolle di San Quirico, e affossaro e steccarono il prato presso al Serchio, sicché i nostri non potessono valicare, e in sul prato ridussono tutta la loro potenza d'oste apetto a' nostri. E quivi dimorò la nostra oste per IIII dì sanza fare alcuna cosa con molta soffratta di vittuaglia per lo male tempo, e fu talora vi valse il pane soldi III; poi a dì XV di maggio raconciò il tempo. Uno messer Bruschino tedesco con sua bandiera e compagni valicò il Serchio in sull'ora di vespro, e cominciò badalucco co' nimici, e seguillo il duca d'Atene con sua gente, e ingrossò sì il badalucco, che più di MD cavalieri e più pedoni di nostri valicaro il fiume, e per forza ruppono gli steccati e misero in fuga i nimici; e se fossono seguitati da' nostri, e fosse stato più di giorno, e rimasi i nostri in sul prato, i nostri avieno la vittoria; ma la notte fece fare la ritratta. E in quella medesima notte i Pisani con molto affanno e sollecitudine rifeciono i fossi e steccati più forti che prima; e ricominciò la pioggia e 'l Serchio a crescere, sì che non si potea ben guadare in quello luogo, tante furono le traverse e difalte della nostra oste per mala condotta. Veggendo il nostro capitano così aforzato il campo di Pisani e non potendo fornire Lucca con sua grande vergogna e del nostro Comune e d'amici, si partì coll'oste domenica a dì XVIIII di maggio, e per li guadi de' rami del Serchio, ond'erano venuti; ripassaro il fiume e per la via d'Altopascio, e puosonsi in sul Cerruglio a dì XXI di maggio, e a quello dierono battaglia e no·ll'ebbono; e poi si partiro e tornaro in Valdarno con onta e vergogna e grande spendio di Fiorentini. E da Fucecchio si partiro a dì VIIII di giugno IIm cavalieri con molti pedoni, e cavalcaro in sul contado di Pisa faccendo danno assai; e CL cavalieri che de' Pisani venieno a Marti furono presi da' nostri. Ma dopo volta fu la buona providenza a venire sopra quello di Pisa. Quelli ch'erano in Lucca, veggendosi abandonati del soccorso di tanta potenza, cercaro loro accordo co' Pisani, e rendero loro la città di Lucca salve le persone con ciò che·nne vollono trarre, a dì VI di luglio MCCCXLII. E nota ch'al principio che·ll'oste nostra era a Grignano i Pisani vollono di patti, pace faccendo, dare di Lucca al nostro Comune CLXXXm di fiorini d'oro in sei anni, per quelli promessi a meser Mastino; e oltre a·cciò per omaggio dare a perpetuo ogn'anno per san Giovanni Xm fiorini d'oro, e uno palio con uno cavallo coverto di scarlatto di valuta di più di CC fiorini d'oro. I più di Fiorentini vi s'acordavano per fuggire spese e·lla guerra. Ma Cenni di Naddo, ch'allora era priore e il figliuolo in Lucca, uomo presuntuoso, no·ll'asentì mai, ma il contrariò con sua setta, e presesi il piggiore, come siamo usati. Onde per quello ch'avenne abassò molto lo stato de' Fiorentini, avendo più di IIIIm buoni cavalieri e popolo grandissimo, e perdere sì fatta gara e impresa per male consiglio e mala condotta e capitaneria; overo più tosto per lo giudicio di Dio, e per abassare la superbia e avara ingratitudine di Fiorentini e di loro rettori. Lasceremo alquanto di nostri fatti, ch'assai n'avemo detto a questa volta, e diremo d'altre cose che furono in altre parti in questi tempi. Ma non volemo lasciare di fare memoria della profezia, overo predestinazione, che·cci mandò da Parigi il savio e valente maestro Dionigi dal Borgo della nostra impresa di Lucca, come facemmo menzione adietro nell'altro volume nel capitolo della morte di Castruccio, che tutto fu vero; che quelli per cui mano avemmo la tenuta della signoria di Lucca fu Guiglielmo Canacci delli Scannabecchi di Bologna, vicario in Lucca e sindaco di mesere Mastino, ch'avea l'arme, come disse, nera e rossa, ciò era il campo rosso e uno becco nero. E come fu con grande affanno e spendio e vergogna del nostro Comune, assai chiaro si mostra a·cchi ha ben compreso l'aventure che di ciò occorsono, siccome per noi è fatta col vero adietro etterna memoria.



CXLI - Come in Mallina in Brabante s'aprese fuoco, e arse le due parti della terra

All'entrata di maggio MCCCXLII disaventurosamente s'aprese fuoco nella terra di Mallina in Brabante, e·ffu sì impetuoso e sanza avere rimedio di soccorso, che v'arsono più di Vm case, e andando l'uno parente a soccorrere la casa dell'altro, in poca d'ora avea novella la sua ardeva. E arse la grande chiesa e 'l palagio dell'Alla con più di XIIIIm panni, e morivvi molte persone, uomini e femmine e fanciulli, con infinito danno di case e maserizie e arnesi e altre mercatantie, che·ffu uno grande giudicio di Dio.



CXLII - Come il popolo d'Ancona cacciarono della terra i loro grandi

All'entrante di giugno del detto anno per ingiurie ricevute da certi grandi si levò in furia il popolo minuto d'Ancona, e si levò a romore e assaliro i nobili e grandi di loro città; e molti n'uccisero e fediro, e cacciaro della terra, e rubarono le loro case; e·cciò fu crudele operazione, che per alquanti accessi fatti per alcuni, tutti i noboli e·lli innocenti come i colpevoli così aspramente fossono puniti.



CXLIII - Come morì il duca di Brettagna, e·lla guerra ne seguì

Nel detto anno MCCCXLII morì il duca di Brettagna di suo male e sanza ereda maschio. Questi era per lo suo signoraggio il maggiore barone di Francia, e di XII peri; rimase di lui una figliuola la qual era moglie del siri di Valghere, e visconte di Limoggia; e questa donna avea una figliuola la quale Filippo di Valos re di Francia, morto il detto duca, maritò a Carlo di Bros suo nipote figliuolo della sirocchia, e fecelo duca di Brettagna, onde i Brettoni furono mal contenti, e quasi la maggior parte si rubellaro, e feciono duca il conte di Monforte, figliuolo che·ffu del fratello carnale del sopradetto duca, a·ccui succedea il retaggio per linea masculina; onde il re di Francia fu molto ripreso d'ingiustizia, mutando l'ordine e·lla consuetudine di baronaggi di Francia per lo nipote, e fece contro alla sua elezione medesima del reame, come è detto per noi inn altra parte, succedendo il retaggio per femmina. A·rre Aduardo d'Inghilterra succedea il reame di Francia per la madre; ma i signori si fanno e disfanno le leggi a·lloro vantaggio. Onde nacque grande guerra; che 'l detto conte di Monforte con parte di Brettoni s'allegò col re d'Inghilterra, e colle loro forze feciono molta guerra al re di Francia, come seguirà per inanzi. E del detto torto fatto al conte di Monforte per Filippo re di Francia tosto ne fece Iddio vendetta contro al detto re e contra il detto Carlo di Bros, come si troverrà inanzi l'anno MCCCXLVI e·ll'anno MCCCXLVII; però che niuna giusta vendetta rimane impunita, bene ch'ella s'indugi; e questo basti alla presente materia. Lasceremo al presente de' fatti d'oltremonti, e torneremo quando fia tempo e·lluogo; e cominceremo il tredecimo libro, come i Fiorentini per lo loro male stato elessono per loro signore il duca d'Atene, e conte di Brenna di Francia, onde seguì alla nostra città di Firenze grandi mutamenti e pericolosi come inanzi leggendo si potrà trovare.

Qui finisce il dodecimo libro

 

 



LIBRO TREDECIMO



I - Incomincia il tredecimo libro, come il duca d'Atene occupò la signoria di Firenze, e quello ne seguì

Convienne cominciare il XIII libro, però che richiede lo stile del nostro trattato; perch'è nuova materia, e grandi mutazioni e diverse rivoluzioni avennero in questi tempi alla nostra città di Firenze per le nostre discordie tra' cittadini, e male reggimento de' XX uficiali, come adietro fatto avemo menzione; e fieno sì diverse, ch'io autore, che fui presente, mi fa dubitare che per li nostri successori apena fieno credute di vero; e fu pur così, come diremo apresso. Tornata la detta nobile e grande oste e male aventurosa da Lucca, e rendutasi Lucca a' Pisani, i Fiorentini, parendo loro male stare, veggendo che meser Malatesta nostro capitano non s'era ben portato nella detta guerra, e per tema del trattato avuto col Bavero, come adietro toccammo, per istare più sicuri, elessono per capitano e conservadore del popolo messere Gualtieri duca d'Atene e conte di Brenna francesco, all'entrante di giugno MCCCXLII, col salaro, cavalieri e pedoni ch'avea mesere Malatesta, per termine d'uno anno. E vollesi a suo diletto overo segacità, per quella seguì apresso, tornare a Santa Croce al luogo di frati minori, e·lla gente sua d'intorno. E poi in calen di agosto apresso, finito il termine di meser Malatesta, gli fu agiunta la capitaneria generale della guerra, e che potesse fare giustizia personale in città e di fuori. Il gentiluomo veggendo la città in divisione, ed essendo cupido di moneta, che·nn'avea bisogno siccome viandante e pellegrino, e ben ch'avesse il titolo del ducato d'Atene no·llo possedea, e per suduzione di certi grandi di Firenze, che al continovo cercavano di rompere gli ordini del popolo, e di certi grandi popolani per essere signori e non rendere i debiti loro a·ccui dovieno dare, e·lle loro compagnie sentendosi in male stato, i quali per inanzi al luogo e tempo ci converrà per necessità fare memoria, al continuo a Santa Croce l'andavano a consigliare, di dì e di notte, che si recasse al tutto la signoria libera della città in mano; il quale duca per le cagioni dette, e vago di signoria, cominciò a seguire il malvagio consiglio, e ad essere crudele e tiranno, per lo modo che nel seguente capitolo faremo memoria, sotto titolo di fare giustizia, per essere temuto, e al tutto farsi signore di Firenze.



II - Di certe giustizie che 'l duca fece in Firenze per essere signore

Avenne che il dì di san Iacopo di luglio MCCCXLII, essendo molti Pratesi iti alla festa a Pistoia, Ridolfo di meser Tegghia de' Pugliesi venne per entrare in Prato, che·nn'era ribello, con forza degli Ubaldini e con Niccolò conte da Cerbaia, e con certi suoi fedeli, nimici de' Guazalotri, e de' nostri contadini masnadieri sbanditi in quantità di XL a cavallo e CCC a piè, che·lli dovea esere data l'entrata della terra; e per sua sventura no·lli venne fatto, ma fu preso con da XX nostri isbanditi andandosene per Mugello agli Ubaldini, e menato a Firenze. Il duca lasciò i nostri isbanditi, di cui avea la giuridizione, e al detto Ridolfo, che non gli era suddito né sbandito di Firenze, a torto gli fece tagliare il capo; e questa fu la prima giustizia che fece in Firenze, onde molto fu biasimato da' savi uomini di Firenze di crudeltà, e dissesi n'ebbe moneta da' Guazalotri di Prato suoi nimici, overo il fece come dice il proverbio di tiranni: "Chi a uno offende molti minaccia". Apresso all'entrante d'agosto fece pigliare meser Giovanni di Medici stato per lo nostro Comune podestà in Lucca, e fecegli tagliare il capo, aponendoli (e fece confessare) che per danari avea lasciato fuggire di Lucca nel campo di Pisani meser Tarlato d'Arezzo, cui avea in sua guardia; e i più dissero che non v'ebbe colpa, se non di mala guardia. Apresso del detto mese d'agosto fece pigliare Guiglielmo Altoviti stato per lo nostro Comune capitano d'Arezzo, e feceli tagliare il capo, trovando per sua confessione per lui fatte molte baratterie, e alcuni dissono fu procaccio e spendio di Tarlati d'Arezzo, i quali avea mandati presi a Firenze, come è detto adietro; e a·cciò diamo in parte fede; e condannò uno nipote di quello Guiglielmo e Matteo di Borgo stati inn-Arezzo e Castiglione Aretino, ciascuno in D fiorini d'oro, per baratterie. Ancora fece pigliare Naddo di Cenni di Naddo grande popolano, il quale era stato in Lucca camarlingo sopra le masnade, e fecegli rimettere in camera del Comune IIIIm fiorini d'oro, i quali si disse che con inganno avea avuti da' Pisani sotto falso trattato tenuto co·lloro, e giurato sopra Corpus Domini di far loro compiere l'accordo d'avere Lucca, quando Cenni di Naddo suo padre era priore di Firenze, come toccammo nel quinto capitolo adietro. E oltre a·cciò gli fece rimettere in camera fiorini IImD d'oro, i quali confessò avere guadagnati in Lucca nelle paghe de' soldati e vittuaglia; e per grazia e prieghi di molti popolani gli perdonò la vita, e prese da·llui mallevadori di fiorini Xm d'oro, e diegli i confini a Perugia. E per simile modo fece rimettere in camera a Rosso di Ricciardo de' Ricci, compagno e camarlingo del detto Naddo in Lucca, fiorini IIImDCCC d'oro confessati avuti in sua parte, e guadagnati in Lucca sopra i soldati e vittuaglia, e per simile modo per grandi prieghi perdonatogli la vita, e messo in prigione per l'avere e per la persona.



III - Come il duca ingannò e tradì i priori e prese la signoria di Firenze

Per le sopradette giustizie fatte per lo duca in persone e inn-avere di IIII popolani delle maggiori case di Firenze di popolo, Medici, Altoviti, Ricci, e Oricellai, il duca fu molto temuto e ridottato da tutti i cittadini, e i grandi ne presono grande baldanza, e il popolo minuto grande allegrezza, perch'avea messo mano ne' reggenti, magnificando il duca, gridando quando cavalcava per la città: "Viva il signore "; e quasi in ogni canto o palazzo di Firenze era dipinta l'arme sua per li cittadini, per avere sua benivolenza, e·cchi per paura. E in questi tempi ispirò e si compié l'uficio di XX rettori stati in Firenze e guastatori della republica per le cagioni dette ne' loro processi adietro, e lasciando il Comune in debito di più di CCCCm di fiorini d'oro a cittadini, sanza il debito promesso a meser Mastino. Per le quali cagioni il duca ne montò in grande pompa, e crebbegli la speranza del suo proponimento d'essere al tutto signore di Firenze col favore di grandi e del popolo minuto; e per consiglio di certi de' detti grandi ne richiese i priori ch'allora erano all'uficio. I detti priori cogli altri ordini, dodici e' gonfalonieri, e gli altri consiglieri, in nulla guisa vollono asentire di sottomettere la libertà della republica di Firenze sotto giogo di signore a vita, il quale non mai fu aconsentito o soferto per li nostri padri antichi né a 'mperadori, né a·rre Carlo, né suoi discendenti, e tanto fossero amici o confidenti in parte guelfa o ghibellina, né per isconfitte o male stato ch'avesse il nostro Comune. Il detto duca per sudducimento e conforto quasi di tutti grandi di Firenze, e spezialmente principali quelli della possente casa de' Bardi, e Frescobaldi, Rossi, e Cavalcanti, Bondelmonti, e Cavicciuli, e Donati, e Gianfigliazzi, e Tornaquinci, per rompere gli ordini della giustizia ch'erano sopra i grandi, e così promise loro il duca; e di popolo: Peruzzi, Acciaiuoli, Baroncelli, Antellesi e loro seguaci, per cagione del male stato delle loro compagnie, perché il duca gli sostenea inn-istato, non lasciandoli rompere, né strignere a' loro creditori; e gli artefici minuti, a·ccui spiacea il reggimento stato de' XX e di popolari grassi: tutti gli profersono aiuto in arme. Il duca, il qual era segace e nudrito in Grecia e in Puglia più che in Francia, veggendosi tanto favore, la vilia di nostra Donna di settembre mandò un bando per la città di fare parlamento la mattina vegnente in sulla piazza di Santa Croce per bene del Comune. I priori e gli altri rettori sentendo la traccia del duca e il suo male consiglio, e non sentendosi forti né proveduti, e temendo che faccendosi il detto parlamento non fosse discordia, e romore, e commovizione di città, sì andarono parte de' priori e di loro consiglio la sera a Santa Croce a trattare acordo col duca; e dopo molta tirata e dibattuta la querela, rimase molto di notte in questa concordia col duca, che 'l Comune di Firenze gli darebbe la signoria della città e contado per uno anno, oltre al tempo ch'elli l'avea, con quella giuridizione e patti e gaggi ch'ebbe meser Carlo duca di Calavra e figliuolo del re Ruberto gli anni MCCCXXVI; e questo accordo si fermò per vallate carte per più notai dell'una parte e dell'altra, e per suo saramento che conserverebbe in sua libertà il popolo e·ll'uficio di priori e gli ordini della giustizia, riducendosi il detto ordinato parlamento la mattina in sulla piazza di priori per confermare i patti di su detti. La mattina di nostra Donna, dì VIII di settembre, il duca fece armare sua gente intorno di CXX uomini a cavallo, ch'avea in Firenze de' suoi, e da CCC fanti a piè. Ma quasi tutti i grandi, salvo meser Giovanni della Tosa e' suoi consorti, furonvi co·llui, ch'aveno cavalli, e i detti popolani suoi amici con armi coperte, e l'acompagnaro da Santa Croce alla piazza de' priori presso ad ora di terza. I priori e gli altri ordini scesono del palagio, e assettati a·ssedere col duca sulla ringhiera, e fatta la proposta per meser Francesco Rustichelli giudice allora priore e aringando sopra·cciò; ma com'era ordinato il tradimento, non fu lasciato più dire, ma a grido di popolo per certi scardassieri e popolazzo minuto, e masnadieri di certi grandi, dicendo: "Sia la signoria del duca a vita a vita, e viva il duca nostro signore!". E preso per li grandi pesolone per metterlo in sul palagio, e perché il palagio era serrato gridarono: "Alle scure! "; sicché convenne s'aprisse, e tra per forza e inganno il misono in sul palagio in signoria; e' priori furono messi di sotto nel palagio nella camera dell'arme vilmente. E fu per certi grandi istracciato il libro degli ordini e gonfalone della giustizia, e poste le bandiere del duca in sulla torre, sonando le campane a Dio laudiamo. E fece la mattina due cavalieri, messer Cerritieri de' Visdomini suo scudiere e famigliare, e Rinieri di Giotto da San Gimignano capitano stato di fanti di priori, il quale aconsentì al tradimento a dare e aprire il palagio, ch'agevole gli era a difendere, com'era tenuto e dovea fare per suo uficio; e assentì al detto tradimento messer Guiglielmo d'Ascesi allora capitano del popolo, il quale rimase poi co·llui per suo bargello e carnefice, dilettandosi di fare crudeli giustizie d'uomini. Ma meser Meliaduso d'Ascoli allora podestà non volle consentire al tradimento del popolo di Firenze, anzi volle rinuziare l'uficio della podesteria; ben si disse per alcuno, tutto fece a frode e ipocresia, però che poi pure rimase uficiale del duca. I grandi feciono gran festa d'armeggiare, e·lla sera grandi luminare e falò. Ivi a due dì apresso si fece il duca confermare signore a vita per li opportuni consigli, e mise i priori nel palagio fu de' figliuoli Petri dietro a San Piero Scheraggio con XX fanti solamente, ove n'avieno prima cento, levando loro ogni uficio e signoria; e levò l'arme a tutti i cittadini brivileggiati, o di che stato si fosse, e poi all'ottava di nostra Donna fece il duca gran festa e solennità a Santa Croce per la sua signoria, e fece offerere più di CL prigioni; e 'l nostro vescovo sermonando molto il lodò e magnificò al popolo. In questo modo e tradimento usurpò il duca d'Atene la libertà della nostra città, e anullò il popolo di Firenze ch'era durato intorno di L anni, in grande libertà, e stato, e signoria. E noti chi questo leggerà come Iddio per le nostre peccata in poco di tempo diede e promise alla nostra città tanti fragelli, come fu diluvio, carestie, fame, e mortalità, e sconfitte, vergogne d'imprese, perdimenti di sustanza di moneta, e fallimenti di mercatanti, e danni di credenza, e ultimamente di libertà recati a tirannica signoria e servaggio. E però, per Dio, carissimi cittadini presenti e futuri, correggiamo i nostri difetti. Abbiamo tra noi amore e carità, acciò che piacciamo all'Altissimo, e non ci rechiamo a l'ultimo giudicio della sua ira, come assai chiaro e aperto ci mostra per le sue visibili minacce: e questo basti a' buoni intenditori, tornando a nostra matera de' processi del duca; che poi apresso ch'ebbe la signoria di Firenze, a dì XXIIII di settembre la signoria d'Arezzo, e quella di Pistoia, ove avea già suoi vicari il duca per lo Comune di Firenze, gli si dierono a vita, e poco apresso per simile modo gli si diè Colle di Valdelsa e San Gimignano e poi la città di Volterra, onde molto li crebbe lo stato e signoria, e ricolse a·ssé tutti i Franceschi e Borgognoni ch'erano al soldo inn-Italia, sicché tosto n'ebbe più di DCCC, sanza gl'Italiani; e molti suoi parenti e baroni vennero a·llui infino di Francia per la novella ita di là della sua signoria e groria. E quando ciò fu raportato al re Filippo di Francia suo sovrano, subitamente disse a' suoi baroni che gli erano d'intorno in sua lingua: "Alberges est le pelegrin, mas il i a mavoes ostes", il quale fu un propio motto e di vera sentenzia e profezia, come poco tempo apresso gli avenne. Ancora nonn-è da dimenticare di mettere in nota una brieve lettera d'amunizione di grande sentenzia, che·ssi trovò in uno suo forziere quando fu cacciato di Firenze, la quale gli avea mandata il re Ruberto come seppe ch'egli avea presa la signoria di Firenze sanza sua saputa o consiglio, la quale di latino facemmo recare in volgare per seguire il nostro stile, la quale dicea [...].



IV - La lettera che i·rre Ruberto mandò al duca d'Atene, quando seppe ch'avea presa la signoria di Firenze

"Non senno, non vertù, non lunga amistà, non servigi a meritare, non vendicatogli di loro onte, t'ha fatto signore de' Fiorentini, ma·lla loro grande discordia e il loro grave stato, di che se' loro più tenuto, considerando l'amore che t'hanno mostrato, credendosi riposare nelle tue braccia. Il modo ch'hai a tenere a volerli bene governare si è questo. Che·tti ritenghi col popolo che prima reggea, e reggiti per lo loro consiglio, non loro per lo tuo; fortifica giustizia e i loro ordini, e come per loro si governavano per sette, fa' che per te si governino per diece, cioè numero comune, che lega in sé tutti i singulari numeri, ciò vuol dire no·lli reggere per sette né divisi, ma a comune. Abbiamo inteso che traesti quelli rettori della casa della loro abitazione, cioè de' priori, nel palagio del popolo fatto per loro contentamento del propio; rimettilivi, e abiterai nel palagio ove abitava nostro figliuolo, cioè nel palagio della podestà, ove abitava il duca di Calavra, quando fu signore in Firenze. E se questo non farai, non ci pare che·ttua salute si possa stendere inanzi per ispazio di molto tempo. Re di Gerusalem e di Cicilia. Data a Napoli a dì XVIIII di settembre MCCCXLII,... indizione". E nonn-è da lasciare di fare memoria d'una sformata mutazione d'abito che·cci recaro di nuovo i Franceschi che vennero al duca in Firenze; che colà dove anticamente il loro vestire ed abito era il più bello, nobile e onesto, che null'altra nazione, a modo di togati Romani, sì·ssi vestieno i giovani una cotta overo gonnella, corta e stretta, che non si potea vestire sanza aiuto d'altri, e una coreggia come cinghia di cavallo con isfoggiate fibbie e puntale, e con grande iscarsella alla tedesca sopra il pettignone, e il capuccio vestito a modo di sconcobrini col batolo fino alla cintola e più, ch'era capuccio e mantello, con molti fregi e intagli; il becchetto del capuccio lungo fino a terra per avolgere al capo per lo freddo, e colle barbe lunghe per mostrarsi più fieri inn-arme. I cavalieri vestivano uno sorcotto, overo guarnacca stretta, ivi su cinti, e·lle punte de' manicottoli lunghi infino in terra foderati di vaio e ermellini. Questa istranianza d'abito, non bello né onesto, fu di presente preso per li giovani di Firenze e per le donne giovani di disordinati manicottoli, come per natura siamo disposti noi vani cittadini alle mutazioni de' nuovi abiti, e i strani contraffare oltre al modo d'ogni nazione sempre al disonesto e vanitade; e non fu sanza segno di futura mutazione di stato. Lasceremo di ciò, e diremo d'altre novità di fuori che furono ne' detti tempi.



V - Come i Ghibellini d'Arezzo entrarono per furto nella terra, e furonne cacciati

Nel detto anno, a dì VII di giugno, non esendo ancora il duca al tutto signore di Firenze, se non capitano della guardia della terra e come generale della guerra, i Tarlati rimasi fuori d'Arezzo coll'aiuto del capitano di Furlì, e di quello di Cortona, e que' da Faggiuola, e Pazzi di Valdarno, e Ubertini, in quantità di CCC cavalieri e IIIm pedoni, la mattina per tempo, per trattato di certi Ghibellini ch'erano dentro, furono intorno ad Arezzo, e·ffu data loro porta Buia, e quella tagliata ed aperta, e buona parte entrati dentro per correre la terra. Le masnade del duca e del Comune di Firenze ch'erano in Arezzo a·ccavallo e a piè cogli altri cittadini guelfi francamente combattendo difesono la terra, e cacciarne fuori per forza i nimici con gran danno di morti e di presi. E poi cacciarono d'Arezzo molti Ghibellini chi per ribelli e·cchi a' confini, i quali poi con molte castella de' Tarlati, e che rubellaro, feciono gran danno ad Arezzo. E poi, a dì XXVIIII di luglio, meser Tarlato con CCCC cavalieri e pedoni assai valicò l'Ambra, e venne di qua da Montevarchi, guastando quello ch'era di fuori sanza niuno contasto. E in que' tempi Francesco di Guido Molle degli Ubertini, fratello del vescovo d'Arezzo, rubellò al Comune di Firenze il loro Castiglione per tradimento di certi terrazzani, salvo la torre ch'era in sulla porta, che v'era il castellano per lo duca; il quale Francesco male proveduto, e per lo soccorso tostano delle nostre masnade a cavallo e a piè ch'erano in Montevarchi, cogli altri Valdarnesi si ricoverò il castello, e fu preso il detto Francesco e menato a Firenze, e il duca gli fece tagliare il capo; e poi il detto Castiglione delli Ubertini prima tutto rubato, e poi tutto arso e diroccato e disfatto.



VI - Quando morì Carlo Uberto re d'Ungheria

Nel detto anno, d'agosto, morì Carlo Uberto re d'Ungheria nipote del re Ruberto e figliuolo fu di Carlo Martello; del quale fu gran danno, però ch'era signore di gran valore in prodezza. Rimasene III figliuoli, Lodovico, e Andreas; il quale Lodovico primogenito fu coronato d'Ungheria, e... secondo overo terzo figliuolo fu coronato re di Pollonia, e poco tempo apresso la reina d'Ungheria, moglie che·ffu del detto Carlo Uberto e figliuola del re di Pollonia valente e savia donna, saputa la morte del re Ruberto, che morì il gennaio vegnente, come tosto apresso si farà menzione, sì passò in Puglia e a Napoli all'altro suo figliuolo Andreas, a·ccui succedea il reame di Cicilia e di Puglia, con molti grandi baroni ungheri, per dare favore e consiglio al detto Andreas, ch'era molto giovane; e all'altro figliuolo... rimase il reame da Pollonia per retaggio della madre.



VII - Come il papa fece più cardinali, tra' quali fu un nostro Fiorentino

Nel detto anno, per le digiune di settembre, papa Clemento sesto apo Vignone, ov'era la corte, fece X cardinali, i nove oltramontani, e·ll'altro messere Andrea Ghini Malpigli di Firenze antico cittadino d'Orto San Michele, il quale era vescovo di Tornai, e molto amico del re di Francia, e a·ssua preghiera fu fatto cardinale. Ma, come piacque a·dDio, morì fra·ll'anno andando inn-Ispagna per legato, onde fu gran danno, ch'era savio e valoroso, e·sse fosse vivuto avrebbe fatto onore e pro alla nostra città. Abbianne fatta memoria, perché pochi cardinali o papa sono stati in tanta città com'è Firenze, per lo poco studio che' Fiorentini fanno fare a' loro figliuoli in chericia, a·lloro difetto. Funne il cardinale Attaviano degli Ubaldini; e dicesi, ma no·llo afermiamo, fu un papa fiorentino di casa Papeschi, e uno cardinale di Bellagi di porta San Piero al tempo d'Arrigo terzo imperadore. Lasceremo alquanto delle novità d'intorno, e seguiremo i processi del duca d'Atene.



VIII - Quello che 'l duca d'Atene fece in Firenze mentre ne fu signore

Come il duca d'Atene fu fatto a vita signore di Firenze per lo modo detto adietro, per avere meno a contendere di fuori, e credendosi fortificare dentro il suo stato e signoria, sì fece di presente pace e accordo co' Pisani e con tutti i loro allegati, non guardando ad onte o vergogne del Comune di Firenze ricevute, ove i Fiorentini speravano ch'elli facesse ogni loro vendetta; e a dì XIII d'ottobre si piuvicò e bandì in questo modo, che·lla città di Lucca rimanesse a' Pisani per XV anni, e poi lasciarla inn-stato comune, e rimettendo al presente li usciti guelfi in Lucca che tornare vi volessono, e rendendo loro i loro beni, mettendovi il duca podestà cui elli volesse, il detto tempo rimanendo a' Pisani la guardia del castello dell'Agosta ch'è in Lucca, e tutta la guardia e dominazione della terra, che·lla podestà per lo duca non avea altro che 'l salaro e 'l nome, che altra signoria poco potea fare più che piacesse a' Pisani, ma pure era una posessione per lo nostro Comune, e freno a' Pisani mentre che 'l duca dominava Firenze, e dando i Pisani al duca ogn'anno per censo per lo san Giovanni VIIIm fiorini d'oro in una coppa dorata d'argento, faccendo franchi i Fiorentini in Pisa per V anni, ove prima eravamo franchi per sempre per li patti antichi, rimanendo d'accordo a' Fiorentini tutte le castella di Valdarno e di Valdinievole, che·ssi tenieno, e Barga e Pietrasanta; e che i Fiorentini dovessono rimettere in Firenze e trarre di bando tutti i loro rubelli e usciti, e nuovi e vecchi, stati al servigio e lega di Pisani, e perdonare agli Ubaldini e Pazzi e Ubertini, e lasciare di prigione i Tarlati d'Arezzo e rendendo loro pace, e trarre di prigione meser Giovanni Visconti di Milano; e così fu fatto di presente; al quale meser Giovanni Visconti il duca vestì nobilemente, e diè cavalli e danari, e fatto acompagnare infino a Pisa, e domandando a' Pisani il mendo di suoi danni e interessi avuti per loro, gli ingrati Pisani nol vollono udire, ma apuosogli ch'egli era venuto in Pisa per trattare cospirazione nella terra per lo duca, e convenne si partisse villanamente nella terra; della quale cosa meser Luchino signore di Milano prese molto sdegno contro a' Pisani, come si potrà trovare leggendo. Per lo detto accordo dal duca a' Pisani tornaro i Bardi e' Frescobaldi e' loro seguaci in Firenze, e' Pisani lasciarono ogni prigione fiorentino e·lloro allegati ch'erano presi in Pisa e in Lucca. A dì XV d'ottobre il duca fece nuovi priori, i più artefici minuti, e mischiati di quelli che loro antichi erano stati Ghibellini; e diè loro un gonfalone di giustizia così fatto di tre insegne, ciò fu di costa all'asta l'arme del Comune, il campo bianco e 'l giglio rosso; e apresso in mezzo la sua il campo azurro biliottato col leone ad oro, e al collo del leone uno scudetto dell'arme del popolo; apresso l'arme del popolo il campo bianco e·lla croce vermiglia, e di sopra il rastrello del re; e mise i priori nel palagetto ove prima stava l'esegutore in sulla piazza con poco uficio e minore balìa, se non il nome, e sanza sonare le campane a martello o congregare il popolo, com'era usanza. Del detto nuovo e disimulato gonfalone i grandi ch'avieno fatto signore il duca e crediansi ch'al tutto il duca annullasse il popolo in detto e in fatto, come avea promesso loro, si turbarono forte, e massimamente perché in que' dì fece condannare subitamente uno de' Bardi in Vc fiorini d'oro o nella mano, perch'avea stretta la gola a uno suo vicino popolano che·lli dicea villania. E così puttaneggiava e disimulava il duca co' cittadini, togliendo ogni baldanza a' grandi che·ll'aveano fatto signore, e togliendo la libertà e ogni balìa e uficio, altro che 'l nome de' priori, e al popolo; e cassò l'uficio di gonfalonieri delle compagnie del popolo, e tolse loro i gonfaloni, e ogni altro ordine e uficiali di popolo cassò, se non a suo beneplacito ritegnendosi co' beccari, vinattieri, scardassieri e artefici minuti, dando loro consoli e rettori al loro volere, dimembrando gli ordini antichi dell'arti a·ccui erano sottoposti per volere maggiori salari di loro lavorii. Per le sudette cagioni e altre fatte per lui, come si troverrà leggendo assai poco apresso, si criò conspirazione contro al duca per li grandi e popolani medesimi che·ll'avieno fatto signore, come tosto si potrà trovare. E fece torre tutte le balestra grosse a' cittadini, e fece fare l'antiporte al palagio del popolo, e ferrare le finestre della sala di sotto per gelosia e sospetto de' cittadini, e fece comprendere tutto il circuito dal detto palazzo a quelli che furono di figliuoli Petri, e·lle torri e case di Manieri e di Mancini, e di Bello Alberti, comprendendo tutto l'antico gardingo e ritornando in sulla piazza. E il detto compreso fece cominciare e fondare di grosse mura e torri e barbacani per farne col palagio insieme uno grande e forte castello, lasciando il lavorio di deficare il ponte Vecchio, ch'era di tanta necessità al Comune di Firenze, togliendo di quello le pietre conce e legname. Fece disfare le case di Santo Romolo per fare piazza al castello infino nel Garbo. E mandò a corte al papa per licenza di disfare San Piero Scheraggio, e Santa Cicilia, e Santo Romolo, ma no·lli fu assentito per la Chiesa. Fece torre a' cittadini certi palagi e fortezze e belle case ch'erano nelle circustanze del palagio, e misevi suoi baroni e sua gente sanza pagare alcuna pigione. Fece fare alle porti nuovi antiporti di costa a' vecchi per più fortezza, e rimurare le porte. Di donne e di donzelle di cittadini per sé e per sue genti cominciato a·ffare di forze e villanie e di laide cose; intra·ll'altre per cagione di donna tolse San Sebbio a' poveri, della guardia dell'arte di Calimala, e diello altrui illicitamente. E per amore di donna rendé gli ornamenti alle donne di Firenze, e fece fare il luogo comune delle femmine mondane, onde il suo maliscalco traeva molti danari. Fece fare le paci tra' cittadini e contadini, e questo fu il meglio che facesse, ma bene ne guadagnò egli e' suoi uficiali grossamente da coloro che·lle richiedieno. Levò gli assegnamenti a' cittadini sopra le gabelle, di danari convenuti loro prestare per forza al Comune per fornire la 'mpresa di Lombardia e quella di Lucca, come adietro è fatta menzione, ch'erano più di CCCLm di fiorini d'oro, asegnati in più anni con alcuno guiderdone. E questo fu gran male, e onde i cittadini più si gravaro, e·ffu rompimento di fede al Comune; e molti cittadini, che dovieno avere grossamente dal Comune, ne furono diserti; e recò a·ssé tutte le gabelle, che montavano l'anno più di CCm di fiorini d'oro sanza l'altre entrate e gravezze. Fece fare e pagare l'estimo in città e in contado, che montò più di LXXXm di fiorini d'oro, onde i grandi e' popolani e' contadini, che vivono di loro rendite, si tennono forte gravati. E quando fece fare l'estimo, promisse e giurò a' cittadini di non fare loro altre gravezze d'imposte o di prestanze, o di nuove gabelle, ma no·llo oservò, ma al continovo gravava i cittadini di prestanze, e facea criare e crescere nuove e sforzate gabelle per uno ser Arrigo Fei; e quelli era suo amico, che sapea trovare modi d'avere danari, onde che venissono. E in X mesi e XVIII dì ch'elli regnò gli vennero a mano di gabelle e d'estimo, gravezze, e condannagioni, e altre entrate presso di CCCCm di fiorini d'oro pure di Firenze, sanza quelli che traeva delle terre vicine ch'elli signoreggiava, de' quali rimandò tra in Francia e in Puglia più di CCm di fiorini d'oro, però che non tenea tra tutte le terre che signoreggiava DCCC cavalieri, e quelli mal pagava; ma al bisogno della sua rovina se n'avide a suo danno e vergogna. Gli ordini de' suoi uficiali e consiglieri erano in questo modo. I priori, come avemo detto, erano in nome, ma non in fatto, sanza alcuna balìa. Era la podestà mesere Baglione da Perugia, che guadagnava volentieri; messer Guiglielmo d'Ascesi chiamato conservadore overo assessino di lui e bargello, e stava nel palagio de' Cerchi bianchi nel Garbo. Tre giudici avea ordinati, che·ssi chiamavano della Sommaria, che tenieno corte nelle nostre case e cortili e logge de' figliuoli Villani da San Brocolo; questi giudici rendieno ragione di fatto con molte baratterie; e uno meser Simone da Norcia giudice sopra rivedere le ragioni del Comune, ed era più barattiere che coloro cui condannava per baratterie, abitava nel palagio fu de' Cerchi dietro a San Brocolo. Di suo consiglio era il vescovo della Leccia sua terra di Puglia; e suo cancelliere Francesco il vescovo d'Ascesi fratello del conservadore; il vescovo d'Arezzo degli Ubertini, e meser Tarlato, e il vescovo di Pistoia e quello di Volterra, e messere Attaviano de' Belforti: questi tenea per sicurtà delle loro terre, e vescovi per una sua coperta ipocresia. Con cittadini avea di rado consigli, e poco gli prezzava e meno gli oservava, ristrignendosi solo al consiglio di meser Baglione, e del conservadore, e di mesere Cerritieri de' Visdomini, uomini corrotti in ogni vizio a·ssua maniera, faccendo i suoi dicreti di fatto e sotto suo sugello, il quale il suo cancelliere si facea bene valere. Signore era di poca fermezza e di meno fede di cosa che promettesse, cupido e avaro e mal grazioso; piccoletto di persona e brutto e barbucino; parea meglio Greco che Francesco, segace e malizoso molto. Fece al suo conservadore impiccare meser Piero di Piagenza uficiale della mercatantia opponendoli baratterie, e che mandava lettere a meser Luchino da Melano, e·cchi disse li fé in parte torto. Fece costrignere i mallevadori di Naddo di Cenni, ch'era a' confini a Perugia, che tornasse con sua sicurtà, e·llui tornato a dì XI di gennaio, non oservandoli fede, il fece impiccare e colla catena in collo, acciò che non si potesse ispiccare, e tolse a' suoi mallevadori VmDXV fiorini d'oro, opponendo gli avea frodati al Comune in Lucca, oltre agli altri levatoli prima, e tutti i suoi beni confiscò a·ssé, opponendogli ch'egli avea trattato col Comune di Siena e con quello di Perugia contro a·llui, i quali non amavano la vicinanza e signoria del duca; e forse in parte fu vero. Questo Naddo fu un sottile e sagace uomo, e molto grande e prosuntuoso in popolo e in Comune, ma bene guadagnava volontieri. Il padre, Cenni di Naddo, stato molto grande in Comune, per dolore del figliuolo e tema del duca si fece frate di Santa Maria Novella, e fece bene dell'anima sua, se 'l fece con buona intenzione, per fare penitenzia delle colpe commesse in Comune, e spezialmente inn-isturbare l'accordo co' Pisani onorevole assai per lo nostro Comune, come toccammo adietro. In questi tempi, del mese di marzo, fece il duca lega e compagnia co' Pisani, e taglia di IIm cavalieri contro a ogni loro aversaro, i Pisani tenere DCCC cavalieri e 'l duca MCC cavalieri; la qual compagnia molto spiacque ai Fiorentini e a tutti i Toscani guelfi, e poco s'oservò, perché non era piacevole mischiato, né buona compagnia. Del mese di marzo detto il duca fece in contado VI podestadi, uno per sesto, con grande balìa di potere fare giustizia reale e personale e con grandi salari, e i più furono de' grandi, che di nuovo erano stati rubelli, rimessi in Firenze di poco. La qual nuova signoria molto spiacque a' cittadini, e più a' contadini, che portavano la spesa e gravezza. Fece pigliare uno Matteo di Motozzo, e in su uno carro atanagliare, e poi tranare sanz'asse, e impiccare, perch'avea rivelato uno trattato de' Medici e d'altri che doveano offendere il duca, e nol volle credere, a suo pericolo e danno di quello, gli avenne. L'ultimo dì di marzo fece impiccare in su Monterinaldi Lamberto degli Abati, il quale era stato valente uomo all'oste nostra a Lucca della masnada di meser Mastino, perch'elli gli avea rivelato uno trattato che certi grandi tenieno contro al duca con meser Guidoriccio da Fogliano capitano della gente di mesere Mastino, opponendoli il contrario, che tenea trattato con meser Mastino di torli la signoria. La qual cosa non fu vero, ma·ffu vero quello ch'è detto; ma per le sue opere vivea in grande sospetto e gelosia, e chiunque gli rivelava trattato o da beffe o da dovero, o parlava contro a·llui, facea morire; onde più altri di piccolo affare fece a torto morire di crudeli tormenti per mano del suo carnefice conservadore di male opere. Per la Pasqua della Resurresione, MCCCXLIII, tenne gran festa a' cittadini e suoi baroni conostaboli e soldati con grandi corredi, ma con mala voglia di cittadini, e fece tenere giostre nella piazza di Santa Croce per più dì, ma pochi cittadini vi giostrarono, che·ggià a' grandi e a' popolani cominciavano a spiacere i suoi processi. All'uscita d'aprile MCCCXLIII ordinò e cominciò ad afforzare e chiudere San Casciano e afforzare per riducervi dentro le villate d'intorno, e che·ssi chiamasse Castello Ducale, ma poco andò inanzi. Fecesi in Firenze sei brigate di festa, di gente di popolo minuto vestiti insieme ciascuna brigata per sé, e danzando per la terra. La maggiore fu nella Città Rossa, e il loro signore si nomò lo 'mperadore. L'altra a San Giorgio col Paglialoco; ed ebbono zuffa tra queste due. E una ne fu a San Friano, e una nel borgo d'Ognisanti. L'altra in quello di San Pagolo. L'altra nella via larga delli spadai; e·ffu motiva e assento del duca per recarsi all'amore della Comune e popolo minuto, per quella sforzata vanità; ma poco gli valse al bisogno. Per la festa di san Giovanni fece fare l'oferta all'arti al modo antico sanza gonfaloni, e·lla mattina della festa oltre a' ceri usati delle castella, ch'erano da XX, ebbe da XXV pali di drappi ad oro, bracchetti, sparvieri e astori per omaggio d'Arezzo, Pistoia, Volterra, San Gimignano, Colle, e da tutti i conti Guidi, da Mangona, Cerbaia, e da Montecarelli, e Puntormo, Ubaldini, Pazzi, e Ubertini, e d'ogni baroncello d'intorno, che·ffu coll'oferta de' ceri una nobile festa; e raunarsi i detti ceri e pali e·lli altri tributi in su la piazza di Santa Croce, e poi l'uno apresso l'altro andaro al palagio ov'era il duca, e poi a San Giovanni. Fece aggiugnere al palio dello sciamito chermisi di foderallo a rovescio di vaio isgrigiato quant'era l'asta, ch'era molto ricco a vedere. La festa fece ricca e nobile, e·ffu la prima e sezzaia che dovea fare in Firenze per le sue opere. All'uscita di giugno fece fare una sconcia giustizia, che a uno Bettone Cini da Campi, de' menatori de' buoi dell'antico carroccio, il quale di poco l'avea il duca fatto di priori, e per la dignità del carroccio vestitolo di scarlatto, però che, poi ch'elli uscì dell'uficio, si dolfe e disse alcuna parola oziosa per una imposta gli era fatta per lo duca, gli fece cavare la lingua infino allo strozzule e con essa inanzi in su una lancia per diligione mandandolo per la terra, e poi pintone fuori a' confini a Pesero, ove poco apresso per quella tagliatura della lingua morì. Di questa giustiza si turbaro molto i cittadini, e ciascuno la riputava in sé di non potere parlare, né dolersi de' torti e oltraggi; ma la persona di Bettone era degna di quello, e di peggio, ch'egli era publicano e villano gabelliere, e colla piggiore lingua ch'uomo di Firenze, sì che morì nel peccato suo. A dì II di luglio il duca fermò compagnia e taglia con messere Mastino della Scala, e co' marchesi da Esti, e col signore di Bologna, e co·llui contrasse parentado, ma più gli era utole la compagnia e benivolenza de' buoni cittadini di Firenze, la quale al tutto s'avea levata e tolta, e quella che fece con quelli signori poco o niente li valsono al suo bisogno, e poco durò. Assai avemo detto sopra i processi e opere del duca d'Atene fatte in Firenze mentre ne fu signore, e non si potea fare di meno, acciò che sieno manifeste le cagioni perché i Fiorentini si rubellaro della sua signoria, e prendano assempro per lo innanzi quelli che sono a venire di non volere signore perpetuo né a vita. Lasceremo alquanto di questa matera, faccendo incidenza, per raccontare altre novità che furono altrove in questi tempi, tornando assai tosto a contare la fine ch'ebbe in Firenze la sua signoria. Ma di tanto volemo fare prima memoria, e questo sentimmo e sapemmo di vero. Il dì e·ll'ora che prese la signoria, per savi astrolaghi fu preso l'ascendente che·ffu gradi XXII del segno della Libra, segno mobile e opposito del segno d'Aries significatore di Firenze, e in termine di Marti, e Marti nostro significatore era nel detto segno della Libra contrario alla sua casa, e il suo signore Venus nel Leone gradi VIII faccia di Saturno e contradio alla sua tripricità. Per la quale costellazione dissono d'accordo che·lla sua signoria non dovea compiere l'anno, e con mala uscita e vituperevole e con molti tradimenti e romori con arme, ma con pochi micidi. Ma più credo che fosse la cagione il suo male reggimento e·lle sue ree opere per lo suo pravo libero albitro, male usandolo.



IX - D'una compagna di gente d'arme che feciono i soldati de' Pisani

Come fu fatta la pace dal duca d'Atene e Pisani, come dicemmo adietro, quasi tutti i soldati ch'erano co' Pisani, intorno di MD Tedeschi a cavallo e più di IIm pedoni di masnade Ghibellini, si partirono di Pisa e feciono una compagna con alcuno piccolo soldo de' Pisani per levarglisi d'adosso, e fare far danno a' loro vicini. Vennero per quello di San Miniato, e di San Gimignano, e Colle sanza fare danno alcuno, né toccaro di nostro contado, perch'erano alla signoria del duca; il borgo di Staggia guastarono, e poi stettono più dì a fonte Beccia, tanto che' Sanesi si ricomperarono IIIIm fiorini d'oro; e però non lasciarono di rubare e ardere più loro villate di Valdambra, e simile feciono in Valdichiane sopra quello di Perugia; e dissesi che·cciò fu ordine del duca d'Atene co' Pisani; e·cche vi misse danari per fare danno a' Sanesi e Perugini, però ch'avieno rifiutata sua signoria e compagnia, e voleano vivere liberi e franchi. E poi cresciuta la detta compagnia, valicaro in Romagna e sopra a Rimino per fare vergogna a meser Malatesta stato nostro capitano di guerra, e feciono danno assai; poi si distribuì e partì a soldo di signori e Comuni tra in Romagna e in Lombardia, e venne meno la detta compagna.



X - Quando morì il re Ruberto

Nell'anno MCCCXLII, a dì XVIIII di gennaio, passò di questa vita il re Ruberto re di Gerusalem e di Cicilia e di Puglia di sua malattia nella città di Napoli. E inanzi che morisse, come savio signore dispuose i suoi fatti per l'anima cattolicamente, siccome a tanto signore e divoto di santa Chiesa si convenia. Vivette da LXXX anni, e regnò in Puglia anni XXXIII e mesi. E perch'egli non avea figliuoli altro che due nipote, figliuole che furono del duca di Calavra suo figliuolo, inanzi che morisse, la maggiore fece sposare ad Andreas duca di Calavra e figliuolo che fu del re d'Ungheria suo nipote, come gli avea promesso, e fecelo cavaliere, e farli fare omaggio a·llui e alla moglie a tutti i baroni del Regno, siccome succedente re e reina. Lasciolli grande tesoro, e perch'egli era di piccola età, ordinò i suoi principali baroni governatori e guardiani di lui e del regno a beneplacito della Chiesa. Sopellissi al monistero di Santa Chiara in Napoli, il quale elli avea fatto fare e riccamente dotato a grande onore. E in Firenze se ne fece cordoglio ed esequio molto solenne e di grande luminaria, e di molta buona gente e signori cherici e laici al luogo de' frati minori a dì XXXI di gennaio. L'aprile seguente il duca di Durazzo nipote del re Ruberto, figliuolo di meser Gianni suo fratello, con dispensagione del papa per procaccio del cardinale di Peragorgo zio del detto duca, sposò l'altra figliuola fu del duca di Calavra, per retare il reame, se·ll'altra sirocchia morisse sanza reda, onde nacque grande isdegno tra·lloro e·lla reina sua zia figliuola fu del re di Maiolica, e moglie del re Ruberto; non avendo figliuolo, compiuto l'anno, si commisse nel monistero a Santo Piero a Castello, ch'ella fatto fare. Questo re Ruberto fu il più savio re che fosse tra' Cristiani già·ffa cinquecento anni, sì di senno naturale sì di scienzia, come grandissimo maestro in teologia e sommo filosofo. Dolce signore e amorevole fu, e amicissimo del nostro Comune, di tutte le virtù dotato, se non che poi che cominciò a 'nvecchiare l'avarizia il guastava in più guise; iscusavasene per la guerra ch'avea per raquistare la Cicilia, ma non bastava a tanto signore e così savio com'era in altre cose.



XI - Come papa Clemento VI ordinò il giubileo e perdono a·rRoma nel L anno

Nel detto anno MCCCXLII, del mese di gennaio, papa Clemento VI apo Vignone in Proenza, dov'era la corte co' suoi cardinali e molti vescovi e arcivescovi, ricordandosi che papa Bonifazio VIII avea ritrovato che 'l giubileo, cioè di C anni in C anni chi andasse a Roma confesso e pentuto di suoi peccati e vicitasse per XV dì continui la chiesa di San Piero e di San Pagolo, gli era perdonato colpa e pena, durando per uno anno il detto perdono, e quello confermato l'anno MCCC, come adietro facemmo menzione, parendo al detto papa e cardinali ch'aspettando l'altro centesimo molti fedeli cristiani che sono vivi per le corte vite degli uomini saranno morti, onde molto perderebbono la grazia e 'l benificio, sì ordinò e confermò che 'l detto giubileo e perdono fosse di L anni in L anni, cominciando l'anno MCCCL per la natività di Cristo, ritraendo per l'autorità della sacra iscrittura che di L anni in L anni si celebrava il giubileo di figliuoli d'Isdrael per comandamento di Dio, tutto fosse in altra forma. Della qual cosa il detto papa e suoi cardinali molto furono commendati da tutti i Cristiani, e maggiormente da' Romani, che·nn'aspettavano la grascia.



XII - D'uno gran fuoco che·ffu in Pietrasanta

Nel detto anno, del mese di febraio, per fuoco apreso, e·cchi disse fatto mettere per li Pisani, arse gran parte di Pietrasanta, salvo la rocca, e·lli abitanti la volieno abandonare, se non che 'l duca d'Atene, a·ccui guardia era per lo nostro Comune, mandò loro danari e C moggia di grano per sovvenire la loro necessità, e fu ben fatto.



XIII - D'alcuna novità stata in Firenze in questo anno

Nel detto anno e mese di febraio per impetuoso vento caddono le mura del nuovo dormentoro di frati di San Marco, e morìvi sotto due frati e uno laico; ben erano le mura per povertà assai sottili e mal fondate. E nel detto anno si mise la nuova via dal Pozzo Toscanelli su per la costa di sopra Santa Felicita e sopra la chiesa di San Giorgio infino alla porta che va inn-Arcetri, acciò che' popolani d'Oltrarno potessono soccorrere al bisogno la detta porta, e andare spediti intorno alle mura d'Oltrarno sanza convenirli andare sotto la forza di Rossi e di Bardi, e fu ben fatto per lo popolo. Ancora si recò la misura dello staio, ove si facea al colmo, perché vi s'usava frode si recò a raso, crescendo il colmo nel raso, e più da libra I e mezza in II lo staio del grano; e questo anno valse lo staio del grano da soldi XX, e il seguente anno del MCCCXLIII valse da soldi XXV. E il vino comune di vendemmia carissimo da fiorini V in VI cogno, di soldi LXV e mezzo il fiorino.



XIV - Come Messina fu rubellata a que' d'Araona che·lla signoreggiava, e come la raquistò

Nel detto anno, anzi da due mesi che il re Ruberto morisse, per suo trattato con certi rubelli di quello don Piero che tenea Cicilia, ciò erano que' della casa de' Palizzi i più possenti di Messina, per loro amici e di loro setta corsono la città di Messina con armata mano, e uccisono il vicaro, overo capitano, che v'era per lo loro re, e più di sua gente, e presono il forte castello di San Salvadore, ch'è sopra il porto di Messina; e·cciò fatto, mandarono XXX di loro stadichi a Melazzo per dare di loro fidanza al conte Scalore delli Uberti di Firenze, che v'era per capitano per lo re Ruberto, fatto rubello di don Piero, che mandasse sua gente per la terra e per lo castello, il quale vi mandò quelli che poté, non isfornendo Melazzo. Ancora mandarono a Napoli al re Ruberto per soccorso, il quale se di sùbito v'avesse mandato, come potea e dovea, sanza fallo avea raquistata Messina, e poi tutta l'isola; ma·lla tardezza del re Ruberto e·lla sua avarizia, la quale guasta ogni nobole impresa, o forse volle Idio o promisse per non darli tanta gloria mondana inanzi che morisse, tardò tanto il soccorso, che in quella stanza don Guiglielmo figliuolo fu di don Federigo, guardiano e vicario dell'isola per lo figliuolo del re Piero suo fratello, ch'era di poca età, venne a Messina con CCCC cavalieri e popolo assai, e per li cittadini di sua setta contradi di Palizzi li fu data l'entrata della terra, e corse la città di Messina, e uccisono e cacciaro tutti i loro ribelli e genti che v'erano per lo re Ruberto; e per forza di navi e cocche ch'erano nel porto fece combattere Santo Salvadore, e raquistollo, uccidendo quanti dentro ve n'avea. E nota, che·ssi confa alquanto alla presente matera, ch'è delle maraviglie del secolo, i figliuoli di meser Scalore delli Uberti nostri cittadini Ghibellini e rubelli, e quelli d'Antioccia della casa di Soave, e quelli da Lentino, e 'l conte di XX Miglia, e que' di meser Palmieri Abati principali, che rubellarono i loro antichi l'isola di Cicilia al re Carlo vecchio, e de' detti Palizzi di Messina, e altri loro seguaci per soperchio e ingratitudine di Catalani s'erano ribellati da quelli che tenea la Cicilia, e tornati al re Ruberto, ed elli ricevutoli e dotatili nel regno di grande baronie. E ben disse il propio meser Farinata, l'antico delli Uberti, dimandato che cosa era parte, cavallerescamente in brieve rispuose: "Volere e disvolere per oltraggi e grazie ricevute"; e·ffu vera sentenzia.



XV - Come il re di Raona tolse Maiolica al re di quella suo cugino

Nel detto anno il re d'Araona con trattato di grandi borgesi di Maiolica tolse Maiolica al re di quella, suo cugino; la qual cosa fu molto biasimata, e messa per grande tradigione, con tutto che quelli che·nn'era re era uomo di cattiva vita e di poco valore, e tenea per sua amica la nipote, e cacciava la moglie, e non amato da sua gente. Lasceremo di più dire de' fatti delli strani, e torneremo a nostra matera, a racontare de' fatti di Firenze; e come il duca d'Atene, che se n'era fatto signore per lo modo detto adietro, ne fu cacciato; e molte revoluzioni e novità che alla nostra città ne seguiro apresso, le quali a·nnoi autore, che·lle vedemmo e fummo presenti, ci paiono quasi impossibili a credere, tanto furono diverse e maravigliose.



XVI - Di certe congiurazioni che furono fatte in Firenze contra il duca d'Atene che·nn'era signore

E' si dice fra·nnoi Fiorentini uno antico e materiale proverbio, cioè: "Firenze non si muove, se tutta non si duole"; e bene che 'l proverbio sia di grosse parole e rima, per isperienza s'è trovato di vera sentenzia, e viene a caso della nostra presente matera; che a certo il duca nonn-ebbe regnato III mesi, che quasi a' più di cittadini non dispiacesse nella sua signoria per li suoi inniqui e malvagi processi, come detto avemo adietro, e più ancora che scritto non s'è per noi; però ch'ogni singulare cosa e sue operazioni nonn-ho potuto sapere né ricogliere, ma per le generali e aperte assai si può comprendere. Prima che' grandi che·ll'aveano fatto signore, e aspettavano da·llui stato e grandezza, come avea loro promesso, sì trovato ingannati e traditi, ed eziandio que' grandi ch'elli avea rimessi in Firenze, non parea loro esere ben trattati; e i grandi e possenti popolani che prima avieno retta la terra, ch'al tutto gli avea anullati e tolto loro ogni stato, onde il nimicavano a morte. A' mediani e artefici dispiacea la sua signoria per lo non guadagnare, e per lo male stato della città, e per le 'ncomportabili gravezze sì d'estimo, sì di prestanze, e d'intollerabili gabelle, e per levare che fece a' cittadini gli asegnamenti sopra le gabelle di danari prestati al Comune. E dove i cittadini avieno speranza che per lo suo reggimento scemasse le spese, e desse loro buono stato, fece il contrario; e per le male ricolte montò il grano in più di soldi XX lo staio, onde il popolo minuto male si contentava. E per li oltraggi delle donne fatti per lui e per le sue genti, e altre forze, e crude giustizie, per le quali cagioni quasi i più di cittadini commossi a mala volontà contro a·llui, onde più congiurazioni s'ordinaro per torli la signoria e·lla vita, chi per una forma, e·cchi per un'altra, non sappiendo al cominciamento l'una setta dell'altra, né s'ardieno a scoprire per le sue crudeli giustizie; che eziandio chi·lle rivelava gli facea morire, come detto è adietro. E principali furono III sette e congiurazioni; della prima fu capo il nostro vescovo degli Acciaiuoli frate predicatore, che al cominciamento delle sue prediche tanto il magnificava e gloriava, e co·llui tenieno i Bardi; ciò furono principali: messere Piero, messere Gerozzo, messere Iacopo, e Andrea di Filippozzo, Simone di Geri, tutti della casa de' Bardi, e rimessi in Firenze per lo duca, e di Rossi Salvestrino e meser Pino, e più suoi consorti. E de' Frescobaldi i caporali il priore di Sa·Iacopo meser Agnolo Giramonte anche di rimessi in Firenze per lo duca, e Vieri delli Scali, e più altri grandi e popolani, Altoviti, Magalotti, Strozzi, e Mancini. Dell'altra congiura era capo meser Manno e Corso di meser Amerigo de' Donati, Bindo e Beltramo e Mari de' Pazzi, e Niccolò di mesere Alamanno, e Tile Benzi de' Cavicciuli e certi degli Albizi. Della terza era capo Antonio di Baldinaccio degli Adimari, e Medici, e Bordoni, Oricellai, e Luigi di Lippo Aldobrandini, e più altri popolani mediani. E più modi si trovò che cercaron di torli la signoria e·cchi la vita, chi con trattato di Pisani, chi con Sanesi e Perugini e con conti Guidi, alcuni d'asalirlo in palagio andando al consiglio; ma per sua gelosia, di ciò si provide, che due volte mutò i sergenti e' famigliari che guardavano il palagio, e per sospetto fece ferrare le finestre del palagio; alcuni di saettarlo quando andava per la terra. L'altra setta ordinaro d'asalirlo in casa gli Albizi il dì di san Giovanni, che vi dovea venire a vedere correre il palio; anche per sospetto non v'andò. La terza setta aveno ordinato, imperò ch'egli cavalcava sovente per amore di donna da casa i Bordoni alla Croce a Trebbio. Questi v'allogaro due case, una da ciascuno capo della via, e quelle guernirono d'arme e di balestra e di sbarre per asserragliare la via dall'uno capo e dall'altro e inchiuderlo nel mezzo, e ordinati da L masnadieri arditi e franchi, che 'l dovieno assalire con certi caporali giovani e grandi e popolani a·ccui ne calea, e aveano voglia di farlo, e assalito il duca, levare la terra a romore, e' caporali di fuori dovieno esere in arme a cavallo e a piè al soccorso e per atterrare lui e sua compagnia; che al principio cavalcava con XXV o XXX di sua gente disarmati, con alquanti cittadini grandi e popolani, di coloro medesimi ch'erano congiurati contro a·llui. Ma tanto gli fu messo sospetto, che poi menava a sua guardia II masnade di L di sue genti a cavallo armati e da C fanti, e smontato lui da cavallo restavano armati in sulla piazza del palazzo a sua guardia: ma poco gli valieno al suo riparo per l'ordine preso per le dette congiure alla sua rovina; però che quasi tutti i cittadini erano commossi contro a·llui per le sue ree opere. Ma come piacque a Dio, per lo meno male, la terza setta e congiura, la qual era più pronta a·cciò fare, fu scoperta per uno masnadiere sanese, che dovea essere a·cciò fare; il rivelò a meser Francesco Brunelleschi, non per tradimento, ma per consiglio e come a suo signore, credendo il sapesse e tenesse mano alla congiura; il quale cavaliere per paura di non esere incolpato, overo per male di suoi nimici, che di tali erano caporali alla detta congiura, il manifestò al duca, e menogli il detto fante sotto fidanza, il quale ritenne segreto e disaminollo, e seppe d'alcuno ch'era de' detti congiurati e caporali di masnadieri; e di presente fece pigliare Pagolo di Francesco del Manzeca orrevole popolano di porta San Piero, tutto fosse brigante, e uno Simone da Monterappoli a dì XVIII di luglio, e questi per tormento confessarono e manifestaro come Antonio di Baldinaccio era loro capo con più altri; il quale Antonio richesto, per sicurtà di sua grandezza comparì. Il duca il fece ritenere nel palagio; e·llui preso, tutti gli altri principali d'ogni setta per tema di loro chi·ssi partì della città, e·cchi si nascose, onde tutta la città fu in gelosia e in grande sospetto e tremore. Il duca trovando la congiura contro a·llui sì grande, e·cche tanti grandi e possenti cittadini vi tenieno mano, non ardì di fare giustizia de' detti presi; che·sse di sùbito l'avesse fatta, e corsa la terra colla sua gente e popolazzo minuto che 'l seguiva, rimaneva signore; ma il suo peccato l'accecò, e·lli misse tanta viltà e paura nell'animo, che non sapea che·ssi fare; e mandò d'intorno alla terre e castella per la sua gente, e al signore di Bologna per aiuto, il quale gli mandò CCC cavalieri. E pensossi di fare una grande vendetta e crudele di molti cittadini con grande tradimento, che perché sabato mattina a dì XXVI di luglio era il dì di santa Anna, e il dì dinanzi fece richiedere più di CCC di maggiori cittadini di Firenze, grandi e popolani d'ogni famiglia e casato, che venissono dinanzi a·llui in palagio per consigliarlo quello ch'avesse a·ffare de' presi, con intenzione (e questo fu poi fuori di Firenze manifesto) che come fossono ragunati nella sala del palagio, ch'avea le finestre ferrate, come detto avemo, di fare serrare la sala, e quanti dentro ve n'avesse fare uccidere e tagliare, e correre la terra al modo fece l'empissimo Totila Flagellum Dei quando distrusse Firenze. Ma Iddio, che sempre ha guarentita al bisogno la nostra città per le limosine e per li meriti delle sante persone religiose e laici, che vi sono innocenti, la guardò di tanto male e pericolo; che prima misse sospetto in cuore a tutti i richiesti di non andare in palagio al detto consiglio, intra' quali ve n'avea molti di congiurati, e poi il dì medesimo quasi tutti i cittadini di grande accordo insieme, diponendo tra·lloro ogni ingiuria e malavoglienza, scoprendosi l'una setta all'altra, di loro ordine e trattati tutti s'armarono per rubellarsi da·llui, come diremo apresso nel seguente capitolo.



XVII - Come la città di Firenze si levò a romore, e cacciaronne il duca d'Atene che·nn'era signore

Essendo la città di Firenze in tanto bollore, e sospetto e gelosia, sì per lo duca avendo scoperte le congiurazioni fatte per tanti cittadini contra·llui, e fallitoli il suo proponimento di non potere raccogliere i nobili e possenti cittadini al falso e disleale consiglio, e d'altra parte i cittadini i più possenti sentendosi in colpa della congiura, e sentendo il mal volere del duca, e che già nella terra avea più di DC cavalieri di sue masnade, e ogni dì agiugneva; e·lla gente del signore di Bologna e certi altri Romagnuoli che venieno in suo aiuto avieno già valicata l'alpe, dubitarono che·llo indugio non fosse a·lloro pericolo, ricordandosi del verso di Lucano: "Tolle mora, semper etc. ". Gli Adimari, e Medici, e Donati principali, sabato sonata nona, usciti i lavoranti delle botteghe dì XXVI di luglio, il dì di santa Anna anni Domini MCCCXLIII, ordinarono in Mercato Vecchio e in porta San Piero che certi ribaldi fanti fitiziamente s'azzuffassono insieme, e gridassono: "All'arme, all'arme!"; e così feciono. La terra era insollita e in paura, incontanente tutta corse a furore e a sgombrare i cari luoghi; e di presente, com'era ordinato, tutti i cittadini furo armati a cavallo e a piè, ciascuno alla sua contrada e vicinanza, traendo fuori bandiere dell'armi del popolo e del Comune, com'era ordinato, gridando: "Muoia il duca e' suoi seguaci, e viva il popolo e 'l Comune di Firenze e libertà!". E di presente fu abarrata e aserragliata tutta la città ad ogni capo di vie e di contrade. Quelli del sesto d'Oltrarno, grandi e popolani, si giurarono insieme e baciarono in bocca, e abarraro i capi de' ponti, con intenzione che se tutta la terra di qua si perdesse, di tenersi francamente di là. E mandato il dì dinanzi da parte del Comune segretamente per soccorso e aiuto a' Sanesi; e certi di Bardi e Frescobaldi stati a Pisa e tornati di nuovo in Firenze mandarono per loro ispezialtà per aiuto a' Pisani. La qual cosa quando si seppe per lo Comune e per li altri cittadini, forte se ne turbaro. La gente del duca sentendo il romore s'armaro e montaro a cavallo, e chi potéo di loro al cominciamento corsono alla piazza del palagio in quantità di CCC a cavallo; gli altri, chi·ffu preso, e rubato per li alberghi, e·cchi per le vie fediti e morti e scavallati, e per li serragli impacciati, e rubati i cavalli e·ll'arme. Al cominciamento trassono al soccorso del duca in sulla piazza di priori certi cittadini amici del duca, cui avea serviti, che non sapieno il segreto delle congiure; ciò furono de' principali: messer Uguiccione Bondelmonti con alcuno suo consorto e cogli Acciaiuoli, e meser Giannozzo Cavalcanti e di suoi consorti, e Peruzzi, e Antellesi, e certi scardassieri e alcuno beccaio, gridando: "Viva lo signore lo duca!". Ma come s'avidono che quasi tutti i cittadini erano sommossi a furore contro a·llui, si tornarono a casa, e seguirono il popolo, salvo messere Uguiccione Bondelmonti, cui il duca ritenne seco in palagio, e i priori dell'arti per sicurtà di sua persona, i quali erano rifuggiti in palagio. Essendo levato il detto romore e tutta gente ad arme, quelli de' cinque sesti, ond'erano capo gli Adimari, per scampare Antonio di Baldinaccio loro consorto e gli altri presi per lo duca, e Medici, e Altoviti, e Oricellai, e degli altri offesi da·llui, com'è detto adietro, presono le bocche delle vie che menano in sulla piazza del palagio de' priori, ch'erano più di XII vie, e quelle abarrarono e aforzarono sicché nullo non potea entrare né uscire del palagio e piazza, e di dì e di notte si combattero colla gente del duca, ch'erano in sul palagio e 'n sulla piazza, ov'ebbe alquanti morti, ma molti fediti di cittadini per lo molto saettamento e pietre che venia del palagio dalla gente del duca. Ma alla fine la gente del duca ch'era in sulla piazza, la sera medesima, non poterono durare e non avendo da vivere, lasciando i loro cavalli, i più di loro si fuggiro nel compreso del palagio ov'era il duca e' suoi baroni, e alquanti si guerentirono tra' nostri lasciando l'armi e cavalli, e·cchi preso e·cchi fedito. E come si cominciò il detto romore, Corso di meser Amerigo Donati co' suoi fratelli e altri seguaci ch'avieno loro amici e parenti in prigione assaliro e combattero la carcere delle Stinche, mettendo fuoco nello sportello e bertesca ch'era di legname, e collo aiuto de' prigioni dentro ruppero le dette carcere, e uscinne tutti i prigioni, e con quello empito, crescendo loro séguito di meser Manno Donati, e di Niccolò di meser Alamanno, e Tile di Guido Benzi de' Cavicciuli, e Beltramo de' Pazzi, e di più altri, ch'avieno loro amici in bando e presi in palagio, assalirono combattendo il palagio della podestà, ov'era mesere Baglione da Perugia podestà per lo duca, il quale né egli né sua famiglia si misono a risistenza, ma con grande paura e pericolo si fuggì a guarentigia in casa gli Albizi, che 'l ricolsono; e·cchi di sua famiglia si fuggì in Santa Croce; e rubato il palagio d'ogni loro arnesi infino alle finestre e panche del Comune; e ogni atto e scritture vi furono prese e arse, e rotta la carcere della Volognana, e scapolati i prigioni; e poi ruppono la camera del Comune, e di quella tratti tutti i libri ov'erano scritti gli sbanditi e rubelli e condannati, e arsi tutti; e simile rubati gli atti dell'uficiale della mercatantia sanza contasto niuno. Altra ruberia od offensione corporale non fu fatta in tanto scioglimento di città, se non contro alla gente del duca; che·ffu gran cosa, e tutto avenne per l'unità in che·ssi trovaro i cittadini a ricoverare la loro libertà e quella della republica del Comune. E·cciò fatto, il detto sabato quelli d'Oltrarno apersono l'entrata de' ponti, e valicaro di qua a cavallo e a piè in arme, e cogli altri cittadini de' V sesti feciono levare le sbarre e serragli delle rughe mastre, colle 'nsegne del Comune e del popolo cavalcarono per la città gridando: "Viva il popolo e Comune in sua libertà, e muoia il duca e' suoi! "; e trovarsi i cittadini più di mille a cavallo ben montati, e inn-arme tra di loro cavalli e di quelli tolti alla gente del duca, e più di Xm cittadini armati a corazze e barbute come cavalieri, sanza l'altro minuto popolo tutto in arme, sanza alcuno forestiere o contadino; il quale popolo fu molto amirabile a vedere, e possente, e unito. Il duca e sua gente veggendosi così fieramente assaliti e assediati dal popolo nel palagio con più di CCCC uomini (e non avea quasi altro che biscotto e aceto e acqua), ma credendosi guarentire dal furioso popolo, la domenica fece cavaliere Antonio di Baldinaccio il quale non si volea fare di sua mano; ma i priori, ch'erano rinchiusi in palagio, vollono si facesse a onore del popolo di Firenze; poi lasciò lui e gli altri cui avea presi, e puose in sul palagio bandiere del popolo, ma però non cessò l'asedio e furia del popolo. La domenica di notte giunse il soccorso di Sanesi, CCC cavalieri e CCCC balestieri molto bella gente, e co·lloro sei grandi e popolani cittadini di Siena per ambasciadori. I Saminiatesi mandato al servigio del nostro Comune IIm pedoni armati, e' Pratesi D. E venne di presente il conte Simone da Battifolle, e Guido suo nipote con CCCC fanti. E di nostri contadini armati il seguente dì vennero in grandissima quantità al Comune e a' singulari cittadini, onde tutta la città fu piena d'innumerabile gente. I Pisani mandavano alla richiesta di loro amici, come toccammo adietro, sanza assento del Comune, D cavalieri, i quali vennero infino al borgo della Lastra di là da Settimo. Sentendosi in Firenze, se n'ebbe grande gelosia e grande mormorio contro a que' grandi a·ccui richiesta venivano; e per lo Comune e per loro fu contramandato che non venissono, e così feciono; ma tornandosi adietro, da quelli di Montelupo e di Capraia e d'Empoli e di Puntormo furono assaliti, e tra morti e presi più di cento pure de' migliori; e perderono più di CC cavalli, che furono loro tra morti e rubati.

Arezzo sentito come il duca era assediato da' cittadini di Firenze, incontanente si rubellarono alla gente e uficiali del duca per li Guelfi. E il castello dentro fatto per li Fiorentini rendé Guelfo di meser Bindo Bondelmonti. E Castiglione Aretino rendé Andrea e Iacopo Laino de' Pulci, che·nn'erano castellani, a' Tarlati. Pistoia si rubellò, e ridussonsi a·lloro libertà e a popolo guelfi, e disfeciono il castello fatto per li Fiorentini e ripresono Serravalle. E rubellossi Santa Maria a Monte e Montetopoli tenendosi per loro; rubellossi Volterra, e tornò alla signoria di meser Attaviano de' Belforti, che prima la signoreggiava; e Colle, e San Gimignano dalla signoria del duca, e disfeciono le castella, e rimasono i·lloro libertà. Tale fu la rovina della signoria del duca in Firenze e d'intorno. In pochi giorni venuti in Firenze i Sanesi e·ll'altra amistà, il vescovo con certi buoni cittadini grandi e popolani feciono richiedere a bocca tutta buona gente, e sonare la campana della podestà, e bandire parlamento per riformare lo stato e signoria della città. E congregati tutti in Santa Reparata in arme il lunedì apresso, di grande accordo elessono l'infrascritti XIIII cittadini, VII grandi e VII popolani con piena balìa di riformare la terra e fare uficiali e leggi e statuti, per tempo fino a calen di ottobre vegnente; ciò furono del sesto d'Oltrarno messer Ridolfo di Bardi, messer Pino de' Rossi, e Sandro di Cenni Biliotti; di San Piero Scheraggio messer Giannozzo Cavalcanti, messer Simone Peruzzi, Filippo Magalotti; per Borgo meser Giovanni Gianfigliazzi, Bindo Altoviti; per San Brancazio messer Testa Tornaquinci, Marco degli Strozzi; per porta del Duomo messer Bindo della Tosa, messer Francesco de' Medici; di porta San Piero mesere Talano degli Adimari, messer Bartolo de' Ricci. I detti XIIII elessono per podestà il conte Simone, e ragunavansi nel vescovado. Ma il detto conte, come savio, rinuziò e non voll'essere giustiziere de' Fiorentini; e però chiamato meser Giovanni marchese da Valiano, e infino che penasse a venire elessono luogotenente di podestà l'infrascritti VI cittadini, uno per sesto, III grandi e III popolani; messer Berto di meser Stoldo Frescobaldi, Nepo delli Spini, meser Francesco Brunelleschi, Taddeo dell'Antella, Paolo Bordoni, Antonio degli Albizi; e stavano nel palagio del podestà con CC fanti pratesi, tegnendo ragione sommaria di ruberie e forze e di simili, sanz'altro uficio. In questa stanza non cessava l'assedio del duca, di dì e di notte combattendo il palagio, e di cercare di suoi uficiali. Fu preso uno notaio del conservadore per li Altoviti stato crudele e reo, fu tutto tagliato a bocconi. E apresso fu trovato meser Simone da Norcia stato uficiale sopra le ragioni del Comune, il quale molti cittadini cui a diritto e cui a torto avea tormentati crudelmente e condannati, per simile modo a pezzi tutto tagliato. E uno notaio napoletano, ch'era stato capitano di sergenti a piè del duca, reo e fellone tutto fu abocconato dal popolo. E ser Arrigo Fei, ch'era sopra le gabelle, fuggendosi da' Servi vestito come frate, conosciuto da San Gallo fu morto, e poi da' fanciulli tranato ignudo per tutta la città, e poi in sulla piazza de' priori impeso per li piedi, e sparato e sbarrato come porco: tal fine ebbe della sua isforzata industria di trovare nuove gabelle, e·lli altri di su detti della loro crudeltà. I signori XIIII col vescovo, e 'l conte Simone e·lli ambasciadori di Siena al continuo erano in trattato col duca per trarlo di palagio, e sovente a vicenda a parte a parte di loro entravano e uscivano di palagio, benché poco piacesse al popolo. Alla fine nulla concordia asentiva il popolo, se non avessono dal duca il conservadore, e 'l figliuolo, e meser Cerritieri per farne giustizia. Il duca in nulla guisa l'asentiva, ma i Borgognoni ch'erano assediati in palagio s'allegarono insieme, e dissono al duca che inanzi che volessono morire di fame e a tormento, darebbono preso lui al popolo, non che i detti tre, e ordinato l'avieno, e il podere avieno di farlo, tanti erano, e sì erano forti. Il duca veggendosi a tal partito acconsentì; e venerdì, a dì primo d'agosto, in sull'ora della cena i Borgognoni presono meser Guiglielmo d'Ascesi, detto conservadore delle tirannie del duca, e un suo figliuolo d'età di XVIII anni, di poco fatto cavaliere per lo duca, ma bene era reo e fellone a tormentare i cittadini, e pinsollo fuori dell'antiporto del palagio in mano dell'arrabbiato popolo, e di parenti e amici cui il padre avea giustiziati, Altoviti, Medici, Oricellai, e quelli di Bettone principali, e più altri, i quali, in presenza del padre per più suo dolore, il suo figliuolo pinto fuori inanzi il tagliarono e smembrarono a minuti pezzi; e·cciò fatto pinsono fuori il conservadore e feciono il somigliante, e chi·nne portava un pezzo in sulla lancia e·cchi in sulla spada per tutta la città; ed ebbevi de' sì crudeli, e con furia bestiale e tanto animosa, che mangiaro delle loro carni cruda e cotta. Cotale fu la fine del traditore e persecutore del popolo di Firenze. E nota che·cchi è crudele crudelmente dee morire, dixit Domino. E fatta la detta furiosa vendetta molto s'aquetò e contentò la rabbia del popolo; e·ffu però scampo di meser Cerritieri, che dovea esere il terzo; ma saziati i loro aversari no·llo domandaro; e fuggendosi la sera fu nascosto e poi traviato da certi di Bardi, e altri suoi amici e parenti. E per la detta furiosa vendetta fatta sopra il conservadore e 'l figliuolo, ch'avea giudicati Naddo di Cenni e Guiglielmo Altoviti e gli altri, poco apresso si feciono cavalieri due delli Oricellai e poi due delli Altoviti; la qual cosa poco fu loro lodata da' cittadini. Ma torniamo a nostra matera de' fatti del duca, che·lla domenica apresso, dì III d'agosto, il duca s'arrendé e diede il palagio al vescovo e a' XIIII e a' Sanesi e conte Simone, salve le persone di lui e di sue genti. La qual sua gente n'uscirono con gran paura acompagnati da' Sanesi e da più buoni cittadini. E il duca rinuziò con saramento ogni signoria e giuridizione e ragione ch'avesse aquistata sopra la città contado e distretto di Firenze, dimettendo e perdonando ogni ingiuria; e a cautela promettendo di retificare ciò, quando fosse fuori del contado di Firenze. E per paura della furia del popolo, con sua privata famiglia rimase in palagio alla guardia de' detti signori infino mercoledì notte di VI d'agosto; e raquetato il popolo, in sul mattutino uscì di palagio acompagnato dalla gente de' Sanesi e del conte Simone, e di più nobili e popolani e possenti cittadini ordinati per lo Comune. E uscì per la porta di San Niccolò e passò Arno al ponte a Rignano salendo a Valembrosa e a Poppi; e·llà fatta la ritificagione promessa, passò per Romagna a Bologna, e dal signore di Bologna fu bene ricevuto, e donatogli danari e cavalli; e poi se n'andò a Ferrara e a Vinegia. E·llà fatte armare II galee, sanza prendere congio di più di sua gente che gli erano iti dietro, lasciandogli mal contenti di loro gaggi, privatamente di notte si partì di Vinegia, e·nn'andò in Puglia. Cotale fu la fine della signoria del duca d'Atene, ch'avea con inganno e tradimento usurpata sopra in Comune e popolo di Firenze, e il suo tirannico reggimento mentre la signoreggiò, e com'elli tradì il Comune, così da' cittadini fu tradito. Il quale n'andò con molta sua onta e vergogna, ma con molti danari tratti da·nnoi Fiorentini, detti orbi e inn-antico volgare e proverbio per li nostri difetti e discordie, e lasciandoci di male sequele. E partito il duca di Firenze, la città s'aquetò e disarmarsi i cittadini, e disfecionsi i serragli, e partirsi i forestieri e' contadini, e apersonsi le botteghe, e ciascuno attese a·ssuo mestiere e arte. E detti XIIII cassarono ogni ordine e dicreto che 'l duca avea fatto, salvo che confermarono le paci tra' cittadini fatte per lui. E nota che come il detto duca occupò con frode e tradigione la libertà della republica di Firenze il dì di nostra Donna di settembre, non guardando sua reverenza, quasi per vendetta divina così permisse Iddio che i franchi cittadini con armata mano la raquistassono il dì di sua madre madonna santa Anna, dì XXVI di luglio MCCCXLIII; per la qual grazia s'ordinò per lo Comune che·lla festa di santa Anna si guardasse come pasqua sempre in Firenze, e si celebrasse solenne uficio e grande oferta per lo Comune e per tutte l'arti di Firenze.



XVIII - Come la città di Firenze si recò a quartieri e si raccomunarono gli ufici co' grandi, ma poco durò

Riposato alquanto la città di Firenze del furore della cacciata del duca, i signori XIIII col vescovo tennero più consigli co' cittadini di riformare la terra dell'uficio di priori e collegio di XII e gonfalonieri e degli altri ufici. A' grandi parea loro ragionevole, siccom'erano stati principali a ricoverare la libertà del Comune, d'avere parte degli ufici del priorato e di tutti gli altri; e certi popolani grassi ch'erano usi di regnare vi si accordavano per tornare inn-istato collo apoggio di grandi, co' quali aveano molti parentadi. Gli altri artefici e popolo minuto erano contenti di dare parte loro d'ogni uficio, salvo del priorato e di dodici e gonfalonieri delle compagnie del popolo, e a questi s'acordavano per pace del popolo più al convenevole. Ma pure si vinse per lo vescovo, per l'oficio de' XIIII e col consiglio di Sanesi che' grandi avessono parte di tutti gli ufici per più unità di Comune. E con ciò sia cosa che quelli del sesto d'Oltrarno e di San Piero Scheraggio parea loro, che non fosse giusto d'avere uno priore per sesto, ed ellino più grandi che gli altri quattro, e portavano delle gravezze del Comune più che·lla metà, cioè il sesto d'Oltrarno della 'mposta di Cm fiorini d'oro XXVIIIm e San Piero Scheraggio XXIIIm, e Borgo XIIm, e San Brancazio XIIIm; e porta del Duomo XIm, e porta San Piero XIIIm; sì·ssi acordarono di recare la terra a quartieri in questo modo; Oltrarno il primo, e chiamossi il quartiere di Santo Spirito colla 'nsegna in arme, il campo azurro, e una colomba bianca co' razzi d'oro in becco. Il secondo quartiere fu tutto il sesto di San Piero Scheraggio, togliendo più che 'l terzo di porta San Piero, cominciandosi in Calimala fiorentina al chiasso di Rimaldelli con tutto Orto San Michele, e giù per la via di Sa·Martino, e della Badia e di San Brocolo, rimanendo le dette chiese e più che mezzi i popoli loro nel detto quartiere; e·ffu al diritto per la via di San Brocolo per la Città Rossa infino di costa alla porta Guelfa e mura nuove, togliendo del popolo di San Piero Maggiore e di Santo Ambruogio infino a mezza alla via Ghibellina, e più quello ch'era di là dalla via Ghibellina del detto popolo; e questo si chiamò il quartiere di Santa Croce, coll'arme il campo azurro e·lla croce ad oro. Il terzo quartiere fu tutto il sesto di Borgo e quello di San Brancazio, e chiamarlo il quartiere di Santa Maria Novella, coll'arme il campo azurro e uno sole con razzi d'oro. Il quarto quartiere fu tutta porta del Duomo col rimanente di porta San Piero, e chiamarlo il quartiere di San Giovanni, coll'arme il campo azurro e colla cappella di San Giovanni ad oro, con due chiavi dal lato al Duomo per contentare in parte quelli di porte San Piero, che solo di cinque sesti era partito quello per lo modo ch'è detto; che in prima erano i confini di porte San Piero cominciando alla casa dell'arte della lana e tutto Orto San Michele, dividendo la via che viene da casa i Cerchi Bianchi, volgendosi nel Garbo al chiasso che parte le case de' Sacchetti alle case della Badia e mezzo il palagio del podestà, e tutta quasi quella via dall'uno lato e dall'altro infino alla via delle Taverne, e poi mezza la via Ghibellina, e poi passava quella al crocicchio di sopra infino al Tempio, e tutta quasi l'isola dentro alle mura e del popolo di Santo Ambruogio, ed era del sesto di porta San Piero. Partita la terra a quartieri, sì s'ordinò per lo vescovo e per li XIIII lo squittino per fare i priori, ed elessono XVII popolani e VIII grandi per quartiere, e co·lloro i detti XIIII e 'l vescovo, sicché in tutto furono CXV; e per lo consiglio de' Sanesi e del conte Simone, per recare la città più a comune, sì ordinaro d'eleggere XII priori per uficio, III per quartiere, uno di grandi e II di popolo, e VIII consiglieri a diliberare le gravi cose co' priori, in luogo di XII come solieno esere, cioè IIII grandi IIII popolani, II per quartiere, e tutti gli altri ufici fossero per metà co' grandi. Compiuto il detto squittino di grande acordo, fu messa una voce per la terra, che de' priori dovea esere meser Manno Donati e di simili caporali di case troppo possenti, onde il popolo si turbò forte, e·ffu quasi in arme per contradiare infino che non furono tratti e palesati i nuovi priori; ciò fu dì II all'uscita d'agosto, dovendo stare infino a Ognisanti. I nomi de' quali furono questi: nel quartiere di Santo Spirito Zanobi di meser Lapo di Mannelli di grandi, Sandro da Quarata, Niccolò di Cione Ridolfi popolani; nel quartiere di Santa Croce meser Razzante di Foraboschi di grandi, Borghino Taddei, Nastagio Tolosini popolani; nel quartiere di Santa Maria Novella Ugo di Lapo delli Spini di grandi, meser Marco di Marchi giudice, Antonio d'Orso popolani; nel quartiere di San Giovanni meser Francesco Trita delli Adimari di grandi, e Billincione degli Albizi e Neri di Lippo popolani. E gli otto consiglieri de' priori, II per quartiere, furono questi: Bartolo di meser Ridolfo de' Bardi, Adoardo Belfredelli, Domenico di meser Ciampolo Cavalcanti, meser Francesco Salvi giudice, Nepo delli Spini, ser Piero di ser Feo da Signa, Beltramo de' Pazzi, e Piero Rigaletti. Veggendo il popolo ch'erano convenevoli e pacifichi grandi, e non di tiranni gli eletti, s'aquetarono, ma però malcontenti di sì fatto mischiato, come poco apresso si mostrò. E messi i detti priori in palagio, i XIIII si tornarono a·ccasa loro, riserbandosi la loro balìa, e ragunandosi alcuno dì della settimana in vescovado col vescovo a ordinare l'altre bisogne del Comune.



XIX - Come il popolo trassono i grandi dell'uficio del priorato, e riformaro la terra

Ma il nimico dell'umana generazione e d'ogni concordia seminò la sua superbia e invidia nell'animo di certi malvagi grandi e popolani. Prima veggendosi certi rei de' grandi il favore della signoria, e non essendo rifermi gli ordini della giustizia; e bene avieno ordinato i XIIII che·ssi facesse uno libro di malabbiati, ove si scrivessono i mafattori de' grandi, e quelli fossero puniti, ma però non si raffrenavano i malvagi grandi, ma cominciaro a·ffare delle forze e micidi in città e in contado, e di false accuse contra i popolani, onde i popolani si tenieno mal contenti della loro consorteria delli ufici, e cominciaro forte a dubitare di maggiore pericolo, sentendo che colle borse dello squittino avea di maggiori caporali grandi di Firenze. Onde il popolo si commosse contro a' grandi, e collo aiuto e favore di meser Giovanni della Tosa, e di mesere Antonio degli Adimari, e di meser Geri de' Pazzi cavalieri del popolo, a' quali dispiacea i modi di tali di loro consorti e degli altri grandi contro al popolo, e non parea loro stato fermo. Bene ci ebbe anche colpa la 'nvidia di certi popolani, che non volieno negli ufici volentieri la compagnia di loro maggiori, e per essere più signori e fare del Comune a·lloro guisa; onde segretamente trattato co' detti cavalieri e con certi caporali di popolo, e col vescovo, e con certi de' priori medesimi, ch'erano all'uficio e popolani, di recare il secondo uficio di priori ch'uscisse pure agli otto popolani, due per quartiere, e uno gonfaloniere di giustizia, e nullo de' grandi per lo meglio del Comune e del popolo, rimanendo a comune co' grandi gli altri ufici; ed era ben fatto per aquetare il popolo. Il vescovo credendo ben fare, se ne scoperse a' compagni suoi XIIII, ch'erano, come detto è, VII grandi pure di maggiori, dicendo ch'era il meglio di farlo d'amore e d'accordo co' grandi, onde ne tenne co' detti suoi compagni e con altri grandi più consigli in Santa Felicita Oltrarno, ov'erano capo i Bardi e' Rossi e' Frescobaldi e di più altre case di grandi di Firenze, pregandoli che·cciò asentissono; i quali nulla ne vollono udire, parlando di grosso e con minacce: "Noi vedremo chi·cci torrà la parte nostra della signoria, e·cci vorrà cacciare di Firenze, che·lla francammo dal duca". E di ciò erano più principali i Bardi, chiamando il vescovo traditore, ch'avea tradito prima il Comune e popolo, e data la signoria al duca, e poi tradito e cacciato lui, "e ora vuogli tradire noi"; e cominciarsi a fornire d'armi e di gente, e a mandare per amici di fuori. Sentendosi questo per la città, tutta fu in gelosia e sotto l'arme, col consiglio e ordine di sopradetti III cavalieri del popolo, che·nn'erano capo; sì vennero molti popolani armati sulla piazza de' priori gridando: "Viva il popolo, e muoiano i grandi traditori!"; gridando a' priori popolani ch'erano in palagio: "Gittatene dalle finestre i priori vostri compagni de' grandi, o·nnoi v'arderemo in palagio co·lloro insieme"; e recarono la stipa, e misono il fuoco all'antiporto del palagio. I priori popolani scusavano i loro compagni di grandi, dicendo ch'erano diritti e·lleali e bene inn-accordo, con tutto che i più di loro il dicevano alla 'nfinta, ed era stato loro operazione. Alla fine crescendo la forza e furore del popolo, convenne che' detti priori de' grandi rinuziassono all'uficio, e per grazia uscissono di presente di palagio sotto sicurtà del popolo, e con grande paura acompagnati a casa loro; e·cciò fu lunedì a dì XXII di settembre MCCCXLIII. E nota che in così piccolo tempo la città nostra ebbe tante novità e varie rivoluzioni, come avemo fatto menzione, e faremo nel seguente e terzo capitolo. E bene difinì il grande filosofo maestro Michele Scotto quando fu domandato anticamente della disposizione di Firenze, che·ssi confa alla presente matera; disse in brieve motto in latino: "Non diu stabit stolida Florenzia florum; decidet in fetidum, disimulando vivet". Ciò è in volgare: "Non lungo tempo la sciocca Firenze fiorirà; cadrà in luogo brutto, e disimulando vive". Ben disse questa profezia alquanto dinanzi la sconfitta di Monte Aperti; ma poi pure asseguito ciò si vede manifesto per nostri processi. E 'l nostro poeta Dante Allighieri scramando contra al vizio della incostanza de' Fiorentini nella sua Commedia, capitolo VI Purgatoro, disse intra·ll'altre parole:

Attena e·lLacedemonia, che fenno

L'antiche leggi e furon sì civili,

Feciono al viver bene un piccol cenno

Verso di te, che·ffai tanto sottili

Provedimenti, ch'a mezzo novembre

Non giugne quel che·ttu d'ottobre fili.

E bene fu profezia e vera sentenzia in questo nostro fortuito caso, e in quelli che seguiranno apresso, per le nostre disimulazioni. Partiti i quattro priori di palagio di grandi, e disfatto l'uficio delli otto loro consiglieri mischiato co' grandi, col consiglio delle capitudini delle XXI arti, i priori popolari ch'erano rimasi all'uficio elessono i XII consiglieri de' priori, tutti popolani, ed elessono gonfalonieri delle compagnie del popolo; e de' XVIIII ch'erano prima che 'l duca regnasse gli recarono a XVI, quattro per quartiere; e feciono gonfaloniere di giustizia Sandro da Quarata, ch'era de' priori; e feciono il consiglio del popolo LXXV per quartiere. Così fortunando e disimulando si rifermò la città alla signoria del popolo.



XX - Di quello medesimo, e d'altre novità che·nne seguirono

Tegnendosi i grandi forte gravati della villana disposizione di loro priori, e volentieri a·lloro podere n'avrebbono fatta vendetta, e minacciavano al continuo, e d'altra parte temieno della forza e furia dell'arrabbiato e commosso popolo, sì·ssi guernirono d'arme e di cavalli, e mandarono per gente e·lloro amistà. Il popolo non raquetato, rifeciono i serragli per la città più grandi e più forti che quando fu cacciato il duca, faccendo grande guardia di dì e di notte e stando sotto l'arme, temendo che i grandi non facessono novità, e rimandaro pe' Sanesi e per altra amistà. In questo bollore di città si levò uno folle e matto cavaliere popolano, messere Andrea delli Strozzi, contro a volere de' suoi consorti, montò a cavallo coverto armato, ragunando rubaldi e scardassieri e simile gente volonterosi di rubare, in grande numero di parecchie migliaia, promettendo loro di farli tutti ricchi, e dare loro dovizia di grano, e farli signori, menandoglisi dietro per la terra, il martedì apresso, dì XXIII di settembre, gridando: "Viva il popolo minuto, e muoiano le gabelle e 'l popolo grasso!"; e così ne vennono sanza contasto in sulla piazza de' priori per assalire il palagio, dicendo di volervi mettere e fare signore del popolo messere Andrea. E fattigli ammunire da' priori e da' consorti di meser Andrea e altri buoni popolani, e comandare al detto commosso popolo e a meser Andrea che·ssi si partissono, non ebbe luogo infino che dal palagio non si cominciò a gittare e pietre e saettare verrettoni, onde alcuno ne fu morto e molto fediti. Allora lo scomunato e disarmato popolazzo col loro pazzo caporale si partiro, e vennero al palagio della podestà per prenderlo, ma per simile modo saettandosi di palagio per la gente del marchese da Valiano podestà, e collo aiuto di buoni popolani vicini, gli mandarono via, e cominciarsi a sciarrare, e·cchi andare in una parte e·cchi in un'altra lo scomunato popolo; e mesere Andrea bestia, tornato a casa, fu preso da' consorti suoi e vicini, e mandato a suo contrario fuori della città, e·ffu poi condannato nell'avere e nella persona siccome ribello, e somovitore di romore e di congiura contro alla republica e pacifico stato di Firenze. Di questa commovizione del popolo minuto i grandi, ch'avieno mal volere contro al popolo, furono molti allegri, credendo si dovidessono insieme il popolo; e presono speranza d'acostarsi insieme col popolo minuto, gridando a' loro ridotti e serragli in simile voce: "Viva il popolo minuto, e muoia il popolo grasso e·lle gabelle!", afforzandosi al continuo e aspettando gente i·lloro aiuto. E sentendo i grandi che' Sanesi venieno a richiesta e servigio del Comune e popolo, mandarono alcuno di loro per ambasciadore, meser Giovanni Gianfigliazzi e altri, infino a San Casciano, pregando che non venissono in Firenze, e che·lla loro venuta poteva generare scandalo tra' cittadini. E credendolo i Sanesi, s'arestarono più d'uno dì. Questo si disse che i grandi feciono per paura di loro, ma i più dissono il facieno acciò che il loro soccorso giugnesse prima che·lla venuta de' Sanesi per assalire il popolo; ma a buona opinione noi crediamo che il guernimento che facieno i grandi era più per paura di loro che per assalire il popolo; con tutto ci fosse la loro mala voglia, non ci era il podere, se·ggià il popolo minuto non gli avesse seguiti, onde pure avieno alcuna vana speranza. Ma i priori, ciò sentendo di Sanesi, vi mandarono per lo Comune ambasciadori popolani con lettere, pure che venissono, che n'avieno gran bisogno per sicurtà e aiuto del Comune e del popolo, per la scomovizione della città per li malvagi cittadini che·lla voleano guastare. I quali Sanesi vennero incontanente molto bella gente a·ccavallo e a piè, altrettanti e più che quando il duca fu cacciato; e i Perugini ci mandarono CL cavalieri, e d'ogni parte venia gente d'arme, chi in servigio del popolo e chi in servigio di grandi, onde la città era tutta inn-arme, e con molti forestieri e contadini, e tutta iscommossa in gelosia e paura, il popolo di grandi, e' grandi del popolo. Ma il Comune e popolo si trovò più possente, ch'avieno i palagi e·lle campane e·lla dominazione delle porte della città, salvo di quella di San Giorgio tenieno i Bardi. E avea il Comune da CCC soldati a cavallo sanza l'amistadi, sicché la forza di grandi nonn-era a comparazione con quella del popolo, se nuovo soccorso non venisse da Pisa o di Lombardia a' grandi, onde per lo popolo s'avea grande gelosia; e chi avea cose care o mercatantie le fuggia in chiese e in luoghi di riligiosi sicuri. Tal era la disposizione della nostra infortunata città.



XXI - Come il popolo di Firenze assaliro e combattero i grandi e rubarono i Bardi e missono fuoco in casa loro

Stando tutta la città inn-arme e gelosia, i grandi del popolo e 'l popolo de' grandi, com'è detto, dicendosi molte e varie novelle per la terra, e come i grandi arebbono grande aiuto da' conti e Ubaldini e Pisani e d'altri tiranni di Lombardia e di Romagna, e che dovieno afforzarsi Oltrarno, ch'avieno la signoria di tutti i ponti, e di qua fare cominciare l'assalto giovedì a dì XXV di settembre; i popolani del quartiere di San Giovanni, onde si feciono capo i Medici e' Rondinelli e meser Ugo della Stufa giudice, e' popolani di borgo Sa·Lorenzo co' beccari e altri artefici, sanza ordine di Comune, in quantità di mille uomini sanz'altra compagnia o forza di gente al cominciamento, mercoledì dopo desinare, dì XXIIII di settembre, per non aspettare il giovedì vegnente, che·ssi dicea che' grandi doveano fare l'assalto e correre la terra, con tre di loro gonfaloni delle compagnie del loro quartiere, tutti armati a barbute e corazze a piè, e molte balestra, asalirono da più parti quelli del lato degli Adimari chiamati i Cavicciuli, i quali con grandi serragli e guernimento di torri e di palagi e loro case dal crocicchio del Corso dalla loggia loro alla piazza di San Giovanni s'erano aforzati con molta gente d'arme. E cominciato per lo popolo l'asalto e battaglia manesca a' serragli, saettando e gittando pietre l'una parte all'altra, crescendo al continovo la forza del popolo; i Cavicciuli veggendo non poteano resistere, e aiuto di fuori d'altri grandi non avieno né attendeano, patteggiati s'arrenderono al popolo, salve le persone e·lloro cose, e disfeciono i loro serragli, e puosonsi in su' loro palagi le bandiere del popolo. E·cchi di loro andò inn-uno luogo e chi inn-altro a casa di loro amici e parenti popolani, sanza danno niuno, se non di fediti dall'una parte e dall'altra. Vintosi per lo detto popolo la detta prima punga e asalto sopra i Cavicciuli, ch'erano i più virili e arditi e possenti grandi di Firenze, presono i popolani molto ardire e vigore, e al continovo crescendo loro la massa del popolo e aiuto d'alquanti di soldati del Comune ch'erano in Firenze, corsono a casa i Donati e poi a casa i Cavalcanti. Ellino sentendo come i Cavicciuli s'erano arrenduti al popolo, non feciono nulla risistenza, ma per simile modo s'arrenderono al popolo. In somma, in poca d'ora tutte le case di grandi di qua da Arno feciono il somigliante, e disarmarsi e disfeciono loro guernigioni e serragli. Le case de' grandi d'Oltrarno, Bardi, e Rossi, e Frescobaldi, e Mannelli, e Nerli s'erano aforzati molto, e prese le bocche de' ponti. Il detto commosso popolo volendo passare Oltrarno per lo detto ponte Vecchio, ch'ancora era di legname, non ebbe luogo, però che·lla forza di Bardi e di Rossi era sì grande e di sì forti serragli, e armata la torre della parte e 'l palagio de' figliuoli di meser Vieri de' Bardi e·lle case di Mannelli di capo del ponte Vecchio, che 'l popolo non vi potea accedere né passare. Ma combattendo però francamente il serraglio, molti ve n'ebbe fediti di sassi e di verrettoni di balestri. Veggendo il popolo che da quella parte non poteano passare, e dal ponte Rubaconte peggio, per la fortezza de' palagi de' Bardi da San Ghirigoro, sì presono partito di lasciare alla guardia del ponte Vecchio parte de' gonfaloni del quartiere di Santa Croce e di quelli di borgo di Santo Apostolo, e parte rimasono alla guardia del ponte Rubaconte di qua. L'altro popolo molto cresciuto co' soldati a cavallo si misono ad andare dal ponte alla Carraia, il quale guardavano i Nerli; ma·lla forza di popolani di borgo San Friano e della Cuculia e del Fondaccio fu sì grande, che inanzi che passasse il popolo di qua da Arno presono il capo del ponte e·lle case de' Nerli, e loro ne cacciaro; e preso per li popolani d'Oltrarno il ponte alla Carraia, il vittorioso popolo di qua passaro al detto ponte incontanente, e acozzatosi co' popolani d'Oltrarno, e furiosamente assaliro i Frescobaldi, i quali prima assaliti e combattuti a' loro serragli da quelli di via Maggio e circustanti popolani, ma però non vinti; ma veggendosi venire adosso la furia del detto popolo di qua da Arno, ebbono gran paura, e abandonarono la piazza loro, lasciando ogni fortezza e guernigione, balestra, pavesi, saettamento, fuggendosi in casa, e faccendo croce colle braccia, chieggendo mercé al popolo, il quale gli ricevette sanza fare loro alcuno male. E·cciò fatto, corsono alla piazza a ponte sopra i Rossi, i quali saputo come i Frescobaldi s'erano arenduti al popolo, e tutte le case di grandi di qua da Arno, sanza alcuna risistenza s'arrenderono al popolo. Que' di casa Bardi veggendosi abandonati da' Rossi e Frescobaldi ebbono gran paura, ma pure francamente si misono alla difesa de' loro serragli combattendo, gittando, saettando, dov'ebbe di morti alcuno e di fediti assai, d'una parte e d'altra, però che' Bardi erano molto forti e guerniti a cavallo e a piè, e con molti masnadieri, sicch'era invano al popolo di vincere il serraglio per forza; ma ordinaro que' del popolo che i tre di gonfaloni d'Oltrarno salissono al poggio di San Giorgio per la via nuova dal pozzo Toscanelli, e così feciono; e cominciaro loro la battaglia al di dietro. I Bardi veggendosi sì aspramente asaliti da tante parti, isbigottirono forte, e cominciaro abandonare parte di loro il serraglio della piazza a ponte, ch'era sotto la guardia della torre della parte guelfa e del palagio di figliuoli di meser Vieri de' Bardi, per difendersi di dietro dal canneto e San Giorgio. Allora uno Strozza tedesco conestabole con sua masnada si misse dentro al serraglio della piazza al ponte a grande pericolo, ricevendo di molti sassi e quadrella, e corse infino a Santa Maria sopr'Arno, e il popolo francamente dietro; e quelli del popolo ch'erano di qua alla guardia del ponte Vecchio allora ruppono il serraglio del capo del ponte e valicarono di là, e al tutto cogli altri popolani, ch'erano di là, ruppono la resistenzia e forza di Bardi, i quali tutti si fuggirono nel borgo di San Niccolò, raccomandandosi alla vicinanza, onde furono le loro persone guarentiti da quelli da Quarata e da quelli da Panzano e·ll'altra vicinanza del gonfalone della Scala, i quali per lo popolo avieno in prima alquanto, per non esere corsi e rubati, presi i palagi di Bardi da Santo Ghirigoro ella guardia del capo del ponte di là incontanente i popolani, ch'erano alla guardia del capo del ponte Rubaconte di qua del quartiere di Santa Croce; e quello iscampò i Bardi da morte, i quali per la loro buona vicinanza da San Niccolò ritennero il furioso popolo con quella forza e per guardare la loro contrada. Ma tutti i palagi e case di Bardi da Santa Lucia alla piazza a ponte furono rubate dal minuto popolo d'ogni sustanzia, maserizie e arnesi, quello dì e·ll'altro, ed eziandio di loro vicini non possenti. E·ll'arabbiato popolo, rubate le case, misono fuoco in casa loro, e arsonvi XXII tra palagi e case grandi e ricche, e stimossi il loro danno tra di ruberie e d'arsione il valere di più di LXm fiorini d'oro. Tale fu la fine della risistenza de' Bardi contro al popolo per la loro superbia e maggioranza e per lo sfrenato popolo. Ma·ffu grande maraviglia e grazia di Dio, che di tanta furia di popolo e di tanti assalti e battaglie fatte in quella giornata, come avemo raccontato, non morì in Firenze nullo uomo di rinomea, e d'altri pochi, ma fediti assai. Per la ghiottornia della ruberia da casa i Bardi, che infino alle lastre de' tetti e ogni vili cose, non che le care, tale fu il giudicio contro a' Bardi, che infino alle femminelle e' fanciulli, non che gli uomini, non si potieno saziare né raffrenare di rubare. Il giovedì medesimo si levò una compagna di malandrini in quantità di più di mille a piè, e si ragunarono per combattere i Visdomini e rubarli sotto titolo di difetti di mesere Cerritieri loro consorte fatti intorno al duca; ma non ci era a ciò giusta cagione, che de' difetti e falli di meser Cerritieri i Visdomini erano stati crucciosi; ma non movea se non solo per potere rubare, e non sarebbero rimasi a tale, ma tutta la città corsa e rubata, e grandi e popolani; ma·lla vicinanza con molta altra buona gente armata, e·lle signorie e soldati del Comune a cavallo e a piè corsono al soccorso e riparo, e cessarono tanta rovina e pistolenza alla nostra città, andando per la terra le signorie in più parti coll'aiuto della gente di Sanesi, e Perugini, e dell'altre amistadi, e degli altri buoni cittadini a cavallo e a piè, con ceppi e mannaie, tagliando di fatto piedi e mani a' mafattori; e in questo modo s'atutò la furia dello sfrenato popolo disposti a rubare e a mal fare, e cominciarsi aprire i fondachi e botteghe, e ciascuno fare i fatti suoi.



XXII - Come si fece nuovo squittino di lezione di priori e de' XII e gonfalonieri per più tempo, e tutti popolani

Riposata la città di Firenze di tanta furia e pericolo, e il popolo fatta sua pruova contro a' grandi, e vinte le loro forze e risistenze in ogni parte, il popolo montò in grande stato e baldanza e signoria, ispezialmente i mediani e artefici minuti, ch'al tutto il reggimento della città rimase alle XXI capitudini dell'arti. E per riformare la terra di nuovi priori e gonfalonieri delle compagnie, e de' XII consiglieri di priori, i priori e' dodici col consiglio delli ambasciadori di Siena e di Perugia e del conte Simone, acciò che·lla lezione andasse più comune, diedono l'ordine nello 'nfrascritto modo, e di grande concordia s'aseguì, e celebrarono in casa i priori nuovo squittino; ciò furono VIIII i priori, e XII consiglieri, e XVI gonfalonieri, e V della mercatantia, e LII uomini delle XXI capitudini, e XXVIII arroti per quartiere, popolani tutti artefici, sicché in somma furono CCVI, mettendo allo squittino ogni buono uomo popolaro degno d'essere all'uficio, e vincendosi, chi rimanesse priore e gonfaloniere di giustizia, e di dodici per CX fave nere il meno; e andato allo squittino IIImCCCCXLVI uomini, ma non ve ne rimasono il decimo, ordinaro che fossono VIII priori, II per quartiere, e uno gonfaloniere di giustizia, acoppiandoli insieme in questo modo, che dovessono esere per priorato popolani II grassi, III mediani, III artefici minuti, e 'l gonfaloniere della giustizia per simile modo, uno d'ogni sorta detta, traendosi a vicenda a quartiere a quartiere come venisse, cominciando a Santo Spirito. E il detto squittino fu compiuto dì XX d'ottobre MCCCXLIII. L'ordine fu assai comune e buono, quando non fosse poi corrotto. Ma trovossi poi per li tempi, quando si traevano i priori, che degli artefici minuti v'aveva più per la rata, che non fu l'ordine dato; e·cciò adivenne, che quando si fece lo squittino furono più forti nelle boci gli artefici delle XXI capitudini e·lli arroti popolani minuti, che·lle boci de' popolani grassi e de' mediani; e però si corruppe il buono ordine dato per li ambasciadori di Siena e per lo conte Simone.



XXIII - Come si riformaro gli ordini della giustizia sopra i grandi, e·ssi ricorressono in alcuna parte; e più casati di grandi furono recati a essere popolani

Riformata la città di Firenze a signoria del popolo, come detto avemo, volendo il popolo rifare gli ordini della giustizia contro a' grandi, i quali aveva anullati il duca e poi l'uficio de' XIIII, come è detto adietro, gli ambasciadori di Siena e quelli di Perugia e 'l conte Simone, che a ogni nostra fortuna e pericolo ci avieno soccorsi e difesi, e col loro buono consiglio riformata la città a signoria del popolo, per amore e grazia di loro Comuni e di loro e pacifico stato di Comune e di popolo, e contentamento in alcuna parte di grandi che volieno bene vivere, e dimandarono al popolo due pitizioni: l'una, che i capitoli della giustizia dov'era la rigidezza e crudeltà, che' buoni uomini grandi consorti di mafattori portassono la pena di loro malifici, si correggesse; l'altra, che certe schiatte di grandi meno possenti e non malificiosi si recassono a popolo. Le quali petizioni furono asaudite in parte, come diremo apresso, e fermate per li consigli dì XXV d'ottobre MCCCXLIII. Prima dove diceva l'ordine della giustizia che dove il malfattore di grandi facesse micidio contra la persona d'alcuno popolare, oltre alla sua pena, tutta la casa e schiatta pagasse al Comune libre IIIm, si corresse che non toccasse, se non a' suoi propinqui, infino terzo grado per diritta linea; e dove mancasse il terzo grado, toccasse al quarto, con patto dove e quando rendessono preso il malfattore, o l'uccidessero, riavessono dal Comune le libre IIIm ch'avessono pagate. Tutti gli altri ordini della giustizia rimasono i·lloro primo stato. Le schiatte de' nobili di città e di contado che furono recate a popolo furono questi: i figliuoli di meser Bernardo de' Rossi, IIII de' Mannelli, tutti i Nerli di borgo Sa·Iacopo, e due di quelli dal ponte alla Carraia, tutti i Manieri, tutti gli Spini, tutti gli Scali, tutti i Brunelleschi, e parte degli Agli, tutti i Pigli, tutti li Allotti, tutti i Compibiesi, tutti gli Amieri, meser Giovanni di Tosinghi e fratelli e nipoti, e Nepo di meser..., messere Antonio di Baldinaccio degli Adimari e fratelli e nipoti, e alcuno altro loro consorto, tutti i Giandonati e Guidi, e altre schiatte quasi spente. Di nobili di contado, il conte da Certaldo e' figliuoli e' nipoti, il conte da Puntormo e' figliuoli e' nipoti; e con tutto ch'avessono nome di conti erano sì annullati, ch'erano al pari d'altri meno possenti gentili uomini; tutti quelli da Lucardo, quelli da Cacchiano, quelli da Monterinaldi, quelli dalla Torricella, quelli da Sezzata, quelli da Mugnano, i Benzi da Feghine, e da Lucolena, quelli da Colle di Valdarno, e quelli da Monteluco della Gerardinga, e più altre schiatte di contado anullati e divenuti lavoratori di terra. In somma furon Vc i tratti di grandi e recati a esere popolari, per fortificare il popolo e afiebolire e partire la potenza de' grandi coll'infrascritti patti e ordini. Ma certi altri grandi, onde non faremo menzione, che s'erano messi nella detta petizione, che s'erano messi a morte per francare il popolo, e francaro, per invidia non furono accettati per lo 'ngrato popolo; e tali sono le più volte i meriti de' servigi si fanno a' popoli, ispezialmente a quello di Firenze. I patti e' salvi furono questi. Che i detti grandi e nobili recati a benificio d'essere di popolo non possino esere di priori, dodici e gonfalonieri delle compagnie del popolo, o capitani di lega del contado infra cinque anni; ogni altro uficio possano avere; e·sse alcuno de' detti infra X anni pensatamente facesse micidio o tagliasse membro, o desse fedita innorma in persona d'alcuno popolano, o facesse fare, o ingiuriasse posessione di popolano, dichiaritosi per lo consiglio del popolo, dee a perpetuo esere rimesso tra' grandi. Ma nota che parecchie schiatte e case di popolani erano più degne d'esere messe tra' grandi, che·lla maggior parte di que' che per grandi rimasono, se andasse pari la bilancia della giustizia, per le loro ree opere e tirannie; e tutto è questo per difetti del nostro male reggimento. Fermati i detti ordini, e tratti del nuovo squittino i priori, e' dodici, e' gonfalonieri, ch'entrarono in calen di novembre apresso, si trovarono i più artefici minuti, onde il popolo fu contento, e aquetossi la città d'ogni sospetto e gelosia. E nota ancora e ricogli lettore che quasi in poco più d'uno anno la nostra città avute tante rivolture, e mutati stati di reggimento, ciò sono; inanzi che fosse signore il duca d'Atene signoreggiavano i popolari grassi, e guidarla sì male, come adietro avete inteso, che per loro difetto venne alla tirannica signoria del duca; e cacciato il duca tessono i grandi e' popolani insieme, tutto fosse piccolo tempo, e con uscita di gran fortuna. Ora siamo al reggimento quasi delli artefici e minuto popolo. Piaccia a·dDio che sia asaltazione e salute della nostra republica, onde mi fa temere per li nostri peccati e difetti, e perché i cittadini sono voti d'ogni amore e carità tra·lloro, ma pieni d'inganni e tradimenti l'uno cittadino contro all'altro; ed è rimasa questa maladetta arte in Firenze in quelli che·nne sono rettori, di promettere bene e fare il contrario, se non sono proveduti o di grandi prieghi o d'onde aspettino utile; onde, e non sanza cagione, permette Iddio il suo giudicio a' popoli; e questo basti a chi sente e intende.



XXIV - Alquante cose fatte in Firenze di nuovo

Ne' detti tempi e mese di settembre, per servigi ricevuti dal conte Simone da Battifolle e da Guido suo nipote figliuolo del conte Ugo, il Comune gli ristituì le terre d'Ampinana, Moncione e Balbischio. E diliberossi il Comune d'Arezzo della signoria del Comune di Firenze, dando al servigio del Comune a' suoi bisogni C cavalieri di qui a IIII anni, rendendo al Comune fiorini... in... anni, che v'avea messi CCm di fiorini d'oro. Diedesi il castello di Pietrasanta al vescovo di Luni, acciò che guerreggiasse i Pisani coll'aiuto di meser Luchino signore di Melano suo cognato, come assai tosto faremo più stesa menzione. Per la rivoltura del duca si perdé la signoria d'Arezzo, e di Pistoia, e Serravalle, e di Volterra, e San Gimignano, e Colle, Pietrasanta, Santa Maria a Monte, e Montetopoli, Castiglione Aretino, e più altre castella, per colpa i più di nostri rei e barattieri cittadini castellani di quelle. E così riescono i nostri mali aquisti, quando il Comune è in divisione e male guidato. Ancora del detto mese s'apresono in Firenze più fuochi da Santo Apostolo e arsonvi XII case, e una a San Giorgio, e una a San Piero Gattolino, e una nel Corso di Tintori, e una a San Piero Celoro con grande danno; e tutto questo è del giudicio di Dio per li nostri peccati.



XXV - Come i Fiorentini rifeciono di nuovo pace co' Pisani

Riformato il nuovo stato del popolo in Firenze per lo modo ch'avemo detto, per nonn-avere guerra di fuori per lo nostro variato stato, si fece accordo co' Pisani per lo nostro Comune con poco nostro onore, e guardando più secondo il tempo, con questi patti: che Lucca rimanesse libera alla signoria di Pisani, rimettendo in Lucca i loro usciti, chi vi volesse tornare, e i loro beni rendere alle loro famiglie, e di dare al Comune di Firenze di censo di Lucca, per lo debito, obrigati i Fiorentini per quella a meser Mastino, fiorini Cm d'oro in XIIII anni, ogn'anno la rata per la festa di san Giovanni; e rimanendo al Comune di Firenze tutte le castella e terre di Lucca che si tenieno, franchi i Fiorentini in Pisa di quello venisse per mare l'anno la valuta di CCm di fiorini d'oro allo stimo della legatia, che sono la valuta del quarto più, e da indi in su pagare danari II per libra; che sempre ab anticho erano i Fiorentini al tutto liberi e franchi, e' Pisani in Firenze. Ma per questi nuovi patti sono i Pisani franchi in Firenze l'anno la valuta di fiorini XXXm d'oro di loro mercatantia che venisse da Vinegia, e 'l soprapiù, pagare danari due per libra. Tale fu la 'nfinta pace co' Pisani rimagnendo la mala volontà; fu piuvicata e bandita a dì XVI di novembre MCCCXLIII. E con tutto che il duca la facesse co' Pisani al suo reggimento, come detto è adietro, fu in più casi più onorevole per lo nostro Comune che questa.



XXVI - Come mesere Luchino Visconti di Milano si fece nimico di Pisani

Ma i Fiorentini, come toccammo adietro, lasciarono a' Pisani una mala azione, quando diedono Pietrasanta al vescovo di Luni di marchesi Malispini, il qual era cognato per la sirocchia moglie di meser Luchino Visconti signore di Milano, il quale indegnato contro a' Pisani, perché tenieno Serezzano, Lavenza, e Massa di marchesi, e altre loro castella in Lunigiana, né per suoi prieghi no·ll'avieno volute rendere, né a·llui data la 'mpromessa di molti danari gli restavano a date del gran servigio fatto della sua gente contro al nostro Comune, quando ci sconfissono a Lucca, e poi a sostenere l'assedio, ond'ebbono la città; per la quale ingratitudine di Pisani, e per la vergogna feciono a meser Giovanni Visconti stato loro capitano, quando uscì della nostra prigione, come toccammo adietro, e perché avieno cacciati di Lucca i figliuoli di Castruccio suoi amici e racomandati; e con coperto conforto de' Fiorentini col vescovo di Luni e colla serocchia, messere Luchino si fece nimico di Pisani, e mise in prigione XII stadichi ch'avea figliuoli di maggiori di Pisa, e mandò in aiuto al vescovo di Luni MCC di suoi cavalieri, capitano il detto meser Giovanni Visconti, i quali con altri che mandò apresso feciono molta guerra a' Pisani, faccendo capo in Pietrasanta, come tosto faremo menzione. Lasceremo alquanto di fatti di Firenze e de' Pisani, e diremo d'altre novità delli strani state in questi tempi per seguitare il nostro stile.



XXVII - Di grandi tempeste che furono in mare

Nel detto anno e mese di novembre, il dì di santa Caterina, fu in mare una grandissima tempesta per lo vento a scilocco in ogni porto, ov'ebbe podere, e spezialmente in Napoli; che quante galee e legni avea in quel porto tutti gli ruppe e gittò a·tterra, e quasi tutte le case della marina ov'erano i magazzini del vino greco e delle nocciuole, per lo crescimento del mare tutte allagò, e molte ne rovinò e guastò, e menò via le botti del greco e nocelle, e ogni mercatantia e masserizie, onde si stimò il danno più di XLm once d'oro, di fiorini V d'oro l'oncia; e questa fu segno di grande novità e mutazione che dovea avenire e avennero assai tosto, in quello paese. E per simile modo avenne nel porto di Pera in Romania d'incontro a Gostantinopoli con grande danno di Genovesi, cui era la terra. E in questo tempo essendo cominciata una grande zuffa alla città della Tana nel mare Maggiore in Romania tra' Viniziani e Saracini della terra, avendo i Viniziani della detta zuffa soprastati i Turchi, e mortine alcuni, e fediti molti, onde tutti quelli della terra si commossono a furia, e rubarono e uccisono quanti Viniziani e Genovesi, e Fiorentini alquanti, e altri Cristiani che nella terra si trovarono alla zuffa, chi non poté fuggire alle loro galee; e presono poi da LX mercatanti latini, che a·romore non furono morti, e tennolli in prigione da II anni, e poi per danari e ingegno si fuggiro, e con grande pericolo scamparono. E stimossi il danno delle mercatantie e spezierie rubate per li Turchi da CCCm di fiorini d'oro a' Viniziani, e da CCCLm a' Genovesi. E tali sono li stimoli e pericoli di mercatanti per le loro peccata e follie; e per questa cagione rincarò in questo nostro paese ogni spezieria, seta, e avere di levante, cinquanta e più per centinaio subitamente, e tali il doppio.



XXVIII - D'alcune novità fatte per li Fiorentini che reggeano la città

Del mese di dicembre del detto anno, per alcuna gelosia messa in Firenze di grandi non vera, furono fatti confinati V di casa i Bardi, e IIII di Frescobaldi, e II di Rossi, e III di Donati, e II di Pazzi, e uno di Cavicciuli, con tutto che·lla maggiore parte degli uomini de' detti casati, per levare sospetto al popolo e fuggire la furia, se n'andarono in contado a' loro poderi ad abitare, lasciando la città. A dì II di marzo del detto anno fu ferma e piuvicata la lega e compagnia tra 'l Comune di Firenze e quello di Perugia e di Siena e d'Arezzo per fortificare il loro stato, e per abattere i Tarlati d'Arezzo e ogni tirannello d'intorno. E in questi tempi i Fiorentini s'accordarono di nuovo, e feciono ragione con meser Mastino della Scala, che·lli restavano a dare per la matta compera di Lucca fiorini CVIIIm d'oro, e asegnarli sopra la gabella del macello e a quella di contratti, ogni mese IIm fiorini d'oro, e tornarono i nostri XXVII stadichi cari cittadini stati a Verona più di due anni: bontà del duca d'Atena, che non ne curava, ma li lasciava per abandonati, e per la sua avarizia non gli dava danaio, né·lle paghe promesse; che·ffu intra gli altri suoi difetti questo uno di quelli che molto gravò e dispiacque a' cittadini. Mandòvisi poi XII stadichi a vicenda di IIII mesi in IIII mesi a soldi XL il dì per uno per loro spese, e fiorino uno per cavaliere.



XXIX - Ancora della guerra dalla gente di meser Luchino Visconti co' Pisani

Nell'anno MCCCXLIIII, a dì V d'aprile, avendo la gente di Pisani ch'erano in Versilia e in Lunigiana fatto uno grande fosso con isteccati e bertesche dalla marina al castello di Rotaia, e poi infino alla montagna al castello di Montegioli ch'ellino tenieno, acciò che·lla gente di meser Luchino ch'erano in Lunigiana no·lli potessono correre e guerreggiare sopra il contado di Pisa, e quelle fortezze si guardavano di dì e di notte co·lloro gente assai grossa a cavallo e a piè; e quella notte la gente di meser Luchino ruppono la fortezza tra Rotaia e Montegioli, e passaro, e vigorosamente assaliro la gente di Pisani; e dopo la grande battaglia la gente de' Pisani furono sconfitti, e molti presi e morti, onde i Pisani molto isbigottiro. E poi a dì II di maggio menando meser Benedetto Maccaioni di Gualandi, rubello di Pisa, CCC cavalieri di que' di meser Luchino, ch'erano vernati in Maremma, co·llui a guerreggiare i Pisani e·lloro terre per accozzarli colla gente grossa di meser Luchino che per la vittoria avuta a Rotaia volieno passare il Serchio, e venire di qua in su quello di Pisa, essendo albergati a Santa Gonda, provedutamente e posta fatta furono sopresi da D cavalieri di Pisani e molti balestrieri, ch'erano stati al Ponte ad Era per attenderli; e rimasene tra presi e morti più di C a cavallo, e tutti erano tra presi e morti, se non che si fuggiro sopra le spiagge di San Miniato, e quivi coll'aiuto di Saminiatesi quelli che iscampati erano si ridussono a salvamento. Sentendo questa novella meser Giovanni Visconti capitano della gente di meser Luchino si partì di Versilia con LXX bandiere, che furono da MD a cavallo, e passarono il Serchio al ponte a Moriano, e vennero per la Cerbaia e passato la Guisciana a Rosaiuolo, e poi guadarono l'Arno e ricolsono la loro gente da Santa Gonda, e acamparsi a Castello del Bosco, e in sulla Cecina guerreggiando il contado di Pisa per più tempo, e prendendo più loro terre e castella. La gente de' Pisani, ch'erano da M cavalieri, s'afforzaro al fosso Arnonico e al Ponte ad Era a guardare la frontiera, sanza avisarsi co' nimici. E partiti da Castello del Bosco, osteggiando per più campi la Valdera e·lla Maremma infino all'agosto, e più vi sarebbono dimorati, se non fosse che per lo soperchio caldo e disagi vi si cominciò una corruzione, onde assai ve ne malarono e morirono. E infra gli altri caporali ne morì meser Benedetto Maccaioni grande nimico di Pisani, e Arrigo di Castruccio che·ffu signore di Lucca. E per la mortalità e pestilenza si partì la detta oste, que' ch'erano scampati, e tornarsi in Versilia con grande loro dannaggio di gente. Lasceremo alquanto di questa guerra, e diremo d'altre novità occorse in questi tempi.



XXX - Come quelli di Castello Franco presono Campogialli, e uccisono certi de' Pazzi di Valdarno

Nel detto anno, a dì XXVIIII d'aprile, quelli di Castello Franco di Valdarno di sopra con altri Valdarnesi e masnade d'Arezzo cavalcaro sopra' Pazzi di Valdarno, e per tradimento ebbono una porta del castello di Campogiallo, ch'era di Pazzi, e in quello entrati, corsono il castello uccidendo uomini e femmine sanza nulla misericordia, e uccisonvi X della casa di Pazzi di migliori di loro, e rubata la terra vi missono fuoco, onde caro costò a' Pazzi la guerra e oltraggi fatti a quelli di Castello Franco e agli altri Valdarnesi del contado di Firenze per lo tempo passato.



XXXI - Come il re di Spagna ebbe per assedio la forte terra della Zizera in Granata

Nel cominciamento dell'anno MCCCXLIIII, a dì XXV di marzo, s'arrendé al re di Spagna la forte e grande città della Zizera in Granata, ch'era di Saracini, alla quale era stato ad assedio per più di IIII anni per mare e per terra con grande spesa e affanno e mortalità di Cristiani; però che sovente erano asaliti dal re di Granata e sua gente, e guerreggiati e per mare e per terra da' Saracini di Morocco e da quelli di Barberia, che ogni anno vi venieno al soccorso più volte con grande navilio e gente innumerabile di Saracini, ov'ebbe più battaglie, e per mare e per terra, quando a danno di Cristiani e quando di Saracini, che sarebbe lunga matera a racontare; però che' Saracini aveano porto in mare sotto il forte castello di Giubeltaro, il quale i Saracini aveano raquistato sopra i Cristiani per tradimento, come adietro facemmo in alcuna parte menzione. Ma tutto era in vano la 'mpresa e assedio del re di Spagna, però che·lla città era fortissima di mura e torri e fossi con buono porto e forte, e fornita di vittuaglia per buono tempo, e di molta gente d'arme e arcieri e balestrieri saracini, e·ll'aiuto di fuori, come detto avemo, e se non fosse l'aiuto del papa e della Chiesa, che con moneta di decima e d'altri susidi atava e fornia il re di Spagna, onde al soldo della Chiesa mantenea al continovo in mare XX galee armate di Genovesi, sanza quelle di Catalani e Spagnuoli, e diede indulgenzia e perdono di colpa e di pena a chi v'andasse o mandasse aiuto. Per la qual cosa molti conti e baroni e cavalieri di Francia, e d'Alamagna, e d'Inghilterra, e di Linguadoco v'andarono alle loro spese al servigio, istando all'oste chi IIII e chi VI mesi; e andòvi il conte d'Analdo con C cavalieri, e così più altri baroni, per la qual cosa si continuò l'assedio; e fu sì stretta la terra per mare e per terra, che nullo vi potea entrare o uscire; e dentro v'avea più di XXXm uomini d'arme saracini, sanza le femmine e fanciulli; sicché fallì loro la vettuaglia per lo lungo assedio, e per fame s'arrendero salve le persone, che se ne andaro tutti in Granata fra terra; onde fu uno nobile aquisto al re di Spagna e a tutta Cristianità. E trovòvisi dentro molto tesoro, cose e arnesi. Ed ha ora il re di Spagna e' Cristiani porto buono all'entrata del reame di Granata da potere guerreggiare e aquistare il paese. Lasceremo di fatti di Saracini, e torneremo alle novità di Firenze occorse in questi tempi.



XXXII - Di certe novità state in Firenze in questi tempi

Nel detto anno del mese di giugno e di luglio, signoreggiandosi il reggimento di Firenze per lo popolo minuto, come più tempo dinanzi fu detto dovea avenire, cioè per le capitudini di tutte l'arti, come dicemmo adietro nella riformagione della terra, cacciato il duca d'Atene, sì·ssi ricercò per certi uficiali, e fecesi inquisizione di tutti i cittadini, rettori e castellani, stati per lo duca nella città d'Arezzo e nel castello fatto per i Fiorentini in quello, e di Castiglione Aretino, e della città di Pistoia e del castello che v'era dentro, e di Serravalle, e di più castella di Valdarno e di Valdinievole, e della città di Volterra, e di Colle di Valdelsa e di più altri, i quali alla rivoluzione del duca e di sua signoria, e certi de' detti, rettori e castellani, gli abandonaro, quali per paura e chi per la forza de' terrazzani, e tali per baratteria, avendone danari. Molti ne furono condannati per l'asegutore delli ordini della giustizia, commessogli per lo reggimento detto del Comune, e chi a diritto e chi a torto; onde assai danari tornaro di condannagioni in Comune; e molto ne furono condannati in persona, che non compatiro dinanzi, e più toccò a' grandi ch'a' popolani; però che 'l duca gli avea messi in quelle signorie.

Ancora nel detto tempo e mese furono per lo detto popolo fatti uficiali a rimettere tra ribelli certi Ghibellini caporali, e altri possenti stati rubelli prima; però che per la cacciata del duca tutti i libri di rubelli e sbanditi ch'erano in camera furono arsi, sì che di quelli si fece nuovo ligistro.

Ancora nel detto tempo fu condannato Corso di meser Amerigo di meser Corso Donati nell'avere e nella persona per contumace, per certe lettere che furono trovate, che mandava ed erano mandate a·llui da certi tiranni di Lombardia, con cui tenea alcuno trattato contro al popolo di Firenze, o vero o non vero che fosse, che no·llo aproviamo, però ch'a·llui era impossibile fornire sì grande impresa sanza maggiore séguito; ma non comparì dinanzi a scusarsene, o per tema del popolo o de' suoi nimici, o per non discoprire chi a·cciò tenea co·llui il trattato. Il quale Corso colla moglie, ch'erano in Forlì, moriro in pochi dì di maggio nel MCCCXLVII, di cui fu gran danno, però ch'era valente donzello, e per venire in grande affare se fosse vivuto.

E nel detto tempo, a dì III di luglio, fu in Firenze disordinata tempesta di venti, tuoni e baleni molto spaventevoli, e caddono dentro alla città VI folgori, ma poco feciono danno, ma maggiore paura alle genti.

E poi la notte di santo Iacopo s'aprese fuoco nel popolo di San Brocolo, e arse quasi una gran casa. E pochi dì apresso arse un'altra casa in Torcicoda a' confini del detto popolo. E poi pochi dì apresso arse un'altra gran casa nel detto popolo di San Brocolo, non però con troppo danno. E poi a dì VIII d'agosto la notte s'aprese il fuoco nel popolo di San Martino presso ad Orto Sa·Michele in botteghe di lanaiuoli, accendendosi in alcuno panno riscaldato per l'untume e soperchio caldo, onde arsono XVIII tra case e botteghe e fondachi di lanaiuoli con grandissimo danno d'arsione di panni e lane e altri arnesi e maserizie, sanza il danno delle case; e·cciò ne dimostrò la 'nfruenza del pianeto di Marti e del sole e di Mercurio stati nel segno del Leone, atribuiti significatori in parte alla nostra città di Firenze, o più tosto la mala guardia del fuoco per chi l'avea a guardare.



XXXIII - Come il conte Simone da Battifolle raquistò il castello di Fronzole colla forza di Fiorentini

Nel detto anno, essendo il conte Simone da Battifolle con suo sforzo istato più mesi all'asedio del castello di Fronzole, ch'è sopra Poppi, il quale sentia che non era ben fornito di vittuaglia, il quale manteneano i Tarlati d'Arezzo e rubellato l'avieno al conte, e tenutolo più tempo contro a' detti conti, e aforzato di ricche e forti mura e tocca per lo vescovo stato d'Arezzo di Tarlati, sicché impossibile era da poterlo mai avere, se non per difalta di vettuaglia. Sentendo i detti Tarlati come mancava a quelli d'entro la vettuaglia, feciono e ragunarono loro sforzo a Bibbiena per soccorrello coll'aiuto di Pisani e di Ghibellini della Marca e del Ducato e di Romagna, e furono più di DC cavalieri e popolo grande a piè. Sentendolo i Fiorentini, mandarono al soccorso del conte di loro cavalieri e·lle vicherie di pedoni e masnadieri di Valdisieve e di Valdarno in grande numero, e' Sanesi gli mandarono in aiuto CC cavalieri, e' Perugini CL, onde i Tarlati e' loro amici non s'ardirono di venire al soccorso per la potenza maggiore di loro nimici, e per lo disavantaggio del poggio; e così s'arendé Fronzole al conte Simone, salve le persone, a dì XXIIII d'agosto del detto anno, che·ffu un bello aquisto al conte, però ch'è de' più forti castelli e rocca di Toscana, e cova e soprasta a Poppi, al di sopra poco più d'uno miglio. Il conte avutane la vettoria, ne fece grandi grazie al Comune di Firenze e Sanesi e Perugini per suoi ambasciadori; e poi elli in persona vegnendo in Firenze, riconoscendo d'averlo raquistato per lo aiuto e forza del nostro Comune, e mandocci la campana del detto castello per segno e ricordanza.



XXXIV - Ancora di novità fatte in Firenze per rettori di quella

Nel detto anno, a dì XXXI d'ottobre, si fece per lo popolo minuto reggente il Comune una nuova riformagione e legge contro a' grandi, che·ssi guardò adietro, e misesi inn ordine di giustizia, cioè che fosse tenuto l'uno consorto per l'altro nonistante che tra·lloro avessono nimistà, o disimulassono d'averla, per levare ogni vizio a' grandi contro a' popolani. Ancora feciono che ogni grande che fosse di fuori in signoria o al soldo d'alcuno signore, dovesse ritornare infra certo tempo, o sarebbe messo per ribello. Questo feciono per sospetto e gelosia presa di loro, però che dopo la cacciata del duca d'Atene, e state le novità e asalti dal popolo a' grandi, come detto avemo adietro, molti grandi e gentili uomini per fuggire la furia del popolo e per prendere loro vantaggi, chi era ito al servigio di meser Mastino della Scala, e chi di meser Luchino Visconti, e chi del marchese da Ferrara e del signore di Bologna, e chi n'er'ito nel regno di Puglia; e tutti convennono che tornassono co·lloro sconcio e danno. E poi a dì XI di dicembre feciono i magistrati del popolo un'aspra riformagione e crudele contra il duca d'Atene, ciò·ffu che chiunque l'uccidesse avesse dal Comune Xm fiorini d'oro, cittadino o forestiere, e tratto d'ogni bando ch'avesse con asegnamento e ordine. E feciollo per suo dispetto e onta dipignere nella torre del palagio della podestà con messer Cerritieri de' Visdomini, e meser Meliadusso, e il suo conservadore, e meser Rinieri da San Gimignano stati suoi aguzzetti e consiglieri, a memoria e asempro perpetuo de' cittadini e forestieri che·lla dipintura vedesse. A cui piacque, ma i più di savi la biasimarono, però ch'è memoria del difetto e vergogna del nostro Comune, che 'l facemmo nostro signore. E·lla detta legge feciono perché il duca d'Atene adoperava in Francia col re e con altri baroni quanto potea di male contro a' Fiorentini, ed erano in grande dubbio d'esere sopresi di rapresaglia d'infinita moneta che domandava per amenda al Comune di Firenze, se non che·ssi riparò allora col re di Francia con lettere del papa e con solenni ambasciadori, ch'andarono in Francia, faccendo manifesto e chiaro il re di Francia de' suoi difetti e male reggimento. E oltre a·cciò non finava il duca di mettere sospetto e gelosia in Firenze, e mandando sovente sue lettere in Firenze a·ccerti suoi acconti, dando loro speranza di suo ritorno per male reggimento, dicea, di quelli reggeano la terra, onde poco dinanzi ne fue impiccati due legnaiuoli ch'erano molto suoi credenzieri quand'era signore in Firenze, e ricevieno e mandavano le dette lettere. Lasceremo alquanto de' fatti del duca e di Firenze, e diremo d'altre novità d'intorno che furono in que' tempi.



XXXV - Come il marchese da Ferrara ebbe la città di Parma

Nel detto anno, all'uscita d'ottobre, mesere Azzo di quelli da Coreggia che tenea Parma, come l'avea rubellata a mesere Mastino suo nipote per tradimento, come contammo adietro, non potendola tenere, però che s'avea fatto nimico meser Mastino, e per la continua guerra ch'aveano dal signore di Milano e da' suoi seguaci, da·ccui anche s'era rubellato, ancora e traditolne, e da altri non potea avere aiuto né soccorso; per trattato di meser Mastino della Scala faccendolo fare a' marchesi, per danari in quantità di fiorini venti milia d'oro diedono la signoria della terra ad Obizo marchese da Ferrara, che tenea Modona: e andòvi a prendere la posessione meser Ghiberto da Fogliano uscito di Reggio con CCC cavalieri, intra' quali furono VI bandiere di cavalieri del Comune di Firenze, ch'erano al servigio del marchese. Per la qual cosa quelli da Gonzago, signori di Mantova, che tenieno Reggio, spiacendo loro la detta impresa, parendo loro rimanere assediati in Reggio, con tutta la loro forza e aiuto di meser Luchino si ragunarono a Reggio. E poi pochi dì apresso il marchese da Ferrara in persona, con sicurtà e licenza de' signori di Reggio, andò a Parma con M cavalieri tra di sua gente e di quella del signore di Bologna e di meser Mastino; e riformata la terra della sua signoria, e lasciatola fornita di sua gente, se ne partì a dì VII di dicembre seguente per tornare a Modona e a Ferrara; e mandò inanzi per isguarguato meser Ghiberto da Fogliano con CCC cavalieri armati, e 'l marchese venia da uno miglio apresso colla sua gente quasi disarmati, per la sicurtà avuta da quelli di Reggio. Quelli da Gonzago non tennor fede, ma fuori di Reggio missono due aguati di loro gente, e come meser Ghiberto da Fogliano co' detti CCC cavalieri fu nell'aguato, furono asaliti dinanzi e di dietro, e inchiusi e presi; e chi·ssi volle difendere fu morto, sicché tutti vi rimasono. E 'l detto meser Ghiberto con due suoi figliuoli e un suo nipote presi, e più altri caporali conestaboli e buona gente. E come questo tradimento sentì il marchese ch'era adietro, si tornò con sua gente in Parma molto crucciato: e ripresi que' signori da Gonzago del detto tradimento, avendo data la sicurtà e salvocondotto, e' si scusavano che·ll'aveano dato all'andare ma non al tornare; ma sempre, chi usa tradimento, il vizio dello 'nganno è aparecchiato e conseguente. I detti da Gonzago, coll'aiuto di meser Luchino da Milano, il febraio vegnente, sentendo il marchese da Ferrara in Parma, cavalcato in sul ferrarese insino presso a Ferrara a III miglia, levando grande preda, e faccendo gran dannaggio a' marchesi. Per le quali cagioni l'altra lega di Lombardi, meser Mastino della Scala, e il signore di Bologna, e quello di Padova, co' marchesi, alla primavera seguente feciono oste alla città di Reggio con più di IIIm cavalieri e popolo grandissimo, e chiusono sì i passi d'intorno a Reggio, che non vi potea entrare gente né vittuaglia; e per li più si credette non si potesse tenere. Né·ggià però meser Luchino e que' da Gonzago con tutta la loro potenza non si vollono afrontare a battaglia co' nimici, ma stavano alle frontiere al borgo a San Donnino e altre loro castella di reggiana a·ffare guerra guerriata in su quello di Parma e all'oste ch'era sopra Reggio. Ma per la state vegnente corruzione si cominciò nella detta oste da Reggio e infertà e mortalità, e intra gli altri di rinomo vi morì meser Francesco di marchesi da Esti, e meser Maffeo da Ponte Carradi capitano dell'oste e più altri; e simile dell'altra parte, onde per necessità si levaro e partiro le dette osti all'entrante d'ottobre MCCCXLV.



XXXVI - Di certe novità state in Firenze in questi tempi

Nel mese di dicembre del detto anno MCCCXLIIII la campana del popolo, che suona per lo consiglio, la quale poi che·ffu fatta era stata sopra i merli del palagio di priori, si tirò e aconciò ad alti in sulla torre, acciò che s'udisse meglio Oltrarno, e per tutta la città, la qual era d'uno nobile suono della sua grandezza. E nel luogo ov'era quella fu posta la campana che venne dal castello di Vernia, e ordinata sonasse solamente quando s'aprendesse fuoco di notte nella città, acciò ch'al suono di quella traessono i maestri e quelli che sono ordinati a spegnere i fuochi.

E del mese di gennaio seguente si fece per lo Comune di Firenze accordo e lega e compagnia col vescovo d'Arezzo, ch'era delli Ubertini, e con suoi consorti, e trattoli d'ogni bando; ed elli diede in guardia le castella del vescovado e·lle loro al conte Simone da Battifolle e a' suoi fedeli per X anni per lo Comune di Firenze, e per fare guerra a' Tarlati e rubelli d'Arezzo, e avere gli amici per amici e' nimici per nimici. Le castella principali furono: Civitella, Cennina, e 'l palagio di Castiglione degli Ubertini e più altre fortezze.

E all'uscita del detto mese s'aprese fuoco al munistero delle donne del Prato, e fece loro danno assai. E apresso il primo dì di febraio s'aprese nella Città Rossa, e arse una casa e una femmina iv'entro. E a dì XV del mese di febraio furono condannati per processo ordinato tutti quelli della casa degli Ubaldini nell'avere e nelle persone siccome ribelli (salvo il lato di quelli da Senno, che non si trovaro colpevoli) per cagione della battaglia e aguato che feciono alla nostra gente a Rifredi, quando andavano al soccorso di Firenzuola, e per la presa della detta Firenzuola e del castello de' Tirli alla cacciata del duca d'Atene, come in alcuna parte adietro facemmo menzione; e tutti i loro beni ch'erano nel contado di Firenze messi in Comune.

E nel detto mese di febraio vennono in Firenze ambasciadori del re di Francia a petizione del duca d'Atene; ciò fu uno cavaliere e uno cherico, e in pieno consiglio domandaro l'ammenda del detto duca. E nel detto consiglio e i·lloro presenza furono publicati i suoi falli e difetti, e mostrate le sue quitanze; e ordinati e mandati al re di Francia ambasciadori colla risposta per lo nostro Comune, come dicemmo adietro; e a quelli ambasciadori del re presentati per lo Comune, e fatto loro le spese e compagnia e onore assai, mentre dimorarono in Firenze e per lo nostro contado; onde n'andarono molti contenti; ma però non lasciò il re di Francia di proccedere contro a' Fiorentini per lo duca d'Atene, come inanzi si farà menzione.

E nel detto mese di febraio per lo Comune si fece ordine che qualunque cittadino dovesse avere dal Comune per le prestanze fatte al tempo di XX, come adietro facemmo menzione, che·ssi trovaro più di DLXXm di fiorini d'oro, sanza il debito di meser Mastino della Scala, ch'erano presso di Cm fiorini d'oro, si mettessono in uno ligistro ordinatamente; e dare il Comune ogni anno per provisione e usufrutto a ragione di V per centinaio l'anno, dando ogni mese la paga per rata di mese; e diputossi a fornire il detto guiderdone parte della gabella delle porti e d'altre gabelle, la qual montava l'anno da fiorini XXVm d'oro, ov'erano asegnate le paghe a meser Mastino; e pagato lui, fossero diputate alla detta sodisfazione; il qual meser Mastino fu pagato del mese di dicembre per lo modo diremo inanzi. E cominciossi la paga della detta provisione del mese d'ottobre MCCCXLV. Nel detto anno, a dì XII di marzo, passò di questa vita e santificò uno Iacopo, figliuolo fu di meser Bono Giamboni giudice del popolo di San Brocolo, il qual era stato di santa vita, e vergine di suo corpo, si disse, e statosi in casa rinchiuso più di XXV anni, che non usciva se non alcuna volta anzi il giorno a confessione o prendere Corpus Domini; e avea dato per Dio a' poveri tutta sua sustanzia e patrimonio, e poveramente e in digiuni e orazioni vivea, scrivendo libri a prezzo, e dittando da·ssé di sante e buone cose; e chi·lli mandava limosina no·lla ricevea, se non da divoti suoi amici; e 'l soperchio di suo guadagno, finito poveramente suo mangiare a giornata, dava per Dio a' poveri. Fece Iddio visibili e aperti miracoli per lui alla sua morte, e poi e' soppellissi a Santa Croce a guisa di santo. E a sua vita predisse a' suoi amici più cose future, e ch'avvennero nella nostra città, e della signoria e cacciata del duca d'Atene per vertù dello Spirito Santo. Lasceremo alquanto de' fatti di Firenze, che assai n'avemo detto a questa volta, e diremo delli strani.



XXXVII - Di novità state nella città di Genova

Nel detto anno, all'uscita di dicembre, il dogio del popolo di Genova, che avea nome Simone di quelli di Boccanegra, ch'avea regnato signore da anni, come adietro è fatta menzione, per sua motiva, e sentendo che gli Ori e·lli Spinoli, e Grimaldi e altri noboli co·lloro sforzo venivano alla terra, sì rinuziò la signoria dinanzi al parlamento del popolo, e andossene a Pisa con tutta sua famiglia e parenti, e dissesi con più di Cm fiorini d'oro contanti ch'egli avea guadagnati, overo tribaldati al suo uficio.

E il popolo di Genova, acciò che i grandi non prendessono la signoria, di presente elessono dogio del popolo e missono in signoria uno Giovanni da Monterena, il quale cominciò a reggere la signoria francamente per lo popolo, e contradiare i detti grandi e potenti, che venieno contro al popolo. E poi per ordine e trattato del detto dogio que' della città di Saona levato la terra a romore a dì VIII di gennaio seguente, e feciono popolo, e cacciarono della terra i loro grandi, e quanti grandi e nobili v'avea di Genova, e tolsono loro le castella e ogni fortezza ch'avieno in Saona.

E poi il dì seguente il popolo di Genova feciono il somigliante; e perché gli Squarciafichi e' Salvatichi, grandi di Genova, feciono alcuna risistenza, furono assaliti e combattuti dal popolo, e morti di loro, e cacciati della terra.

E vegnendo in que' dì Ottone Doria e suoi seguaci e amici con DCC cavalieri e popolo assai, e dentro de' borghi di Prea, il popolo di Genova uscì della terra, e con armata mano li assaliro e combattero e missono inn-isconfitta, e rimasene assai di morti e di presi. E il febraio seguente il dogio e popolo di Genova feciono lega e compagnia con meser Luchino Visconti signore di Milano, ed elli promisse a·lloro d'avere li amici per amici e nimici per nimici, e servigli al loro bisogno di D cavalieri. E poi del detto mese gente d'arme di Genova, ch'erano iti a cavallo e a piede a porto Morici, furono rotti e sconfitti da·lloro usciti. Ma poi l'aprile vegnente que' di Genova coll'aiuto di meser Luchino v'andarono a oste per mare e per terra, e presono il detto porto Morici e·lla terra. Ma poi all'entrante di luglio MCCCXLV messer Luchino Visconti fece fare pace dal popolo di Genova a' loro usciti.



XXXVIII - Ancora della guerra della gente di mesere Luchino co' Pisani

Nel detto anno e mese di febraio i Pisani feciono lega e compagnia con certo ordine con meser Mastino della Scala, e col signore di Bologna, e co' marchesi da Ferrara, e Romagnuoli per dispetto e contrario di meser Luchino Visconti, e richiesonne i Fiorentini; ma non vi si vollono acordare. Per la qual cosa la gente di meser Luchino, ch'era in Versilia, passato il Serchio in quantità di D cavalieri e popolo assai, e corsono insino presso alla città di Pisa per la via di Valdiserchio faccendo gran danno d'arsioni, e levando gran prede d'uomini e di bestie e d'arnesi, e tornarsi in Versilia sani e salvi, che di Pisa non uscì uomo a contradiagli. E poi del mese di maggio MCCCXLV morto il marchese Malaspina cognato di meser Luchino, a cui petizione mantenea la detta guerra; e priego del dogio e popolo di Genova meser Luchino fece pace co' Pisani, ed ebbe d'amenda Cm fiorini d'oro, rimanendo a' Pisani le terre di Lucca, ch'allora si tenieno per meser Luchino, e rendé li stadichi a' Pisani. E questo è il fine de' tiranni di Lombardia, per trarre loro utole delle guerre e disensione di noi ciechi Toscani. Lasceremo alquanto di nostri fatti di Firenze e d'Italia, e diremo di certe novità d'oltremare.



XXXIX - Come i Cristiani presono la città delle Smirre sopra i Turchi

Nel detto anno MCCCXLIIII, essendo per lo re di Cipri e per lo mastro dello Spedale e magione, che tenea l'isola di Rodi, e per lo patriarca di Gostantinopoli e cogli amiragli delle galee de' Genovesi e Viniziani, ch'erano al soldo della Chiesa sopra i Turchi, ordinarono una grande armata di navi, cocche e galee con molta buona gente d'arme per andare sopra i Turchi, e ragunarsi all'isola di Negroponte in Romania overo Grecia; e di là si partì la detta armata del mese di..... e puosonsi alla città delle Smirre nel paese che oggi si chiama Turchia, assai presso dove anticamente fu la grande città di Troia, e in quello golfo di mare. La qual città si tenea pe' Turchi, ed era molto forte fornita di molta gente d'arme Turchi e Saracini. E·lla detta armata di Cristiani entrarono nel porto della detta Smirra, e quello combattendo con aspre battaglie, e con difici e torri di legnami fatti in sulle cocche e navi, per forza presono le torri del porto, e tagliarono e gittarono in mare i Turchi che v'erano alla difesa. E vinto il porto, asalirono la terra da più parti, e combattendo per forza d'arme l'ebbono con gran tagliata e uccisione di Saracini e Turchi, che non vi lasciaro né uomini né femmina né fanciulli che non mettessono alle spade a morte, chi non si fuggì, i quali furono quasi innumerabile gente; e trovarolla fornita di molta ricchezza, cose, maserizie e vittuaglia. Sentendo ciò il soldano di Turchi ch'avea nome Marbasciano, ch'era fra terra a sue castella, di presente vi venne con XXXm Turchi a cavallo e con gente a piè innumerabile, e puose di fuori l'assedio alla detta terra delle Smirre con più campi. I Cristiani, ch'aveano presa la terra, la guernirono e aforzarono di loro gente, e·lla terra era fortissima di mura e torri, e sovente uscivano fuori alli scaramucci e badalucchi contro a' Turchi, quando a danno dell'una parte e quando dell'altra; e il detto assedio durò parecchi mesi, combattendosi al continovo di dì e di notte. In questa stanza Marbasciano soldano di Turchi, veggendo che seguendo l'assedio perdea al continuo di sua gente, e poco potea fare alla terra, sì era forte, sì si provide maestrevolmente per attrarre i Cristiani di fuori a·ccampo; sì si ritrasse colla maggiore parte di sua gente adietro alquante miglia alle montagne, e lasciò certa parte di sua oste a campo fuori della terra. I Cristiani ch'erano nelle Smirre veggendo asottigliato il campo di nimici di genti, stimando fossono per l'assedio straccati, il dì di santo Antonio, dì XVII di gennaio, popolo e cavalieri, uscirono della città, e asalirono il campo di Turchi vigorosamente, e quello con poco contasto di battaglia missono inn-isconfitta e fuga con grande mortalità di Turchi; e preso e rubato il campo, e intendendo certi alla caccia di Turchi che fuggieno, e certi alle spoglie del campo, e' capitani dell'oste con buona parte della migliore gente intendeno a·ffare gran festa, e celebrare messa e sagrificio nel campo, credendosi avere tutto vinto, e non prendendosi guardia dell'aguato, Marbasciano con suoi Turchi, com'avea ordinato per certi segni, discesono delle montagne, ch'erano assai presso, e assalì la gente de' Cristiani, ch'erano sparti, e male in ordine e peggio in guardia e·cchi armato e chi disarmato, e di presente con poco afanno gli ebbono rotti e sconfitti e messi in volta. E chi si fuggì nella terra; e di migliori rimasono nel campo alla battaglia, la quale durò poco, però che' Cristiani erano pochi alla comparazione di Turchi; e quelli che ressono al campo rimasono tutti morti. Intra gli altri vi morì il patriarca di Gostantinopoli, uomo di grande valore e autoritade, e meser Martino Zaccheria amiraglio di Genovesi, e meser Piero Zeno amiraglio di Viniziani, e 'l maliscalco de·rre di Cipri, e più frieri della magione dello Spedale, e più di D buoni uomini di Cristiani che ressono combattendo al campo, onde fu grande dannaggio; tutti gli altri Cristiani si fuggirono nella terra. E avenne loro bene, che per la detta rotta e sconfitta non isbigottirono, ma vigorosamente salvarono e difesono la terra da' Turchi, sicché per battaglie che vi dessero no·lla potero raquistare, ma ne moriro molta di loro gente per li molti balestrieri che dentro v'erano alla guardia. Venuta la detta novella in ponente e al papa, lieti ne furono per lo raquisto delle Smirre, e crucciosi della rotta e perdita di quella buona gente che vi rimasono morti. Per la qual cosa incontanente fece il papa indulgenza e perdono di colpa e di pena chi v'andasse o mandasse al soccorso, e andarvi di Firenze di loro volontà, e che furono mandati alle spese di chi volle il perdono, da CCCC di croce segnati, e con tutte armi e soprasberghe bianche con giglio e croce vermiglia, e per loro medesimi ordinati a conestaboli e bandiere. E di Siena ve n'andarono bene CCCL, e così di molte altre terre di Toscana e di Lombardia, chi pochi e·cchi assai, sanza ordini di Comuni, e feciono la via da Vinegia, però che·llà era ordinato il passo e navile alle spese della Chiesa. E 'l papa fece capitano di crociati il Dalfino di Vienna con sua compagna di gente d'arme al soldo della Chiesa; e passò per Firenze all'entrante del mese d'ottobre MCCCXLV, e andonne a Vinegia per seguire il detto viaggio e impresa, e più altri cavalieri oltramontani v'andaro per avere il perdono; e·cchi affiato della Chiesa. Lasceremo al presente della detta impresa, e diremo d'altre novità state ne' detti tempi.



XL - Come fu morto il re d'Erminia

Nel detto anno MCCCXLIIII il re d'Erminia, il quale avea per moglie la figliuola del prenze di Taranto e della Morea, e nipote del re Ruberto, e per amore della moglie si dilettava co' baroni e cavalieri latini, che più gli piacea i loro costumi che quelli delli Ermini, e quanta buona gente di ponente capitava in sua corte gli ritenea a suo soldo, chi a cavallo, e chi a piè; per la qual cosa i baroni ermini per invidia ordinarono tradimento, e uccisono il detto loro re. E ancora ci ebbe, e fu grande cagione della sua morte, che 'l papa per suoi legati gli avea promesso sussidio e aiuto alla difensione di Saracini, e·rre di Francia più tempo dinanzi presa la croce e promesso di passare oltremare al conquisto della Terrasanta; e ciascuno de' detti signori tenea al continuo in vana speranza il re d'Erminia, e·rre i suoi baroni; e ciascuno, cioè il papa e il re di Francia, gli fallirono, e' Saracini corsono più volte l'Erminia con gran danno del paese; e però i baroni s'indegnarono contro al detto re, e l'uccisono. Lasceremo de' fatti d'oltremare e d'altre novità d'intorno, faccendo digressione, raccontando d'una grande congiunzione di certi gravi pianeti, che fu in questi tempi, che sono di grande significazione al secolo.



XLI - Della congiunzione di Saturno e di Giove e di Marti nel segno d'Aquario

Nell'anno MCCCXLV a dì XXVIII di marzo, poco dopo l'ora di nona, secondo l'adequazione di mastro Pagolo di ser Piero, gran maestro in questa iscienzia, fue la congiunzione di Saturno e di Giove a gradi XX del segno dello Aquario collo infrascritto aspetto degli altri pianeti. Ma secondo l'almanaco di Profazio Giudeo e delle tavole tolletane dovea esere la detta congiunzione a dì XX del detto mese di marzo; e 'l pianeto di Marti era co·lloro nel detto segno d'Aquario gradi XXVII, e·lla luna scurata tutta a dì XVIII del detto mese di marzo nel segno della Libra gradi VII. E all'entrare che fece il sole nell'Ariete, a dì XI di marzo, fu Saturno in sull'ascendente nel segno d'Aquario gradi XVIII e signore dell'anno, e Giove nel detto Aquario gradi XVI. E Mars nel detto Aquario gradi XXII; ma seguendo l'equazione del detto mastro Paolo, ch'è de' maestri moderni, e dissene che co' suoi stormenti visibilmente vide la congiunzione a dì XXVIII marzo, essendo la detta congiunzione nell'angolo di ponente, e 'l sole era quasi a mezzo il cielo un poco dichinante a l'angolo, a gradi XVI dell'Ariete, e in sua saltazione; e il Leone, sua casa, era in su l'ascendente gradi XIII e Mars era già nel Pesce gradi VI; Venus nel Tauro gradi XIIII, sua casa, e in mezzo il cielo; Mercurio in Tauro in primo grado, e·lla luna inn-Aquario gradi IIII. Questa congiunzione co' suoi aspetti delli altri pianeti e segni, secondo il detto e scritto de' libri degli antichi grandi maestri di strolomia, significa, Idio consentiente, grandi cose al mondo, e battaglie, e micidi, e grandi commutazioni di regni e di popoli, e morte di re, e tralazione di signorie e di sette, e aparimento d'alcuno profeta e di nuovi errori a fede, e nuova venuta di signori e di nuove genti, e carestia e mortalità apresso in quelli crimanti, regni, paesi e cittadi, la cui infruenza de' detti segni e pianeti è atribuita; e talora fa nascere inn-aria alcuna stella comata, o altri segni e diluvi e di soperchie piove, però ch'ella è grave congiunzione per la propinquità di Marte, e sì per l'ecrissi proccedente dalla luna, e sì per la figura anuale a·cciò concordevole, e sì ancora perché poco tempo apresso ritrogando Saturno e Giove si rapressaro a gradi uno, minuti XXXV, tanto che·ssi possono un'altra volta congiunti riputare; bene darà più tardezza alli effetti per la ritrogagione. Questo non diciamo fia di nicissità, ma fia il più e 'l meno al piacere di Dio, disponitore de' detti corpi celestiali, mediante la sua giustizia e misericordia, secondo i meriti e peccati delle genti e de' regni e de' popoli per pulire e rimunerare; ed ècci la libertà del libero arbitrio dell'uomo, quando il voglia operare, la qual cosa è in pochi per lo difetto del vizio lascibile e·lla poca costanza delle virtù, onde per li più si vive al corso di fortuna. E nota ancora e troverrai che 'l pianeto di Marti entrò nel segno del Cancro a dì XII del mese di settembre nel detto anno MCCCXLV, e stette nel detto segno tra diretto e ritrogrando infino a dì X di gennaio, che ritrogando tornò in Gemini, e stettevi insino a dì XVI di febraio, e ritornò poi in Cancro, e stette poi in quello infino a dì II di maggio MCCCXLVI, sicché mostra sia stato in Cancro da mesi VI e mezzo tra due volte, che secondo suo usato corso non sta nel segno che L dì. Onde per molti maestri si disse che 'l reame di Francia avrebbe molte aversità e mutazioni, perché il segno del Cancro è asaltazione del pianeto di Giove dolce e pacifico, e dà ricchezze e nobiltà. Il quale segno del Cancro è atribuito al reame di Francia. Ancora il pianeto di Giove fu soprastato da Saturno e da Mars, il quale pianeto di Giove s'atribuisce alla Chiesa e al re di Francia. Ancora nota che partito Giove dalla congiunzione di Saturno e di Marti, ed entrato nel segno del Pesce sua casa, al continuo fu congiunto in quello colla cauda dragonis, ch'ancora li fa ditreazione, e nel paese ov'è atribuito la sua infruenzia.

Ora potrà dire chi questo capitolo leggerà, che utole porta di sapere questa strolomia al presente trattato? Rispondiamo che a chi fia discreto e proveduto, e vorrà investigare delle mutazioni che sono state per li tempi adietro in questo nostro paese e altrove, leggendo questa cronica assai potrà comprendere per comparazione di quelle sono passate pronosticate delle future, aconsentiente Idio, che questa congiunzione in questa tripicità de' segni dell'aere fu e cominciò a questi nostri presenti tempi gli anni MCCCV nel segno della Libra; e poi gli anni MCCCXXV nel segno del Gemini. A ciascuno fu ed è assai manifesto le novità state nella nostra città e altrove, ch'assai sono fresche dall'una congiunzione e·ll'altra, che sono state quasi di XX anni in XX anni poco meno; ch'è·lla più leggera, e in LX anni tornò, ch'è più grave e muta tripicità. E anche si possono leggermente ritrovare le novità che furono, e·lla discordia e guerra dalla Chiesa e·llo 'mperio, e l'altre novitadi e dell'antico popolo di Firenze, e della tralazione della signoria del re Manfredi al re Carlo, e in CCXL overo in CCXXXVIII l'avrà fatta XII volte in XII segni, le novitadi che furono in que' tempi adietro, il passaggio d'oltremare e altre grandi cose, e·lla mutazione della signoria del regno di Cicilia a Ruberto Guiscardo. E in DCCCCLX overo DCCCCLIII anni fornite XLVIII congiunzioni, e tornando alla prima, ch'è la più ponderosa di tutte, se cerchi adietro troverrai il cominciamento del calo della potenza del romano imperio alla venuta de' Gotti e di Vandali inn-Italia, e molte turbazioni a santa Chiesa etc. E questo basti alla presente materia, e diremo d'altro.



XLII - Quando morì mesere Albertino da Carrara signore di Padova, e quello ne seguì

Nel detto anno MCCCXLV, all'uscita del mese di marzo, morì meser Albertino da Carrara, il quale i Fiorentini e' Viniziani al conquisto della città di Padova da meser Mastino, come dicemmo adietro, ne feciono signore; e male ne fu conoscente, come fanno gli altri tiranni. E·llui morto, lasciò in suo luogo signore meser Marsilietto suo consorto ch'era assai valoroso e da bene; ma·lla invidia, che sempre ditrae ogni beneficio, commosse Iacopo da Carrara nipote carnale del sopradetto meser Albertino, e con suo séguito, poco tempo apresso, per tradimento di notte tempore uccise il detto meser Marsilietto suo consorto, e corse la terra, e come tiranno se ne fece signore.



XLIII - D'una aspra legge che 'l popolo di Firenze fece contro a' cherici

Nel detto anno, a dì IIII d'aprile, i reggenti e maestri del popolo di Firenze, uomini e collegi della qualità che detto avemo adietro, feciono una aspra e crudele legge sopra i cherici contra ogni ordine e dicreti di santa Chiesa, con molti capitoli contro a libertà di santa Chiesa. Intra gli altri, che quale cherico offendesse ad alcuno laico d'alcuno malificio creminale, fosse fuori della guardia del Comune, e potesse esere punito personalmente dalla signoria secolare inn-avere e in persona, non riserbando degnità; e quello cherico o laico impetrasse in corte di papa, o appo altro legato, lettera o privilegio di giudice dilegato in sua causa e quistione, che da niuna signoria di Comune fosse udito né amesso; ma che i propinqui e parenti di quelli ch'avesse fatta la 'mpetragione fossero costretti inn-avere e in persona, tanto facessono rinuziare la sua impetragione. Di queste leggi, e altri membri che·ssi contengono nella detta riformagione, fu la motiva che certi cherici rei di grandi e di possenti popolari pur facieno sotto titolo della franchigia di loro chericato di sconce cose a' secolari impotenti. E per cessare l'opposizione di contratti usurari, e per cagione di molte compagnie, che 'n quelli tempi e dinanzi erano falliti, levarono che non si potessono impetrare privilegi di giudici dilegati. Tutte queste fossono le cagioni, e hanno alcuno colore di giustizia, da' savi uomini fu molto biasimata la detta legge e riformagione, che perché il Comune la si potesse fare, non era licito di farla contro alla libertà di santa Chiesa né mai più fu fatta in Firenze; e·cchi vi diè aiuto o consiglio o favore issofatto fu scomunicato. E·sse in Firenze fosse in quelli tempi stato un valentre vescovo non cittadino, pure come fu il vescovo Francesco da Cingole anticessoro del presente, non sarebbe stato soferto; ma il presente vescovo, nostro cittadino, della casa delli Acciaiuoli, invilito per lo fallimento e cessagione de' suoi consorti, non ebbe ardimento al riparo della inniqua e ingiusta legge. La quale saputa in corte, ne fu fatto grande clamore al papa e a' cardinali; e poi tra per ciò e per altri processi fatti per lo Comune di Firenze contra i cherici nacque scandalo dalla Chiesa a' Fiorentini, come inanzi faremo menzione. E nota che fa il reggimento delle cittadi, essendone signori artefici e manuali e idioti, però che i più delle XXI capitudini dell'arti, per li quali allora si reggea il Comune, erano artefici minuti veniticci di contado e forestieri, a·ccui poco dee calere della republica, e peggio saperla guidare; e però che avolontatamente fanno le leggi straboccate sanza fondamento di ragione, e male si ricordano chi dà le signorie delle cittadi a sì fatte genti quello che n'ammaestra Aristotile nella sua Politica, cioè che' rettori delle cittadi sieno i più savi e discreti che si possano trovare. E 'l savio Salamone disse: "Beato quello regno ch'è retto per savio signore". E questo basti aver detto sopra la presente materia, con tutto che per difetti di nostri cittadini e per li nostri peccati male fummo retti per li grassi popolani, come poco adietro avemo fatta menzione. E da dubitare è del reggimento di questi artefici minuti idioti e ignoranti e sanza discrezione e avolontati. Piaccia a Dio che sia con buona riuscita la loro signoria, che me ne fa dubitare.



XLIV - Come il popolo di Firenze tolse a certi grandi e gentili uomini certe posessioni e beni donati loro per lo Comune

E poi del mese di maggio del detto anno per li detti reggenti e maestrati del popolo di Firenze fur tolti di fatto, e contra ogni debita ragione, a più nobili indotati dal Comune per antico o per loro meriti e di loro anticessori, o per ogni fare per lo Comune, come diremo apresso; intra gli altri a quelli della casa de' Pazzi le posessioni e beni che il popolo e Comune di Firenze avea donati e dotati a·lloro anticessori con ogni sollennità che fare si potesse infino gli anni MCCCXI, quando il popolo di Firenze fece cavalieri e difenditori del popolo quattro di loro, II figliuoli di messere Pazzino, e due suoi cugini, per la morte del detto meser Pazzino, stato morto in servigio del popolo, e·llui vivendo, capo e difenditore del popolo con suoi consorti contro ad ogni grande che contro al popolo erano o aoperassono, come adietro in quelli tempi facemmo menzione; e il suo padre mesere Iacopo del Nacca morto a Monte Aperti, caporale e gonfaloniere del popolo; e gli altri suoi consorti le grandi operazioni fatte per lo Comune e popolo di Firenze a·cColle, come adietro è fatta menzione; e per tanti benefici fatti per lo Comune e popolo di Firenze, antichi e moderni, non volere esere udite niuna loro ragione, né commetterla in quale giudice in Firenze o in Bologna, ch'al Comune piacesse. Ma meglio era non dare il dono che·lla cosa donata villanamente ritorre contra a ragione. E per simile modo tolsono i beni a' figliuoli di meser Pino e di meser Simone della Tosa, donati per lo Comune e popolo, quando gli feciono cavalieri del popolo, che tanto per lo popolo adoperarono, come in questa è fatta menzione. E per simile modo a' figliuoli di mesere Giovanni Pini de' Rossi, il quale morì apo Vignone in Proenza, essendo ambasciadore del Comune al papa Giovanni per gran cose. E montarono le dette posessioni più di fiorini XVm d'oro, e convertissi a rifacimento di ponti, ma non ne tornò in Comune la metà in danari che valeano. Di questo torto fatto pe' reggenti del popolo a' sopradetti gentili uomini, collo 'nzigamento degli altri grandi per invidia. avemo fatta menzione per dare asempro a quelli che verranno come riescono i servigi fatti allo 'ngrato popolo di Firenze; e nonn-è avenuto pure a' detti, ma se ricogliamo le ricordanze antiche pure di questa nostra cronica, intra gli altri notabili uomini che feciono per lo popolo, si fu mesere Farinata delli Uberti, che guarentì Firenze che non fosse disfatta; e mesere Gianni Soldanieri, che·ffu capo alla difensione del popolo contra al conte Guido Novello e gli altri Ghibellini; e di Giano della Bella, che·ffu cominciatore e facitore del secondo e presente popolo; e meser Vieri di Cerchi, e Dante Allighieri, e altri cari cittadini e guelfi, caporali e sostenitori di quello popolo. I meriti e guiderdoni ricevuti i detti e' loro discendenti dal popolo, assai sono manifesti, pieni di grandissimo vizio d'ingratitudine, e co grande offensione a·lloro e a' loro discendenti, sì d'esili e disfazione de' beni loro, e d'altri danni fatti per lo 'ngrato popolo e maligno, che discese di Romani e di Fiesolani ab anticho, ancora, se leggiamo l'antiche storie di nostri padri romani, non vogliamo tralignare. Intra·ll'altre notevoli ingratitudini fatte per lo detto popolo, assai sono manifeste: che merito ricevette il buono Camillo che difese Roma e diliberò da' Gallici? Certo fu sanza colpa cacciato inn-esilio e sbandito. Che diremo del buono Iscipio Africano che diliberò la città di Roma e 'l suo imperio d'Anibale, e vinse e sottomise Cartagine e tutta la provincia d'Africa al Comune di Roma, e per simile modo dallo 'ngrato popolo fu mandato inn-esilio per la invidia e a torto? Che diremo ancora del valente Giulio Cesare? Quanti notabili e grandi cose fece per lo Comune e popolo di Roma inn-Italia e poi in Francia, inn-Inghilterra, Alamagna, e sottomisele con tanto affanno al popolo di Roma, e per invidia de' rettori e senato del popolo fu rifusato a cittadino, e poi, lui imperadore, da' rettori del senato e suoi propinqui, e·lloro benefattore, fu morto? Certo questi antichi asempri e moderni danno matera che mai nullo virtuoso cittadino s'intrametta in benificio della republica e di popoli; ch'è grande male apo Dio e al mondo che' vizii della 'nvidia e della superbia ingratitudine abatta le nobili virtù della magnanimità e della grata liberalità, fontana di benifici. Ma non sanza giusto giudicio d'Iddio sono le pulizioni de' popoli e de' regni soventi per li detti falli e difetti: pognamo che Iddio non punisca di presente fatto il fallo, ma quando il dispone la sua potenzia. Se nella matera avessimo detto di soperchio, il soperchio del disordinato vizio della ingratitudine ce ne scusi, per l'opere delli straboccati nostri rettori.



XLV - Come volle esere tolto il castello di Fucecchio al Comune di Firenze

Nel detto anno MCCCXLV, a dì XXVII d'aprile, quelli della Volta di Fucecchio nobili e di più possenti di quelli della terra, coll'aiuto di loro amici di Sa·Miniato e di gente del contado di Lucca, corsono la terra di Fucecchio per rubellalla e torla al Comune di Firenze sotto titolo di cacciarne que' di meser Simonetto, un'altra casa di maggiori di Fucecchio, loro nimici. E sarebbe loro venuto fatto, se non fosse il sùbito soccorso delle masnade di Fiorentini ch'erano nelle castella di Valdarno e di Valdinievole, che·vvi trassono di presente; e con forza d'arme combattendo, furono i detti della Volta e·lloro seguaci nella terra sconfitti e rotti e cacciati, ov'ebbe assai di morti e fediti, e presi, impiccati per la gola. E poi la state apresso da D fanti di Pisani ch'erano alla guardia del Cerruglio e di Vivinaia e Montechiaro di notte tempo iscesono in Cerbaia, e parte ne passarono la Guisciana con trattato d'aver Fucecchio; per buona guardia si guarentì; onde i Fiorentini si dolfono forte a' Pisani per loro ambasciadori, onde si scusarono molto che non era loro fattura; ma come sempre hanno usato, il vizio pisanoro d'inganni e tradimenti fu questo, però che non ne feciono né amendo né punizione; e se l'avessono preso, il s'avrebbono tenuto a onta e dispetto di Fiorentini. E per la detta novità di Fucecchio, onde i Malpigli e Mangiadori di Sa·Miniato furono operatori e cagione, il luglio apresso ebbe zuffa e battaglia in Sa·Miniato tra' Mangiadori e Malpigli e loro seguaci; ma per li Fiorentini vi si mise accordo, perché non si guastasse quella terra. Ancora poi all'entrante di marzo del detto anno volle essere tradito Fucecchio, e più terrazzani colpevoli di ciò ne furono morti e giustiziati. E nel detto anno, all'entrante di giugno, fu fatta pace e accordo dal Comune d'Arezzo a' Tarlati e·lli altri loro usciti ghibellini per mano di Perugini e Fiorentini.



XLVI - Di certi lavorii di ponti e d'altri fatti per lo Comune in questi tempi

Nel detto anno, a dì XVIII di luglio, si compié di volgere e di serrare il nuovo ponte rifatto sopra l'Arno nel luogo ove anticamente era stato il ponte Vecchio, con due pile e tre archi, molto bello e ricco. Costò bene fiorini... d'oro; e·ffu bene fondato, e largo braccia XXXII, che·lla via rimase larga braccia XVI, che·ffu troppo grande al nostro parere, e basse l'arcora da braccia II; e·lle botteghe dall'uno lato e dall'altro larghe braccia..., e lunghe braccia VIII, e furono fatte in sul sodo dell'arcora fatte a volte di sopra e di sotto, e furono XLIIII, onde il Comune ebbe di rendita di pigione l'anno da DCCC fiorini d'oro o più, ch'anticamente erano di legname sportate sopra l'Arno, e 'l ponte stretto braccia XVI. E nel detto anno si cominciò a rifondare con nuove pile il ponte a Santa Trinita, e compiessi l'anno MCCCXLVI a dì IIII d'ottobre, e·ffu molto bello e forte, e costò da XXm fiorini d'oro. E merlossi con beccatelli isportati il palagio antico, dove abita la podestà dietro alla Badia e da San Pulinari, e missesi in volta il tetto di sopra perché non potesse ardere, come fece altra volta. E nel detto anno si cominciò a rivolgere e rinovare la coperta del marmo del Duomo di San Giovanni, e·lla cornice d'intorno troppo più bella che non era imprima, però che per lo lungo tempo la coperta prima di marmi in alcuna parte era rotta e guasta, e facea acqua e guastava le pinture dentro e storie del musaico. Lasceremo alquanto delle novità di Firenze e d'intorno, e diremo di novità fatte per lo re d'Inghilterra e sue genti in Fiandra e Brettagna e Guascogna, ch'assai furono maravigliose.



XLVII - Come il re Adoardo d'Inghilterra venne in Fiandra, e mandò sue osti in Guascogna e 'n Brettagna contro al re di Francia

Nel detto anno MCCCXLV Aduardo il terzo re d'Inghilterra fece un grande aparecchiamento di navile e di gente d'arme, per passare di qua da mare nel reame di Francia, ch'erano fallite le triegue. E del mese di giugno mandò il conte d'Ervi suo zio, cugino della casa reale, in Guascogna con CC navi cariche di cavalieri e d'arcieri. E mandò il conte di Monforte in Brettagna, a·ccui la duchea di quella a ragione succedea, come dicemmo adietro, con altre CC navi con gente d'arme assai a·ccavallo e a piè; e quello che' detti due signori colle dette armate adoperarono in Brettagna e in Guascogna diremo ordinatamente nel presente capitolo.

Lo re Aduardo in persona col figliuolo con altre CC cocche, overo navi, con gente d'arme assai, arrivò alle Schiuse in Fiandra a dì VI di luglio, con intenzione e con ordine e trattato colle Comuni di Fiandra di fare conte di Fiandra il figliuolo; e il duca di Brabante d'altra parte avea trattato con Luisi conte di Fiandra lega e compagnia, e fatto matrimonio e parentado co·llui, e dava al suo figliuolo la figliuola del duca per moglie, e dovelo rimettere colle sue forze di Brabanzoni nella signoria della contea di Fiandra. E stando il re Aduardo alle Schiuse sopra i detti trattati, ed esendo andati al re d'Inghilterra Giacomo Artivello di Guanto, caporale e maestro di tutta la Comune di Fiandra, con altri ambasciadori di Guanto e dell'altre ville di Fiandra, e dopo molti parlamenti i detti ambasciadori si partiro inn-accordo col re; Giacomo d'Artivello vi rimase col re alquanti dì per trattare, secondo si disse, sue ispezialtadi, onde gran sospetto generò nelle Comuni di Fiandra; e·llui tornato poi a Guanto, facea come signore sgombrare certi palagi e case di borgesi di Guanto, e fare l'aparecchiamento per lo re d'Inghilterra, che·vvi dovea venire; o per lo sospetto preso, o per l'aroganza del detto Giacomo, o per operazione del duca di Brabante, certi della Comuna di Guanto levaro la terra a romore, e corsono, e combattero e assalirono alle case il detto Giacomo d'Artivello, apellandolo per traditore; ed elli con suo séguito si difendea, e uccise due della Comuna, e molti fediti. Alla fine non potendo durare all'esercito del popolo, fu morto elli e 'l fratello e 'l nipote con bene LXX suoi amici e famigliari, e disfatte le sue possessioni. E·cciò fu dì XVIIII di luglio. E fecesi capo della Comuna di Guanto uno...

E come adietro dicemmo in altro capitolo di fatti di Firenze, tali sono le fini degli uomini troppo prosuntuosi, e che·ssi fanno caporali de' loro Comuni; e questo basti a tanto. Lo re Aduardo sentendo le dette novità, e non vegnendogli fornito in Fiandra il suo trattato, si partì con suo navilio dalle Schiuse, e tornossi inn-Inghilterra; e fece divieto che lane, né vittuaglia, né suo navilio, né altro che partisse di suo paese, arrivasse in Fiandra o in Brabante, onde i Fiamminghi rimasono molto confusi. Bene si raconciarono poi co·llui, come si dirà in altro capitolo innanzi.

Il conte d'Ervi arrivato in Guascogna si puose ad asedio della città di Bergherago, che teneno i Franceschi, ch'era del siri delle Brette, del mese d'agosto del detto anno. Il siniscalco di Guascogna per lo re di Francia, e il conte di Peragorga con D cavalieri e Xm pedoni vennero di notte per soccorrere la detta terra, credendo improviso avere sopreso il conte d'Ervi e sua oste; il quale stando di dì e di notte in buona guardia, si difese francamente dal detto assalto, e misero inn-isconfitta la gente del re di Francia, ove ne rimasono molti morti e presi. E poi il conte d'Ervi con sua gente combattero la terra, e per forza l'ebbono, ove fu grande uccisione e ruberia.

E sogiornando il detto conte d'Ervi alla detta città di Bergherago con suoi Inghilesi e Guasconi di sua parte, l'oste del re di Francia, in quantità di IIIm cavalieri con gente a piè innumerabile, la maggiore parte Guasconi e di Linguadoco, essendo allo assedio dell'Albaroccia in Guascogna, che tenieno gl'Inghilesi, e meser Gianni figliuolo del re di Francia con più di Vm cavalieri, con gran baronia di Franceschi, era a... presso a X leghe dell'Albaroccia; e per isdegno dell'Inghilesi, avendoli per niente, non volea esere al detto assedio. Gli asediati sentendosi molto stretti, mandaro al conte d'Ervi per soccorso, o a·lloro convenia rendere la terra. Il quale conte d'Ervi, come valente signore, non temendo di tanta cavalleria e potenzia del re di Francia, ch'avea al detto assedio e nel paese con messer Gianni di Francia, si partì da Belgeraco con quanta gente potéo con seco menare. E quando s'apressaro a' nimici, quelli ch'erano a·ccavallo scesono tutti a piede, lasciando i cavalli adietro a' loro fanti, ch'erano da MCC cavalieri e arcieri e gente a piè innumerabile, e assalirono così a piede la detta oste una mattina al punto del giorno, dì XXI d'ottobre del detto anno, ove fu aspra e dura battaglia, e grande uccisione dell'una parte e dell'altra; e durò infino al mezzogiorno, che non si sapea chi avesse il migliore. Alla fine essendo malmenata la gente del re di Francia d'uccisione di gente e di loro cavalli, l'Inghilesi e Guasconi di loro parte i cavalieri rimontarono freschi in su i loro cavalli, e per forza d'arme missono in volta e inn-isconfitta la gente del re di Francia, ov'ebbe molti morti e presi. Intra gli altri signori presi furono messer Luigi di Pittieri, il conte di Valentinese, il conte della Illa, il visconte di Nerbona, il visconte di Vilatrico, il visconte di Caramagna, messer Rinaldo d'Uosi nipote fu di papa Clemento V messer Ugotto dal Balzo, il siniscalco di Tolosa, e più altri signori e baroni, quasi tutti di Linguadoco; i quali si ricomperarono per loro raenzione più di libre Lm di sterlini. Messer Giovanni di Francia, che v'era presso colla sua baronia di Francia, come detto avemo, non venne al soccorso, né·ttenne campo, ma·ssi tornò adietro; onde gli fu messo in gran viltade, e preso grande sospetto per quelli di Linguadoco che tenieno col re di Francia. E per le dette due vittorie al conte d'Ervi e sua gente s'arenderono tra in Guascogna e in tolosana più di C tra città, terre e castella murate. E in questi tempi i Normandi, ch'erano sotto al re di Francia, feciono tra·lloro Comuna al modo de' Fiamminghi, non ubidendo gli uficiali del re di Francia, e' loro caporali trattando col re d'Inghilterra cospirazione, la qual poco tempo apresso partorì gran cose. Sentendo le dette novelle il papa e' cardinali di tanta commovizione del reame di Francia per la detta guerra, vi mandò di presente due legati cardinali, messer per mettere pace o triegua tra' detti signori, ma niente ne poterono fare; però che 'l papa era troppo parte in sostenere le ragioni del re di Francia, più che quelle del re d'Inghilterra, onde poi acrebbe molto male, come inanzi faremo menzione. E volle il papa proccedere contro al re d'Inghilterra, ma di ciò non ebbe concordia con gran parte di suoi cardinali, e però rimase. Essendo state in Guascogna le soprascritte battaglie a danno de' Franceschi, messer Giovanni di Francia con tutta sua gente, ch'erano grandissima a·ccavallo e a·ppiè, puose assedio al forte castello d'Aguglione, e giurò di non partirsene mai che l'avrebbe; dentro v'avea buona gente d'arme Guasconi e Inghilesi; e spesso meser Giovanni facea combattere il castello, e que' dentro sovente uscivano fuori a scaramucci e assalire il campo. Avenne che a dì XVI di giugno venendo da Tolosa per lo fiume all'oste de' Franceschi due grosse navi cariche di vettuaglia e d'arnesi da oste, quelli d'Aguglione uscirono fuori per terra e per acqua, e per forza combattendo presono le dette navi e miserle nel castello con gran danno di nimici, andando con grand'audacia infra·ll'oste di Franceschi prendendo e uccidendo, onde tutto il campo de' Franceschi fu ad arme, ch'era innumerabile gente, e per la loro moltitudine sopresono loro nimici ch'erano usciti d'Aguglione all'asalto dell'oste. Inanzi che tutti si potessono ricogliere al castello, ve ne rimasono assai morti, e presi gl'infrascritti caporali; messer Allessandro di Camonte, Guiglielmo Pomieri, il siniscalco di Bordello, il signore di Landiros, il signore di Pomiere, Ugo fratello del signore di Signaco, il visconte di Tartas fratello del signore di Soveraco, Giovanni Colombo di Bordello, tutti Guasconi, i quali più si scambiaro con parte di presi detti di sopra. Il conte d'Ervi con sua oste venne verso Aguglione, e rifornì il castello di gente e di vittuaglia. Lasceremo alquanto di questa matera per dire d'altre novità, ma assai tosto ci torneremo; però che·lla detta guerra dal re di Francia a quello d'Inghilterra crebbe diversamente, come inanzi faremo menzione.



XLVIII - Come il re d'Ungheria venne inn-Ischiavonia, e come fu morto il re di Pollana

Nel detto anno MCCCXLV, del mese di luglio, il re Lodovico d'Ungheria con grandi eserciti a·ccavallo e a piè venne inn Ischiavonia per raquistarla, ch'era di risorto del suo reame, onde si rubellò a' Viniziani la città di Giadra, ch'ellino aveano tenuta lungo tempo, e rendessi al detto re d'Ungheria, la quale i Viniziani tenieno, per forza e potenzia ch'avieno per mare, tirannescamente e con soperchie gravezze; onde a' Giadrini parea loro male stare, ch'era una grossa terra e buono Comune, usi di stare in loro libertà, salvo di piccolo risorto rispondieno per antico al re d'Ungheria; e questa fu la cagione della loro rubellazione. E per simile modo si rubellarono a' Viniziani più altre terre; e tutta la Schiavonia era per raquistare il re d'Ungheria, se non che per soperchio di sua gente gli fallia la vettuaglia, sicché di nicistà il convenne ritrarre adietro. Ancora in questa stanza ebbe novella che 'l re di Pollonia fratello della madre avea combattuto in campo con Carlo figliuolo del re Giovanni di Buem, ed era stato sconfitto e morto sanza lasciare alcuno figliuolo. Per la qual cosa si tornò in Ungheria, e poi andò in Pollonia, e coronò del detto reame Stefano suo secondo fratello, a·ccui succedea per retaggio della madre. Lasceremo di dire alquanto de' fatti degli strani, e diremo di nostri di Firenze.



XLIX - Come i Fiorentini s'accordarono con meser Mastino della Scala di danari gli restavano a dare per la compera di Lucca

Nel detto anno e mese d'agosto, essendo meser Mastino della Scala in discordia co' Fiorentini per li danari restava ad avere dal Comune di Firenze per la matta e folle impresa di comperare da·llui la città di Lucca assediata, come adietro è fatta menzione, domandando meser Mastino tra di resto e d'amenda più di CXXXm di fiorini d'oro, i Fiorentini saviamente feciono ordine e dicreto che più stadichi non gli si mandassono, sì che allo scambiare, dove n'avea XII non avesse XXIIII, i vecchi e' nuovi, abandonando quelli che v'erano, e·cche nullo Fiorentino stesse in sue terre, se non a·lloro rischio; onde meser Mastino crucciato rinchiuse in cortese prigione li XII stadichi ch'avea, e fece prendere quanti Fiorentini avea in Verona e Vincenza. E nota, lettore, a·cche fine riescono le compagnie e imprese da' Comuni a' tiranni e se mesere Mastino si seppe vendicare con danno e vergogna del nostro Comune delle ingiurie e guerra fatta contra·llui co' Viniziani insieme, come lungamente adietro facemmo menzione. Avenne poi per bisogno che meser Mastino ebbe di moneta per la 'mpresa fatta fare al marchese da Ferrara dell'oste da Reggio contro quelli da Gonzago signori di Mantova, e per procaccio del marchese da Ferrara ch'era stato mediatore del sopradetto mercato di Lucca da' Fiorentini a meser Mastino, mandò al Comune di Firenze che volea aconciare la quistione, i quali vi mandarono discreti ambasciadori. E venne meser Mastino in persona a Ferrara, e·llà si diè fine al detto accordo per LXVm di fiorini d'oro, quitando tutto all'uscita del mese di settembre, promettendolo di pagare infra due mesi. La quale civanza del detto pagamento si trovò in Firenze di presente per uno ordine ch'allora si fece per lo Comune, che quale cittadino dovesse avere dal Comune danari per li presti vecchi, prestandone altrettanti contanti, fosse assegnato sopra le gabelle ordinate a meser Mastino infra due anni di riavere i vecchi e nuovi prestati; e trovossi la civanza di presente, che·ffu bella cosa; e meser Mastino fu pagato, e finì il Comune, e tornarono li stadichi.



L - Di più novità fatte e occorse in Firenze in questo anno

Nel detto anno, a dì XXVI d'agosto, si diede al Comune di Firenze il castello delle Poci in su l'Ambra di là dal Bucino, ch'era delle terre del viscontado, e avienvi su ragione i conti da Porciano. Ma 'l Comune compensò per quello dovea dare al Comune di condannagioni Guido Alberti conte di quelli, e per offese fatte al Comune, che·ffu un bello aquisto coll'altre terre del viscontado detto ch'avea il Comune, tutto sieno di giuridizione d'imperio; ma dal fiume d'Ambra in qua tutto è oggi del distretto di Firenze.

In questi tempi certi da San Gimignano corsono la villa di Campo Urbiano con grande ruberia e arsioni e micidi, opponendo ritenieno loro sbanditi; per la qual cosa si turbò forte il Comune e popolo di Firenze, perch'altra volta, come adietro facemmo menzione, avieno fatto il simigliante; però fu condannato il Comune di San Gimignano in..., e' terrazzani nell'avere e nelle persone. Ma poi del mese di novembre per prieghi de' Sanesi e Volterrani e Colligiani, e per cessare scandalo, per grazia fu fatta compusizione co·lloro, e pagaro per amenda fiorini Vm d'oro, e rimasene in bando solamente IIII de' caporali della detta cavalcata.

In questo anno, a dì XII di settembre, e poi a dì XXII di dicembre, di notte, furono grandi tremuoti, ma durarono poco.

In questo anno furono molte piogge in Firenze e in questo paese d'intorno, che dall'uscita del mese di luglio fino a dì VI di novembre non finò di piovere quasi del continuo; onde molto sconciò le ricolte, e guastò molto grano e biade ne' campi, e uve nelle vigne molte ne guastò, e non fu il detto anno il vino né digesto né naturale, e·lle terre si poterono male lavorare e seminare. Per le quali soperchie piogge crebbe l'Arno per due volte sformatamente d'ottobre e di novembre, e coperse tutta la piazza di Santa Croce, e allagò gran parte del detto quartiere, e venne l'acqua fino al palagio della podestà. E·lla Tersolla crebbe sì sformatamente, che valicò il ponte a Rifredi e quello Borghetto, rovinò case e muri con gran danno e perdimento di cose e guastamento di terre. E simile diluviò il Mugnone e 'l Rimaggio e tutti i fossati d'intorno con gran danno delle contrade, ed ebbesi gran paura in Firenze di generale diluvio. E·lla congiunzione passata ci cominciò a mostrare delle sue influenzie, e·ffu segno e cagione e avenne il seguente anno di male ricolte e carestia di vettuaglia, come inanzi faremo menzione. Lasceremo alquanto di nostri fatti di Firenze, e racconteremo d'uno screpio e scellerato peccato e tradimento commesso per le rede e congiunti del re Ruberto tra·lloro, come diremo nel seguente capitolo.



LI - Come e per che modo fu morto Andreas, che dovea essere re di Cicilia e di Puglia

In questi tempi e anno, regnando nel regno di Puglia Andreas figliuolo di Carlo Umberto re d'Ungheria, il quale avea per moglie Giovanna figliuola prima reda di Carlo duca di Calavra e figliuolo del re Ruberto, a·ccui dovea succedere il reame per lo modo e ordine, come adietro in alcuno capitolo facemmo menzione; il re Ruberto con dispensagione del papa e della Chiesa avea diliberato che fosse re dopo la sua morte. E aspettavasi di presente d'esere coronato del reame di Cicilia e di Puglia, e ordinato era in corte per lo papa uno legato cardinale che 'l venisse a coronare. Invidia e avarizia di suoi cugini e consorti reali, i quali vizi guastano ogni bene, collo iscellerato vizio della disordinata lussuria della moglie, che palese si dicea che stava inn-avoltero con meser Luigi figliuolo del prenze di Taranto suo cugino, e col figliuolo di Carlo d'Artugio, e con meser Iacopo Capano, e collo assento e consiglio, si disse, della zia sirocchia della madre, e figliuola fu di meser Carlo di Valos di Francia, che·ssi facea chiamare imperadrice di Gostantinopoli, che anche di suo corpo non avea buona fama, e del suo figliuolo meser Luigi di Taranto, cugino carnale della reina per madre, di lui secondo cugino, il quale si dicie ch'avea affare di lei, ed era in trattato di torla per moglie con dispensagione della Chiesa per succedere d'esere re dopo Andreas; e dissesi ancora che 'l duca di Durazzo suo frate l'assentì, ch'avea per moglie la sirocchia della moglie, acciò che se·lla prima morisse sanza reda a·llui succedesse il reame. Per questi suoi consorti e cugini della casa reale, si disse che con ordine della moglie e séguito delli infrascritti traditori, se vero fu come corse la fama piuvicamente, ordinarono di fare morire il detto giovane innocente re Andreas. Ed essendo il detto re Andreas ad Aversa colla moglie al giardino di frati del Murrone a diletto, e nella camera colla moglie nel letto, di notte tempore, a dì XVIII di settembre, con ordine e tradimento de' suoi ciamberlani e alcuna cameriera della moglie, a petizione dell'infrascritti traditori, il feciono chiamare che·ssi levasse per grandi novelle venute da Napoli. Il quale con conforto della moglie si levò, e uscì fuori della camera; e di presente per la cameriera della reina sua moglie li fu riserrata la camera dietro; ed essendo nella sala Carlo d'Artugio e il figliuolo, e 'l conte di Tralizzo, e certi de' conti della Leonessa e di quelli di Stella, e mesere Iacopo Capano grande maliscalco il quale si dicea palese ch'avea affare colla reina, e due figliuoli di meser Pace da Turpia, e Niccola da Mirizzano suoi ciamberlani, fu preso il detto Andreas e messogli uno capresto in collo, e poi spenzolato dallo sporto della detta sala sopra il giardino, essendo per parte di detti traditori ch'erano in quello preso e tirato pe' piedi tanto che·llo strangolaro, credendo sotterrarlo nel detto giardino, ch'altri nol sapesse; se non ch'una sua cameriera ungara il sentì, e vidde, e cominciò a gridare, onde i traditori si fuggiro, e lasciaro il corpo morto nel giardino. Tale fu la repente morte del giovane e innocente re, che non avea se non XVIIII anni, per li falsi traditori. Fu recato il corpo a Napoli e sopellito co' reali, e·lla moglie ne fece piccolo lamento, a ciò ch'ella dovea fare; e quand'elli fu morto, non ne fece cramore né pianto come quella che·ssi disse palese e corse la fama ch'ella il fece fare. E uno meser Niccola ungaro balio del detto re Andreas, passando per Firenze, che n'andava in Ungheria, il disse a nostro fratello suo grande acconto a Napoli, per la forma per noi iscritta di sopra, il qual era uomo degno di fede e di grande autorità; onde seguì poi molto male come inanzi si farà menzione. Ma ella, cioè la reina, pure rimase grossa d'infante di VI mesi, o·llà intorno; di cui si fusse ingenerato, dicea ella del re Andreas.



LII - Di quello che seguì della morte del re Andreas

Della detta scellerata e crudele morte del giovane re Andreas fu molto parlato e biasimato per tutti i Cristiani che·ll'udirono. E venuta la novella in corte, molto se ne turbò il papa e 'l collegio di cardinali, dogliendosi il papa in piuvico consistoro ch'ellino erano cagione della sua morte per avere tanto indugiato la sua coronazione; e scomunicò e privò d'ogni benificio ispirituale e temporale chiunque avesse operato, o dato consiglio o aiuto o favore alla morte del detto re. E commisse nel conte d'Andri, detto conte Novello di quelli del Balzo, ch'andasse nel Regno, e facesse giustizia e vendetta di chiunque di ciò fosse colpevole, in persona e in beni, così a' clesiastici come a secolari; non risparmiando per nulla dignità. E·llui andato a Napoli; ma prima per l'Università di Napoli a romore di popolo e a baratta la terra, fu preso meser Ramondo di Cattana, ch'andava per Napoli comandando per parte della reina e somovendo come traditore fu preso, e di presente anche fu preso il figliuolo detto meser Pace stato ciamberlano del re Andreas: e disaminato chi ebbe colpa del micidio, e confessatolo, messogli l'amo nella lingua, perché non potesse parlare, menato in carro, levandogli le vive carni da dosso fu impeso e fatto morire; e poi il conte Novello fece inquisizione, e più baroni, e altri fece mettere in prigione, e due femine, la maestressa della reina e dama Ciancia Capana, che sentiro il tradimento; i quali traditori e·lle dette donne la reina difendea a suo podere, di non lasciarne fare giustizia. Ma poi, a dì II d'agosto vegnente MCCCXLVI, il detto conte Novello fece morire il conte di Tralizzi, che·ffu di quelli del Bolardo francesco, e il conte d'Eboli grande siniscalco, quelli si dicea giacea colla reina; e mandandoli in su due carri, e dalle genti furono lapidati, e poi arsi. E poi, a dì VII d'agosto per simile modo fece giustiziare mesere Ramondo di Cattana e notaio Nicola di Mirazzano, riserbandone altri a giustiziare.

Per la morte del detto re Andreas si scompigliò tutto il regno di Puglia; chi tenea colla reina, ch'avea la signoria del castello di Napoli e 'l tesoro del re Ruberto, ciò era meser Luigi fratello del prenze di Taranto, soldando gente d'arme per la reina, e per forza volea entrare in Napoli con D; ma il fratello e 'l duca di Durazzo e gli altri baroni e il popolo di Napoli il contradiarono. E così chi tenea colla reina e con meser Luigi di Taranto, e chi col prenze di Taranto, e·cchi col duca di Durazzo; ciascuno soldò gente d'arme assai a cavallo per sua guardia, e per paura del re d'Ungheria fratello del re Andreas, ch'era venuto a Giadra inn-Ischiavonia, come inanzi faremo menzione, e minacciava colle sue forze di passare nel Regno per essere re, e fare vendetta di quelli reali e della reina, che·ssi dicea ch'avieno fatto morire il fratello. Per la qual cosa tutto il regno stava isciolto e scomunato e in tremore, rubandosi i cammini sanza niuno ordine di giustizia; e' detti reali male inn-accordo insieme, o da dovero, o per disimulazione insieme per coprire tra·lloro il peccato. E se il re d'Ungheria fosse passato, non avea ritegno, sì era scommosso il paese; ma·lla briga ch'avea co' Viniziani, ch'erano a oste a Giadra, e 'l caro della vittuaglia al grande esercito, ch'avea di sua gente, e ancora non aparecchiato navile, gli sturbò la venuta allora; e·lla reina in questo stante avea fatto un fanciullo maschio dì XXVI di dicembre MCCCXLVI, e puosegli nome a battesimo Carlo Martello per l'avolo; ma per li più si disse ch'era figliuolo d'Andreas, e di certi segni il simigliava; e·cchi dicea di no, per la mala fama della reina. Lasceremo alquanto di questa matera, ch'a tempo e·lluogo vi ci converrà tornare, e diremo di nostri fatti di Firenze e d'altre novitadi.



LIII - Come in Firenze si fece nuova moneta d'argento

Nel detto anno MCCCXLV, avendo in Firenze grande difetto, e nulla moneta d'argento, se non la moneta da quattro, che tutte le monete d'argento si fondieno e portavansi oltremare; e valea la lega d'once XI e mezzo di fine più di libre XII a·ffiorini la libra, ond'era grande isconcio a' lanaiuoli e a più altri artefici, temendo non calasse troppo il fiorino a moneta; sì·ssi ordinò il divieto che niuno traesse della città e contado ariento sotto certa gran pena; e ordinossi e fecesi nuova moneta d'argento di soldi IIII di piccioli l'uno, o XII quattrini, di lega di buono argento d'once XI e mezzo di fine per libra; e i soldi XI e danari X de' detti grossi pesavano una libra, e soldi XI danari VIII ne rendea la zecca, e grossi due rimanea per l'overaggio al Comune. E trassesi di zecca di prima a dì XII d'ottobre del detto anno, e fu molto bella moneta colla 'mpronta del giglio e di santo Giovanni, e chiamavansi i nuovi guelfi; ed ebbe grande corso in Firenze e per tutta Toscana, e per lo caro dell'argento tornò il fiorino a valuta di libre III e soldi II di piccioli, e meno. Prima ci erano guelfi XV e mezzo per fiorino d'oro. Ma in quelli dì certi mali fattori cittadini, alquanti di casa i Bardi, e Rubecchio del Piovano, fatti venire da Siena certi maestri falsari di monete, e nell'alpe di Castro avieno ordinato di falsare la detta moneta nuova e quattrini. Furonne presi due e arsi, e confessaron per loro che, detti tre de' Bardi la facieno loro fare, citati e non compariti, furono condannati al fuoco come falsari. Lasceremo alquanto de' fatti di Firenze, ch'assai ne' detti tempi era in tranquillo e buono stato e sanza guerra, con tutto fosse inn-assai bollore e tribulazioni per le compagnie e singulari persone cittadini falliti, come inanzi faremo menzione, e torneremo a dire d'altre novità delli strani che furono in questi tempi.



LIV - Come furono morti il conte d'Analdo e 'l marchese di Giullieri da' Fresoni

Nel detto anno, del mese di settembre all'uscita, avendo il conte d'Analdo fatto suo sforzo di gente d'arme col marchese di Giullieri, passato in Frigia di là da Olanda, onde il detto conte d'Analdo era signore per retaggio, per sottomettere a sua signoria i Fresoni, che no·llo ubidivano. Il quale della detta impresa ebbe lieta entrata, che quasi sanza contasto conquistato gran parte del paese, ma poi riuscì con dolorosa fine. Parendo loro essere più al sicuri, i Fresoni si ragunaro in boschi e in maresi, e misero aguato a' detti signori e loro genti, non prendendosi guardia, e in più parti i Fresoni ruppono i dicchi, ciò sono gli argini fatti e alzati per forza, a modo del Po, alla riva del mare per riparare il fiotto. Onde spandendosi l'acqua, la maggiore parte delle genti de' detti signori annegarono, e chi dell'acqua scampò furono morti da' Fresoni ch'erano inn aguato, che non ne campò uomo. E morìvi il detto conte d'Analdo e 'l marchese di Giullieri, onde fu gran dannaggio, ch'erano signori di gran potenza e valore; e rimase la contea d'Analdo sanza reda maschio, e succedette la detta contea a Lodovico di Baviera detto Bavero, ed Aduardo re d'Inghilterra, ch'avea ciascuno di loro per moglie una figliuola del detto conte d'Analdo, a'ccui succedea la contea.



LV - Del fallimento della grande e possente compagnia de' Bardi

Nel detto anno, del mese di gennaio, fallirono quelli della compagnia de' Bardi, i quali erano stati i maggiori mercatanti d'Italia. E·lla cagione fu ch'ellino avieno messo, come feciono i Peruzzi, il loro e l'altrui nel re Aduardo d'Inghilterra e in quello di Cicilia; che·ssi trovarono i Bardi dal re d'Inghilterra dovere avere, tra di capitale e di riguardi e doni impromessi per lui, DCCCCm di fiorini d'oro, e per la sua guerra col re di Francia no·lli potea pagare; e da quello di Cicilia da Cm di fiorini d'oro. E' Peruzzi da quello d'Inghilterra da DCm di fiorini d'oro e da quello di Cicilia da Cm fiorini d'oro, e debito da CCCm di fiorini d'oro; onde convenne che fallissono a' cittadini e forestieri, a cui dovieno dare più di DLm di fiorini d'oro, solo i Bardi. Onde molte altre compagnie minori, e singulari, ch'avieno il loro ne' Bardi e·nne' Peruzzi e negli altri falliti, ne rimasono diserti, e tali per questa cagione ne fallirono. Per lo quale fallimento di Bardi, e Peruzzi, Acciaiuoli, Bonaccorsi, di Cocchi, d'Antellesi, Corsini, que' da Uzzano, Perondoli, e più altre piccole compagnie e singulari artefici che falliro in questi tempi e prima, per gl'incarichi del Comune e per le disordinate prestanze fatte a' signori, onde adietro è fatta menzione, ma però non di tutti, che troppo sono a contare, fu alla nostra città di Firenze maggiore rovina e sconfitta, che nulla che mai avesse il nostro Comune, se considerrai, lettore, il dannaggio di tanta perdita di tesoro e pecunia perduta per li nostri cittadini, e messa per avarizia ne' signori. O maladetta e bramosa lupa, piena del vizio dell'avarizia regnante ne' nostri ciechi e matti cittadini fiorentini, che per cuvidigia di guadagnare da' signori mettere il loro e·ll'altrui pecunia i·lloro potenza e signoria, a perdere, e disolare di potenza la nostra republica! che non rimase quasi sustanzia di pecunia ne' nostri cittadini, se non inn alquanti artefici o prestatori, i quali colla loro usura consumano e raunano a·lloro la sparta povertà di nostri cittadini e distrettuali. Ma non sanza cagioni vengono a' Comuni e a' cittadini gli occulti giudici di Dio per pulire i peccati commessi, siccome Cristo di sua bocca vangelizzando disse: "In peccata vestra moriemini etc.". I Bardi renderono per patto i·lloro possessioni a' loro creditori soldi VIIII danari III per libra, che non tornarono a giusto mercato soldi VI per libra. E' Peruzzi patteggiarono a soldi IIII per libra in posessioni, e soldi XVI per libra nelle dette di sopradetti signori; e se riavessono quello deono avere dal re d'Inghilterra e da quello di Cicilia, o parte, rimarrebbono signori di gran potenzia di ricchezza; e' miseri creditori diserti e poveri, perché fallì credenze e·lle malvagie aguaglianze delli ordini e riformagioni del nostro corrotto reggimento del Comune, che chi ha podere più ha a suo senno i dicreti del Comune. E questo basti, e forse ch'è troppo avere detto sopra questa vergognosa matera; ma non si dee tacere il vero per chi ha a·ffare memoria delle cose notabili ch'ocorrono, per dare asempro a quelli che sono a venire di migliore guardia. Con tutto noi ci scusiamo, che in parte per lo detto caso tocchi a·nnoi autore, onde ci grava e pesa; ma tutto aviene per la fallabile fortuna delle cose temporali di questo misero mondo.



LVI - Ancora di novità state in questi tempi in Firenze

Nel detto anno, all'entrante di gennaio, di mezzodì uno lupo grande e salvatico entrò per la porta a San Giorgio, e scese giù, e corse, essendo isgridato, quasi gran parte d'Oltrarno; ma poi fu preso e morto alla porta a Verzaia. E in que' dì cadde uno scudo di gesso dipinto col giglio, ch'era commesso sopra la porta dove abita il podestà, onde molti aguriosi per li detti segni temettono di future novità alla nostra città. E in que' dì arse una casa di messer Simone giudice da Poggibonizzi nel popolo di San Brocolo. E nel detto anno passato III volte vi s'accese il fuoco, non trovandovi cagione chi 'l v'avesse acceso o messo; e molti amirandosi di ciò, dissono fu opera d'alcuno maligno spirito.



LVII - Come il re di Francia diede rapresaglia sopra i Fiorentini per tutto il suo reame a petizione del duca d'Atene

Del mese di febraio del detto anno Filippo di Valos re di Francia, a petizione del duca d'Atene, gli diè rapresaglia sopra i Fiorentini inn-avere e in persona in tutto il suo reame se infino al calen di maggio prossimo non avessono contento il detto duca d'Atene di ciò che domandava di menda a' Fiorentini, ch'era infinita quantità. Poi del mese di luglio la confermò, e diede balìa al duca d'Atene ch'elli li potesse prendere e incarcerare e tormentare a sua volontà, non togliendo loro la vita o membro, siccome traditori del loro signore il duca d'Atene. Questo fu iscortese titolo dato per lo re per la rapresaglia contra il Comune e cittadini di Firenze, sanza volere udire o accettare le ragioni del Comune di Firenze, o·lle fini e quitanze fatte per lo detto duca al Comune, essendo di là al continovo il sindaco e ambasciadore del Comune con pieno mandato e ragioni del nostro Comune, richeggendo ragione al re e suo consiglio e di commetterla in giudice non sospetto, a·ccui al re piacesse fuori del reame; non ebbe luogo né intesa ragione per lo re, o suo consiglio, ch'avesse il Comune di Firenze, onde convenne che tutti i Fiorentini, che non fossono suoi istanti borgesi, da calen di maggio inanzi si partissono di tutto il reame, o stessono nascosi in franchigie o in chiese co·lloro grande sconcio, interessi e dannaggio e pericolo, onde il detto re fu molto biasimato da ogni savio e buono uomo di suo reame e di fuori ch'amassono giustizia e ragione, la quale elli fuggiva, come era usato di fare elli e meser Carlo di Valos suo padre; onde al tutto perdé l'amore e·lla fede di tutti i cittadini di Firenze, così di Guelfi come di Ghibellini, ch'amavano suo onore e stato e della casa di Francia. Ma per gli altri suoi più innormi peccati in spergiuri a santa Chiesa e dislealtadi per lui fatti Iddio ne mostrò e fece tosto vendetta, e·ggià cominciata, e come tosto apresso leggendo si potrà trovare.



LVIII - D'una grande disensione che·ffu in Firenze dal Comune allo inquisitore de' paterini

Nel detto anno e del mese di marzo, essendo inquisitore in Firenze dell'aretica pravità uno frate Piero dall'Aquila de' frati minori, uomo superbo e pecunioso, essendo fatto per guadagneria proccuratore ed esecutore di meser Piero... cardinale di Spagna per XIIm fiorini d'oro che dovea avere dalla compagnia delli Acciaiuoli fallita, ed essendo per rettori del nostro Comune messo in tenuta e posessione di certi beni della detta compagnia, e alcuno sofficiente mallevadore di loro preso per sodisfazione, fece pigliare a tre messi del Comune cittadini e più famiglia del podestà messer Salvestro Baroncelli compagno della detta compagnia delli Acciaiuoli, uscendo del palagio de' priori, e co·lloro licenza acompagnato d'alquanti loro famigliari; onde si levò il romore in sulla piazza, e per gli altri famigliari di priori e per quelli del capitano del popolo, che v'abitava di costa, fu riscosso il detto meser Salvestro; e presi i detti messi e famigliari della podestà e a' messi per comandamento de' priori, e per l'ardire e prosunzione di fare contro la loro signorevile franchigia e licenzia, di fatto feciono tagliare loro le mani, e confinare fuori di Firenze e contado per X anni. Alla podestà e sua famiglia scusandosi per ignoranza, e vegnendo alla mercé de' priori, profferendo ogni amenda al loro piacere, dopo molti prieghi furono liberati i suoi famigliari. Per le detta novità lo 'nquisitore isdegnato, e ancora più per paura, se n'andò a Siena, e scomunicò i priori e il capitano, e lasciò interdetta la terra, se infra sei dì no·lli fosse renduto preso, meser Salvestro Baroncelli, alla quale scomunica e interdetto s'apellò al papa, e a corte sì mandaro grande ambasceria. I nomi de' detti ambasciadori sono questi: messer Francesco Brunelleschi, messere Antonio delli Adimari, messere Bonaccorso de' Frescobaldi cherico, messer Ugo della Stufa giudice, e Lippo Spini, e ser Baldo Fracassini con sindacato per lo Comune con pieno mandato, e portarvi le ragioni del Comune, e fiorini Vm d'oro contanti per dare di quelli delli Acciaiuoli al cardinale, e di VIIm fiorini d'oro obrigare il sindaco del Comune per li detti Acciaiuoli in pagare in certe paghe annualmente. Ancora portarono per carte tutte quelle baratterie e rivenderie fatte per lo detto inquisitore, che più di VIImD fiorini d'oro in due anni si disse si trovò fatto ricomperare più di nostri cittadini, gli più ingiustamente, sotto titolo di peccato di resia. E non sia intenzione di chi questo processo leggerà per lo tempo a venire, che a' nostri tempi avesse tanti eretici in Firenze per le tante condannagioni pecuniali ch'avea fatte lo 'nquisitore, che mai non ce n'ebbe meno, ma quasi niuno. Ma per atignere danari, d'ogni piccola parola oziosa ch'alcuno dicesse per niquità contro a·dDio, o dicesse ch'usura non fosse peccato mortale, o simili, condannava in grossa somma di danari, secondo ch'era ricco. Questo s'oppose per lo Comune, onde a corte dinanzi al papa e cardinali in piuvico concestoro il detto inquisitore fu riprovato per li ambasciadori per disleale e barattiere, e sospese alquanto tempo le sue scomuniche e processi d'interdetto. E dal papa e cardinali i detti ambasciadori furono bene ricevuti e onorati alla loro venuta dal papa, con tutto che tra·lloro male fossono d'accordo, e i più di loro intesono a·lloro singularità, che a bene di Comune, onde ne tornarono con poco onore e benificio fatto per lo Comune; e costarono più di IImCC fiorini d'oro.

E ancora per la detta cagione il Comune e popolo di Firenze, per levare le baratterie alli inquisitori, feciono dicreto e legge al modo de' Perugini e del re di Spagna e di più altri signori e Comuni, che niuno inquisitore si potesse intramettere in altro che nel suo uficio, e nullo cittadino o distrettuale condannare in pecunia, chi·ssi trovasse eretico mandarlo al fuoco. E fulli tolta e disfatta la carcere datali per lo Comune, ove tenea i suoi presi, e cui per lo 'nanzi facesse prendere, gli mettesse nelle carcere del Comune cogli altri. E fu fatto ordine, che podestà né capitano né secutore né altra signoria non dovesse dar loro famiglia, licenza o messo per fare pigliare nullo cittadino a petizione dello 'nquisitore o del vescovo di Firenze o di Fiesole, sanza licenza de' signori priori, per cessare cagioni di scandali e di riotta, e per cessare le baratterie e rivenderie di dare la licenza di portare l'arme da offendere a più cittadini per lo inquisitore e per li Vescovi, onde la città parea iscomunata, tanti erano quelli che·lla portavano. E ordinaro che·llo 'nquisitore non potesse tenere più di VI famigliari con arme da offendere, né dare a più licenza di portarla; e al vescovo di Firenze a XII famigliari; e a quello di Fiesole VI; che·ssi trovò, secondo si disse, che 'l detto frate Piero inquisitore avea data la licenza di portalla a più di CCL cittadini, onde guadagnava l'anno presso, o forse più, di mille fiorini d'oro; e me' i vescovi non ne perdieno, e aquistavano amici al loro vantaggio e sconcio della republica. Partiti i detti ambasciadori da corte, il cardinale di Spagna sopradetto, come fellone, non istando contento all'accordo fatto con infestamento del sopradetto inquisitore, ch'era fuggito in corte, coll'aiuto d'alcun altro cardinale, da capo feciono citare al papa, che venissono in corte il vescovo di Firenze e tutti i prelati che non aveano oservato lo 'nterdetto, e' priori e signorie e collegi ch'erano allora; onde in Firenze n'ebbe grande turbazione contra la Chiesa, e da capo rifeciono sindacato, e mandarono in corte a riparare. Ma·lla maggiore cagione fu perché il papa volea che per lo nostro Comune si levassono certi inniqui capitoli fatti per lo Comune contra i cherici, i quali pur erano sconci e contra ragione, come dicemmo adietro. E volea il papa trattare co' nostri ambasciadori concordia coll'eletto suo imperadore, la qual cosa non piacque al nostro Comune.



LIX - Come il re d'Ungheria seppe la morte del re Andreas, e venne in Ischiavonia con grande esercito per soccorrere Giadra e passare in Puglia

Come il re d'Ungheria e quello di Pollana seppono la vergognosa morte del re Andreas loro fratello, come adietro facemmo menzione, furono molto tristi e adontati contro la reina sua moglie e contro a' reali di Puglia loro consorti, parendo loro che fosse stata loro opera e tradigione, e vestirsi tutti a nero con molti di loro baroni, e giurato di fare vendetta. E per più innanimare li Ungari a·cciò fare, feciono fare una bandiera, la qual sempre si mandavano inanzi: il campo nero, e·llo re Andreas impiccato, ch'era una orribile cosa a vedere.

Per fare la detta vendetta si proferse a·lloro il Bavero re d'Alamagna, e il figliuolo marchese di Brandiborgo, e 'l dogio d'Osteric, e più altri signori della Magna con tutto loro podere per lo innormo oltraggio a·lloro fatto, i quali per loro s'accettarono, e giurarono a·cciò fare lega e compagnia. E·llo re d'Ungheria mandò a corte al papa grande ambasciaria del mese di marzo richeggendo di volere esere coronato del reame di Cicilia e di Puglia, ch'a·llui succedea; e che vendetta fosse della morte del re Andreas così in cherici come in laici, dandone colpa al cardinale di Peragorga cognato del duca di Durazzo, che·ll'avea sentito e ordinato. A' quali ambasciadori non fu dato concestoro piuvico per la detta cagione, e aponendosi per lo papa che 'l re d'Ungheria avea fatta lega e compagnia col dannato Bavero. Onde il re d'Ungheria e tutti gli Alamanni si tennono mal contenti del papa e della Chiesa; ma però non lasciarono di fare sua impresa per passare in Puglia e per soccorrere la sua città di Giadra, come diremo apresso.

Essendo la città di Giadra inn-Ischiavonia ribellata a' Viniziani, come adietro facemmo menzione, e partito di Schiavonia il re d'Ungheria con suo esercito l'anno passato MCCCXLV, i Viniziani v'andarono incontanente a oste con gran potenza, e asediarla per terra e per mare, menandovi soldati a cavallo e a piede di Lombardia e di Romagna e di Toscana con gran soldo; onde di Firenze v'andarono per ingordigia del detto soldo tre di casa i Bondelmonti con CCC masnadieri, i quali Fiorentini al continovo dalle mura erano rimprocciati da' Giaratini, che·ssi partissono dal loro asedio, ch'erano amici, e andassono a farsi sconfiggere a Lucca, e servissono i Viniziani che gli avieno traditi alla guerra di meser Mastino. E così vi continovò l'oste dall'agosto MCCCXLV al maggio MCCCXLVI, dando alla terra continue battaglie e asalti, e que' d'entro al continuo uscendo fuori a badalucchi e scaramucci, e francamente asalendo il campo. Ma que' di Giadra dubitando che per lungo assedio non mancasse loro la vettuaglia, rimandaro per lo re d'Ungheria; il quale sentendo ciò per messaggi di quelli di Giadra, e per seguire la sua impresa di venire in Puglia, ritornò inn-Ischiavonia con più di XXXm tra Ungheri e Tedeschi, a cavallo la maggiore parte, che bene i XXm erano arcieri, e gli altri buoni cavalieri. Sentendo i Viniziani la sua venuta ringrossaro il loro oste di gente e di navile, e per non aspettare in campo la sua venuta, vollono provare inanzi d'avere la città per forza. A dì XVI di maggio MCCCXLVI ordinaro di dare alla terra una grande battaglia per mare con IIII navi grosse incastellate, e con ponti da gittare in sulle mura, e con XX piatte imborbottate, e con difici, e XL ghianzeruole e XXXII galee armate con molti balestrieri; e per terra con tutto l'esercito dell'oste, i quali furono tra per mare e per terra più di XVIIm d'uomini in arme, tra' quali avea più di IIIIm balestrieri. La battaglia fu aspra e dura, e continovò dalla mattina alla sera, sanza potere aquistare niente; però che·lla città era forte di torri e di mura e fossi, dall'altra parte il porto forte e·lla marina; e perché quelli di Giadra erano buona gente d'arme si difesono valentemente, e verso la sera, quando i Viniziani si ricoglieno, apersono una porta della terra seguendogli vigorosamente combattendo, e morivvi della gente di Viniziani più di D, e fediti gran quantità. Veggendo i Viniziani che non poteano avere la città per battaglia, e sentendo che 'l re d'Ungheria con suo esercito era presso a Giadra a XXX miglia, e ogni dì s'apressava, i Viniziani si levarono del campo dov'erano di costa, e quasi intorno intorno alla città, e ritrassonsi in su un forte colletto di lunge da Giadra da uno mezzo miglio sopra la marina, e quello come bastita aforzaro con fossi e steccati e torri di legname. Come il re d'Ungheria s'apressò alla terra con suo oste, mandò parte di sua gente d'arme a richiedere i Viniziani di battaglia; non ebbe luogo che la volessono, ma si stavano rinchiusi nella loro bastita con grande paura e sofratta di vittuaglia più dì. Il re d'Ungheria fece fornire Giadra di vettuaglia e di ciò ch'avea mestiero, e alcuno disse v'entrò in persona isconosciuto, per dare a' Giaratini vigore. I Viniziani co·lloro ambasciadori stavano in continui trattati col detto re, promettendogli di dare loro navile e aiuto a passare in Puglia, ma voleano Giadra a·lloro signoria con uno piccolo censo di dare a·llui di risorto; il quale trattato non piacendo al re, non ebbe luogo. E però che' Viniziani co·lloro danari corruppono certi di suoi baroni ungari, e consigliaro dislealmente il loro signore che·ssi tornasse in Ungheria, perch'era caro il paese d'Italia quell'anno di vittuaglia a tanto esercito; e in parte era il vero, e non avea ordinato il navilio da potere passare in Puglia, e però si tornò in Ungheria, lasciando fornita Giadra. La bastita di Viniziani si rimase la detta state con grande spendio di Viniziani, rinovandovi spesso gente; e bisognava bene, però ch'erano assaliti sovente da quelli della terra. E per disagi vi si cominciò grande infermeria e mortalità, e morìvi molta gente, intra gli altri i sopradetti nostri tre cittadini de' Bondelmonti con i più di loro masnade, che non ne tornaro il quarto. Lasceremo di questa matera, e torneremo a dire della lezione del nuovo imperio Carlo figliuolo del re Giovanni di Buem.



LX - Come Carlo figliuolo del re di Buem fu eletto re de' Romani

L'anno MCCCXLVI, del mese d'aprile, venuto in corte di papa Carlo figliuolo del re di Buem, a sommossa del papa e per suducimento del re di Francia, per procacciare d'essere eletto imperadore per contastare al Bavero, e per avere di lui il re di Francia più stato e favore, però ch'era suo parente, e venneli al re di Francia bene a bisogno, come si troverrà; e avrebbono bene proccurata la detta lezione per lo re Giovanni di Buem suo padre, se non che per sua malattia era quasi perduto della vista degli occhi. Ma il detto Carlo era pro e savio signore, e d'età di... anni. Per cagione della detta lezione grande disensione n'ebbe tra 'l collegio de' cardinali tra e per la morte del re Andreas e perché gli ambasciadori del re d'Ungheria non erano esauditi dal papa. Ed erano in due sette partiti i cardinali, che dell'una era capo il cardinale fratello del conte di Peragorgo, e questi volea la lezione del detto messer Carlo, e contradiavano il re d'Ungheria, e tenea co' cardinali franceschi, ed erane capo il favore del re di Francia; dell'altra setta era capo il cardinale fratello del conte di Cominge co' cardinali guasconi e loro seguaci, che volieno il contrario; e ciascuna era di gran potenza e séguito; e furono a tanto, che in piuvico consistoro dinanzi al papa si dissono onta e villania insieme, rimprocciando quello di Cominge a quello di Peragorga ch'egli era stato quelli ch'avea ordinato e fatto morire il re Andreas chiamando l'uno l'altro traditore di santa Chiesa, levandosi ciascuno da sedere per offendersi insieme; e fatto l'avrebbono, che ciascuno era guernito d'arme da offendere privatamente, se non fossono quelli ch'entrarono in mezzo, onde tutta la corte ne fu scompigliata e in arme, e cortigiani e·lle famiglie de' cardinali. E ciascuno di detti due cardinali abarraro le loro case e livree, e stettono armati e in guardia buona pezza, se non che 'l papa e gli altri cardinali gli riconciliarono insieme, rimanendo ciascuno con mala voglia. A tale stato venne il collegio dell'apostolica nostra santa Eclesia per le disensioni di suoi cardinali. Di ciò è gran cagione e colpa di papi ch'hanno eletti a cardinali i detti due grandi e possenti Galli e simiglianti, e questo è l'esempro ci danno a·nnoi laici, e seguono bene a contrario l'umiltà di santi apostoli di Cristo, il cui ordine rapresentano. Iddio gli adirizzi nella sua santa via d'umilità, a riposo e stato di santa Chiesa. Per le dette disensioni non lasciò il papa di procedere in prima di fare nuovi processi contro al Bavero e il figliuolo, e chi loro desse aiuto o favore, e privandoli d'ogni titolo d'imperio, con molti altri articoli; e·lla detta sentenzia fece piuvicare in corte, e poi mandare per tutto il Cristianesimo, per potere meglio fornire la sua intenzione. E questo fu ben fatto, ché 'l Bavero era persegutore di santa Chiesa, come adietro ne' suoi processi facemmo menzione: e poi di far fare col suo favore la lezione dello 'mperio nella persona del detto meser Carlo. E perché l'arcivescovo di Maganza, ch'era l'uno de' lettori, nogli volea dare la sua boce, sì 'l dispuose il papa, ed elessene un altro a sua petizione, e questo fu della rinforzata. E partito il detto meser Carlo di corte colla benedizione del papa e con sua dispensagione, che nonistante che·lla lezione si dovesse per consueto fare a Midelborgo in Alamagna, e·lla prima corona prendere ad Asia la Cappella colle solennità usate, ch'elli le potesse fare ove a·llui piacesse, perché il Bavero né 'l suo figliuolo colla potenza delli Alamani, che i più o quasi tutti tenieno co·lloro, nol potesse contastare. E giunto lui in suo paese, a dì XI di luglio MCCCXLVI apo... fu eletto il detto Carlo a re de' Romani per l'arcivescovo di Cologna e per quello di Trievi suoi congiunti per parentado, e per lo nuovo eletto per lo papa arcivescovo di Maganza, e per lo duca di Sansogna, e confermato per lo re di Buem suo padre, e figliuolo che·ffu dello 'mperadore Arrigo di Luzimborgo: falligli la boce del duca di Baviera e quella del figliuolo marchese di Brandiborgo; ma per dispetto della detta elezione, per li più si chiamava lo 'mperadore de' preti. Lasceremo di questa lezione e di quello ne seguì, e torneremo a dire della guerra di Guascogna e della venuta del re d'Inghilterra in Normandia, ch'assai ne cresce grande e maravigliosa matera.



LXI - Di certa rotta che·lla gente del re di Francia ricevettono dalla gente del re d'Inghilterra in Guascogna

Tornando a raccontare della guerra di Guascogna, essendo messere Gianni figliuolo del re di Francia intorno al castello d'Aguglione, e per lo paese, per contastare il conte d'Ervi e' suoi Inghilesi, che non scendessono verso Tolosa (il detto meser Gianni era in Guascogna con VIm cavalieri e bene Lm pedoni tra' Franceschi e di Linguadoco, Genovesi e Lombardi), del detto campo si partì il siniscalco di Giene con DCCC cavalieri e IIIIm pedoni, per prendere uno castello del nipote del cardinale della Motta presso ad Aguglione a XII leghe. Sentendo ciò l'arcidiacono d'Unforte, cui era il detto castello, andò alla Roela, dov'era il conte d'Ervi colla sua oste per gente, per soccorrere il detto castello; onde il conte li diè gente assai a cavallo e arcieri inghilesi a piè, e cavalcaro tutta la notte, e giunsono al detto castello la mattina per tempo, dì XXXI di luglio MCCCXLVI; e trovarono che·lla gente del re di Francia v'era giunta il dì dinanzi, e forte combatteano il castello, la gente del re d'Inghilterra sanza più attendere, subitamente asalirono i Franceschi, dov'ebbe aspra e dura battaglia. Alla fine furono sconfitti i Franceschi, e rimasevi preso il detto siniscalco di Gienne con molti altri gentili uomini; e molti v'ebbe di morti e presi di cavalieri da CCCC, e pedoni IIm tra morti e presi. Tornati al campo quelli di meser Gianni, quelli che scamparo della detta battaglia, messer Gianni ebbe suo consiglio, e diliberaro di combattere il castello d'Aguglione, tra per queste novelle della detta sconfitta e perch'avea novelle che 'l re d'Inghilterra era arrivato in Normandia con gran navilio e esercito di gente d'arme a cavallo e a piè. E il primo dì d'agosto con tutta sua gente fece dare battaglia intorno intorno al castello d'Aguglione dalla mattina alla sera; quelli del castello, che v'avea dentro assai buon gente d'arme gentili uomini da CCCC, e sergenti guasconi e inghilesi da VIIIc, si difesono francamente. E alla ritratta la sera di Franceschi, quelli del castello uscirono fuori vigorosamente faccendo danno assai a' loro nimici, e uccisonne da DCC, ma più ne fedirono della gente di meser Gianni ch'erano al di fuori, e rimase la terra fornita per VI mesi. Sentendo ciò meser Gianni, e veggendo che per battaglia nol potea prendere, fece ritrarre sua oste adietro; e mandò al papa pregandolo l'asolvesse del saramento ch'avea fatto del non partirsi se non avesse il castello, ed ebbe l'asoluzione dal papa. E diliberò d'andare colla maggiore parte di sua gente in Francia a soccorrere il re suo padre, che·nn'avea grande bisogno, come diremo apresso nel seguente a questo altro capitolo, e fece mettere fuoco nel suo campo, con gran danno di sua gente inferma e di loro arnesi; e lasciate fornite le frontiere, con sua gente ne venne verso Parigi. Partito meser Gianni di Guascogna, il conte d'Ervi prese molte ville e castella. Lasceremo alquanto de' suoi andamenti, e diremo d'una battaglia che·ffu in que' dì dal vescovo di Legge a' suoi cittadini, ritornando poi a racontare la guerra e battaglie dal re di Francia a quello d'Inghilterra e di loro gente, che furono grandi cose e maravigliose, onde assai ne cresce matera.



LXII - Come il vescovo di Legge con sua gente furono sconfitti da quelli della città di Legge

Nel detto anno MCCCXLVI, a dì XXV di luglio, il giorno di santo Iacopo, avendo grande discordia dal vescovo di Legge ch'era... al suo capitolo di calonaci e borgesi di Legge, ciascuna parte fece sua ragunata di gente d'arme. E col vescovo fu della gente di meser Carlo eletto re de' Romani, e chi disse vi fu in persona, ch'andava con sua gente a Parigi in servigio del re di Francia, che n'avea gran bisogno; e fuvi il sire di Falcamonte e più altri baroni di Valdireno. E con quelli di Legge simigliantemente avea di baroni del paese, e fuvi inn-arme co·lloro la moglie del Bavero e il figliuolo ch'andavano inn-Analdo, che·lle succedea per la morte del conte suo padre. E fuori della città di Legge fu tra·lloro gran battaglia, tutta non fosse campale né ordinata; e·ffu in quella sconfitto il vescovo e sua gente, e morìvi il sire di Falcamonte, e più altri gentili uomini e de' calonaci, e dell'una parte e dell'altra. Il Vescovo si fuggì con sua gente a Dinante. Lasceremo a dire più di questa guerra, e torneremo a dire come il re d'Inghilterra passò in Normandia sopra il re di Francia, ch'assai ne cresce matera di scrivere.



LXIII - Come il re d'Inghilterra passò con sua oste in Normandia, e quello vi fece

Nel detto anno MCCCXLVI, avendo il re Aduardo ragunato suo navilio di DC navi a l'isoletta d'Uiche inn-Inghilterra, colla sua gente in quantità di IImD cavalieri e da XXXm sergenti e arcieri a piè per passare nel reame di Francia, udita la messa solennemente, e comunicatosi co' suoi baroni, e a·lloro fatta una bella diceria, com'elli con giusta causa andava sopra il re di Francia che·lli ocupava la Guascogna a torto, e·lla contea di Ponti per la dote della madre, e per frode gli tenea Normandia, come lungamente adietro facemmo menzione al tempo del bisavolo del padre re Ricciardo d'Inghilterra, e del re Filippo il Bornio re di Francia, quando tornaro d'oltremare gli anni Domini intorno MCC; e ancora proponendo a sua gente com'avea nel reame di Francia più ragione per la successione della reina Isabella sua madre figliuola del re Filippo il Bello, che non avea il re Filippo di Valos figliuolo di meser Carlo fratello secondo che·ffu del re Filippo il Bello che·lla possedea, che non era della diritta linea, ma per collaterale; pregando sua gente che fossono franchi uomini, però ch'elli avea intenzione di rimandare adietro il navile, come fosse arrivato nel reame di Francia, sicch'a·lloro bisognava d'esere valorosi e d'aquistare terra colla spada in mano o d'essere tutti morti, che 'l fuggire non avrebbe luogo; pregando chi dubitasse o temesse di passare rimanesse inn Inghilterra colla sua buona grazia; tutti rispuosono a grido a una boce che 'l seguirebbono come loro caro signore di buona voglia fino alla morte. E·llo re veggendo sua gente ben disposti alla guerra, dando sue lettere chiuse alli amiragli delle navi, se caso avenisse che per forza di vento si partissono dallo stuolo, per le qua' lettere contava dove volea arrivare, e comandò non l'aprissono, se non quando s'apressassono a terra. E così si partì a dì X di luglio; e navicando più giorni, quando adietro e quando inanzi, come gli portava la marea del fiotto, arrivò sano e salvo con tutto suo navile e genti a Biafiore in Normandia a dì XX di luglio. E come la sua gente fu smontata co·lloro armi e cavalli e arnesi e vettuaglia recata co·lloro, rimandò la maggiore parte del navile adietro inn-Inghilterra; ed elli con sua oste cominciò a correre la Normandia, rubando e ardendo e dibruciando chi nol volea ubidire e darli mercato di vittuaglia; e in pochi dì gli s'arendéo la città di Sallu e Gostanza e Gostantino e Balliuolo terre di Normandia, e ricomperarsi da·llui, perché no·lli guastasse. La terra di Camo gli fece risistenza per lo castello che v'era forte del re di Francia, ed eravi venuto il conte di Du, cioè il conestabole di Francia, con gran gente d'arme a cavallo e a piè; la quale terra di Camo combatté più dì; alla fine per forza combattendo, sconfisse il detto conistabile e sua gente alquanto fuori della terra. Avuta la vittoria del detto conestabile e di sua gente, incontanente ebbe e prese la terra di Camo, che non era guari forte salvo il castello. E prese alla battaglia il detto conestabole, e·ll'arcivescovo di Tervana, e 'l camarlingo di Mollu, e più altri cavalieri e baroni in quantità di LXXXVI, e morìvi assai gente in quantità di Vm; e rubata la terra, che bene XLm panni ebbe tra di Camo e dell'altre ville dette, e' fece mettere fuoco in Camo, perch'avea fatta risistenza, e arsene assai; e' prigioni ne mandò presi inn-Inghilterra colla preda presa. E così cominciò la fortuna del franco Aduardo d'Inghilterra, e adirizzò sua oste verso Rueme, crescendoli ogni dì gente d'Inghilterra, che tutto dì vi passavano di volontà per guadagnare, e seguendolo molti Normandi, gentili uomini e altri, che non amavano la signoria di Francia, sicché si trovò con IIIIm cavalieri buona gente, e più di Lm sergenti a piè co' Normandi, che i XXXm erano arcieri inghilesi.



LXIV - Come 'l re d'Inghilterra si partì di Normandia e venne presso di Parigi ardendo, e guastando il paese

Sentendo il re di Francia come il re d'Inghilterra era arrivato in Normandia, e prese le sopradette terre e 'l suo conestabole e di sua gente, incontanente si partì di Parigi con quanta gente potéo raunare a·ccavallo e a piè, per andare a soccorrere Ruem in Normandia che non si rubellasse, sentendo che certi di baroni del paese ribelli del re di Francia ne tenieno trattato col re d'Inghilterra e con quelli della città di Ruem; e posesi a campo il re di Francia al ponte ad Arce sopra il fiume della Senna, e quello fece tagliare, e tutti gli altri ponti ch'erano sopra Senna, acciò che 'l re d'Inghilterra e sua gente non potesse di qua passare; e fornì Ruem di sua gente a·ccavallo e a piede; e lasciò, quando si partì di Parigi, al suo proposto di Parigi che facesse disfare le case ch'erano di fuori e dentro di costa le mura di Parigi, per afforzare la città. Per la qual cosa i cittadini di cui erano le case cominciarono a·llevare romore, onde la terra fu tutta scompigliata e sotto l'arme, e in pericolo di rubellarsi al re, se non fosse che in quelli giorni giunsono in Parigi il re Giovanni di Buem e Carlo suo figliuolo eletto re de' Romani con D cavalieri rimasi loro della rotta del vescovo di Legge, come dicemmo adietro. Costoro rifrancarono Parigi, e feciono aquetare il romore, e rimanere la detta disfazione delle case per contentare i borgesi di Parigi. Lo re d'Inghilterra ch'era acampato con sua oste di là da Ruem tre leghe; e·llà venuti due cardinali legati del papa, messer Anibaldo da Ceccano e messer Piero di Chiermonte, i quali cardinali mandava il papa per fare accordo tra·llui e·rre di Francia, volendo che·ssi rimettesse nel papa ogni quistione; il re Aduardo d'Inghilterra non fidandosi del papa, no·lli volle udire dell'accordo, e per più riprese si ruppe da' trattati de' detti legati, perch'a·llui parea che 'l papa favoreggiasse troppo la parte del re di Francia; anzi furono d'alquante loro cose rubati dall'Inghilesi; ma il re Aduardo gli fece ristituire, e donò loro del suo assai per amenda, e così si tornaro verso Parigi. Lo re Aduardo perduta la speranza d'avere la città di Ruem, ond'era in alcuno trattato, però che v'era giunto al soccorso il re di Francia con grande oste di cavalieri e popolo, si misse a venire verso Parigi di là dal fiume di Senna, ardendo e guastando il paese con molte prede e prigioni, però che 'l paese era molto popolato e ricco. E·lla vilia di nostra Donna d'agosto s'acampò a Pusci e San Germano dell'Aia e·lla sua gente scorse fino presso a Parigi a due leghe, e arsono la villa di Sancro e quella di Luvieri, e più altre ville grandi e piccole, prima rubate, e poi arse, ch'era il più bello paese e il più caro del mondo del tanto, stato più di cinque centinaia d'anni in riposo e tranquillo sanza guerra, onde fu gran dannaggio. O maladetta guerra, quanti malifici fai a disertamento de' reami e de' popoli, per punizione de' peccati delle genti!Lo re di Francia sentendo come lo re d'Inghilterra con sua oste era venuto verso Parigi, si partì dal ponte ad Arce, e vennene costeggiando la riviera di Senna, in mezzo dall'una oste all'altra verso Parigi; e giunto a Parigi, mandò a meser Carlo Grimaldi e Antone Doria di Genova, amiragli delle sue XXXIII galee, ch'erano a Rifrore in Normandia, che disarmassono, e con tutte le ciurme con balestrieri venissono a Parigi, e così feciono; e·llo re di Francia s'acampò fuori di Parigi mezza lega a San Germano di Prati, e·llà fece sua mostra, e trovossi con VIIIm buoni cavalieri e più di LXm di sergenti a piè, che più di VIm v'avea di Genovesi a balestra, tra delle galee e venuti da Genova per terra al soldo del re; intra 'l quale esercito avea, sanza il re di Francia, V re di corona; ciò era il re di Navarra suo cugino, il re di Maiolica, e il re di Buem, e 'l suo figliuolo eletto re de' Romani, e il re di Scozia; ciò fu Davit figliuolo di Ruberto di Brus rubello del re d'Inghilterra.



LXV - Come il re d'Inghilterra si partì di Pusci per andare in Piccardia per accozzarsi co' Fiaminghi

Come il re d'Inghilterra seppe la venuta del re di Francia a Parigi, e avendo guaste le ville fra 'l fiume dell'Era e quello di Senna, e fallendo la vivanda all'oste, per non essere sopreso, com'ordinava il re di Francia, sì ordinò e fece fare uno ponte di legname e barche a Pusci in sulla Senna; e bene che fosse contastato dalla gente del re di Francia, ch'erano dall'altra riva, per forza d'arme e di suoi arcieri li sconfisse, e fece il ponte compiere; e levato il campo da Pusci e da San Germano dell'Aia, in quelli fece mettere fuoco, e con sua oste passò il fiume di Senna a dì XVI d'agosto, e venne a Pontosa, e·llà trovò risistenza di gente che v'avea mandata il re di Francia a·ccavallo e a piè, e fornito il castello; onde combatté la terra per due dì; alla fine la vinse per forza, salvo il castello; e quanta gente vi trovò mise a morte, salvo le femmine e' fanciulli, a' quali diè licenzia si partissono con ciò che·nne potessono portare, e guastò la terra, salvo i monisteri e·lle chiese. E poi seguì suo cammino per andare ad Albavilla in Ponti per ritrovarsi co' Fiammighi ch'erano usciti fuori con più di XXXm in arme, ed erano stati a Bettona, e poi presso ad Arazo a IIII leghe guastando il paese, e poi s'erano ridotti a Scrusieri inn-Artese per accozzarsi col re d'Inghilterra, com'era dato l'ordine tra·lloro, che meser Ugo d'Astighe, parente e barone del re d'Inghilterra, venne a dì XVI di luglio in Fiandra con XX navi e DC arcieri, per sollicitare i Fiamminghi a·cciò fare, i quali erano ritornati all'asedio di Bettona, e a quella diedono più battaglie e co·lloro danno di morti e di fediti. Lasciamo a dire alquanto di Fiaminghi, e torneremo a dire degli andamenti del re di Francia, che seguì il re d'Inghilterra.



LXVI - Come il re di Francia con sua oste seguì il re d'Inghilterra

Come il re di Francia seppe la partita del re d'Inghilterra da Pontosa, si partì con sua gente da San Germano di Prati, e andonne a San Donigi per seguire il re d'Inghilterra, per combattere co·llui in campo, acciò che non distruggesse il paese, e inanzi che s'acostasse co' Fiaminghi suoi ribelli; e lasciò in Parigi alla guardia della terra, e della reina sua moglie e di più figliuoli, i borgesi possenti di Parigi, che con alcuna altra gente d'arme di suo ostiere e famiglia furono MCC uomini a cavallo. E mandò di sua gente inanzi in Piccardia, che togliessono i passi e gli andamenti al re d'Inghilterra e·lla vittuaglia, e tagliassono i ponti alle riviere, e stare sue genti d'arme a guardare i detti passi e riviere; e il re di Francia con suo esercito n'andò ad Albavilla in Ponti, e così fu fatto. Per la qual cosa il re d'Inghilterra fu a gran pericolo con sua oste, e a gran soffratta di vittuaglia, che VIII dì stettono, che non ebbono se non poco pane né punto di vino, e vivettono di carne di loro bestiame, che·nn'avieno assai, e mangiando alcuno frutto e bevendo acqua, ed ebbono grande difetto di calzamento; e non potendo andare ad Albavilla pe' passi che gli erano tolti, e fatte le tagliate inanzi. Il re d'Inghilterra prese partito d'andare verso Fiandra, ma i Franceschi e' Piccardi gli furono apetto alla riviera di Somma, ch'elli avea a passare. Ma per sollicitudine cercò un altro passo in un altro luogo, dove la riviera facea un gran marese che fiottava, ma avea sodo fondo, che·lli fu insegnato, dove mai non era veduto passare cavallo; e·llà, ritratto il fiotto, passò in una notte con tutta sua gente salvamente, lasciando parte delle sue tende e fuochi accesi ov'era stato acampato, per mostrare la notte a' nimici ch'ancora vi fosse a campo. E come fu passato, la mattina per tempo andò asalire parte di suoi nimici che·ll'avieno contastato il passo, che v'erano assai presso accampati, e non si prendeano guardia, credendo non avessono potuto passare la riviera di Somma, e missegli inn-isconfitta, onde furono tutti morti e presi; che furono tra a·ccavallo e a piè parecchi migliaia. Apresso seguiro loro cammino affamati con grandi disagi, e andarono il venerdì XXV d'agosto tra 'l dì e·lla notte bene XII leghe piccarde, sanza riposare, con grande affanno e fame, e arrivarono presso Amiensa a VI leghe a uno luogo e borgo di costa a uno bosco che·ssi chiama Crescì. E avendo a passare una piccola riviera, ma era profonda, convenne passassono uno o a due insieme, tanto ch'uscissono del passo, che non aveano contasto: e sentendo che 'l re di Francia gli seguitava, sì s'acamparono in quello luogo fuori della villa di Crescì in su uno colletto tra Crescì e Albavilla in Ponti; e per afforzarsi, sentendosi troppo men gente che' Franceschi, e per loro sicurtà, chiusono l'oste di carri, che·nn'aveano assai di loro e del paese, e·llasciarvi una entrata, con intenzione, e non potendo schifare la battaglia, disposti di combattere e di volere anzi morire in battaglia che morire di fame, che·lla fuga non avea luogo. E ordinò il re d'Inghilterra i suoi arcieri, che·nn'avea gran quantità su per le carra, e tali di sotto e con bombarde che saettavano pallottole di ferro con fuoco, per impaurire e disertare i cavalli di Franceschi. E della sua cavalleria il dì apresso fece dentro al carrino III schiere; della prima fu capitano il figliuolo del re della seconda il conte di Rondello, della terza il re d'Inghilterra; e chi era a·ccavallo isciese a piè co' cavalli a destro per prendere lena e confortarsi di mangiare e di bere.



LXVII - D'una grande e sventurata sconfitta ch'ebbe il re Filippo di Francia con sua gente dal re Adoardo il terzo re d'Inghilterra a Crescì in Piccardia

Lo re Filippo di Valos re di Francia, il quale con suo esercito seguia il re Aduardo d'Inghilterra e sua gente, sentendo come s'era acampato presso di Crescì e aspettava la battaglia, si andò in verso lui francamente credendolo avere sopreso, come straccato e vinto per lo disagio e fame soferta in cammino. E sentendosi di tre tanti di buona gente d'arme a cavallo, però che 'l re di Francia avea bene da XIIm cavalieri, e sergenti a piè quasi innumerabili, ove il re d'Inghilterra non avea IIIIm cavalieri, e da XXXm arcieri inghilesi e gualesi, e alquanti con acce gualesi e lance corte; e venuto presso al campo dell'Inghilesi quanto un corso di cavallo potesse trarre, uno sabato dopo nona, a dì XXVI d'agosto, anni MCCCXLVI, il re di Francia fece fare alla sua gente III schiere a·lloro guisa, dette battaglie; nella prima avea bene VIm balestrieri genovesi e altri italiani, la quale guidava meser Carlo Grimaldi e Anton Doria, e co' detti balestrieri era il re Giovanni di Buem, e meser Carlo suo figliuolo eletto re de' Romani, con più altri baroni e cavalieri in quantità di IIIm a·ccavallo. L'altra battaglia guidava Carlo conte di Lanzone fratello del re di Francia con più conti e baroni in quantità di IIIIm cavalieri e sergenti a piè assai. La terza battaglia guidava il re di Francia, in sua compagnia gli altri re nomati e conti e baroni, con tutto il rimanente del suo esercito, ch'erano innumerabile gente a·ccavallo e a piè. Inanzi che·lla battaglia si cominciasse, aparvono sopra le dette osti due grandi corbi gridando e gracchiando; e poi piovve una piccola acqua; e ristata, si cominciò la battaglia. La prima schiera co' balestrieri genovesi si strinsono al carrino del re d'Inghilterra e cominciaro a saettare co·lloro verrettoni; ma furono ben tosto rimbeccati, che 'n su carri e sotto i carri alla coverta di sargane e di drappi che·lli guarentieno da' quadrelli, e nelle battaglie del re d'Inghilterra, ch'erano dentro al carrino nelle battaglie ordinate e schiere di cavalieri, avea XXXm arcieri, come detto è, tra Inghilesi e Gualesi, che quando i Genovesi saettavano uno quadrello di balestro, quelli saettavano III saette co·lloro archi, che parea inn aria uno nuvolo, e non cadieno invano sanza fedire genti e cavalli, sanza i colpi delle bombarde, che facieno sì grande timolto e romore, che parea che Iddio tonasse, con grande uccisione di gente e sfondamento di cavalli. Ma quello che peggio fece all'oste de' Franceschi sì fu, che essendo il luogo stretto da combattere quant'era l'aperta del carrino del re d'Inghilterra, e percotendo e pignendo la seconda battaglia del conte di Lanzone, strinsono sì i balestrieri genovesi a' carri, che non si potieno reggere né saettare co' loro balestri, essendo al continuo al di sopra da quelli ch'erano in sulle carrette fediti di saette degli arcieri e dalle bombarde, onde molti ne furono fediti e morti. Per la qual cagione i detti balestrieri non potendo sostenere, essendo affoltati e ristretti al carrino da' loro cavalieri medesimi per modo che si misono in volta, i cavalieri franceschi e·lloro sergenti veggendoli fuggire, credettono gli avessono traditi; ellino medesimi gli uccidieno, che pochi ne scamparo. Veggendo Aduardo quarto figliuolo del re d'Inghilterra prenze di Gales che guidava la prima battaglia de' suoi cavalieri, ch'erano da M, e da VIm arcieri gualesi, mettere in volta la prima schiera di balestrieri del re di Francia, montarono a·ccavallo e uscirono del carrino, e assalirono la cavalleria del re di Francia, ov'era il re di Buem e 'l figliuolo colla prima schiera, e il conte di Lanzone fratello del re di Francia, il conte di Fiandra, il conte di Brois, il conte d'Iricorte, messer Gianni d'Analdo e più altri conti e gran signori. Quivi fu la battaglia aspra e dura, però che apresso lui il seguì la seconda battaglia del re d'Inghilterra, la quale guidava il conte di Rondello, e al tutto misono in volta la prima e seconda battaglia di Franceschi, e massimamente per la fuggita de' Genovesi. E in quello stormo rimasero morti il re di Buem e 'l conte di Lanzone, con più conti e baroni e cavalieri e sergenti molti. E·llo re di Francia veggendo volgere la sua gente, colla sua terza battaglia e con tutto il rimanente di sua gente percosse alle schiere dell'Inghilesi, e di sua persona fece maraviglie in arme, tanto fece ritrarre gl'Inghilesi al carrino; e sarebbono stati rotti, se non fosse il ritegno del re Aduardo colla sua terza battaglia, ch'uscì fuori del carrino per un'altra aperta che fece fare al suo carreggio per uscire adosso a' nimici al di dietro, e per essere al socorso di suoi, francamente asalendo i nimici, feggendo per costa, e co' suoi Gualesi e Inghilesi a piè coll'arcora e lance gualesi, e solo intendeano a sventrare i cavalli. Ma quello che più confuse i Franceschi fu che per la moltitudine della loro gente, ch'era tanta a·ccavallo e a piè, e non intendieno se non a pignere e a urtare co·lloro cavalli, credendo rompere gl'Inghilesi, ch'ellino medesimi s'afollarono l'uno sopra l'altro al modo che divenne loro a Coltrai co' Fiaminghi, e spezialmente gl'impediro i Genovesi morti, che·nn'era coperta la terra della prima rotta battaglia, e' cavalli afollati morti e caduti, che tutto il campo n'era coperto, e fediti delle bombarde e saette, che non v'ebbe cavallo di Franceschi, che non fosse fedito, e innumerabili morti. La dolorosa battaglia durò da anzi vespro a due ore infra·lla notte. Alla fine non potendo più durare i Franceschi si misero in fugga, e il re di Francia si fuggì la notte ad Amiensa fedito, coll'arcivescovo di Rens, e col vescovo d'Amiensa, e col conte d'Alzurro, e col figliuolo del cancelliere di Francia con da LX a cavallo sotto il pennone del Dalfino di Vienna; però che tutte le sue bandiere e insegne reali erano rimase al campo abattute. E fuggendo le brigate la notte a·ccavallo e a piè, da' paesani di loro parte medesima erano rubati e morti; e per questo modo ne perirono assai sanz'altra caccia. La domenica mattina seguente, essendo della gente del re di Francia fuggiti la notte, e ridottisi ivi presso ov'era stata la battaglia in su uno poggetto presso al bosco in quantità di VIIIm a cavallo e a piè, intra gli altri v'era meser Carlo eletto imperadore scampato della prima rotta, e ivi afrontatisi, non sapiendo ove fuggire, il re d'Inghilterra vi mandò il conte di Vervich e quello di Norentona con gente a cavallo e a piè assai, e assalendo quelli, come gente sconfitta, poco ressono, e fuggendo, molti ne furono presi e morti, e 'l detto meser Carlo con tre fedite si fuggì alla badia da Riscampo, ov'erano i cardinali. E·lla domenica mattina medesima giunse il duca dello Renno nipote del re di Francia in sul campo, che venia suo aiuto con IIIm cavalieri e IIIIm pedoni di suo paese, essendo ignorante della battaglia e sconfitta della notte, chi·ss'avesse vinto; veggendo quella gente de·rre di Francia che detto avemo, che per paura tenieno schierati al poggetto, si diè e percosse tra l'Inghilesi; ma tosto fu rotto, e rimasevi morto con da C de' suoi cavalieri, ma·lla maggiore parte di quelli da piè rimasero morti, e·lli altri si fuggirono. Nella detta dolorosa e sventurata battaglia per lo re di Francia si disse per li più che scrissono che vi furono presenti, quasi inn-accordo, che bene XXm uomini tra piè e a·ccavallo vi rimasono morti, e cavalli innumerabile quantità, e più di MDC tra conti e baroni e banderesi e cavalieri di paraggio, sanza gli scudieri a·ccavallo, che furono più di IIIIm, e presi altrettanti, e tutti i fuggiti fediti quasi di saette. Intra gli altri notabili signori vi rimasero morti il re Giovanni di Buem con V conti d'Alamagna ch'erano in sua compagnia, e quello di Maiolica, il conte di Lanzone fratello del re di Francia, il conte di Fiandra, il conte di Brois, il duca dello Renno, il conte di Sansurro, il conte d'Allicorte, il conte d'Albamala e 'l figliuolo, il conte di Salemmi d'Alamagna ch'era col re di Buem, messer Carlo Grimaldi e Anton Doria di Genova, e molti altri signori, che non si sa per noi i nomi di tutti. Il re Aduardo rimase in sul campo due dì, e fecevi cantare solennemente la messa del santo Spirito, ringraziando Iddio della sua vittoria, e quella di morti, e consagrare il luogo, e dare sepoltura a' morti, così a' nimici come agli amici, e' fediti trarre tra' morti e farli medicare, la minuta gente e fece dar loro danari, e mandolli via. I signori morti ritrovati fece più nobilmente sopellire ivi presso a una badia, e tra gli altri molto grande onore ed esequio fece al re di Buem, siccome a corpo di re, e per suo amore piagnendosi di sua morte elli con più suoi baroni si vestì a·nnero, e rimandò il suo corpo molto onorevolmente a mesere Carlo suo figliuolo ch'era alla badia da Riscampo, e di là lo ne portò il figliuolo a Luzimborgo. E·cciò fatto, il detto re Aduardo colla sua bene aventurosa vittoria, che poca di sua gente vi morì a comparazione di Franceschi, si partì da Crescì il terzo dì, e andonne a Mosteruolo. O santus santus santus dominus deus Sabaot, cioè i·llatino, santo di santi, nostro signore, Iddio dell'oste; quant'è la potenza tua in cielo e in terra, e spezialmente nelle battaglie! Che talora e bene sovente fa che·lle meno genti e potenza vincono gli grandi eserciti, per mostrare la sua potenzia, e abattere le superbie e orgogli, e pulire le peccata de' re e de' signori e de' popoli. E in questa sconfitta bene si mostrò la sua potenzia, che' Franceschi erano tre cotanti che·ll'Inghilesi. Ma non fu sanza giusta cagione, e non avenne questo pericolo al re di Francia, che intra gli altri peccati, lasciamo stare il torto fatto al re d'Inghilterra e altri suoi baroni d'occupare il loro retaggio e signorie, ma più di X anni dinanzi a papa Giovanni giurato e presa la croce, promettendo infra due anni andare oltremare a raquistare la Terrasanta, e prese le decime e susidii di tutto suo reame, faccendone guerra contro i signori cristiani ingiustamente; per la cui cagione moriro e furono schiavi di Saracini d'oltramare Ermini e altri Cm Cristiani, che per la sua speranza avieno cominciata guerra a' Saracini di Soria: e questo basti a tanto.



LXVIII - Quello che 'l re d'Inghilterra con sua oste fece dopo la detta vittoria

Partito il re Aduardo del campo da Crescì, ove avea avuta la detta vittoria, se n'andò con sua oste a Mosteruolo, credendolsi avere, ch'era della contea e dota della madre. La terra era ben guernita per lo re di Francia e di molti Franceschi rifuggiti dalla sconfitta; sì·ssi difese, e no·lla poté avere: guastolla intorno, e poi n'andò a Bologna sor la mere, e fece il somigliante. Poi ne venne a Guizzante, e perché nonn-era murato, il rubò tutto, e poi vi missero fuoco, e tutta la villa guastaro. E poi ne vennero a Calese, e quello era murato e aforzato, e diedonvi più battaglie. E non potendolo avere, vi si puose ad assedio per terra e per mare, e fecevi una bastita di fuori com'una buona terra aforzata e aconcia da vernarvi, e ivi con sua oste istette all'assedio lungamente, come inanzi faremo menzione; e in ciò misse ogni suo podere per aquistarlo, per avere porto forte e ridotto di qua da mare in su·rreame di Francia. E in questa stanza venne al re d'Inghilterra la madre e·lla moglie con due sue sirocchie e·lla figliuola, e poi il conte d'Ervi con molto navilio e gente d'arme e rinfrescamento di vittuaglia ed ogni guernimento da oste. In questa stanza i due legati cardinali con altri baroni di Francia e d'Inghilterra furo più volte presso di Calese a parlamentare di pace; non vi poté avere accordo. Ancora stando il re d'Inghilterra al detto assedio di Calese, avendo d'accordo promessa la figliuola per moglie al giovane conte di Fiandra, e doveasi allegare co·llui; ma per sodducimento e trattato del re di Francia e per onta rimprocciatali, che 'l padre era stato morto essendo col re di Francia alla battaglia di Crescì, come adietro facemmo menzione, sì·ssi partì dal re d'Inghilterra di nascoso, e vennesene al re di Francia, e tolse per moglie la figliuola del duca di Brabante; e 'l detto duca si partì dalla lega del re d'Inghilterra e allegossi col re di Francia e imparentossi co·llui: e diede il duca al suo maggiore figliuolo la figliuola di meser Gianni figliuolo del re di Francia, e all'altro figliuolo la figliuola del duca di Borbona della casa di Francia; e 'l detto duca di Brabante data per moglie la seconda figliuola al duca di Ghelleri nipote del re d'Inghilterra figliuolo della sirocchia, avendo prima tolta e sposata la figliuola del marchese di Giullieri. Tutte queste rivolture e leghe fece fare il re di Francia contro al re d'Inghilterra per danari, onde il duca di Brabante fu molto ripreso; ma però il re d'Inghilterra non lasciò sua impresa e asedio di Calese. E meser Gianni figliuolo del re di Francia, col duca d'Atene e con altri baroni e grande cavalleria e sergenti a piè in grande quantità, stavano in Bologna sor la mere e d'intorno a fare al continuo guerra guerriata al re d'Inghilterra e a·ssua oste, e per mare con galee e altro navile, per fornire Calese; ove ebbe più assalti e badalucchi e scontrazzi, quando a danno dell'una parte e quando dell'altra, che lungamente sarebbe a racontare. E dall'altra parte il re di Francia fece un'altra oste; e fece porre l'assedio a Casella in Fiandra, acciò che' Fiamminghi non potessono venire in aiuto e accozzarsi a Calese col re d'Inghilterra, onde i Fiaminghi per comune, fatto con ordine del re d'Inghilterra loro capitano e guidatore il marchese di Giulieri, vennero verso Casella per combattersi co' Franceschi, i quali rifusaro la battaglia, e partirsi dall'asedio di Casella, e andarsene a Santo Mieri. Lasceremo alquanto de' processi della detta guerra de' due re insino ch'arà altra riuscita, e diremo di nostri fatti di Firenze e d'altre novità che furono ne' detti tempi.



LXIX - Come Luigi il giovane, che tiene la Cicilia, riebbe Melazzo, e trattò di fare parentado e lega col re d'Ungheria

A dì V d'agosto, l'anno MCCCXLVI, Luigi il giovane, figliuolo che fu di don Piero figliuolo di don Federigo, che possiede l'isola di Cicilia, sentendosi per lo suo balio e zio don Guiglielmo, valente uomo d'arme, e per li Ciciliani, la discordia ch'era nel regno di Puglia rede del re Carlo e Ruberto, per la morte del giovane re Andreas, onde adietro è fatta menzione, si puosono assedio alla terra di Melazzo in Cicilia, che·ssi tenea per li detti reali, per mare e per terra, e stettonvi più tempo all'assedio, però che·ll'era molto forte e bene guernita di gente e di vittuaglia. Ma i capitani che v'erano alla guardia, per le dette discordie de' reali del Regno non poteno avere le loro paghe per loro e per la gente v'avieno alla guardia, e veggendo non poteno avere né soccorso né rinfrescamento del Regno, cercaro loro concordia co' Ciciliani, e per danari che n'ebbono rendero la terra detto dì. E nel detto mese essendo venuti in Cicilia ambasciadori del re d'Ungheria per contrario de' detti reali del Regno per trattare lega e compagnia col detto Luigi il giovane che tenea la Cicilia, e adomandaro XXX galee al soldo del detto re d'Ungheria al suo passaggio nel Regno. Guiglielmo zio del detto giovane Luigi, che·ssi facea chiamare duca d'Atene, ed era balìo del detto Luigi, e governatore dell'isola di Cicilia, si trattarono e ragionarono di fare parentado che il detto Luigi, torrebbe per moglie la sirocchia del detto re d'Ungheria, e promise di darli aiuto, quando volesse passare nel Regno, di XL galee armate al soldo del detto Luigi; e mandò in Ungheria suoi ambasciadori in su una galea armata per confermare la detta lega e matrimonio. Ma venuti in Ungheria gli ambasciadori di quello di Cicilia, dimandavano di rimanere libero re di Cicilia, e dimandavano Reggio in Calavra e altre terre che vi tenea l'avolo suo don Federigo; la qual domanda il re d'Ungheria non accettò, ma sarebbe condisceso a lasciarli l'isola, rispondendogli certo censo, e rimanendo a quello d'Ungheria il risorto e·ll'apello come sovrano, e il titolo del reame. A·cciò non s'accordarono quelli di Cicilia, e rimase il trattato, e poi il tennero co' reali di Puglia. Il fine a·cche ne vennero si dirà inanzi a tempo e luogo, quando saremo sopra la detta matera.



LXX - Come certe galee di Genova passaro nel mare Maggiore, e presono Sinopia e·ll'isola del Silo

Nel detto anno e tempo si partirono di Genova XL galee armate e andarono in Romania per fare vendetta del cerabi signore di Turchi del mare Maggiore, per lo tradimento e danno ch'elli avea fatto a' Genovesi, come in alcuna parte adietro facemmo menzione; e presono la terra di Sinopia, e quella rubaro e guastaro, e corsono il paese, e recarne molta roba e mercatantia di Turchi; e 'l simile feciono all'isola del Silo in Arcipelago di Romania, e quella presono e sonne signori, e tolsolla a' Greci, ove nasce la mastica, la quale è di grande frutto e rendita. Lasceremo a dire delle novità delli strani, e torneremo a dire di nostri fatti di Firenze e d'altre parti d'Italia.



LXXI - Di certe novità che furono in questi tempi nel Regno

Nel detto anno, a dì VIII d'ottobre, passò per Firenze il cardinale d'Onbruno legato del papa, ch'andava nel Regno per recarsi in sua guardia per la Chiesa il detto Regno, per le discordie de' reali per la morte del re Andreas; da' Fiorentini gli fu fatto grande onore. Andato lui nel Regno, male vi fu veduto da quelli reali e per la reina, e peggio vi fu ubidito, e 'l paese tutto scommosso quasi in rubellione; e rubellossi l'Aquila per uno ser Ralli cittadino di quella col suo séguito, e coll'aiuto e favore di meser Ugolino de' Trinci signore di Fuligno, e più altre terre d'Abruzzi a petizione del re d'Ungheria, e 'l paese tutto corrotto a rubare i Comuni, e chi più potea. Il legato colla reina feciono più signori per giustizieri, ma poco furono ubiditi e temuti. Il legato veggendo così corrotto il paese, se n'andò a dimorare a Benevento, e poco era tenuto a capitale.



LXXII - Di certi ordini si feciono in Firenze, che niuno forestiere non potesse avere ufici di Comune, e come si compié il ponte a Santa Trinita

Nel detto anno, a dì XVIIII d'ottobre, si fece ordine e dicreto in Firenze che nullo forestiere fatto cittadino, il quale il padre e·ll'avolo ed elli non fossono nati in Firenze o nel contado, non potesse essere uficiale o avere alcuno uficio, nonistante che fosse eletto o insaccato, sotto certa grande pena. E questo si fece per molti artefici minuti veniticci delle terre d'intorno, sotto titolo di reggenti delle XXI capitudini dell'arti; erano insaccati priori e altri assai ufici. Ed era il loro un gran fastidio, che con maggiore audacia e prosunzione usavano il loro maestrato e signoria, che non facieno gli antichi originali cittadini. Ben fu questa motiva opera di capitani di parte guelfa e di loro consiglio, che parea loro vi si mischiassono di Ghibellini, e per afiebolire il reggimento delle XXI capitudini dell'arti che reggevano la città; e fu quasi uno cominciamento di rivolgimento di stato per le sequele che ne seguirono apresso, come inanzi ne faremo menzione. Nel detto anno, a dì IIII d'ottobre, si serrò l'arco di mezzo del ponte da Santa Trinita con III pile e archi; molto bene fondato e ricco lavorio, e costò da XXm fiorini d'oro, e fecevisi in su una pila una bella cappella di San Michele Agnolo.



LXXIII - D'uno grande caro che fu in Firenze e d'intorno e in più parti

Nel detto anno MCCCXLVI, cominciandosi la cagione d'ottobre e di novembre MCCCXLV, al tempo della sementa furono soperchie piove, sicché corruppono la sementa, e poi l'aprile e 'l maggio e giugno vegnente MCCCXLVI non finò di piovere, e talora tempeste, onde per simile modo si perdé la sementa delle biade, e·lle seminate si guastarono; e·cciò avenne quasi in più parti di Toscana e d'Italia, e in Proenza, e Borgogna, e Francia (onde nacque grande fame e caro ne' detti paesi), ed a Genova, e a Vignone in Proenza, ov'era il papa colla corte di Roma. E·cciò avenne, secondo dissono gli astrolagi e maestri in natura, per la congiunzione passata di Saturno e di Giove e di Marti nel segno dell'Aquario, come adietro è per noi fatta menzione. Onde avenne che già sono più di cento anni passati non fu sì pessima ricolta in questo paese di grano e biada, di vino e d'olio e di tutte cose, come fu in questo anno. E 'l vino valse di vendemmia il comunale da fiorini VI in VIII il cogno, e quasi non rimasono colombi e polli per difetto d'esca, e valea il paio di capponi fiorini uno d'oro e libre IIII, e non se ne trovavano; e' pollastri per Pasqua soldi XII il paio, e' pippioni soldi X, e·ll'uovo danari IIII o V danari, e non se ne trovavano; e·ll'olio montò in libre VIII l'orcio. Per difetto di ciò la carne di castrone e di bue grosso e di porco montò in danari XX in soldi II la libra, e quella della vitella in soldi II e mezzo in soldi III la libra, e fu gran caro di frutte e di camangiare; e tutto ciò fu per la cagione sopradetta. Per la qual cosa, avegna che per li tempi passati alcuni anni fosse caro, pure si trovava della vittuaglia in alcuna contrada; ma questo anno quasi non se ne trovava, imperciò che·lle terre non rispuosono al quarto, né tali al sesto del dovuto e usato tempo. E valse di ricolta lo staio del grano presso a soldi XXX, montando ogni dì; e inanzi che fosse l'altra ricolta, o calen di maggio MCCCXLVII, montò a fiorino uno d'oro lo staio; e·llo staio dell'orzo e delle fave in soldi L lo staio, e·ll'altre biade all'avenante; ella crusca in soldi XI lo staio e più, che non se ne trovava per danaio; e sarebbe il popolo morto di fame, se non fosse la larga e buona provedenza fatta per lo Comune, come diremo apresso. E·ffu sì grande la nicissità, che·lle più delle famiglie di contadini abandonarono i poderi, e rubavano per la fame l'uno all'altro ciò che trovavano, e molti ne vennero mendicando in Firenze, e così di forestieri d'intorno, ch'era una piatà a vedere e udire, e non si poteno lavorare le terre né seminare; se non che coloro cui erano, se n'avieno il podere, convenia che pascesse quelli che·lle lavoravano, e fornire di seme, e quello con grande necessità e costo. E con tutto che·ll'anno MCCCXXVIIII e del MCCCXL fosse gran caro, come adietro in que' tempi facemmo menzione, ma pure del grano e della biada si trovava in città e in contado; ma in questo anno non si trovava né grano né biada, ispezialmente in contado a più di lavoratori e contadini. Il Comune si provide e comperòne e fece mercati, con caparra di moneta con certi mercatanti genovesi e fiorentini e altri, di XLm moggia di grano di Pelago, di Cicilia, di Sardigna, e da Tunisi, e di Barberia, e di Calavra, e di IIIIm moggia d'orzo, ma non ci se ne potéo conducere per la via di Pisa in tutto che moggia XXIIm di grano, e moggia MDCC d'orzo, il quale venne costato, posto in Firenze, fiorini XI d'oro il moggio del grano, e fiorini VII il moggio dell'orzo. Ma perché non avemmo tutto quello che per lo nostro Comune fu comperato, sì fu la cagione però che i Pisani n'avieno bisogno grande di grano, e simile i Genovesi, che per forza si prendeno il grano della nostra compera giunto in Porto Pisano, tanto che si fornivano inanzi a·nnoi; e questo ci diede grande difetto, e più volte grande stretta e paura, e non ce ne potavamo atare. Di Romagna e di Maremma ne fece venire il Comune quello si potéo avere di grazia da quelli signori e Comuni, al di dietro intorno di moggia IImCC, e costò caro, da fiorini XX d'oro il moggio, ond'ebbe tra d'interesso colla spesa il Comune più di XXXm fiorini d'oro. Bene si trovò che certi ch'erano camarlinghi de' detti uficiali aveano frodato il Comune falsare per la misura e 'l peso del pane, e mischiare il grano col loglio e altre biade, onde trassono di guadagno grossa quantità, i quali furono presi e condannati in fiorini Xm d'oro a ristituzione del Comune. E nota che tutto questo è infama grande di mali cittadini e di coloro che·lli chiamano agli ufici, se colpa v'ebbono, come si disse, e confessaro per tormento. Ed era rimaso al Comune della provisione dell'anno passato da moggia MDCC di grano; sicché in tutto fu il soccorso e fornimento del Comune da XXVImD di moggia di grano e da MDCC moggia d'orzo. Al cominciamento gli uficiali del Comune faceano mettere per dì in piazza moggia LX in LXXX di grano a soldi XL lo staio; e poi montando il grano a soldi L e·ll'orzo a soldi XL lo staio; ma tutto questo non fornia per li molti contadini ch'erano ritratti nella città sanza gli altri cittadini bisognosi. Feciono gli uficiali del Comune fare in su i casolari de' Tedaldini di porta San Piero, ch'è uno grande compreso, X forni con palchi e chiuso a porte per lo Comune, ove per uomini e femmine di dì e di notte si facea pane della farina del grano del Comune sanza aburattare o trarne crusca, ch'era molto grosso e crudele a vedere e a mangiare, di peso d'once VI l'uno, che se ne facea per istaio da VIIII serque, e cocevasene il dì da LXXXV in C moggia; e poi si stribuiva la mattina a cenno della campana grossa de' priori a più chiese e canove per tutta la città, e di fuori dalle mastre porte per li contadini d'intorno presso alla città del piviere San Giovanni, e d'altri pivieri che venieno alle porti per esso, e davanne per bocca II pani per danari IIII l'uno. E soprabondò tanta gente, e che·nne volieno più che due pani per bocca, che per la calca gli uficiali non potieno cospicere; sì ordinaro di dare il pane alle famiglie per iscritte e polizze, II pani per bocca. E trovossi in mezzo aprile nel MCCCXLVII che da LXXXXIIIIm bocche erano, che n'avieno a dispensare per dì; e di questo sapemmo il vero dal mastro uficiale della piazza, che ricevea le scritte e polizze. Omai potete avisare, chi·ssa albitrare come innumerabile popolo era ritratto per la carestia in Firenze a pascersi; e nel detto numero non erano i cittadini e loro famiglie ch'erano forniti per loro vivere, e non volieno pane di Comune, o comperavano del migliore pane alle piazze o a' fornai danari VIII il pane, e tale X in XII il meglio, ché ciascuno potea fare e vendere pane sanza ordine o di peso o di pregio, e non contando i religiosi mendicanti né i poveri che viveano di limosine, ch'erano sanza numero, che di tutte le terre circustanti erano per lo caro ch'aveno acommiatati e ridotti in Firenze, ond'era una continua battaglia quella di poveri e di dì e di notte a' cittadini. E con tutto il bisogno e·lla grande nicissità del Comune e di cittadini, non si acommiatò povero niuno, né forestiere o contadino che fossero, ma al continuo pasciuti di limosine al convenevole, considerando il disordinato caro e fame; e per più ricchi e buoni e piatosi cittadini si feciono di belle e di larghe limosine, onde dovemo sperare in Dio, che non guarderà alli soperchi peccati de' cittadini, ché, come avemo detto adietro, la città nostra n'è bene fornita; ma per le limosine e pe' buoni e cari cittadini Iddio compenserà, se fia suo piacere la misericordia, come fece a quelli di Ninive, "però che·lla limosina spegne il peccato"; dixit Domino. Avenne come piacque a·dDio, per la festa di san Giovanni Battista MCCCXLVII, sforzandosi delle primaticce ricolte, subitamente calò il grano novello di soldi XL in XXII, e 'l vecchio del Comune in soldi XX lo staio; e·ll'orzo in soldi XI in X. Per questo sùbito calare del grano i fornai e chi facea pane a vendere innarravano il grano a gara, e subitamente il feciono rimontare in presso a soldi XXX lo staio, e feciono postura di non far pane a vendere se non con certo loro ordine, per sostenere il caro. Per la qual cosa il popolo si commosse contro a·lloro, e fu quasi la città per correre a romore e ad arme, se non che per li savi rettori s'aquetò il romore, e uno, che·nne fu cominciatore, ne fu impiccato; e 'l grano tornò al suo stato di soldi XXII lo staio. E poi in piena ricolta del mese d'agosto e di settembre si riposò da soldi XVII in XX, bene che poi rimontò per lo caro stato; che·ffu una grande consolazione al popolo per la fame passata. Ma bene lasciò, com'è usato, ancora alquanta carestia e per conseguente infermità e mortalità, come per lo 'nanzi si troverrà leggendo. Lasceremo di questa passione della carestia e fame, e diremo d'altre cose che furono in questi tempi.



LXXIV - Come messer Luchino Visconti signore di Melano ebbe la città di Parma

Tegnendo la città di Parma i marchesi da Esti da Ferrara, che·ll'avieno comperata da meser Ghiberto da Coreggia, come in alcuno capitolo adietro facemmo menzione, messer Luchino signore di Melano al continovo la guerreggiava colle sue forze e coll'aiuto di quelli da Gonzago signori di Mantova e di Reggio, e per dispetto e contradio di meser Mastino ch'era i·llega co' detti marchesi, e quasi per lui la tenieno; essendo circundata di qua della città di Reggio, e di là da Mantova e da Piagenza e dalle terre di meser Luchino, e male poteno avere aiuto né soccorso da meser Mastino e da altri loro amici e da Ferrara sanza grande pericolo; si cercaro loro accordo con meser Luchino, al quale si diede compimento all'uscita del mese di settembre MCCCXLVI, che·ssi feciono compari di meser Luchino d'un suo figliuolo, e renderli Parma, ed ebbono da·llui LXm fiorini d'oro; e riebbono per patti il loro castello di San Filice e' loro prigioni che tenieno quelli da Gonzago, e con grande festa n'andarono con meser Luchino a Milano affare il suo figliuolo cristiano, e fermarono lega e compagnia insieme. E nota s'elli ha tra' Cristiani al suo tempo nullo re, se non se quello di Francia e quello d'Inghilterra e d'Ungheria, di tanto podere quanto mesere Luchino, che tenea del continuo più di IIIm cavalieri al soldo, e talora IIIIm e Vm e più, che non ha re tra' Cristiani che·lli tenga. E signoreggiava le 'nfrascritte XVII città colle loro castella e contadi Milano, Commo, Bergamo, Brescia, Lodi, Moncia, Piagenza, Pavia, Cremona, Cremma, Asti, Tortona, Allessandra, Noara, Vercelli, Torino, e ora Parma. Ma guardisi del proverbio che disse Marco Lombardo al conte Ugolino di Pisa, quand'era nella sua maggiore felicità e stato; come dicemmo nel suo capitolo, ch'egli era meglio disposto a ricevere la mala miccianza, e così gli avenne. E a meser Mastino signore di XI cittadi le perdé tutte, se non se Verona e Vincenza, e in quelle fu osteggiato. E però non si dee niuno groriare troppo delle filicità mondane, e spezialmente i tiranni; che la fallace fortuna come dà a·lloro co·llarga mano, così ritoglie; e questo basti a tanto, e tosto si vedrà il fine.



LXXV - Come il conte di Fondi sconfisse la gente della reina moglie che fu del re Andreas

In questi tempi il conte di Fondi, nipote che·ffu di papa Bonifazio, a petizione del re d'Ungheria prese Terracina e il castello d'Itri presso di Gaeta per cominciare la guerra da quella parte alla reina e a' reali di Napoli, i quali vi mandarono DC cavalieri e pedoni assai del Regno, per assediare il detto castello d'Itri. Il conte fece suo sforzo di gente di Campagna, e con CC cavalieri tedeschi ch'avea furono CCCC a cavallo e gente a piè assai, e assalì la detta oste e miseli inn-isconfitta; ov'ebbe assai di presi e di morti; e·lla città di Gaeta quasi si rubellò, tegnendosi per loro medesimi, sanza rispondere a' reali o alla reina di Napoli. In questi tempi, all'entrante d'ottobre, morì a Napoli quella si facea chiamare imperadrice di Gostantipoli, figliuola che fu di meser Carlo di Valos di Francia, e moglie che·ffu del prenze di Taranto. Di questa si disse ch'ordinò colla moglie del re Andreas sua nipote la morte del detto re, e con più altri signori e baroni, come racontammo nel capitolo adietro della morte del re Andreas, per darla per moglie a meser Luigi di Taranto suo figliuolo, come fece poi, come diremo alquanto inanzi. Ed ella dopo la morte del prenze suo marito portò mal nome di sua persona, se vero fu, che palese si dicea, che infra gli altri suoi amadori tenea meser Niccola Acciaiuoli nostro cittadino per suo amico, ed ella il fece cavaliere e fecelo molto ricco e grande. Lasceremo alquanto di fatti del Regno, e torneremo a' fatti e guerra del re d'Inghilterra.



LXXVI - Come fu sconfitto il re Davit di Scozia dagl'Inghilesi a Durem

Essendo il re Aduardo d'Inghilterra rimaso di qua da mare all'asedio di Calese, come lasciammo adietro, il re di Francia dopo la sua sconfitta tornò a Parigi, e sommosse tutto il suo reame ed i suoi amici per ragunare gente maggiore che di prima, per vendicarsi del re d'Inghilterra, e levarlo dall'asedio di Calese. E oltre a·cciò rimandò inn Iscozia Davit di Brustro re di Scozia, che·ffu co·llui alla battaglia, e diègli molti danari e gente d'arme, acciò che di Scozia venisse con sua oste inn-Inghilterra. Il quale giunto inn-Iscozia, e sapiendo che 'l re d'Inghilterra era colla sua oste dell'Inghilesi a Calese, ragunò sua oste di bene Lm uomini tra piè e a cavallo di suoi Scotti, e·lla gente gli avea data il re di Francia, e passò inn Inghilterra insino alla città di Durem, faccendo gran danno al paese di ruberia e d'arsione. Certi baroni ch'erano rimasi inn-Inghilterra alla guardia del reame, onde fu capo... e none isbigottiti perché non vi fosse il loro re, ragunarono bene XVIm uomini buona gente d'arme tra a cavallo e a piè, la più gran parte Inghilesi e Gualesi, e francamente vennero contro al re di Scozia e sua oste, ch'erano tre tanti di loro, e al valico della riviera dell'Ombro gli asaliro vigorosamente. Gli Scotti del sùbito assalto e dubitandosi che gl'Inghilesi non fossono in maggior quantità, si misero in volta e furono sconfitti, e molti Scotti vi rimasero presi e morti, e fuvi preso il loro re Davit e 'l figliuolo, e menati presi a Londra; e·cciò fu a dì XVI d'ottobre MCCCXLVI. E nota ch'ancora è, e fia sempre, che 'l nostro Idio Sabaot fa vincere e perdere le battaglie a cui gli piace, non guardando a numero e forza di gente, secondo i suoi giudici per punizione di peccati di re e de' popoli.



LXXVII - Ancora della guerra di Guascogna

Dopo la sconfitta ch'ebbe il re di Francia dal re d'Inghilterra a Crescì, come adietro facemmo menzione, il conte d'Ervi, ch'era per lo re d'Inghilterra in Guascogna, non istette ozioso, ma più vigorosamente e con più audacia e baldanza con sua oste proccedette contro alla gente del re di Francia, cavalcando il paese; e·lla gente del re di Francia impaurita e sbigottita molto, però che se n'era partito meser Giovanni figliuolo del re di Francia con sua oste, e venuto verso Parigi per la vittoria ch'ebbe il re d'Inghilterra sopra il re di Francia a Crescì; sì·lli si arrendéo la terra di San Giovanni Angiulini, e·lla città di Pittieri, e·lLisignano, e Minorto, e Santi in Santogia, con più altre castella e ville, sanza alcuna risistenza; e quelle rubò d'ogni sustanzia, e ritennesi San Giovanni e·lLisignano e Minorto, e quelle fornì di sua gente per guerreggiare il paese; onde il paese era in gran tremore, e tutta tolosana infino a Tolosa. Fatto il conte d'Ervi il detto conquisto, fornì le terre e frontiere di gente d'arme, e tornossi inn-Inghilterra. Partito il conte d'Ervi del paese, que' di Pittieri colle loro vicinanze, sanz'altro capitano del re di Francia, feciono una cavalcata, credendosi riprendere Lisignano che facea loro una grande guerra, e furonvi isventuratamente sconfitti dal conte di Monforte, ed erano tre cotanti che·lla gente del re d'Inghilterra; e così aviene chi è in volta di fortuna. Lasceremo alquanto della guerra del re di Francia a quello d'Inghilterra, e diremo del nuovo eletto imperadore.



LXXVIII - Come Carlo re di Buem fu confermato per lo papa e per la Chiesa a esere imperadore, e come prese la prima corona

Nel detto anno MCCCXLVI a Vignone, ov'era il papa colla corte, essendovi venuti ambasciadori di Carlo re di Buem colla sua confermagione della lezione dello 'mperio fatta di lui, come adietro facemmo menzione, il papa a priego e stanza del re di Francia, e per abattere il titolo dello 'mperio del Bavero, sì confermò a essere degno imperadore il detto Carlo con autorità di santa Chiesa, commendandolo il papa di molte virtudi in suo sermone in piuvico consistoro, ove furono tutti i cardinali vescovi e prelati ch'erano in corte, e tutti i cortigiani che vi vollono essere, promettendogli ogni aiuto e favore alla sua dignità che·ssi potesse per santa Chiesa, e dandoli licenza che·ssi potesse coronare della prima corona inn-Alamagna, ov'elli volesse, e per quale vescovo o arcivescovo ch'a·llui piacesse, nonistante il luogo consueto d'Asia la Cappella, o coronare per l'arcivescovo di Cologna; e ciò fu a dì VI di novembre gli anni MCCCXLVI. Il detto Carlo avuta dal papa la sua confermagione, sanza indugio, non potendosi coronare ad Asia la Cappella per la forza del Bavero e de' suoi amici ch'era in quello paese ragunato con forza d'arme per contastarlo, sì·ssi fece coronare a una terra che·ssi chiama Bona presso di Cologna, in forza di lui e di suoi amici, non tenendo tre dì campo in arme, come dice ed è consueto per dicreto; e·cciò fu il dì di santa Caterina, dì XXV di novembre MCCCXLVI. E pochi signori e baroni d'Alamagna furono alla sua coronazione, però che·lla maggiore parte tenieno con Lodovico di Baviera chiamato Bavero. Lasceremo alquanto delle novità di là da' monti e del nuovo imperio, infino che luogo e tempo sarà, e torneremo a dire di fatti di Firenze e di nostro paese che furono in que' tempi.



LXXIX - Di novità fatte in Firenze per cagione degli ufici del Comune

Nel detto anno, avendosi in Firenze novelle della confermazione e prima coronazione del nuovo imperadore Carlo di Buem, come detto avemo, considerando ch'egli era nipote dello 'mperadore Arrigo di Luzimborgo, il quale fu all'asedio di Firenze, e trattocci come suoi nimici e ribelli, come ne' suoi processi al suo tempo facemmo menzione; e con tutto che 'l papa e·lla Chiesa mostri di favorallo, per quelli della parte guelfa in Firenze se n'ebbe gran sospetto. E sentendo e sapiendo che ne' bossoli, overo borse della lezione de' priori avea mischiati più Ghibellini sotto nome d'artefici delle XXI capitudini dell'arti, e d'esere buoni uomini e popolari, più consigli se ne tennero per correggere la detta lezione de' priori. Ma era tanto il podere delle capitudini dell'arti e delli artefici, e per tema di non comuovere la terra a romore e ad arme, che si rimase di non fare cerna, o toccare la lezione di priori; ma per contentare in parte i Guelfi si fece a dì XX di gennaio, dicreto e riformagione che d'allora inanzi nullo Ghibellino, il quale, elli o suo padre, suo congiunto, dal MCCCI in qua fosse stato ribello, o in terra ribella stato, o venuto contro al nostro Comune, potesse avere niuno uficio; e se fosse eletto, pena a' lettori o·llui che ricevesse fiorini M d'oro o·lla testa; e che niuno altro, il quale non fosse vero Guelfo e amatore di parte di santa Chiesa, bene ch'elli né suoi non fossono stati ribelli, non possa avere alcuno uficio, a pena di libre D e alle signorie, ove ne fosse acusato, pena libre M se nol condannasse; e·lla pruova di ciò si dovesse fare per VI testimoni di piuvica fama, aprovati i detti testimoni fossero idoni, se·ll'accusato fosse artefice, per li consoli di sua arte, e se fosse l'accusato iscioperato, i detti VI testimoni aprovati per li priori, e XII loro consiglieri; e funne condannato Ubaldino Infangati, perché accettò l'uficio di XVI sopra i sindacati de' falliti in libre D; e alcuni altri per quello uficio e altri ufici, per non esere condannati né isvergognati, non accettaro né vollono giurare i detti ufici, e altri Guelfi furono messi in quello scambio.



LXXX - Di novità ch'ebbe in Arezzo simile per cagione degli ufici

All'entrante del mese di novembre del detto anno nella città d'Arezzo si levò romore, e furono sotto l'arme per cagione che a' Guelfi d'Arezzo, ond'erano capo i Bostoli, per potere meglio tiranneggiare i loro cittadini, dicendo che parea loro che troppi Ghibellini fossono mischiati co·lloro agli ufici e reggimento della città; e convenne si facesse la cerna, e che i Ghibellini ch'erano ne' sacchetti, overo bossoli, per essere rettori e uficiali, ne fossono tratti. E tutto questo avenne per gelosia del nuovo imperadore, onde seguì poi assai sconcio alla città d'Arezzo e a' detti della casa de' Bostoli, come si troverrà per inanzi leggendo.



LXXXI - Come la città di Giadra inn-Ischiavonia s'arrendé a' Viniziani

Nel detto anno, il dì di santo Tommaso di dicembre, la città di Giadra inn-Ischiavonia, ove i Viniziani erano stati sì lungamente ad asedio, per difalta di vittuaglia s'arenderono al Comune di Vinegia, salve le persone e l'avere, rimanendosi sotto la signoria di Vinegia per lo modo s'erano inanzi si rubellassono. Il re d'Ungheria, a·ccui petizione e baldanza Giadra s'era rubellata, e di ragione n'era signore e sovrano, come adietro facemmo menzione, no·lli poté soccorrere per difalta e fame ch'era inn-Ischiavonia; non vi poté venire né mandare suo oste né poterla far fornire. Néd eziandio il detto re d'Ungheria non potéo seguire la sua impresa di passare in Puglia, per la carestia e fame che·ffu quasi in tutta Italia e in più parti, e maggiormente inn-Ischiavonia.



LXXXII - Di certe novità che furono nel castello di Sa·Miniato e come si diedono alla signoria e guardia del Comune di Firenze per V anni

Nel detto anno, del mese di febraio, essendo podestà di Sa·Miniato mesere Guiglielmo delli Oricellai popolano di Firenze, volendo fare giustizia di certi malfattori i quali erano masnadieri di Malpigli e Mangiadori, le dette case co·lloro sforzo d'amici con armata mano levaro la terra a romore, e per forza tolsono i malfattori alla detta podestà, e voleno disfare gli ordini del popolo. Se non che' popolani di Sa·Miniato furono ad arme, e col sùbito soccorso delle masnade di Fiorentini ch'erano nel Valdarno di sotto, a·ccavallo e a piè vi trassono, onde il popolo si difese e guarentì, e 'l Comune di Firenze vi mandò loro ambasciadori per riformare la terra, e così feciono; per la qual cosa il popolo e Comune di Sa·Miniato, di loro buona volontà e per vivere in pace, dierono la signoria e guardia della loro terra al Comune di Firenze per V anni. E poi per fortificare il popolo di Sa·Miniato si fece, dì XIII d'ottobre MCCCXLVII, riformagione in Firenze, che' grandi di Firenze s'intendessono e fossono grandi e trattati per grandi in Sa·Miniato, acciò che non potessono fare forza e violenze a' popolani, e che i grandi di Sa·Miniato s'intendessono per grandi in Firenze. E ordinossi di raforzare la rocca e fare via chiusa di mura larga braccia XVI dalla rocca alle mura di fuori, con una porta, alle spese comuni del Comune di Firenze e di Sa·Miniato, acciò che 'l Comune di Firenze avesse spedita l'entrata ella guardia della detta rocca. E ordinossi di fare un ponte sopra il fiume de l'Elsa alle spese de' detti due Comuni, acciò che quando bisognasse, ad ogni tempo, la forza di Fiorentini potesse essere in Sa·Miniato alla loro difesa.



LXXXIII - Di certe novità e ordini che·ssi feciono in Firenze per lo caro ch'era, e mortalità

Essendo in Firenze e d'intorno il caro grande di grano e d'ogni vittuaglia, come poco adietro avemo fatta menzione, essendone afritti i cittadini e contadini, spezialmente i poveri e impotenti, e ogni dì venia montando il caro ella difalta; e oltre a·cciò conseguente cominciata grande infermità e mortalità, il Comune provide e fece dicreto a dì XIII di marzo che niuno potesse esere preso per niuno debito di fiorini C d'oro, o da indi in giù, infino a calen di agosto vegnente, salvo all'uficiale della mercatantia da libre XXV in su, acciò che·ll'impotenti non fossono tribolati di loro debiti, avendo la passione della fame e mortalità. E oltre a·cciò feciono ordine che nessuno potesse vendere lo staio del grano più di soldi XL; e chi·nne recasse di fuori del contado di Firenze per vendere, avesse dal Comune fiorino uno d'oro del moggio; ma non si potéo osservare, che tanto montò la carestia e difalta, che·ssi vendea fiorino uno d'oro lo staio, e talora libre IIII; e se non fosse la provisione del Comune, come dicemmo adietro, il popolo moria di fame. E per la pasqua di Risoresso seguente, che·ffu in calen di aprile MCCCXLVII, il Comune fece offerta di tutti i prigioni ch'erano nelle carcere che riavessero pace da' loro nimici, e stati in prigione da calen di febraio adietro; e chiunque v'era per debito da libre C in giù, rimanendo obrigato al suo creditore; e·ffu gran bene e limosina, che per la 'nopia è·ggià cominciata la mortalità, ogni dì morivano nelle carcere due o tre prigioni; furono gli oferti in quello dì CLXXIII, che ve ne avea più di D in più in grande inopia e povertà. E poi a l'uscita di maggio per le sudette cagioni si fece riformagione per lo Comune di Firenze, che chiunque fosse nelle carcere o fosse in bando di pecunia da fiorini C d'oro in su, ne potesse uscire pagando al Comune in danari contanti soldi III per libra di quello fosse condannato o sbandito, e scontando ancora i soldi XVII per libra del debito del Comune che s'avea chi·llo volea comperare per XXVIII o XXX per C da coloro che doveano avere dal Comune, che venia la detta gabella di pagare da soldi VII e mezzo per libra. Certi gli pagaro e uscirono di bando e di prigione, ma non furo guari; tanto era povero il comune popolo di cittadini per lo caro e·ll'altre aversità occorse.



LXXXIV - Di grande mortalità che·ffu in Firenze, ma più grande altrove, come diremo apresso

Nel detto anno e tempo, come sempre pare che segua dopo la carestia e fame, si cominciò in Firenze e nel contado infermeria, e apresso mortalità di genti, e spezialmente in femine e fanciulli, il più in poveri genti, e durò fino al novembre vegnente MCCCXLVII ma però non fu così grande, come fu la mortalità dell'anno MCCCXL come adietro facemmo menzione; ma albitrando al grosso, ch'altrimenti non si può sapere a punto in tanta città come Firenze, ma in di grosso si stimò che morissono in questo tempo più di IIIIm persone, tra uomini e più femmine e fanciulli; morirono bene de' XX l'uno; e fecesi comandamento per lo Comune che niuno morto si dovesse bandire, né sonare campane alle chiese, ove i morti si sotterravano, perché·lla gente non isbigottisse d'udire di tanti morti. E·lla detta mortalità fu predetta dinanzi per maestri di strologia, dicendo che quando fu il sostizio vernale, cioè quando il sole entrò nel principio dell'Ariete del mese di marzo passato, l'ascendente che·ffu nel detto sostizio fu il segno della Vergine, e 'l suo signore, cioè il pianeto di Mercurio, si trovò nel segno dell'Ariete nella ottava casa, ch'è casa che significa morte; e se non che il pianeto di Giove, ch'è fortunato e di vita, si ritrovò col detto Mercurio nella detta casa e segno, la mortalità sarebbe stata infinita, se fosse piaciuto a·dDio. Ma·nnoi dovemo credere e avere per certo che Idio promette le dette pestilenze e·ll'altre a' popoli, cittadi e paesi per pulizione de' peccati, e non solamente per corsi di stelle, ma talora, siccome signore dell'universo e del corso del celesto, come gli piace; e quando vuole, fa accordare il corso delle stelle al suo giudicio; e questo basti in questa parte e d'intorno a Firenze del detto delli astrolagi. La detta mortalità fu maggiore in Pistoia e Prato e nelle nostre circustanze all'avenante della gente di Firenze, e maggiore in Bologna e in Romagna, e maggiore a Vignone e in Proenza ov'era la corte del papa, e per tutto il reame di Francia. Ma infinita mortalità, e che più durò, fu in Turchia, e in quelli paesi d'oltremare, e tra' Tarteri. E avenne tra' detti Tarteri grande giudicio di Dio e maraviglia quasi incredibile, e·ffu pure vera e chiara e certa, che tra 'l Turigi e 'l Cattai nel paese di Parca, e oggi di Casano signore di Tartari in India, si cominciò uno fuoco uscito di sotterra, overo che scendesse da cielo, che consumò uomini, e bestie, case, alberi, e·lle pietre e·lla terra, e vennesi stendendo più di XV giornate atorno con tanto molesto, che chi non si fuggì fu consumato, ogni criatura e abituro, istendendosi al continuo. E gli uomini e femine che scamparono del fuoco, di pistolenza morivano. E alla Tana, e Tribisonda, e per tutti que' paesi non rimase per la detta pestilenza de' cinque l'uno, e molte terre vi s'abandonaro tra per pestilenzia, e tremuoti grandissimi, e folgori. E per lettere di nostri cittadini degni di fede ch'erano in que' paesi, ci ebbe come a Sibastia piovvono grandissima quantità di vermini grandi uno sommesso con VIII gambe, tutti neri e coduti, e vivi e morti, che apuzzarono tutta la contrada, e spaventevoli a vedere, e cui pugnevano, atosicavano come veleno. E in Soldania, in una terra chiamata Alidia, non rimasono se non femmine, e quelle per rabbia manicaro l'una l'altra. E più maravigliosa cosa e quasi incredibile contaro avenne in Arcaccia uomini e femine e ogni animale vivo diventarono a modo di statue morte a modo di marmorito, e i signori d'intorno al paese pe' detti segni si propuosono di convertire alla fede cristiana; ma sentendo il ponente e paesi di Cristiani tribolati simile di pistolenze, si rimasono nella loro perfidia. E a porto Talucco, inn-una terra ch'ha nome Lucco inverminò il mare bene X miglia fra mare, uscendone e andando fra terra fino alla detta terra, per la quale amirazione assai se ne convertirono alla fede di Cristo. E stesesi la detta pistolenza infino in Turchia e Grecia, avendo prima ricerco tutto Levante i·Misopotania, Siria, Caldea, Suria, Cipro, il Creti, i·Rodi, e tutte l'isole dell'Arcipelago di Grecia, e poi si stese in Cicilia, e Sardigna, Corsica, ed Elba, e per simile modo tutte le marine e riviere di nostri mari; ed otto galee di Genovesi ch'erano ite nel mare Maggiore, morendo la maggiore parte, non ne tornarono che quattro galee piene d'infermi, morendo al continuo; e quelli che giunsono a Genova, tutti quasi morirono, e corruppono sì l'aria dove arivavano, che chiunque si riparava co·lloro poco apresso morivano. Ed era una maniera d'infermità, che non giacia l'uomo III dì, aparendo nell'anguinaia o sotto le ditella certi enfiati chiamati gavoccioli, e tali ghianducce, e tali gli chiamavano bozze, e sputando sangue. E al prete che confessava lo 'nfermo, o guardava, spesso s'apiccava la detta pistilenza per modo ch'ogni infermo era abandonato di confessione, sagramento, medicine e guardie. Per la quale sconsolazione il papa fece dicreto, perdonando colpa e pena a' preti che confessassono o dessono sagramento alli infermi, e·lli vicitasse e guardasse. E durò questa pestilenzia fino a... e rimasono disolate di genti molte province e cittadini. E per questa pistilenza, acciò che Iddio la cessasse e guardassene la nostra città di Firenze e d'intorno, si fece solenne processione in mezzo marzo MCCCXLVII per tre dì. E tali son fatti i giudici di Dio per pulire i peccati de' viventi. Lasceremo della matera, e diremo alquanto de' processi di Carlo di Buem nuovo eletto imperadore.



LXXXV - Come Carlo di Buem eletto imperadore venne in Chiarentana

Nel detto anno, all'uscita del mese d'aprile e all'entrante di maggio MCCCXLVII, Carlo re di Bueme nuovamente eletto a esere imperadore e già confermato per la Chiesa, come adietro facemmo menzione, con aiuto di cavalieri di messer Luchino Visconti signore di Milano, e di meser Mastino della Scala signore di Verona, venne in Chiarentana per raquistare il paese, che in parte gli succedea per retaggio della madre, e per avere spedita l'entrata d'Italia; e rendéllisi la città di Trento e quella di Feltro e Civita Bellona colla forza del patriarca d'Aquilea per comandamento del papa, e arse il borgo e terra di Buzzano, e puosesi allo assedio a Tiralli. Sentendo ciò il marchese di Brandiborgo figliuolo del Bavero, ch'ancora cusava ragione in parte della detta contea per la madre, e ancora per la nimistà impresa contra il suo padre Bavero, avendosi fatto eleggere imperadore lui vivendo, si venne della Magna con grande cavalleria per soccorrere Tiralli e raquistare il paese. Sentendo la sua venuta il detto Carlo eletto imperadore, e ch'egli era con maggiore potenza di gente di lui, si partì con sua oste d'asedio dal detto Tiralli con alcuno danno di sua gente e con vergogna, perdendo parte del paese aquistato. Lasceremo alquanto di suoi fatti, e diremo ancora del processo della guerra del re di Francia e di quello d'Inghilterra, ch'ancora ne cresce matera.



LXXXVI - Di certo parlamento che fece il re di Francia per andare contro al re d'Inghilterra

Nel detto anno, il dì di domenica d'ulivo, il re di Francia fece grande ragunata di suoi baroni a Parigi, e fece suo parlamento richieggendo tutti i suoi baroni e prelati e Comuni di suo reame d'aiuto per fare suo oste contra al re d'Inghilterra, ch'era con suo oste all'asedio di Calese, come lasciammo adietro. E giurò di non fare mai co·llui pace o triegua infino a tanto che non avesse fatto vendetta della sconfitta ricevuta a Crescì, e dell'onta che 'l re d'Inghilterra avea fatta alla corona di Francia, d'essere venuto con oste in suo reame e d'essere ancora all'asedio di Calese. Il quale saramento non poté oservare, ma procacciò di farne suo podere in ragunando tutti i suoi baroni prelati e caporali di grandi Comuni e cittadi al suo parlamento. Nel quale parlamento tutti quelli del reame gli promissono aiuto di gente d'arme, i gentili uomini e gli altri di sussidio di moneta. E fece trarre di San Donigi la 'nsegna d'oro e fiamma, la quale per usanza non si trae mai, se non a grandi bisogni e necessitadi del re e del reame, la quale è adogata d'oro e di vermiglio; e quella diede al siri di... di Borgogna, nobile e gentile uomo e prode in arme; e comandato a tutti che s'aparecchiassono di seguirlo alla sua richesta; e poi si partì il parlamento.



LXXXVII - Del parlamento che fece il re d'Inghilterra co' Fiaminghi e col duca di Brabante

In questo medesimo tempo lo re d'Inghilterra, lasciata sua oste ordinata e fornita all'assedio di Calese, venne in Fiandra, e·llà fece suo parlamento co' rettori delle buone ville, e fuvi il duca di Brabante e 'l giovane conte di Fiandra, rimaso del conte suo padre, che morì alla battaglia di Crescì in servigio del re di Francia. E in quello parlamento ordinaro insieme lega e compagnia contro al re di Francia; e promissono parentado, il duca di Brabante di dare al figliuolo una sirocchia del re d'Inghilterra, e al giovane conte di Fiandra la figliuola; e ordinarono guidatore di Fiandra e del giovane conte il marchese di Giulieri. E·cciò fatto, il re d'Inghilterra si tornò alla sua oste allo assedio di Calese. Ma partito di Fiandra il detto parlamento, i detti parentadi e·llega non si oservarono per lo duca di Brabante, né per lo giovane conte di Fiandra, come assai tosto per lo innanzi faremo menzione, per procaccio e spendio del re di Francia. Lasceremo alquanto dire della detta guerra, e diremo d'altre novità d'Italia e della nostra città di Firenze.



LXXXVIII - Di novità e discordia che fu nella città di Genova

Nel detto anno, del mese d'aprile, essendo i Genovesi tra·lloro in discordia da' noboli al popolo, trattaro di dare il reggimento della terra, quasi come mediatore tra·lloro, a meser Luchino Visconti signore di Milano, e mandarli ambasciadori il popolo per sé, di darli la signoria limitata e a certo termine; e' noboli e' grandi aveano mandato per li loro ambasciadori ch'elli gliele voleano dare libera, tegnendosi mal contenti del reggimento del dugi e del popolo; onde messere Luchino sdegnato contro al popolo, non volendoli dare libera la signoria. Per la qual cosa tornati a Genova i detti ambasciadori, si levò il popolo a romore e ad arme, e corsono sopra i grandi, e presonne da L pure de' migliori, e impuosono loro di pena libre Cm di genovini, e convenne che li pagassono al Comune; e racchetossi il romore nella città, rimanendo il dogi e 'l popolo signori; e di caporali delle case di grandi il dogio mandò a' confini in diverse parti; ma i più ruppono i confini e fecionsi rubelli, e poi, come diremo inanzi, vennero sopra Genova. E di questo mese d'aprile essendo arrivate in Porto Pisano II cocche cariche di grano, che venia di Cicilia comperato per gli uficiali del Comune di Firenze, essendo in Genova gran caro di grano, mandaro loro galee in Porto Pisano, e combattero le dette cocche, e per forza le menarono a Genova, pagandone poi con male pagamento i mercatanti di cui era il carico, quello ch'a·lloro piacque. Per la quale ingiuria e tirannia fatta pe' Genovesi al Comune di Firenze subitamente montò il grano in Firenze a soldi XLV lo staio, poi salì tosto a fiorini uno d'oro e più. E per questa cagione e oltraggio di Genovesi ebbe in Firenze grande gelosia e paura che non mancasse la vittuaglia, e mandarono in Romagna a farne venire con gran costo e interesso del nostro Comune, come adietro facemmo menzione nel capitolo della carestia.



LXXXIX - Come l'Aquila e altre terre d'Abruzzi si rubellarono a' reali di Puglia a petizione del re d'Ungheria

Nel detto anno, essendo quasi rubellata l'Aquila alla reina di Puglia e agli altri reali rede del re Ruberto per uno ser Ralli dell'Aquila, che se n'era fatto signore, a pitizione del re d'Ungheria, giunsono nella città dell'Aquila del mese di maggio l'arcivescovo d'Ungheria e meser Niccola ungaro, il quale meser Niccola era stato nel Regno balio del re Andreas, ed eravi, quando fu morto, ambasciadore del re d'Ungheria, con grande quantità di moneta per mantenere que' dell'Aquila, e per soldare gente d'arme e cavallo e a piè, sì che tosto ebbono più di M cavalieri. Del mese di giugno e' corsono il paese; e più terre d'Abruzzi si rubellaro alla detta reina e reali, e·ssi tennero per lo re d'Ungheria. Ciò fu Civita di Tieti, e Civita di..., e Popoli, e Lanciano, e·lla Guardia, e altre terre e castella; e puosono oste alla città di Sermona. Sentendosi ciò a Napoli, i detti reali, tra di baroni del Regno e soldati, assai tosto feciono più di IImD cavalieri e gente d'arme a piè assai, e feciono capitano dell'oste il duca di Durazzo, figliuolo che fu di meser Gianni e nipote del re Ruberto, e vennero al soccorso di Sermona. Sentendo ciò quelli dell'Aquila, che v'erano a oste, se ne partirono con alcuno danno, e ridussonsi nell'Aquila a guardia della terra, e quella aforzaro e guerniro di vittuaglia. Il duca di Durazzo colla sua oste, ch'ogni dì gli crescea gente, si puose all'asedio della città dell'Aquila, e quivi stettono fino all'uscita d'agosto guastando intorno; ed ebbevi più scontrazzi e badalucchi, quando a danno dell'una parte, e quando dell'altra. In questa stanza arrivò in Italia il vescovo di Cinque Chiese, overo di V Vescovadi, fratello bastardo del re d'Ungheria (si dicea savio signore e valentre in arme) con da CC gentili uomini d'Ungheria e d'Alamagna a cavallo e in arme, e con danari assai, e sogiornò alquanto a Forlì e in Romagna, prima ricevuti graziosamente da meser Mastino al suo valicare, e poi da tutti i signori di Romagna, e ivi soldò quanta gente poté avere a cavallo, e arrivò a Fuligno; sicché con gente ch'era soldata a Fuligno, ch'al tutto si tenieno dalla parte del re d'Ungheria, ond'era capo mesere Ugolino de' Trinci, vi si trovò più di M cavalieri, e nell'Aquila e d'intorno al paese n'avea bene altri mille al soldo del re d'Ungheria. Sentendo ciò quelli ch'erano all'asedio dell'Aquila, ed essendo già fornito il servigio di tre mesi che' baroni deono servire la corona, e non avendo soldo dalla corte, si cominciarono a partire; e 'l primo si partisse fu il conte di Sanseverino, che per li più si disse ch'amava più la signoria del re d'Ungheria che degli altri reali; e partito lui, tutti gli altri si partirono sconciamente e sciarrati, ricevendo alcuno danno dalla gente ch'erano nell'Aquila. E giunti all'Aquila, la gente ch'era a Filigno de·rre d'Ungheria corsono il paese, e presono il castello della Leonessa, e quello arsono. Lasceremo alquanto di questa impresa del re d'Ungaria, ch'assai tosto di ciò ci crescerà matera, e diremo d'una grande novità che·ffu nella città di Roma di mutazione di popolo e di nuova signoria.



XC - Di grandi novitadi che furono in Roma, e come i Romani feciono tribuno del popolo

Nel detto anno, a dì XX di maggio, il dì di Pentecosta, essendo tornato a Roma uno Niccolò di... ch'era andato a corte del papa per lo popolo di Roma a richiederlo che venisse a dimorare alla sedia di san Piero, come dovea, colla sua corte; e avendoli il papa di ciò data buona ma vana speranza, si ragunò parlamento in Roma, ove si congregò molto popolo, e in quello isposta sua ambasciata con savie e ornate parole, come quelli che di rettorica era maestro, com'elli avea ordinato con certi caporali del popolo minuto, a grido fu fatto tribuno del popolo e messo in Campidoglio in signoria. E di presente che fu fatto signore tolse ogni signoria e stato a' noboli di Roma e d'intorno, e fecene prendere de' caporali, che mantenieno le ruberie in Roma e d'intorno, e fecene fare aspre giustizie, e mandò a' confini certi degli Orsini e Colonnesi e altri noboli di Roma, e tutti gli altri se n'andarono quasi fuori di Roma a·lloro terre e castella per fuggire la furia del detto tribuno e del popolo, e tolse loro il tribuno ogni fortezza della terra. E ordinò oste contra il prefetto e alla città di Viterbo, che no·llo ubbidiva; e in brieve per sua rigida giustizia Roma e intorno fu in tanta sicurtà, che di dì e di notte vi si potea andare salvamente. E mandò lettere a tutte le caporali città d'Italia, e una ne mandò al nostro Comune, con molto eccellente dittato; e poi ci mandò V solenni ambasciadori, gloriando sé, e poi il nostro Comune, e come la nostra città era figliuola di Roma e fondata e dificata dal popolo di Roma, e richiesene d'aiuto alla sua oste. A' quali ambasciadori fu fatto grande onore, e mandati a Roma al tribuno cento cavalieri, e proferto maggiore aiuto, quando bisognasse; e' Perugini gline mandaro CL. E poi il dì di san Piero in Vincola, dì primo d'agosto, come avea significato inanzi per sue lettere e ambasciadori, fecesi il detto tribuno fare cavaliere al sindaco del popolo di Roma all'altare di Santo Pietro; e prima per grandezza si bagnò a·lLaterano nella conca del paragone, che v'è, ove si bagnò Gostantino imperadore, quando santo Salvestro papa il guarì della lebbra. E fatta la grande corte e festa di sua cavalleria, ragunato il popolo, fece uno gran sermone, dicendo come volea riformare tutta Italia all'ubidienzia di Roma al modo antico, mantegnendo le città i·lloro libertà e giustizia, e fece trarre fuori certe nuove insegne ch'avea fatte fare, e una ne diè al sindaco del Comune di Perugia coll'arme di Giulio Cesare, il campo vermiglio e·ll'aguglia d'oro; un'altra ne trasse di nuova fazione, dov'era una donna vecchia a sedere in figura di Roma, e dinanzi le stava ritta una donna giovane colla figura del mappamondo in mano, rapresentando alla figura della città di Firenze, che 'l porgesse a Roma, e fece chiamare se v'avesse sindaco del Comune di Firenze; e non essendovi, la fece porre ad alti in su una stacca, e disse: "E' verrà bene chi·lla prenderà a tempo e luogo". E più altre insegne diede a' sindachi d'altre città vicine e circustanze di Roma; e quello dì fece impiccare il signore di Corneto, che facea rubare il paese d'intorno a Roma. E·cciò fatto, fece a grido nel detto parlamento invocare, e poi per sue lettere citare i lettori dello 'mperio della Magna, e Lodovico di Baviera detto Bavero, che·ss'era fatto imperadore, e Carlo di Buem, che novellamente s'era fatto imperadore, che d'allora alla Pentecosta a venire fossono a Roma a mostrare la loro lezione, e con che titolo si facieno chiamare imperadori, e' lettori dovessono mostrare autoritade li avessono eletti; e fece trarre fuori e piuvicare certi privilegi del papa, come avea commessione di ciò fare. Lasceremo alquanto della nuova e grande impresa del nuovo tribuno di Roma, che tutto a tempo vi potremo ritornare, se·lla sua signoria e stato arà podere con efetto, con tutto che per li savi e discreti si disse infino allora che·lla detta impresa del tribuno era un'opera fantastica e da poco durare; e diremo alquanto di certe novità occorse in que' tempi alla città di Firenze.



XCI - Di certe tempeste e fuochi che furono in Firenze

Nel detto anno, a dì XX e dì XXII del mese d'aprile, furono in Firenze e d'intorno grandi turbichi di piove e tuoni e baleni oltre all'usato modo. E caddono nella città e di fuori più folgori, e alcuna n'abatté certi merli delle mura. Poi a dì XVIII e dì XX di giugno furono per simile modo gran piogge, gragnuole, tuoni e folgori, guastando frutti e biade in più parti del contado. Per la qual cosa il vescovo di Firenze col chericato e grande popolo andarono per la terra a processione per III dì, pregando Iddio la cessasse; e come gli piacque, così fece. E·lla notte vegnente, il dì di san Giovanni, a dì XXIIII di giugno, s'aprese fuoco in Porta Rossa contra alla via traversa che va a casa gli Strozzi, ove arsono più di XX case, sanza quelle si disfeciono d'intorno per ispegnerlo, con grande danno e disuluzione della contrada, e morìvi più maestri di rovina di case, che caddono loro adosso. E ne' detti dì s'aprese in più parti di Firenze con danno di più case e forni. E nota, lettore, quante tempeste occorse in questo anno alla nostra città, di fame, mortalità, rovina, tempeste, e fuochi, e discordie tra' cittadini, per li soperchi di nostri peccati. Piaccia a·dDio che questi segni ci correggano de' nostri difetti, acciò che Iddio non ci condanni a maggiori giudici, che paura ne fanno, sì è fallita la fede e caritade tra' cittadini.



XCII - Ancora di novità che furono in Firenze, e di certi ordini confermati contro a' Ghibellini

Nel detto anno, a dì VI di luglio, avendo il popolo di Firenze inn-odio la memoria del duca d'Atene per la sua malvagia signoria, come adietro facemmo menzione, si fece dicreto che niuno priore che fosse stato fatto per lo detto duca non avesse privilegio né potere portare arme come gli altri priori fatti per lo popolo; e chiunque avesse dipinta l'arme sua in casa o di fuori, la dovesse ispignere e acecare; e a·ccui fosse trovata, pena fiorini mille d'oro. E·llevaro che non potesse portare arme da offendere niuno gabelliere e niuno soprastante e·lloro guardie, se non nelle carcere o d'intorno, che in prima n'era piena tutta la città di privilegi, per più casi, ch'era sconcia cosa. E in questo tempo, ciò furono VI di nove priori, vollono correggere il dicreto ch'era fatto dì XX di gennaio passato, che parlava che niuno Ghibellino potesse avere ufici sotto certe pene, essendo accusato per lo modo che dicemmo adietro, volendo riducere che' testimoni non fossono accettati, se non fossono prima aprovati pe' priori e loro collegi; e per cotale modo si credettono anullare il detto dicreto. Ma sentendosi per li capitani di parte guelfa, e quasi commossa la terra, per modo che·lla prima detta legge fatta dì XX di gennaio si confermò, e fortificossi più ferma e con maggiori pene contro al volere della maggiore parte del detto uficio de' priori ch'allora era. E bene disse il propio il maestro Michele Scotto de' fatti di Firenze, che "disimulando vive etc.". Lasceremo alquanto delle novità di Firenze, tanto che surgano delle più fresche; e torneremo a dire de' fatti d'oltremonti, e della guerra dal re di Francia al re d'Inghilterra, ch'al continovo ne cresce materia.



XCIII - Come meser Carlo di Brois fu sconfitto in Brettagna

Nel detto anno, a dì XXII del mese di giugno, meser Carlo di Brois, che·ssi facea chiamare duca di Brettagna per retaggio della moglie figliuola della figliuola del duca di Brettagna, come contammo adietro al capitolo della morte del duca, essendo in Brettagna con grande oste al castello e rocca d'Ariaro, che·lli s'era ribellato, il conte di Monforte figliuolo del fratello carnale che·ffu del duca di Brettagna, a cui di ragione succedea il detto ducato per linea mascolina, se non che·rre di Francia gliele contradiava, e tolse, e avielo dato al detto meser Carlo di Brois suo nipote, come dicemmo in alcuna parte adietro, sentendo la detta oste male ordinata, sì ragunò suo sforzo di quelli Brettoni ch'erano di sua parte coll'aiuto ch'avea dell'Inghilesi e Gualesi da·rre d'Inghilterra. E bene aventurosamente asalirono la detta oste, e missongli inn isconfitta, ove rimasono morti e presi molta buona gente del reame di Francia, tra' quali vi rimasono morti e presi de' caporali di rinomea, il siri della Valle, e meser Rosede e meser Giovanni suoi fratelli, il visconte di Durem, e 'l fratello, e 'l figliuolo, e 'l signore de Rualla, e 'l figliuolo, e 'l signore di Roggeo, il signore di Malostretto, il signore di Ciastelbrialto, il signore di Rasa di Rasi, e più altri cavalieri e scudieri, che non sapemmo il nome. E il detto meser Carlo di Brois con molti altri baroni e gentili uomini fu preso, e mandati pregioni a Londra inn-Inghilterra.



XCIV - Come quelli della città di Legge furono sconfitti dal loro vescovo e dal duca di Brabante

Nel detto anno, a l'uscita di luglio, il vescovo di Legge, coll'aiuto del duca di Brabante e di sua gente, fece oste sopra la città di Legge, che·lli s'era rubellata l'anno passato, come adietro facemmo menzione, della quale oste fu capitano e conducitore il detto duca. Que' di Legge uscirono fuori a battaglia, popolo e cavalieri, col loro aiuto e sforzo d'amici e loro allegati; nella qual battaglia quelli di Legge furono isconfitti, e in grande quantità morti e presi. E il detto duca e vescovo, avuta la detta vettoria, ebbono la città di Legge sanza contasto niuno, e·lla terra Dui e quella di Dinante, che sono della partinenza di Legge, grosse terre e ricche e bene popolate, e prese le dette terre e paese, con volontà del vescovo ne feciono signore il duca di Brabante, con tutto che fossono terre ch'apartenieno alla Chiesa di Roma. E nota che Legge è una città nobile e di ricchi borgesi, e anticamente fu edificata per li Romani, però che in quello luogo, ch'è tra Francia e Alamagna, tenieno le loro legioni, quando dominavano quelle province, e da quello ebbe dirivo Legge il propio nome, da legio legionis.



XCV - Come il navilio che·llo re di Francia mandava per fornire Calese fu sconfitto dagl'Inghilesi

Nel detto anno, all'uscita di giugno, avendo il re di Francia fatte aparecchiare al porto di Riflore in Normandia LXX navi, overo cocche, armate e fornite e cariche di molta vittuaglia, e altri arnesi e d'arme da guerra, per fornire la terra di Calese, ch'avea asediata il re d'Inghilterra, e in compagnia del detto navile XII galee armate di Genovesi; e passando il detto navile contro a Dovero inn-Inghilterra, ove avea da CC cocche armate del re d'Inghilterra, le quali vi stavano aparecchiate per fornire l'oste di Calese del re d'Inghilterra, con piene vele, fiotto e marea vennono adosso al detto navile del re di Francia; e·cciò veggendo l'amiraglio delle galee di Genovesi, il soperchio navilio de' nimici non ressono, ma per forza di remi si ritrassono adietro, e abandonaro le dette navi, le quali furono tutte prese, e morti la maggiore parte degli uomini del navilio del re di Inghilterra, e con tutta la roba e vittuaglia che v'era suso, che valea danari assai, che·ffu gran conforto al re d'Inghilterra e alla sua oste, e grande speranza d'avere tosto la terra di Calese; e gli assediati di Calese furono in grande dolore e affanno e disperazione di loro salute.



XCVI - Come il re di Francia s'affrontò con sua oste per combattere col re d'Inghilterra, e come s'arrendé Calese all'Inghilesi

Sentendo il re di Francia com'era preso il suo navilio col fornimento che mandava a Calese, e sapiendo che in Calese venia meno la vittuaglia, e perdea la terra se no·lla soccorresse, fece richiedere i suoi baroni che s'aparecchiassono in arme per seguirlo, come avea ordinato nel suo parlamento, come dicemmo adietro, e così fu fatto. E partissi da Parigi del mese di luglio con sua oste, la qual era di più di Xm uomini a cavallo, gentili uomini e buona gente d'arme, con XXXm pedoni, ove avea buona parte Genovesi a balestra, e altri Lombardi e Toscani al soldo. E venuto lui in Artese, s'acampò presso all'oste del re d'Inghilterra a mezza lega, a dì XXVII di luglio. Lo re d'Inghilterra era con sua oste e campo intorno a Calese con più di IIIIm gentili uomini a cavallo, e con XXXm arcieri, e gualesi e inghilesi, ed erano co·llui il marchese di Giulieri capitano di Fiaminghi, con più di XXm Fiaminghi armati a piede. E 'l re d'Inghilterra avea affossato e steccato Calese tutto intorno dal lato di terra, e simile abarrato per mare e di fuori con pali e traverse di legname, il suo navilio alla guardia, sicché per mare né per terra non vi potea entrare né uscire persona. E di fuori avea tre campi, quello del re, quello de' Fiaminghi, e quello del conte d'Ervi con parte della cavalleria e con Gualesi a piè: e tutti i detti III campi affossati e steccati intorno; e dentro alle licce si potea andare dall'uno campo all'altro, ed erano signori di prendere e di schifare la battaglia a·lloro posta.

In questa stanza vennero nell'oste messere Anibaldo cardinale e 'l cardinale di Chiermonte legati mandati per lo papa, andando dall'una oste all'altra per ragionare e trattare accordo di pace dall'uno re all'altro, e co·lloro s'accozzaro, con ordine di due re, in mezzo di due campi V baroni da ciascuna parte. E dopo tre dì stati ne' detti trattati non vi poté avere concordia, da·ccui che si rimanesse. Dissesi dal re d'Inghilterra, perché il re di Francia nogli accettava le sue adimande, e non voleva recare il giuoco vinto a partito, aspettandosi d'ora inn-ora d'avere Calese, che più non si potea tenere. Veggendo il re di Francia che non potea avere né pace né triegua, fece spianare tra due campi e richiedere il re d'Inghilterra di battaglia; e a dì II d'agosto uscì fuori del suo campo così ordinato e schierato, faccendo della sua gente VI battaglie a·lloro guisa, ciò sono schiere. La prima era da mille o più cavalieri, i più Alamanni al soldo e Anoieri, la quale conducea meser Gianni d'Analdo e 'l conte di Namurro suo genero. La seconda fu di più altri mille cavalieri, il fiore di Francia, la qual guidava il maliscalco di Francia. La terza era di presso a IIIIm cavalieri con tutti i pedoni del paese e bidali di Navarra e Linguadoco e di nostro paese, e quest'era la schiera grossa, la qual guidava mesere Gianni duca di Normandia, figliuolo del re di Francia. La quarta era di M o più cavalieri di Linguadoco e Savoini; la quale conducieno il conte d'Armignacca, e 'l figliuolo del conte della Illa. [...] La sesta era di più di IIm cavalieri, ov'era il re di Francia con suoi ciamberlani, ed era schierato alla rietroguardia. Lo re d'Inghilterra fece armare e schierare sua gente dentro alle licce, ma non volle uscire fuori alla battaglia; e mandò a dire al re di Francia che volea prima Calese, e poi, se volesse combattere, passasse in Fiandra, ed elli con sua oste vi sarebbe aparecchiato di combattere. Lo re di Francia non volle accettare il partito d'andare a combattere in Fiandra fra·lla moltitudine de' Fiaminghi suoi ribelli e nemici. E veggendo che quivi non potea avere battaglia, né soccorrere Calese sanza suo gran pericolo, si partì con sua oste, e si ritrasse adietro VI leghe quello primo dì, e poi seguendo sue giornate verso Parigi, lasciando di sue gente d'arme alla guardia delle terre delle frontiere, e con poco suo onore, ma 'l contrario, e con grande spendio si tornò a Parigi. Que' di Calese veggendo partito il re di Francia e sua oste, patteggiaro col re d'Inghilterra co·rrenderli la terra, salve le persone a' forestieri, uscendone in camicia iscalzi col capresto in collo, e' terrazzani alla sua misericordia; e·cciò fu a dì IIII d'agosto del detto anno. Ed entrò nella terra a dì V d'agosto il re e sua gente, e trovarono che non v'era rimaso di che vivere e che ogni vile animale aveano mangiato per fame, e trovò nella terra molto tesoro, sì delle ruberie di quelli di Calese che tutti erano ricchi di danari guadagnati in corso sopra Inghilesi e Fiaminghi e altri navicanti per quello mare; però che Calese era uno ricetto di corsali, e spilonca di ladroni e piratti di mare; ancora v'erano dentro tutti i danari delle paghe mandati per lo re di Francia in più tempo ch'era durata la guerra, ch'erano buona quantità, che tutto vi lasciaro, e uscirne ignudi, come detto avemo; e tormentarolli per farsi insegnare la pecunia nascosa e sotterrata. E volendo il re d'Inghilterra far fare giustizia di terrazzani, siccome di piratti di mare, e tutti impenderli alle forche, i detti due cardinali furono con molti prieghi al re e alla reina, che perdonasse loro la vita per l'amore di Dio, e per la grazia e vittorie che Iddio gli avea fatte; e dopo molte pregherie di cardinali e della madre e della moglie perdonò loro la vita, e tutti gliene mandò col capresto in collo. E questa vittoria di Calese fu grande onore e aquisto al re d'Inghilterra. I Fiaminghi, ch'erano co·llui nell'oste, richiesono il re che 'l disfacesse, che non potesse far loro più guerra e ruberia, e' loro porti ne fossono migliori. Lo re nol volle disfare, anzi fece crescere la terra verso la marina, e aforzare di mura e torri e fossi e steccati, e popololla di suoi Inghilesi, e fornilla di vittuaglia e d'arme. E bene che Calese fosse al re d'Inghilterra piccola terra, gli fu grande aquisto, perch'è terra di porto, e per vincere sì grande punga contro al re di Francia e suo gran podere nel suo paese medesimo. Ma·lle sopradette vittorie avute, il re d'Inghilterra sopra il re di Francia sì in Guascogna e in Brettagna e in Francia, e poi nella battaglia e vittoria avuta a Crescì, come adietro ordinatamente è fatta menzione, non ebbe in dono; che tornato il detto re Aduardo con sua oste in Inghilterra, tra' morti in battaglie, e poi al suo ritorno morti d'infermitadi e malattie, si trovaro meno da Lm Inghilesi; e però non si dee nullo groriare delle pompe e vittorie mondane, che·lle più sono con male uscita. Lasceremo alquanto a dire della presente guerra de' due re, ch'ha avuto alcuno fine di triegua; e torneremo a dire di Firenze e del nostro paese d'Italia. Ma inanzi che·llo re Adoardo si partisse da Calese e del paese, assai guerra e correrie fece la sua gente a Santo Mieri e all'altre terre d'Artese, con gran prede e dannaggio del paese. In questa stanza i legati cardinali trattarono accordo e triegua dal re di Francia a quello d'Inghilterra infino alla san Giovanni a venire, mandando ciascuno di detti re suoi ambasciadori a corte di papa a dare compimento d'acordo. Il re d'Inghilterra vi s'acordò volentieri, perch'avea il migliore della guerra, ed era per la detta guerra molto afannato e stracco elli e sua gente, e con grande dispensa. E·cciò ordinato, si partì il detto re Aduardo del reame di Francia con sua oste lasciando fornito Calese: passò il mare, e tornò in Inghilterra con grande festa e allegrezza, faccendo giostre e torniamenti.



XCVII - Come in Firenze si fece nuova moneta, piggiorando la prima

Del mese d'agosto del detto anno, essendo in Firenze montato l'ariento della lega d'once XI e mezzo di fine per libra in libre XII e soldi XV a·ffiorino, però che' mercatanti per guadagnare il ricoglieno e portavallo oltremare, ov'era molto richiesto; per la qual cosa la moneta da soldi IIII di Firenze fatta l'anno MCCCXLV dinanzi, e·lla moneta di quattrini, si sbolzonavano e portavano via, onde il fiorino d'oro ogni dì calava, ed era per calare da libre III in giù; onde i lanaiuoli, a cui tornava a interesso, perché pagavano i loro ovraggi a piccioli, e vendeano i loro panni a·ffiorini, essendo possenti in Comune, feciono ordinare al detto Comune nuova moneta d'argento e nuovi quattrini, piggiorando l'una e·ll'altra moneta per lo modo diremo apresso, acciò che 'l fiorino d'oro montasse, e non abassasse. Ordinossi e fecesi una moneta grossa, alla quale diedono corso per soldi V l'uno, chiamandoli guelfi, di lega d'once XI e mezzo per libra, come la lega di grossi di soldi IIII l'uno, faccendone soldi VIIII e danari VIIII per libra, e rendene la moneta del Comune soldi VIIII, danari III, tre quinti; e costava ogni overaggio e calo soldi VI la libra di piccioli, sicché il Comune ne guadagnava soldi XXII piccioli d'ogni libra, ch'era oltraggio a mantenere buona moneta, peggiorando a quella di soldi IIII il grosso più di XI per centinaio. E·lla moneta di quattrini si piggiorò non di lega, ma di peso, che dove di prima se ne faceva soldi XXIII per libra, e 'l Comune ne rendea soldi... per libra, si feciono di nuovi soldi XXVI e danari VI per libra, e rendene la moneta soldi XXIIII e danari VIIII di quattrini per libra, e costava d'ovraggio e calo soldi VI di piccioli per libra; sicché il Comune n'avanzava danari XII piccioli per libra; sicché, chi·ssa di ragione, la moneta grossa peggiorò XI per C, e quella di quattrini da XV per C a quello ch'era la moneta fatta mesi... dinanzi. E nota che bene disse il nostro poeta Dante il propio nella sua Commedia, ove scramando contro a' Fiorentini disse cominciando: "Godi Firenze etc."; conseguente ancora:

del tempo che rimmembra,

Legge, moneta, e usanze e costume

Ha' tu mutate e rinovate membra etc.

 



XCVIII - Come in cielo aparve una commeta

Nel detto anno, del mese d'agosto, aparve in cielo la stella commeta, che·ssi chiama Nigra, nel segno del Tauro, a gradi XVI nel capo della figura e segno del Gorgone, e durò XV dì. Questa Nigra è della natura di Saturno, e per sua infruenzia si cria, secondo che dice Zael filosofo e strolago, e più altri maestri della detta scienzia, la quale significa pure male e morte di re e di potenti; e questo dimostrò assai tosto in più re e reali, come inanzi leggendo si troverrà; e ingenerò grande mortalità ne' paesi ove il detto pianeto e segno signoreggiano; e bene il dimostrò inn Oriente e nelle marine d'intorno, come dicemmo adietro.



XCIX - Come messere Luigi figliuolo del prenze di Taranto prese per moglie la reina di Puglia sua cugina

Nel detto anno, a dì XX d'agosto, meser Luigi, figliuolo che·ffu del prenze di Taranto secondogenito, sposò la reina, figliuola che·ffu del duca di Calavra sua cugina carnale, e ch'era stata moglie d'Andreas re figliuolo del re d'Ungheria, ed erano da parte di madre nati di due sirocchie carnali. E fu dispensato il detto iscellerato matrimonio per Clemento VI papa, e fatto duca di Calavra e balio del Regno. E ciò fu per procaccio e opera del cardinale di Peragorga suo zio, onde fu ripreso da tutti i Cristiani che 'l sentiro, e ciascuno che 'l seppe ne scificò e disse che sarebbe con mala uscita sì abominevole peccato, con tutto che palese si dicea che 'l detto meser Luigi avea affare di lei vivendo il re Andreas suo marito, ed egli ed ella furono trattatori della villana e abominevole morte del detto re Andreas, come contammo adietro, con più altri che 'l misono ad esecuzione; onde seguì molto male, come inanzi si farà per noi menzione.



C - Di certe battaglie che feciono i Genovesi co' Catalani in Sardigna e in Corsica

Del mese d'agosto del detto anno il vicaro del re di Raona, ch'era in Sardigna, si puose con sua oste alla terra detta Alleghiera, la qual terra per lungo tempo aveano tenuta quelli della casa Doria di Genova, volendola recare a signoria del re. I quali di casa Doria v'andarono co·lloro sforzo, e missono inn-isconfitta la detta oste di Catalani, e morivenne più di DC. E poi coll'aiuto del Comune di Genova, che male erano contenti della vicinanza de' Catalani, si puosono a oste a Sasseri, e a quello vennero al soccorso i Catalani con CCC cavalieri e popolo assai, e levarne i Genovesi inn-isconfitta: e così va di guerra. E del detto mese e anno i Genovesi ebbono la signoria di tutta l'isola di Corsica con volontà di quasi di tutti i baroni e signori di Corsica; e·ffu loro un bello aquisto colla terra di Bonifazio, ch'ellino teneno; se non che·ffu con mala uscita, che per la mortalità venuta di levante nell'isole e marine furono sì maculati d'infermità e di morte le dette isole di Sardigna e di Corsica, che non vi rimasono il terzo vivi degli abitanti del paese e Genovesi.



CI - Come volle essere tradito e tolto il castello di Laterino a' Fiorentini

Nel detto anno, in calen di ottobre, per trattato di Tarlati usciti d'Arezzo volle essere tradito e tolto a' Fiorentini il castello di Laterino per danari ne doveano avere certi terrazzani ghibellini e delle guardie che v'erano per lo Comune di Firenze. Il quale trattato si disse menava uno frate minore guardiano dei frati di Montevarchi; il quale tradimento fu scoperto, e presi i traditori, e parte di loro impiccati ad Arezzo, e parte a Firenze. E 'l detto frate fu preso e menato a Firenze, e inn-istretta carcere sotto la scala del capitano istette più mesi con grande inopia. Alla fine non trovandolo in colpa, e a priego de' frati, fu dilibero. Lasceremo alquanto a dire delle novità da Firenze, tornando alquanto adietro a dire d'una grande e scellerata opera ch'avenne a' reali di Tunisi in poco di tempo, dicendolo il più brieve che·ssi potrà, come avemmo da uno nostro amico fiorentino e mercatante e uomo degno di fede, che a tutto fu a Tunisi presente.



CII - Come i reali del reame di Tunisi per loro discordie s'uccisono insieme

Regnando in Tunisi e nel suo reame Mule Buchieri, che tanto è a dire Mule in saracinesco come Re in nostro latino; questi fu quello re di cui facemmo menzione adietro nel capitolo delle trallazioni del detto reame di Tunisi; questi era gran signore e sotto lui più reami, e avea più figliuoli di più mogli e amiche, ch'avea al modo saracinesco; venne a morte del mese d'ottobre MCCCXLVI. E a·lloro modo fece suo testamento, e lasciò che fosse re apresso lui un suo figliuolo chiamato Calido, il quale, quando morì il padre, nonn-era in Tunisi. Un altro suo figliuolo giovane di XXVI anni, pro' e ardito, ch'avea nome Amare, ch'alla morte del padre si trovò in Tunisi, e acordandosi col siniscalco del regno, il quale avea nome Con Betteframo, ed era apresso il re il maggiore signore del reame, col suo aiuto si fece coronare re allora sanza alcuno contasto. Sentendo ciò Calido l'altro fratello, cui il padre avea lasciato che fosse re, s'acostò co' signori delli Arabi, i quali signoreggiavano le terre campestre e·lle montagne (e sempre stanno a campo co·lloro tende, e non hanno città né castella né ville né case murate), e con grande sforzo d'Arabi venne a Buggea con sua oste. Amare, che s'era fatto re, col suo siniscalco e con sua oste uscirono di Tunisi, e di lungi X miglia verso Buggea s'acamparono. Ma il vizio della ingratitudine che regnava nel re Amare, non trattava bene il suo siniscalco, che gli avea data la signoria, ma tutto dì il minacciava di farlo morire. Il quale per tema della fellonia del re Amare si partì dell'oste da·llui, e tornossi a Tunisi; e di là con sua gente n'andò nel Garbo, e Amare re con tutta sua oste n'andò a Buggea. Calido cogli Arabi venne a Tunisi, e sanza contasto entrò nella terra, e di presente si diede a' diletti carnali, standosi a' giardini reali, che sono molto dilettevoli, e soggiornando in bagni con sue femmine stando in vita disoluta. E avendo con non buona providenza dato congio alli Arabi, che·ll'avieno rimesso in signoria, e non provedendosi della guerra del fratello, Amare venne a Tunisi con IIm cavalieri; e giunto di fuori di Tunisi fece asapere a' soldati cristiani ch'erano nella terra di sua venuta, i quali gli promisono, per danari fece loro profferere, di seguirlo, ed elli con CCC uomini a cavallo scalò in più parti le mura della città, ed entrò dentro sanza contasto. Lo re Calido sentendo ciò, salì a·ccavallo disarmato con due suoi fratelli, l'uno re di Susa e l'altro di Sachisi, i quali elli avea tratti di prigione, ove gli avea messi il re Amare loro fratello, quando prese la signoria. E andando i detti per la città di Tunisi gridando a borgesi che 'l dovessono atare, rispuosono che di ciò non si travaglierebbono, che così avieno per loro signore l'uno fratello come l'altro. Andando per lo detto modo lo re Calido per la terra, certi Cristiani rinegati l'assalirono, e uno gli lanciò una lancia, e fedillo, onde cadde a terra del cavallo, e incontanente gli fu tagliata la testa, e presentata a·re Amare; la qual fece mettere in su una lancia, e mandarla per tutta la terra; e gli altri due fratelli presi, fece loro tagliare le mani, e poi infra tre dì gli fece morire, e più altri caporali delli Arabi ch'avieno seguito il re Calido fece il somigliante. E·cciò fatto, il re Amare sedette nella sedia reale come re, faccendosi fare l'omaggio e reverenza a tutte maniere di genti, e regnò apresso X mesi in pace, faccendo grandi feste con disoluta vita e mali reggimenti.

Benteframo e Betara siniscalchi che s'erano ribellati da·llui, e iti al re del Garbo, detto Bulafere, come adietro facemmo menzione, commossono il detto re del Garbo contra i·re Amare per le sue scellerate opere, e mossesi con grande oste di XXXm a cavallo, tra' quali avea IIm Cristiani, e venne verso Tunisi, e per mare mandò un suo amiraglio con VIIII galee e altri legni; e giunto il detto Bulafar re del Garbo con sua oste a Buggea, l'ebbe sanza contasto niuno, e simile la terra di Gostantina, e trasse delle dette terre i reali e possenti, e quelli mandò nel Garbo con buona guardia, e fornì le dette terre di sue genti.

Lo re Amare di Tunisi sentendo la venuta del re del Garbo, s'aparecchiò di ragunare sua oste per venirli incontro infino a Buggea, e uscì di Tunisi a dì XI d'agosto MCCCXLVII con IImD cavalieri, aspettando a campo il suo soccorso, che tuttora gli venia. E in quella istanza ebbe novelle come il navile del re del Garbo era arrivato nel porto di Tunisi, onde tornò a Tunisi per difendere la terra, e al continovo facea badaluccare con balestra e archi, acciò che quelli del navile non prendessono terra. In questa stanza il re del Garbo con sua oste a piccole giornate ne venne verso Tunisi. Lo re Amare di Tunisi veggendosi così assalire per terra e per mare, e che·lla sua forza e 'l séguito non era forte alla forza de' suoi nimici, si partì di Tunisi con M Barberi, né' soldati cristiani nol vollono seguire per la sua avarizia, e andonne verso il Caroano per andarsene alla città di Susa. Allora l'amiraglio ch'era nel porto iscese alla terra con D balestrieri, e furono riceuti in Tunisi come signori. E poi apresso vi venne entrando della gente del re del Garbo; e 'l re del Garbo sentendo che 'l re Amar s'era partito di Tunisi per la via del Caroano, il fece seguire a un suo amiraglio con IIIIm uomini a cavallo, comandandogli gli apresentasse il re Amar o morto o vivo; il quale seguendolo, il trovaro di lungi a Tunisi C miglia con poca compagnia a una fontana, ove abeveravano loro e loro cavalli; il quale asalito dal detto amiraglio, fu fedito e morto, e tagliatoli il capo; e' compagni che furono presi menati prigioni al re del Garbo, e presentatali la testa del re Amar; e certificatosi il re del Garbo ch'ell'era di vero la sua testa, la mandò a Tunisi, e fecela sopellire tra' reali. E·llo re Bufar con sua oste s'apressò alla città di Tunisi, e·lla città e 'l regno ebbe al suo comandamento sanza contasto niuno, che·ggià v'era dentro la sua gente e per mare e per terra, come avemo detto dinanzi; e solo uno dì stette in Tunisi, e ciò fu del mese di gennaio MCCCXLVII. E rifermata la città e 'l reame d'uficiali di sua gente, fece prendere tutti i regoli, overo i reali, discendenti del re Bucchieri detto dinanzi, ove che fossono nel reame, che da LX erano, o più, e con buona guardia gli mandò nel Garbo; e dov'egli era stato a campo da IIII miglia di fuori di Tunisi, fece ordinare si dificasse una terra a modo di bastita, e quivi sogiornò con sue femine a gran festa.

Or nota, lettore, e ricogli quello ch'avemo detto nel presente capitolo, e troverrai che per li peccati della superbia e avarizia e lussuria principalmente venuta tra fratelli e congiunti, volendo l'uno all'altro torre lo stato e signoria, quanti micidi e altra distruzione avenne in poco di tempo a' figliuoli e discendenti reali del re Bucchieri di Tunisi, onde il loro lignaggio fu distrutto. E per simile modo in questi tempi avennero tra·nnoi Cristiani tra' reali del regno di Puglia, com'era già cominciato per la morte del re Andreas, e seguinne apresso, come assai tosto ne faremo menzione. Lasceremo de' fatti de' Barberi del regno d'Africa, ch'assai n'avemo detto, e torneremo a dire de' fatti di questo nostro paese d'Italia, ch'assai ci cresce materia.



CIII - Come la città di Sermona e altre terre s'arrendero alla gente del re d'Ungheria

Nel detto anno, del mese d'ottobre, essendo la gente del re d'Ungheria all'assedio di Sermona, né per la reina né per li altri reali nonn-erano soccorsi, sì patteggiarono di rendere la terra a comandamenti del re d'Ungheria con questi patti, se da' reali non fossero soccorsi infra XV dì: e rimanendo nelle loro franchigie e costume ch'erano col re Ruberto, e che dentro della terra non dovessono entrare soldati né gente d'arme più di X per volta, se·ggià non fosse colla persona del re d'Ungheria, o suo fratello; e di ciò diedono XX stadichi de' migliori della terra. E avuta Sermona, non rimase persona in Abruzzi che non fosse all'ubidienza del re d'Ungheria. E del mese di novembre apresso, della detta gente d'arme del re d'Ungheria che facieno loro capo all'Aquila, in quantità di MD cavalieri e pedoni assai, avuta Sermona, passaro la montagna di Cinque Miglia, e scesono in Terra di Lavoro, e presono Sarn, e·ll'antica città di Venastri, e Ciano, che tenea il figliuolo del conte Novello; diede alla detta gente il mercato e·lla reddita, però che, come il padre, amava più la signoria del re d'Ungheria che degli altri reali. E il conte di Fondi, nipote che·ffu di papa Bonifazio VIII, entrò in San Germano colle 'nsegne del re d'Ungheria e con gente d'arme per lui.



CIV - Come i reali col loro sforzo inn-arme si ragunarono alla città di Capova

Sappiendo la reina e gli altri reali, onde si facea capo meser Luigi, ch'avea sposata la detta reina, come Sermona e·ll'altre dette terre s'erano rendute all'ubidienza del re d'Ungheria, incontanente feciono capo grosso alla città di Capova, acciò che·lla forza del re d'Ungheria non potessono passare il fiume del Voltorno per andare verso Napoli. Il prenze di Taranto e il duca di Burazzo vennero a Capova con più altri baroni, e co·lloro sforzo di gente d'arme, e ritrovarsi con meser Luigi con più di IImD cavalieri, bene e riccamente montati e bene in arme, e con popolo grandissimo, e quivi s'accamparono a modo d'oste nella terra e di fuori, e ogni dì crescea loro sforzo e podere per modo che·sse i detti reali fossono stati costanti e uniti insieme, per forza di gente che 'l re d'Ungheria avesse, néd eziandio venendo in persona, non avea podere di passare. Ma a·ccui Idio vuole per le peccata giudicare, toglie a' signori e a' popoli la forza e·lla concordia. E così avenne fra' detti reali; che tuttora con poca fermezza ciancellavano insieme e tali di loro e degli altri gran baroni del Regno s'intendeano con lettere al segreto col re d'Ungheria. In questa stanza ebbe più scontrazzi dalla gente de' reali a quella del re d'Ungheria, quando a danno dell'una parte, e quando dell'altra. Lasceremo alquanto di questa matera infino alla venuta del re d'Ungheria, e diremo d'altre novità che ne' detti tempi furono in Roma. La reina e gli altri reali mandarono lettere e ambasciadori in mezzo novembre al Comune di Firenze per soccorso di Dc cavalieri: fu loro risposto saviamente come il nostro Comune nonn-era aconcio di travagliarsi tra·lloro reali inn-opera di guerra, ma tramettersi di pace tra·lloro, come cari amici.



CV - Di novità e battaglie che·ffu in Roma, ove i Colonnesi furono sconfitti e poi come il tribuno fu cacciato della signoria

Nel detto anno, all'entrante d'ottobre, ambasciadori del re d'Ungheria vennero a Roma profferendosi al tribuno e popolo di Roma, il quale a grido di popolo il detto re d'Ungheria fu ricevuto a·llega e compagnia del popolo di Roma.

E a dì XX di novembre del detto anno, essendo fatta una congiura e cospirazione per li signori Colonnesi e parte degli Orsini dal Monte loro parenti, per abattere la signoria del tribuno, per cagione che il tribuno con tradimento, essendo venuti a' suoi comandamenti il prefetto e 'l conte Guido, e 'l fratello, e II figliuoli di Currado, e altri baroni venuti i·lloro compagnia, e data loro desinare, gli fece pigliare e incarcerare con onta e·lloro vergogna. E per avere i detti presi, que' di Viterbo corsono la terra, e furono tagliate a XII le teste, ch'erano pure de' maggiori, che a quello tradimento diedono opera col tribuno. Gli amici loro di Roma, Colonnesi e altri, ragunarono molto di segreto, coll'aiuto del legato del papa ch'era a Montefiascone, da DL cavalieri e pedoni assai, ond'erano caporali meser Stefano e Stefanuccio e Gianni Colonna e Giordano di Marino; e di notte giunsono a Roma, e ruppono la porta che va a Santo Lorenzo fuori le mura, per entrare dentro. Sentendosi in Roma la detta venuta, sonando la campana di Campidoglio, il tribuno col popolo furono in arme, chi a cavallo e chi a piè, coll'aiuto di certi degli Orsini di Campo di Fiore e da Ponte, e Giordano da Monte, asalirono vigorosamente i feditori di quelli della Colonna, che·ggià per forza d'arme e con danno d'alquanti del popolo di Roma s'erano pinti dentro alla porta, i quali erano CL a cavallo; ma per lo soperchio de' Romani d'entro furono ripinti di fuori della porta in isconfitta; e uscendo fuori della terra la gente del tribuno e del popolo, ond'era capitano Cola Orsini e Giordano dal Monte, e per nimistà di suoi consorti e di Colonnesi, cacciandogli, sconfitti quellino ch'erano rimasi di fuori, non ressono, ma si missono in fuga; ove rimasono morti e presi assai. Intra gli altri caporali furono morti VI di casa Colonnesi, ciò furono Stefanuccio e Gianni Colonna suo figliuolo, e il proposto di Marsilia, e Gianni figliuolo d'Agabito, e due altri loro bastardi valentri in arme; onde i Colonnesi ricevettono gran danno e abassamento, e 'l tribuno ne montò in gran pompa e superbia; e mandonne lettera co' messi e con ulivi significando la sua grande vittoria al nostro Comune, e quello di Perugia e di Siena, e degli altri suoi vicini confidenti. Il quale messo, che venne in Firenze, fu riccamente vestito. E avuta il tribuno la detta vittoria, l'altro dì fece grande processione di tutto il chericato di Roma a Santa Maria Maggiore. E poi a dì XXIIII di novembre, fatta la mostra di sua cavalleria, fece cavaliere il suo figliuolo andando a Sa·Lorenzo, e meser Lorenzo della Vittoria il nominò. In quelli dì, poco apresso, venne in Roma uno vicario del papa. Il tribuno il ricevette per compagno, faccendo un grande parlamento in Campidoglio, e ivi aringando propuose l'autorità: "Legem pone michi, Domine in via giustificazione tuais"; mostrando al popolo di volere ubidire al papa, istando in grande festa e pomposa. Ma poco durò al tribuno la sua vana gloria e felicità, come diremo; che per la sua audace e aspra giustizia avea fatto citare, e poi non vegnendo a' suoi comandamenti, il conte Paladino d'Altemura di Puglia, il fece sbandire, perché nelle parti di Terracina in Campagna usava, secondo si dicea, ruberie e forze; venne a Roma con CL cavalieri coll'aiuto del capitano del Patrimonio, per opera del legato. E nota che·lla Chiesa al cominciamento al tribuno diè favore, e poi, cui fosse la colpa, fé il contradio. Il detto Paladino si ridusse nella contrada di Colonnesi da Santo Apostolo, e con certi de' Colonnesi rimasi e co·lloro vicini e amici fece sonare a martello le campane della detta chiesa e dell'altre della forza de' Colonnesi, e in quelle contrade levò la terra a romore, e ragunò gente assai a'ccavallo e a piè e amici di Colonnesi, e·cciò fu a dì XV di dicembre del detto anno, gridando: "Viva la Colonna, e muoia il tribuno e' suoi seguaci!". A questo romore le contrade di Roma s'abarraro, ciascuno colle sue forze e fortezze, guardando loro contrade. Il detto Paladino e popolo di Colonnesi vennero a Campidoglio. Il tribuno non fu seguito, come dovea, né dagli Orsini né dal popolo. Il tribuno veggendosi così abandonato, sconosciuto uscì di Campidoglio, e vennesene in Castello Sant'Agnolo, e là nascosamente si dimorò fino alla venuta del re d'Ungheria a Napoli, a·ccui si dice andò per mare sconosciuto in su uno legno. Tale fu la fine della signoria del tribuno di Roma. E nota, lettore, che·lle più volte, quasi sempre, aviene a chi si fa signore o caporale di popoli d'avere sì fatta uscita, però che di veri segni della fortuna è che' sùbiti avenimenti di felicità e di vettoria e signoria mondana tosto vegnono meno. E bene acade al tribuno il motto che disse in sua rima un savio:

Nessuna signoria mondana dura,

E·lla vana speranza t'ha scoperto

Il fine della fallace ventura.

Lasceremo de' fatti di Roma alquanto, la quale rimase in più pessimo stato in tutti i casi, che no·lla trovò il tribuno quando prese di quella la signoria, credendola per sua audacia correggerla, essendo in rovina; e diremo come morì il Bavero che·ssi chiamava imperadore.



CVI - Come morì Lodovico di Baviera chiamato Bavero, che·ssi tenea d'essere imperadore, e fu eletto a nuovo imperadore Adoardo re d'Inghilterra

Nel detto anno MCCCXLVII, all'entrante d'ottobre, Lodovico di Baviera, che·ssi chiamava imperadore, essendo alla sua città... e cavalcando... il cavallo gli cadde sotto, e della detta caduta subitamente morìo sanza penitenza, scomunicato e dannato da santa Chiesa; però che·nn'era perseguitore e nimico, come adietro in più parti avemo fatta menzione. Fu sopellito dal figliuolo e da' suoi baroni a grande onore a guisa d'imperadore nella sua terra di... Il figliuolo, ch'avea nome... ed era marchese di Brandiborgo, uomo prode e valoroso, rimase in Alamagna in grande stato e signoria e ricco. E nota che chi muore in contumacia di santa Chiesa e scomunicato sempre pare che faccia mala fine; e questo si vede palese per antico e per novello. Morto il Bavero, parte delli elettori dello 'mperio, ciò furono per contradio del papa e della Chiesa, perch'avieno fatto eleggere e poi confermato Carlo re di Buem quasi per contrario di più signori e popoli d'Alamagna, vivendo Lodovico detto Bavero, e per dispetto e dilegione della Chiesa, gli Alamanni il chiamavano lo 'mperadore di preti, e piccolo séguito avea in Alamagna, elessono a nuovo imperadore Aduardo terzo re d'Inghilterra, al quale fu mandata la lezione con grandi impromesse di baroni e signori della Magna, per agrandillo, e per dispetto del re di Francia, però ch'avea procacciato col papa la lezione e confermagione di Carlo di Buem. Il quale re Aduardo e 'l suo figliuolo aveano diliberato d'accettare la detta lezione; ma·lla maggior parte de' baroni d'Inghilterra e' capi delle Comuni nol consigliavano, e rimase a tanto sospesa la detta elezione etc. Lasceremo alquanto della elezione de' detti II imperadori, ch'a tempo, quando seguissono i loro processi, torneremo a·cciò; e diremo dell'avenimento inn-Italia del re d'Ungheria, che·nne segue grandi cose e novitadi.



CVII - Come 'l re d'Ungheria passò inn-Italia per andare in Puglia

Lodovico re d'Ungheria non avendo dimenticato la crudele e vituperevole morte fatta in Aversa del suo fratello Andreas, al quale succedea d'essere re di Cicilia e di Puglia, come stesamente raccontammo in uno capitolo adietro, e avendo da' suoi capitani e genti, i quali avieno per lui rubellata la città dell'Aquila, e al continovo prosperavano felicemente, come in quelli processi adietro è fatta menzione, non si volle più indugiare di venire a fare vendetta, parendogli tempo acettevole a raquistare il regno di Puglia, che di ragione per retaggio del re Carlo Martello suo avolo gli succedea. Bene aventurosamente si partìo di sua terra d'Ungheria a dì III di novembre MCCCXLVII, sabato mattina un'ora o più anzi il sole levante, con da cavalieri o più eletti Ungari, con molti suoi baroni, e con molto tesoro e fiorini contanti da spendere, i quali per abondanza d'oro facea battere in Ungheria contrafatti a' nostri fiorini d'oro, salvo del nome, che dicieno: "Lodovico re". E lasciò in Ungheria... suo fratello re di Pollonia colla madre e colla moglie, e ordinò ch'al continovo il seguissono gente d'arme, come sofferisse il camino per lo caro ch'era stato l'anno passato, ed era ancora e di là da' monti e inn Italia. E a dì XXVI di novembre giunse inn-Udine; il quale dal patriarca d'Aquilea fu ricevuto graziosamente. E·llà giugnendo gli ambasciadori del Comune di Vinegia per proffereglisi, i quali isdegnò, e apena gli volle udire tenendosi gravato dal Comune di Vinegia della presa di Giadra fatta per loro contro a suo onore, come contammo adietro. E entrando inn-Italia il detto re d'Ungheria, arrivò a Cittadella, e il signore di Padova gli andò incontro a farli onore, e profferendoglisi con D cavalieri, ma però non volle entrare in Padova, ma entrò in Verona a dì II di dicembre; e da meser Mastino della Scala fu riceuto graziosamente faccendogli grande onore; vi soggiornò alcuno dì. E alla sua partita gli diè CCC de' suoi cavalieri della migliore gente ch'egli avesse che gli feciono compagnia fino a Napoli. Partito il re di Verona, non volle entrare in Ferrara, ma fece la via da Modona, e·llà giunse dì X di dicembre; e da' marchesi gli fu in Modona fatto grande onore; e vennevi meser Filippino da Gonzago di signori di Mantova e di Reggio con CL cavalieri, e seguillo infino a Napoli. E partito da Modona, giunse in Bologna a dì XI di dicembre, e dal signore di Bologna fu ricevuto a grande onore, non lasciando spendere né a·llui né a sua gente niuno danaio in Bologna né in suo distretto. Partendosi di Bologna il conte di Romagna che v'era per la Chiesa, no-llo lasciò entrare né inn-Imola né in Faenza, ma ne' borghi di fuori albergò. E il signore di Forlì gli andò incontro fino in sul contado di Bologna con CC cavalieri e mille fanti a piè in arme, e con grande onore il ricevette in Forlì a dì XIII di dicembre, fornendogli la spesa a·llui e a sua gente, e in Forlì sogiornò III dì con grande festa e carole d'uomini e di donne e di donzelle; e fece cavalieri il signore di Forlì e li suoi figliuoli e poi altri Romagnuoli, e meser Pazzino di Donati nostro cittadino. E partito di Forlì, giunse a Rimino a dì XVI di dicembre, e da meser Malatesta fu ricevuto a grande onore al modo degli altri signori, e più magnamente, e là sogiornò alcuno dì, e di là il seguì il signore di Forlì con CCC cavalieri di sua migliore gente fino a Napoli onoratamente. Partito il detto re da Rimino, faccendo il cammino da Orbino giunse in Fuligno a dì XX di dicembre, il quale da meser Ugolino de' Trinci che·nn'era signore, fu ricevuto a grande onore, e soggiornòvi da III dì. E·llà venne a·llui il legato del papa cardinale, e ragionò co·llui di più cose delle bisogne del Regno, amunendo il re non facesse crudele vendetta né contra a' reali divoti di santa Chiesa e innocenti, e che furono solamente due quelli che furono colpevoli, e que' furono giustiziati. Apresso l'amonìo che contra la signoria di santa Chiesa, di cui era il Regno, non dovesse usare signoria né dominazione sanza l'asento del papa e de' suoi cardinali sorto pena di scomunicazione; bene che di ciò dicesse che dal papa non avea speziale mandato, ma di questo il consigliava ed amoniva. Al quale i·re rispuose saviamente e con alte parole e franche, dicendo che di sua vendetta non s'avea a tramettere né elli né·lla Chiesa, e dove dicea che furono due, sapea di CC; e che il Regno era suo per giusta successione dell'avolo, e che riavendo la signoria, come intendea d'avere coll'aiuto di Dio, alla Chiesa risponderebbe di quello che dovesse ragionevolemente. La scomunica a torto, se·lli fosse fatta, poco curava, però che Iddio maggiore che 'l papa sapea la sua giusta impresa; questo sapemmo da alcuno di nostri ambasciadori, con cui il legato ne parlò, uomo degno di fede. Lasceremo alquanto della matera degli andamenti del detto re, quando e come entrò nel Regno, e di suoi processi, che·nne faremo assai tosto nuovo capitolo, e diremo inanzi d'una ricca ambasceria che 'l Comune di Firenze mandò al detto re e 'l Comune di Perugia.



CVIII - Come il Comune di Firenze mandò una grande ambasceria a·rre d'Ungheria

Sentendo i Fiorentini la venuta del re d'Ungheria, e come già era a Verona, ordinarono di mandarli una solenne ambasceria; ciò furono gl'infrascritti X grandi popolani, e niuno di grandi, cioè di noboli, per gelosia che' grandi no·llo 'nformassono in nullo caso contra lo stato del popolo. E in questa parte i rettori, e quelli del loro consiglio che·ll'ebbono a provedere, da' savi ne furono ripresi, imperò che diedono matera a' grandi e noboli di sdegno essendo ischiusi degli onori del Comune in sì fatto caso, e da dovere più tosto criare discordia cittadina, e al signore fare amirare. E più chiaro consiglio e migliore per lo Comune era ad avervi mandati tra' detti ambasciadori almeno tre di noboli buoni uomini e confidenti al popolo; ma quello che pare all'empito del popolo non si può riparare, con tutto che·lle più delle volte sia con mala uscita. I detti ambasciadori furono questi: messer Antonio di Baldinaccio degli Adimari, tutto fosse di più grandi e noboli, per grazia era messo tra 'l popolo, messer Oddo Altoviti giudice, messer Tommaso de' Corsini giudice, messer Francesco degli Strozzi, messer Simone de' Peruzzi, messer Andrea delli Oricellai, cavalieri popolani; Antonio degli Albizi, Vanni di Manno di Medici, Gherardo di Chele Bordoni, Pagolo di Boccuccio de' Capponi; questi III ultimi si feciono fare cavalieri al detto re. Ciascuno di detti ambasciadori per ordine del Comune si vestiro di roba di scarlatto a tre guernimenti federate di vaio. E ciascuno con due o tre compagni vestiti tutti insieme d'un panno divisato molto apparente. E oltre a·cciò ciascuno almeno due donzelli, e·cchi tre, vestiti d'una assisa d'una partita, e co·lloro II cavalieri di corte; onde furono con da C cavalli e bestie, colle some, che non si ricorda a' nostri dì sì ricca e onorevole ambasciata ch'uscisse di Firenze. E partirsi di Firenze a dì XI di dicembre, e giunsono il re d'Ungheria in Forlì, e·llà gli feciono la riverenza; e da·llui furono ricevuti graziosamente, e simile molto onorati da quelli signori di Romagna. E·re volle a cautela e magnificenza di sé il seguissono infino a Filigno; ma a Rimino gli sponessono loro ambasciata, la quale ambasciata e risposta fu nella forma ch'è ritratta qui apresso per meser Tommaso Corsini, che·nne fu dicitore. E poi giunti a Filigno, pregato il re da' nostri ambasciadori, di buona voglia fece i sopradetti III delli ambasciadori cavalieri di sua mano con gran festa; e poi il dì apresso si partì di Filigno, e andonne verso l'Aquila, e·lli ambasciadori nostri tornarono in Firenze a dì XI di gennaio.



CIX - Ambasciata sposta a Rimino per gli ambasciadori di Firenze al re d'Ungheria mandati, recitata nel cospetto del re e del suo consiglio per meser Tommaso Corsini in gramatica con molti alti latini; fatta volgarizzare per seguire lo stile

Priegoti che gli occhi tuoi stieno aperti alla mia orazione, la quale oggi dinanzi a·tte farò per tuoi figliuoli e devoti. Le parole predette sono parole di Geremia profeta, le quali si discrivono nel proemio del libro suo.

Serenissimo principe, il quale a tutti l'Italiani siccome splendida e chiara stella gitti razzi, e 'l quale per la chiarezza di te ogni altro lume di splendore diminuisci, siccome aviene alla luna e alle stelle in comperazione a·dDio, nel cospetto del quale la luna non risprende, le stelle non tralucono e immonde sono. La presente orazione, la quale con istupore e paura parlerò per tanta presenzia di così grande re, futura è di grande e alta materia, la quale infino a' cieli passerà l'onore e·llo stato reale da ogni parte riguardando, per la quale ancora dipenderà lo stato de' devoti della casa reale, la quale se sarà con soavità d'amore compresa, dolcissimi frutti partorirà e graziosi avenimenti aparecchierà. Questa è orazione, per la quale i Fiorentini veghievoli con animata devozione a' pregenitori tuoi igualmente e a·tte la tua celsitudine amantissimamente destano, acciò che quella desta, tutte le nebbie passino via, e al tutto venghino meno. Sieno adunque intorno alle parole promesse gli occhi della tua maestà aperti alla mia orazione, acciò che per quello, sì allo stato reale, come allo stato de' suoi divoti si possa salutevolmente provedere. La presente orazione, acciò che quelle cose che·ssi debbono dire chiaramente si possano vedere, si divide in tre parti: la prima è raccomandatoria e offeritoria, la seconda narratoria e supplicatoria, la terza confutatoria.

Al primo: i priori dell'arti, e gonfaloniere di giustizia, il popolo e 'l Comune della città di Firenze imposono a·nnoi che a' piè della tua maestà loro e·lla loro città e tutti gli altri divoti d'Italia raccomandare con riverenza dovessimo, e que' Fiorentini siccome devotissimi, e·lla loro fiorentissima città siccome muro e steccato reale, con quella devozione, con che a' tuoi pregenitori, siccome a' padri e benefattori suoi, essere suti fatti la publica fama il manifesta, a·tte come degnissimo capo della tua schiatta pe' nostri raportamenti ti dobbiamo offerere quelle cose, che con allegro animo raportiamo e narriamo, suplicandoti che·lla reale ecelsitudine la racomandagione e·ll'oferta di tanti tuoi devoti con graziosi effetti degni d'accettare.

Al secondo: quale Fiorentino, se uomo si può dire, per virtude puote esere dimentico della divozione e della benevolenzia tra·lla casa reale e' tuoi pregenitori e 'l Comune di Firenze da lunghi tempi congiunta, e con graziosi effetti e diversi avenimenti per successione di tempo aprovata? A·tte ancora, amantissimo principe, si conviene di questa benivolenza de' tuoi pregenitori, e della nostra devozione, almeno per udita e per notoria fama, la quale questo nell'universo mondo grida esere manifesta. Noi ancora della circuspezione reale, e ancora del circulato de' cavalieri di quella, è convenevole de' lor fatti rinovare memoria, acciò che non periscano per lo passamento del passato tempo quelle cose che hanno meritato in perpetuo avere vigore. Se adunque con attento animo rivolgerai le cose fatte magnifiche e benifici della prechiara memoria del cristianissimo principe re Carlo trisavolo tuo, or none i Fiorentini guelfi, della città di Firenze cacciati, colla sua potenzia e con armata mano in quella città groriosamente rimise? Se del secondo re Carlo bisavolo tuo le cose fatte rivolgerai, partissi elli dall'opere del padre suo? Certo no. Ma con quello proveduto e favorevole seguire lui seguitando, molti beni a' Fiorentini fece. Se del sapientissimo de' savi re Ruberto tuo zio, il quale fu specchio non corrotto di tutti i re (avegna che per generazione Ruberto, e per unzione re Ruberto fosse nomato, per la smisurata e non udita sapienza, per una regenerazione dovrebbe esere apellato novello Salamone), i suoi fatti rivolgerai, partissi elli dalle vie de' suoi pregenitori? Or none. Quando della degnità ducale usava ad istanza di Fiorentini a strignere e vincere la città di Pistoia, con risprendevole compagnia di cavalieri personalmente venne. E poi venuto a dignità reale partissi elli dalle cose incominciate? O innumerevoli benifici a quelli Fiorentini fece, in tanto che in caso del bisogno al suo unigenito figliuolo non perdonasse? Che se rivolgerai le cose fatte da meser Filippo prencipe di Taranto, che se di meser Piero suo fratello grandi tuoi zii, che se di meser Carlo figliuolo del detto meser lo prencipe di Taranto consubrino tuo le cose fatte ripensi, none i due ultimi moriro nel piano da Montecatini vincendo i nimici, e il loro sangue battaglievolmente fu sparto, il quale sangue ancora della terra crudelmente grida? Qua' lingua, quantunque eloquente, tante cose potrà narrare? Certo, meglio sotto silenzio è passare che più parlarne, con ciò sia cosa che per silenzio a dirittamente raguardanti più e maggiori cose si deano a 'ntendere. Adunque, acciò che' detti benifici non paiano dimenticati, la nostra intenzione è questa eziandio, se de' fanciulli infanti domandi, i figliuoli, le ricchezze, la vita e·ll'essere ricognosciamo essere proceduta de' detti tuoi pregenitori. Ma·sse adomandi quello che abbiamo fatto a questi tuoi pregenitori, se·llicito è de' fatti benifici racordare, che feciono i Fiorentini contra lo scomunicato re Manfredi? Che contro a Curradino? Che contro allo 'mperadore Arrigo? Che contro al Bavero dannato? A' quali i detti Fiorentini contastanti, per conservare la casa reale, con gran potenza si fecero. L'altre cose sotto silenzio passiamo, sotto il quale silenzio la reale circuspezione eziandio più e maggiori cose comprenderà. Le quali sono ancora più vere che·lle suddette, in tanto che·nnoi non siamo solamente de' tuoi pregenitori e di te figliuoli d'adozzione, ma più tosto congiunti di vera natura. Re adunque gloriosissimo, chi potrà sì fatta congiunzione e devozione individua spartire? Chi·lla potrà divellere o maculare o turbare? Certo, niuno. Per le dette adunque cose la preghiera nostra è questa, reverendissima corona, che·tti preghiamo che gli occhi della tua celsitudine a·nnoi e agli altri devoti d'Italia benignamente converti, acciò che sempre nel cuore reale sia legame indissolubile di benivoglienza e d'amore, e quello non abandoni, ma in te per uno ordine di successione si palesi quella divozione ed amore indissolubole radicata ne' cuori de' Fiorentini a·tte siccome a padre e benifattore nostro pe' nostri e delle dette comunità preghieri ci offeriamo, com'è detto.

A l'ultimo: avegna Idio, amantissimo prencipe, che·lla maestà reale la circunvenzione degli emuli e·lle sforzate macchinazioni a suo podere con somma provedenza scacci, neentemeno la faccia di detti invidiatori, che con tante arti con tanti colori adornati con somma ragione noi proveduti e cauti ci rende, e ancora ci strigne la maestà reale di queste cose informare, e ancora più attentamente pregare, acciò che nelle vie de' suoi pregenitori fermamente perseveranti li sforzamenti di quelli emuli, siccome contagioso morbo, con sottile ingegno di lungi da·ssé cacci e distrugga. Per la qual cosa l'astuzia de' detti emuli diverrà vana e non potrà prevalere, ma come il fieno subitamente si secchi, e·ll'amore nostro e degli altri della casa reale devoti crescerà e sarà immutabile. Dio altissimo benedicenti e lodanti, e sanza fine dicenti: "Benedetto che venne nel nome del Signore".



CX - Risposta fatta in presenzia della maiestà reale ivi per lo venerabile uomo messer Giovanni, cherico di Visprimiense, a·ccui il re la risposta commisse

"L'ambasciata del Comune di Firenze così solennemente e ordinatamente esposta messere lo re volentieri ha udita, e·lle cose fatte de' suoi pregenitori, ella benivolenza, la quale al Comune di Firenze, a' Fiorentini e a quella città, i pregenitori suoi sempre hanno avuto, e·lla congiunzione che sempre fu intra·lloro e col Comune predetto, con grazioso animo ha acettato, offerendosi ancora quella sempre servare, e·lle vie de' suoi pregenitori sempre sequitare".

E mentre che 'l detto eletto questa risposta facea, il re gli s'acostò all'orecchio manco, e in silenzio a·llui parlò, il quale eletto incontanente disse: "Il nostro signore dice ch'elli intende i Guelfi d'Italia sempre avere raccomandati".

Poscia che giunti fummo a Filigno, e quivi furono gli onorevoli ambasciadori del Comune di Perugia, e avuta tra·nnoi e·lloro collazione e diliberagione, in prima co·lloro ci rapresentammo dinanzi al cospetto reale, e quelle cose in diversi sermoni spartitamente e per loro e per noi alla maestà reale furono recitate, le quali erano inn-effetto una medesima cosa, in comune sermone recate per lo detto meser Tommaso di comune concordia dell'uno e dell'altro Comune furono sposte. Il quale, oltre alle predette, lo stato e·lla libertà de' detti Comuni e degli altri di Toscana e di tutta Italia, divoti della casa reale e de' suoi pregenitori, alla escelsitudine reale raccomandò. Il re udite le predette cose, tutte graziosamente accettò, e offersesi di fare tutte quelle cose che nella detta pitizione erano pienamente narrate e che il Comune di Firenze, e quello di Perugia, e di Siena, gli rimandassono per comune due o tre di loro ambasciadori savi e discreti, i quali voleva nel Regno intorno a·llui per suo consiglio; e a' detti ambasciadori diede graziosamente congio di tornare a Firenze. I nostri ambasciadori partiti di Filigno, vennero a Perugia, e quivi sogiornarono alquanti dì a parlamentare col legato cardinale, e co' rettori di Perugia e cogli altri ambasciadori de' Comuni ch'erano stati a·rre d'Ungheria, dello stato di Toscana e del paese intorno in benificio di parte guelfa e della Chiesa, per la venuta del detto re d'Ungheria e dello imperadore Carlo suo suocero, che parea loro che 'l detto re avesse presa troppa famigliarità co' tiranni e signori di Lombardia e di Romagna e della Marca di parte ghibellina. Il quale legato consigliò i detti Comuni che mandassono loro ambasciadori al papa a pregarlo s'intraponesse, che·llo imperadore Carlo non passasse, acciò che·lla parte imperiale non crescesse collo apoggio e favore della potenza de·rre d'Ungheria suo genero, e che·cciò piacerebbe al papa e a' cardinali, e ch'elli ne sapea bene l'oppinione suo segreto, e s'elli l'avea creato e fatto, era per contrario del dannato Bavero, vivendo; ma dapoi ch'era morto, non facea per la Chiesa che·lla signoria del detto Carlo, colla potenza del re d'Ungheria signoreggiando il Regno, crescesse in Italia: questo segreto sapemmo da alcuno di nostri ambasciadori. E nota, lettore, l'essempri de' rettori di santa Chiesa, di fare e di volere disfare la signoria dello 'mperio a·ssuo utile e beneplacito; e questo basti.



CXI - Come il re d'Ungheria entrò nel Regno, ed ebbe la signoria a queto e sanza contasto

Sogiornando in Filigno il re d'Ungheria II dì con grande festa, e fatti cavalieri i detti di nostri ambasciadori, come detto avemo, e fatti cavalieri più altri e di Perugia e di Filigno e della Marca e del Ducato, e poi si partì di Filigno a dì XXII di dicembre, e giunse all'Aquila la vilia di Natale, e là fece la festa, e vennevi all'Aquila a·rre il conte di Celano, e 'l conte di Loreto, e 'l conte di San Valentino, e Nepoleone d'Orso, e più altri conti e baroni d'Abruzzi, e feciono l'omaggio e fedaltà al detto re; poi si partì dall'Aquila, fatta la festa di Natale, e andonne col conte di Celano a Castello Vecchio sua terra. E a dì XXVII di dicembre entrò il re in Sermona, e da' Sermontini fu ricevuto onoratamente come loro signore; e partito di Sermona n'andò a Castello di Sanguine e poi a Sarno, e di là n'andò a Bruzzano; e ivi presso a tre miglia avea due castelletta, dov'erano meser Niccola Caraccioli e meser Agnolo di Napoli, i quali feciono alcuna risistenza, onde furono combattuti dalla gente del re, e per forza vinti e tutti rubati, e poi arsi; e' detti II cavalieri napoletani presi con più altri.

E sappiendo il re che a Capova era messer Luigi e gli altri reali co·lloro sforzo di gente d'arme, non si volle mettere al contasto di quella gente né del passo del fiume del Voltorno, che·llà è molto grosso e profondo, e però fece la via che fece anticamente il re Carlo vecchio per la contea d'Alifi da Marcone, e poi arrivò a Benevento a dì XI di gennaio; e giugnendovi la sua gente, que' di Benevento per tema d'esere rubati, ch'assai danno avea sua gente di ratto fatto per cammino, e però serrarono le porte. Ma quando vidono la persona del re, s'asicurarono, e·ll'apersono. E venuto il re in Benevento, vi sogiornò da VI dì, e·llà venne tutta la sua gente dall'Aquila e ch'erano stati a Tiano; e in quello paese, e con suoi Ungari e con Lombardi e Romagnuoli, ch'erano venuti al suo servigio, si trovò in Benevento con più di VIm cavalieri e popolo infinito; e·llà vennero tutti i baroni del paese a farli reverenza e omaggio. E vennevi una grande ambasceria da Napoli, a profferelli la terra, come a·lloro signore. Sentendo i reali e gli altri baroni ch'erano a Capova con meser Luigi che il re era a Benevento, e prosperava felicemente e sanza contasto, si partirono co·lloro gente, e andarono a Napoli, abandonando meser Luigi, e lasciandolo con poca compagnia, e ordinaro di venire al re a farli reverenza, come s'apressasse a Napoli. Lo re si partì di Benevento a dì XVI di gennaio, e venne a Mattalona, e nella sua partita que' da Benevento s'armaro, e azzuffarsi co' malandrini che seguivano l'oste del re e rubavano dove poteano, ed ebbevi de' morti assai d'una parte e d'altra, e fu arso parte d'un borgo di Benevento.

La reina Giovanna, che·ss'era ridotta e aforzata nel castello di Napoli, sentendo che 'l re venia con tanta forza verso Napoli, nascostamente e di notte, a dì XV di gennaio, si partì del castello con sua privata famiglia e con quello tesoro che potéo trarre del castello, che poco ve n'era rimaso, si·nn'era fatta mala guardia dopo la morte del re Ruberto, e per la via di Piedigrotta si ricolse la reina in su tre galee armate di Provenzali, ch'ella avea fatte stare in concio, e fecesi porre a Nizza in Proenza a dì XX di gennaio; come fece in Proenza diremo poi assai tosto in altro capitolo. Messer Luigi sentendo come la reina s'era partita di Napoli, e 'l re d'Ungheria prosperava felicemente, di notte con meser Niccola Acciaiuoli suo fidato compagno e consigliere, parendo loro male stare, e veggendosi abandonato dagli altri reali e baroni, si partirono di Capova, e vennero a Napoli. E non trovandovi galea armata, con grande fretta e paura si ricolsono co·lloro privata famiglia su un panfilo, non potendo avere galea di cui si fidassono; e con quello, con grande pena e misagio, arrivarono a Porto Ercole in Maremma, e·llà scesono a dì XX di gennaio, e vennero a Siena a dì XXIIII di gennaio privatamente; e poi nel contado di Firenze vennero, e·llà sogiornarono alquanto, come in altro capitolo diremo più steso, tornando a dire de' processi del re d'Ungheria, e della morte del duca di Durazzo e della presa degli altri reali.



CXII - Come il re d'Ungheria fece morire il duca di Durazzo, e fece pigliare gli altri reali, e come entrò in Napoli

Partito il re d'Ungheria di Benevento, fece la via da Matalona, e giunse in Aversa a dì XVII di gennaio. Que' d'Aversa ebbono gran paura, perché si dicea che 'l re la farebbe distruggere, perché v'era morto il re Andreas suo fratello, e nascosono e sotterrarono tutto loro tesoro e cose care; ma il re ordinò un suo vicaro chiamato fra Moriale con suoi Ungari in arme alla guardia della terra, e fare giustizia di rubatori e malandrini, ch'assai ne seguivano suo oste. E inn-Aversa soggiornò il re da VI dì, dimorando nel castello reale d'Aversa. E·llà vi vennero più di mille gentili uomini di Napoli a vedere il re, e vennevi il conte di Fondi, nipote che·ffu di papa Bonifazio, di Campagna, con D cavalieri al suo servigio; e più altri baroni del paese vi vennero a farli omaggio. Vennervi i reali, ciò furono il prenze di Taranto, nominato Ruberto, con Filippo suo minore fratello; che meser Luigi, come avemo detto, s'era fuggito da Napoli. E vennevi Carlo duca di Durazzo, e meser Luigi e Ruberto suoi fratelli, e figliuoli che furono di meser Gianni prenza della Morea. E venne co·lloro Giovannone di Cantelmo, e Giufredi conte di Squillaci amiraglio del Regno con molti altri baroni e cavalieri (avendo il re data loro fidanza, con patto che non fossono stati colpevoli della morte del fratello), e giunti al re al castello d'Aversa, gli feciono omaggio; e tutti gli baciò in bocca e diè loro desinare; e·cciò fu dì XXIII di gennaio. E dopo mangiare il re fece armare tutta sua gente, ed elli medesimo s'armò, e mossesi per venire a Napoli, e' reali disarmati cogli altri baroni intorno di lui faccendogli compagnia. E come furono a cavallo, il re disse al duca di Durazzo: "Menatemi ove fu morto Andreas mio fratello". Il duca disse: "Non ve ne travagliate, ch'io non vi fu' mai", credendolo levare dall'oppenione, e già temendo per li crudi sembianti de·rre. Il re disse vi pure voleva andare a vedere; e giunti al monistero di frati di Maiella, smontò da cavallo, e saliro in sulla sala e al gueffo, cioè sporto sopra il giardino, ove il re Andreas fu gittato strangolato e morto. Allora il re si volse al duca di Durazzo, e dissegli: "Tu fosti traditore e adoperatore della morte del tuo signore e mio fratello e adoperasti in corte col tuo zio cardinale di Peragorga, che a tua pitizione s'indugiò e non si fece, come dovea, per lo papa la sua coronazione. Lo quale indugio fu cagione della sua morte, e con frode e inganno ti facesti dispensare al papa di torre per moglie la tua cugina sua cognata, acciò che·llui morto e·lla reina Giovanna sua moglie, tu succedessi ad esere re; e·sse' stato in arme contro alla nostra potenza col traditore meser Luigi di Taranto tuo cugino, e nostro ribello e nimico, il quale ha fatto come tu, con frode e sagrilegio sposata quella rea femmina e adultera e traditrice del suo signore e marito, Giovanna moglie che·ffu d'Andreas nostro fratello. E però e' conviene che·ttu muoia ove facesti morire lui". Il duca di Durazzo si volea scusare non colpevole, e domandò al re misericordia. Lo re gli disse: "Come ti puo' tu scusare?", mostrandogli lettere con suo suggello ch'elli avea mandate a Carlo d'Artugio del trattato della morte d'Andreas. E incontanente, come avea ordinato, il fedì nel petto, che non avea arme, uno meser Filippo ungaro, e poi lo prese uno per li capelli; e 'l detto meser Filippo gli tagliò la gola, non però afatto il collo, ma de' detti colpi morì di presente. E da certi Ungari che gli erano d'intorno fu preso e gittato da quello verone nel giardino ove fu gittato Andreas, e comandò nogli fosse data sepoltura sanza sua licenzia. E·cciò fatto, com'era ordinato, gli altri IIII nominati reali furono presi e messi in buona guardia di cavalieri ungari nel castello d'Aversa; e di certo si disse, e crede, che s'elli avesse preso co·lloro meser Luigi e·lla reina, tutti gli avrebbe fatti morire co·llui. E loro presi, tutti i loro cavalli e arnesi furono rubati, e simile i loro ostelli di Napoli, salvo quello del prenze di Taranto. E·lla moglie del duca di Durazzo, ch'era in Napoli, di notte, mal vestita e peggio in arnese, con due sue piccole fanciulle in braccio, si fuggì nel munistero di Santa Croce, e poi di là nascosamente vestita in abito di frate, e con poca compagnia, arrivò a Montefiascone al legato; e poi isconosciuta se n'andò verso Francia. Tale fu la fine del duca di Durazzo, e·lla presura degli altri reali, e scacciamento di loro donne e di loro famiglie. Per molti se ne fece quistione, opponendo al re tradimento del suo sangue, avendogli fidati e baciati in bocca, e caritevolemente mangiato co·lloro, e poi fatto morire il duca di Durazzo, e gli altri reali innocenti presi. Altri dissono che non era tradimento a tradire il traditore, se colpa v'ebbe, come gli oppose. Ma per li savi si giudicò che questa crudeltà e quello ne seguì di male fu dispensato e premesso da·dDio per li ladii peccati comessi nello re Andreas, ch'era giovane e innocente, che per lo peccato della invidia e covidigia della signoria sua con superbia fu commesso tradimento con iscellerato paricida di loro signore, e ancora ci fu il laido e abominevole peccato per cagione d'avolterio e sacrilegio tra congiunti, come avemo adietro fatta menzione, che·ffu cagione della morte di quello innocente. E già la vendetta d'Iddio non passa sanza penitenzia e meriti di sì innormi peccati. La presura degli altri reali fece più per sua sicurtà, che per colpa ch'avessono, se non d'essere in arme a Capova contra a·llui.

Lo re d'Ungheria quello medesimo dì, dì XXIIII di gennaio, con sua gente armati ed elli medesimo armato colla barbuta in testa, con una sopravesta indosso di sciamito porporino ivi su i gigli di perle seminati, entrò in Napoli, e non volle palio sopra capo né altra pompa, com'era aparecchiato per lui dalli Napoletani di fare. E smontò a Castello Nuovo, e intese a riformare la terra e il reame, faccendo nuovi dicreti e nuove inquisizioni della morte di suo fratello, e rinovando ufici e signoraggi, e togliendogli a·cchi trovò colpevoli, e dandoli a chi l'avea servito, che sarebbe lunga mena a dire. I Napoletani i più erano tristi e in paura, sì per le grascie degli ufici del Regno e vantaggi ch'avieno da' reali; e allora furono mutati e tolti essi per la morte del duca; che, come dice Seneca, chi a uno offende molti ne minaccia. Ivi a pochi dì mandò il re a Castello dell'Uovo per lo fanciullo si dicea rimaso dello re Andreas, nominato Carlo Martello, e videlo graziosamente, e fecelo duca di Calavra. E con buona compagnia di cameriere e di balie che 'l nodrivano e governavano, inn-una bara cavallereccia nobilemente a dì II di febraio il mandò ad Aversa, e di là, cogli altri reali che v'erano presi, con buona guardia d'Ungari il mandò ad Ortona, e di là per mare passarono inn Ischiavonia, e di là in Ungheria. Avendo assai larga prigione, con buona guardia si riposano co·lloro vergogna in Ungheria, e con poco onore, e meno da spendere. E così si muta la fortuna di questo secolo in poco tempo, altrui par essere in maggiore stato.



CXIII - Come di soldati stati al servigio del re d'Ungheria e di quelli stati con messere Luigi di Taranto si fece una gran compagnia

Riformato il re d'Ungheria la sua signoria in Napoli, e mandati i reali suoi congiunti in Ungheria, trovò che uno duca Guernieri tedesco stato al suo soldo, e capitano di sua gente dall'Aquila, il dovea tradire per danari a petizione del re Luigi e della reina; della quale tradigione apellò, e vollesi combattere in campo contra uno signore tedesco che·ll'avea accusato; ma·llo re saviamente procedette di non volere loro quistioni. Ma 'l detto duca e gli altri soldati che·ll'aveano servito pagò cortesemente, e fece giurare loro di non prendere soldo dalla Chiesa di Roma né dalla reina, né da meser Luigi, né da nullo suo nimico né contrario, né da meser Luchino Visconti di Milano, né di non essere contra·llui né suoi amici, spezialmente contro a' Fiorentini, Perugini, e Sanesi; e diede loro congio, ch'uscissono del Regno cogli altri soldati ch'erano stati al soldo della reina e di meser Luigi. E feciono una compagna, onde fu capitano il detto duca Guernieri, e furono intorno di IIIm cavalieri, e vennersene in Campagna nelle contrade di Terracina vivendo di ratto. E partita del Regno la detta compagna, se n'andò il re in Puglia in pellegrinaggio al Monte Santo Agnolo e San Nicolò di Bari, e per sagire i baroni e paese di Puglia alla sua signoria, e per cessare la pistolenza della mortalità, che già era cominciata a Napoli grandissima; e 'nanzi si partisse di Napoli mandò al Comune di Firenze e a quello di Perugia e a quello di Siena per suo messo a·ccavallo la 'nfrascritta lettera, la quale facemmo volgarizzare a verbo, ch'era in latino; e il messo che mandò fu vestito nobilemente, e donatoli cavallo e danari dal nostro Comune, e dagli altri.



CXIV - La lettera che mandò il re d'Ungheria al Comune di Firenze

"A' nobili e potenti signori priori, e consiglio e Comune della città di Firenze, amici nostri carissimi e diletti, Lodovico per la Dio grazia re d'Ungheria, di Ierusalemme, e di Cicilia. Imperò che, favorandoci la divina potenza e grazia, noi tegniamo libero e intero tutto il regno di Cicilia di qua dal Faro, a noi già lungo tempo per debito di ragione conceduta, siccome la evidenza del fatto a tutto il mondo fa manifesto e dichiara, noi ad alcuni soldati a cavallo, del servigio de' quali noi al presente non abisognamo, con sodisfazione piena e intera prima a·lloro fatta, facemmo dare licenza, intra' quali il duca Guernieri con certi suoi seguaci fu l'uno, dal quale corporal giuramento alle sante Idio Vangele ricevemmo con lettere della sua promessione fatte alla nostra eccellenza, che contra alla maestà nostra, o contra alcuni diletti nostri o fedeli, e spezialmente e nominatamente contra a voi, overo la vostra comunità o città o distretto vostro, niuna cospirazione farà lega, overo compagnia, pel protesto, da casione, della quale noi o voi, o qualunque altri nostri diletti o fedeli, potessimo essere dannificati, molestati o perturbati inn-alcuno modo. Ma imperò che niuna fede e niuna pietà è in coloro che seguitano le battaglie, e il detto duca Guernieri hae altre volte molte pericolose cose, sotto protesto di compagnia, ausate di fare, e però alla dilezione e carissima amistà vostra con chiara effezione vi rechiamo a memoria, acciò che con diligente cura e sollecitudine veghiate, acciò che alcuna malvagia concezione o rea effezione di quelli soldati non potesse a voi generare alcuno nocimento. E se avenisse che per l'aversità di detti soldati o d'altri nostri invidiatori contra voi o·lla vostra città in alcuna nocevole cosa volesse mandare fuori suo veleno, infino ad ora siamo pronti con tutto il nostro podere a voi dare il nostro aiuto e consiglio opportuno, acciò che·lla sincerità dell'amore, il quale tra' generitori nostri e voi già lungo tempo fu ed è indisolubile, insieme con noi perseveri e continuamente s'acresca e·lli rei de' suoi malivoli propositi e innique operazioni confusione patiscano, e pene sempiterne. Data in Napoli nel nostro castello, dì VIIII del mese di febraio, prima indizione".

E nota, lettore, come felicemente e prosperamente il re d'Ungheria passò inn-Italia sanza alcuno contasto, ma fattoli grande onore e reverenza, e datoli aiuto di cavalieri da tutti i signori e Comuni guelfi e ghibellini che trovò per camino; che·ffu tenuta gran cosa, e quasi maravigliosa, che in LXXX dì che si partì di suo paese, fece in gran parte la vendetta del suo fratello Andreas, ed ebbe a queto il regno di Puglia, per lo piacere di Dio, sanza contasto o battaglia; che per li più si stimò che se meser Luigi e gli altri baroni e reali del Regno ch'erano ragunati a Capova fossono stati d'accordo e messosi al contasto, mai non avea la signoria. Ma a·ccui Iddio vuole male per le peccata gli toglie il podere e·lla concordia. E 'l Cresiastico dice: "Il regno si trasporta di gente in gente per le ingiustizie e ingiurie e contumelie e diversi inganni etc."; e così pare manifestamente che per giudicio d'Iddio avenisse a' reali del regno di Puglia, e desse prosperità al re d'Ungheria. Ben si disse per alcuno astrolago che venne co·llui d'Ungheria ch'elli si partì di sua terra, come dicemmo adietro, a dì III di novembre la mattina, e prese l'ascendente di sua mossa onde fece la figura che disegneremo qui apresso e come si può vedere.

Il suo ascendente pare che fosse il segno dello Scorpione a gradi VIIII e·llo suo signore pianeta, cioè Marti, il qual era nella X casa, che·ssi dice casa reale, e nella faccia di Giovi e termine di Venus fortunati, e nel segno del Leone sua tripicità, e atribuito al paese d'Italia, e con caput Dragonis fortunato e forte, ch'assai chiaro mostrò in parte quello che·lli avenne in suo avenimento. L'altre significazioni e suo fine giudichi chi è dell'arte d'astrologia maestro. Ma noti che quando il re entrò nel Regno, ciò fu a dì XXIIII di dicembre, il suo pianeto Marti cominciò a retrogradare; e quando entrò in Napoli ed ebbe la dominazione, dì XXIII di gennaio, era retrogradato. Lasceremo di questa matera, che non era di necessità al nostro trattato; ma per dare alcuno diletto a'cchi della scienzia s'intende il ci misi. Ancora lasceremo di processi del re d'Ungaria, e diremo come la reina Giovanna e meser Luigi ella prenzessa di Taranto arivarono in Proenza.



CXV - Come mesere Luigi di Taranto e·lla reina Giovanna arrivarono in Proenza

Come in breve dicemmo adietro, quella che·ssi facea chiamare la reina Giovanna, moglie che·ffu del re Andreas, arrivò a Nizza in Proenza a dì XX di gennaio con tre galee, e in sua compagnia meser Maruccio Caraccioli di Napoli, cui ella avea fatto conte camarlingo, e di sua compagnia colla reina si parlava infama di male e di sospetto. Come presono porto a Nizza, se n'andaro ad Acchisi; e·lloro giunti inn Acchisi, il conte d'Avellino de' signori del Balzo e il signore di Salto con altri maggiori baroni di Provenza furono alla detta reina, e di presente feciono pigliare il detto meser Maruccio con VI suoi compagni, e mettere nella pregione di Nuva. La reina con cortese guardia menaro a Castello Arnaldo, e nullo le potea parlare in segreto sanza la presenza de' detti baroni di Provenza; però ch'erano entrati in sospetto e gelosia, ch'ella non facesse scambio della contea di Provenza a un'altra contea di Francia con meser Gianni figliuolo del re di Francia e suo cugino, il quale in quelli giorni era venuto al papa a Vignone col conte d'Armignacca, e statone in trattato col papa, onde i Provenzali s'erano molto iscandalezzati, non volendo esere sottoposti al re di Francia, e quasi voluto fare rubellazione di Proenza col Dalfino di Vienna per la detta cagione, e a petizione del re d'Ungheria; per la qual cosa il papa temendone ne rimandò mesere Gianni in Francia, e contentollo di molti danari; dissesi di fiorini CCm contanti e·lle decime del reame di Francia per V anni a venire a pagare in due, che sono grandissimo tesoro. E così si dispensa il tesoro della Chiesa per lo conquisto della Terrasanta, overo etc.

Messer Luigi di Taranto co·mmeser Niccola Acciaiuoli di Firenze suo fidato compagno venuti a Siena, messer Niccola volendolo menare in Firenze (e già l'avea condotto nel nostro contado in Valdipesa), sentendosi ciò per li priori e gli altri rettori di Firenze, dubitando che·lla sua venuta non generasse scandalo tra' cittadini e indegnazione del re d'Ungheria, ritenendolo in Firenze, di presente mandarono loro incontro due grandi popolari per ambasciadori, difendendo loro non entrassono nella città, ma seguissono loro cammino; e stando co·lloro al continovo, acciò che nullo altro cittadino andasse loro a parlare; e così dimorarono in Valdipesa a' luoghi degli Acciaiuoli per X dì, che nullo cittadino v'andò, se non il vescovo di Firenze, ch'era degli Acciaiuoli, e volea, e andò co·lloro a corte di papa. Di questa venuta di meser Luigi ebbe grande mormorio tra' cittadini, che parte di Guelfi ch'amavano i reali, e ricordavansi de' servigi ricevuti dal prenze di Taranto suo padre, e come meser Carlo suo fratello rimase morto in servigio del nostro Comune con meser Piero suo zio insieme alla sconfitta di Montecatini, l'avessono volentieri ricevuto in Firenze e fattogli grandissimo onore. Ma i rettori, temendo di non dispiacere al re d'Ungheria, tennero il modo detto, e per li savi fu lodato per lo migliore del Comune.

I detti non potendo venire a Firenze, avendo mandato a Genova a·ffare conducere e armare a·lloro amici due galee, e per la Via da Volterra n'andarono, e 'l vescovo co·lloro a Porto Pisano; e·llà si ricolsono a dì XI di febraio; e giunti in Proenza, e sentendo lo stato della reina Giovanna, non s'ardiro di porre né a Nizza né a Marsilia, anzi arrivaro all'Agua Morta, e di là a Belcaro nelle terre del re di Francia, e poi contro a Vignone di là dal Rodano. E 'l vescovo e messer Niccola vennono in Vignone al papa e tanto adoperaro co·llui che la reina Giovanna fu dilibera di Castello Arnaldo, e entrò in Vignone con palio sopra capo, e tutti i cardinali le vennono incontro a cavallo, ricevendola a grande onore, a dì XV di marzo. E meser Luigi venne al papa, e in quello dì riconfermò il papa il disonesto matrimonio da meser Luigi alla detta reina Giovanna. E ancora di questo fu il papa molto caloniato da più Cristiani che 'l seppono. E poi a dì XXVII di marzo il papa diede la rosa dell'oro al detto meser Luigi, essendo in Vignone il re di Maiolica; e poi cavalcò per Vignone con pennone sopra capo a guisa di re, e·lla reina co·llui; si tornarono poi di là da·rRodano, e 'l papa diè loro III cardinali a udire la quistione da·lloro al re d'Ungheria, ch'erano in corte suoi ambasciadori. Lasceremo ora questa matera, e diremo d'altri signori e donne che in questi dì passarono per Firenze.

A dì XXVII di febraio meser Filippino da Gonzago di signori di Mantova, tornando con sua gente d'arme dal re d'Ungheria, che·ll'avea acompagnato fino a Napoli, passò per Firenze e·ffu ricevuto a grande onore, e acompagnato da' rettori e da più cittadini. E di ciò fu ancora grande mormorio per li Guelfi di Firenze, dicendo: "I nostri rettori ricevono in Firenze e fanno onore a' tiranni ghibellini che·cci sono stati incontro co' nostri nimici, e non voluto ricevere meser Luigi", come detto è di sopra: ma pur fu preso il migliore e lodato per li savi, e però n'avemo fatta memoria per asempro per l'avenire.

E a dì X di marzo passò per Firenze la moglie del prenze di Taranto, che·ssi facea sopranomare imperadrice di Gostantinopoli sanza lo 'mperio; era figliuola del duca di Bolbona, figliuolo che·ffu di Chiermonte della casa di Francia; la quale poi che 'l marito cogli altri reali era mandato preso inn-Ungheria, se n'andava in Francia. Fulle in Firenze fatto grande onore d'acompagnarla di cavalieri e di donne, e albergalla in casa Peruzzi, faccendole il Comune le spese riccamente; due dì ci dimorò, e per lo cammino andando e vegnendo, per lo contado e distretto di Firenze. E 'l Comune le fece lettere al papa, pregandolo, e racomandandogliele, s'adoperasse col re d'Ungheria della diliberazione del suo marito e degli altri innocenti reali. Lasceremo alquanto delle sequele occorse per l'avenimento del re d'Ungheria, ch'assai n'avemo detto, e torneremo a dire d'altre novità state in Firenze e altrove in questi tempi.



CXVI - Quando si cominciò il muro da San Ghirigoro inn-Arno, che richiude le due pile del ponte Rubaconte

In questo anno MCCCXLVII si cominciò a fondare inn-Arno di costa a San Ghirigoro un grosso muro con pali a castello, e presono due pile e due arcora del ponte Rubaconte di là da l'Arno andando diritto verso levante infino alla coscia del ponte Reale, che·ss'ordinò di fare. E di qua dal ponte più tempo dinanzi s'era cominciato similemente uno muro, prendendo una pila e arco del detto ponte, andando fino al castello Altrafonte. Questi muri s'ordinaro per conducere l'Arno dentro alla città per diritto canale e acrescerne terreno alla città, spezialmente verso San Niccolò, ed era la città più forte, più bella avendo il riguardo e parapetto del muro a modo di pila, sicché l'ordine e 'l lavorio de' detti muri fu bene proveduto, faccendosi una agiunta, ch'è di nicistà, cioè di fare un muro cominciandolo di qua dal fiume d'Arno alla coscia del ponte Reale, e continuandolo verso levante infino alle mulina di San Salvi; allargando la bocca ed entrata del fiume d'Arno, acciò che crescendo l'Arno, non venisse di sopra a' fossi e mura di qua alla porta della Croce o più oltre, come avenne l'anno MCCCXXXIII al tempo del diluvio: e sarebbene la terra più forte e più bella, e raquisterebbesi terreno, che varrebbe più non costerebbe il muro, il quale si farà, quando a quelli reggono la città piacerà loro.



CXVII - Come i Bostoli furo cacciati d'Arezzo

Nel detto anno, all'uscita d'ottobre, quelli della casa de' Bostoli a romore di popolo furono cacciati d'Arezzo per forze e tirannie che facieno a' cittadini popolari di quella; e bene che inn-Arezzo fossono capo di parte guelfa, egli erano isconoscenti e ingrati, spezialmente contro al nostro Comune di Firenze; che quando erano fuori d'Arezzo cogli altri Guelfi, erano sostenuti al soldo del nostro Comune, e fatta per loro la guerra contro a' Tarlati; e poi per lo nostro Comune rimessi in Arezzo in grande stato e signoria. Ed ellino per loro superbia peggio trattavano i nostri rettori e cittadini che v'erano per lo Comune di Firenze, e del continovo puttaneggiavano col Comune di Perugia, per diminuire la signoria del Comune di Firenze, per meglio potere tiranneggiare. Ma a·cciò non guardò il nostro Comune, perch'erano Guelfi, di fare loro rendere i beni loro, e ordinalli a' confini a·lloro castella e possesioni fuori d'Arezzo; ma male stettono contenti ne' termini e confini loro dati, ch'al continuo stavano in trattati co·lloro amici dentro. E a dì XI d'aprile seguente, la notte, co·lloro amici a cavallo e a piè vennero alla terra con iscale scalandola per entrare dentro; furono sentiti e ripinti per forza fuori, e di presi di quelli d'entro, che rispondieno loro; di certi fu fatta giustizia, ed ellino e·lloro seguaci condannati per traditori e ribelli.



CXVIII - Di certe novità che in questi tempi furono in Firenze

All'uscita di novembre e·ll'entrata di dicembre del detto anno subitamente montò il grano in Firenze, di soldi XXII che valea lo staio, in uno mezzo fiorino d'oro, e infino soldi XXXV lo staio, onde il popolo si maravigliò, e temette forte, dubitando non tornasse la carestia passata. E·cciò avenne perché la Romagna, d'onde ci solea venire il grano delle circustanze del Mugello, n'andava in Romagna, però che in Vinegia avea gran caro di grano; e per la generale mortalità e infermità delle terre marine, come detto avemo adietro, e per la venuta del re d'Ungheria in Puglia, i Viniziani non potieno avere tratta di grano né di Cicilia né di Puglia; e' Viniziani male potieno navicare. Provvidesi sopra·cciò per gli uficiali della vittuaglia di fare guardare i confini del nostro contado verso Romagna, e di fare venire grano da Pisa e di Maremma e di Siena e d'Arezzo, onde per la providenza buona tosto tornò in soldi XXII e soldi XX lo staio.

E a dì XI di gennaio si fece riformagione per lo Comune, e ordinossi che·lle signorie, come la podestà, entrasse al suo uficio a calen di gennaio e in calen di luglio, e 'l capitano del popolo in calen di maggio e in calen di novembre, e·ll'esecutore degli ordini della giustizia in calen di aprile e in calen di ottobre, com'era usato per li tempi passati; i quali tempi s'erano rimossi per la tirannia del duca d'Atene, che·lli facea a suo beneplacito quando signoreggiò Firenze. E ordinossi che come fossero entrate le dette signorie, incontanente infra XV dì apresso i priori e gli altri collegi ch'hanno ad eleggere le dette signorie li dovessono eleggere sotto certa pena, per cessare le pregherie di rettori, e non avere cagione di raffermarli; che·ffu buono e ottimo dicreto, quando s'osservasse. Ma il nostro difetto di mutare spesso leggi e ordini e costumi col non istante che·ssi mette nelle riformagioni del Comune guasta ogni buono ordine e legge, ma è·ssi nostro difetto quasi naturato,

[...] che in mezzo novembre

Non giugne quel che·ttu d'ottobre fili,

come disse il nostro poeta.



CXIX - Come la città di Pisa mutò stato e reggimento

Nel detto anno, reggendosi la città di Pisa sotto il governo di messer Dino e di Tinuccio della Rocca di Maremma loro distrettuale sotto titolo di loro conti, i quali conti erano giovani di tempo, e morti i loro maggiori, e' detti della Rocca con altri loro seguaci popolani l'avieno retta buono tempo a·lloro senno, e chiamavasi la setta de' Raspanti; ma assai bene reggeano la terra, se non che se n'erano signori liberi; l'altra setta, che non reggeano né avieno ufici in Comune, e per dispetto gli chiamavano i Bergoli, i quali erano Gambacorti e Agliati e altri ricchi mercatanti e popolani, e' nobili e' grandi v'erano poco richesti e peggio trattati; e parendo a' detti noboli e popolari esere mal trattati e schiusi degli ufici, segretamente s'acordarono insieme, e poi co' conestaboli delle masnade con grandi impromesse, e·lla vilia di Natale, dì XXIIII di dicembre, levaro la città a romore gridando: "Viva il popolo e libertà!", e corsono la terra, e cacciarne i conti e' detti della Rocca e' loro seguaci, sanza altro mal fare in persone, se non di rubare e mettere fuoco nelle case di quelli della Rocca. E mandarli a' confini i conti e·lloro in diversi luoghi e paesi. E Andrea Gambacorti con suoi seguaci se ne feciono signori.



CXX - D'uno grande segno e miracolo ch'aparve in Vignone

Nel detto anno, a dì XX di dicembre, la mattina levato il sole, aparve in Vignone in Proenza, ov'era la corte del papa, sopra i palazzi e abituri del detto papa, quasi com'una colonna di fuoco, e dimoròvi per ispazio d'una ora; la quale da tutti i cortigiani fu veduta, e faciensene grande maraviglia; e con tutto che·cciò potesse essere naturalmente per li raggi del sole al modo dell'arco, tuttora fu segno di future e grandi novitadi che avennero apresso, come leggendo si potrà trovare.



CXXI - Come i Guelfi furono cacciati di Spuleto

Nel detto anno, a dì X di gennaio, mesere Piero di meser Cello di Spuleto, il quale n'era fuori a' confini, a pitizione degli altri grandi Guelfi di Spuleto, perché usava contro a·lloro e gli altri soperchia maggioranza cittadina, il detto meser Piero con suoi seguaci e amici e aiuto del capitano del Patrimonio e del duca di Spuleto venne alla terra con suo sforzo di genti a cavallo e a piè, e datagli l'entrata d'una porta, entrò combattendo nella terra. I cittadini ciò sentito, levaronsi a romore, e presono l'armi, onde si feciono caporali i Guelfi della terra medesimi, e per forza combattendo ruppono mesere Piero e' suoi con danno di loro, e cacciarli della terra. E pochi dì apresso i Ghibellini della terra avendo sospetto de' Guelfi che v'erano, con tutto che fossono stati co·lloro a cacciarne meser Piero e' suoi seguaci, come ingrati e sconoscenti gli cacciarono di Spuleto; onde, tutto fosse loro fatta sconcia cosa, fu giusta vendetta e presta, perché n'avieno cacciati i loro Guelfi medesimi. E avenne loro la parola del Vangelo: "Regno in se medesimo diviso disolabitur". Lasceremo di queste matere per raccontare un grande giudicio e quasi incredibile che a questi tempi avenne per tremuoti nella città di Pisa, di Vinegia e di Padova, ma più in Frioli e in Baviera.



CXXII - Di grandi tremuoti che furono in Vinegia, Padova, e Bologna, e Pisa

Nel detto anno, venerdì notte dì XXV di gennaio, furono diversi e grandissimi tremuoti in Italia nella città di Pisa, e di Bologna, e di Padova, maggiori nella città di Vinegia, nella quale ruvinarono infiniti fummaiuoli, che ve ne avea assai e belli; e più campanili di chiese e altre case nelle dette città s'apersono, e tali rovinarono. E significarono alle dette terre danni e pistolenze, come leggendo inanzi si potrà trovare. Ma i pericolosi furono la detta notte in Frioli, e inn Aquilea, e in parte dalla Magna, sì fatti e per tale modo e con tanto danno, che dicendolo o scrivendolo parranno incredibili; ma per dirne il vero e non errare nel nostro trattato, sì·cci metteremo la copia della lettera che di là ne mandaro certi nostri Fiorentini mercatanti e degni di fede, il tinore delle quali diremo qui apresso, scritte e date inn-Udine del mese di febraio MCCCXLVII.



CXXIII - Di grandi tremuoti che furono in Frioli e in Baviera

Avrete udito di diversi e pericolosi tremuoti che sono stati in questi paesi, i quali hanno fatto grandissimo danno. Correndo gli anni del nostro Signore, secondo il corso della chiesa MCCCXLVIII, indizione prima, ma secondo il nostro corso della Anuziazione, ancora nel MCCCXLVII, a dì XXV di gennaio, il dì di venerdì, il dì della conversazione di san Paolo, ad ore VIII e quarta appresso vespro, che viene ore V infra la notte, fu grandissimo tremuoto, e durò per più ore, il quale non si ricorda per niuno vivente il simile.

In prima in Sancille la porta di verso Friole tutta cadde. Inn-Udine cadde parte del palazzo di meser lo patriarca, e più altre case; cadde il castello di Santo Daniello in Frioli, e morìvi più uomini e femmine; caddono due torri del castello di Ragogna, ed iscorsono infino al Tagliamento, cioè uno fiume così nomato, e morìvi più genti.

In Gelmona la metà e più delle case sono rovinate e cadute, e 'l campanile della maggiore chiesa è tutto fesso e aperto, e·lla figura di san Cristofano intagliato in pietra viva si fesse tutta per lungo. Per li quali miracoli e paura i prestatori a usura della detta terra, convertiti a penitenzia, feciono bandire che ogni persona ch'avessono loro dato merito e usura andasse a·lloro per essa; e più d'otto dì continuarono di renderla.

A Vencione il campanile della terra si fesse per mezzo, e più case rovinarono. Il castello di Tornezzo e quello di Dorestagno e quello di Destrafitto caddono e rovinarono quasi tutti, ove morirono molte genti.

Il castello di Lemborgo, ch'era in montagna, si scommosse; rovinando fu trasportato per lo tremuoto da X miglia del luogo dov'era in prima, tutto disfatto. Uno monte grandissimo, ov'era la via ch'andava al lago Dorestagno, si fesse e partissi per mezzo con grande rovina, rompendo il detto cammino.

E Ragni e Vedrone, due castella, con più di L ville, che sono sotto il contado da Gurizia, intorno al fiume di Gieglia, sono rovinate e coperte da due monti, e quasi tutte le genti di quelle perite.

La città di Villaco in Frioli vi rovinarono tutte le case, se non fu una d'un buono uomo, e giusto, e caritevole per Dio. E poi del suo contado più di LX sue tra castella e ville sopra il fiume d'Atri per simile modo detto di sopra sono tutte rovinate e somerse da due montagne, e ripiena la valle onde correa il detto fiume per più di X miglia; e 'l monistero d'Orestano rovinato e somerso, e mortavi molta gente. E 'l detto fiume non avendo sua uscita e corso usato, al di sopra ha fatto uno nuovo e grande lago. Nella detta città di Villaco molte maraviglie v'apariro, che·lla grande piazza di quella si fesse a modo di croce, della quale fessura prima uscì sangue e poi acqua in grande quantità. E nella chiesa di Santo Iacopo di quella città vi si trovarono morti uomini che v'erano fuggiti, sanza gli altri morti per la terra, più delle tre parti degli abitanti; iscamparono per divino miracolo i Latini e' forestieri e' poveri. Per Carnia più di XVm uomini sono trovati morti per lo tremuoto; e tutte le chiese di Carnia sono cadute, e·lle case e 'l monistero d'Osgalche e quello di Verchir tutti sobbissati.

In Baviera la città di Trasborgo, e Paluzia, e·lla Muda, e·lla Croce oltramonti, la maggiore parte delle case cadute, e morta molta gente.

E nota, lettore, chelle sopradette rovine e pericoli di tremuoti sono grandi segni e giudici di Dio, e non sanza gran cagione e premessione divina, e di quelli miracoli e segni che Gesù Cristo vangelizzando predisse a' suoi discepoli che dovieno apparire alla fine del secolo.

 

FINE

Indice Libri - Freenfo.net