Honoré de Balzac



I PICCOLI BORGHESI

 

 

 

 

 

 

A COSTANZA-VITTORIA

 

Signora, ecco una di quelle opere che piovono, non si sa come, in mente e piacciono a un autore prima che egli possa prevedere l'accoglienza che le tributerà il pubblico, sommo giudice del momento.

Quasi certo della vostra indulgenza per il mio fervore vi dedico questo libro; spetta voi come un tempo spettava la decima alla Chiesa, in memoria di Dio che fa sbocciare e maturare ogni cosa nei campi come nell'intelletto.

Qualche residuo di creta lasciato da Molière ai piedi della sua colossale statua di Tartufo è stato qui impiegato con mano più ambiziosa che esperta; ma, quale che sia la istanza che mi separa dal massimo dei comici, sarò lieto d'avere utilizzato queste briciole raccattate alla sua ribalta effigiando l'odierno ipocrita in azione.

La ragione che più mi ha stimolato a questa ardua impresa fu di trovarla aliena da ogni tema religioso, che doveva essere evitato per riguardo a voi, così devota, e per quella che un grande scrittore ha definita L'INDIFFERENZA IN MATERIA DI RELIGIONE.

Possa il duplice significato dei vostri nomi servire di buon auspicio al libro! E degnatevi scorgere in esso l'espressione della deferente gratitudine di colui che osa professarsi il vostro più devoto servitore.

H. DE BALZAC.

 

 

1

LA PARIGI CHE SE NE VA

 

Il cancelletto girevole Saint-Jean, la cui descrizione, all'inizio dello studio intitolato "Una doppia famiglia" nelle "Scene della vita privata", fu a suo tempo giudicata tediosa, questa ingenua struttura della vecchia Parigi sopravvive ormai solo in tale menzione tipografica. L'erezione del Municipio, come oggi appare, ha spazzato via tutto un quartiere.

Nel 1830 i passanti potevano ancora scorgere il cancelletto dipinto sull'insegna di un vinaio ma la casa venne successivamente abbattuta.

Rammentare questa benemerenza non equivale ad annunciarne un'altra di non minore importanza? Ahimè, la vecchia Parigi sta sparendo con celerità spaventosa. Qua e là, in quest'opera, ne rimarrà traccia ora in una tipica abitazione medievale, come quella descritta all'inizio del "Chat-qui-pelote", ora nella casa abitata dal giudice Popinot, in rue du Fouarre, simbolo d'una borghesia di vecchio stampo. Qua i ruderi della dimora di Fulbert; là l'intero bacino della Senna sotto Carlo Nono. Redivivo "Old Mortality", perché lo storico della società francese non dovrebbe salvaguardare queste tipiche espressioni del passato come il vegliardo di Walter Scott preservava le tombe? Certo, da un decennio circa, le critiche dei letterati non sono state inutili: l'arte comincia a rivestire coi suoi fiori le ignobili facciate di quelle che a Parigi son chiamate "case da speculazione" e che un nostro poeta paragona a dei comò.

Facciamo qui notare che la creazione della commissione municipale "del ornamento" (sic) che sovrintende, a Milano, all'architettura delle facciate prospicienti la strada e alla quale ogni proprietario è tenuto a sottoporre i suoi progetti, risale al dodicesimo secolo. Chi non ha perciò ammirato, in questa bella capitale, i risultati dell'attaccamento di borghesi e nobili alla propria città nel contemplare con piacere (sic) edifici pieni d'originalità e distinzione?... La speculazione laida e sfacciata che, d'anno in anno, abbassa l'altezza dei piani, ricava un appartamento dall'area ottenuta mediante la soppressione d'un salone, che elimina i giardini, influirà sui costumi parigini. Tra poco la gente sarà costretta a vivere più fuori che dentro. Dov'è ormai la sacralità della vita privata, la libertà di starsene in casa propria? Comincia allorquando si posseggono cinquantamila franchi di rendita. Pochi milionari, del resto, si permettono il lusso d'una palazzina protetta da un cortile verso la strada, sottratta alla curiosità dei passanti dal fogliame d'un giardino.

Livellando le fortune, il titolo del Codice che regola le successioni ha prodotto quei falansteri in pietre di piccole dimensioni che ospitano trenta famiglie e procurano centomila franchi di reddito. Tra cinquant'anni, perciò, Parigi conterà sulla punta delle dita case analoghe a quella in cui risiedeva, all'inizio di questa storia, la famiglia Thuillier; una casa davvero curiosa e che merita l'onore d'una descrizione accurata, non foss'altro che per paragonare la Borghesia passata alla presente.

Ubicazione e aspetto della casa, cornice di questo quadro di costumi, han del resto un sapore di piccola borghesia, che può attrarre o distogliere l'attenzione, a seconda dei gusti individuali. La casa dei Thuillier, per cominciare, non apparteneva né al signore né alla signora bensì alla signorina Thuillier, sorella maggiore del signor Thuillier. Questa casa, comprata nei sei mesi susseguenti la rivoluzione del 1830 dalla signorina Maria-Gianna-Brigitte Thuillier, la primogenita, è situata a metà della rue Saint-Dominique-d'Enfer, di modo che l'ala abitata dai Thuillier, tra cortile e giardino, è esposta a mezzogiorno.

La spinta progressiva con la quale la popolazione parigina va spostandosi sulle alture della riva destra della Senna, abbandonando la sinistra, da tempo nuoceva alla vendita delle proprietà del quartiere detto Latino quando circostanze, che emergeranno dal carattere e dalle consuetudini del signor Thuillier, indussero la sorella all'acquisto d'una casa: la ottenne al prezzo irrisorio di quarantaseimila franchi per il corpo principale; le parti secondarie vennero a costare seimila franchi; cinquantaduemila franchi in tutto.

La distinta particolareggiata della proprietà, redatta in stile burocratico, e i risultati ottenuti dal signor Thuillier spiegheranno con quali mezzi tante fortune s'accrebbero nel luglio 1830, mentre tante altre colavano a picco.

Sulla via la casa mostrava una facciata in pietre di piccole dimensioni intonacata in gesso, patinata dal tempo e rigata dall'uncino del muratore in modo da simulare pietre squadrate. Questo tipo di facciata è così comune a Parigi e talmente brutto che la città dovrebbe premiare i proprietari che costruiscono in pietra e scolpiscono facciate nuove. Questa fronte grigiastra, forata da sette finestre, era alta tre piani e sormontata da mansarde coperte di tegole. La porta carraia, grossa e massiccia, rivelava nella fattura e nello stile che la casa era stata eretta sotto l'Impero per utilizzare parzialmente il cortile d'una vasta e antica abitazione al tempo in cui il quartiere d'Enfer era abbastanza rinomato.

Da un lato c'era l'alloggio del custode, dall'altro iniziava la rampa della scala di questa prima casa. Due corpi di fabbrica, addossati alle abitazioni attigue, avevano in passato servito da rimesse, scuderie, cucine e dipendenze per la casa di fondo; ma, a partire dal 1830, erano stati adibiti a magazzino.

Il lato destro era affittato ad un grossista in carta noto come signor Métivier nipote; il sinistro ad un libraio di nome Barbet. Gli uffici dei due negozianti erano situati sopra i rispettivi magazzini e il libraio abitava al primo e il cartaio al secondo piano della casa che dava sulla strada. Métivier nipote, trafficante in carta più che negoziante; Barbet, più usuraio che libraio, adoperavano entrambi quei vasti depositi per riporvi, l'uno partite di carta comprate da fabbricanti in crisi, l'altro tirature di volumi ceduti in pegno dei suoi prestiti.

Il pescecane della libreria e il luccio della cartiera vivevano d'amore e d'accordo e le loro operazioni, prive della vivacità che caratterizza la vendita al minuto, conducevano poche carrozze nel cortile, così tranquillo che il portinaio era costretto abitualmente a sradicare l'erba fra le pietre del selciato. I signori Barbet e Métivier, poco più che comparse in questa storia, facevano rare visite ai proprietari e poiché la loro puntualità nel pagare l'affitto li annoverava fra i buoni inquilini erano ritenute persone degnissime dagli ospiti dei Thuillier.

Quanto al terzo piano che dava sulla strada, si componeva di due appartamenti: l'uno occupato dal signor Dutocq, cancelliere alla Conciliatura, ex impiegato in pensione, frequentatore assiduo del salone Thuillier; l'altro, dal protagonista della presente storia: ci si dovrà perciò accontentare, per ora, di precisare l'importo dell'affitto, settecento franchi, e la posizione che egli aveva gradualmente assunto in quell'ambiente tre anni prima del momento in cui il sipario s'alzerà su questo dramma domestico.

Il cancelliere, cinquantenne scapolo, occupava il migliore dei due appartamenti al terzo piano; aveva una cuoca e pagava mille franchi d'affitto. Due anni dopo l'acquisto, la signorina Thuillier veniva quindi a percepire settemiladuecento franchi di reddito da una casa che il precedente proprietario aveva munita di persiane, restaurata all'interno, ornata di vetri, senza poter né venderla né affittarla; e i Thuillier, sistemati in grande come si vedrà, godevano di uno dei più bei giardini del quartiere, i cui alberi ombreggiavano la solitaria e stretta rue Neuve-Sainte-Catherine.

Questa casa, situata fra cortile e giardino, si dice fosse stata il capriccio d'un borghese arricchito sotto Luigi Quattordicesimo, d'un presidente del Parlamento o l'abitazione d'un tranquillo studioso.

Sprigionava, dalle sue belle pietre da taglio consunte dal tempo, una certa aria di grandiosità Luigiquattordiciana (ci si consenta il barbarismo); i falsi pilastri della facciata son disposti a corsi, i riquadri delle rosse tegole rammentano i fianchi delle scuderie di Versailles, le finestre a centina sono abbellite da maschere al colmo e sotto il davanzale. La porta infine, a piccoli riquadri in alto e piena in basso, da cui s'intravedeva il giardino, ha quello stile sobrio e privo d'enfasi impiegato di solito per l'abitazione del custode nei castelli reali.

Questo padiglione a cinque finestre è composto di due piani oltre il terreno e spicca per un tetto a quattro spioventi culminato da una banderuola e traforato da bellissimi camini e da finestrini ovali. Era forse l'avanzo di qualche gran palazzo; ma nelle vecchie piante di Parigi nulla s'è rinvenuto che confermasse tale ipotesi; inoltre i documenti della signorina Thuillier indicano quale possessore, sotto Luigi Quattordicesimo, Petitot, il celebre pittore su smalto che aveva ricevuto la proprietà dal presidente Le Camus. Forse il presidente aveva abitato il padiglione nel periodo in cui stava facendo erigere il suo famoso palazzo in rue de Thorigny.

Toga e Arte sono perciò passate in quel luogo di pari passo. Eppure quale perfetta sintesi tra bisogni e piaceri aveva presieduto alla suddivisione del padiglione all'interno! A destra, entrando in una sala quadrata che funge da anticamera, si diparte una scala in pietra sotto la quale c'è la porta della cantina; a sinistra s'aprono gli usci di un salone con due finestre prospicienti il giardino e di una sala da pranzo che dà sul cortile. Essa comunica lateralmente con una cucina attigua ai magazzini di Barbet. Dietro la scala, dalla parte del giardino, s'apre un magnifico e lungo studio con due finestre. Il primo e il secondo piano compongono due appartamenti completi e gli alloggi dei domestici sono indicati, sotto il tetto a quattro falde, dalle finestrelle ovali. Una splendida stufa orna l'ampio vestibolo quadrato al quale due porte a vetri, una in faccia all'altra, danno luce. Questa stanza, dal pavimento in lastre di marmo bianco e nero, spicca per un soffitto a travetti sporgenti, già dipinti e dorati ma ricoperti, probabilmente sotto l'Impero, da una mano di tinta bianca uniforme. Di fronte alla stufa c'è una fontana in marmo rosso con la conca pure in marmo. I tre usci dello studio, del salone e della sala da pranzo hanno sovraporte con cornici ovali e i dipinti avrebbero urgente bisogno di restauro. La parte lignea è pesante ma le decorazioni abbastanza belle. Il salone, completamente rivestito in legno, ricorda il gran secolo, sia per il camino in marmo di Languedoc, sia per il soffitto a fregi negli spigoli oltre che per la forma delle finestre, ancora a quadrelli in vetro. La sala da pranzo, cui si accede dal salone attraverso una porta a due battenti, ha il pavimento in lastre di pietra e il rivestimento in quercia, è priva di dipinti e l'atroce tappezzeria moderna in carta ha surrogato l'antica.

Il soffitto, in castagno a cassettoni, non è stato alterato. Lo studio, ammodernato da Thuillier, acuisce le discrepanze. L'oro e il bianco delle modanature del salone sono talmente sciupati che non si scorge più che un tracciato rosso al posto dell'oro, e il bianco, ingiallito e striato, va squamandosi. Mai il detto latino "Otium cum dignitate" ha avuto commentario più eloquente, agli occhi d'un poeta, che in questa nobile dimora. I ferri battuti della ringhiera della scala sono degni del magistrato e dell'artista; ma per scoprirne oggi le tracce nei balconi lavorati del primo piano, nei resti di questo rudere imponente, occorrono appunto gli occhi d'un poeta.

I Thuillier e i loro predecessori hanno deturpato più volte questo gioiello dell'alta borghesia con i gusti e le trovate della piccola borghesia. Cercate d'immaginarvi sedie in noce scura, di crine, una tavola in mogano coperta di tela cerata, credenze pure in mogano, un tappeto di seconda mano sotto il tavolo, lampade in latta marezzata, una tappezzeria in carta verde americana dal bordo rosso, esecrabili incisioni a fumo e tendine in calicò ornate di galloni rossi in questa sala da pranzo in cui sedettero a banchetto gli amici di Petitot...

Immaginatevi l'effetto che fanno, nel salone, i ritratti del signor, signora e signorina Thuillier eseguiti da Pierre Grassou, il pittore dei borghesi; tavoli da gioco vecchi di vent'anni, cantoniere del tempo dell'Impero, un tavolo da tè con sopra una grande lira, un mobile in mogano nodoso con guarnizioni in velluto dipinto e il fondo color cioccolato; una pendola sul camino raffigurante la Bellona imperiale, candelabri a colonnine scanalate, tende di damasco in lana e mussolina ricamata tenute semiaperte da liste in cuoio stampato...

Sul pavimento in legno è steso un tappeto dozzinale. La bella anticamera oblunga ha sedili in velluto, e pareti a pannelli scolpiti sono coperte da armadi di varia data, provenienti dagli appartamenti occupati precedentemente dai Thuillier. Una tavola copre la fontana e sopra v'è collocata una lampada fumosa che data dal 1815. In ultimo la paura, questa divinità abietta, ha indotto a collocare dal lato del giardino come pure da quello del cortile doppie porte foderate in latta che di giorno vengono ripiegate contro il muro e di notte sbarrate.

E' facile spiegare l'esecrabile profanazione usata a quel monumento della vita privata del diciottesimo secolo da quella del diciannovesimo. Forse agli inizi del Consolato un capomastro, acquirente del palazzetto, volle utilizzare il terreno prospiciente la strada e demolì verosimilmente il bel portone carraio fiancheggiato dai padiglioncini completanti quel grazioso "soggiorno", per usare la terminologia antica, e l'intraprendenza del proprietario parigino imprime il suo marchio in fronte a questa eleganza, proprio come il giornale e i suoi torchi, la fabbrica e i suoi magazzini, il commercio e i suoi banchi sostituiscono l'aristocrazia, la vecchia borghesia, la finanza e la magistratura ovunque esse avevano sfoggiato i loro splendori. Quale interessante studio riuscirebbe quello dei titoli di proprietà a Parigi! Una casa di cura funziona, in rue des Batailles, sulla dimora del cavaliere Pierre Bayard du Terrail; il terzo stato ha costruito la strada sull'area di palazzo Necker. La vecchia Parigi se ne va, seguendo i re che se ne sono andati. Per un capolavoro architettonico salvato da una principessa polacca quanti palazzetti cadono, come l'abitazione di Petitot, nelle mani dei Thuillier! Ma ecco le ragioni che fecero della signorina Thuillier la proprietaria di questa casa.

 

 

 

2

IL BEL THUILLIER

 

Alla caduta del ministero Villèle, il signor Jérome-Luigi Thuillier, che da ventisei anni era alle Finanze, divenne sottocapo; ma cominciava appena a godere dell'autorità in subordine d'un posto che, in passato, era la sua massima aspirazione che gli avvenimenti del luglio 1830 lo costrinsero a dimettersi. Egli calcolò accortamente che la pensione sarebbe stata onorevolmente e celermente fissata da persone liete di trovare un posto in più, ed ebbe ragione in quanto essa fu determinata in millesettecento franchi.

Quando il prudente sottocapo accennò a lasciare l'Amministrazione la sorella, compagna della sua esistenza assai più della moglie, tremò per l'avvenire dell'impiegato.

- Che avverrà di Thuillier?... - fu la domanda che si rivolsero con reciproco tremore la signora e la signorina Thuillier, alloggiate allora in un appartamentino al terzo piano in rue d'Argenteuil.

- Le pratiche per la pensione lo terranno occupato per un po', aveva detto la signorina Thuillier; - ma ho in mente un investimento dei miei risparmi che gli darà da fare... Sì, occuparsi di una proprietà sarà quasi come continuare ad amministrare.

- Sorella, gli salverete la vita! - esclamò la signora Thuillier.

- Ma io ho sempre pensato a questa crisi nella vita di Jérome! rispose l'anziana zitella con tono di protezione.

La signorina Thuillier aveva udito troppo spesso il fratello dire: - Il tale è morto! Non è sopravvissuto due anni al collocamento a riposo -. Troppo spesso aveva inteso Colleville, amico intimo di Thuillier e impiegato al pari di lui, scherzare su questo periodo climaterico dei burocrati e affermare: - Ci arriveremo pure noi!... - per non considerare il pericolo che il fratello correva. Il trapasso dall'attività all'inazione è, in effetti, la fase critica dell'impiegato. I pensionati che non sanno o possono sostituire altre occupazioni a quelle che devono lasciare cambiano in modo strano:

alcuni muoiono; molti si dedicano alla pesca, occupazione la cui vuotaggine è simile al lavoro d'ufficio; altri, più scaltri, divengono azionisti, perdono i propri risparmi e son felici d'ottenere un posto nell'impresa che, dopo un iniziale fallimento, ha successo in mani più abili che la guatavano al varco; l'impiegato si frega le proprie, completamente vuote, dicendosi: "Però avevo subodorato la riuscita dell'affare..." Ma quasi tutti combattono contro le loro vecchie abitudini.

- Ve ne sono di quelli, - asseriva Colleville, - che sono divorati dallo spleen (pronunciava "splenne") tipico degli impiegati, muoiono delle loro circolari rientrate; hanno non il verme ma il cartone solitario -. Il piccolo Poiret non poteva guardare una cartella bianca orlata d'azzurro senza che questa vista amata gli facesse cambiar colore; dal verde passava al giallo.

La signorina Thuillier era considerata il genio della famiglia; non le mancava energia né risolutezza, come la sua storia personale dimostrerà. Questa superiorità, limitata del resto al proprio ambiente, le permetteva di giudicare obiettivamente il fratello, sebbene l'adorasse. Viste fallire le speranze riposte nel suo idolo aveva, nel suo affetto, troppo spirito materno per ingannarsi sul valore sociale del sottocapo. Thuillier e la sorella erano figli del custode principale del ministero delle Finanze. Jérome era sfuggito, grazie alla miopia, a tutte le precettazioni e coscrizioni possibili.

Il padre ebbe l'ambizione di fare del figlio un impiegato. All'inizio del presente secolo c'erano troppi posti nell'esercito perché non ve ne fossero anche molti negli uffici, e la carenza d'impiegati d'ordine permise al grosso padre Thuillier di far varcare al figlio i primi gradini della gerarchia burocratica. Il custode morì nel 1814 lasciando Jérome alle soglie della promozione a sottocapo ma senza altri beni salvo tale speranza. Il grosso Thuillier e la moglie, morta nel 1810, s'erano messi a riposo nel 1806 con la sola pensione avendo prodigato tutte le sostanze per impartire a Jérome l'educazione del tempo e aiutarlo a sostentarsi insieme alla sorella. Sono noti gli effetti della Restaurazione sulla burocrazia. Dai quarantuno dipartimenti soppressi si riversò una massa d'impiegati meritevoli che chiedevano posti inferiori a quelli che occupavano. A questi diritti acquisiti vennero ad aggiungersi quelli delle famiglie proscritte, rovinate dalla Rivoluzione. Premuto tra questi opposti affluenti Jérome fu lieto di non esser destituito con qualche futile pretesto.

Tremò fino al giorno in cui, promosso per caso sottocapo, fu certo d'un collocamento a riposo onorevole. Questo rapido riassunto spiega la scarsa importanza e le poche conoscenze del signor Thuillier. Aveva appreso il latino, la matematica, la storia e la geografia che s'imparano in convitto; ma s'era fermato alla seconda classe dato che il padre aveva voluto cogliere un'occasione favorevole per farlo entrare al ministero, vantando la "mano superba" del figlio. Se perciò il piccolo Thuillier registrò i primi titoli nel libro mastro del Debito Pubblico non apprese né retorica né filosofia. Ingranato nella macchina ministeriale coltivò poco le lettere, meno ancora le arti; acquisì una conoscenza puramente empirica delle sue funzioni; e quando, sotto l'Impero, ebbe occasione d'entrare nella cerchia degli impiegati superiori ne assimilò i modi esteriori che occultarono il figlio del custode ma non provò neppure a cimentarsi con la cultura.

L'ignoranza gl'insegnò a tacere e il silenzio gli tornò utile; s'abituò, sotto il regime imperiale, all'obbedienza passiva che piace ai superiori e a tale qualità dovette, più avanti, la promozione a sottocapo. La sua routine divenne estesa esperienza, i suoi modi e il suo mutismo celarono l'assenza d'istruzione. Tale nullità fu un titolo quando occorse un uomo da nulla. S'ebbe timore di scontentare due partiti avversi alla Camera, ognuno dei quali sosteneva un suo uomo, e il ministero si cavò d'impaccio applicando la regola dell'anzianità.

Ecco in qual modo Thuillier divenne sottocapo. La signorina Thuillier, sapendo che il fratello detestava la lettura e non poteva sostituire il trambusto dell'ufficio con altre faccende, aveva deciso saviamente di buttarlo nei fastidi della proprietà, nella manutenzione d'un giardino, nelle minuscole inezie della vita borghese e nelle beghe fra vicini.

Il trasloco della famiglia Thuillier dalla rue d'Argenteuil alla rue Saint-Dominique-d'Enfer, le responsabilità connesse all'acquisto, la ricerca d'un portiere adatto, gli inquilini da far venire impegnarono Thuillier dal 1831 al 1832. Quando il fenomeno del trapianto fu compiuto, quando la sorella vide che Jérome resisteva a tale operazione, gli trovò altre incombenze cui accenneremo oltre, ma la causa delle quali va cercata nel temperamento di Thuillier e che non è inutile specificare.

Benché figlio d'un custode del ministero Thuillier era quel che si dice un bell'uomo; di statura superiore alla media, snello, d'aspetto assai avvenente con gli occhiali ma orribile, come molti miopi, quando li toglieva, dato che l'abitudine a guardare attraverso le lenti aveva steso una specie di velo sulle pupille.

Tra i diciotto e i trent'anni il giovane Thuillier ebbe successo con le donne, sempre in una cerchia che andava dalla piccola borghesia al capo divisione; ma è noto che sotto l'Impero la guerra lasciava la società piuttosto sguarnita, spingendo gli uomini energici sul campo di battaglia, ed è probabile, come ha affermato un medico eminente, che proprio a questo fatto sia dovuta la fiacchezza della generazione che domina la metà del diciannovesimo secolo.

Thuillier, costretto a farsi notare per mezzo di attrattive diverse da quelle spirituali, imparò a ballare il valzer e a danzare fino a essere preso a modello; era soprannominato "il bel Thuillier", giocava a biliardo in modo esemplare; sapeva fare ritagli in carta; e l'amico Colleville l'addottrinò così bene da porlo in grado di cantare le romanze alla moda. Da queste piccole abilità derivò quell'apparenza di successo che inganna la gioventù e la esalta sul suo avvenire. La signorina Thuillier, dal 1806 al 1814, credeva nel fratello come la signorina d'Orléans in Luigi-Filippo; era fiera di Jérome, lo vedeva già direttore generale per via delle sue conquiste che, a quell'epoca, gli aprivano saloni dove certo non avrebbe mai posto piede senza le circostanze che facevano della società, sotto l'Impero, una macedonia.

Ma i trionfi del bel Thuillier furono per lo più di corta durata; le donne non provavano gusto a trattenerlo più di quanto egli ci tenesse a conservarle; avrebbe potuto fornire lo spunto a una commedia intitolata "il Don Giovanni suo malgrado". Questa professione di "bello" affaticò Thuillier tanto da invecchiarlo; il viso, solcato di rughe come quello d'una anziana civetta, mostrava una dozzina d'anni in più dell'atto di nascita. Dei suoi successi gli rimase il vezzo di specchiarsi, di stringersi la vita per farla risaltare e porsi in pose da ballerino, cose che protrassero più in là del godimento dei suoi piaceri il contratto che aveva stipulato con quel nomignolo: il bel Thuillier!

La realtà del 1806 divenne celia nel 1826 . Egli mantenne qualche vestigia dell'abbigliamento dei belli dell'Impero, del resto confacenti con la dignità d'un ex sottocapo. Conserva la cravatta bianca a fitte pieghe nella quale affonda il mento e i cui due lembi minacciano i passanti a sinistra e a destra mostrando loro un nodo alquanto civettuolo, allacciato un tempo dalla mano delle belle.

Pur seguendo le mode alla lontana le adatta al suo portamento, spinge il cappello indietro sulla nuca, porta scarpe e calze sottili d'estate; i suoi lunghi soprabiti rammentano i leviti dell'Impero; non ha ancora rinunciato alle pettorine inamidate e ai panciotti bianchi; si trastulla con la sua canna del 181O e sta dritto come un fuso.

Nessuno, vedendo Thuillier a spasso sui boulevards, lo crederebbe figlio d'un uomo che preparava i pasti agli impiegati del ministero delle Finanze e indossava la livrea di Luigi Sedicesimo: ha l'apparenza d'un diplomatico imperiale, d'un prefetto a riposo. Ora, non solo la signorina Thuillier sfruttò in tutta innocenza la favola del fratello spronandolo a una cura eccessiva della persona, fatto che in lei era conseguenza del suo culto, ma gli procurò tutte le gioie della casa trapiantando accanto a loro un nucleo familiare la cui esistenza era stata quasi identica alla propria.

Si tratta del signor Colleville, l'amico intimo di Thuillier; ma, prima di descrivere Pilade, ci pare tanto più essenziale finirla con Oreste in quanto va chiarito perché Thuillier, il bel Thuillier, era privo di famiglia, visto che essa esiste solo grazie ai figli; e qui deve venire a galla uno di quei misteri profondi che rimangono sepolti negli arcani della vita privata e alcuni aspetti dei quali appaiono alla superficie allorché i dolori d'una situazione nascosta si fan troppo cocenti; si tratta della vita delle signora e signorina Thuillier poiché, fino a questo punto, non abbiamo considerato che la vita, per così dire pubblica, di Jérome Thuillier.

 

 

 

3

STORIA DI UNA DOMINAZIONE

 

Maria-Gianna-Brigitte Thuillier, di quattro anni più vecchia del fratello, gli fu del tutto sacrificata; era più facile procurare una posizione al primo che una dote alla seconda. L'infelicità, per certi temperamenti, è un faro che illumina le zone buie e basse della vita sociale. Superiore al fratello per energia e intelligenza Brigitte era uno di quei caratteri che, sotto il pungolo della persecuzione, si rinchiudono, si fanno duri e resistenti per non dire inflessibili.

Gelosa della propria indipendenza volle sottrarsi alla vita casalinga e decidere da sola il proprio destino.

All'età di quattordici anni si rifugiò in una mansarda, a due passi dalla Tesoreria che si trovava in rue Vivienne, non lungi dalla rue de la Vrillière dove s'era installata la banca. Si dedicò con coraggio, grazie ai protettori del padre, a una attività poco nota e remunerativa, consistente nel fabbricare sacchi per la Banca, per il Tesoro come pure per la grandi case finanziarie. Tre anni dopo aveva già due operaie. Investendo i suoi risparmi nel Debito Pubblico si trovò, nel 1814, in possesso di tremilaseicento franchi di reddito, guadagnati in quindici anni. Spendeva poco, pranzava per lo più dal padre finché fu in vita ed è noto d'altronde che le rendite, nelle estreme convulsioni dell'Impero, salirono a quaranta e più franchi; per cui tale successo, in apparenza clamoroso, si spiega da solo.

Alla morte dell'ex custode Brigitte e Jérome, rispettivamente di ventisette e ventitré anni unirono insieme i loro destini. Fratello e sorella avevano l'uno per l'altra un affetto morboso. Se Jérome, al tempo dei suoi successi, si trovava in difficoltà la sorella, vestita di lana ruvida e con le dita escoriate dal filo per cucire, gli offriva sempre qualche luigi in prestito. Agli occhi di Brigitte il fratello era l'uomo più bello e più attraente dell'impero francese.

Governare la casa del fratello, venire iniziata ai suoi segreti di Lindoro e Don Giovanni, esserne la serva e il cagnolino fu il suo sogno; s'immolò con trasporto quasi amoroso a un idolo il cui egoismo era dilatato e santificato da lei; cedette per quindicimila franchi la clientela alla sua prima lavorante e venne ad abitare in rue d'Argenteuil col fratello divenendo la madre, la protettrice, la domestica di quel "ragazzo prediletto dalle dame". Brigitte, con riserbo naturale in una ragazza che doveva tutto alla discrezione e al lavoro, non parlò delle sue sostanze al fratello; ebbe certo timore della prodigalità d'un uomo a mezzi e contribuì perciò con soli seicento franchi alle spese familiari, somma che aggiunta ai milleottocento franchi di Jérome consentiva di sbarcare il lunario.

Fin dai primi giorni di questa unione Thuillier ascoltò la sorella come un oracolo, la consultò nei minimi affari, non le celò alcun segreto e le fece assaporare i frutti del potere che doveva essere il peccato veniale del suo carattere. In tal modo la sorella avrebbe sacrificato tutto al fratello; aveva riposto tutto in quel cuore, non viveva che per lui. L'ascendente di Brigitte su Jérome crebbe considerevolmente col matrimonio che essa lo indusse a contrarre verso il 1814.

Considerando la drastica riduzione di personale attuata dai nuovi venuti della Restaurazione negli uffici, e soprattutto il ritorno dell'antica società che respingeva la Borghesia, Brigitte comprese, meglio di quanto le spiegasse il fratello, la crisi sociale nella quale stavano per naufragare le loro comuni aspirazioni. Non più speranze di successo, ormai, per il bel Thuillier fra le nobildonne succedute ai plebei dell'Impero!

Thuillier non era uomo da avere idee politiche e comprese, al pari della sorella, la necessità d'approfittare di quanto restava della sua gioventù per sistemarsi. In una situazione simile una ragazza, possessiva come Brigitte, voleva e doveva accasare il fratello sia per lui sia per se stessa, perché da sola non poteva renderlo felice e la signora Thuillier non era che un accessorio indispensabile per avere uno o due bambini. Se Brigitte non ebbe avvedutezza pari al suo volere ebbe almeno coscienza del suo predominio, dato che era priva d'istruzione e si limitava a tirar dritto per la sua strada, con l'ostinazione d'un temperamento abituato a riuscire. Aveva talento per l'andamento domestico, senso del risparmio, capacità di stare al mondo e amore per il lavoro. Comprese perciò che non sarebbe mai riuscita a trovar moglie a Jérome in un ambiente superiore al proprio, dove le famiglie si sarebbero informate del loro tenor di vita e avrebbero potuto preoccuparsi nel trovare una padrona installata in casa. Cercò pertanto, nel ceto inferiore, persone da abbacinare e tra esse trovò un partito adatto.

L'impiegato più anziano della banca, di nome Lemprun, aveva una sola figlia chiamata Celeste. La signorina Celeste Lemprun avrebbe ereditato le sostanze della madre, figlia unica d'un agricoltore, consistenti in qualche iugero di terra nei dintorni di Parigi, che il vecchio persisteva a coltivare; e in più i beni del brav'uomo Lemprun, che aveva lasciato le case Thélusson e Keller per entrare in banca all'atto della sua fondazione. Lemprun, allora capo servizio, godeva la stima e la considerazione del governatore e dei revisori dei conti.

In tal modo il consiglio d'amministrazione della banca, udendo parlare delle nozze di Celeste con un esimio impiegato delle Finanze, promise una gratifica di seimila franchi. Quest'ultima, unita a dodicimila franchi donati da papà Lemprun e ad altri dodicimila concessi dal signor Galard, orticultore d'Auteuil, portava la dote a trentamila franchi. Il vecchio Galard, signore e signora Lemprun erano felici di questo matrimonio; il capo servizio conosceva la signorina Thuillier come una delle più stimabili e virtuose ragazze di Parigi. Brigitte fece del resto balenare i suoi titoli del Debito Pubblico confidando a Lemprun che non si sarebbe mai sposata e né il capo servizio né la moglie, persone dell'età dell'oro, si sarebbero permessi di giudicare Brigitte; furono colpiti soprattutto dal fulgore della posizione del bel Thuillier e il matrimonio ebbe luogo, secondo un vieto modo di dire, con soddisfazione di tutti.

Il governatore della banca e il segretario funsero da testimoni della sposa mentre il signor de La Billardière, capo divisione, e il signor Rabourdin, capo ufficio, lo furono di Thuillier. Sei giorni dopo le nozze il vecchio Lemprun fu vittima d'un furto audace di cui i giornali dell'epoca si occuparono ma che fu presto scordato nei rivolgimenti del 1815 . Poiché i ladri erano riusciti a fuggire Lemprun volle saldare la differenza e sebbene la banca avesse iscritto l'ammanco in conto perdite il povero vecchio morì di crepacuore per quell'oltraggio; giudicava quel colpo di mano come un attentato alla sua probità settuagenaria.

La signora Lemprun cedette l'intera eredità alla figlia, la signora Thuillier, e andò a vivere col padre a Auteuil, dove il vecchio morì a seguito di un incidente nel 1817. Timorosa di dover condurre o affittare gli orti e i campi paterni la signora Lemprun pregò Brigitte, della quale ammirava capacità e onestà, di liquidare i beni del buon Galard e di sistemare le cose in modo che la figlia, venendo in possesso del tutto, le assicurasse millecinquecento franchi di rendita oltre la casa di Auteuil. I campi dell'anziano agricoltore, venduti a lotti, fruttarono trentamila franchi. L'eredità di Lemprun ne aveva procurati altrettanti e le due sostanze, assommate alla dote, ammontavano nel 1818 a novantamila franchi.

La dote era stata investita in azioni bancarie nel momento in cui valevano novecento franchi. Brigitte acquistò cinquemila franchi di rendita per sessantamila, essendo il cinque per cento a sessanta, e fece registrare un titolo da quindicimila franchi a nome della vedova Lemprun quale usufruttuaria. Così, all'inizio del 1818, la pensione di seicento franchi pagata da Brigitte, i milleottocento franchi del posto di Thuillier, i tremilacinquecento franchi di rendita di Celeste e il ricavo di trentaquattro azioni bancarie procuravano alla famiglia Thuillier un reddito di undicimila franchi amministrati senza interferenze da Brigitte. Ci si è dovuti occupare anzitutto della parte finanziaria non solo per prevenire obiezioni ma anche per sbarazzarne il dramma.

Per cominciare, Brigitte diede cinquecento franchi al mese al fratello e pilotò la barca in modo che cinquemila bastassero all'andamento domestico, e passava cinquanta franchi al mese alla cognata provandole che lei stessa si contentava di quaranta. Per affermare la sua supremazia con la potenza del denaro Brigitte cumulava l'eccedenza dei redditi; prestava, si diceva negli uffici, ad usura con la mediazione del fratello, che passava per scontista. Se dal 1815 al 1830 Brigitte è riuscita a capitalizzare sessantamila franchi si potrebbe spiegare l'esistenza di tale somma con speculazioni sul reddito, che presenta una fluttuazione del quaranta per cento, senza ricorrere ad accuse più o meno fondate la cui veridicità nulla aggiunge all'interesse del racconto.

Fin dai primi giorni Brigitte piegò l'infelice signora Thuillier sotto i colpi di sperone che le inflisse e l'uso del morso che le fece provare con durezza. Ma il lusso della tirannia era inutile, la vittima si rassegnò immediatamente. Celeste, giudicata esattamente da Brigitte, priva d'istruzione e intelligenza, abituata a una vita sedentaria, a un'atmosfera pacifica, aveva un carattere estremamente mite; era pia nel significato più ampio del termine; avrebbe espiato con dure penitenze il torto involontario d'esser causa di dolori al prossimo. Ignorava tutto della vita, assuefatta a essere servita dalla madre, che badava alla casa, e costretta a far poco moto per via d'una costituzione linfatica che si stancava alle minime faccende: era una vera figlia del popolo parigino, dove i ragazzi di rado sono belli dato che sono frutto della miseria, del lavoro eccessivo, di appartamenti senz'aria, senza spazio e senza comodità alcuna.

Al momento delle nozze era apparsa come una piccoletta d'un biondo così slavato da dar la nausea, grassa, lenta e molto impacciata. La fronte, troppo larga e prominente, era simile a quella d'un idrocefalo, e, sotto questa cupola di colore cereo, il viso, piccolo in proporzione e aguzzo come il muso d'un topo, indusse qualche invitato a pensare che un giorno o l'altro sarebbe finita pazza. Gli occhi azzurro chiaro e le labbra dal sorriso quasi fisso non eran fatti per smentire l'impressione. In quel giorno solenne essa mostrò il contegno, l'aspetto e i modi d'un condannato a morte che si auspichi tutto abbia presto termine.

- Sembra una palla!... - disse Colleville a Thuillier.

Brigitte era il coltello adatto a penetrare in quella natura indifesa; ne era del tutto l'opposto. Si faceva notare per una bellezza regolare, castigata, sciupata dai lavori che, fin da bambina, l'avevano tenuta china su compiti faticosi e ingrati, dalle privazioni occulte che s'era imposte per ammassare il suo peculio. La sua carnagione, chiazzata di macchie brunastre fin dall'infanzia, aveva il colore dell'acciaio. Gli occhi marroni erano cerchiati di nero o meglio eran pesti; il labbro superiore era coperto di peluria bruna che formava come un alone; le labbra erano piccole e la fronte imperiosa era messa in risalto da una capigliatura già nera e striata ora di bianco. Si teneva su come una bella bionda e tutto in lei rivelava la ponderatezza dei trent'anni, i fuochi sopiti e, come dicono gli uscieri, "il prezzo delle sue notifiche." Per Brigitte, Celeste altro non fu che una fortuna da acciuffare, una madre da domare, un suddito in più nel suo impero. Presto le rinfacciò d'esser "fiacca", termine del suo repertorio, e questa gelosa zitella che si sarebbe sentita costernata nel trovare una cognata attiva, provò gioie selvagge a stimolare le energie della debole creatura.

Celeste, che provava vergogna al vedere la cognata sprizzare tutto il suo ardore di giumenta e accudire alla casa, cercò d'aiutarla; s'ammalò; e subito Brigitte si fece in quattro per la signora Thuillier, la curò come una sorella amata e in presenza di Thuillier le diceva: - Ve ne manca la forza, bimba mia, e sia pure, non fate nulla!... - Con questo sfoggio di conforti che solo le ragazze san trovare e che procurano loro elogi mise in rilievo l'impotenza di Celeste.

Poi, siccome questi caratteri dispotici e che amano ostentare la loro forza sono pieni di premure per le sofferenze fisiche, assistette la cognata in modo da soddisfare la madre di Celeste allorché venne a visitare la figlia. Quando la signora Thuillier si fu rimessa cominciò a definirla, in modo da farsi udire: "Impiastro, buona a nulla, eccetera". Celeste saliva in camera sua a piangere e se Thuillier la scopriva intenta a tergersi le lacrime cercava di scusare la sorella dicendo:

- E' un'ottima donna ma è brusca; vi vuol bene a modo suo; fa lo stesso con me.

Celeste, rammentandosi d'avere ricevuto da lei cure materne, perdonava la cognata. Del resto Brigitte trattava il fratello come il sovrano della casa; ne tesseva gli elogi a Celeste, ne faceva un autocrate, un Ladislao, un pontefice infallibile. La signora Thuillier, rimasta priva del padre e del nonno, pressoché abbandonata dalla madre che veniva a trovarla il giovedì e dalla quale si recava, nella bella stagione, la domenica, non aveva che il marito da amare, in primo luogo perché era suo marito e poi perché ai suoi occhi era sempre il bel Thuillier. In fondo egli la trattava ogni tanto come moglie e tutti questi motivi insieme glielo rendevano adorabile. Le pareva poi tanto più perfetto in quanto spesso prendeva le difese di Celeste e rimbrottava la sorella, non perché gli importasse della moglie ma per egoismo e avere un po' di pace in casa nei rari momenti in cui vi si tratteneva.

In effetti, il bel Thuillier si mostrava a cena e rientrava assai tardi a coricarsi; andava a ballare, nel suo ambiente, da solo come fosse ancora scapolo. In tal modo le due donne si trovavano sempre faccia a faccia. Senza accorgersene, Celeste assunse un atteggiamento passivo e divenne quel che Brigitte voleva fosse, una ilota. La regina Elisabetta di questo nucleo familiare passò dalla dominazione a una sorta di pietà per una vittima continuamente oppressa. Quando fu certa d'avere sottomessa la sorella finì col moderare le sue arie altere, le frasi taglienti, il tono sprezzante.

Un giorno in cui scorse il collo della vittima escoriato dalla collana che portava ne ebbe cura come d'una cosa propria e Celeste conobbe tempi migliori. Paragonando gli inizi al seguito essa finì col provare un certo affetto per il suo carnefice. La sola probabilità che la povera ilota aveva di trovare un po' d'energia, di difendersi e contare qualcosa in seno a una famiglia nutrita, a sua insaputa, dalla propria ricchezza, senza che a lei ne toccassero che poche briciole, le fu tolta: in sei anni Celeste non ebbe figli. Questa sterilità che, di mese in mese, le fece versare lacrime a torrenti le procurò a lungo il disprezzo di Brigitte, che le rinfacciava di non esser buona a nulla, neppure a metter bimbi al mondo. Questa vecchia zitella, che s'era ardentemente ripromessa di amare il figlio del fratello come il proprio, cessò solo verso il 1820 di sparger lacrime sul futuro della loro fortuna che, diceva, sarebbe toccata al governo.

Nel momento in cui questa storia ha inizio, nel 1839, a quarantasei anni d'età, Celeste aveva smesso di piangere perché aveva acquisito la triste consapevolezza di non poter mai diventare madre. Fatto strano!

Dopo venticinque anni d'una vita simile, durante la quale la vittima aveva finito col disarmare e stancare il coltello, Brigitte amava Celeste allo stesso modo con cui Celeste amava Brigitte. Il tempo, l'agiatezza,l'attrito continuo della vita domestica, che indubbiamente aveva smussato gli spigoli, limato le asperità, la rassegnazione e la mansuetudine pasquale di Celeste portarono a un autunno sereno. Le due donne erano d'altronde congiunte dall'unico sentimento che le avesse mai mosse: l'adorazione per il felice ed egoista Thuillier.

Le due donne insomma, tutte e due senza figli, avevano entrambe, come ogni donna che ha desiderato invano un bimbo, preso ad amare un figlio. Questa maternità fittizia, ma d'intensità pari a quella autentica, merita un chiarimento che introduca nel vivo della storia e dia conto delle occupazioni in più che la signorina Thuillier aveva escogitato per il fratello.

 

 

 

4.

COLLEVILLE

 

Thuillier era entrato in qualità di sopranumerario con Colleville, cui s'è accennato come al suo amico intimo. In confronto alla vita domestica tetra e desolata di Thuillier la natura sociale aveva posto quasi a contraltare quella di Colleville e se è impossibile non far notare come questa contrapposizione fortuita sia poco morale è d'uopo aggiungere che prima di trarne deduzioni è bene attendere la conclusione del dramma, malauguratamente troppo vero, della quale il narratore non è del resto responsabile.

Questo Colleville era figlio unico d'un musicista di vaglia, già primo violino all'Opera sotto Francoeur e Rebel. In vita narrava almeno sei volte al mese aneddoti sulle prove dell'"Indovino del villaggio"; imitava J.- J. Rousseau e lo caratterizzava a meraviglia. Colleville e Thuillier furono amici inseparabili, senza segreti l'uno per l'altro, e l'amicizia, iniziata a quindici anni, era ancora sgombra di nubi nel 1839.

Colleville era uno di quegli impiegati chiamati per derisione, negli uffici, "accaparratori". Costoro si fanno notare per la loro ingegnosità. Colleville, bravo musicista, doveva al nome e all'influenza del padre il posto di primo clarinetto all'Opéra-Comique e finché fu scapolo, avendo qualche soldo in più di Thuillier, ne fece spesso parte all'amico. Ma, al contrario di Thuillier, Colleville fece un matrimonio d'amore sposando la signorina Flavia, figlia naturale d'una celebre ballerina dell'Opera che si diceva nata da una relazione con Du Bousquier, uno dei più ricchi fornitori del tempo, il quale, essendosi rovinato intorno al 1800, scordò con tanta più facilità la figlia in quanto aveva seri dubbi sull'illibatezza della famosa danzatrice.

Per nascita e aspetto Flavia era destinata a un ben triste mestiere allorquando Colleville, condotto spesso dall'opulenta primadonna dell'Opera, s'invaghì di Flavia e la sposò. Il principe Galathionne che, nel settembre 1815, proteggeva l'illustre ballerina ormai al termine della sua fortunata carriera, diede ventimila franchi di dote a Flavia e la madre vi aggiunse un corredo fra i più splendidi. Gli intimi di casa e i compagni dell'Opera inviarono in dono gioielli e vasellame in modo che la famiglia Colleville si trovò più ricca di cose inutili che di denaro. Flavia, cresciuta nell'abbondanza, ebbe subito un grazioso appartamento che il tappezziere della madre arredò e nel quale la giovane donna, piena di gusto per arte e artisti e per una certa quale eleganza, troneggiò.

La signora Colleville era insieme bella e mordace, spiritosa e allegra, graziosa e, a dirla in breve, simpatica. La ballerina, quarantatreenne, lasciò il teatro, andò a vivere in campagna e privò la figlia dell'aiuto della sua prodiga munificenza. Fra il 1816 e il 1826 ebbe cinque figli. Musicista la sera, Colleville teneva dalle sette alle nove del mattino i registri d'un negoziante. Alle dieci era in ufficio. Soffiando così in un pezzetto di legno sul finir del giorno, registrando il mattino conti in partita doppia, si procurava dai sette agli ottomila franchi l'anno.

La signora Colleville posava a donna di mondo; riceveva il mercoledì, dava un concerto al mese e un pranzo ogni quindici giorni. Non vedeva Colleville che a cena e la sera quando rincasava, verso mezzanotte.

Non sempre a quell'ora essa era già rientrata. Andava allo spettacolo perché frequentemente le offrivano un palco oppure lasciava detto a Colleville di venire a cercarla nella tal casa dove ballava o cenava.

Dalla signora Colleville si mangiava assai bene e la compagnia, per quanto eterogenea, era molto divertente; riceveva infatti le attrici celebri, i pittori, i letterati e qualche riccone. L'eleganza della signora Colleville era pari a quella di Tullia, primadonna all'Opera, che vedeva soventissimo; ma se i Colleville diedero fondo ai loro capitali ed ebbero spesso difficoltà a giungere a fine mese Flavia non contrasse mai debiti.

Colleville era felicissimo, amava sempre la moglie e ne era il migliore amico. Accolto sempre da un sorriso grato e con gioia espansiva, cedeva a un fascino e a modi irresistibili.

L'attività frenetica che svolgeva nei tre impieghi si confaceva d'altronde al suo carattere e al suo temperamento. Era un bravo omone, alto e colorito, gioviale, sprecone e pieno di ghiribizzi. In dieci anni non vi fu un solo bisticcio in famiglia. In ufficio era giudicato un po' "sventato", come si soleva dire di tutti gli artisti; ma la gente superficiale scambiava la fretta incessante del lavoratore per il viavai d'un pasticcione.

Colleville ebbe la furbizia di fare il tonto; vantava la sua felicità domestica, si diede la briga d'inventare anagrammi per mostrarsi assorto in tale occupazione. Gli impiegati della sua divisione al ministero, i capi ufficio, gli stessi capi divisione venivano ai suoi concerti; di tanto in tanto, e al momento giusto, offriva biglietti d'invito dato che aveva bisogno di molta indulgenza per le sue continue assenze. Le prove gli rubavano metà dell'orario; ma la scienza musicale trasmessagli dal padre era così genuina e radicata da consentirgli di prender parte solo alle prove generali. Grazie alle relazioni della signora Colleville teatro e ministero assecondavano le esigenze di questo esimio accaparratore che, del resto, istruiva un giovanotto raccomandatogli caldamente dalla moglie, una futura celebrità che lo sostituiva nell'orchestra con la promessa di prendere il suo posto. Quando infatti nel 1827 Colleville si dimise, il giovane divenne primo clarinetto.

Tutto ciò che si poteva dire di Flavia si compendiava in questa frase:

- La signora Colleville è "un tantino" civetta! Il figlio maggiore, nato nel 1816, era il ritratto vivente del buon Colleville. Nel 1818 la signora Colleville poneva la cavalleria al di sopra di tutto, perfino sulle arti, e trattava con riguardo un sottotenente dei dragoni di Saint-Chamans, il giovane e ricco Carlo Gondreville che doveva morire più tardi nella guerra di Spagna; aveva già avuto il secondogenito che fin da quel momento destinò alla carriera militare.

Nel 1820 considerava la banca quale incubatrice dell'industria, il sostegno degli stati, e il grande Keller, il famoso oratore, era il suo idolo; ebbe allora un figlio, Francesco, che decise di avviare più tardi al commercio e al quale la protezione di Keller non sarebbe mai mancata. Sul finire del 1820 Thuillier, amico intimo del signore e della signora Colleville, ammiratore di Flavia, sentì il bisogno di confidare le sue pene a quell'ottima donna e le narrò le sue miserie coniugali; da sei anni cercava d'aver figli e Dio non benediceva i suoi sforzi visto che la povera signora Thuillier faceva inutilmente novene su novene; era perfino andata a Nôtre-Dame de Liesse! Descrisse Celeste sotto tutti gli aspetti e le parole "Povero Thuillier!" uscirono dalle labbra della signora Colleville che, dal canto suo, si sentiva molto oppressa; si trovava allora senza idea fissa e versò nel cuore di Thuillier i suoi dispiaceri. Il grande Keller, l'eroe della Sinistra, era nella realtà pieno di piccinerie; lei conosceva il rovescio della medaglia, le stoltezze della banca, l'aridità d'un tribuno. L'oratore parlava bene solo alla Camera e s'era comportato assai male con lei; Thuillier ne fu indignato. - Solo gli stupidi sanno amare, disse, - prendete me! - Il bel Thuillier si procurò la fama di fare un po' di corte alla signora Colleville e fu tra i suoi "assidui", un modo di dire dei tempi dell'Impero.

- Ah, ti piace mia moglie! - gli disse ridendo Colleville; sta' attento, ti pianterà in asso come tutti gli altri.

Frase piena di finezza, con la quale Colleville salvò in ufficio la dignità di marito. Dal 1820 al 1821 Thuillier approfittò della sua qualità d'amico di casa per aiutare Colleville, che con tanta frequenza l'aveva soccorso in passato e, in diciotto mesi, prestò circa diecimila franchi alla famiglia con l'intenzione di metterci sopra una pietra. Nella primavera 1821 la signora Colleville mise al mondo una bimba deliziosa che ebbe per padrino e madrina il signore e la signora Thuillier; per questo venne chiamata Celeste-Luisa- Carolina-Brigitte. La signorina Thuillier volle che uno dei propri nomi fosse imposto alla bimbetta.

Il nome di Caroline fu un riguardo usato a Colleville. La vecchia mamma Lemprun s'incaricò di mettere a balia la creaturina, sotto i suoi stessi occhi, a Auteuil dove Celeste e la cognata si recarono a visitarla due volte la settimana. Non appena la signora Colleville si fu ristabilita disse a Thuillier, con franchezza e in tono serio - Mio caro, se vogliamo restare buoni amici non siate più di questo; Colleville vi vuol bene e uno basta e avanza in casa.

- Spiegatemi un po', - chiese allora il bel Thuillier a Tullia, la ballerina che si trovava in quel momento dalla signora Colleville, - perché le donne non si affezionano a me. Non sono l'Apollo del Belvedere ma neppure Vulcano; sono passabile, ho spirito, sono fedele...

- Volete la verità?... - gli rispose Tullia.

- Sì, - disse il bel Thuillier.

- Bene, se possiamo a volte amare un uomo corto di comprendonio non amiamo mai uno sciocco.

La frase ferì profondamente Thuillier che non seppe rassegnarsene; divenne malinconico, accusò le donne d'essere strambe.

- Non te l'avevo detto?... - gli rispose Colleville, - io non sono Napoleone mio caro, e mi sarebbe anche spiaciuto esserlo; ma ho la mia Giuseppina... una perla!

Il segretario generale del ministero, Des Lupeaulx, al quale la signora Colleville attribuiva più importanza di quanta meritasse e del quale più tardi soleva dire: "E' uno dei miei sbagli..." fu allora, per qualche tempo, il grand'uomo del salotto Colleville; ma non essendo riuscito a fare entrare Colleville nella divisione del Bois- Levant, Flavia ebbe il buon senso di stizzirsi delle premure che egli prodigava alla signora Rabourdin, moglie d'un capo ufficio, una smorfiosa dalla quale non era mai stata invitata e che, per ben due volte, le aveva usato la sgarberia di mancare ai suoi concerti.

La signora Colleville fu assai colpita dalla morte del giovane Gondreville; non riuscì a rassegnarsene; vi sentiva, andava dicendo, la mano di Dio. Nel 1824 mise giudizio, parlò di economie, abolì i ricevimenti, s'occupò dei figli, volle essere buona madre di famiglia e gli amici non notarono più in casa sua alcun favorito; si recava invece in chiesa, si vestiva in modo diverso, portava colori grigi, parlava di cattolicesimo e di convenienze; e questo misticismo produsse, nel 1825, un bimbo incantevole che chiamò "Teodoro" ossia "dono di Dio".

In tal modo nel 1826, l'epoca d'oro della Congrégation, Colleville fu nominato sottocapo della divisione Clergeot e divenne, nel 1828, esattore d'un arrondissement di Parigi. Ottenne inoltre la croce della Legion d'onore per poter fare educare un giorno la figlia a Saint- Denis. La mezza borsa di studio procurata nel 1823 da Keller a Carlo, il primogenito, fu assegnata al secondo; Carlo entrò con una intera nel Collège San Luigi e il terzo, protetto dalla signora la Dauphine, ebbe tre quarti di borsa al Collège Enrico quarto.

Nel 1830 Colleville, che aveva avuto la fortuna di conservare tutti i figli, fu costretto dal suo attaccamento al ramo decaduto a dimettersi; ma ebbe l'accortezza di pattuirne in certo qual modo le condizioni riuscendo a ottenere una pensione di duemilaquattrocento franchi in base alla sua anzianità di servizio e un'indennità di diecimila franchi offertagli dal successore oltre la nomina a ufficiale della Legion d'onore. Si trovò, ciò nonostante, in una situazione difficile e, nel 1832, la signorina Thuillier gli consigliò di stabilirsi presso di loro facendogli balenare la possibilità d'ottenere un posto in municipio, che ebbe infatti nel giro di quindici giorni e che valeva mille scudi.

Carlo Colleville era entrato all'Ecole de Marine. I collegi in cui gli altri due piccoli Colleville venivano educati si trovavano nel medesimo quartiere. Il seminario di Saint-Sulpice, dove sarebbe dovuto entrare un giorno l'ultimo, si trovava a due passi dal Luxembourg.

Insomma, Thuillier e Colleville dovevano finire i loro giorni insieme.

Nel 1833 la signora Colleville, trentacinquenne, venne ad abitare in rue d'Enfer, all'angolo della rue des Deux-Églises, con Celeste e il piccolo Teodoro. Colleville si trovava a distanza eguale dal municipio e dalla rue Saint-Dominique. La famiglia, dopo un'esistenza alternativamente brillante, disordinata, festaiola, riposata, calma, si trovò ridotta all'oscurità borghese e a cinquemilaquattrocento franchi in tutto.

Celeste aveva allora dodici anni ed era bella; le occorrevano insegnanti e sarebbe costata almeno duemila franchi l'anno. La madre sentì il bisogno di sistemarla vicino al padrino e alla madrina. Aveva perciò accettato le proposte, del resto assennate, della signorina Thuillier che, senza assumersi alcun preciso impegno, fece chiaramente capire alla signora Colleville che le sostanze del fratello, della cognata e le proprie erano destinate a Celeste. La bimba era rimasta fino ai sette anni ad Auteuil, adorata dalla buona vecchia mamma Lemprun, che morì nel 1829 lasciando ventimila franchi di risparmi e una casa che fu venduta per la cifra esorbitante di ventottomila franchi. La piccola birichina aveva visto poco la madre e molto invece la signorina e la signora Thuillier. Dal 1829, data d'ingresso nella casa paterna, al 1833 era caduta sotto il dominio della madre che si sforzava allora d'assolvere per bene i suoi doveri e che eccedeva in essi, come ogni donna assillata dal rimorso. Flavia, senza essere una cattiva madre, fu assai severa con la figlia; rammentando la propria educazione giurò in segreto a se stessa di fare di Celeste una donna onesta e non frivola. La condusse quindi a messa e le fece fare la prima comunione sotto la direzione d'un parroco di Parigi nominato poi vescovo. Celeste fu tanto più devota in quanto la signora Thuillier, la madrina, era una santa; e la bimba adorava la madrina; si sentiva più amata dalla povera donna trascurata che dalla madre.

Dal 1833 al 1839 ricevette la più brillante educazione, come la intendono i borghesi. In conseguenza gli insegnanti di musica fecero di lei un'ottima esecutrice; sapeva dipingere a modo un acquerello; danzava alla perfezione; aveva imparato la lingua francese e la storia, la geografia, l'inglese, l'italiano e, insomma, tutto ciò che è implicito nell'istruzione d'una ragazza perbene. Di statura media, grassottella, miope, non era né brutta né bella, sapeva essere candida ed effervescente, ma mancava in pieno di distinzione. Aveva una grande sensibilità repressa e padrino, madrina, la signorina Thuillier e il padre erano su questo punto, grande appiglio delle madri, unanimi:

Celeste era capace d'affetto. Una delle sue bellezze consisteva in una magnifica capigliatura fine e color cenere; mani e piedi rivelavano però l'estrazione borghese.

Celeste spiccava per qualità preziose; era buona, semplice, non maligna; amava padre e madre e si sarebbe sacrificata per loro.

Educata ad ammirare profondamente il padrino sia da Brigitte, che si faceva chiamare "zia Brigitte", sia dalla signora Thuillier e dalla madre stessa, che si riavvicinava sempre più all'anziano bello dell'Impero, Celeste aveva un concetto elevatissimo dell'ex sottocapo.

Il padiglione della rue Saint-Dominique le causava lo stesso effetto che il castello delle Tuileries può produrre su un cortigiano della nuova dinastia.

Thuillier non aveva resistito al rullo compressore della trafila amministrativa, nella quale l'uomo tanto più s'appiattisce quanto più essa si dilata. Logorato da un lavoro tedioso così come il suo fisico era stato logorato dai propri successi l'ex sottocapo aveva perso tutte le sue facoltà trasferendosi in rue Saint-Dominique; ma il volto affaticato, da cui traspariva un piglio burbero misto a un certo compiacimento molto simile alla fatuità dell'impiegato superiore, colpì fortemente Celeste. Solo essa ravvivava quel viso smorto. Sapeva d'essere la gioia della casa.

 

 

 

5

L'AMBIENTE DEL SIGNORE E DELLA SIGNORA THUILLIER

 

I Colleville e i loro figli divennero naturalmente il nucleo dell'ambiente che la signorina Thuillier ebbe l'ambizione di aggruppare attorno al fratello. Un ex impiegato della divisione La Billardière che da un trentennio risiedeva nel quartiere Saint- Jacques, il signor Phellion, comandante di battaglione della Legione, fu prontamente rintracciato dall'ex esattore e dall'ex sottocapo alla prima parata. Phellion era una delle persone più in vista nell'arrondissement. Aveva una figlia, già vice direttrice del pensionato Lagrave, sposata a un precettore di rue Saint-Hyacinthe, il signor Barniol.

Il primogenito di Phellion insegnava matematica in un collegio reale; impartiva lezioni, dava ripetizioni e si dedicava, stando alle parole del padre, alla matematica pura. Il secondo era all'Ecole des Ponts et Chaussées. Phellion aveva novecento franchi di pensione e ne possedeva novemila e rotti di rendita, frutto dei risparmi suoi e della moglie in trent'anni di fatiche e privazioni. Era inoltre proprietario della casetta con giardino in cui abitava nell'impasse des Feuillantines.

(In trent'anni non usò una sola volta il vecchio termine "cul de sac").

Dutocq, cancelliere di Conciliatura, era un ex impiegato del ministero; sacrificato a suo tempo a una di quelle emergenze che si verificano nei governi rappresentativi aveva accettato d'essere il capro espiatorio in una faccenda delicata e fu compensato sottobanco con una somma mediante la quale era riuscito a procurarsi la carica di cancelliere. Quest'uomo, in verità non molto stimabile, delatore in ufficio, non fu accolto come sperava dai Thuillier; ma la freddezza dei proprietari lo indusse a insistere nel frequentarli. Rimasto scapolo, l'uomo aveva i suoi vizi; ma celava con cura il suo modo di vivere e sapeva, usando l'adulazione, farsi apprezzare dai superiori.

Il giudice di pace prediligeva Dutocq. Questo laido individuo seppe farsi tollerare dai Thuillier mediante basse e grossolane lusinghe che non mancano mai di fare effetto. Conosceva a fondo la vita di Thuillier, i suoi rapporti con Colleville e in specie con la signora; si temette la sua lingua perfida e i Thuillier, senza ammetterlo fra gli intimi, lo sopportarono.

La famiglia che divenne l'ornamento del salone Thuillier fu quella d'un povero impiegatuccio, già oggetto di commiserazione negli uffici, che, spinto dalla miseria, aveva lasciato nel 1827 l'Amministrazione per lanciarsi nell'industria con un'idea ben precisa. Minard intravide una fortuna in una di quelle sordide concezioni che screditano il commercio francese ma che, intorno al 1827, non erano ancora state pubblicamente biasimate. Egli acquistò una partita di tè, la mescolò per metà con del tè già usato e fatto nuovamente seccare; adulterò poi le sostanze componenti il cioccolato in modo da smerciarlo a basso prezzo. Questo traffico di derrate coloniali, iniziato nel quartiere Saint-Marcel, fece di Minard un negoziante; creò uno stabilimento e, tramite le sue conoscenze, poté giungere alla fonte delle materie prime; praticò così onorevolmente, e in grande, il commercio che aveva cominciato in piccolo. Divenne distillatore, operò su enormi quantità di merci e nel 1835 passava per il più ricco negoziante del quartiere Maubert. Aveva acquistato una delle più belle dimore della rue des Macons-Sorbonne; era stato assessore e nel 1839 era sindaco d'un arrondissement e giudice del Tribunale di Commercio. Aveva carrozza e una tenuta nei dintorni di Lagny; la moglie sfoggiava diamanti ai balli di Corte mentre egli si pavoneggiava con una rosetta da ufficiale della Legion d'onore all'occhiello.

Minard e la moglie erano comunque munifici benefattori. Forse intendevano restituire ai poveri, al minuto, quanto avevano carpito al pubblico. Phellion, Colleville e Thuillier s'imbatterono in Minard alle elezioni e ne derivò un legame tanto più stretto coi Thuillier e i Colleville in quanto la signora Zélie Minard parve felice di far fare alla sua "signorina" la conoscenza di Celeste Colleville. Fu a un gran ballo dato dai Minard che Celeste fece il suo debutto in società, a sedici anni e mezzo, abbigliata come esigeva il suo nome, che pareva profetico per la sua esistenza. Lieta di stringere rapporto con la signorina Minard, di quattro anni maggiore, costrinse padre e padrino a frequentare casa Minard, fastosa e coi saloni dorati, nella quale s'incontrava qualche celebrità politica del giusto mezzo: il signor Popinot, poi ministro del commercio; Cochin, in seguito barone Cochin; un ex impiegato della divisione Clergeot al ministero delle Finanze che, avendo forti interessi in uno stabilimento farmaceutico, era l'oracolo del quartiere des Lombards e des Bourdonnais, unitamente al signor Anselmo Popinot. Il figlio maggiore di Minard, avvocato, la cui ambizione era di prendere il posto degli avvocati che, dal 1830 in poi, avevano disertato il Palazzo di Giustizia per la politica era il genio di famiglia e padre e madre aspiravano ad accasarlo nel miglior modo. Zélie Minard, ex fioraia, stravedeva per l'alta società e voleva farne parte attraverso il matrimonio della figlia e del figlio mentre Minard, più assennato e quasi compenetrato dalla forza del ceto medio che la rivoluzione di Luglio aveva travasato nelle fibre del potere, non pensava che ad arricchire.

Frequentava il salone dei Thuillier per avere notizie sulle sostanze che Celeste poteva ereditare. Conosceva, al pari di Dutocq e Phellion, le voci suscitate in passato dal legame dei Thuillier con Flavia e s'era immediatamente accorto dell'idolatria dei Thuillier per la figlioccia. Dutocq, per farsi ricevere dai Minard, li adulò fuor di misura. Quando Minard, il Rothschild dell'arrondissement, fece la sua comparsa dai Thuillier lo paragonò con una certa arguzia a Napoleone, trovandolo grosso, grasso e fiorente dopo averlo conosciuto magro, pallido e smunto in ufficio: - Eravate nella divisione La Billardière come Bonaparte prima del 18 brumaio e ora vi trovo come Napoleone imperatore! - Minard accolse freddamente Dutocq e non lo invitò a casa sua; si fece così del velenoso cancelliere un nemico mortale.

Il signore e la signora Phellion, benché degne persone, non potevano evitare d'abbandonarsi a calcoli e speranze; pensavano che Celeste sarebbe andata bene per il professore: perciò, quasi per avere un alleato nel salone Thuillier, vi condussero il proprio genero, il signor Barniol, assai stimato nel faubourg Saint-Jacques, e un vecchio impiegato municipale, loro amico intimo, al quale Colleville aveva in certo senso soffiato il posto dato che il signor Laudigeois, da vent'anni in municipio, s'attendeva in compenso dei lunghi suoi servizi la carica di segretario concessa a Colleville. In conseguenza i Phellion formavano una falange composta di sette membri fedelissimi; la famiglia Colleville non era da meno in modo che, certe domeniche, nel salone Thuillier v'era una trentina di persone. Thuillier riannodò i rapporti coi Saillard, i Baudoyer, i Falleix, gente stimata del quartiere de la place Royale, che vennero invitati spesso a pranzo.

La signora Colleville era, in quanto donna, la persona più distinta dell'ambiente così come Minard figlio e il professor Phellion ne erano le personalità più eminenti; tutti gli altri, infatti, non avendo idee né istruzione e provenendo dai ranghi inferiori non erano che le macchiette e i tipi buffi della piccola borghesia. Benché ogni nuovo arricchito faccia supporre l'esistenza di un merito qualsiasi Minard era un pallone gonfiato. Abbandonandosi a frasi involute, scambiando l'ossequiosità per gentilezza e le frasi fatte per detti di spirito, spacciava luoghi comuni con disinvoltura e sicurezza tali da farli scambiare per eloquenza. Queste parole che non dicono nulla e hanno una risposta a tutto: progresso, vapore, bitume, guardia nazionale, ordine, elemento democratico, spirito associativo, legalità, moto e resistenza, intimidazione, parevano in ogni circostanza politica inventate da Minard che non faceva che parafrasare le idee del suo giornale. Giuliano Minard, il giovane avvocato, soffriva per il padre quasi quanto il padre soffriva per la moglie. Con la ricchezza, infatti, Zélie aveva messo su pretese senza essere tuttavia mai riuscita a imparare il francese; era ingrassata e continuava ad avere l'aspetto d'una cuoca che abbia sposato il padrone.

Phellion, tipico esempio di piccolo borghese, aveva tante buone qualità quanti lati buffi. Perpetuamente in sottordine nel corso della carriera burocratica aveva rispetto per le disparità sociali. Stava quindi in silenzio davanti a Minard. Dal canto suo aveva resistito in modo ammirevole al momento del pensionamento ed ecco come. Questa ottima e degna persona non aveva mai potuto seguire le proprie inclinazioni. Amava Parigi, s'interessava alle rettificazioni e agli abbellimenti, era capace di fermarsi davanti alle case in demolizione.

Lo si poteva sorprendere piantato intrepidamente sulle gambe, naso in su, a osservare la caduta d'una pietra smossa con una leva da un muratore sulla cima d'un muro, senza lasciare il suo posto finché il masso non fosse precipitato; e quando era per terra s'allontanava lieto come potrebbe esserlo un accademico per la caduta d'un dramma romantico. Semplici comparse della grande commedia sociale Phellion, Laudigeois e i loro pari svolgono le funzioni del coro antico.

Piangono quando c'è da piangere, ridono quando occorre ridere e cantano all'unisono le sventure e le allegrezze pubbliche, trionfanti nel loro cantuccio dei trionfi d'Algeri, Costantina, Lisbona, Ulloa; recriminando in modo eguale la morte di Napoleone e le catastrofi così dolorose di Saint-Merri e della rue Transnonain; rimpiangendo uomini celebri ad essi ignoti. Solo Phellion ha una doppia personalità: sta ancora dibattendosi fra le ragioni dell'opposizione e quelle del governo. Se c'era zuffa nelle strade Phellion aveva allora il coraggio di parlar chiaro ai vicini; andava in place Saint-Michel, compiangeva il governo e faceva il suo dovere. Prima e durante la rivolta sosteneva la dinastia, opera del Luglio; ma una volta giunti al processo politico si schierava con gli accusati. Questo innocuo "banderuolismo" trapelava anche dalle sue opinioni politiche; trovava una risposta a tutto col ricorso al colosso nordico o al machiavellismo inglese. L'Inghilterra è per lui, come per il "Constitutionnel", una comare a due facce; di volta in volta la machiavellica Albione e il paese modello: machiavellica quando si tratta degli interessi della Francia offesa e di Napoleone; paese modello quando si tratta degli errori del governo. Ammette, in assonanza col giornale, l'elemento democratico ma respinge, conversando, ogni accordo con lo spirito repubblicano. Lo spirito repubblicano è il 1793, la sommossa, il Terrore, la legge agraria.

L'elemento democratico è l'ascesa della piccola borghesia è il regno di Phellion.

Quest'onesto vecchio è pur sempre degno di stima; la dignità serve a spiegare la sua vita. Ha allevato in modo encomiabile i figli, è rimasto per loro il padre, ci tiene ad essere rispettato in casa come egli rispetta il potere e i superiori. Non s'è mai indebitato.

Nominato giurato, la coscienza gli fa sudar sangue e acqua per seguire i dibattiti e non ride mai, neppure quando ride la corte, l'uditorio e il pubblico ministero. Servizievole all'estremo, di tutto è prodigo salvo che del proprio denaro. Felice Phellion, il figlio professore, è il suo idolo; lo crede capace di giungere all'Académie des Sciences.

Thuillier, tra l'ardita nullità di Minard e la massiccia stolidità di Phellion, era come una sostanza neutra, ma nella sua malinconica esperienza aveva un po' dell'uno e dell'altro. Celava il vuoto della mente con banalità così come copriva la pelle giallastra del cranio con le onde filacciose dei capelli grigi, riportati con cura infinita sul davanti dal pettine del parrucchiere.

- In qualsiasi altra carriera, - diceva parlando dell'Amministrazione, - avrei avuto un destino ben diverso.

Aveva visto il bene, possibile in teoria e impossibile in pratica, i risultati opposti alle premesse; e narrava le ingiustizie, gli intrighi, l'affare Rabourdin.

- Dopo questo si può credere a tutto e non credere a nulla, concludeva. - Ah, l'Amministrazione è una ben strana cosa e io sono lieto di non aver figli per non vederli intraprendere la carriera impiegatizia.

Colleville, sempre allegro, tondo, bonario, pieno di facezie, compositore di anagrammi, in perpetuo moto, era l'immagine del borghese capace e burlone, la qualità senza il successo, il lavoro caparbio senza risultato ma anche la rassegnazione gioviale, lo spirito privo di slanci, l'arte inutile in quanto pur essendo musicista eccellente non suonava più che per la figlia.

Il salone era quindi come un salone di provincia ma riverberato dai riflessi del perpetuo incendio parigino: la sua mediocrità, le sue sciattezze seguivano la corrente del secolo. La frase e l'oggetto alla moda, perché a Parigi parola e oggetto sono come cavallo e cavaliere, vi giungevano sempre di rimbalzo. Sempre si attendeva il signor Minard per sapere la verità sui grandi avvenimenti. Le donne parteggiavano per i Gesuiti, gli uomini difendevano l'Università; ma, di solito, le donne si limitavano ad ascoltare. Un uomo di spirito, se avesse potuto sopportare il tedio di tali serate, avrebbe riso come a una commedia di Molière apprendendo, dopo lunghe discussioni, cose come queste:

"La Rivoluzione del 1789 poteva essere evitata? I prestiti di Luigi Quattordicesimo l'avevano già abbozzata. Luigi Quindicesimo, egoista ma spiritoso (ha detto: "Fossi tenente della polizia proibirei i calessini"), re dissoluto, sapete bene del suo Parc aux Cerfs!, vi ha contribuito assai. Il signor de Necker, ginevrino malintenzionato, l'ha messa in moto. Gli stranieri ce l'hanno avuta sempre con la Francia. Torneremo a vedere le code per il pane. Il "maximum" ha fatto gran danno alla Rivoluzione. Giuridicamente Luigi Sedicesimo non doveva essere condannato, una giuria l'avrebbe assolto. Bonaparte ha fucilato i parigini e questa audacia gli è riuscita. Luigi-Filippo si è basato su questo esempio. Perché è caduto Carlo Decimo? Napoleone è un grand'uomo e i particolari che attestano il suo genio fan parte dell'aneddotica; prendeva cinque prese di tabacco al minuto e in tasche foderate in cuoio, applicate al panciotto. Decurtava tutti i conti dei fornitori; andava in rue Saint-Denis per conoscere il prezzo delle merci. Talma era amico suo. Talma gli aveva insegnato a gestire e tuttavia s'era sempre rifiutato di dare un'onorificenza a Talma.

L'Imperatore ha montato di guardia al posto d'un soldato addormentato per evitare che fosse fucilato. Cose simili lo facevano adorare dai militari. Luigi Diciottesimo, che pure era persona di spirito, ha mancato d'equità nei suoi confronti chiamandolo signor de Bonaparte.

Il guaio del governo attuale è di lasciarsi trainare invece di dirigere. S'è messo troppo in basso. Ha paura degli uomini d'azione; avrebbe dovuto lacerare i trattati del 1815 e chiedere il Reno all'Europa. Al Ministero si traffica troppo con gli stessi uomini".

- Avete fatto abbastanza sfoggio di spirito, - diceva la signorina Thuillier, - l'altare è eretto, fate la vostra partitina.

La vecchia zitella troncava sempre le discussioni, alle quali le donne s'annoiavano, con questa frase.

Se tutti questi antecedenti, se queste idee generali non fossero state esposte, in forma di sommario, per incorniciare questa Scena e dare un'idea dello spirito di questa società, forse il dramma ne avrebbe sofferto. Questo schizzo del resto è di una fedeltà veramente storica e fa luce su una classe che ha la sua importanza sul costume, specie pensando che il sistema politico del ramo cadetto ne ha fatto la sua base d'appoggio.

 

 

 

6

UN PERSONAGGIO ESSENZIALE

 

L'inverno 1839 fu, in certo senso, la stagione in cui il salone Thuillier raggiunse il massimo splendore. I Minard vi venivano quasi ogni domenica e vi trascorrevano un'ora quando avevano altre sere impegnate, e Minard vi lasciava per lo più la moglie conducendo con sé la figlia e il figlio maggiore avvocato. L'assiduità dei Minard fu occasionata da un incontro, assai tardivo del resto, avvenuto fra i signori Métivier, Barbet e Minard in una serata nella quale questi due importanti inquilini s'erano soffermati un po' più del solito a chiacchierare con la signorina Thuillier. Minard seppe da Barbet che l'anziana signorina gli prendeva per circa trentamila franchi in titoli a cinque e sei mesi sulla base del sette e mezzo per cento annuo e che altrettanti ne prendeva da Métivier, in modo da maneggiare almeno centottantamila franchi.

- Faccio lo sconto librario al dodici e prendo solo titoli che valgono. Per me è la cosa più comoda, - concluse Barbet. Sostengo che ha centottantamila franchi perché non può dare alla banca se non effetti a novanta giorni di scadenza.

- Allora ha un conto in banca? - chiese Minard.

- Io credo di sì, - rispose Barbet.

Avendo rapporti con un dirigente della banca, Minard venne a sapere che la signorina Thuillier vi teneva un conto di circa duecentomila franchi, garantito da un deposito di quaranta azioni. Tale garanzia era, per così dire, superflua; la banca aveva riguardo per una persona che le era nota e che gestiva gli affari di Celeste Lemprun, la figlia d'un impiegato che aveva accumulato tanti anni di servizio quanti ne contava la banca stessa d'esistenza. La signorina Thuillier, del resto, non aveva mai oltrepassato in vent'anni l'ammontare del suo credito. Inviava ogni mese sessantamila franchi d'effetti a scadenza trimestrale, per un importo di circa centottantamila franchi. Le azioni depositate ne valevano centoventimila e non c'era quindi alcun rischio perché gli effetti ammontavano sempre a sessantamila franchi.

- Così, - disse il revisore, - se alla fine del trimestre c'inviasse centomila franchi d'effetti noi non gliene respingeremmo nemmeno uno.

Ha una casa intestata a suo nome, libera da ipoteche e che vale più di centomila franchi. Inoltre tutti i suoi titoli provengono da Barbet e Métivier e recano quattro firme fra cui la sua.

- Perché la signorina Thuillier agisce così? - chiese Minard a Métivier.

- Oh, certo per sistemare la sua Celeste. Vanno tutti matti per quella ragazza.

- Ma questo dovrebbe fare al caso vostro, - disse Minard.

- Oh io, - rispose Métivier, - farò di meglio sposando una cugina; mio zio Métivier, che m'ha affidato i suoi affari, ha centomila franchi di rendita e due figlie sole.

Per quanto misteriosa fosse la signorina Thuillier, che non parlava a nessuno dei suoi investimenti, neppure al fratello; per quanto aggiungesse al mucchio i risparmi ottenuti sui beni della signora Thuillier oltre che sui propri, era difficile che questo spiraglio di luce non trapelasse dal moggio che copriva il suo tesoro.

Dutocq, che frequentava Barbet col quale aveva molto in comune sia nella fisionomia che nel carattere, aveva stimato con maggior precisione di Minard le economie dei Thuillier a centocinquantamila franchi nel 1838 e poteva seguirne occultamente i progressi calcolando i profitti con l'aiuto dell'esperto scontista Barbet.

- Celeste avrà da noi duecentomila franchi in contanti, - aveva detto la vecchia zitella a Barbet in confidenza,- e la signora Thuillier vuole assicurarle alla stipulazione del contratto il nudo possesso dei suoi beni. Quanto a me, ho fatto testamento. Mio fratello avrà tutto vita natural durante e Celeste sarà, a questa condizione, mia erede.

Il signor Cardot, il mio notaio, è il mio esecutore testamentario.

Da allora la signorina Thuillier aveva incitato il fratello a riannodare gli antichi rapporti coi Saillard, i Baudoyer, i Falleix, che occupavano una posizione analoga a quella dei Thuillier e dei Minard nel quartiere Saint-Antoine, dove il signor Saillard era sindaco. Il notaio Cardot aveva presentato il proprio pretendente nella persona di maestro Godeschal, procuratore legale succeduto a Derville, uomo capace, che aveva versato centomila franchi anticipati per la sua carica e che con duecentomila franchi di dote avrebbe saldato il debito. Minard fece mettere alla porta Godeschal informando la signorina Thuillier che Celeste avrebbe avuto per cognata la famosa Marietta dell'Opéra.

- Ne è appena uscita, - disse Colleville alludendo alla moglie, e non certo per rientrarvi.

- Oltre tutto il signor Godeschal è troppo anziano per Celeste,osservò Brigitte.

- E poi, - replicò timidamente la signora Thuillier, non è bene che si sposi seguendo la sua inclinazione? Possa essere felice!

La povera donna aveva scorto in Felice Phellion il vero amore per Celeste, un amore quale una donna vessata da Brigitte e offesa dall'indifferenza di Thuillier, che della moglie s'era curato meno che d'una fantesca, aveva potuto sognare: audace nell'intimo, timido esteriormente, sicuro di sé e pavido, assorto con tutti, fatto per vivere tra le nuvole. A ventitré anni Felice Phellion era un giovane mite, candido come tutti gli studiosi che coltivano la scienza per la scienza. Era stato educato santamente dalla madre che, prendendo ogni cosa seriamente, gli aveva dato solo buoni esempi accompagnati da massime banali. Era un giovanotto di statura media, dai capelli castano chiari, gli occhi grigi, la carnagione arrossata, dotato d'una bella voce, d'un temperamento calmo, parco nei gesti, sognatore, che proferiva solo frasi sensate, non contraddiceva mai nessuno ed era, quel che è più importante, incapace d'un pensiero abietto o d'un calcolo egoistico.

"Ecco, - s'era spesso detta la signora Thuillier, - come avrei voluto mio marito!" A metà dell'inverno 1839-40, nel mese di febbraio, il salone dei Thuillier era gremito di tutti i personaggi di cui abbiamo descritto i lineamenti. La fine del mese era prossima. Barbet e Métivier, dovendo chiedere trentamila franchi ciascuno alla signorina Brigitte, giocavano a whist coi signori Minard e Phellion. A un altro tavolo sedevano Giuliano-l'avvocato, nomignolo affibbiato da Colleville al giovane Minard, la signora Colleville, il signor Barniol e la signora Phellion. Un ramino a un soldo il gettone teneva occupata la signora Minard, che conosceva solo quel gioco, due Colleville, l'anziano papà Saillard e il genero Baudoyer; Laudigeois e Dutocq erano i rimpiazzi.

Le signore Phellion, Baudoyer, Barniol e la signorina Minard facevano un boston e Celeste era seduta accanto a Prudenza Minard. Il giovane Phellion ascoltava la signora Thuillier contemplando Celeste.

Dall'altro lato del caminetto troneggiava su una poltrona imbottita la regina Elisabetta della famiglia, vestita nello stesso modo semplice usato per trent'anni, dato che nessun miglioramento del tenor di vita l'aveva indotta a cambiare abitudini. Sui capelli grigiastri portava una cuffia nera d'organza ornata del geranio Carlo Decimo; la veste a scialletto in lana pettinata color uva di Corinto costava quindici franchi; il collettino ricamato ne valeva sei e lasciava trasparire il solco marcato prodotto dai due muscoli che uniscono la testa alla colonna vertebrale. Monvel, impersonando Augusto al termine della sua carriera, non mostrava profilo più duro di quello dell'autocrate che lavorava calzini a maglia per il fratello. Thuillier stava in piedi innanzi al caminetto, pronto ad accogliere eventuali ospiti, e accanto a lui c'era un giovane la cui venuta aveva suscitato scalpore allorché il portinaio, che la domenica indossava l'abito della festa per servire, aveva annunciato il signor Oliviero Vinet.

Una confidenza di Cardot al celebre procuratore generale, padre del giovane magistrato, era stata la causa di tale visita. Oliviero Vinet era appena passato dal tribunale d'Arcis a quello della Senna in qualità di sostituto procuratore del re. Il notaio Cardot aveva invitato a pranzo in casa propria Thuillier e il procuratore generale, che pareva stesse per divenire ministro di Giustizia, col figlio.

Cardot stimava a settecentomila franchi almeno, in quel momento, le sostanze che dovevano toccare a Celeste. Vinet figlio era parso lietissimo d'avere il diritto di far visita la domenica ai Thuillier.

Le grosse doti fanno oggi commettere, senza alcun pudore, grosse sciocchezze.

Dieci minuti dopo un altro giovane, che stava parlando con Thuillier prima dell'arrivo del sostituto, alzò la voce accalorandosi in una discussione politica e costrinse il magistrato a far lo stesso per la vivacità assunta dalla disputa. Si parlava del voto col quale la Camera dei deputati aveva appena rovesciato il Ministero del 12 maggio negando l'appannaggio chiesto per il duca di Nemours.

- Sono ben lungi, - stava dicendo il giovane, - dall'appartenere alla corrente filodinastica e dall'approvare l'avvento della Borghesia al potere. La Borghesia non deve, come un tempo l'Aristocrazia, essere tutto quanto lo Stato. Ma, insomma, la Borghesia francese s'è assunta il compito di fondare una nuova dinastia, una regalità su misura, ed ecco come la tratta! Quando il popolo ha permesso a Napoleone d'innalzarsi ne ha fatto qualcosa di splendido e monumentale; era fiero della sua grandezza e ha profuso nobilmente sudori e sangue per erigere l'edificio dell'Impero. Tra i fulgori del trono aristocratico e quelli della porpora imperiale, tra i grandi e il popolo, la Borghesia si mostra meschina, abbassa il potere al suo livello anziché elevarsi ad esso. I risparmi sui mozziconi di candela nei propri empori li applica anche ai suoi principi. Ma ciò che è virtù nei suoi magazzini lassù è una colpa e un crimine. Io avrei voluto molte cose per il popolo ma non avrei mai tolto dieci milioni alla nuova Lista Civile. Divenuta ormai quasi tutto in Francia la Borghesia ci doveva il benessere del popolo, magnificenza senza sfarzo, grandezza senza privilegi.

Oliviero Vinet, il cui padre era uno dei caporioni della coalizione e la cui ambizione, dato che mirava alla zimarra del guardasigilli, doveva andar delusa, non sapeva che rispondere e ritenne di far bene diffondendosi su uno degli aspetti del problema.

- Signore, avete ragione, - disse il giovane magistrato. - Ma prima di mettersi in ghingheri la Borghesia ha degli obblighi da soddisfare con la Francia. Il lusso di cui parlate passa in secondo piano rispetto ai doveri. Ciò che vi pare tanto biasimevole è stata una necessità contingente. La Camera è ben lungi dall'aver voce negli affari pubblici; i ministri appartengono più alla Corona che alla Francia e il Parlamento ha voluto che il Ministero avesse, come in Inghilterra, una forza propria e non d'accatto. Il giorno in cui il Ministero potrà agire da solo e rappresentare nel potere esecutivo la Camera, così come la Camera rappresenta il paese, il Parlamento sarà generosissimo con la Corona. Questo è il punto, e lo espongo senza esprimere il mio parere perché i doveri della mia carica comportano, in politica, una specie di sudditanza alla Corona.

- A parte la questione politica, - replicò il giovane che all'accento si rivelava provenzale, - è altrettanto vero che la Borghesia ha mal compreso la sua missione; vediamo procuratori generali, primi presidenti, pari di Francia in omnibus, giudici che vivono del loro stipendio, prefetti senza beni di fortuna, ministri indebitati; mentre invece la Borghesia, impadronendosi di quei posti, doveva onorarli come li onorava in passato l'aristocrazia e anziché occuparli per arricchirsi, com'è stato dimostrato da processi scandalosi, detenerli profondendovi le proprie entrate...

- Chi è questo giovane? - si chiedeva Oliviero Vinet ascoltando,- è un parente? Cardot avrebbe ben potuto accompagnarmi per la prima volta.

- Chi è questo signorino? - domandò Minard al signor Barbet; - è da parecchio che lo vedo qui.

- E' un inquilino, - rispose Métivier distribuendo le carte.

- Un avvocato, - disse Barbet sottovoce; - occupa un appartamentino al terzo piano, sul davanti... Oh, niente di speciale e non ha un soldo.

- Come si chiama questo giovane? - chiese Oliviero Vinet al signor Thuillier.

- Teodosio de La Peyrade; è avvocato, - rispose Thuillier all'orecchio del sostituto.

Nel frattempo sia le donne che gli uomini stavano fissando i due giovani e la signora Minard non poté trattenersi dal dire a Colleville:

-E' un giovane molto perbene.

- Ho fatto il suo anagramma, - rispose il padre di Celeste, - e nomi e cognome di Carlo-Maria-Teodosio de La Peyrade profetizzano quanto segue: "Eh! Il signore pagherà, dote, oche e carro..." Perciò, mia cara mamma Minard, guardatevi bene dal dargli vostra figlia.

- Dicono che quel giovane è meglio di mio figlio, - disse la signora Phellion alla signora Colleville; - voi che ne dite?

- Oh, quanto al fisico, - rispose la signora Colleville, - una donna potrebbe esitare prima di scegliere.

In quell'istante il giovane Vinet, nel vedere il salone gremito di piccoli borghesi, ritenne d'agire con finezza esaltando la Borghesia e seguì in pieno il giovane avvocato provenzale dicendo che le persone onorate dalla fiducia del governo dovevano imitare il re il cui sfarzo superava di gran lunga quello della vecchia Corte; che economizzare sugli emolumenti d'una carica era una stoltezza e non era fattibile, a Parigi in special modo, dove il costo della vita era triplicato e l'appartamento d'un magistrato, ad esempio, costava mille scudi...

- Mio padre, - disse concludendo, - mi dà mille scudi l'anno e col mio stipendio sono appena in grado di vivere come la mia carica richiede.

Quando il sostituto s'avventurò su questa strada acquitrinosa nella quale il provenzale l'aveva abilmente condotto questi scambiò, senza farsi scorgere, un'occhiata con Dutocq, che doveva subentrare nel ramino.

- E sono tanti i posti che occorrono, - osservò il cancelliere, che si parla di creare due Conciliature per arrondissement in modo da avere dodici cancellieri in più... Come se si potesse attentare ai nostri diritti, a queste cariche pagate a prezzo esorbitante!

- Non ho ancora avuto il piacere d'udirvi a Palazzo, - disse il sostituto al signor de La Peyrade.

- Sono l'avvocato dei poveri e arringo solo in Conciliatura, rispose il provenzale.

Ascoltando la teoria del giovane magistrato sulla necessità di spendere le proprie entrate la signorina Thuillier aveva assunto un tono cerimonioso il cui significato era noto sia al giovane provenzale che a Dutocq. Il giovane Vinet uscì con Minard e Giuliano-l'avvocato di modo che padroni del campo rimasero, davanti al caminetto, il giovane de La Peyrade e Dutocq.

- L'alta borghesia, - disse Dutocq a Thuillier, - si comporterà come in passato l'aristocrazia. La nobiltà voleva ragazze ricche per poter concimare le sue terre, gli arricchiti attuali vogliono doti per riempire di fieno i propri stivali.

- E' quanto il signor Thuillier mi stava dicendo stamattina, rispose arditamente il provenzale.

- Il padre, - riprese Dutocq, - ha sposato una signorina de Chargeboeuf e ha assimilato le idee della nobiltà; gli occorrono mezzi ad ogni costo, la moglie vive da regina.

- Oh, - disse Thuillier nel quale si ridestò l'invidia che un borghese ha per gli altri, - togliete a quei tipi i loro posti e li vedrete tornare di dove sono usciti...

La signorina Thuillier lavorava a maglia con ritmo tale che si sarebbe detta mossa da una macchina a vapore.

- A voi signor Dutocq, - disse la signora Minard alzandosi. - Ho freddo ai piedi, - soggiunse accostandosi al camino dove gli ori del turbante fecero l'effetto d'un fuoco d'artificio rispetto alle luci delle candele dell'Etoile che tentavano d'illuminare invano il salone immenso.

- Quel sostituto è della Saint-Jean, non vale nulla! - disse la signora Minard fissando la signorina Thuillier.

- Della Saint-Argent dite? - rispose il provenzale, - proprio spiritoso, signora...

- Oh, la signora ci ha abituati da tempo a cose simili, - disse il bel Thuillier.

La signora Colleville scrutava il provenzale e lo paragonava al giovane Phellion che chiacchierava con Celeste, senza badare a quanto accadeva intorno a loro. Ecco perciò il momento di descrivere lo strano personaggio che doveva interpretare una parte così rilevante coi Thuillier e che merita davvero l'appellativo di grande artista.

 

 

 

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UN RITRATTO STORICO

 

In Provenza esiste, specie nei dintorni di Avignone, una razza d'uomini, biondi o castani, di colorito chiaro e dagli occhi quasi teneri, dalle pupille fioche, calme o languide anziché vivaci, ardenti, profonde com'è logico attendersi in meridionali. Facciamo notare, per inciso, che fra i Corsi, gente portata agli scatti e alle ire più tremende, si trovano spesso individui biondi e in apparenza placidi. Questi uomini pallidi, robusti, dall'occhio quasi vitreo, verde o azzurro, sono in Provenza i peggiori arnesi e Calo-Maria- Teodosio de La Peyrade era un esempio tipico di tale specie, la cui natura meriterebbe un approfondito esame da parte della scienza medica e della fisiologia filosofica. S'agita in essi una sorta di bile, d'umore maligno che dà alla testa e li rende capaci d'atti malvagi, compiuti apparentemente a freddo, che sono frutto di un'esaltazione interiore incompatibile col loro aspetto quasi linfatico e con la pacatezza del loro sguardo mite.

Il giovane provenzale, nato appunto nei pressi d'Avignone, era di statura media, ben proporzionata, grassoccio, di carnagione smorta, non livida, opaca o accesa ma gelatinosa. Solo questo termine può dare infatti idea di quel flaccido e scialbo involucro sotto il quale si celavano nervi non molto saldi ma capaci, in certe occasioni, d'una prodigiosa resistenza. Gli occhi, d'un azzurro freddo e pallido, esprimevano di norma una specie di malinconia fallace che, sulle donne, doveva fare grande effetto. La fronte ben disegnata non mancava di nobiltà e s'intonava con una capigliatura fine, rada, castano chiara, naturalmente ma impercettibilmente ondulata al fondo.

Il naso, in tutto simile a quello d'un cane da caccia, schiacciato, diviso in punta, curioso, intelligente, indagatore e sempre in aria, anziché avere un aspetto benevolo era ironico e beffardo; ma queste due tendenze del carattere non si facevano notare e occorreva che il giovane cessasse di controllarsi e andasse in collera per far sgorgare lo spirito e il sarcasmo che decuplicavano le sue battute infernali.

La bocca, piacevolmente curva, dalle labbra rosso vivo, pareva la meravigliosa tastiera d'un organo soave quasi nei tasti mediani, ai quali Teodosio sempre si atteneva, ma che negli acuti vibrava alle orecchie come il suono d'un gong. Questo falsetto era la voce vera dei suoi nervi e della sua ira. Il volto, privo d'espressione per volere intimo, era ovale. Per finire, i suoi modi, in assonanza con la calma sacerdotale del viso, erano pieni di garbo e di riserbo; ma c'era duttilità e costanza nel suo comportamento, che, senza giungere al mellifluo, non mancava d'una certa attrattiva che però, lui via, riusciva inspiegabile. Il fascino, se ha radice in cuore, lascia tracce profonde; quello che è invece frutto d'artificio, eloquenza compresa, ottiene solo vittorie effimere; ma raggiunge i suoi scopi ad ogni costo. Quanti filosofi però esistono, nella vita privata, in grado di intenderlo? Quasi sempre, per usare un modo di dire popolare, quando l'uomo della strada capisce il meccanismo il gioco è fatto.

Tutto, nel ventisettenne, si confaceva al suo attuale modo d'essere; obbediva alla sua vocazione coltivando la filantropia, unica espressione atta a definire il filantropo. Teodosio amava il popolo perché il suo amore prescindeva dall'umanità. Come gli orticultori si dedicano alle rose, alle dalie, ai garofani, ai pelargonii e non prestano alcuna attenzione alle specie che non hanno scelto per il proprio capriccio questo giovane LaRochefoucauld-Liancourt apparteneva agli operai, ai proletari, alle miserie dei faubourgs Saint-Jacques e Saint-Marceau. L'uomo di polso, il genio agli estremi, i poveri vergognosi del ceto borghese li espelleva dal grembo della carità. In tutti i maniaci il cuore somiglia a quelle scatole a scomparti in cui si ripongono i confetti divisi per qualità; il "suum cuique tribuere" è la loro massima e somministrano a ogni dovere la sua dose. Vi sono filantropi che si commuovono solo sugli errori dei condannati. Alla base della filantropia sta certo la vanità; ma nel giovane provenzale era calcolo, partito preso, ipocrisia liberale e democratica recitata con una perfezione a cui nessun attore saprebbe giungere. Non attaccava i ricchi, si limitava a non capirli, li sopportava; ciascuno, a suo dire, doveva trarre profitto dalle proprie opere; era stato, diceva, fervente discepolo di Saint-Simon ma tale colpa andava attribuita all'eccessiva giovinezza: la società moderna non poteva basarsi altro che sul principio ereditario. Fervente cattolico, come tutti gli abitanti del Comtat, andava a messa prestissimo e teneva celata la propria devozione. Simile alla maggior parte dei filantropi era d'una avarizia sordida e ai poveri dava solo il suo tempo, i suoi consigli, la sua eloquenza e il denaro che strappava per loro ai ricchi. Stivali e un panno nero portato finché le cuciture non divenivano bianche erano tutto il suo abbigliamento.

La natura aveva fatto molto per Teodosio privandolo di quella maschia e delicata bellezza meridionale che suscita negli altri aspettative alle quali per un uomo è assai difficile corrispondere mentre a lui bastava poco per piacere; perciò poteva passare, secondo che gli pareva, per uomo gradevole e perbene o assai villano.

Mai, dopo essere stato accolto in casa Thuillier, aveva osato, come quella sera, alzare la voce e imporsi con tanta maestria come aveva appena fatto con Oliviero Vinet; ma forse Teodosio de La Peyrade non era scontento d'aver cercato d'uscire dall'ombra dove s'era fino allora rimpiattato; era inoltre necessario sbarazzarsi del giovane magistrato così come i Minard avevano in precedenza causato la rovina del procuratore Godeschal. Come tutte le menti superiori, perché la superiorità non gli mancava, il sostituto per non essersi curvato tanto da scorgere le fila di queste ragnatele borghesi era cascato come una mosca, a capofitto, nella trappola quasi invisibile nella quale Teodosio l'aveva sospinto con uno di quegli stratagemmi dei quali non si sarebbero avvedute persone ben più abili d'Oliviero.

Per completare il ritratto dell'avvocato dei poveri non è inutile narrare i suoi esordi in casa Thuillier. Teodosio era arrivato sul finire del 1837; laureato in diritto da un quinquennio aveva fatto pratica a Parigi per diventare avvocato; ma circostanze ignote e sulle quali manteneva il silenzio gli avevano impedito di farsi iscrivere all'albo degli avvocati parigini; era ancora tirocinante. Ma una volta insediato nell'appartamentino al terzo piano, coi mobili strettamente indispensabili alla sua nobile professione e prescritti dall'ordine degli avvocati che non accetta un nuovo collega se non ha uno studio decoroso e una biblioteca e che invia a controllare luoghi e cose, Teodosio de la Peyrade era divenuto avvocato presso la Corte reale di Parigi.

Tutto il 1838 fu impiegato a realizzare questo mutamento di stato ed egli condusse una vita regolarissima. Studiava il mattino in casa fino all'ora di pranzo e si recava a volte a Palazzo per le cause importanti. Con gran difficoltà, a dire di Dutocq, strinse rapporti con Dutocq stesso e rese a qualche infelice del faubourg Saint- Jacques, raccomandato alla sua carità dal cancelliere, il favore di difenderlo in tribunale; lo affidò ai procuratori legali che, in base agli statuti della loro associazione, si occupano a turno delle faccende dei poveri e avendo accettato solo cause assolutamente certe le vinse tutte. Messosi in relazione con alcuni procuratori si fece conoscere dall'ordine per questi fatti encomiabili ed essi lo fecero ammettere prima nell'associazione degli avvocati tirocinanti e quindi iscrivere all'albo. Da quel momento, nel 1839, divenne l'avvocato dei poveri in Conciliatura e continuò a difendere la gente del popolo. I protetti di Teodosio esprimevano la loro ammirazione e gratitudine alle portinaie, malgrado le raccomandazioni del giovane avvocato, e alcuni di questi discorsi giunsero alle orecchie dei proprietari. Nel corso di quell'anno perciò i Thuillier, entusiasti d'avere in casa un uomo così stimabile e caritatevole, vollero attirarlo nel loro salone e interrogarono Dutocq in merito. Il cancelliere parlò come sogliono parlare gli invidiosi e, pur rendendo giustizia al giovane, disse che era notevolmente avaro, - ma forse a causa della povertà, - aggiunse.

- Ho avuto d'altronde informazioni sul suo conto. Fa parte della famiglia de La Peyrade, un'antica famiglia del Comtat d'Avignon; è venuto qui a cercare uno zio che si diceva fosse molto ricco; è riuscito a scoprire dove abitava tre giorni dopo la sua morte e il mobilio è bastato appena a saldare le spese del funerale e i debiti.

Un amico del defunto ha offerto al povero giovane cento luigi spronandolo a studiar diritto e a intraprendere la carriera giudiziaria; questa somma l'ha aiutato a tirare avanti per tre anni a Parigi, dove ha vissuto come un monaco; ma non essendo mai riuscito a rintracciare l'ignoto protettore il povero studente si trovò nel 1833 in miseria nera, dato che era giunto a Parigi nell'inverno 1829.

"Si occupò allora, come tutti i laureati, di politica e letteratura e per qualche tempo si sottrasse così all'indigenza, visto che non poteva sperare nulla dalla famiglia: suo padre, fratello minore dello zio deceduto in rue des Moineaux, ha undici figli a carico che vivono in una piccola tenuta chiamata les Canquoelles.

"Entrò infine in un giornale ministeriale del quale era gerente il famoso Cérizet, noto per le persecuzioni subite sotto la Restaurazione per via del suo attaccamento ai liberali ma al quale gli esponenti della nuova sinistra non perdonano d'essere passato ai ministeriali; e poiché oggi il potere quasi non difende i suoi più zelanti servitori, vedi il caso Gisquet, i repubblicani han finito col rovinare Cérizet.

Questo per spiegarvi perché Cérizet faccia ora il copista nella mia cancelleria.

"Bene, nel periodo in cui era in auge quale gerente d'un periodico diretto dal ministero Périer contro i giornali incendiari come 'la Tribune' e altri, Cérizet, che malgrado tutto è un brav'uomo benché ami un po' troppo le donne, il buon cibo e i piaceri, è stato utilissimo a Teodosio che redigeva la cronaca politica; e, senza la morte di Casimir Périer, il giovanotto sarebbe stato nominato sostituto a Parigi. Nel 1834 e '35 è di nuovo andato a picco, malgrado il suo ingegno, perché la collaborazione al giornale ministeriale gli ha nuociuto. 'Senza i miei principi religiosi, - m'ha detto allora, - mi sarei gettato nella Senna'. A farla breve, sembra che l'amico dello zio abbia saputo che versava in cattive condizioni e così ha ricevuto di che farsi nominare avvocato; ma continua a ignorare nome e indirizzo del misterioso protettore. Dopo tutto, in circostanze come queste, la sua parsimonia è comprensibile e occorre avere forza di carattere per rifiutare ciò che gli offrono i poveri ai quali la sua dedizione fa vincere le cause. S'indigna al veder gente speculare sull'impossibilità in cui si trovano i poveracci d'anticipare le spese d'un processo intentato loro ingiustamente. Oh, riuscirà; non mi stupirei di vedere quel ragazzo in una posizione altolocata; ha tenacia, onestà e coraggio! E poi studia, sgobba".

Ad onta del favore con cui era stato accolto, il maestro de La Peyrade si recò di rado dai Thuillier. Ma rimproverato per la sua riservatezza si fece vedere spesso, finì col venire ogni domenica, fu invitato ai pranzi importanti ed era talmente di famiglia che se giungeva verso le quattro per parlare a Thuillier l'obbligavano a fermarsi a mangiare senza cerimonie "quel che c'è." La signorina Thuillier si diceva:

- Almeno siamo sicuri che pranzerà come si deve, povero giovane!

Un fenomeno sociale che è stato osservato ma non ancora formulato e reso pubblico, se volete, e che merita d'essere segnalato è il ritorno alle abitudini, alla mentalità, ai modi della condizione originaria in persone che, dalla gioventù alla vecchiaia, si sono elevate sopra il punto di partenza. Thuillier ad esempio era ridiventato, moralmente parlando, figlio di portinaio; ripeteva qualcuna delle battute paterne; riaffiorava insomma, alla superficie, un po' della melma nativa.

Cinque o sei volte al mese, quando la minestra di grasso era saporita, egli esclamava, quasi fosse una facezia inedita, posando il cucchiaio nel piatto vuoto: - Questo è meglio d'un calcio negli stinchi!... - All'udire per la prima volta questa uscita Teodosio, che non la conosceva, smarrì la sua gravità e si mise a ridere così di gusto che Thuillier, il bel Thuillier, fu stuzzicato nella vanità come mai prima. Da allora Teodosio accoglieva sempre questa frase con un sorrisetto malizioso. Questo particolare insignificante spiegherà perché, il mattino seguente la serata in cui Teodosio aveva avuto lo scontro col giovane sostituto, avesse potuto dire a Thuillier passeggiando in giardino per constatare gli effetti del gelo:

- Avete molto più spirito di quanto non pensiate!

E aveva ottenuto in risposta:

- In ogni altra carriera, mio caro Teodosio, avrei fatto molta strada, ma la caduta dell'Impero m'ha rotto l'osso del collo.

- C'è ancora tempo, - aveva replicato il giovane avvocato. - Ma, intanto, che ha fatto quel pagliaccio di Colleville per meritare la croce?

Qui il maestro La Peyrade aveva toccato la piaga che Thuillier nascondeva a tutti, al punto che neppure la sorella ne sapeva niente; ma il giovane, intento a studiare tutti quei borghesi, aveva intuito la segreta invidia che rodeva l'animo dell'ex sottocapo.

- Se volete concedermi l'onore, voi così pieno d'esperienza, di seguire i miei consigli e soprattutto di non far cenno del nostro accordo con nessuno, neppure con la vostra ottima sorella a meno che io non condiscenda, m'incarico di farvi decorare fra gli applausi di tutto il quartiere.

- Oh se ci riuscissimo, - aveva esclamato Thuillier, non potete immaginare quel che sarò per voi...

Ciò spiega perché Thuillier s'era ringalluzzito quando, poco prima, Teodosio aveva avuto l'ardire d'attribuirgli delle idee.

 

 

 

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LA FINE DELLA SERATA

 

Nelle arti, e forse Molière ha incluso l'ipocrisia fra esse ponendo Tartufo per sempre fra i commedianti, esiste un massimo di perfezione al disotto del quale sta l'ingegno e a cui perviene solo il genio. C'è una differenza così esile fra il prodotto del genio e dell'ingegno che solo i geni possono valutare la distanza che separa Raffaello e Correggio, Tiziano e Rubens. Ma, soprattutto, la gente comune si lascia fuorviare. Caratteristica del genio è una facilità apparente.

La sua opera deve insomma apparire, a prima vista, usuale tanto riesce sempre ad essere naturale, anche nei temi più elevati.

Molte contadine tengono in braccio i figli come la celebre "Madonna di Dresda" regge il proprio. Ebbene, il culmine dell'arte, in un uomo dello stampo di Teodosio, è di far dire di sé più tardi: "Chiunque ci sarebbe cascato!" Ora, nel salone Thuillier, vedeva emergere il contrasto, intuiva in Colleville il temperamento lungimirante e critico dell'artista mancato. L'avvocato sapeva d'essere sgradito a Colleville che, a seguito di circostanze inutili da riferire, era pagato per credere alla scienza degli anagrammi. Nessuno di essi era risultato errato. S'erano burlati di lui in ufficio quando, essendogli stato chiesto l'anagramma del povero Augusto-Gianni-Francesco Minard, egli aveva trovato: "Ammasserò una grossa fortuna", ma l'esito giustificava, a un decennio di distanza, l'anagramma. Ora, quello di Teodosio era fatale. Quello della moglie invece lo faceva tremare e non ne aveva mai fatto parola, in quanto Flavia Minoret Colleville dava: "La vecchia C., nome infamato, ruba".

Più volte Teodosio aveva fatto due passi col gioviale segretario municipale e s'era sentito respinto da una freddezza innaturale in un uomo così espansivo. Quando la partita a ramino ebbe termine vi fu un momento in cui Colleville attirò Thuillier nel vano d'una finestra dicendogli:

- Lasci prender troppo piede in casa a quell'avvocato. Stasera ha monopolizzato la conversazione.

- Grazie amico mio, uomo avvisato uomo salvato, - rispose Thuillier burlandosi nell'intimo di Colleville.

Teodosio che, nel frattempo, chiacchierava con la signora Colleville teneva gli occhi fissi sui due amici e intuì con la prescienza di cui fanno uso le donne, che sanno quando e in che modo si parla di loro da un capo all'altro del salone, che Colleville cercava di nuocergli nell'animo del debole e ingenuo Thuillier.

- Signora, - sussurrò all'orecchio della devota, - credetemi, se qualcuno qui è in grado d'apprezzarvi sono io. Siete una perla caduta nel fango; non avete ancora quarantadue anni, perché una donna ha solo l'età che dimostra, e molte trentenni non vi stanno a pari e sarebbero liete d'avere il vostro vitino e questo viso celestiale sul quale l'amore è passato senza mai appagarvi. Vi siete data a Dio, lo so, sono troppo religioso per volere essere altro che un amico per voi; ma vi siete dedicata a lui perché non avete mai trovato una persona degna di voi. Insomma siete stata amata ma non vi siete mai sentita adorata, e io l'ho compreso... Ma ecco vostro marito che non ha saputo darvi una posizione conforme al vostro valore; non mi può soffrire, quasi pensasse che vi ami, e m'impedisce di dirvi ciò che credo aver trovato per farvi ascendere alla sfera cui eravate destinata... No, signora, - disse alzandosi e a voce alta, - non è l'abbé Gondrin che predicherà quest'anno la quaresima nel vostro povero Saint-Jacques-du-Haut-Pas; è il signor d'Estival, un mio conterraneo, che s'è votato alla predicazione a favore delle classi povere e voi udrete uno dei più suadenti predicatori che conosca, un prete dall'aspetto poco attraente ma quale anima!...

- I miei voti allora s'avvereranno, - disse la povera signora Thuillier; - non sono mai riuscita a capire i predicatori celebri!

Un sorriso aleggiò sulle labbra vizze della signorina Thuillier come pure su quelle d'altri astanti.

- Si occupano troppo di dimostrazioni teologiche, è tanto che la penso così, - disse Teodosio, - ma non parlo mai di religione e non fosse per la signora de Colleville...

- Esistono dunque dimostrazioni in teologia? - chiese ingenuamente e a bruciapelo il professore di matematica.

- Non credo, - rispose Teodosio fissando Felice Phellion, - che mi facciate sul serio questa domanda.

- Mio figlio, - disse il vecchio Phellion giungendo pesantemente in aiuto al figlio dopo aver scorto un'espressione angustiata sul volto pallido della signora Thuillier, mio figlio distingue la religione in due categorie: la considera sotto il profilo umano e divino, la tradizione e il raziocinio.

- Quale eresia, signore; - replicò Teodosio; - la religione è unica e richiede anzitutto fede.

Il vecchio Phellion, inchiodato da questa frase, guardò la moglie:

- Mia cara, è ora...

E indicò la pendola.

- Oh, signor Felice, - sussurrò Celeste all'orecchio del candido matematico, - non potreste essere, come Pascal e Bossuet, sapiente e pio?...

I Phellion, ritirandosi in massa, trascinarono con sé i Colleville; presto non rimasero che Dutocq, Teodosio e i Thuillier.

Le adulazioni prodigate da Teodosio a Flavia hanno le caratteristiche delle frasi fatte; ma è da rilevare, nell'interesse del racconto, che l'avvocato si teneva al livello di queste menti plebee; navigava nelle loro acque, parlava la loro lingua. Il suo pittore era Pierre Grassou e non Giuseppe Bridau; il suo libro era "Paul et Virginie". Il maggior poeta del momento era Casimir Delavigne; ai suoi occhi il compito dell'arte era, prima d'ogni altra cosa, l'utile. Parmentier, "l'autore della patata", valeva trenta Raffaelli; l'uomo dalla mantellina azzurra gli sembrava una "suora di carità". Questi modi di dire di Thuillier li rammentava a tratti.

- Quel giovane Felice Phellion è in tutto e per tutto l'universitario del nostro tempo, il prodotto d'una scienza che ha messo Dio da parte.

Mio Dio! Dove stiamo andando? La religione sola può salvare la Francia perché solo il timore dell'inferno ci trattiene dal furto domestico, che ad ogni istante avviene in seno alle famiglie e dilapida le sostanze più cospicue. Avete tutti una guerra in casa.

Con questa abile tirata, che fece molta impressione su Brigitte, si ritirò seguito da Dutocq, dopo avere augurato la buona notte ai tre Thuillier.

- Quel giovane ha molte qualità! - sentenziò Thuillier.

- Sì, davvero, - rispose Brigitte spegnendo le lampade.

- Ha fede, - disse la signora Thuillier avviandosi per prima.

- Signore, - stava dicendo Phellion a Colleville giunti in prossimità dell'Ecole des Mines e dopo essersi accertato d'esser soli in strada, - è mia abitudine chieder lumi agli altri, ma non posso evitare di pensare che quel giovane avvocato la faccia da padrone in casa dei nostri amici Thuillier.

-Il mio parere, - replicò Colleville che camminava con Phellion dietro alla moglie, a Celeste e alla signora Phellion strette l'una all'altra, - è che è un gesuita e a me quella gente non piace... Anche il migliore di essi non val niente. Per me gesuita significa finzione, e finzione per la finzione; fingono per il piacere di fingere e, come si suol dire, per tenersi mano. Questo è il mio parere, non ho peli sulla lingua...

- Vi capisco signore, - rispose Phellion che teneva a braccetto Colleville.

- No, signor Phellion, - ribatté Flavia con una vocina acuta, voi non capite Colleville, ma io so quel che intende dire e farà bene a non proseguire... Argomenti del genere non si discutono per strada, alle undici, e davanti a una ragazza.

- Moglie mia hai ragione, - disse Colleville.

Arrivati in rue des Deux-Églises, che i Phellion dovevano imboccare, si diedero la buona notte e Felice Phellion disse allora a Colleville:

- Signore, vostro figlio Francesco potrebbe entrare all'École Polytechnique se fosse seguito da vicino; vi offro di porlo in condizione di superare quest'anno gli esami.

- Non dico di no! Grazie amico mio, - disse Colleville, vedremo.

- Bene! - disse Phellion al figlio.

- Non è una cattiva idea! - esclamò la madre.

- Che ci trovate di strano? - chiese Felice.

- E' come far la corte ai genitori di Celeste.

- Che non riesca a risolvere il mio problema se ci ho pensato! esclamò il giovane professore; - ho scoperto, parlando coi piccoli Colleville, che Francesco ha inclinazione per la matematica e ho creduto doverne informare il padre...

- Bene figlio mio, - ripeté Phellion, - non ti vorrei diverso. I miei voti sono appagati, ho in mio figlio la probità, l'onore, le virtù private e civiche che auspicavo per lui.

La signora Colleville, quando Celeste si fu coricata, disse al marito:

- Colleville, non ti esprimere con tanta crudezza sulla gente se non la conosci a fondo. Quando parli di gesuiti so che alludi ai preti, perciò fammi il piacere di tenere per te le tue idee in fatto di religione ogni volta che tua figlia sarà presente. Noi siamo liberi di sacrificare le nostre anime, non quelle dei nostri figli. Vorresti per figlia una creatura senza fede?... Adesso, micione, noi siamo in balìa di chiunque, abbiamo quattro figli cui badare e puoi dire se, a una data epoca, non avrai bisogno di questo o quello? Non farti perciò nemici visto che non ne hai; sei un brav'uomo e grazie a questa qualità che, in te, ha perfino del fascino ce la siamo cavata benissimo!...

- Basta, basta! - disse Colleville che stava gettando il vestito su una sedia e si slacciava la cravatta; - ho torto e hai ragione tu, mia bella Flavia.

- Alla prima occasione mio grosso pecorone, - disse l'astuta comare dando un buffetto sulle gote del marito,- cercherai di usare una cortesia a quell'avvocatuccio; è un volpone, bisogna averlo dalla nostra. Recita la commedia?... bene, falla anche tu con lui; lasciati abbindolare in apparenza e, se ha ingegno e avvenire, fattene un amico. Credi voglia vederti ancora a lungo in municipio ?

- Venite moglie Colleville, - disse ridendo l'ex clarinetto dell'Opéra-Comique dandosi una pacca sul ginocchio per indicare alla moglie il posto che voleva occupasse, - scaldiamoci i piedini e parliamo... Guardandoti mi convinco sempre più di questa verità, che la gioventù delle donne è nella loro vita...

- E nel loro cuore...

- L'uno e l'altra, - rispose Colleville, - vitino snello e cuore greve...

- No, bestione!... profondo.

- Ciò che hai di bello è che hai mantenuto l'incarnato candido senza ingrassare!... Ma ecco qua... hai le ossa piccole... Sai, Flavia, dovessi ricominciare a vivere non vorrei altra moglie che te.

- Lo sai che ti ho sempre preferito agli altri... Che disgrazia che Monsignore sia morto! Sai cosa vorrei per te?

- No...

- Un posto al Municipio di Parigi, un posto da dodicimila franchi, qualcosa come un cassiere, alla cassa municipale o a quella di Poissy, o un ricevitore.

- La cosa mi attrae.

- Bene, se questo mostro d'avvocato avesse qualche, potere, ha degli appoggi: trattiamolo coi guanti... Lo sonderò... lascia fare a me... e soprattutto non ostacolare il suo gioco coi Thuillier...

Teodosio aveva toccato il tasto dolente nel cuore di Flavia Colleville e il fatto merita una spiegazione che, forse, avrà il valore d'una veduta panoramica sulla vita delle donne.

 

 

 

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UNA DONNA DI QUARANT'ANNI

 

A quarant'anni la donna, specie quella che ha gustato la mela avvelenata della Passione, prova un solenne terrore; ha coscienza che due morti l'attendono: la morte del cuore e quella del corpo.

Suddividendo le donne in due categorie in base ai criteri più comuni, definendole virtuose o colpevoli, è lecito dire che nel sentirsi incluse in questa tragica schiera esse provano un dolore orribilmente intenso. Virtuose e deluse nelle aspirazioni naturali, si siano sottomesse o abbiano sepolte le loro ribellioni in cuore o ai piedi dell'altare, non senza spavento si dicono che per esse tutto è finito.

Questa convinzione ha echi così strani e diabolici che in essa sta la causa di qualcuna quelle apostasie che spesso sorprendono e atterriscono gente. Se colpevoli, si trovano in una di quelle vertiginose situazioni che a volte sfociano, ahimè, nella pazzia o si concludono con la morte, oppure culminano in passioni grandi quanto la situazione stessa.

Ecco il significato ambivalente di questa crisi: o han conosciuto la felicità, se ne son fatto un sistema di vita voluttuoso e non possono respirare che quest'aria satura d'incenso, muoversi in quest'atmosfera fiorita in cui le adulazioni son carezze, e allora come rinunciarvi?

Oppure, fenomeno più strano che inconsueto, non han provato che stucchevoli piaceri nel cercare una felicità che le sfuggiva, sorrette in questa ardente caccia dalle gioie irritanti della vanità, ostinandosi in quel gioco come un giocatore sul suo sistema e, per esse, questi estremi giorni di bellezza sono l'ultima puntata d'un disperato.

- Voi siete stata amata, ma non adorata!

Questa frase di Teodosio, accompagnata da uno sguardo che leggeva non nel cuore ma nella vita, era la chiave d'un enigma e Flavia si sentì capita.

L'avvocato non aveva fatto che ripetere idee che la letteratura ha rese banali; ma che importa di che fattura e tipo è il frustino quando sferza la piaga d'un cavallo di razza? La poesia era in Flavia e non nel carme così come il rumore non è nella valanga anche se la provoca.

Un ufficialetto, due vanesi, un banchiere, un goffo giovanotto e il povero Colleville erano miseri successi. Una sola volta in vita sua era apparsa la felicità ma senza poterla assaporare; la morte s'era affrettata a troncare l'unica passione in cui Flavia avesse trovato gioia. Da due anni prestava orecchio alla voce della religione che le diceva che Chiesa e società non parlano di felicità e d'amore, ma di doveri e rassegnazione; che, per queste due massime autorità, la felicità consiste nella soddisfazione che procura l'assolvere doveri ingrati o costosi e che la ricompensa non è di questo mondo. Ma essa udiva nell'intimo una voce che si esprimeva altrimenti e poiché la sua devozione era una maschera che occorreva portare e non una vera conversione, poiché essa non se la toglieva mai in quanto la considerava un espediente utile, poiché la pietà, vera o finta, era un modo d'adeguarsi all'avvenire, se ne stava in chiesa come in un crocicchio in mezzo alla foresta, seduta su una panchina, leggendo i cartelli indicatori e aspettando il capriccio del caso in attesa della notte eterna.

La sua curiosità fu perciò vivamente stuzzicata nell'udire Teodosio descrivere la sua condizione intima e, anziché approfittarne, attaccarsi al lato puramente interiore della sua esistenza e prometterle la realizzazione d'un castello in aria sette o otto volte crollato.

Dall'inizio dell'inverno s'era sentita, di nascosto, scrutata a fondo e analizzata da Teodosio. Più volte aveva indossato l'abito di seta grigia marezzata, le trine nere e l'acconciatura a fiori intrecciati con merletti per meglio figurare, e gli uomini capiscono sempre quando ci si mette in ghingheri per loro. L'atroce bello dell'Impero la seccava con grossolane adulazioni, era la regina del salone, ma il provenzale era mille volte più eloquente con una sola occhiata. Flavia aveva atteso, una domenica dopo l'altra una dichiarazione; si diceva:

"Sa che sono rovinata ed è senza un soldo! O forse è davvero pio".

Teodosio non voleva precipitare le cose e, come un esperto musicista, aveva segnato il punto dello spartito in cui percuotere il tam-tam.

Vedendosi screditato da Colleville con Thuillier aveva sparato la sua bordata, preparata con abilità nei tre o quattro mesi impiegati a studiare Flavia, e aveva avuto successo, come il mattino con Thuillier.

Si diceva coricandosi:

"La moglie è dalla mia parte, il marito non può soffrirmi: a quest'ora stan bisticciando e il più forte sarò io perché di suo marito lei fa quel che vuole".

Su questo il provenzale s'era sbagliato, dato che non c'era stato il minimo screzio e Colleville dormiva accanto alla sua piccola cara Flavia mentre essa diceva a se stessa:

"Teodosio è un uomo superiore".

Molti uomini, al pari di La Peyrade, traggono superiorità dall'audacia o dalla difficoltà di un'impresa; le energie che vi profondono rafforzano i loro muscoli, vi s'impegnano al massimo; poi, nel successo come nella sconfitta, la gente stupisce al trovarli gretti, meschini o bolsi. Dopo aver instillato nella mente dei due esseri da cui dipendeva il destino di Celeste una curiosità che doveva diventar febbrile Teodosio si mostrò affaccendato: per cinque o sei giorni stette fuori dal mattino a sera per rivedere Flavia solo quando il desiderio avrebbe toccato in lei quel punto in cui si passa sopra alle convenienze e costringere l'anziano bello a venire da lui.

La domenica successiva fu quasi certo di trovare la signora Colleville in chiesa e ne uscirono infatti entrambi quasi contemporaneamente, s'incontrarono in rue des Deux-Eglises e Teodosio offrì il braccio a Flavia, che l'accettò, lasciando che la figlia la precedesse in compagnia di Teodoro. Quest'ultimo dei suoi figli, allora dodicenne, dovendo entrare in seminario era semiconvittore nell'istituto Barniol dove riceveva un'istruzione elementare e, naturalmente, il genero di Phellion aveva ridotto il costo della mezza pensione in previsione delle auspicate nozze del professor Phellion con Celeste.

- M'avete fatto l'onore e il piacere di pensare a quanto vi ho detto in così malo modo l'altro giorno? - chiese in tono lezioso l'avvocato alla bella devota premendo il suo braccio sul cuore con gesto al tempo stesso dolce e forte, volendo farle intendere che si controllava, per mostrarsi garbato, controvoglia. - Non fraintendete le mie intenzioni, - riprese nel ricevere dalla signora Colleville una di quelle occhiate che le donne assuefatte alle passioni sanno scoccare e la cui espressione può adattarsi tanto a un severo rimbrotto quanto a un conflitto interiore. - Vi amo come si ama una natura bella in preda all'infelicità; la carità cristiana accoglie sia i forti che i deboli e il suo patrimonio è di tutti. Fine, graziosa, elegante come siete; fatta per dar lustro alla più alta società, quale uomo può vedervi, senza un'immensa compassione in cuore, bazzicare questi odiosi borghesi che ignorano tutto di voi, perfino il valore aristocratico d'un vostro gesto o sguardo o di una civettuola inflessione di voce!

Ah... fossi ricco!... Se fosse in mio potere vostro marito, che certo è una brava persona, diverrebbe ricevitore generale e voi lo fareste nominare deputato! Ma io, povero ambizioso il cui primo dovere è nascondere la propria ambizione visto che mi trovo in fondo al sacco come l'ultimo numero d'una tombola in famiglia, non posso offrirvi che il mio braccio anziché il mio cuore. Ripongo ogni speranza in un buon matrimonio e siate certa che renderei mia moglie non solo felice ma una delle prime dame dello Stato, purché ottenessi da lei i mezzi per arrivarci... Il tempo è bello, venite a fare un giro al Luxembourg, - disse una volta giunti in rue d'Enfer, sull'angolo della casa della signora Colleville di fronte alla quale c'è un passaggio che conduce al giardino attraverso la scala d'un piccolo edificio, l'ultimo residuo del celebre convento dei Chartreux.

La mollezza del braccio che egli sosteneva espresse il tacito consenso di Flavia e, poiché essa meritava l'onore d'una sorta di violenza, la trascinò a forza con sé aggiungendo:

- Venite! Non ci capiterà spesso un momento così propizio. Oh, disse, - vostro marito ci sta guardando, è alla finestra; andiamo adagio...

- Non abbiate timore del signor Colleville, - rispose Flavia con un sorriso, - mi lascia totalmente libera delle mie azioni.

- Oh, ecco la donna che ho sognato! - esclamò il provenzale con quel tono estatico che infiamma solo anime ed esce solo da labbra meridionali. - Scusate signora, riprese dominandosi e ridiscendendo da un mondo superiore all'angelo esiliato che guardò con devozione; - scusate! Torno a quanto stavo dicendo... Eh, come non esser sensibili ai dolori che sentiamo in noi vedendo che sono il destino d'una creatura a cui la vita dovrebbe concedere solo felicità e letizia!...

Le vostre sofferenze sono le mie; anch'io mi trovo fuori posto proprio quanto voi: la sfortuna ci ha resi fratello e sorella. Ah, cara Flavia! Il primo giorno che m'è accaduto di vedervi, era l'ultima domenica del settembre 1838..., eravate bellissima; mi apparirete spesso in quell'abitino di mussola di lana coi colori d'un tartan di non so quale clan scozzese!... Quel giorno mi dissi: "Perché questa donna è dai Thuillier e perché, soprattutto, ha avuto a che fare con un Thuillier?..." - Signore!... - disse Flavia, sgomenta della china rapida lungo la quale il provenzale conduceva il discorso.

- Eh, so tutto, - dichiarò egli accompagnando la frase con una spallucciata, - e mi è chiaro tutto... né vi stimo meno. Suvvia, non è poi il peccato d'una donna brutta o gobba... Dovete raccogliere i frutti del vostro errore e io vi aiuterò! Celeste sarà ricchissima e in questo consiste tutto il vostro avvenire; non potete avere che un solo genero, abbiate l'accortezza di sceglierlo con cura. Un ambizioso diverrà ministro, un grullo vi umilierà, vi creerà fastidi, renderà infelice vostra figlia; e se ne dilapidasse i beni non saprebbe certo ricostituirli. Ebbene io vi amo, - le disse, - e con affezione sconfinata; siete al di sopra d'una quantità di meschine convenzioni da cui gli sciocchi si lasciano invischiare. Mettiamoci d'accordo...

Flavia era esterrefatta; fu però toccata dall'estrema franchezza di quel modo d'esprimersi e si diceva: "Certo costui non fa misteri!..." Ma ammetteva anche di non essersi mai sentita così profondamente scossa e turbata come da quel giovane.

- Signore, non so chi possa avervi indotto in errore sul mio conto e con quale diritto voi...

- Ah, scusate signora, - rispose egli con freddezza sprezzante, ho sognato... Mi son detto: "Lei è tutto questo!" o non ha che apparenza.

Ora so perché resterete sempre al quarto piano, lassù, in rue d'Enfer.

E sottolineò la frase con un gesto energico indicando le finestre dell'alloggio di Colleville, visibili dal grande viale del Luxembourg lungo il quale stavano passeggiando soli, in quell'immenso campo arato da tante giovanili ambizioni.

- Sono stato franco, m'attendevo che anche voi lo foste. Io ho vissuto giorni interi senza pane, signora; ho saputo cavarmela, seguire i corsi di diritto, ottenere la laurea a Parigi con duemila franchi appena di capitale ed ero entrato dalla barrière d'Italie con cinquecento franchi in tasca ripromettendomi, come uno dei miei compatrioti, di diventare un giorno uno degli uomini più eminenti del paese... E l'uomo che ha raccattato spesso il cibo nei cesti in cui gli albergatori ripongono gli avanzi e che vuotano alle sei del mattino davanti alle loro porte quando i rivenduglioli ne hanno a sufficienza... quest'uomo non indietreggerà davanti ad alcun mezzo...

lecito. Mi credete l'amico del popolo, eh?... - disse sorridendo; - la Fama ha bisogno d'un portavoce; non si fa certo udire parlando a fior di labbro...; e senza fama a che serve l'ingegno? L'avvocato dei poveri sarà quello dei ricchi... Vi basta che metta a nudo le mie viscere? Apritemi il cuore... Ditemi: "Siamo amici" e un giorno saremo tutti felici...

- Mio Dio! Perché son venuta qui? Perché v'ho dato il braccio?... - proruppe Flavia.

- Perché è scritto nel vostro destino! - le rispose egli.- Eh, mia cara e diletta Flavia, - soggiunse premendosi il braccio sul cuore, - v'aspettavate d'udirmi dire frasi banali?... Siamo fratello e sorella... ecco tutto.

E la ricondusse al passaggio per fare ritorno in rue d'Enfer.

Flavia provava una sensazione di terrore mista al compiacimento che alle donne causano emozioni violente e scambiò questo terrore per quella specie di tremore che provoca una nuova passione; ma si sentiva soggiogata e camminava in silenzio.

- A che pensate?... - le chiese Teodosio a metà del passaggio.

- A tutto ciò che m'avete detto, - essa rispose.

- Ma, - egli replicò, - all'età che abbiamo si saltano i preliminari; non siamo ragazzi e apparteniamo entrambi a un ambiente in cui dobbiamo intenderci. Sappiate insomma, - riprese sboccando in rue d'Enfer, - che sono tutto vostro...

E le rivolse un profondo saluto.

"I ferri sono sul fuoco!" si disse seguendo con lo sguardo la preda frastornata.

 

 

 

10

LA CHIAVE DELL'ENIGMA

 

Rientrando in casa propria Teodosio trovò sul pianerottolo un protagonista in certo modo subacqueo di questa vicenda, cui appartiene come il basamento sotterraneo su cui posa la facciata d'un palazzo. La vista di quest'uomo che doveva aver suonato, senza trovarlo, alla sua porta e che stava suonando ora a quella di Dutocq fece trasalire l'avvocato provenzale, ma dentro sé e senza che nulla tradisse esteriormente la sua violenta emozione. Quest'uomo era il Cérizet di cui Dutocq aveva parlato ai Thuillier come del suo copista.

Cérizet, che aveva appena trentanove anni, pareva un uomo sulla cinquantina tanto era invecchiato in tutto ciò che può fare invecchiare un uomo. La testa calva mostrava un cranio giallastro, coperto malamente da una parrucca sbiadita al punto da parere giallognola; il viso smorto e flaccido, oltremodo rugoso, sembrava ancora più orribile per via del naso corroso, non tanto però da poterlo sostituire con uno finto in quanto dalla radice fino alle narici era quale natura l'aveva fatto; il male, dopo averne divorata la punta, vi aveva lasciato due buchi di forma strana che viziavano la pronuncia e impacciavano l'eloquio. Gli occhi, già azzurri, indeboliti da miserie d'ogni genere, da notti trascorse a vegliare, arrossati agli orli, mostravano profonde alterazioni e lo sguardo, quando l'anima v'infondeva un'espressione maligna, avrebbe spaventato giudici o criminali, quelle persone insomma che non si spaventano di nulla.

La bocca, sdentata salvo alcuni mozziconi anneriti, era minacciosa: vi affiorava una saliva rada e schiumosa che non andava oltre le labbra sottili e esangui. Cérizet, di corporatura minuta, più disseccato che magro, cercava d'ovviare alla sgradevolezza dell'aspetto con il modo di vestire, e se l'abbigliamento non era da nababbo gli dava un aspetto decoroso che ne faceva risaltare maggiormente la miseria.

Tutto in lui aveva un'aria dubbia, tutto era confacente alla sua età, al suo naso, al suo sguardo. Se poteva avere trentanove come sessant'anni era impossibile appurare se i suoi pantaloni blu, stinti ma attillati, sarebbero stati presto di moda o se appartenevano a quella del 1835. Stivali sformati, lucidati con cura, risuolati per la terza volta, un tempo eleganti, avevano forse calpestato tappeti ministeriali. Il soprabito con alamari sbiaditi dalle intemperie e i cui fregi lasciavano indiscretamente trasparire l'anima di metallo rivelavano con la loro foggia una signorilità svanita. Il colletto- cravatta in raso celava la biancheria intima, ma sul dietro appariva sfilacciato dall'ardiglione della fibbia e il raso era avvivato da una specie d'oleosità secreta dalla parrucca ai tempi della gioventù; il panciotto era abbastanza lindo, ma era di quelli che si comprano a quattro franchi e si trovano su una bancarella d'abiti fatti. Tutto era spazzolato con cura, al pari del cappello in seta luccicante e bernoccoluto. Ogni cosa armonizzava e faceva tollerare i guanti neri che coprivano le mani di quest'impiegato subalterno, la cui vita antecedente si può riassumere con una frase.

Era un artista del Male al quale, da principio, il male aveva profittato e che, suggestionato dai primi successi, continuava a ordire infamie restando nell'ambito della legge. Divenuto titolare d'una tipografia tradendo il principale aveva subito condanne quale gerente d'un giornale liberale; e in provincia, sotto la Restaurazione, era divenuto allora una delle bestie nere del governo monarchico, lo sfortunato Cérizet, pari allo sventurato Chauvet e all'eroico Mercier, e aveva dovuto a questa fama di patriottismo un posto da sottoprefetto nel 1830; sei mesi dopo era stato destituito; ma egli s'era detto condannato senza essere stato inteso e fece tanto chiasso che, sotto il ministero Casimir Périer, divenne gerente d'un giornale antirepubblicano al soldo del ministero. Ne uscì per darsi agli affari, nel novero dei quali vi fu una delle più disgraziate accomandite condannate dalla Polizia Correzionale, e accolse con fierezza la condanna spacciandola per una vendetta ordita dal partito repubblicano che, a suo dire, non gli perdonava d'averlo attaccato duramente sul suo giornale restituendogli dieci ferite in una. Aveva scontato la pena in una casa di salute. Il potere ebbe vergogna d'un uomo uscito dall'hospice des Enfants-Trouvés, i cui costumi quasi licenziosi e gli affari loschi con un ex banchiere di nome Claparon gli avevano procurato alla fine una meritata disistima. In tal modo a Cérizet, sceso di gradino in gradino al livello più basso della scala sociale, occorse un briciolo di pietà per ottenere il posto da copista nella cancelleria di Dutocq. Nel pieno della sua miseria quest'uomo sognava una rivincita e, non avendo più nulla da perdere, non badava ai mezzi. Lui e Dutocq erano uniti da abitudini depravate. Cérizet era per Dutocq nel quartiere, ciò che il levriero è per il cacciatore.

Cérizet, al corrente dei bisogni di tutti gli infelici, praticava quell'usura da rigagnolo chiamata prestito ad alto interesse e a breve scadenza; divideva il guadagno con Dutocq e questo ex monello parigino, divenuto banchiere delle bancarelle, scontista delle carrette a mano, era l'insetto roditore dei due faubourgs.

- Ebbene, - disse Cérizet vedendo Dutocq aprire la porta, - dato che Teodosio è di ritorno andiamo da lui...

E l'avvocato dei poveri lasciò che i due lo precedessero.

Tutti e tre varcarono una piccola anticamera piastrellata e tirata a lucido, nella quale la luce splendeva su uno strato di cera rossa filtrando fra tendine di percalle e lasciando scorgere un modesto tavolo rotondo in noce, delle sedie in noce, una credenza in noce su cui era posata una lampada. Di là si passava in un saloncino a tendaggi rossi, con mobili in mogano e in velluto rosso di Utrecht, la cui parete dirimpetto alle finestre era occupata da una biblioteca colma di trattati di giurisprudenza. Il caminetto era guarnito di cose di cattivo gusto: una pendola a quattro colonnine in mogano, candelabri sotto vetro. Lo studio, nel quale andarono a sedersi dinanzi a un fuoco di carbone fossile, era quello d'un avvocato esordiente: una scrivania, una poltrona a braccioli, tendine in seta verde alle finestre, un tappeto pure verde, dei classificatori e un divanetto sovrastato da un Cristo in avorio su fondo di velluto.

Camera da letto e cucina davano evidentemente sul cortile.

- Beh, - disse Cérizet, - come va? Andiamo bene?

- Ma sì, - rispose Teodosio.

- Confessate, - esclamò Dutocq, - che ho avuto un'idea eccellente nell'escogitare il mezzo di abbindolare questo sciocco di Thuillier...

- Sì, ma io non son stato da meno, - asserì Cérizet: - vengo stamani a procurarvi le corde per mettere lo stringipollici alla vecchia zitella e a farla girare come una trottola... Non esageriamo però! In quest'affare la signorina Thuillier è tutto: averla dalla nostra significa avere la vittoria in pugno... Parliamo poco ma bene, come deve fare chi è forte. Il mio ex socio, Claparon, lo sapete bene, è uno stupido e sarà per tutta la vita quel che è sempre stato, un burattino. Attualmente fa da prestanome a un notaio di Parigi, associato a impresari che sono tutti in procinto di fallire! Tocca a Claparon trangugiare la pillola: finora non era mai fallito ma c'è una prima volta in tutto e, attualmente, è nascosto nella mia topaia in rue des Poules dove nessuno lo troverà mai. Claparon è furibondo, non ha il becco d'un quattrino; e fra le cinque o le sei case che stanno per essere vendute ce n'è una che è un gioiello, ben costrutta in solida pietra da taglio, nei pressi della Madeleine- una facciata ricamata come un melone, magnifiche decorazioni scolpite - ma che non essendo ultimata sarà ceduta a non più di centomila franchi; spendendovene venticinquemila, fra due anni se ne potranno ricavare quarantamila di rendita. Facendo un favore del genere alla signorina Thuillier sarà possibile diventarne il cocco specie lasciandole capire che si possono trovare ogni anno occasioni del genere. Si conquistano i vanitosi servendo il loro amor proprio o minacciandoli: si hanno in pugno gli avari quando si mira alla loro borsa o gliela si riempie. E poiché, tutto sommato, lavorare per la Thuillier equivale a lavorare per noi bisogna far sì che approfitti di questo buon affare.

- E il notaio, - disse Dutocq, - perché lo lascia perdere?

- Eh, Dutocq, è proprio il notaio a salvarci! Il notaio, costretto a vendere il suo posto e, comunque, rovinato, s'è riservata questa fetta degli avanzi della torta. Credendo alla buona fede dello stupido Claparon l'ha incaricato di trovargli un acquirente nominale, in quanto deve usare tanta fiducia quanta prudenza. Noi gli lasceremo credere che la signorina Thuillier è un'onesta zitella che presta il suo nome al povero Claparon e ci cascheranno entrambi in pieno, Claparon e il notaio. Devo pure ricambiare questo piccolo tiro al mio amico Claparon che m'ha addossato tutto il peso dell'affare della sua accomandita dove ci siamo fatti battere da Couture, nei cui panni non v'auguro di trovarvi! - esclamò lasciando balenare un lampo d'odio infernale dai suoi occhi lividi. - Miei signori ho finito, - aggiunse alzando il tono di voce, che passò per i setti nasali, e assumendo una posa drammatica dato che, in giorni di miseria estrema, era stato anche attore.

Il profondo silenzio col quale venne accolta quest'ultima tirata di Cérizet lasciò udire gli squilli del campanello e Teodosio corse alla porta.

- Siete sempre contento di lui? - chiese Cérizet a Dutocq. - A me pare abbia un'aria... di tradimenti, insomma, me ne intendo.

- E' talmente in mano nostra, - disse Dutocq, - che non mi preoccupo neppure più di osservarlo; ma, fra noi, non lo credevo duro com'è...

Quanto a questo abbiamo creduto di mettere un sauro fra le gambe d'un uomo che non sapeva cavalcare e il mattino dopo eccolo diventato un fantino esperto! E' così.

- Stia bene attento! - disse sordamente Cérizet, - posso soffiare su di lui come su un castello di carte. Quanto a voi, papà Dutocq, potete vederlo all'opera e scrutarlo ad ogni istante: sorvegliatelo! Ho del resto il modo di metterlo alla prova facendogli proporre da Claparon di liberarsi di noi e lo giudicheremo in conseguenza...

- Questo va benissimo, - disse Dutocq, - e tu non patisci certo freddo agli occhi.

- "Conosciamo il mestiere, ecco tutto!" - disse Cérizet.

Queste frasi furono scambiate sottovoce nel tempo impiegato da Teodosio a raggiungere la porta e far ritorno. Quando l'avvocato riapparve Cérizet stava guardandosi attorno nello studio.

- E' Thuillier, aspettavo la sua visita; è in salone, - egli disse, - e non deve vedere il soprabito di Cérizet, - aggiunse con un sorriso, - quegli alamari lo preoccuperebbero.

- Bah, tu ricevi poveracci, è il tuo mestiere... Hai bisogno di denaro?, - replicò Cérizet cavando cento franchi dal taschino dei pantaloni. - Prendi, ti serviranno.

E depositò il mucchietto sul camino.

- E poi, - disse Dutocq, - possiamo andarcene passando per la camera da letto.

- Va bene, addio, - disse il provenzale aprendo la porta celata nella tappezzeria per la quale si accedeva dallo studio in camera da letto.

- Entrate mio caro signor Thuillier, - gridò al bello dell'Impero.

E non appena lo vide sulla soglia dello studio accompagnò i due soci attraverso la sua camera, lo stanzino da toeletta e la cucina, il cui uscio dava sul pianerottolo.

- Tra sei mesi devi essere il marito di Celeste e trovarti sul marciapiedi del municipio... Sei ben fortunato tu, non sei stato per due volte sui banchi della Polizia Correzionale... come me! La prima nel 1824 per un processo alle intenzioni... una serie d'articoli che non avevo scritto, e la seconda per i guadagni di un'accomandita che ci sono stati soffiati sotto il naso! Su, mettiamo al fuoco la faccenda, perdinci, perché Dutocq e io abbiamo un dannato bisogno dei nostri trentamila franchi a testa; e coraggio amico mio! - aggiunse tendendo la mano a Teodosio e dando alla stretta il valore di un patto.

Il provenzale porse la destra a Cérizet e gli strinse la sua calorosamente.

- Ragazzo mio sta pur certo che, in qualsiasi posizione mi trovi, non scorderò quella dalla quale m'hai tratto per mettermi a posto qui...

Sono il vostro amo, ma voi mi lasciate la porzione migliore e bisognerebbe essere più infami d'un galeotto che fa la spia per non giocare a carte scoperte.

Non appena l'uscio si richiuse Cérizet guardò nel buco della serratura per osservare il viso di Teodosio; ma il provenzale aveva voltato le spalle per andare incontro a Thuillier ed egli non poté cogliere l'espressione assunta dal volto del socio.

Non fu disgusto né dolore, ma gioia a rilucere su quel viso ridivenuto libero. Teodosio vedeva accrescersi le possibilità di successo e si riprometteva di sbarazzarsi dei suoi ignobili compari, ai quali nondimeno doveva tutto. La miseria, specie a Parigi, ha insondabili recessi, fondi limacciosi, e quando un annegato riemerge da questo letto alla superficie ne reca le impurità appiccicate al corpo o agli abiti. Cérizet, l'amico già benestante, il protettore di Teodosio, era il sudiciume fangoso ancora attaccato al provenzale e l'ex gerente dell'accomandita capiva che egli voleva spazzolarlo via ora che si trovava in un ambiente nel quale vestirsi con decoro era di prammatica.

 

 

 

11

GLI ONESTI PHELLION

 

- Ebbene mio caro Teodosio, - disse Thuillier, - abbiamo sperato vedervi ogni giorno della settimana e ogni sera le nostre speranze sono andate deluse... Siccome questa domenica è quella del nostro pranzo mia sorella e mia moglie m'hanno incaricato di pregarvi d'intervenire...

- Ho avuto tanto da fare, - rispose Teodosio, - che non ho mai avuto due minuti da dedicare a qualcuno, neppure a voi che considero un amico e col quale avevo qualcosa da discutere...

- Come! Pensate davvero seriamente a quel che m'avete detto? esclamò Thuillier interrompendo Teodosio.

- Se non veniste per ascoltarci non vi stimerei quanto vi stimo?- riprese La Peyrade sorridendo. - Siete stato sottocapo; avete perciò ancora un pochino d'ambizione e in voi è giustificata in pieno!

Suvvia, resti fra noi, quando si vede un Minard, un otre indorato, andare a complimentare il Re, e a pavoneggiarsi alle Tuileries; un Popinot sulla via di diventar ministro...; e voi, un uomo pratico di lavoro amministrativo, un uomo con trent'anni d'esperienza, che ha veduto sei governi, trapiantare i "begli uomini..." Andiamo!... Sono franco, mio caro Thuillier, vi voglio dare una spinta perché mi trasciniate nella vostra scia... Ed ecco il mio piano. Sta per essere nominato un membro del Consiglio generale in questo arrondissement e bisogna che quell'uomo siate voi!... E, - disse sottolineando la frase, - lo sarete! Un giorno, quando verrà rieletta la Camera, e la cosa non tarderà, diverrete deputato dell'arrondissement... I voti che vi avranno permesso di entrare nel Consiglio municipale saranno ancora vostri al momento della nomina a deputato, fidatevi di me...

- Ma quali sono i vostri poteri?... - esclamò Thuillier affascinato.

- Lo saprete, ma lasciate che sia io a occuparmi di questa lunga e ardua faccenda; se vi lasciate sfuggire una parola su quanto si dirà, tramerà e deciderà fra noi vi pianto in asso e tanti saluti!

- Oh, potete contare sulla completa discrezione d'un ex sottocapo, ho avuto anch'io dei segreti...

- Bene! Ma si tratta d'avere dei segreti con vostra moglie, con vostra sorella, con il signore e la signora Colleville.

- Non un muscolo del mio viso mi tradirà, - assicurò Thuillier rilassandosi.

- Bene! - ripeté La Peyrade, - vi metterò alla prova. Per essere eleggibili bisogna pagare le imposte e voi non le pagate.

- E' vero!

- Bene, ho per voi tanta affezione da indurmi a rivelarvi il segreto d'un affare che vi farà guadagnare trenta o quarantamila franchi di rendita con un capitale di centocinquantamila al massimo. Ma in casa è vostra sorella che da molto, e avete fatto bene, si occupa della parte finanziaria; essa ha, come si suol dire, più capacità di giudizio degli altri; mi dovrà quindi esser consentito di conquistare l'affetto e la benevolenza della signorina Brigitte proponendole questo investimento ed eccone il perché. Se la signorina Thuillier non dovesse aver fiducia nelle mie proposte ne subiremmo entrambi le conseguenze; ma poi è il caso che siate voi a dire a vostra sorella d'intestare a vostro nome l'immobile? Meglio sia io a suggerirle l'idea. Del resto sarete arbitri entrambi dell'affare. Quanto ai miei poteri, ebbene, eccoli: Phellion dispone d'un quarto dei voti del quartiere, lui e Laudigeois vi risiedono da trent'anni e sono ascoltati come oracoli. Ho un amico che dispone d'un altro quarto, e il parroco di Saint-Jacques, che per le sue virtù gode una certa influenza, può ottenere alcuni voti. Dutocq, come anche il giudice di pace, essendo in relazione con gli abitanti mi verrà in aiuto, specie se non agirò a mio vantaggio; Colleville infine, in qualità di segretario municipale, rappresenta un altro quarto dei voti.

- Ma avete ragione, sono eletto! - proruppe Thuillier.

- Credete? - disse La Peyrade con tagliente ironia; - bene, provate solo a chiedere al vostro amico Colleville d'aiutarvi e vedrete cosa vi dirà... In fatto d'elezioni non sta al candidato procacciarsi la vittoria ma ai suoi amici. Mai chieder nulla per sé, occorre farsi pregare, mostrarsi privi d'ambizione.

- La Peyrade!... - esclamò Thuillier alzandosi e stringendo la mano al giovane avvocato, - siete un uomo abilissimo.

- Non quanto voi, ma ho anch'io qualche pregio, - rispose sorridendo il provenzale.

- E nel caso riuscissimo come potrò compensarvi? chiese con candore Thuillier.

- Ah, ecco... Mi giudicherete sfacciato ma pensate che c'è in me un sentimento che scusa tutto perché m'ha dato l'animo d'affrontare tutto! Sono innamorato e voglio confidarmi con voi...

- Ma di chi? - chiese Thuillier.

- Della vostra cara piccola Celeste, - rispose La Peyrade, - e il mio amore vi garantirà la mia devozione; cosa non farei per un suocero! E' una forma d'egoismo, è lavorare per me stesso...

- Zitto! - esclamò Thuillier.

- Eh, amico mio, - disse La Peyrade prendendo Thuillier per la vita, - ve ne parlerei se non avessi Flavia dalla mia e non sapessi ogni cosa?

Solo, su questo argomento limitatevi ad ascoltarla, non fategliene parola. Badate, io son del legno di cui si fanno i ministri e non voglio Celeste senza averla meritata: perciò me la darete solo il giorno prima dello scrutinio dal quale il vostro nome uscirà tante volte quanto basta per essere deputato di Parigi. Per diventare deputato di Parigi bisogna battere Minard, occorre quindi eliminare Minard, occorre conserviate i vostri mezzi di pressione e, per ottenere tale scopo, lasciate Celeste come posta, li giocheremo tutti quanti... La signora Colleville, voi e io diventeremo un giorno qualcuno. E non mi crediate venale: voglio Celeste senza dote, con semplici speranze... Vivere con voi in famiglia, lasciare mia moglie fra voi, ecco il mio programma... Vedete bene, non ho secondi fini.

Quanto a voi, sei mesi dopo la nomina nel Consiglio generale, avrete la vostra croce e una volta deputato vi farete promuovere ufficiale...

Quanto ai vostri discorsi alla Camera, beh, li scriveremo insieme!

Magari sarà necessario che componiate un libro serio su qualche argomento metà morale e metà politico, ad esempio gli istituti di carità considerati da un punto di vista elevato o la riforma del Monte di Pietà, dove gli abusi sono spaventosi. Aggiungiamo un po' di fama al vostro nome... sarà utile, specie in questo arrondissement. Vi ho detto: "Potete aver la croce e diventare membro del Consiglio generale del dipartimento della Senna". Ebbene, non badate a me, non preoccupatevi d'introdurmi in casa vostra se non quando avrete un nastrino all'occhiello e il giorno dopo che avrete fatto ritorno dall'Hotel de Ville. Io però farò di più: vi procurerò quarantamila franchi di rendita...

- Per una sola di queste tre cose potreste avere la nostra Celeste!

- Che perla! - disse La Peyrade alzando gli occhi al cielo, - ho la debolezza di pregare Dio per lei ogni giorno... E' bella, del resto ha preso da voi... Suvvia! E' a me che occorre fare raccomandazioni! Buon Dio, è stato Dutocq a dirmi tutto. A stasera! Vado dai Phellion a lavorare per voi. Ah, resta inteso che siete lontanissimo dal pensare a me per Celeste...; se no mi mozzereste braccia e gambe. Su questo, acqua in bocca anche con Flavia! Aspettate sia lei a parlarvene.

Phellion questa sera vi farà pressioni per ottenere la vostra adesione al suo progetto e presentarvi candidato.

- Questa sera? - chiese Thuillier.

- Questa sera, - rispose La Peyrade, - a meno che non lo trovi in casa.

Thuillier uscì dicendosi:

"Ecco un uomo superiore! Andremo sempre d'accordo e, poi, difficilmente potremmo trovare qualcuno più adatto di lui per Celeste; vivrebbe con noi, in famiglia, e vuol dir molto; è un bravo ragazzo, un uomo a posto..." Per le menti della tempra di Thuillier una considerazione secondaria ha la stessa importanza d'una proposizione principale. Teodosio era stato di una bonomia squisita.

La casa verso la quale egli si diresse, pochi istanti dopo, era stata l'"hoc erat in votis" di Phellion per vent'anni; ma era anche la casa dei Phellion così come gli alamari del soprabito di Cérizet ne erano gli ornamenti adeguati.

Questo edificio, addossato a un casone, senz'altra profondità che quella delle camere, una ventina di piedi circa, terminava da ogni lato con una specie di padiglione a una finestra sola. Aveva, quale attrattiva principale, un giardino, largo una trentina di tese e oltrepassante la facciata per tutta l'estensione d'un cortile sulla strada e di un boschetto di tigli al di là del secondo padiglione. Il cortile era protetto, sulla via, da due cancellate fra le quali s'apriva un uscio a due battenti.

Questa costruzione, in piccole pietre intonacate, alta due piani, era tinteggiata in giallo, con le persiane e le imposte del pianterreno dipinte in verde. La cucina occupava il pianterreno del padiglione che dava sul cortile e la cuoca, una robusta ragazzona difesa da due enormi cani, fungeva da portinaia. La facciata, costituita da cinque finestre e dai due padiglioni sporgenti per la larghezza di una tesa era in stile Phellion. Sulla porta egli aveva collocato una tavoletta in marmo bianco su cui era scritto in lettere dorate: "Aurea mediocritas". Sotto la meridiana, tracciata in un riquadro della facciata stessa, aveva fatto includere questa savia massima: "Umbra mea vita sit!" I davanzali delle finestre erano stati sostituiti da poco con altri in marmo rosso di Languedoc, rinvenuti da un marmista. In fondo al giardino c'era una statua dipinta che induceva i passanti a credere che una balia allattasse un bambino. Phellion era il giardiniere di se stesso. Il pianterreno era composto unicamente da un salone e da una sala da pranzo, divisi dal vano della scala e col pianerottolo per atrio. In fondo al salone c'era una cameretta che serviva da studio a Phellion.

Al primo piano gli appartamenti dei due coniugi e quello del giovane professore; sopra, le stanze dei ragazzi e dei domestici, in quanto Phellion, data l'età sua e della moglie, s'era preso un cameriere sui quindici anni, specie dopo che il figlio s'era fatto strada nell'insegnamento. A sinistra, entrando nel cortile, erano visibili piccole rimesse usate per riporvi legna e nelle quali sotto il precedente proprietario alloggiava il portiere. Certo i Phellion attendevano il matrimonio del figlio professore per concedersi quest'ultima soddisfazione.

Questa proprietà, adocchiata a lungo dai Phellion, era costata nel 1831 diciottomila franchi. La casa era separata dal cortile da una balaustrata col basamento in pietre da taglio decorata con coppi sovrapposti e sormontati da lastre. Questa voluta assenza d'ornamenti era accentuata da una siepe di rose del Bengala e in mezzo esisteva un uscio in legno a foggia di cancello posto in faccia alla solida porta doppia della strada.

Chi conosce l'impasse des Feuillantines saprà che la casa Phellion, trovandosi ad angolo retto sul piano stradale, era esposta a mezzogiorno e protetta verso notte dall'enorme muro in comune al quale era addossata. La cupola del Panthéon e quella del Val-de-Grace hanno l'aria di due giganti e comprimono talmente lo spazio che, passeggiando in giardino, ci si sente allo stretto. Nulla comunque è più quieto dell'impasse des Feuillantines. Tale era il rifugio del grande cittadino oscuro che assaporava i piaceri del riposo dopo aver saldato il suo debito con la patria lavorando al ministero delle Finanze, donde s'era ritirato con la qualifica d'impiegato d'ordine dopo trentasei anni di servizio.

Nel 1832 aveva guidato il suo battaglione della guardia nazionale all'assalto di Saint-Merri ma chi gli era vicino gli aveva visto lacrime agli occhi per essere obbligato a sparare su francesi fuorviati. La faccenda era ormai conclusa quando la Legione aveva attraversato a passo di carica il ponte Nôtre-Dame dopo aver fatto irruzione sul quai aux Fleurs. Il fatto gli procurò la stima del quartiere ma anche la perdita della decorazione della Legion d'onore; il colonnello dichiarò ad alta voce che, sotto le armi, non si deve pensare: frase di Luigi-Filippo alla guardia nazionale di Metz. Ciò nonostante la compassione borghese di Phellion e la profonda venerazione che da otto anni godeva nel quartiere lo mantenevano a capo del battaglione. Era sulla sessantina e vedeva approssimarsi l'ora di deporre la spada e la goletta; sperava che il re si degnasse compensare i suoi servizi dandogli la Legion d'onore e la verità c'impone di dire, ad onta della macchia che una piccolezza del genere può lasciare su un così bel carattere, che il comandante Phellion si rizzava in punta di piedi ai ricevimenti alle Tuileries; si metteva in mostra, guardava di sottecchi il re-cittadino quando pranzava al suo tavolo e, insomma, si dava da fare sotto sotto senza essere riuscito a ottenere una sola occhiata dal re che s'era scelto. Il brav'uomo non sapeva ancora risolversi a pregare Minard d'intercedere in merito per lui.

Phellion, l'uomo dell'obbedienza passiva, era stoico nei confronti dei doveri e bronzeo per quanto riguardava la coscienza. Per completare questo ritratto morale con quello fisico, a cinquantanove anni Phellion s'era "appesantito", per usare il modo di dire borghese; il viso pecorino e coi segni del vaiolo era divenuto una luna piena in modo che le labbra, già tumide, parevano normali. Gli occhi, indeboliti, nascosti da occhiali colorati non rivelavano più l'innocenza del loro azzurro chiaro e non suscitavano più il sorriso; i capelli, ormai bianchi, tutto insomma aveva impresso un'aria seria a quanto, dodici anni prima, rasentava la goffaggine e sfiorava il ridicolo. Il tempo, che muta in modo così sciagurato i volti dai lineamenti fini e delicati, abbellisce quelli che, in gioventù, hanno avuto tratti grossolani e massicci: tale era stato il caso di Phellion. Impiegava il tempo libero della vecchiaia scrivendo un compendio della storia di Francia, perché Phellion, va detto, era autore di varie opere adottate all'Università.

Quando La Peyrade fece la sua comparsa la famiglia era al completo; la signora Barniol stava dando alla madre ragguagli su uno dei propri figli indisposto. L'allievo dei Ponts et Chaussées trascorreva la giornata in famiglia. Tutti, vestiti a festa e seduti accanto al caminetto del salone rivestito in legno e tinteggiato in due tonalità di grigio, su poltrone in mogano, ebbero un sobbalzo all'udire Geneviève annunciare l'individuo di cui stavano parlando a proposito di Celeste, che Felice Phellion amava al punto da recarsi a messa per vederla. Il valente matematico aveva compiuto tale sforzo quel mattino stesso e veniva preso amabilmente in giro, sia pure con l'augurio che Celeste e i suoi genitori acquistassero coscienza del tesoro loro offerto.

- Ahimè, i Thuillier mi paiono infatuati d'un uomo assai pericoloso, - disse la signora Phellion; - stamane ha preso la signora Colleville a braccetto e se ne sono andati insieme al Luxembourg.

- Quell'avvocato, - esclamò Felice Phellion, - ha qualcosa di sinistro; non mi stupirei se avesse commesso un delitto...

- Tu corri troppo, - disse Phellion padre; - è cugino primo di Tartufo, quest'immortale personaggio fuso in bronzo dal nostro buon Molière, perché Molière, ragazzi miei, ha avuto l'onestà e il patriottismo a base del suo genio.

Fu a questo punto che Geneviève entrò per dire:

- Fuori c'è il signor La Peyrade che vorrebbe parlare al Signore.

- A me? - esclamò il signor Phellion. - Fate entrare! - aggiunse con quella solennità nelle cose da poco che gli dava una parvenza di comicità ma che, fino allora, aveva incusso soggezione alla famiglia, dov'era considerato un re.

Phellion, i due figli, la moglie e la figlia s'alzarono e accolsero il saluto circolare rivolto loro dall'avvocato.

- A che dobbiamo l'onore della vostra visita signore? - chiese severamente Phellion.

- Alla vostra importanza nel quartiere, mio caro signor Phellion, e agli affari pubblici, - rispose Teodosio.

- Passiamo allora nel mio studio, - disse Phellion.

- No, no, amico mio, - disse l'ossuta signora Phellion, una donnina piatta come una sogliola e che portava impressa in volto la severità accigliata con la quale insegnava musica nei convitti giovanili, - ce ne andiamo noi.

Un pianoforte d'Erard, collocato fra le due finestre e in faccia al caminetto, sottolineava le pretese intramontabili della buona borghese.

- Sarei così sfortunato da farvi allontanare? - chiese Teodosio con un sorriso bonario a madre e figlia. - Avete qui un delizioso rifugio, - riprese, - e vi manca solo una nuora deliziosa per farvi trascorrere il resto dei vostri giorni in quest'"aurea mediocritas" auspicata dal poeta latino e fra le gioie familiari. I vostri precedenti vi danno diritto a queste ricompense perché, stando a quanto si dice di voi caro signor Phellion, siete al tempo stesso un buon cittadino e un patriarca...

- Signore, - disse Phellion confuso, - signore, ho fatto il mio dovere, ecco tutto.

La signora Barniol, che somigliava come una goccia d'acqua alla madre, all'udir parlare di nuora e sentendo Teodosio formulare il suo augurio, guardò la signora Phellion e Felice come a dire: "Ci saremmo sbagliati?" Il desiderio di discutere del fatto fece dileguare i quattro in giardino, dato che nel marzo 1840 il tempo, a Parigi almeno, fu quasi sempre asciutto.

- Signor comandante, - disse Teodosio quando fu solo col bravo borghese che sempre si sentiva lusingato da quel titolo, - visto che sono uno dei soldati ai vostri ordini, si tratta d'elezioni...

- Oh sì, dobbiamo nominare un consigliere municipale, l'interruppe Phellion.

- Ed è per una candidatura che vengo a turbare le vostre gioie domenicali; ma non usciremo forse in questo dall'ambito della famiglia.

Era impossibile per Phellion stesso essere più Phellion di quanto lo fosse Teodosio; egli aveva il gesticolare alla Phellion, il modo d'esprimersi alla Phellion, le idee alla Phellion.

- Non vi lascerò dire una parola in più, - rispose Phellion approfittando della pausa fatta da Teodosio per attendere l'effetto della sua frase, - in quanto la mia scelta è compiuta.

- Abbiamo avuto allora la stessa idea! - esclamò Teodosio, - i galantuomini e i furbi possono intendersi benissimo!

- Non credo, - replicò Phellion. - Questo arrondissement ha avuto per rappresentante in municipio il più virtuoso degli uomini, così com'era il migliore dei magistrati, nella persona del signor Popinot, Consigliere di Corte al momento del decesso. Quando s'è trattato di sostituirlo, il nipote, erede della sua beneficenza, non risiedeva nel quartiere; ma, in seguito, ha preso e acquistato la casa in cui abitava lo zio, in rue de la Montagne-Sainte-Geneviève; è il medico dell'Ecole Polytechnique e di uno dei nostri ospedali; è una persona in vista nel quartiere; per questi fatti e per onorare nella persona del nipote la memoria dello zio alcuni abitanti e io abbiamo deciso di sostenere il dottor Orazio Bianchon, membro come saprete dell'Académie des Sciences e una delle giovani glorie dell'illustre scuola parigina... Un uomo, ai nostri occhi, non è grande solo perché è famoso e il defunto consigliere Popinot è stato, a mio parere, quasi un san Vincent de Paul.

- Un medico non è un amministratore, - rispose Teodosio, - e oltre tutto si tratta d'un uomo al quale i vostri interessi più cari v'impongono di sacrificare queste idee assolutamente incompatibili con la cosa pubblica.

- Ah signore, - proruppe Phellion alzandosi e assumendo la posa di Lafond in "Le Glorieux", - mi sottovalutate dunque tanto da credere che interessi personali potranno mai influenzare la mia coscienza politica? Quando si tratta della cosa pubblica io sono un cittadino, né più né meno.

Teodosio sorrise interiormente all'idea del duello che stava per avvenire fra padre e cittadino.

- Non impuntatevi così con voi stesso, vi supplico, disse La Peyrade, - perché si tratta della felicità del vostro caro Felice.

- Che intendete dire con ciò?... - replicò Phellion arrestandosi al centro del salone e sostando, la mano infilata nel panciotto da destra a sinistra, un gesto copiato dal celebre Odilon Barrot.

- Ma che vengo per il nostro comune amico, lo stimato e ottimo signor Thuillier, la cui influenza sul futuro della bella Celeste Colleville vi è ben nota; e se come credo vostro figlio, un giovane che renderebbe fiera ogni famiglia e dai meriti incontestabili, fa la corte a Celeste per fini leciti voi non potreste far di meglio, per propiziarvi la riconoscenza eterna dei Thuillier, che proporlo ai suffragi dei nostri concittadini... Quanto a me, nuovo venuto nel quartiere, malgrado l'influenza procuratami da qualche buona azione tra i poveri, non potevo accollarmi questo compito; servire gli indigenti conta poco agli occhi dei maggiori contribuenti e, del resto, la modestia della mia vita mal s'adatterebbe a questo lustro.

Io mi sono consacrato, signore, al servizio degli umili come il defunto consigliere Popinot, uomo sublime come dicevate appunto, e se non avessi in certo modo un futuro religioso e che mal s'accorda coi doveri matrimoniali, la mia inclinazione, la mia seconda vocazione sarebbe di servire Dio e la Chiesa... Io non faccio chiasso come i falsi filantropi; non scrivo, agisco, perché sono un uomo dedito unicamente alla carità cristiana. M'è parso di capire l'ambizione del nostro amico Thuillier e ho voluto contribuire alla felicità di due creature fatte l'una per l'altra offrendovi i mezzi per entrare nel cuore alquanto freddo di Thuillier.

Phellion rimase confuso da questa tirata così ben proferita; fu sbalordito, scosso; ma rimase Phellion, si rivolse all'avvocato, gli tese la mano e La Peyrade gli porse la sua. Si diedero entrambi una stretta poderosa, simile a quella scambiata poco prima dell'agosto 1830, fra la Borghesia e gli uomini del giorno dopo.

- Signore, - disse commosso il comandante, - vi avevo mal giudicato.

Quanto m'avete fatto l'onore di comunicarmi non uscirà di qui!... - replicò indicando il cuore. - Siete un uomo come ve ne son pochi ma che consolano di molti mali, d'altronde insiti nel nostro sistema sociale. Il bene si mostra così di rado che è nella nostra debole natura diffidare delle apparenze. Avete in me un amico, se mi concedete d'onorarmi assumendo tale appellativo con voi... Ma voi m'avete conosciuto, signore; perderei la stima di me stesso se proponessi Thuillier. No, mio figlio non dovrà la sua felicità a una cattiva azione del padre... Non cambierò candidato perché il mio Felice ne ricavi vantaggio... La virtù, signore, consiste in questo!

La Peyrade cavò il fazzoletto, lo passò sugli occhi facendovi sgorgare una lacrima e disse tendendo la mano a Phellion e volgendo il capo:

- Signore, ecco la sublimità della vita privata e di quella politica in contrasto. Fossi venuto solo per godere questo spettacolo la mia visita non sarebbe stata infruttuosa... Che volete!... Al vostro posto farei lo stesso... Siete ciò che Dio ha creato di meglio: un uomo dabbene! Molti cittadini alla Jean-Jacques, poiché voi siete un uomo alla Jean-Jacques, e la Francia, oh mia terra, che non diverresti mai!... Sono io, signore, che imploro l'onore d'essere vostro amico.

- Che succede? - esclamò la signora Phellion che contemplava la scena dalla finestra, - vostro padre e quell'uomo mostruoso s'abbracciano.

Phellion e l'avvocato uscirono e raggiunsero la famiglia in giardino.

- Mio caro Felice, - disse il vecchio indicando La Peyrade che stava salutando la signora Phellion, - sii riconoscentissimo a questo degno giovane; ti sarà più amico che nemico.

- Oh, signora, - disse Teodosio conducendo con sé la signora Phellion, - impedite al comandante di commettere un errore madornale...

Passeggiò per cinque minuti con la signora Barniol e la signora Phellion sotto i tigli spogli e diede loro, nelle circostanze critiche che l'ostinazione politica di Phellion provocava, un consiglio i cui effetti dovevano manifestarsi in serata e la cui prima virtù fu di tramutare le due dame in ferventi ammiratrici del suo ingegno, della sua franchezza e delle sue qualità impareggiabili. L'avvocato fu scortato da tutta quanta la famiglia fino alla soglia della porta che dava sulla strada e ogni occhio lo seguì finché non ebbe svoltato in rue du Faubourg-Saint-Jacques. La signora Phellion prese a braccetto il marito per far ritorno nel salone e gli disse:

- Diamine, amico mio, tu così buon padre vorresti, per eccesso di cortesia, mandare a monte il matrimonio migliore che il nostro Felice possa fare?

- Mia cara, - rispose Phellion, - i grandi uomini dell'antichità, come Bruto e altri, non erano mai padri quando dovevano mostrarsi cittadini... La Borghesia ha, più ancora della Nobiltà, che è destinata a sostituire, l'obbligo delle virtù elette. Il signor de Saint-Hilaire non pensava al suo braccio troncato davanti al cadavere di Turenne... A noi tocca dare esempi: diamoli perciò a ogni grado della scala sociale. Ho forse impartito queste lezioni alla mia famiglia per scordarle nel momento di tradurle in atto?... No, mia cara, se vuoi piangi oggi; mi stimerai domani! ...- disse vedendo la sua asciutta, minuta metà, con le lacrime agli occhi.

Queste frasi auliche furono proferite sul limitare della porta su cui stava scritto: "Aurea mediocritas".

- Avrei dovuto aggiungere: "et digna!", - aggiunse egli indicando la tavoletta; - ma queste due parole implicherebbero un elogio.

- Padre mio, - disse Marie-Teodoro Phellion, il futuro ingegnere dei Ponts et Chaussées, quando la famiglia fu nuovamente riunita nel salone, - a me pare non comporti mancare all'onore cambiare decisioni a proposito di una cosa per sé indifferente alla cosa pubblica.

- Indifferente, figlio mio! - esclamò Phellion. - Tra noi posso dirlo, e Felice condivide la mia opinione: il signor Thuillier è del tutto privo di qualità! Non sa nulla di nulla! Il signor Orazio Bianchon è un uomo esperto, otterrà mille cose per il nostro arrondissement e Thuillier neppure una! E poi impara, figlio mio, che mutare una savia decisione con una cattiva per tornaconto personale è un'azione infame che sfugge al controllo degli uomini ma che è punita da Dio. Io sono, o ritengo d'essere, immune da ogni biasimo dinanzi alla mia coscienza ed è mio dovere lasciare a voi una memoria illibata. Nulla perciò mi farà mutare idea.

- Oh, mio buon padre, - proruppe la piccola Barniol gettandosi, sul suo cuscino, ai piedi di Phellion, - non montare in arcione! Vi sono pure degli stupidi e degli sprovveduti nei consigli municipali e la Francia va avanti lo stesso. Il buon Thuillier si limiterà a dir di sì... Pensa allora che Celeste potrà avere magari cinquecentomila franchi...

- Potrebbe avere anche milioni! - ribatté Phellion, - e non li guarderei neppure... Non proporrò Thuillier quando devo alla memoria del più virtuoso fra gli uomini di fare eleggere Orazio Bianchon.

Dall'alto dei cieli Popinot m'osserva e mi applaude!... - esclamò con esaltazione Phellion. - E' con argomenti del genere che si sminuisce la Francia e la Borghesia si fa mal giudicare.

- Mio padre ha ragione, - disse Felice uscendo da una fantasticheria profonda, - e merita la nostra stima e il nostro affetto come in tutto il corso della sua vita modesta, operosa e onorata. Non vorrei dover la felicità né a un rimorso della sua bella anima né all'intrigo; amo Celeste al pari della mia famiglia, ma non pongo sopra ogni cosa l'onore di mio padre e, dal momento che per lui è un problema di coscienza, non parliamone più.

Phellion s'avvicinò, con gli occhi pieni di lacrime, al primogenito, l'abbracciò e disse:

- Figlio mio, figlio mio! ... - con voce strozzata.

- Tutte queste sono stupidaggini, - sussurrò la signora Phellion all'orecchio della signora Barniol; - vieni a vestirmi, bisogna farla finita, conosco bene tuo padre, s'è intestardito... Per attuare il consiglio di quel bravo e devoto giovanotto, Teodosio, ho bisogno del tuo braccio, tienti pronta figlia mia.

In quel momento Geneviève entrò e consegnò una lettera al signor Phellion padre.

- Un invito a pranzo per me e mia moglie dai Thuillier, - egli disse.

 

 

 

12

AD MAJOREM THEODOSI GLORIAM!

 

La magnifica e sorprendente idea dell'avvocato dei poveri aveva sconvolto i Thuillier non meno dei Phellion; e Jérome senza dir nulla alla sorella, dato che si sentiva già in debito d'onore col suo Mefistofele, s'era recato tutto eccitato da lei a dirle:

- Piccola cara, - con queste parole le toccava sempre il cuore,oggi avremo dei pezzi grossi a cena: vado a invitare i Minard, prepara quindi qualcosa di buono; scrivo al signore e alla signora Phellion perché siano dei nostri; è un po' tardi ma con loro non c'è da aver soggezione... Quanto ai Minard bisogna gettargli un po' di fumo negli occhi, mi servono.

- Quattro Minard, tre Phellion, quattro Colleville più noi fanno tredici...

- Con La Peyrade quattordici e sarà bene invitare anche Dutocq, mi tornerà utile; salirò io da lui.

- Che stai macchinando? - esclamò la sorella; - quindici a pranzo significa cavarsi almeno quaranta franchi di tasca!

- Non rimpiangerli, piccola cara, e soprattutto sii gentile col nostro giovane amico La Peyrade. E' un amico sincero... ne avrai le prove!...

Se mi vuoi bene abbine cura come dei tuoi occhi.

E lasciò Brigitte stupefatta.

"Oh certo, attenderò le prove! - si disse. - Non mi lascio abbindolare dalle paroline dolci io!... E' un ragazzo simpatico ma, prima di aprirgli il cuore, voglio studiarlo un po' meglio di quanto abbiamo fatto".

Dopo avere invitato Dutocq, Thuillier, che s'era fatto bello come un Adone, si recò in rue des Macons-Sorbonne, a palazzo Minard, per sedurvi la corpulenta Zélie e giustificare l'invito fatto all'ultimo momento.

Minard aveva acquistato una di quelle vaste e sontuose dimore che gli antichi ordini religiosi s'erano costruite attorno alla Sorbona e, salendo per uno scalone dai larghi gradini in pietra e una ringhiera in ferro battuto attestante quanto le arti minori fossero fiorenti sotto Luigi Tredicesimo, Thuillier invidiava e il palazzo e la posizione del sindaco.

Quest'ampia abitazione, tra il cortile e il giardino, spicca per il carattere elegante e nobile insieme del regno di Luigi Tredicesimo, stranamente situato tra il cattivo gusto del tardo Rinascimento e la magnificenza del nascente Luigi Quattordicesimo. Tale trapasso è visibile in molti monumenti. Le volute massicce delle facciate, come alla Sorbona, le colonne adattate ai canoni ellenici cominciano a fare la loro comparsa in questa architettura.

Un ex droghiere, un frodatore fortunato, vi occupava il posto del direttore ecclesiastico d'una istituzione chiamata un tempo Economato e dipendente dall'Agenzia generale dell'antico clero francese, una fondazione dovuta al genio preveggente di Richelieu. Il nome di Thuillier gli fece spalancare le porte del salone nel quale troneggiava, tra i velluti rossi e l'oro e fra cineserie stupende, una povera donna che pesava con tutta la sua mole sul cuore di principi e principesse ai balli popolari del Château.

- Questo non dà ragione alla "Caricature?" - chiese un giorno sorridendo una pseudo dama di compagnia a una duchessa che non aveva saputo trattenere il riso alla vista di Zélie bardata dei suoi diamanti, rossa come un papavero, stretta in un abito di lamé e ballonzolante come una delle botti del suo vecchio negozio - Bella signora, - disse Thuillier contorcendosi e fermandosi nella posa numero due del suo repertorio del 1807, - mi potrete scusare d'aver scordato questo invito sulla scrivania e d'essere stato convinto d'avervelo inviato?... E' per oggi e forse giungo troppo tardi...

Zélie scrutò la fisionomia del marito, che stava avvicinandosi per salutare Thuillier, e gli rispose:

- Dovevamo andare a vedere un terreno e pranzare in un ristorante "qualunque", ma rinunceremo ai nostri progetti con tanto maggior piacere in quanto, a mio parere, è una cosa decisamente ordinaria recarsi fuori Parigi la domenica.

- Faremo quattro salti in famiglia al pianoforte per i giovani, se saremo in numero bastante, e io penso di sì; ne ho accennato a Phellion, la cui moglie è in relazione con la signora Pron, quella che è succeduta...

- La successora, - disse la signora Minard.

- Eh no, - replicò Thuillier, - la successoressa piuttosto, come si suol dire la sindachessa, della signorina Lagrave, che è una Barniol.

- Occorre vestirsi da sera? - chiese la signorina Minard.

- Per carità, - esclamò Thuillier, - mi fareste sgridare a dovere da mia sorella... No, siamo in famiglia! Sotto l'Impero, signorina, si faceva conoscenza ballando... In quella grande epoca si aveva stima di un bravo ballerino come di un buon soldato... Oggigiorno si bada troppo alla sostanza...

- Non parliamo di politica, - disse con un sorriso il sindaco. Il Re è grande, è abile e io sono colmo d'ammirazione per il mio tempo e per le istituzioni che ci siamo date. Del resto il Re sa bene quel che fa potenziando l'industria: lotta corpo a corpo con l'Inghilterra e noi le procuriamo maggior danno in questo periodo di pace che non con le guerre dell'Impero...

- Che deputato sarebbe Minard! - esclamò Zélie con candore; - si esercita a parlare con noi e voi ci aiuterete a farlo eleggere, vero Thuillier?...

- Non parliamo di politica, - rispose Thuillier; - venite alle cinque...

- Ci sarà pure quel giovincello di Vinet? - chiese Minard; veniva certo per Celeste.

- Può anche farci una croce, - rispose Thuillier. - Brigitte non vuol saperne.

Zélie e Minard si scambiarono un'occhiata soddisfatta.

- Pensare che dobbiamo abbassarci a tipi del genere per nostro figlio!

- proruppe Zélie quando Thuillier fu sulla scala, accompagnato dal sindaco.

"Così vuoi essere deputato! - si diceva Thuillier scendendo. Questi droghieri sono insaziabili! Mio Dio, che direbbe mai Napoleone vedendo il potere in mano a gente simile! ... Io, almeno, sono un amministratore! ... Che concorrente! Che dirà La Peyrade?" L'ambizioso sottocapo andò a pregare la famiglia Laudigeois al completo e passò poi da Colleville affinché Celeste indossasse un abito elegante. Trovò Flavia pensierosa; esitava a venire e Thuillier troncò la sua indecisione.

- Mia vecchia e sempre giovane amica, - le disse stringendola alla vita dato che era sola nella stanza, - con voi non voglio aver segreti. Per me si tratta d'una faccenda grossa... Non voglio dir di più ma posso chiedervi d'essere particolarmente seducente con un giovanotto...

- Chi?

- Il giovane de La Peyrade.

- E perché mai, Carlo?

- Il mio avvenire è nelle sue mani; e poi è un uomo geniale. Oh, me ne intendo io... E' un tipo così! - disse Thuillier facendo il gesto d'un dentista che cava un dente alla radice. - Bisogna legarlo a noi, Flavia! ... e soprattutto non facciamoci accorgere di nulla, non sveliamogli il segreto della sua forza... Con lui niente per niente.

- Ma come! Devo comportarmi da civetta?...

- Non troppo angelo mio, - rispose Thuillier in tono fatuo.

E se ne andò senza avvedersi dello stupore di cui era in preda Flavia.

- Quel giovane, - essa disse, - è un'autorità... Vedremo.

Si fece però acconciare la capigliatura con piume di marabù; indossò il suo bell'abito grigio e rosa, lasciò trasparire le spalle delicate sotto la mantiglia nera e badò che Celeste indossasse un modesto vestitino di seta a pettorina e collarino pieghettato e avesse i capelli pettinati semplicemente alla Berthe.

Alle quattro e mezza Teodosio era al suo posto; aveva assunto la sua aria ingenua e pressoché servile, la voce melliflua, e si appartò subito con Thuillier in giardino.

- Amico mio, non ho dubbi sul vostro trionfo ma sento il bisogno di raccomandarvi ancora una volta il massimo silenzio. Su qualsiasi cosa siate interrogato, specie su Celeste, date quelle risposte evasive che lasciano in sospeso chi vi sollecita e che in passato siete stato capace di dire in ufficio.

- Intesi! - rispose Thuillier. - Ma ne siete proprio sicuro?

- Vedrete il dessert che vi ho preparato. Siate soprattutto modesto.

Ecco i Minard, lasciate che me li cucini... Conduceteli qui e poi sparite.

Dopo i convenevoli La Peyrade ebbe cura di stare in prossimità del sindaco; e, al momento opportuno, lo trasse in disparte dicendogli:

- Signor sindaco, un uomo della vostra risonanza politica non viene senza qualche motivo recondito ad annoiarsi qui; non voglio giudicare le vostre ragioni, non ne ho alcun diritto, e il mio compito quaggiù non è d'immischiarmi negli affari delle autorità terrene; ma scusate la mia impertinenza e degnatevi ascoltare un consiglio che oso darvi.

Se vi rendo oggi un favore voi siete in posizione tale da rendermene due domani; perciò, nel caso vi tornassi utile, obbedisco solo alla legge dell'interesse personale. Il nostro amico Thuillier è rammaricato di non esser nulla e s'è fissato di diventar qualcuno, una personalità dell'arrondissement...

- Ah, ah! - disse Minard.

- Oh, roba da poco; vorrebbe esser nominato membro del Consiglio municipale. So che Phellion, intuendo tutta la portata d'un simile piacere, si propone di designare il nostro povero amico quale candidato. Bene, troverete forse utile ai vostri progetti precederlo.

La nomina di Thuillier non può che riuscirvi gradita e auspicabile; e nel Consiglio generale terrà degnamente il suo posto, ve ne sono di meno in gamba di lui... D'altra parte, dovendovi un simile appoggio, vedrà certo coi vostri occhi, vi considera uno dei luminari della città...

- Mio caro vi ringrazio, - disse Minard; - mi rendete un favore del quale saprò esservi riconoscente e che mi dimostra...

- Che non amo quei Phellion, - replicò La Peyrade approfittando di un'esitazione del sindaco, timoroso di esprimere un'opinione nella quale l'avvocato poteva intravedere disprezzo; - detesto le persone che esibiscono la loro onestà e fanno soldi coi buoni sentimenti.

- Li conoscete appuntino, - disse Minard, - sono veri sicofanti!

Quell'uomo da dieci anni vive unicamente per questo pezzetto di nastro rosso, soggiunse il sindaco indicando la sua asola.

- State attento! - disse l'avvocato, - suo figlio ama Celeste e si trova proprio dentro la fortezza.

- Sì, ma mio figlio ha dodicimila franchi di rendita di suo...

- Oh, - disse l'avvocato con un gesto di noncuranza, - la signorina Brigitte ha detto l'altro giorno che voleva come minimo una somma analoga dal pretendente di Celeste. E poi, prima che siano trascorsi sei mesi, verrete a sapere che Thuillier è proprietario d'un immobile da quarantamila franchi di rendita.

- Oh diamine, lo supponevo, - rispose il sindaco. - Bene, sarà membro del Consiglio generale.

- In ogni caso non parlategli di me, - disse l'avvocato dei poveri, che si fece premura di recarsi a salutare la signora Phellion.

- Ebbene, bella signora, ci siete riuscita?

- Ho atteso fino alle quattro, ma quella stimabile ed ottima persona non m'ha lasciata neppure terminare; è troppo impegnato per accettare un posto del genere e il signor Phellion ha letto la missiva nella quale il dottor Bianchon lo ringrazia delle buone intenzioni e gli dice che, per quanto lo concerne, il suo candidato è il signor Thuillier. Sta usando la propria influenza a suo favore e prega mio marito di fare altrettanto.

- E che ha detto il vostro ammirevole consorte?...

- Ho fatto il mio dovere; non ho tradito la mia coscienza e ora sono tutto per Thuillier.

- Benone tutto è sistemato, - disse La Peyrade. - Scordate la mia visita, prendete per voi tutto il merito di quest'idea.

E si diresse verso la signora Colleville assumendo un contegno pieno di deferenza...

- Signora - disse, - abbiate la bontà di condurmi qui il buon papà Colleville; si tratta d'una sorpresa da fare a Thuillier e dev'essere al corrente del segreto.

Mentre La Peyrade posava da artista con Colleville e si lasciava andare a battute assai argute chiarendogli il fatto della candidatura e dicendogli che doveva sostenerla almeno per spirito di famiglia, Flavia udiva nel salone la conversazione seguente, che la fece restare interdetta; le orecchie le ronzavano:

- Vorrei proprio sapere cosa stan dicendosi i signori Colleville e La Peyrade per ridere così, - chiese ottusamente la signora Thuillier guardando fuori della finestra.

- Stanno raccontandosi sciocchezze come fan tutti gli uomini fra loro, - rispose la signorina Thuillier, che spesso attaccava gli uomini per un istinto residuo da zitella.

- Non ne è capace, - asserì Phellion gravemente, - perché il signor de La Peyrade è uno dei più virtuosi giovani che mi sia capitato d'incontrare. Sapete quale opinione ho di Felice: ebbene, lo metto alla stessa altezza e vorrei anzi che mio figlio possedesse un po' della forbita devozione del signor Teodosio!

- Effettivamente è un uomo di valore e che avrà successo, replicò Minard. - Per quel che mi riguarda, il mio voto (non sta bene dire la mia protezione) è garantito...

- Spende più in olio da ardere che in pane, - disse Dutocq, questo so io.

- Sua madre, se ha la fortuna d'averla ancora, dev'essere davvero fiera di lui - sentenziò la signora Phellion.

- Per noi è un vero tesoro, - aggiunse Thuillier, - e se conosceste la sua modestia! Non sa farsi valere.

- Quel che posso assicurare, - riprese Dutocq, - è che nessun giovanotto si è comportato più nobilmente nella miseria; ed è riuscito a sconfiggerla; ma ha patito, lo si vede.

- Povero giovane! - esclamò Zélie; - oh queste cose mi fanno un male!...

- Gli si possono confidare tanto i propri segreti quanto i propri beni, - disse Thuillier; - e, coi tempi che corrono, è quel che di meglio si possa dire d'un uomo.

- E' Colleville che lo fa ridere! - dichiarò Dutocq.

In quel momento Colleville e La Peyrade stavano rientrando dal giardino con l'aria d'essere i migliori amici del mondo.

- Signori, - disse Brigitte, - la cena e il re non devono attendere:

offrite il braccio alle signore!...

 

 

 

13

ATTENTATO ALLA MODESTIA MUNICIPALE DI THUILLIER

 

Cinque minuti dopo questa facezia ereditata dal padre Brigitte ebbe il piacere di vedere la tavola attorniata dai protagonisti principali del dramma, eccezione fatta per l'orrendo Cérizet. Il ritratto di questa ex fabbricante di sacchi risulterebbe forse incompleto se si omettesse la descrizione d'una delle sue migliori cene. Il carattere della cucina borghese del 1840 è d'altronde uno degli elementi indispensabili alla storia dei costumi e le esperte massaie avranno qualcosa da imparare. Non si fabbricano per vent'anni sacchi vuoti senza cercare il modo di riempirne qualcuno per sé. Ora, Brigitte aveva questo di speciale, che univa al risparmio a cui si deve la ricchezza la coscienza delle spese inevitabili. La sua relativa prodigalità, quando si trattava del fratello o di Celeste, era l'opposto dell'avarizia. In conseguenza si lagnava spesso di non essere avara. Nel corso dell'ultima cena da lei offerta aveva raccontato come, dopo essere stata per dieci minuti in conflitto con se stessa e aver sofferto le pene del martirio, aveva finito col regalare dieci franchi a una povera operaia che, a quanto sapeva espressamente, da due giorni non toccava cibo.

- La natura, - aveva ammesso con candore, - è stata più forte della ragione.

La minestra consisteva in una brodaglia biancastra in quanto, perfino in un'occasione simile, la cuoca aveva avuto disposizione di fare molto brodo; e siccome il bue doveva nutrire la famiglia l'indomani e il posdomani, meno il brodo era saporito più la carne sarebbe stata nutriente.Il bue, poco cotto, veniva riportato sempre in cucina a questa frase pronunciata da Brigitte nel momento in cui Thuillier stava per affondarvi il coltello:

- Mi pare un po' duro; ma del resto lascia perdere, Thuillier, nessuno ne vorrà, c'è ben altro!

Il brodo era, infatti, attorniato da quattro piatti collocati su vecchi scaldavivande d'argento scrostati e che in questa cena, detta della candidatura, consistevano in due anatre alle olive fronteggiate da un gran pasticcio di carne e da un'anguilla alla tartara cui faceva riscontro un fricandò su cicoria. La seconda portata aveva quale piatto principale un'oca serenissima farcita di marroni; un'insalata di valerianella ornata di fette rotonde di barbabietola rossa stava dirimpetto a vasetti di panna, e rape zuccherate occhieggiavano un timballo di maccheroni. Questa cena da portinaio che fa le cose in grande costava venti franchi al massimo e gli avanzi bastavano a nutrire la famiglia per due giorni, e tuttavia Brigitte diceva:

- Caspita! Quando si hanno ospiti il denaro vola! Fa spavento!... La tavola era illuminata da due orridi candelabri in rame argentato a quattro braccia sui quali brillava la candela da buon prezzo detta dell'Aurore. Tovaglie e tovaglioli splendevano di candore immacolato e la vecchia argenteria a filetti proveniva dall'eredità paterna. Era frutto degli acquisti fatti da Thuillier senior durante la Rivoluzione ed era servita per mandare avanti il ristorante anonimo che teneva in casa e che era stato soppresso in tutti i ministeri nel 1816. In tal modo la tavola armonizzava con la sala da pranzo, con la casa, coi Thuillier, che non dovevano mai superare quel tenor di vita e le loro usanze. I Minard, Colleville e La Peyrade si scambiarono qualcuno di quei sorrisi che attestano una comunanza di pensieri ironici, ma controllati. Solo essi conoscevano il lusso delle classi superiori e i Minard tradivano chiaramente i loro fini riposti accettando una cena simile. La Peyrade, seduto accanto a Flavia, le mormorò all'orecchio:

- Sarete d'accordo che han bisogno di qualcuno che insegni loro a vivere e che voi e Colleville tirate la cinghia, come ho fatto anch'io. Ma questi Minard, che cupidigia abietta! Vostra figlia per voi sarebbe perduta per sempre; questi arricchiti hanno i vizi dei gran signori d'un tempo senza averne la classe. Il figlio, che ha dodicimila franchi di rendita, può benissimo trovarsi una donna nella famiglia Potasse senza venire a passare qui il rastrello della loro speculazione. Che piacere sarebbe suonare persone del genere come un basso o un clarinetto!

Flavia ascoltava sorridendo e non ritrasse il piede quando Teodosio vi posò sopra lo stivale.

- E' per avvertirvi di ciò che sta accadendo, - disse, intendiamoci col pedale; mi dovete ormai conoscere a fondo da stamattina, non sono uomo da ricorrere a ripieghi meschini...

Flavia non era mai stata viziata troppo in fatto di superiorità; il tono deciso, la sicurezza di Teodosio sbalordivano la donna alla quale l'abile prestigiatore aveva presentato il fatto in modo da porla fra il sì e il no. Bisognava accettarlo o respingerlo recisamente; e poiché il suo comportamento era frutto di calcolo egli seguiva con occhio placido, ma con intima scaltrezza gli effetti del suo potere ammaliatore. Mentre venivano tolti i piatti della seconda portata Minard, preoccupato di Phellion, disse in tono serio a Thuillier:

- Mio caro Thuillier, se ho accettato il vostro invito a cena è perché dovevo trasmettervi una comunicazione importante che vi fa troppo onore perché i vostri commensali non ne siano messi al corrente.

Thuillier impallidì.

- M'avete procurato la croce!... - esclamò cogliendo un'occhiata di Teodosio e volendo dimostrargli che non mancava di acume.

- L'avrete un giorno o l'altro, - rispose il sindaco; - ma alludo a qualcosa di più importante. La croce è un favore dovuto alla buona considerazione d'un ministro mentre qui si tratta d'una specie di plebiscito dovuto al consenso di tutti i vostri concittadini. A farla breve un gruppo assai cospicuo di elettori del mio arrondissement ha posto gli occhi su di voi e vuole onorarvi della sua fiducia affidandovi l'incarico di rappresentare questo arrondissement nel Consiglio Municipale di Parigi che, come tutti sanno, è il Consiglio generale della Senna...

- Bravo! - fece Dutocq.

Phellion s'alzò.

- Il signor sindaco m'ha preceduto, - disse con voce emozionata,- ma è talmente lusinghiero per il nostro amico essere designato all'unanimità da tutti i buoni cittadini e veder convergere su di sé la pubblica opinione da tutti gli angoli dell'arrondissement che non posso lagnarmi di giungere secondo. Del resto, l'intraprendenza al potere!... - (E salutò con deferenza Minard). - Sì, signor Thuillier, parecchi elettori han pensato d'affidarvi il loro mandato nella parte dell'arrondissement dove ho i miei modesti penati e c'è questo in più per voi, che siete stato raccomandato loro da un uomo illustre...

(Sensazione!)... da un uomo nella cui persona volevamo onorare uno dei più virtuosi abitanti dell'arrondissement, che ne fu per vent'anni il padre; intendo dire il defunto signor Popinot, membro in vita del Consiglio di Corte e nostro rappresentante nel Consiglio municipale.

Ma suo nipote, il dottor Bianchon, una delle nostre glorie... ha declinato, tanto è assorbito dalle sue mansioni, la responsabilità che poteva eventualmente toccargli, sia pure ringraziandoci del nostro omaggio, ed ha, badate bene, designato ai nostri voti il candidato del signor sindaco come il più adatto a suo giudizio, per il posto un tempo occupato, ad esercitare la magistratura dell'edilità!...

E Phellion si rimise a sedere fra gli applausi.

- Thuillier, puoi contare sul tuo vecchio amico, - disse Colleville.

A quel punto i convitati furono commossi alla vista della vecchia Brigitte e della signora Thuillier. Brigitte, pallida come fosse sul punto di svenire, lasciava scorrere sulle guance lacrime lente e ininterrotte mentre la signora Thuillier guardava come impietrita, ad occhi sbarrati. D'un tratto la vecchia zitella si precipitò in cucina gridando a Giuseppina:

- Vieni in cantina, figliola!... Ci vuole vino di prim'ordine!

- Amici miei, - proferì Thuillier con voce commossa,- questo è il più bel giorno della mia vita, più bello ancora di quanto lo sarà quello della mia elezione, se m'induco a lasciarmi proporre ai suffragi dei miei concittadini (Andiamo! Andiamo!) Mi sento infatti logorato da trent'anni d'attività pubblica e voi sarete d'accordo che un uomo d'onore deve considerare le sue capacità e le sue forze prima d'accollarsi gli impegni dell'edilità...

- Non m'attendevo di meno da voi, signor Thuillier,- esclamò Phellion.

- Scusatemi! E' la prima volta in vita mia che interrompo qualcuno, e un ex superiore per di più! Ma vi son casi...

- Accettate, accettate! - gridò Zélie; - e, accidenti, ci vogliono uomini come voi per governare.

- Rassegnatevi capo, - disse Dutocq, - evviva il futuro consigliere municipale!... Ma non abbiamo nulla per brindare...

- E così è andata, - riprese Minard, - siete il nostro candidato?

- Presumete molto da me, - rispose Thuillier.

- Ma via! - esclamò Colleville; - un uomo che ha passato trent'anni di galera negli uffici delle Finanze è un tesoro per la città!

- Siete troppo modesto! - disse il giovane Minard, - il vostro talento è ben noto, è rimasto proverbiale alle Finanze...

- L'avete voluto voi!... - dichiarò Thuillier.

- Il Re sarà contentissimo di questa scelta, siatene certo, fece Minard impettendosi.

- Signori, - disse La Peyrade, - volete concedere a un giovane abitante del faubourg Saint-Jacques una piccola osservazione non priva d'importanza?

La consapevolezza che ognuno aveva del valore del giovane avvocato dei poveri indusse tutti al silenzio.

- L'influenza del signor sindaco dell'arrondissement limitrofo, che è immensa nel nostro dove ha lasciato tanti bei ricordi; quella del signor Phellion, l'oracolo, diciamo il vero - asserì notando un gesto di Phellion, - l'oracolo del suo battaglione; quella non meno valida che il signor de Colleville deve alla franchezza dei modi e alla sua creanza; quella del signor cancelliere della Conciliatura, che non sarà meno efficace, e quel po' di sforzi che io posso offrire nella mia modesta sfera d'azione, sono garanzie di successo; ma non sono ancora il successo!... Per ottenere un sollecito trionfo dobbiamo impegnarci tutti a mantenere il più profondo riserbo su quanto è avvenuto qui... Susciteremmo, senza saperlo e volerlo, l'invidia, le passioni secondarie che ci creerebbero più avanti ostacoli da superare. Il significato politico della nuova domanda, la base stessa della sua essenza e la garanzia della sua sopravvivenza, consiste in una certa suddivisione, in una determinata limitazione del potere con il ceto medio, la vera forza delle società moderne, la sede della morale, dei buoni sentimenti, dell'operosità intelligente; ma non possiamo nasconderci che il sistema elettivo, esteso a quasi tutti i campi, ha insinuato gli stimoli dell'ambizione, la brama d'essere qualcuno, se mi consentite il termine, in strati sociali che non avrebbe mai dovuto turbare. C'è chi vi scorge un bene, c'è chi vi scorge un male; non spetta a me dare un giudizio in proposito dinanzi a menti alla cui superiorità m'inchino; m'accontento d'indicare il problema per sottolineare il pericolo che il vessillo del nostro amico può correre. Vedete, la morte del nostro onorevole rappresentante nel Consiglio municipale data da appena otto giorni e già l'arrondissement è scosso da ambizioni meschine. C'è chi vuole mettersi in mostra ad ogni costo. L'avviso di convocazione avrà forse effetto solo entro un mese. Di qui ad allora quanti intrighi!... Non offriamo, vi supplico, il nostro amico Thuillier in pasto ai concorrenti! Non abbandoniamolo all'opinione pubblica, questa moderna arpia araldo della calunnia e dell'invidia, il pretesto che le rivalità assumono che sminuisce tutto ciò che è grande, che insozza tutto ciò che è degno di stima, che disonora tutto ciò che è sacro...; facciamo come il terzo partito alla Camera, stiamo zitti e votiamo!

- Parla bene, - disse Phellion al suo vicino Dutocq.

- E quante cose sa!...

L'invidia aveva reso il figlio di Minard verde e giallo.

- Ben detto e giusto! - esclamò Minard.

- Approvato all'unanimità, - disse Colleville; - signori, siamo uomini d'onore, ci basta esser d'accordo su questo punto.

- Chi vuole il fine vuole i mezzi, - dichiarò enfaticamente Phellion.

In quell'istante riapparve la signorina Thuillier seguita dalle due domestiche; aveva la chiave della cantina alla cintura, e tre bottiglie di Champagne, tre di vino vecchio dell'Hermitage, una di Malaga vennero deposte sulla tavola; ma essa reggeva con cura quasi religiosa una bottiglietta, simile a una fata Carabosse, che posò dinanzi a sé. Nel pieno dell'euforia suscitata da questa dovizia di leccornie, frutto di riconoscenza e che la povera donna, nel suo delirio, mesceva con profusione tale da metter sotto processo la sua ospitalità quindicinale, giunsero parecchi piatti di dessert; mucchi di frutta secca, piramidi d'arance, cumuli di mele, formaggi, dolci, frutti canditi tratti dai recessi dei suoi armadi e che, senza le ragioni del momento, non sarebbero apparse mai sulla tovaglia.

- Celeste, ora ti porteranno una bottiglia d'acquavite che mio padre ha avuto nel 1802; fanne un'insalata d'arance! - ordinò alla cognata.

- Signor Phellion, sturate lo Champagne; questa bottiglia è per voi tre. Signor Dutocq, prendete questa! Signor Colleville, voi che sapete far saltare i tappi! ...

Le due ragazze distribuivano bicchieri da Champagne, bicchieri per il Bordeaux, dato che Giuseppina aveva portato tre bottiglie di Bordeaux, e bicchierini.

- Dell'anno della cometa! - esclamò Thuillier. - Signori, avete fatto perder la bussola a mia sorella.

- E stasera punch e pasticcini, - essa aggiunse. - Ho mandato a cercare del tè dal farmacista. Mio Dio! Avessi saputo che si trattava di un'elezione, - asserì guardando la cognata, - avrei messo l'oca...

Una risata generale accolse quest'uscita.

- Oh, l'avevamo un'oca, - disse ridendo Minard figlio.

- Le carrette traboccano! - esclamò la signora Thuillier vedendo servire marrons glacés e meringhe.

La signorina Thuillier aveva il viso in fiamme; era magnifica da vedere e mai amore di sorella ebbe espressione più forsennata.

- Per chi la conosce è commovente! - osservò la signora Colleville.

I bicchieri erano colmi, ognuno guardava l'altro; pareva si attendesse un brindisi e La Peyrade disse:

- Signori, beviamo a qualcosa d'eccelso!...

Tutti furono colti da stupore.

- Alla signorina Brigitte!...

Ognuno s'alzò, brindò, gridò: - Viva la signorina Thuillier! tanto l'effusione d'un sentimento autentico suscita entusiasmo.

- Signori, - disse Phellion leggendo da un foglietto scritto a lapis:

"Al lavoro, ai suoi splendori, nella persona dei nostro ex collega divenuto uno dei sindaci di Parigi, al signor Minard e consorte!" Dopo cinque minuti di conversazione Thuillier s'alzò e disse:

- Signori, al Re e alla famiglia reale!... Non aggiungo altro, questo brindisi dice tutto.

- All'elezione di mio fratello! - disse la signorina Thuillier.

- Ora vi faccio ridere, - disse La Peyrade che non aveva cessato un attimo di parlare all'orecchio di Flavia.

E si levò in piedi:

- Alle donne! A questo sesso ammaliatore al quale dobbiamo tanta felicità, eccezion fatta per le nostre madri, le nostre sorelle e le nostre mogli!...

Il brindisi provocò l'ilarità generale e Colleville, già brillo, gridò:

- Furfante! M'hai tolto la frase di bocca!

Anche il sindaco s'alza, si fa assoluto silenzio.

- Signori, alle nostre istituzioni! Da esse proviene la forza e la grandezza della Francia dinastica!

Le bottiglie sparivano tra gli assensi reciproci sul pregio straordinario e la squisitezza dei liquidi.

Celeste Colleville chiese timidamente:

- Mamma, mi permettereste di fare un brindisi?...

La povera ragazza aveva scorto il volto inebetito della madrina, obliata, lei, la padrona di casa, con l'espressione quasi d'un cane che non sappia a quale padrone obbedire, gli occhi che andavano dalla fisionomia della terribile cognata a quella di Thuillier e osservava i visi, scordando se stessa; ma la gioia, su questa faccia da ilota abituata a non contar nulla, a reprimere idee e sentimenti, aveva l'aspetto di un pallido sole invernale tra la nebbia; illuminava a malincuore quelle carni flaccide e avvizzite. La cuffia d'organza decorata a fiori scuri, l'acconciatura trasandata, l'abito color carmelita col corsetto ornato unicamente da una grossa catena d'oro; tutto, incluso il modo d'essere, suscitava affetto nella giovane Celeste che, sola fra tutti, conosceva il valore di quella donna condannata al silenzio, che era al corrente di ciò che le avveniva intorno, che di tutto soffriva e si confortava con lei o con Dio.

- Lasciatele fare il suo piccolo brindisi, - disse La Peyrade alla signora Colleville.

- Va bene, figliola, - esclamò Colleville; - c'è il vino dell'Hermitage da assaggiare ed è vino vecchio!

- Alla mia buona madrina! - disse la ragazza abbassando con rispetto il bicchiere e porgendoglielo.

La povera donna, spaurita, guardò, ma attraverso un velo di lacrime, alternativamente la cognata e il marito; ma la sua posizione in famiglia era così nota e l'omaggio dell'innocenza alla debolezza aveva qualcosa di talmente bello che l'emozione si propagò a tutti; gli uomini s'alzarono e s'inchinarono innanzi alla signora Thuillier.

- Oh, Celeste, vorrei avere un regno per porlo ai vostri piedi!le disse Felice Phellion.

Il buon Phellion terse una lacrima e perfino Dutocq si mostrò commosso.

- Che ragazza incantevole! - disse la signorina Thuillier alzandosi per baciare la cognata.

- A me! - disse Colleville in posa da atleta. - Ascoltate bene!

All'amicizia! Vuotate i bicchieri! Riempite i bicchieri! Bene! Alle belle arti, il fiore della vita sociale!

- Che cos'è questa bottiglietta?... - chiese Dutocq alla signorina Thuillier.

- E' - rispose essa, - una delle tre boccette di liquore della signora Amphoux; la seconda è per il matrimonio di Celeste e l'ultima per il battesimo del suo primogenito.

- Mia sorella ha perduto quasi il senno, - disse Thuillier a Colleville.

La cena terminò con un brindisi di Thuillier, suggerito da Teodosio, quando la bottiglia di Malaga splendette nei bicchierini col colore del rubino.

- Colleville, signori, ha bevuto "all'amicizia"; io invece, con questo vino generoso, bevo "ai miei amici!" Un hurrà pieno di calore accolse questa uscita sentimentale ma, come disse Dutocq a Teodosio:

- E' un delitto offrire un Malaga così squisito a palati d'infimo ordine...

- Ah, amico mio, chi riuscisse a imitare questo, - esclamò la padrona di casa facendo risuonare il bicchiere col suo modo di sorbire il liquore spagnolo, - quanti soldi si farebbe! ...

Zélie era giunta al massimo dell'incandescenza: era terrificante.

- Beh, - rispose Minard, - la nostra parte è fatta!

- Sorella, - disse Brigitte alla signora Thuillier, - pensate sia bene prendere il tè in sala?...

La signora Thuillier s'alzò.

 

 

 

14

DUE SCENE D'AMORE

 

- Ah, siete un gran mago, - disse Flavia Colleville accettando il braccio di La Peyrade per trasferirsi dalla sala da pranzo nel salone.

- E pensare, - egli le rispose, - che non desidero stregare che voi sola; credetemi, è una rivincita che mi prendo; oggi mi sembrate più bella che mai!

- Thuillier, - replicò essa per evitare lo scontro, - Thuillier che si crede un uomo politico!

- Mia cara, al mondo metà delle cose buffe è frutto di cospirazioni del genere; l'uomo non è, in queste faccende, così colpevole come appare. In quante famiglie non si vede il marito, i figli, gli amici di casa convincere una madre stupidissima che è spiritosa, una madre sui quarantacinque anni che è giovane e bella?... Di qui stramberie inconcepibili per chi sta al di fuori. Un tizio deve la sua fatuità irritante all'idolatria di un'amante e la sua vanità di poetastro a coloro che sono stati da lui pagati per dargli a intendere d'essere un gran poeta. Ogni famiglia ha un grand'uomo e ne consegue, come alla Camera, un'oscurità totale nonostante tutti i lumi di Francia...

Ebbene, le persone di spirito se la ridono fra loro, ecco tutto. Voi siete la bellezza e lo spirito di questo piccolo mondo borghese; ecco la ragione che m'ha indotto a dedicarvi un culto; ma la mia seconda mira è stata di togliervi di là perché vi amo sinceramente; e con più amicizia che amore benché vi si sia insinuato parecchio amore, - aggiunse stringendola al cuore grazie al vano della finestra in cui l'aveva condotta.

- La signora Phellion suonerà il piano, - disse Colleville; oggi tutti devono ballare; le bottiglie, i pezzi da venti soldi di Brigitte e le nostre figliole! Vado a cercare il mio clarinetto.

Consegnò la tazzina vuota da caffè alla moglie, lieto di vederla così d'accordo con Teodosio.

- Ma che avete fatto a mio marito? - chiese Flavia al suo seduttore.

- Devo svelarvi tutti i nostri segreti?

- Ma non m'amate forse? - rispose essa guardandolo con la sornioneria civettuola d'una donna quasi sul punto di cedere.

- Oh, visto che mi confidate tutti i vostri, - replicò egli abbandonandosi a quella esaltazione provenzale ammantata d'allegria, così attraente e spontanea all'apparenza, - non vorrei celarvi una spina che ho in cuore...

La ricondusse nel vano della finestra e con un sorriso le disse:

- Colleville, pover'uomo ha visto in me l'artista oppresso da tutti questi borghesi, taciturno davanti a loro per la consapevolezza d'essere incompreso, mal giudicato, respinto; ma ha avvertito il calore del fuoco sacro che mi divora. Del resto io sono, - affermò con profonda convinzione, - un artista della parola alla maniera di Berryer; potrei far piangere i giurati mettendomi a piangere anch'io, perché ho i nervi d'una donna. E allora quest'uomo, al quale tutto quel borghesume dà la nausea, ci ha scherzato su con me: abbiamo cominciato col dirne male ridendo e m'ha trovato del suo stesso calibro. L'ho informato del progetto di far qualcosa di Thuillier e gli ho fatto balenare il vantaggio che potrebbe ricavare da un burattino politico: "Non foss'altro", gli ho detto, "che per diventare signore 'de' Colleville e porre la vostra deliziosa moglie dove vorrei vederla, in una buona ricevitoria generale, dovreste farvi eleggere deputato; perché, per diventare quel che dovete essere, basterà che vi rechiate per otto anni nelle Hautes o nelle Basses-Alpes, in una cittaducola dove ognuno vi vorrà bene e vostra moglie conquisterà tutti... E questo", gli ho aggiunto, "si avvererà, specie se concederete la vostra cara Celeste a un uomo che abbia influenza alla Camera..." La ragione, espressa sotto forma di scherzo, ha il potere di penetrare più a fondo di quanto non farebbe da sola in certi temperamenti: perciò, Colleville e io siamo i migliori amici del mondo. Non m'ha forse detto a tavola: "Furfante, m'hai tolta la frase di bocca?" Stasera saremo intimi... Una commediola astuta nella quale gli artisti, ridotti a proporzioni domestiche, si compromettono sempre e nella quale lo trascinerò io stesso, ci renderà quindi amici sul serio, e forse più di quanto non lo sia con Thuillier, visto che gli ho detto quanto Thuillier scoppierebbe d'invidia nel vedere la sua rosetta... Ed ecco, mia adorata, ciò che un sentimento profondo dà la forza di fare! Non è forse indispensabile che Colleville mi adotti, che possa stare con voi col suo consenso?... Lo vedete, mi fareste leccare i lebbrosi, inghiottire rospi vivi, sedurre Brigitte; sì, m'infilzerei il cuore su quel lungo palo se dovessi usarlo come gruccia per trascinarmi ai vostri ginocchi!

- Stamattina, - essa rispose, - m'avete spaventata...

- E stasera siete tranquilla?... Sì, - aggiunse egli, - con me non v'accadrà mai alcun male.

- Oh, l'ammetto, voi siete un uomo davvero straordinario!...

- Ma no; i più piccoli come i più grandi sforzi sono il riflesso della fiamma che voi avete accesa e io voglio essere vostro genero per non doverci mai lasciare... Mia moglie, beh buon Dio, non può essere che una macchina per far bambini; ma la creatura eccelsa, la deità, sarai tu, - le sussurrò all'orecchio.

- Voi siete Satana! - gli rispose essa con una sorta di terrore.

- No, sono solo un po' poeta, come la gente della mia terra. Suvvia, siate la mia Giuseppina!... Verrò a trovarvi domani, alle due, e ho il più vivo desiderio di conoscere dove dormite, i mobili che usate, il colore delle stoffe, la disposizione degli oggetti che vi circondano, di ammirare la perla nella sua conchiglia!...

E con questa frase si dileguò abilmente senza volere udire la risposta.

Flavia, nella cui vita l'amore non aveva mai adoperato il frasario appassionato dei romanzi, rimase scossa ma felice, il cuore trepidante, convinta che era assai difficile sottrarsi a quell'ascendente. Per la prima volta Teodosio aveva indossato pantaloni nuovi, calze di seta grigia e scarpette, un panciotto di seta nera e una cravatta in raso nero sul cui nodo brillava una spilla scelta con gusto. Portava una giacca nuova, all'ultima moda, e guanti gialli ravvivati dal candore dei polsini; era l'unico ad avere modi e contegno ineccepibili in quel salone che gli invitati stavano a poco a poco riempiendo.

La signora Pron, nata Barniol, era giunta con due collegiali diciassettenni affidati alle sue materne cure dalle famiglie, dimoranti a Bourbon e alla Martinica. Signor Pron, professore di retorica in un collegio diretto dai preti, apparteneva al ceto dei Phellion; ma anziché vivere d'esteriorità, far sfoggio di parole e gesti, posare a modello, era sentenzioso e conciso. Il signore e la signora Pron, le perle del salone Phellion, ricevevano il lunedì; s'erano legati intimamente coi Barniol attraverso i Phellion. Per quanto professore il piccolo Pron sapeva ballare. La grande rinomanza dell'istituto Lagrave, dove il signore e la signora Phellion avevano operato per vent'anni, s'era accresciuta sotto la direzione della signorina Barniol, la più efficiente e anziana delle vicedirettrici.

Pron aveva molto ascendente in quella parte del quartiere circoscritta dal boulevard de Mont-Parnasse, il Luxembourg e la route de Sèvres.

Perciò, non appena vide l'amico, Phellion, senza bisogno d'essere pungolato, lo prese sottobraccio per informarlo, in un angolo, della congiura a pro di Thuillier e, dopo una conversazione di dieci minuti, si recarono entrambi in cerca di Thuillier stesso e il vano della finestra dirimpetto a quello in cui stava Flavia udì un trio degno certamente, nel suo genere, di quello dei tre svizzeri nel "Guglielmo Tell".

- Guardate, - Teodosio venne a dire a Flavia, - l'onesto e puro Phellion che sta tramando!... Date un appiglio all'uomo onesto ed egli sguazzerà volentieri nei più sporchi affari; perché, a dirla chiara, cerca d'adescare il piccolo Pron, e Pron ne segue le orme, nel solo interesse di Felice Phellion, che sta ora intrattenendo la vostra piccola Celeste... Andate perciò a separarli... Da dieci minuti sono insieme e Minard figlio sta facendo loro la posta come un mastino rabbioso.

Felice, ancora scosso dalla profonda emozione causata dal gesto generoso e dal grido scaturito dal cuore di Celeste quando nessuno, la signora Thuillier eccettuata, ci pensava più ebbe una di quelle astuzie ingenue che sono l'istrionismo lecito dell'amore autentico: ma non c'era abituato; la matematica lo distraeva. S'avvicinò alla signora Thuillier convinto che essa avrebbe chiamato a sé Celeste, profondo calcolo d'una passione profonda. Essa ne fu tanto più grata a Felice in quanto l'avvocato Minard, che non vedeva in lei che una dote, non ebbe tale ispirazione subitanea e continuò a sorseggiare il suo caffè parlando di politica con Laudigeois, che aveva trovato nel salone in compagnia dei signori Barniol e Dutocq, su invito del padre che pensava al rinnovo della legislatura nel 1842.

- Chi potrebbe non amare Celeste! - disse Felice alla signora Thuillier.

- Povera piccola cara, non c'è che lei al mondo che mi ami! rispose l'ilota trattenendo le lacrime.

- Oh signora, siamo in due ad amarvi, - rispose il candido Felice ridendo.

- Di che state parlando? - venne a chiedere Celeste alla madrina.

- Figlia mia, - rispose la pia vittima attirando a sé la figlioccia e baciandola in fronte, - sta dicendo che siete in due ad amarmi.

- Non stizzitevi per questo vaticinio, signorina! - disse sottovoce il futuro candidato all'Académie des Sciences, - e lasciate che faccia di tutto perché si avveri!... Vedete, io son fatto così: l'ingiustizia mi ripugna al massimo!... Quanto ha avuto ragione il Salvatore degli uomini nel promettere il futuro ai cuori semplici, agli agnelli immolati!... Un uomo che vi avesse solo amata, Celeste, vi adorerebbe dopo il vostro sublime impulso a tavola! Ma solo l'innocenza può consolare il martirio!... Siete una brava ragazza e sarete una di quelle donne che sono al tempo stesso la gloria e la felicità d'una famiglia. Felice chi vi sarà caro!

- Madrina cara, ma con quali occhi mi vede il signor Felice?...

- Ti stima, angioletto mio, e io pregherò Dio per voi...

- Sapeste quanto son contento che mio padre possa rendere un favore al signor Thuillier... e come vorrei riuscire utile a vostro fratello!...

- Insomma, - disse Celeste, - volete bene a tutta la famiglia?...

- Eh sì, - rispose Felice.

Il vero amore s'ammanta sempre dei veli del pudore, anche nell'esprimersi, perché si mette alla prova da se stesso; non sente il bisogno, come quello finto, d'appiccare un incendio, e un curioso, se uno di costoro avesse potuto intrufolarsi nel salone Thuillier, avrebbe potuto comporre un volume mettendo le due scene a confronto e notando i preparativi poderosi di Teodosio e la semplicioneria di Felice: l'uno rappresentava la natura, l'altro la società; il vero e il falso faccia a faccia. In realtà, scorgendo la figlia estasiata, esalante l'anima da tutti i pori del viso e bella come una fanciulla che colga le prime rose d'una dichiarazione indiretta, Flavia ebbe in cuore una fitta di gelosia e s'avvicinò a Celeste dicendole all'orecchio:

- Figlia mia non vi state comportando bene, tutti vi guardano e vi compromettete a parlare così a lungo, e da sola, con il signor Felice senza sapere se questo ci torni utile.

- Mamma, ma c'è la mia madrina.

- Oh scusate cara amica, - esclamò la signora Colleville,- non vi avevo vista...

- Anche voi fate come tutti gli altri, - replicò il san Giovanni Crisostomo.

La frase ferì la signora Colleville, che l'accolse come un dardo seghettato; fissò Felice con alterigia e disse a Celeste: Siediti là, figlia mia, - prendendo posto anch'essa accanto alla signora Thuillier e indicando alla ragazza una sedia vicina a sé.

- O m'ammazzerò di lavoro, - disse allora Felice alla signora Thuillier, - o diverrò membro dell'Académie des Sciences per ottenere con la mia gloria la sua mano.

"Oh, - si disse la povera donna, - quanto avrei voluto uno studioso tranquillo e mite come lui!... Mi sarei evoluta a poco a poco grazie a una vita in penombra... Mio Dio, tu non l'hai permesso ma unisci e proteggi questi due ragazzi! Sono fatti l'uno per l'altro".

E rimase assorta ad ascoltare il baccano da sabba che faceva la cognata, vero cavallo da tiro, che, per dare una mano alle due fantesche, sparecchiava il tavolo, toglieva ogni cosa dalla sala da pranzo per lasciarla a disposizione di danzatori e danzatrici, vociferando come un capitano di fregata sul ponte di comando in procinto d'essere attaccato: "C'è ancora sciroppo di ribes? Andate a comprare dell'orzata!" Oppure: "I bicchieri non bastano e c'è poco vino annacquato. Prendete le sei bottiglie di vino ordinario che ho portato su. Attenti che non ne sgraffigni qualcuna Coffinet, il portiere!... Caroline, figliola, sta vicino alla credenza!... Avrete una fetta di lingua se all'una si ballerà ancora. Niente sprechi!

Tenete tutto d'occhio. Datemi la scopa... mettete olio nelle lampade... Soprattutto non fate danni... Userete gli avanzi del dessert per addobbare le credenze!... Figurarsi se mia cognata verrà a darci una mano! Chissà a cosa sta pensando quella posapiano!... Buon Dio quant'è tarda!... Bah, togliete le sedie, avranno più spazio".

Il salone era pieno di Barniol, di Colleville, di Laudigeois, di Phellion e di tutti coloro che la voce d'un ballo in famiglia dai Thuillier, sparsasi per il Luxembourg fra le due e le quattro, l'ora in cui la Borghesia del quartiere va a spasso, aveva richiamato.

- Ragazza mia siete pronta? - disse Colleville facendo irruzione in sala da pranzo; - sono le nove e la gente è pigiata nel salone come aringhe. Cardot, la moglie, il figlio, la figlia e il futuro genero sono giunti accompagnati dal giovane sostituto Vinet e il faubourg Saint-Antoine sta arrivando adesso. Il pianoforte dal salone lo portiamo qui, vero?

E diede l'avvio provando il clarinetto, le cui allegre stecche furono accolte da un hurrà nel salone.

Inutile descrivere qui un ballo del genere. Abiti, visi, chiacchiere, tutto fu in sintonia con quanto basta a contentare le fantasie meno esigenti dato che, in ogni cosa, un fatto solo basta a connotare il tutto col suo peculiare timbro e carattere. Su vassoi scrostati e in vari punti scoloriti venivano fatti circolare bicchieri dozzinali pieni di vino puro o annacquato e d'acqua zuccherata. I vassoi coi bicchieri d'orzata e di sciroppo mancavano spesso all'appello. Si giunse a cinque tavoli da gioco, con venticinque partecipanti, e a diciotto danzatori e danzatrici! All'una la signora Thuillier, la signorina Brigitte e la signora Phellion, insieme a Phellion padre, vennero coinvolti nelle bizzarrie d'una contraddanza detta popolarmente la "Boulangère", nella quale Dutocq si esibì col capo velato alla maniera dei Cabili! I domestici in attesa dei padroni e quelli di casa fecero da spettatori e dato che quest'interminabile contraddanza durò un'ora Brigitte per poco non fu portata in trionfo quando annunciò il suo spuntino; ma essa sentì invece il bisogno di nascondere dodici bottiglie di vecchio Borgogna. Era tale lo spasso, sia per le matrone che per le ragazze, che a Thuillier venne fatto di esclamare:

- E pensare che stamani quasi ignoravamo che oggi avremmo avuto una festa simile!...

- Non ci si diverte mai tanto, - osservò il notaio Cardot, come in questi balli improvvisati. Non fatemi pensare a quelle riunioni in cui ognuno arriva tutto sulle sue!...

Questa è per i borghesi un'opinione assiomatica.

- Ah bah, - disse la signora Minard, - per me è tutto uguale...

- Signora, non stiamo dicendo questo per voi presso la quale il piacere ha eletto dimora, - disse Dutocq.

Finita la "Boulangère" Teodosio strappò Dutocq dalla credenza, dove stava servendosi una fetta di lingua, dicendogli:

- Andiamocene perché domattina di buonora dobbiamo trovarci da Cérizet per avere tutti i ragguagli sull'affare di cui ci occuperemo entrambi, perché non è una faccenda facile come lui crede.

- E perché mai? - chiese Dutocq venendo a mangiare il suo pezzetto di lingua nel salone.

- Non conoscete la legge?... Io ne so quanto basta per essere al corrente dei rischi che l'affare comporta. Se il notaio vuole la casa e noi gliela soffiamo ha la possibilità di fare un'offerta in aumento per riprendercela e potrà mettersi al posto d'un creditore in lista.

Stando alla legislazione vigente in materia ipotecaria quando una casa viene venduta su richiesta d'un creditore, qualora il prezzo ottenuto dall'aggiudicazione non sia bastante a compensare tutti i creditori questi hanno diritto a un'offerta in aumento; e il notaio, una volta cascatoci, cambierà parere.

- Giusto! - disse Dutocq. - Bene, andremo a trovare Cérizet.

Questa frase: "Andremo a trovare Cérizet" fu udita dall'avvocato Minard che veniva immediatamente dietro ai due compari; ma era per lui priva di significato. I due erano talmente lontani da lui, dalla sua carriera e dai suoi progetti, che li ascoltò senza comprenderli.

- E' uno dei più bei giorni della nostra vita, - disse Brigitte quando, alle due e mezza del mattino, rimase sola col fratello nel salone vuoto; - quale onore essere scelti in tal modo dai propri concittadini!

- Non t'ingannare Brigitte, ragazza mia, tutto ciò lo dobbiamo a un uomo solo... - A chi? - Al nostro amico La Peyrade.

 

 

 

15

IL BANCHIERE DEI POVERI

 

La casa verso cui s'avviarono, non l'indomani lunedì ma il posdomani martedì, Dutocq e Teodosio, al quale il cancelliere aveva fatto osservare che Cérizet soleva assentarsi la domenica e il lunedì approfittando della totale mancanza di clienti in quei due giorni nei quali la gente fa bisboccia, detta casa è uno degli elementi caratteristici del faubourg Saint-Jacques, non meno importante di quella di Thuillier o di Phellion. S'ignora (è vero che non è stata ancora costituita una commissione per studiare il fenomeno) s'ignora come e perché i quartieri di Parigi si degradino e si corrompano, sia in senso morale che materiale; come mai la residenza della Corte e della Chiesa, il Luxembourg e il Quartiere Latino divengano quel che sono oggi malgrado la presenza di uno dei più bei palazzi del mondo, nonostante l'ardita cupola Sainte-Geneviève e quella di Mansard al Val-de-Grace e le attrazioni del Jardin des Plantes! Perché l'eleganza del vivere s'affievolisca; per quale motivo le case Vauquer, Phellion, Thuillier proliferino, unitamente ai convitti, a ridosso dei palazzi degli Stuarts, dei cardinali Mignon e Duperron, e perché mai il fango, i sudici opifici e la miseria s'impossessino d'una montagna invece d'insediarsi lontano dall'antica e nobile città... Morto l'angelo la cui beneficenza aleggiava sul quartiere vi si era buttata a capofitto l'usura di bassa lega. Al consigliere Popinot era subentrato un Cérizet; e stranamente, cosa che vale comunque la pena d'essere indagata, il risultato, socialmente parlando, non era molto differente. Popinot prestava senza interesse e sapeva perdere; Cérizet non perdeva mai e costringeva i poveri a lavorar sodo e a mettere giudizio. E i poveri adoravano Popinot ma non odiavano Cérizet. Così funziona l'ultimo ingranaggio della finanza parigina. Al sommo la casa Nucingen, i Keller, i Du Tillet, i Mongenod; un po' sotto i Palma, i Gigonnet, i Gobseck; più in basso ancora i Samanon, i Chaboisseau, i Barbet; e per finire, dopo il Monte di Pietà, questa regina dell'usura che tende i suoi lacci ai canti delle strade per strozzare ogni miseria senza mai mancarne una, un Cérizet!

Il soprabito con gli alamari può darvi idea della stamberga di questo scampato all'accomandita e alla sezione sesta.

Era una casa corrosa dal salnitro, coi muri a chiazze verdastre che trasudavano umidità e puzzavano come un volto umano, situata all'angolo della rue des Poules e occupata da un mercante di vino della qualità peggiore, con la bottega tinteggiata in volgare rosso acceso, ornata di tendine in calicò rosso, munita d'un bancone in piombo, protetta da formidabili inferriate. Sulla porta dondolava un orrendo lampione con su scritto: "albergo senza ristorante". Le pareti erano attraversate da croci in ferro attestanti la scarsa solidità dell'edificio, di proprietà del vinaio; costui occupava metà del pianterreno e l'ammezzato. La vedova Poiret (nata Michonneau) gestiva l'albergo, che comprendeva il primo, secondo e terzo piano e nel quale alloggiavano gli studenti meno abbienti.

Cérizet abitava una stanza al pianterreno e una all'ammezzato, comunicanti per mezzo d'una scala interna che prendeva luce da un orribile cortile lastricato dal quale salivano miasmi mefitici.

Cérizet pagava quaranta franchi il mese, per pranzare e cenare, alla vedova Poiret; s'era così cattivato la locandiera col divenire suo cliente e il vinaio col procurargli ingenti vendite, uno spaccio di liquori e guadagni realizzati prima del levar del sole. Il banco del sor Cadenet stava in faccia a quello di Cérizet, che iniziava le sue operazioni il martedì, verso le tre del mattino in estate e verso le cinque d'inverno. L'orario della Halle, dove si recavano molti suoi clienti maschi e femmine, condizionava quello della sua abietta attività. Perciò il sor Cadenet, per via di questa clientela dovuta unicamente a Cérizet, gli affittava le due stanze a soli ottanta franchi annui e aveva firmato un contratto di dodici anni che solo Cérizet aveva il diritto rescindere, senza indennizzo, di trimestre in trimestre. Cadenet in persona recava giornalmente una bottiglia di buon vino per il pranzo del suo prezioso inquilino e, quando Cérizet era all'asciutto, aveva solo da dire all'amico: "Cadenet, prestami cento scudi". Ma glieli restituiva sempre puntualmente.

Cadenet ebbe indirettamente la prova che la vedova Poiret aveva affidato duemila franchi a Cérizet, il che poteva spiegare l'incremento dei suoi affari dal giorno in cui era venuto a stabilirsi nel quartiere con un biglietto da mille franchi appena e la protezione di Dutocq. Cadenet, spinto da un'avidità che il successo acuiva, aveva offerto ai primi dell'anno ventimila franchi circa all'amico Cérizet, che egli però rifiutò con la scusa che correva rischi e che un insuccesso poteva causare screzi coi soci.

- Non potrei prenderli che al sei per cento, - disse a Cadenet,e voi ne ricavate di più nel vostro ramo... Associamoci più avanti per un affare serio; ma una buona occasione richiede almeno cinquantamila franchi e quando disporrete di tale somma, bene, ne riparleremo...

Cérizet aveva confidato la faccenda della casa a Teodosio dopo essersi reso conto che loro tre, la signora Poiret, Cadenet e lui, non ce l'avrebbero mai fatta a mettere insieme centomila franchi.

Il prestatore ad alto interesse e a breve scadenza si trovava quindi pienamente a suo agio in quel tugurio e vi avrebbe trovato, all'occorrenza, aiuto. In certi mattini c'erano dalle sessanta alle ottanta persone, tra uomini e donne, sia dal vinaio che nel corridoio, seduti sugli scalini o nell'ufficio, dove il diffidente Cérizet non faceva entrare più di sei individui alla volta. I primi arrivati prenotavano il posto e, poiché ciascuno passava solo quand'era il proprio turno, il vinaio o il garzone numeravano gli uomini sul cappello e le donne sul dorso.

Si vendevano, come le carrozze da nolo in piazza, numeri di testa per numeri di coda. Nei giorni in cui le faccende alla Halle richiedevano fretta un numero a capofila valeva un bicchiere d'acquavite e un soldo. I numeri uscenti chiamavano i successivi nello studio di Cérizet e, se scoppiavano baruffe, Cadenet le troncava dicendo:

- Se venissero le guardie e la polizia che ci guadagnereste? "Lui" chiuderà bottega.

"Lui" era il nome di Cérizet. Quando, nel corso della giornata, una povera donna disperata, senza un tozzo di pane in casa e coi figli smunti, veniva a chiedere in prestito dieci o venti soldi:

- "Lui" c'è? - chiedeva al vinaio o al suo garzone.

Cadenet, piccolo e corpulento, vestito di blu con mezze maniche in panno nero, grembiule da vinaio, berretto in testa, pareva a quelle povere madri un angelo quando rispondeva:

- "Lui" m'ha detto che siete una donna onesta e di darvi quaranta soldi. Sapete cosa dovete fare...

E, cosa da non credersi, "lui" era benedetto come un tempo lo era stato Popinot!

Si malediceva Cérizet la domenica mattina, nel saldare i conti; lo si malediceva in tutta Parigi il sabato, mentre si lavorava per restituirgli il prestito più l'interesse! Ma egli era Dio e la Provvidenza dal martedì al venerdì d'ogni settimana.

La stanza, dove prima era situata la cucina del primo piano, era spoglia: i travetti del soffitto, imbiancato a calce, recavano ancora tracce di fumo. Le pareti, lungo le quali aveva collocato panche, le mattonelle di grès che formavano il pavimento trattenevano e restituivano alternamente l'umidità. Il camino, del quale sussisteva la cappa, era stato sostituito da una stufa in ferro dove Cérizet bruciava carbon fossile quando faceva freddo. Sotto la cappa c'era un piancito rialzato di mezzo piede per una tesa quadrata sul quale erano disposte una tavola da venti soldi e un seggiolone in legno con un cuscino a ciambella in cuoio verde. Alle spalle, Cérizet aveva fatto ornare il muro con tavole da imbarcazione. S'era quindi circondato d'un piccolo paravento in legno bianco per proteggersi dagli spifferi dal lato della finestra e della porta; ma il paravento, formato da due ante, gli consentiva di godere il tepore della stufa. La finestra aveva all'interno enormi imposte rinforzate in latta e tenute ferme da una sbarra. Anche la porta spiccava per una protezione identica.

In fondo alla stanza, in un cantuccio, saliva una scaletta a chiocciola proveniente da qualche magazzino demolito, ricomprata in rue Chapon da Cadenet, che l'aveva fatta adattare eliminando nel pavimento del mezzanino ogni accesso col primo piano. Cérizet aveva preteso poi che la porta dell'ammezzato che dava sul pianerottolo venisse murata. L'abitazione era quindi una fortezza. In alto, la sua camera da letto aveva per tutto arredamento un tappeto acquistato a venti franchi, un letto da convittore, un comò, due sedie, una poltrona e una cassa in ferro a forma di stipo, opera d'un fabbro di prim'ordine, comprata d'occasione. Si radeva davanti allo specchio del camino; possedeva due paia di lenzuola in calicò, sei camicie di percalle e il resto in proporzione. Una volta o due Cadenet aveva avuto modo di vedere Cérizet vestito da elegantone; teneva celato a tal fine, nell'ultimo cassetto del comò, un completo col quale recarsi all'Opéra e persino in società, senza essere riconosciuto dato che, non fosse per la voce, Cadenet stesso gli avrebbe chiesto: "In che posso servirvi?" Ciò che più piaceva in quell'uomo, "ai suoi clienti", era la giovialità e le battute scherzose; egli parlava la loro lingua.

Cadenet, i suoi due garzoni e Cérizet, pur vivendo in mezzo alle più spaventose miserie, mantenevano la stessa calma del beccamorto con gli eredi, dei vecchi sergenti della Guardia fra un cumulo di cadaveri; non gemevano all'udire grida di fame e disperazione come non gemono i chirurghi nell'ascoltare i loro pazienti all'ospedale e dicevano, come i soldati e gli assistenti, frasi banali come queste:

"Abbiate pazienza, un po' di coraggio! A che serve disperarsi? Se anche vi ammazzaste e poi?... Ci si abitua a tutto; un po' di buon senso, eccetera".

Benché Cérizet avesse l'accortezza di nascondere il denaro occorrente al suo giro d'affari mattutino in un doppio fondo del seggiolone sul quale stava seduto, di non prendere più di cento franchi alla volta che riponeva nei taschini dei pantaloni e di non attingere alla sua riserva se non tra due infornate, tenendo chiusa la porta e riaprendola dopo essersi frugato in tasca, non aveva nulla da temere dai vari disperati accorsi da ogni parte a quell'appuntamento monetario. Esistono certo vari modi d'essere onesti e virtuosi e la "Monographie de la vertu" ha per fondamento essenziale questa verità sociale. L'uomo può mancare verso la propria coscienza, può mancare apertamente alle leggi del decoro, venir meno a quel fiore dell'onore che, anche perduto, non comporta ancora il disprezzo collettivo; può mancare infine verso l'onore stesso, ma non è ancora tradotto innanzi alla Polizia Correzionale; se ladro, non è ancora perseguibile in Corte d'Assise; in ultimo, dopo la Corte d'Assise, può godere rispetto nel bagno penale recandovi quella sorta d'onestà che gli scellerati usano fra loro e che consiste nel non far la spia, nel dividere lealmente in parti eguali, nel condividere gli stessi pericoli. Ebbene questa estrema probità, che forse è un calcolo e un bisogno e la cui messa in pratica offre ancora all'uomo una probabilità di grandezza e di ritorno al bene, sussisteva in maniera assoluta fra Cérizet e i suoi postulanti. Cérizet non commetteva mai errori e i suoi poveri nemmeno: nessuno rifiutava nulla all'altro, capitale e interessi. Più volte Cérizet, che veniva d'altronde dal popolo, aveva corretto una settimana per l'altra uno sbaglio involontario a favore d'una disgraziata famiglia che non se n'era accorta. Veniva ritenuto perciò un cane, ma un cane onesto: la sua parola, in questa città dolente, era sacra.

Morì una donna facendogli perdere trenta franchi:

- Ecco i miei guadagni! - egli disse agli astanti, - e voi mi urlate dietro. Non tormenterò però dei marmocchi!... E Cadenet ha portato loro pane e vinello.

Dopo questo fatto, frutto del resto d'astuto calcolo, nei due faubourgs si diceva di lui:

- Non è un cattivo uomo!

Il prestito a breve scadenza e ad alto interesse, inteso come lo intendeva Cérizet, non è, salvo le proporzioni, una piaga crudele come il Monte di Pietà. Cérizet dava dieci franchi il martedì a patto di riceverne dodici la domenica mattina. In cinque settimane duplicava il capitale ma c'erano anche eccezioni. La sua bontà consisteva nel riscuotere, di tanto in tanto, solo undici franchi e cinquanta centesimi; così la gente gli doveva altri interessi. Quando concedeva cinquanta franchi per sessanta a un piccolo fruttivendolo o cento franchi per centoventi a un venditore di torba correva invece dei rischi.

Giungendo da rue des Postes in rue des Poules Teodosio e Dutocq scorsero un assembramento d'uomini e donne e, alla luce delle lampade del vinaio, s'impaurirono alla vista di quell'insieme di facce rosse, rugose, sciupate, cupe per il gran patire, avvizzite, scarmigliate, calve, avvinazzate, smagrite dai liquori, minacciose alcune, rassegnate altre, certune beffarde, certe altre argute, altre ancora inebetite, spiccanti su quegli orrendi stracci che un disegnatore non saprebbe rendere fedelmente, neppure con l'immaginazione più sfrenata.

- Mi riconosceranno! - esclamò Teodosio trattenendo Dutocq, abbiamo fatto una sciocchezza a venirlo a sorprendere nel mezzo dei suoi affari...

- Tanto più che non abbiamo pensato che Claparon dorme nel suo antro, del quale non conosciamo l'interno. Però se per voi ci sono inconvenienti per me non ve ne sono, posso benissimo aver bisogno di parlare al mio copista e dirgli di venire a cena, dato che oggi è giorno di udienza e non possiamo andare a pranzo alla "Chaumière", in una delle stanzette del guardiano...

- Non mi va; potremmo esser uditi senza accorgercene, - rispose l'avvocato; - preferisco il "Petit Rocher-de-Cancale"; ci sistemiamo in uno stanzino e parliamo sottovoce.

- E se vi vedono con Cérizet?

- E allora andiamo al "Cheval-Rouge", quai de la Tournelle.

- Così va meglio; alle sette non ci sarà più anima viva.

Dutocq si fece perciò largo da solo in quel branco di pezzenti e udì il suo nome ripetuto dalla folla. Era impossibile infatti non imbattersi in qualche imputato e Teodosio vi avrebbe immancabilmente trovato dei clienti.

In quartieri come questo il giudice conciliatore è il tribunale supremo e ogni lite vi trova soluzione, specie dopo la legge che ha reso sovrana la loro competenza negli affari in cui il valore della controversia non superi i centoquaranta franchi. Davanti al cancelliere, temuto almeno quanto il giudice, si fece il vuoto. Egli scorse donne sedute sulla scala; esibizione orribile, pari a fiori disposti a gradinata, e fra esse ve n'erano di giovani, pallide, malate; la varietà dei colori, degli scialli, dei berretti, degli abiti e dei grembiuli rendeva forse il paragone più calzante di quanto non sia di solito un paragone. Dutocq si sentì quasi asfissiare aprendo la porta della stanza nella quale già una sessantina di persone s'era avvicendata lasciando i suoi sentori.

- Il vostro numero? Il numero? - la gente strepitò all'unisono.

- Chiudete il becco! - gridò una voce roca dalla strada, - è la penna della Conciliatura.

Si fece assoluto silenzio. Dutocq trovò il copista con indosso un panciotto di pelle gialla come i guanti dei gendarmi, sotto il quale portava un immondo farsetto di lana lavorata a maglia. Facile immaginare il viso malato fuoruscente da tale involucro e coperto da una grossolana tela di Madras che, lasciando sgombri fronte e nuca priva di capelli, dava alla testa una espressione tra laida e minacciosa, specie al lume d'una candela da una lira alla dozzina.

- Così non si può andare avanti papà Lantimèche, - stava dicendo Cérizet a un vecchione che pareva sulla settantina e che se ne stava ritto innanzi a lui, berretto di lana rossa in mano, mostrando una testa calva e un petto dai peli bianchi sotto il camiciotto malconcio; - mettetemi almeno al corrente di quel che volete combinare! Cento franchi, anche a patto di restituirne centoventi, non si mollano come un cane in chiesa...

Gli altri cinque clienti fra cui due donne, due balie una delle quali sferruzzava e l'altra allattava, scoppiarono a ridere.

Scorgendo Dutocq Cérizet s'alzò rispettosamente in piedi e gli andò tosto incontro aggiungendo:

- Avete tempo di riflettere; quel che mi stupisce, vedete, è sentirmi chieder cento franchi da un ex fabbro ferraio.

- Ma se si trattasse di un'invenzione?... - esclamò il vecchio operaio.

- Un'invenzione e cento franchi!... Non conoscete la legge; ci vogliono duemila franchi, - disse Dutocq; - occorre un brevetto, servono delle protezioni.

- E' vero, - disse Cérizet che faceva affidamento su casi del genere; - state a sentire, papà Lantimèche, venite domattina alle sei, ne riparleremo: non si parla d'invenzioni in pubblico...

E Cérizet si rivolse a Dutocq la cui prima frase fu:

- Se è un buon affare facciamo a mezzo!...

- Come mai vi siete alzato così presto per venirmi a dire questo? - chiese il sospettoso Cérizet già seccato da quel "facciamo a mezzo!" - M'avreste potuto trovare in cancelleria.

E guardò di sottecchi Dutocq che, pur dicendogli il vero a proposito di Claparon e della necessità d'entrare decisamente nell'affare di Teodosio, sembrò confondersi. Uscì quindi dopo avergli dato appuntamento.

- M'avreste comunque visto stamane in cancelleria.... - ripeté Cérizet accompagnando Dutocq alla porta.

"Ecco un tipo, - si disse riprendendo il proprio posto, - che mi pare abbia spento la lanterna perché io ci veda meno... Beh, lasceremo il posto da copista..." - Ohè voi, mammina! - esclamò; - voi inventate bambini... C'è da ridere, benché il trucco sia ormai vecchio!

 

 

 

16

IN QUAL MODO BRIGITTE FU CONQUISTATA

 

Tanto più è superfluo parlare dell'incontro dei tre soci in quanto le decisioni prese furono la base delle confidenze di Teodosio alla signorina Thuillier; ma è necessario notare che l'abilità dimostrata da La Peyrade mise quasi il terrore addosso a Cérizet e Dutocq. Dopo quel colloquio il banchiere dei poveri ebbe, nell'intimo, in embrione l'idea di ritirarsi in tempo dal gioco, visto che si trovava in compagnia di giocatori così esperti. Vincere la partita ad ogni costo e battere i più capaci, magari barando, è un'idea connessa alla vanità specifica degli amici del tappeto verde. Di qui venne il colpo terribile che doveva raggiungere La Peyrade.

Del resto egli conosceva i suoi soci; per questo, nonostante il perenne controllo delle sue energie intellettuali, malgrado gli sforzi continui che il suo personaggio multiforme esigeva, nulla lo stancava maggiormente del suo modo d'agire coi due complici. Dutocq era un gran briccone e Cérizet in passato era stato attore; di smorfie se ne intendeva. Un viso impenetrabile, alla Talleyrand, li avrebbe indotti a rompere i rapporti col provenzale, che si trovava nelle loro grinfie e doveva ostentare una disinvoltura, una fiducia, un contegno leale che certo è il massimo dell'artificio. Gettar polvere negli occhi al pubblico è una vittoria da niente, ma ingannare la signorina Mars, Frédérick Lemaitre, Potier, Talma, Monrose è il culmine dell'arte.

L'incontro ebbe per risultato di infondere in La Peyrade, astuto quanto Cérizet, un segreto timore che, nell'ultima fase di questa grandiosa partita, gli infiammò a tratti il sangue, gli scaldò il cuore fino a ridurlo nelle condizioni morbose del giocatore che segue con gli occhi la roulette allorquando ha rischiato i suoi ultimi quattrini. I sensi acquistano allora lucidità nell'azione e l'intelligenza un'ampiezza per la quale la scienza umana non ha strumenti di misura.

Il giorno dopo la riunione si recò a cena dai Thuillier; e, con la scusa banale d'una visita da fare alla signora de Sainte-Fondrille, la moglie dell'illustre scienziato con la quale voleva stringere rapporti, Thuillier condusse via la moglie e lasciò Teodosio solo con Brigitte. Né Thuillier né la sorella, né Teodosio si facevano ingannare da questa messa in scena ma l'ex bello dell'Impero dava a questa manovra il nome di diplomazia.

- Giovanotto, non approfittate dell'innocenza di mia sorella, abbiatene rispetto, - disse solennemente Thuillier prima d'andarsene.

- Signorina, - disse Teodosio avvicinando la poltrona a quella in cui Brigitte sferruzzava, - avete mai pensato d'includere il commercio dell'arrondissement negli interessi di Thuillier?...

- E in che modo? - chiese essa.

- Ma voi siete in relazioni d'affari con Barbet e Métivier.

- Oh, avete ragione!... Perbacco, non mancate d'acume! - rispose essa dopo una pausa.

- Quando si vuol bene a qualcuno lo si serve! - replicò egli in tono sentenzioso e distante.

Sedurre Brigitte era, in questa lunga manovra iniziata due anni prima, come espugnare la grande ridotta della Moskowa, il punto chiave. Ma era necessario possedere la zitella come nel Medioevo si credeva che il diavolo possedesse le persone, e in modo tale da rendere impossibile ogni ripensamento. Da tre giorni La Peyrade si preparava a questo compito e l'aveva analizzato a fondo per studiarne le difficoltà. L'adulazione, questo mezzo infallibile in mani esperte, non aveva alcuna presa su una zitella che da tempo sapeva d'esser priva d'attrattive. Ma l'uomo tenace crede che nulla sia inespugnabile e i Lamarque riusciranno sempre a occupare Capri. Ecco perché nulla va omesso della scena memoranda avvenuta quella sera: ogni cosa ha valore, le pause, gli occhi bassi, gli sguardi, i toni di voce.

- Ma, - rispose Brigitte, - ci avete già dato prova che ci volete bene...

- Vostro fratello vi ha parlato?...

- No, ha detto solo che dovevate conferire con me...

- Sì, signorina, perché siete voi l'uomo di casa; ma, dopo aver ben ponderato, ho intravisto molti rischi per me in questo affare, non ci si può compromettere così se non coi più intimi... Si tratta d'una vera fortuna, trenta o quarantamila franchi di rendita, e senza la minima speculazione... Un immobile!... L'esigenza di offrire una ricchezza a Thuillier m'aveva sulle prime tratto in inganno... E', come gli ho detto, una cosa che fa riflettere... in quanto a meno d'esser stupido, uno si chiede: "Perché ci vuol tanto bene?" E, come pure gli ho detto, lavorando per lui mi sono lusingato di lavorare per me. Se vuol diventare deputato due sono le cose assolutamente indispensabili: pagare le imposte e dare al suo nome qualche rinomanza. Se spingo la mia affezione al punto di decidere d'aiutarlo a comporre un libro sul credito pubblico o su non importa che... devo pure preoccuparmi delle sue sostanze... e sarebbe assurdo gli cedeste questa casa...

- A mio fratello?... Ma gliela intesterei domani!... - esclamò Brigitte; - non mi conoscete...

- Non vi conosco del tutto, - disse La Peyrade, - ma conosco certe cose di voi che m'han fatto rimpiangere di non avervi detto tutto fin dal primo istante, quando ho ideato il piano al quale Thuillier dovrà la sua nomina. Il giorno dopo avrà gente che lo invidierà e, in più, un duro compito da svolgere; bisogna sviarli, togliere ogni velleità ai suoi rivali!

- Ma l'affare... - chiese Brigitte, - le difficoltà in che consistono?

- Signorina, le difficoltà provengono dalla mia coscienza... e non vi servirò certo in questo senza aver prima consultato il mio confessore... Quanto alla gente, oh!, l'affare è perfettamente legale e io sono un avvocato iscritto all'albo, membro d'una associazione intransigente e mi sento incapace di proporvi un affare che potrebbe dar luogo a mormorazioni... La mia giustificazione sarà anzitutto di non ricavarne un quattrino...

Brigitte era sui carboni accesi, le guance le ardevano, strappava il filo di lana, lo riannodava e non sapeva come comportarsi.

- Oggigiorno, - osservò, - per avere quarantamila franchi di rendita negli immobili ci vogliono almeno un milione e ottocentomila franchi...

- Eh, vi garantisco che vedrete l'immobile, che ne stimerete il reddito approssimativo e che posso farne di Thuillier il proprietario con cinquantamila franchi.

- Ebbene, se ci faceste ottenere questo, - proruppe Brigitte eccitata al massimo sotto il pungolo dell'avidità risvegliata, suvvia mio caro signor Teodosio...

E s'arrestò.

- Ebbene signorina?

- Magari avreste lavorato per voi...

- Ah, se Thuillier vi ha svelato il mio segreto lascio questa casa.

Brigitte alzò il capo.

- V'ha detto che amavo Celeste?

- No, parola di ragazza onesta! - esclamò Brigitte; - ma stavo appunto per parlarvi di lei.

- Offrirmela!... Oh, che Dio ci perdoni, non voglio doverla che a lei stessa, ai suoi genitori, o lasciarle libera scelta... No, a voi non chiedo altro che la vostra protezione e benevolenza... Promettetemi, come Thuillier, in cambio dei miei favori, la vostra influenza, la vostra amicizia; ditemi che mi tratterete come un figlio... E allora vi consulterò. Mi rimetterò alla vostra decisione, non parlerò al mio confessore. Sapete, da due anni che osservo la famiglia in cui vorrei immettere il mio nome e che vorrei arricchire della mia energia...

perché io ce la farò!... L'ho pur visto! Voi avete un'onestà d'antico stampo, una facoltà di giudizio retta e intransigente... Siete pratica d'affari e queste sono qualità che fa piacere aver vicino... Con una suocera del vostro stampo troverei la vita intima sgombra d'una quantità di miserie finanziarie che ci sbarrano la strada in politica quando uno deve occuparsene... Domenica sera vi ho ammirata davvero...

Ah, siete stata in gamba! Avete spostato tutto! In dieci minuti, credo, la sala da pranzo è rimasta libera... E senza uscir di casa avete trovato tutto ciò che occorreva per la cena e il rinfresco...

"Ecco, - mi dicevo, una vera padrona di casa!..." Le narici di Brigitte si dilatarono, parve aspirare le parole del giovane avvocato; ed egli la guardò di sottecchi per assaporare il suo trionfo. Aveva toccato il punto giusto.

- Oh, - disse essa, - sono abituata alla vita di casa, me ne intendo io!...

- Interrogare una coscienza pura e limpida! - riprese Teodosio,ah, questo mi basta!

Era in piedi, tornò a sedersi dicendo:

- Ecco il nostro affare, cara zia... perché sarete un po' mia zia...

- Zitto mariolo!... - esclamò Brigitte, - e parlate.

- Vi dirò le cose nude e crude e badate che dicendovele mi comprometto in quanto questi segreti li devo alla mia professione d'avvocato...

Riflettete quindi che stiamo commettendo insieme una specie di delitto di leso studio! Un notaio parigino s'è associato con un architetto e insieme hanno acquistato dei terreni su cui hanno costruito; è avvenuto però un tracollo... hanno fatto male i calcoli...; ma non preoccupiamoci di questo... Fra le case sulle quali la loro compagnia specula, dato che i notai non possono occuparsi d'affari, ce n'è una che, non essendo ultimata, ha subito un deprezzamento tale che sarà messa all'asta a centomila franchi benché terreno e costruzione ne siano costati quattrocentomila. Poiché non restano che da finire gli interni ed è facilissimo stimarli; che d'altronde cose simili sono bell'e pronte dagli imprenditori che le cederanno al miglior offerente, la somma da investire non oltrepasserà i cinquantamila franchi. Ora, data la sua ubicazione, la casa renderà più di quarantamila franchi, al netto delle imposte. E' tutta in pietre da taglio, i muri divisori in pietre più piccole; la facciata è ornata di magnifiche sculture che sono costate oltre ventimila franchi; le finestre hanno vetri e serramenti in metallo del tipo nuovo, detto "cremonese".

- La difficoltà, allora, in che consiste?

- Oh, eccola: il notaio s'è riservata questa fetta della torta che è obbligato a cedere ed è, sotto la copertura di amici, uno dei prestatori che controllano la cessione dell'immobile da parte del curatore fallimentare: non c'è stata querela, verrebbe a costar troppo, e si vende perciò sulla base di pubblicazioni volontarie; ora, questo notaio s'è rivolto per l'acquisto ad uno dei miei clienti chiedendogli di far da prestanome, il mio cliente è un povero diavolo e m'ha detto: "C'è da farsi una fortuna soffiandola al notaio..." - Succede, in commercio!... - disse con veemenza Brigitte.

- Se questa fosse l'unica difficoltà, - replicò Teodosio, sarebbe come soleva dire uno dei miei amici a un allievo che si lagnava della fatica occorrente per fare capolavori in pittura: "Ragazzo mio, se non fosse così anche i lacchè ne farebbero!" Ma vedete, signorina, se riusciamo a intrappolare questo tipo losco di notaio che, credetemi, merita d'esser preso in trappola per aver mandato in malora molti patrimoni, dato che pur facendo il notaio è un uomo molto astuto, sarà però assai difficile pizzicarlo due volte di fila. Quando si acquista un immobile, se coloro che hanno investito in esso del denaro non si rassegnano a perderlo causa il prezzo troppo basso, hanno facoltà, entro un certo termine, di elevarlo, facendo una offerta in aumento e tenendoselo per sé. Se non si riesce a ingannare questo ingannatore fino alla scadenza del termine bisogna ricorrere a un altro stratagemma. Ma questo affare è proprio legale?... Si può condurlo in porto a pro della famiglia in cui si vuole entrare? ... Ecco ciò che mi sto chiedendo da tre giorni...

Brigitte, bisogna ammetterlo, esitava e Teodosio fece ricorso allora all'ultimo espediente.

- Prendetevi tutta la notte per riflettere; ne riparleremo domani...

- Ragazzo mio ascoltate, - disse Brigitte fissando l'avvocato con aria quasi innamorata, - prima di tutto occorrerebbe veder la casa... Dove si trova?

- Vicino alla Madeleine! Tra un decennio sarà il centro di Parigi! E, sapete, già nel 1819 c'era chi adocchiava quei terreni! La fortuna di Du Tillet, il banchiere, proviene proprio di là... Il famoso fallimento del notaio Roguin, che fece tanto scalpore a Parigi deprezzando quei lotti e coinvolse il noto profumiere Birotteau, non ha altro movente; speculavano con troppo anticipo su quei terreni.

- Mi ricordo del fatto, - rispose Brigitte.

- La casa potrà, indubbiamente, essere ultimata a fine anno e le locazioni potranno avere inizio a metà del prossimo.

- Possiamo andarci domani?

- Zietta bella sono ai vostri ordini.

- Ohibò, non chiamatemi mai così davanti agli altri... Quanto all'affare, - essa riprese, - non è possibile esprimere un giudizio se non dopo aver visto la casa...

- Ha sei piani, nove finestre sulla facciata; un bel cortile, quattro negozi, e occupa tutto un angolo di strada... Oh, il notaio se ne intende, siate certa! Ponete che avvenga un rivolgimento politico, rendite e affari andranno in fumo. Al vostro posto investirei tutto ciò che la signora Thuillier possiede e quel che avete voi nei fondi immobiliari per comprare a Thuillier quel bell'edificio e m'incaricherò io di restituire a quella povera bigotta le sue sostanze coi guadagni a venire... Le rendite possono forse salire più di oggi?... Centoventidue! E' favoloso: occorre sbrigarsi.

Brigitte si leccava le labbra; intravedeva il mezzo di conservare i suoi capitali e di arricchire il fratello a spese della signora Thuillier.

- Mio fratello ha perfettamente ragione, - disse a Teodosio, voi siete un uomo come pochi e farete strada...

- E lui mi precederà! - rispose Teodosio con un candore che commosse la vecchia zitella.

- Farete parte della famiglia - affermò essa.

- Ci saranno ostacoli, - replicò Teodosio, - la signora Thuillier è un po' stramba e non mi stima molto.

- Oh, vorrei vedere!... - esclamò Brigitte. - Combiniamo l'affare, - riprese, - se è fattibile, e lasciate che badi io ai vostri interessi.

- Thuillier membro del Consiglio generale, proprietario d'un immobile affittato a quarantamila franchi almeno, decorato della Legion d'onore, autore d'un trattato politico serio e ponderoso... diverrà deputato alle elezioni del 1842. Ma, detto fra noi zietta, non ci si può dedicare così se non al proprio suocero...

- Giusto.

- Pure essendo privo di mezzi avrò raddoppiato i vostri; e se questo affare si combina con prudenza ne cercherò altri...

- Finché non avrò visto la casa, - disse la signorina Thuillier,- non posso impegnarmi in nulla...

- Bene, domani prendete una carrozza e andiamo; in mattinata avrò il permesso per visitare l'immobile...

- A domani verso mezzogiorno, - rispose Brigitte tendendo la mano a Teodosio perché la stringesse in segno d'accordo; ma egli vi depose il bacio più tenero e al tempo stesso rispettoso che Brigitte avesse mai ricevuto.

- Addio, ragazzo mio! - gli disse quando fu sulla soglia.

Chiamò con una scampanellata energica una delle fantesche e quando essa apparve:

- Giuseppina, recatevi subito dalla signora Colleville e ditele di venire a parlarmi.

Un quarto d'ora dopo Flavia entrava nel salone in cui Brigitte stava aggirandosi in preda a una tremenda agitazione.

- Piccina mia, dovete farmi un gran favore che riguarda la nostra cara Celeste... Voi conoscete Tullia, la ballerina dell'Opéra; mio fratello, tempo addietro, me ne ha riempito le orecchie...

- Sì, mia cara; ma ora non è più ballerina, è la signora contessa du Bruel. Suo marito non è pari di Francia?...

- Vi vuole ancora bene?

- Non ci frequentiamo più...

- Bene io so che Chaffaroux, il ricco imprenditore, è suo zio...- disse la vecchia zitella. - E' vecchio e carico di soldi; fate visita alla vostra amica e ottenete da lei due righe per suo zio in cui dichiari che gli sarebbe gratissima se le desse un consiglio da amico su un affare sul quale sarà consultato da voi, e noi ci recheremo domani all'una a sentirlo. Ma che la nipote raccomandi allo zio il massimo segreto! Figliola mia, andate! Celeste, la nostra cara bambina, sarà milionaria e avrà da me, sentite bene, un marito che la metterà su un piedestallo.

- Volete che vi dica la prima lettera del suo nome?

- Dite...

- Teodosio de La Peyrade! Avete ragione. E' un uomo che, sostenuto da una donna come voi, può diventare ministro!

- E' Dio che ce l'ha mandato in casa, - esclamò la vecchia zitella.

In quell'istante il signore e la signora Thuillier rientrarono.

 

 

 

17

IL REGNO DI TEODOSIO

 

Cinque giorni dopo, in aprile, l'ordinanza che convocava gli elettori il 20 del mese per nominare il membro del Consiglio municipale, fu pubblicata sul "Moniteur" e affissa in tutta Parigi. Da un mese il ministero detto del primo marzo era in carica. Brigitte era d'ottimo umore, aveva appurato la fondatezza delle asserzioni di Teodosio. La casa, visitata da cima a fondo dal vecchio Chaffaroux, fu da lui giudicata un capolavoro architettonico; il povero Grindot, l'architetto interessato agli affari del notaio e di Claparon, restò persuaso di lavorare per lui; lo zio della signora du Bruel pensò trattarsi degli affari della nipote e disse che con trentamila franchi avrebbe ultimato l'edificio. Così, una settimana dopo, La Peyrade era il Dio di Brigitte; ed essa gli dimostrava con le argomentazioni più ingenuamente illecite che occorreva acciuffare la fortuna quando si mostrava.

- E poi se c'è qualche peccato, - gli diceva in giardino,- lo confesserete...

- Suvvia amico mio, - esclamò Thuillier, - che diavolo! Bisogna pure far qualcosa per i parenti!...

- Mi deciderò a farlo, - rispose La Peyrade con tono emozionato,- ma alle condizioni che sto per esporvi. Sposando Celeste non voglio essere accusato d'avidità o cupidigia... Se siete per me causa di rimorsi fate almeno che io resti quel che sono agli occhi del mondo.

Tu, mio vecchio Thuillier, non dare a Celeste che il nudo possesso della casa che ti farò avere...

- E' giusto...

- Non privatevi di quel che avete, - riprese Teodosio, - e che la mia cara zietta si comporti allo stesso modo nel contratto. Il resto dei capitali disponibili intestatelo alla signora Thuillier sul libro mastro del Debito pubblico e ne faccia quel che vuole. Così noi vivremo insieme e, senza più timori per l'avvenire, m'incaricherò da solo di farmi la mia strada.

- La cosa mi va, - esclamò Thuillier. - Ecco un discorso da onest'uomo.

- Lasciate che vi baci in fronte ragazzo mio, - esclamò la vecchia zitella, - ma poiché occorre una dote daremo sessantamila franchi a Celeste.

- Per il suo vestiario, - disse La Peyrade.

- Siamo tutti e tre persone onorate, - proclamò Thuillier. Siamo intesi, voi ci farete concludere l'affare della casa, noi due scriveremo insieme il mio trattato politico e voi vi darete da fare per farmi avere l'onorificenza...

- E così sarà, com'è certo che diverrete consigliere municipale il primo maggio! Soltanto, buon amico, e voi pure cara zia, mantenete il segreto più assoluto e non date retta alle calunnie che mi dilanieranno quando tutti coloro che avrò ingannati si rivolteranno contro di me... Vedete, sarò giudicato un vagabondo, un briccone, un tipo pericoloso, un ipocrita, un ambizioso, un cacciatore di dote...

Saprete ascoltare queste accuse senza perdere la calma?...

- State tranquillo, - disse Brigitte.

A partire da quel giorno Thuillier divenne "buon amico". Buon amico fu l'appellativo che gli dava Teodosio, con toni così affettuosi da stupire Flavia. Ma "zietta", il nomignolo che tanto piaceva a Brigitte, non veniva pronunciato che fra i Thuillier, oppure all'orecchio in presenza d'altri e talvolta con Flavia. L'attività di Teodosio e di Dutocq, di Cérizet, di Barbet, di Métivier, dei Minard, dei Phellion, dei Laudigeois, di Colleville, di Pron, di Barniol, dei loro amici, fu frenetica. Grandi e piccoli collaboravano all'operazione. Cadenet procurò trenta voti nella sua sezione e firmò per sette elettori che sapevano appena fare il segno di croce. Il 30 aprile Thuillier fu proclamato membro del Consiglio generale del dipartimento della Senna a maggioranza schiacciante, visto che pur bastando sessanta voti fu eletto all'unanimità. Il primo maggio Thuillier si aggregò al corpo municipale per recarsi alle Tuileries a felicitare il re per il suo onomastico e ne tornò raggiante! Era entrato là dentro, sulle peste di Minard.

Dieci giorni più tardi un manifesto giallo annunciava la vendita, su pubblicazioni volontarie, della casa al prezzo di settantacinquemila franchi; l'aggiudicazione finale doveva aver luogo agli ultimi di luglio. In proposito tra Claparon e Cérizet fu stipulato un accordo in base al quale Cérizet garantì la somma di quindicimila franchi, sulla parola s'intende, a Claparon nel caso riuscisse ad abbindolare il notaio oltre il termine fissato per l'offerta in aumento. La signorina Thuillier, preavvisata da Teodosio, aderì prontamente alla clausola segreta, comprendendo che bisognava pur pagare gli autori di questo infame tradimento. La somma doveva passare per le mani del degno avvocato. Claparon ebbe a notte fonda, sulla piazza dell'Observatoire, un incontro col notaio suo complice, la cui carica, benché posta in vendita per decisione del Consiglio disciplinare dei notai parigini, non era ancora stata ceduta.

Il giovane, successore di Leopoldo Hannequin, aveva voluto rincorrere la fortuna anziché raggiungerla a lenti passi; pensava d'avere ancora un avvenire e cercava di provvedere a tutto. In quell'incontro s'era spinto fino a diecimila franchi per comprare la propria impunità in questo sporco affare; era tenuto a versarli a Claparon solo dopo la firma d'una controdichiarazione da parte dell'acquirente. Il giovane sapeva che la somma rappresentava il capitale occorrente a Claparon per rifarsi una fortuna e si ritenne certo di lui.

- In tutta Parigi chi potrebbe darmi una provvigione simile per un affare come questo? - gli disse Claparon. - Dormite in santa pace; per acquirente visibile userò una di quelle stimabili persone troppo stupide per avere idee come le nostre... E' un vecchio impiegato in pensione; voi gli darete i fondi per pagare e lui vi sottoscriverà la controdichiarazione.

Quando il notaio ebbe chiarito a Claparon che non poteva dargli più di diecimila franchi Cérizet ne offrì dodicimila all'ex socio e ne chiese quindicimila a Teodosio ripromettendosi di darne non più di tremila a Claparon. Tutte queste scene fra i quattro vennero condite con le frasi più forbite sui sentimenti e l'onestà; su ciò che persone destinate a lavorare insieme e a frequentarsi l'un l'altra si dovevano a vicenda. Mentre avvenivano queste manovre subacquee a favore di Thuillier, al quale Teodosio le enumerava mostrando tutto il suo disgusto per dover sguazzare in tali imbrogli, i due amici pensavano insieme al gran trattato che "buon amico" doveva dare alle stampe, e il membro del Consiglio generale della Senna si rendeva conto di non poter diventare qualcuno senza l'aiuto di quell'uomo di genio, la cui mente lo stupiva, la cui scioltezza lo sorprendeva, e ogni giorno trovava un motivo in più per farlo diventare suo genero. In conseguenza, a partire da maggio, Teodosio cenava quattro giorni su sette con "buon amico".

Da quel momento Teodosio prese a regnare incontrastato in famiglia; aveva il consenso di tutti gli amici di casa. Ecco come. I Phellion, udendo Brigitte e Thuillier tessere le lodi di Teodosio, ebbero timore di contrariare quelle due autorità anche quando quei perpetui elogi potevano infastidirli o sembrar loro eccessivi. Lo stesso avvenne per la famiglia Minard. D'altro canto il contegno dell'amico di famiglia fu quanto mai superiore; sopiva ogni diffidenza col modo che aveva di farsi piccolo; se ne stava come un mobile di troppo; fece credere ai Phellion e ai Minard d'esser stato valutato e soppesato da Brigitte e Thuillier e d'esser stato trovato troppo scarso per poter mai essere altro che un bravo giovane al quale riuscire utile.

- Forse s'illude, - disse un giorno Thuillier a Minard, - che mia sorella si ricorderà di lui nel testamento; non la conosce abbastanza.

Questa frase, suggerita da Teodosio, placò le ansie del diffidente Minard.

- Ci è affezionato, - osservò una volta la vecchia zitella a Phellion, - ma ci deve anche un po' di gratitudine: gli condoniamo l'affitto e mangia praticamente da noi...

Questa levata di scudi, ispirata da Teodosio e ripetuta da orecchio a orecchio in tutte le famiglie che frequentavano il salone Thuillier, dissipò ogni timore e Teodosio sottolineò le osservazioni sfuggite a Thuillier con un servilismo da scroccone. Al whist giustificava gli sbagli di "buon amico". Il suo sorriso, fisso e bonario come quello della signora Thuillier, era al servizio di qualsiasi goffaggine borghese di fratello e sorella.

Ottenne così quel che desiderava con più ardore, il disprezzo dei suoi veri antagonisti e se ne fece un manto per celare il suo potere. Per quattro mesi ebbe l'aspetto torpido d'un serpente che adesca e inghiotte la sua preda. Correva perciò al giardino con Colleville o Flavia per scherzare e deporre la maschera, per riposarsi e rinvigorirsi abbandonandosi presso la futura suocera a trasporti nervosi di passione che la spaventavano o la intenerivano.

- Ma non vi faccio pena?... - le diceva il giorno prima dell'aggiudicazione preliminare in cui Thuillier ottenne la casa per settantacinquemila franchi. - Un uomo come me arrampicarsi come un gatto, trattenere i propri strali, rodersi il fegato!... e sopportare in più i vostri rifiuti!

- Amico mio, ragazzo mio!... - rispondeva Flavia avvilita.

Queste espressioni indicano come un termometro a quale temperatura l'abile artista mantenesse la sua tresca con Flavia. La povera donna era sballottata fra cuore e morale, fra religione e passione occulta.

Ciò nonostante il giovane Felice Phellion continuava a dare, con zelo e assiduità degni di lode, lezioni al giovane Colleville; gli dedicava ore e ore ed era convinto di lavorare per la sua futura famiglia. Per ricompensare quelle premure, su consiglio di Teodosio, il professore era invitato ogni giovedì a cena dai Colleville e l'avvocato non vi mancava mai. Flavia faceva ora una borsa, ora delle pantofole o un portasigari al felice giovanotto che esclamava:

- Sono ricompensato anche troppo, signora, dalla felicità che provo nell'esservi utile...

- Noi non siamo ricchi, signore, - rispondeva Colleville, - ma perbacco non saremo ingrati!

Il vecchio Phellion si fregava le mani nell'ascoltare il figlio al ritorno da tali serate e già vedeva il suo caro e nobile Felice marito di Celeste!...

Quanto più lo amava tuttavia tanto più Celeste si mostrava seria e grave con Felice, soprattutto perché la madre le aveva fatto una sera un fiero predicozzo dicendole:

- Figliola, non date alcuna speranza al giovane Phellion. Né io né vostro padre saremo liberi di scegliervi un marito; avete delle speranze da tener da conto; anziché piacere a un professore squattrinato dovete procurarvi l'affetto della signorina Brigitte e del vostro padrino. Se non vuoi uccidere tua madre, angelo mio, sì uccidermi... ubbidiscimi ciecamente in questa faccenda e ficcati in testa che noi, prima d'ogni altra cosa, vogliamo il tuo bene.

Poiché l'aggiudicazione finale era fissata per la fine di luglio Teodosio consigliò a Brigitte, agli ultimi di giugno, di mettersi in regola e, il giorno prima, essa vendette tutti i titoli del debito pubblico suoi e della cognata. La catastrofe del trattato delle quattro potenze, vero insulto alla Francia, è un fatto storico ma è necessario rammentare che, da luglio a fine agosto, le rendite francesi, impaurite dalla prospettiva d'una guerra alla quale il signor Thiers s'era dedicato un po' troppo, scesero di venti franchi e si vide il tre per cento a sessanta. E non fu tutto: questo crollo finanziario influì nel modo più increscioso sugli immobili di Parigi e tutti quelli che erano in vendita vennero ceduti in ribasso. Questi eventi fecero di Teodosio un profeta, un uomo di genio agli occhi di Brigitte e di Thuillier, al quale la casa fu definitivamente aggiudicata al prezzo di settantacinquemila franchi. Il notaio, coinvolto in questo disastro politico e con il posto ormai venduto, si vide costretto a ritirarsi per qualche giorno in campagna; ma portava con sé i diecimila franchi di Claparon. Su consiglio di Teodosio, Thuillier fece un prezzo forfettario con Grindot, convinto sempre d'agire per il notaio nel rifinire la casa; e poiché in tale periodo i lavori erano fermi e gli operai inattivi l'architetto poté completare in modo splendido la sua creazione prediletta. Per venticinquemila franchi indorò quattro saloni! ...

Teodosio pretese che la transazione venisse registrata e che si indicasse cinquanta anziché venticinquemila franchi. L'acquisto decuplicò l'importanza di Thuillier. Quanto al notaio, aveva perduto la testa davanti ad avvenimenti politici simili a una tromba d'aria in una giornata di sole. Certo del suo predominio, forte dei tanti servizi resi e con Thuillier in pugno per via del libro che andavano componendo insieme, ma ammirato specialmente da Brigitte per il suo riserbo dato che non aveva fatto alcuna allusione alle sue ristrettezze e non parlava mai di denaro, Teodosio mostrò un contegno meno servile che in passato. Brigitte e Thuillier gli dissero:

- Nulla vi può togliere la nostra stima, qui siete come in casa vostra; il parere di Phellion e Minard, di cui sembrate aver paura, vale per noi quanto una strofa di Victor Hugo. Perciò lasciateli parlare... tenete su la testa!

- Abbiamo ancora bisogno di loro per la nomina di Thuillier alla Camera! - esclamò Teodosio. - Seguite i miei consigli e ve ne troverete bene, v'assicuro! Quando la casa sarà del tutto vostra l'avrete avuta per niente in quanto potrete acquistare titoli al tre per cento a sessanta franchi a nome della signora Thuillier in modo da reintegrare i suoi beni... Aspettate soltanto la scadenza del termine dell'offerta in aumento e tenetemi pronti i quindicimila franchi per i nostri bricconi.

Brigitte non rimase con le mani in mano: impegnò tutti i suoi capitali, a eccezione d'una somma di centoventimila franchi e, detraendoli dalle sostanze della cognata, acquistò dodicimila franchi di rendita al tre per cento a nome della signora Thuillier per duecentoquarantamila franchi, e diecimila franchi di rendita, sul medesimo fondo, a suo nome ripromettendosi di lasciare perdere i fastidi dell'usura. Procurava in tal modo al fratello quarantamila franchi di rendita oltre la pensione; dodicimila franchi alla signora Thuillier e diciottomila a se stessa, complessivamente settantaduemila franchi annui e in più l'abitazione, che stimava ottomila franchi.

- Ora siamo pari ai Minard!... - dichiarò.

- Non cantiamo vittoria, - le rispose Teodosio: - il termine per l'offerta in aumento scade solo fra otto giorni. Ho fatto i vostri interessi ma i miei sono in pessimo stato...

- Mio caro ragazzo avete degli amici!... - esclamò Brigitte, - e se vi occorressero venticinque luigi li potreste sempre trovare qui!...

Teodosio, a questa frase, scambiò un sorriso con Thuillier, che lo condusse fuori dicendogli:

- Scusate la mia povera sorella, vede il mondo attraverso il collo d'una bottiglia... Ma se aveste bisogno di venticinquemila franchi ve li presterò... sui miei primi affitti, - aggiunse.

- Thuillier, io ho un cappio al collo, - dichiarò Teodosio. - Da quando sono avvocato ho delle cambiali in giro... Ma acqua in bocca!... - disse, spaurito egli stesso d'essersi lasciato sfuggire il segreto della sua situazione. - Sono tra le grinfie di furfanti... e li voglio battere...

 

 

 

18

DIAVOLI CONTRO DIAVOLI

 

Nel rivelare il suo segreto Teodosio aveva avuto due scopi: mettere alla prova Thuillier e prevenire un colpo funesto che gli poteva essere inferto nella lotta sorda e sinistra da molto tempo prevista.

Due parole basteranno per chiarire la sua orribile situazione.

Mentre si trovava in miseria nera solo Cérizet era venuto a trovarlo nella mansarda dove, in un freddo polare, se ne stava a letto per mancanza d'indumenti. Non gli restava che la camicia. Da tre giorni si cibava d'una pagnotta, tagliandola con parsimonia a fettine e chiedendosi: "Che fare?" allorché era apparso il suo antico protettore, graziato e liberato dal carcere. I piani fatti dai due uomini davanti a un fuoco di stecchi, uno imbacuccato nella coperta della padrona di casa l'altro nella sua infamia, è inutile riferirli.

L'indomani Cérizet, che in mattinata aveva incontrato Dutocq, portò pantaloni, panciotto, giacca, cappello, stivali acquistati al Temple e condusse con sé Teodosio per offrirgli cena. Il provenzale mangiò da Pinson, in rue de l'Ancienne-Comédie, metà d'un pasto da quarantasette franchi. Al dessert, tra due tipi di vini, Cérizet disse all'amico:

- Vuoi firmarmi cinquantamila franchi di cambiali qualificandoti avvocato?...

- Non ne caveresti cinquemila franchi... - rispose Teodosio.

- La cosa non ti riguarda e tu le pagherai totalmente; è la parte che spetta al signore che te le regala e a me in un affare in cui non corri alcun rischio ma dal quale otterrai il titolo di avvocato, una bella clientela e la mano d'una ragazza che ha l'età d'un cane vecchio e venti o trentamila franchi di rendita. Né io né Dutocq possiamo sposarla; a noi tocca vestirti, darti l'aspetto di un onest'uomo, nutrirti, alloggiarti e procurarti il mobilio... Occorrono quindi garanzie. Non lo dico per me, ti conosco, ma per il tipo del quale sarò il prestanome... Via, ti equipaggeremo da corsaro per far la tratta delle bianche! Se non catturiamo quella dote passeremo ad altre attività... Detto fra noi non è il caso di usare i guanti, è chiaro...

Noi ti daremo le istruzioni perché il caso esige pazienza; ci saranno anche difficoltà, s'intende!... Ecco qua, ho delle carte da bollo...

- Cameriere, penna e inchiostro! - disse Teodosio.

- Mi piacciono i tipi come te! - esclamò Dutocq.

- Firma "Teodosio de La Peyrade" e aggiungi di tuo pugno "Avvocato, rue Saint-Dominique-d'Enfer" sotto le parole: "accettato per diecimila". Noi fisseremo la data e ti daremo querela, in sordina, per avere un mandato d'arresto. Gli armatori devono star tranquilli quando capitano e brigantino sono in mare.

Il giorno dopo il banchetto l'usciere della Conciliatura rese a Cérizet il favore di compiere i passi giudiziari di nascosto; la sera andò a trovare l'avvocato e tutto fu sistemato senza strepito. Il Tribunale di Commercio emette sentenze simili in ogni seduta. E' nota la severità del Consiglio dell'Ordine degli avvocati del foro parigino. Quest'organismo e quello dei procuratori esercitano un rigido controllo sui loro associati. Un avvocato passibile d'essere incarcerato per debiti verrebbe radiato subito dall'albo. In conseguenza Cérizet, su consiglio di Dutocq, aveva preso contro il proprio pupazzo le uniche precauzioni atte a procurare loro venticinquemila franchi a testa sulla dote di Celeste. Firmando quegli effetti Teodosio aveva solo visto la sua esistenza assicurata e la possibilità di dedicarsi a qualcosa; ma, a mano a mano che l'orizzonte si rischiarava, via via che interpretando il proprio ruolo saliva di gradino in gradino a una posizione più elevata nella scala sociale, sognava di sbarazzarsi dei due soci. Ora, nel chiedere venticinquemila franchi a Thuillier sperava di trattare al cinquanta per cento il riscatto delle sue cambiali con Cérizet.

Sfortunatamente questa speculazione infame non è un fatto raro; fin troppo spesso avviene a Parigi in maniera più o meno marcata perché lo storico abbia a trascurarla in un quadro completo e veritiero della società. Dutocq, libertino matricolato, doveva ancora ventimila franchi per la sua carica e, sperando nel successo, contava, a dirla familiarmente, di non tirare la briglia fino al termine del 1840. Per ora nessuno dei tre aveva fiatato né ringhiato. Ognuno era conscio della propria forza e conosceva il pericolo. Identica era la diffidenza, identica la cautela, identica la fiducia apparente, egualmente cupi il silenzio o gli sguardi quando sospetti vicendevoli sbocciavano a fior di viso o nei discorsi. Da due mesi soprattutto la posizione di Teodosio stava assumendo la potenza d'un fortilizio isolato. Dutocq e Cérizet tenevano sotto il proprio scafo un barile di polvere e la miccia era accesa in permanenza; ma il vento poteva soffiarvi sopra e il diavolo allagare la polveriera.

L'ora in cui le belve stanno per ricevere il pasto è parso sempre il più cruciale ed essa stava ormai per giungere per le tre tigri affamate. Cérizet diceva a volte a Teodosio, con quell'occhiata fulminante che per due volte in questo secolo i sovrani hanno conosciuto:

- Io ti ho fatto re e non sono nulla. Non essere tutto è come esser niente.

Un senso d'invidia si faceva strada come una valanga in Cérizet Dutocq si trovava alla mercé del suo copista arricchito. Teodosio avrebbe voluto bruciare i due accomandatari e i loro documenti in due roghi distinti. Erano tutti e tre troppo occupati a nascondere i loro pensieri per non indovinarli. Teodosio viveva in tre inferni pensando al rovescio delle carte, al suo gioco e al proprio avvenire! La frase detta a Thuillier fu un grido di disperazione; aveva gettato lo scandaglio nelle acque del vecchio borghese e non vi aveva trovato che venticinquemila franchi.

"E, - si disse una volta giunto a casa sua, - tra un mese forse nulla!" Cominciò a detestare profondamente i Thuillier. Ma teneva avvinghiato Thuillier con un arpione infisso a fondo nel suo amor proprio mediante il trattato intitolato "Sull'imposta e l'ammortamento", nel quale aveva coordinato le idee pubblicate dal "Globe" sansimoniano abbellendole con uno stile meridionale pieno di vigore e dando loro assetto sistematico. Le conoscenze di Thuillier in materia erano state di grande aiuto a Teodosio. S'affidò a questa corda e decise di combattere con tale debole appoggio la vanità d'uno sciocco. A seconda dei caratteri essa può rivelarsi granito o sabbia.

- Vedendo che lo faccio ricco sborsando appena quindicimila franchi, mentre io ho tanto bisogno di denaro, mi giudicherà il Dio dell'onestà.

Ecco in qual modo Claparon e Cérizet avevano giocato il notaio l'antivigilia del giorno in cui scadeva il termine dell'offerta in aumento. Cérizet, al quale Claparon aveva dato la parola d'ordine e indicato il rifugio del notaio, si recò a dirgli:

- Un amico mio, Claparon, che voi conoscete m'ha pregato di venirvi a trovare; v'attende dopodomani con diecimila franchi, di sera, dove voi sapete; ha la carta che aspettate da lui ma io devo esser presente al versamento perché mi spettano cinquemila franchi... e vi avverto, caro signore, che il nome della controdichiarazione è in bianco.

- Ci sarò, - disse l'ex notaio.

Quel povero diavolo attese fino all'alba, e uno dei suoi creditori, col quale Cérizet s'era accordato dividendo metà la somma dovuta, lo fece arrestare e ricevette seimila franchi, l'importo del debito.

"Ecco mille scudi, - si disse Cérizet, - per togliermi di torno Claparon".

Cérizet tornò a far visita al notaio e gli disse:

- Claparon è un miserabile, signore! Ha ricevuto quindicimila franchi dal compratore, che diverrà così proprietario... Minacciatelo di rivelare ai suoi creditori il suo nascondiglio e di intentargli una causa per bancarotta fraudolenta e ve ne verserà la metà.

Nel suo furore il notaio inviò una lettera perentoria a Claparon.

Claparon, disperato, ebbe timore dell'arresto e Cérizet s'incaricò di procurargli un passaporto.

- Tu m'hai giocato molti tiri Claparon, - disse Cérizet- ma ascolta e mi giudicherai. Tutto quel che ho sono mille scudi... e te li do!

Parti per l'America e va a iniziare laggiù la tua fortuna come io faccio qui la mia...

La sera stessa Claparon, che Cérizet aveva travestito da donna anziana, partì in diligenza per Le Havre. Cérizet, rimasto padrone dei quindicimila franchi pretesi da Claparon, attese tranquillamente Teodosio, senza farsi fretta. Quest'uomo, d'intelligenza davvero rara, aveva avanzato, a nome d'un creditore di duemila franchi, un appaltatore che non doveva figurare in lista tra i primi, un'offerta in aumento, un'idea di Dutocq che s'era affrettato a tradurre in atto.

V'intravedeva un supplemento di settemila franchi da incassare e ne aveva bisogno per attuare un affare, in tutto analogo a quello di Thuillier, indicatogli da Claparon, che la sfortuna istupidiva. Si trattava d'una casa, situata in rue Geoffrov-Marie, che doveva venir posta in vendita per sessantamila franchi. La vedova Poiret gli metteva a disposizione diecimila franchi, il vinaio altrettanti oltre a effetti per diecimila franchi. Questi trentamila uniti a quanto stava per ricevere e insieme a seimila franchi di suo gli consentivano di tentar la sorte, tanto più che i venticinquemila franchi dovuti da Teodosio gli parevano assicurati.

"Il termine dell'offerta in aumento è scaduto - si disse Teodosio recandosi a pregare Dutocq di far venire Cérizet; - se provassi a liberarmi della mia sanguisuga?..." - Non potete trattare questo affare che da Cérizet dato che c'è pure Claparon, - rispose Dutocq.

Teodosio si recò quindi, fra le sette e le otto, al tugurio del banchiere dei poveri, che il cancelliere aveva preavvertito il mattino della visita del loro capitale umano.

Cérizet ricevette La Peyrade nell'orribile cucina dove si celavano le miserie, si cuocevano i dolori e dove essi camminarono su e giù come due belve in gabbia recitando la seguente scena:

- Mi porti i quindicimila franchi?

- No, ma li ho in casa.

- E perché non in tasca? - chiese acidamente Cérizet.

- Lo saprai, - rispose l'avvocato che, da rue Saint-Dominique all'Estrapade, aveva preso la sua decisione.

Il provenzale, rigirandosi sulla graticola sulla quale l'avevano posto i due accomandatari, aveva avuto una buona idea scaturita come scintilla dai carboni ardenti. Il pericolo ha i suoi splendori. Contò sul potere della franchezza che scuote tutti, anche un furfante. Si è anzi quasi grati a un avversario se si mette, durante un duello, a torso nudo.

- Benone, - disse Cérizet, - ecco che comincia la farsa...

Fu un'esclamazione sinistra, che passò per il naso assumendo un timbro orrendo.

- Tu m'hai procurato una posizione magnifica e non lo scorderò mai, amico mio, - replicò Teodosio con commozione.

- Quant'è vero!... - disse Cérizet.

- Ascoltami: non dubiti mica delle mie intenzioni?

- Oh sì!... - rispose il prestatore ad alto interesse e breve scadenza.

- No.

- Tu non vuoi mollare i quindicimila. . .

Teodosio alzò le spalle e guardò fisso Cérizet che, colpito dai due gesti, tacque.

- Riusciresti a vivere, al posto mio, sapendoti sotto la mira d'un cannone carico a mitraglia senza provare il desiderio di finirla?...

Ascoltami bene. Tu fai traffici rischiosi e ti farebbe comodo avere una solida protezione alla corte di giustizia di Parigi... Proseguendo per la mia strada io posso diventare sostituto procuratore del re e perfino avvocato del re in un triennio... Oggi ti offro una porzione di sincera amicizia che non mancherà di tornarti utile, non fosse che per riottenere in futuro una posizione onorata. Ecco le mie condizioni...

- Delle condizioni!... - proruppe Cérizet.

- Fra dieci minuti ti porto venticinquemila franchi in cambio di tutti i documenti che possiedi a mio carico...

- E Dutocq? E Claparon?... - esclamò Cérizet.

- Li pianterai in asso... - sussurrò Teodosio all'orecchio dell'amico.

- Magnifico! - rispose Cérizet, - e questo tiro mancino ti è venuto in mente nel trovarti in mano quindicimila franchi che non t'appartengono!

- Ne posso aggiungere altri diecimila... Ma, del resto, ci conosciamo...

- Se hai la possibilità di spillare diecimila franchi ai tuoi borghesi, - dichiarò vivacemente Cérizet, - gliene chiederai venti...

Per trenta sono tuo... Sincerità per sincerità.

- Chiedi l'impossibile! - esclamò Teodosio. - In questo istante, se tu avessi a che fare con Claparon, i tuoi quindicimila franchi sarebbero ormai in fumo perché la casa è del nostro Thuillier...

- Vado a dirglielo, - replicò Cérizet salendo in camera sua donde Claparon era appena uscito, dieci minuti prima dell'arrivo di Teodosio, insaccato in una carrozza da nolo chiusa.

I due avversari dovevano aver parlato senza farsi udire e non appena Teodosio alzò il tono della voce Cérizet, con un cenno, fece capire all'avvocato che Claparon poteva sentirli. I cinque minuti durante i quali Teodosio ascoltò il brusio di due voci furono per lui un supplizio perché stava giocandosi la vita. Cérizet discese e raggiunse il socio col sorriso sulle labbra, gli occhi lucenti di malignità infernale, trasalendo di gioia, spaventando lo stesso Lucifero con la sua allegria.

- Io non so nulla!... - fece crollando le spalle; - ma Claparon ha delle conoscenze, ha lavorato per banchieri d'alto bordo e s'è messo a ridere dicendo: "Me l'aspettavo!"... Domani sarai costretto a portarmi i venticinquemila franchi che m'hai offerto e ce ne vorranno altrettanti per riscattare le tue cambiali, ragazzo mio.

- E perché?... - chiese Teodosio sentendosi la spina dorsale liquefarsi come se una scarica elettrica interna gliel'avesse fusa.

- La casa è nostra!

- E in che modo?

- Claparon ha fatto un'offerta in aumento sotto il nome d'un appaltatore, il primo che l'ha querelato, un rospiciattolo di nome Sauvaignou; è il procuratore Desroches che s'incarica degli atti e domattina riceverete la notifica... L'affare merita che Claparon, Dutocq e io ci procuriamo dei mezzi... Che sarebbe avvenuto di me senza Claparon? Perciò l'ho perdonato... Gli perdono e, forse non mi crederai amico caro, l'ho abbracciato! Cambia le tue condizioni...

Quest'ultima frase fu spaventosa a udirsi, specie per l'espressione assunta da Cérizet che si prendeva il gusto di recitare una scena del Légataire, investendosi in essa del carattere del provenzale.

- Oh Cérizet!... - esclamò Teodosio, - io che potrei volerti tanto bene!

- Vedi, mio caro, fra noi ci vuole questo!...

E si batté sul cuore.

- Tu non ne hai. Non appena ti credi in vantaggio su noi ci vuoi schiacciare... Ti ho tratto fuori dalla feccia e dagli orrori della fame! Stavi morendo come uno stupido... T'abbiamo messo davanti alla fortuna, t'abbiamo offerto la migliore copertura sociale, t'abbiamo sistemato dove c'era da far soldi... ed ecco! Ora ti conosco; marceremo armati.

- E' la guerra! - replicò Teodosio.

- Sei tu a sparare per primo su me, - disse Cérizet.

- Ma se mi buttate giù addio speranze, e se non lo fate avrete in me un nemico!...

- E' quel che dicevo ieri a Dutocq, - rispose con freddezza Cérizet; - ma che vuoi, sceglieremo tra i due... agiremo in base alle circostanze... Io sono un buon diavolo, - riprese dopo una pausa; - portami i tuoi venticinquemila franchi domani, alle nove, e Thuillier conserverà la casa... Noi continueremo a servirti come si deve e tu ci pagherai... Dopo quel che è accaduto, ragazzo mio, non è carino?...

E Cérizet batté sulla spalla di Teodosio con cinismo più infamante di quanto non lo fosse in passato il marchio del carnefice.

- Bene, dammi tempo fino a mezzogiorno, - risponde (sic) il provenzale, - perché, come dici tu, vi sono difficoltà!...

- Proverò a convincere Claparon; è uno che ha fretta!

- Va bene a domani, - disse Teodosio da uomo che pareva aver preso una decisione.

- Buonasera amico, - fece Cérizet in tono nasale che snaturava la più bella parola della nostra lingua. "Ecco un tipo che ha avuto un bel salasso!..." aggiunse fra sé guardando Teodosio avviarsi per la strada con l'andatura d'un uomo intontito.

 

 

 

19

TRA PROCURATORI

 

Quando Teodosio ebbe svoltato la rue des Postes s'avviò con passo rapido verso l'abitazione della signora Colleville, riscaldandosi nell'intimo e a tratti parlando a voce alta. Causa il fuoco delle sue passioni eccitate e quella specie d'incendio interiore noto a molti parigini, perché queste orride situazioni a Parigi abbondano, giunse a una sorta di loquacità frenetica che un episodio solo basterà a descrivere. All'angolo di Saint-Jacques-du-Haut-Pas, nella piccola rue des Deux-Eglises, gridò:

- L'ammazzerò!...

- Ecco un tipo scontento! - disse un operaio che, con questa uscita, placò la follia incandescente di cui Teodosio era in preda.

Uscendo dalla casa di Cérizet aveva pensato di confidarsi con Flavia e dirle tutto. I temperamenti meridionali sono fatti così, pieni di forza fino a che certe passioni non mandano tutto a catafascio. Egli entrò. Flavia era sola in camera: scorse Teodosio e si vide già violentata o uccisa.

- Che avete? - esclamò.

- Ho... - rispose egli. - Flavia, mi amate?

- Oh, potete dubitarne?

- Mi amate davvero? Insomma, anche fossi un delinquente?

"Avrà ucciso qualcuno?" si chiese.

E accennò di sì col capo.

Teodosio, lieto d'aggrapparsi a questo ramo di salice, si trasferì dalla sedia sul divano di Flavia e una volta là due torrenti di lacrime gli proruppero dagli occhi, fra singhiozzi da strappare il pianto a un vecchio magistrato.

- Non ci sono per nessuno! - andò a dire Flavia alla fantesca.

Chiuse le porte e fece ritorno da Teodosio, mossa nell'intimo da un sentimento materno. Trovò il giovanotto provenzale disteso, la testa riversa e in pianto. Le aveva usato il fazzoletto e allorché Flavia volle riprenderglielo lo trovò zuppo di lacrime.

- Ma che accade? Che avete? - gli chiese.

La natura, più sagace dell'arte, servì a dovere Teodosio; non fingeva più, era se stesso, e quelle lacrime e quella crisi nervosa furono la conferma delle sue precedenti esibizioni da commediante.

- Siete un bambino!... - disse essa con dolcezza passando la mano fra i capelli di Teodosio, nei cui occhi le lacrime stavano asciugandosi.

- Non vedo al mondo che voi! - esclamò egli baciando con furia le mani di Flavia, - e se non mi sfuggite, se siete per me ciò che il corpo è per l'anima e l'anima per il corpo, - dichiarò riprendendosi con grazia somma, - allora avrò coraggio.

S'alzò e prese a camminare.

- Sì, lotterò, ritroverò forza, come Anteo, abbracciando mia madre.

Strozzerò con le mie mani quei serpenti che mi avvinghiano, che mi danno baci da rettili, che mi sbavano sulle guance, che vogliono succhiarmi sangue e onore! Oh la miseria!... Quanto sono grandi coloro che sanno affrontarla in piedi, a fronte alta!... Avrei dovuto lasciarmi morir di fame sul mio giaciglio tre anni e mezzo fa!... La bara è un letto soffice in confronto alla vita che conduco!... Da diciotto mesi "mi saturo di Borghesia!"... e al momento di raggiungere un'esistenza onesta, serena, di avere un magnifico avvenire; al momento di farmi avanti per prendere il mio posto in società il carnefice mi tocca sulla spalla... Sì, il mostro m'ha battuto sulla spalla e m'ha detto: "Paga la decima del diavolo o muori!"... E io non li dovrei raggirare!... Non gli dovrei cacciare il braccio in gola fino alle budella!... Oh sì che lo farò!... Flavia, guardate, ho gli occhi asciutti?... Oh adesso rido, ho coscienza della mia forza e ritrovo la mia energia... Ditemi che m'amate... riditelo! In questo istante, come per il condannato, ciò equivale alla parola "Grazia !" - Siete terribile!... Amico mio!... - disse Flavia; - oh, m'avete distrutta!

Senza nulla aver capito cadde come morta sul divano, sconvolta da quello spettacolo, e allora Teodosio le si inginocchiò accanto:

- Scusate!... Scusate!... - esclamò.

- Ma che avete dunque?... - essa chiese.

- Vogliono rovinarmi. Oh, promettetemi Celeste e vedrete che bella vita condurremo insieme!... Se esitate... bene, è come dirmi che sarete mia e io vi prendo!...

E fece un gesto così impetuoso che Flavia, impaurita, balzò in piedi e si mise a passeggiare...

- Angelo mio, ai vostri piedi, là!... Che miracolo! Dio è certo con me! Ho come una ispirazione. Di colpo m'è venuta un'idea!... Oh grazie, mio buon angelo, gran Teodosio!... M'hai salvato!

Flavia guardò ammirata quell'essere camaleontico: un ginocchio a terra, le mani incrociate sul petto, gli occhi rivolti al cielo in un'estasi religiosa, recitava una preghiera, era un cattolico fervente, si fece il segno di croce. Fu bello come la comunione di San Gerolamo.

- Addio! - egli disse con malinconia e voce da ammaliare.

- Oh, - esclamò Flavia, - lasciatemi quel fazzoletto.

Teodosio discese come un pazzo, balzò in strada e corse dai Thuillier; ma, volgendosi, scorse Flavia alla finestra e le fece un cenno di trionfo.

- Che uomo! ... - mormorò essa.

- Buon amico, - egli disse in tono blando e pacato, quasi mellifluo, a Thuillier, - siamo nelle mani di bricconi infami; ma darò loro una lezioncina.

- Che c'è? - chiese Brigitte.

- C'è che vogliono venticinquemila franchi, per farcela in barba, il notaio o i suoi complici hanno presentato un'offerta in aumento: prendete cinquemila franchi, Thuillier, e venite con me, vi assicurerò la vostra casa... Mi sto facendo nemici implacabili!... - proruppe, - vogliono uccidermi moralmente. Basta che resistiate alle loro infami calunnie e non mutiate atteggiamento con me, non vi chiedo altro. Dopo tutto, di che si tratta? Se ci riesco pagherete la casa centoventicinquemila franchi anziché centoventi.

- Ma la cosa non si ripeterà mica?... - chiese Brigitte preoccupata e con gli occhi dilatati da vivo timore.

- Solo i creditori iscritti in lista hanno diritto a fare un'offerta in aumento e visto che quello solo ne ha approfittato possiamo star tranquilli. Il suo credito è di duemila franchi appena ma in questo genere d'affari bisogna pur pagare i procuratori e saper mollare un biglietto da mille al creditore.

- Va Thuillier, - disse Brigitte, - va a prendere il cappello e i guanti; troverai la somma dove sai...

- Dato che ho ceduto i quindicimila franchi per nulla non voglio più che il denaro mi passi per le mani... Pagherà Thuillier stesso, - disse Teodosio una volta solo con Brigitte. - Avete pure guadagnato ventimila franchi nell'affare che vi ho procurato con Grindot; credeva servire il notaio e voi possedete invece un immobile che, tra cinque anni, varrà circa un milione. E' l'angolo d'un boulevard!

Brigitte l'ascoltava inquieta, come un gatto che senta topi sotto il pavimento. Fissava negli occhi Teodosio e, ad onta delle sue giuste osservazioni, nutriva dubbi.

- Che avete, zietta?

- Oh, starò in orgasmo finché non saremo proprietari...

- Dareste anche ventimila franchi, vero, - osservò Teodosio, - perché Thuillier divenisse un proprietario non spossessabile?

Bene, rammentatevi che vi ho procurato due volte questa somma...

- Dove andiamo? ... - chiese Thuillier. - Da maestro Godeschal, che dobbiamo assumere come procuratore legale!

- Ma l'abbiamo rifiutato per Celeste!... - esclamò la vecchia zitella.

- Eh, ci vado proprio per questo, - rispose Teodosio; - l'ho osservato, è un uomo d'onore e sarà lieto di rendervi un favore.

Godeschal, successore di Derville, era stato per oltre un decennio primo assistente di Desroches. Teodosio, che conosceva il fatto, udì quel nome all'orecchio quasi fosse pronunciato da una voce interna nel pieno della sua disperazione e intravide la possibilità di riuscire a far cadere di mano a Claparon l'arma con la quale Cérizet lo minacciava. Ma, per prima cosa, l'avvocato doveva introdursi nello studio di Desroches e informarsi sui passi degli avversari. Solo Godeschal, per via dell'intimità esistente fra principale e subalterno, poteva servirgli da guida.

I procuratori parigini, quando hanno rapporti stretti come Godeschal con Desroches, formano una vera confraternita, col risultato d'essere alquanto agevolati nell'appianare gli affari appianabili. Gli uni ottengono dagli altri, con l'impegno di ricambiarle, tutte le facilitazioni possibili, mettendo in pratica il detto: "Dammi il rabarbaro e ti darò la sena" che si pratica in ogni professione, fra ministri, sotto le armi, tra giudici e commercianti, ovunque il ripicco non abbia eretto barriere troppo alte fra le parti.

"Rimedio un bell'onorario in questa transazione" è un concetto che non occorre esprimere; si legge nei gesti, nella voce, nello sguardo. E poiché su questo terreno i procuratori se la intendono benissimo l'affare va in porto. Il contrapposto a tale spirito di corpo consiste in quel che potremmo chiamare la "coscienza professionale". Per questo la società deve credere al dottore che, quale esperto in medicina legale, asserisce: "Questo corpo contiene arsenico"; nessuna obiezione la vince sull'amor proprio del querelante, sull'onestà dell'uomo di legge, sull'indipendenza del pubblico ministero. Perciò il procuratore parigino può dire:

"Questo non puoi ottenerlo perché il mio cliente è furibondo" con la stessa calma con cui risponde: "Beh, vedremo..." Ora, La Peyrade, uomo astuto, aveva strascicato abbastanza la toga a Palazzo per sapere in qual modo le usanze giudiziarie potevano servire ai suoi piani.

- Restate in carrozza, - raccomandò a Thuillier giungendo in rue Vivienne dove Godeschal era titolare nello stesso luogo in cui aveva iniziato quale principiante; - entrerete solo se consente a patrocinare la causa.

Erano le undici di sera e La Peyrade non s'era sbagliato nei suoi calcoli contando di trovare un procuratore di fresca data in studio a quell'ora.

- A che debbo la visita d'un avvocato? - chiese Godeschal andando incontro a La Peyrade.

Gli stranieri, i provinciali, le persone comuni forse ignorano che gli avvocati sono per i procuratori quel che i generali sono per i marescialli; a Parigi esiste una linea di demarcazione scrupolosamente osservata tra l'ordine degli avvocati e l'associazione dei procuratori. Per quanto venerando possa essere un procuratore, per valida sia la sua mente deve andare dall'avvocato. Il procuratore è il burocrate che traccia il piano d'attacco, che riunisce le munizioni, che fa trovare tutto pronto; l'avvocato dà battaglia. Non si sa più perché la legge imponga al cliente due uomini invece d'uno così come s'ignora perché l'autore necessiti d'un tipografo e d'un libraio. L'ordine degli avvocati vieta ai suoi membri di compiere qualsiasi atto di competenza dei procuratori. E' rarissimo che un avvocato di fama ponga piede in uno studio; ci si vede a Palazzo; ma, in società, non sussistono impedimenti e alcuni avvocati, specie nella situazione di La Peyrade, fanno eccezione recandosi talvolta in visita dai procuratori; ma son casi rari e quasi sempre motivati da un bisogno urgente.

- Eh, mio Dio, - disse La Peyrade, - si tratta d'un affare serio e soprattutto di una questione delicata che dobbiamo risolvere tra noi. Thuillier è sotto, in carrozza, e io son qui non in veste d'avvocato ma quale amico di Thuillier. Solo voi siete in grado di rendergli un favore immenso e io ho detto che avevate un animo troppo nobile (quale degno successore del gran Derville) per non porre tutto il vostro ingegno al suo servizio. Ecco di che si tratta.

Dopo aver spiegato, a suo esclusivo profitto, l'intrigo che bisognava parare con abilità, dato che i procuratori incontrano più clienti bugiardi che veritieri, l'avvocato riassunse il suo piano di battaglia.

- Mio caro procuratore dovreste recarvi stasera stessa da Desroches, metterlo al corrente di questo imbroglio, ottenere da lui che convochi domattina il suo cliente, quel certo Sauvaignou; noi tre potremmo farlo cantare e se volesse un biglietto da mille in più di quanto gli spetta glielo daremo, a parte cinquecento franchi d'onorario per voi e altrettanti per Desroches se Thuillier otterrà la rinuncia di Sauvaignou domani alle dieci...

Che vuole in fondo quel Sauvaignou? Il suo denaro! Ebbene, un appaltatore non dovrebbe resistere molto all'attrattiva d'un biglietto da mille anche se fosse strumento di qualche ingordo nascosto. Il litigio fra lui e coloro che lo manovrano non ci preoccupa... Su, toglietemi dal pasticcio la famiglia Thuillier...

- Vado immediatamente da Desroches, - disse Godeschal.

- Non prima che Thuillier v'abbia firmato una procura e consegnato cinquemila franchi. In casi del genere meglio mettere i soldi sul tavolo.

Dopo un abboccamento che lasciò Thuillier imbarazzato. La Peyrade condusse Godeschal in carrozza e lo lasciò in rue de Béthisy da Desroches, col pretesto che dovevano passare da quelle parti per tornare in rue Saint-Dominique e, sulla soglia di Desroches, La Peyrade fissò un appuntamento per l'indomani alle sette.

L'avvenire e la fortuna di La Peyrade erano legati al successo dell'incontro. Non stupisca quindi vederlo violare le regole dell'associazione col recarsi da Desroches a studiarvi Sauvaignou e buttarsi nella mischia malgrado il pericolo che correva nell'esporsi alla vista del più temibile procuratore parigino.

Entrando, e mentre ancora salutava, osservò Sauvaignou. Era, come il nome gli faceva supporre, un marsigliese, un operaio-capo messo, come il titolo di appaltatore indicava, tra gli operai e il carpentiere edile per attendere all'esecuzione delle opere iniziate. Il guadagno dell'imprenditore è composto dal ricavo netto ottenuto tra il prezzo dell'appaltatore e quello del costruttore, fatta eccezione per le forniture che concernono la sola mano d'opera.

Fallito il carpentiere, Sauvaignou s'era fatto riconoscere, con sentenza del Tribunale di Commercio, creditore dell'immobile ed era stato messo in lista. Questa cosa da poco aveva provocato lo sconquasso. Sauvaignou, piccolo e tarchiato, con addosso un camiciotto di tela grigia e un berretto a visiera in testa, sedeva in una poltrona. Tre biglietti da mille franchi posti innanzi a lui, sulla scrivania di Desroches, dicevano chiaramente a La Peyrade che la proposta era stata avanzata e che i procuratori avevan fatto fiasco. Gli sguardi di Godeschal erano eloquenti e l'occhiata che Desroches lanciò all'avvocato dei poveri fu come un colpo di piccone in una fossa. Spronato dal pericolo il provenzale fu grandioso: afferrò i biglietti da mille e li piegò per riporli.

- Thuillier non vuol più saperne, - disse a Desroches.

- Bene, eccoci allora d'accordo! - replicò il terribile procuratore.

- Sì, il vostro cliente ci conteggia sessantamila franchi di spese sostenute nell'immobile in base all'accordo firmato fra Thuillier e Grindot. Ieri non ve l'avevo detto - dichiarò rivolgendosi a Godeschal.

- Capite ciò che significa?... - chiese Desroches a Sauvaignou. - E' materia per un processo che non intraprenderò senza garanzie...

- Ma miei cari signori, - disse il provenzale, - io non posso trattare senza essermi abboccato con quel brav'uomo che m'ha dato cinquecento franchi d'acconto per avergli firmato uno straccio di procura.

- Sei di Marsiglia? - chiese La Peyrade in dialetto a Sauvaignou.

- Oh, se gli parla in dialetto è perduto! - disse sottovoce Desroches a Godeschal.

- Sì, signore.

- Ebbene, povero diavolo, - replicò Teodosio, - stan cercando di rovinarti... Sai cosa devi fare? Prendi questi tremila franchi e, quando verrà quell'altro, fatti furbo e dagli il fatto suo dicendogli che è un pitocco, che voleva servirsi di te, che gli revocherai la procura e gli restituirai i soldi la settimana dei tre giovedì. Poi, con quei tremilacinquecento franchi e i tuoi risparmi, vattene a Marsiglia. E se ti capita qualcosa vieni da questo signore... Lui saprà rintracciarmi e io ti caverò d'impaccio; perché, vedi, io non sono solo un buon provenzale ma anche uno dei principali avvocati di Parigi e l'amico dei poveri...

Quando l'operaio scoprì in un compatriota un'autorità atta a giustificare le ragioni che aveva per tradire il prestatore ad alto interesse e a breve scadenza del suo quartiere capitolò e chiese tremilacinquecento franchi.

- Gli starebbe bene un buon sacco di botte, poteva finire davanti alla Polizia correzionale...

- No, picchialo solo se ti dirà delle insolenze, - gli rispose La Peyrade,- si tratterà di legittima difesa...

Quando Desroches gli ebbe confermato che La Peyrade era un avvocato difensore Sauvaignou firmò la rinuncia con quietanza delle spese, interesse e capitale del proprio credito, stilato in duplice copia fra lui e Thuillier, entrambi assistiti dai rispettivi procuratori affinché il documento avesse il potere d'estinguere il tutto.

- Vi lasciamo i millecinquecento franchi, - mormorò La Peyrade all'orecchio di Desroches e Godeschal, - ma a patto che mi consegnate la rinuncia; vado a farla sottoscrivere da Thuillier, che stanotte non ha chiuso occhio, dal suo notaio Cardot...

- Va bene! - disse Desroches. - Vi potete vantare, - aggiunse facendofirmareSauvaignou, -d'esserviguadagnato millecinquecento franchi in fretta.

- Sono proprio miei... signor scrivano?... - chiese il provenzale già preoccupato.

- A pieno titolo, - rispose Desroches. - Solo, notificherete in mattinata la revoca della procura al vostro mandatario con la data di ieri; passate in studio, guardate, di là...

Desroches spiegò al suo primo assistente quel che doveva fare, ordinando a un impiegato di badare che l'usciere si recasse da Cérizet prima delle dieci.

- Vi ringrazio Desroches, - disse La Peyrade stringendo la mano al procuratore; - voi pensate a tutto, non scorderò questo favore...

- Non depositate il vostro atto da Cardot se non nel pomeriggio.

- Ehi, compaesano! - gridò in provenzale l'avvocato a Sauvaignou, - porta a spasso la tua Margot per tutto il giorno a Belleville, e, soprattutto, sta alla larga da casa...

- Capisco, - disse Sauvaignou, - la strigliata a domani!...

- Olà! - fece La Peyrade lanciando un grido da provenzale.

- C'è sotto qualcosa? - stava chiedendo Desroches a Godeschal quando l'avvocato rientrò dallo studio nella stanza.

- I Thuillier ottengono un magnifico immobile per niente, - rispose Godeschal, - ecco tutto.

- La Peyrade e Cérizet mi fan pensare a due palombari che duellano sotto la superficie del mare.

- Che dirò a Cérizet di cui curo gli affari? - chiese all'avvocato quando fu di ritorno dallo studio.

- Che Sauvaignou vi ha forzato la mano, - replicò La Peyrade.

- E voi non avete paura? - osservò a bruciapelo Desroches.

- Oh, io ho una lezione da dargli!

- Domani saprò tutto, - disse Desroches a Godeschal;- nessuno chiacchiera più d'uno sconfitto!

La Peyrade uscì con l'atto. Alle undici era presente all'udienza in Conciliatura, calmo, sicuro di sé, e vedendo avanzare Cérizet pallido di rabbia, gli occhi sprizzanti veleno, gli mormorò all'orecchio:

- Mio caro, sono anch'io un buon diavolo! Ho sempre a tua disposizione venticinquemila franchi in biglietti di banca in cambio della restituzione di tutti i documenti che hai a mio carico...

Cérizet fissò l'avvocato dei poveri senza riuscire a spiccicar parola; era verde; stava trangugiando la propria bile!

 

 

 

20

NEFANDEZZE DI COLOMBE

 

- Sono proprietario stabile!... - esclamò Thuillier tornando dalla casa di Jacquinot, genero e successore di Carlot. - Nessun potere umano può togliermi ormai la casa. Me l'hanno assicurato.

I borghesi credono molto più ai notai che ai procuratori. Il notaio è più vicino a loro di qualsiasi altro funzionario ministeriale. Il borghese parigino non va senza timore dal procuratore, il cui ardire bellicoso lo mette in soggezione, mentre sale sempre con rinnovato piacere dal notaio, di cui ammira la ponderatezza e il buon senso.

- Cardot, che è alla ricerca di un bell'alloggio, m'ha chiesto uno degli appartamenti al secondo piano... - continuò; - se sono d'accordo domenica mi presenterà un affittuario principale che offre un contratto di diciotto anni a quarantamila franchi, tasse a suo carico... Che ne dici Brigitte? - Meglio attendere, - essa rispose. - Ah, il nostro caro Teodosio mi ha procurato un bello spavento!...

- Ehi là, buona amica, non sai che Cardot, dopo avermi chiesto chi aveva combinato questo affare, m'ha detto che gli dovevo almeno diecimila franchi di premio? In realtà gli devo tutto!

- Ma è il cocco di casa, - rispose Brigitte.

- Quel povero ragazzo, devo ammetterlo, non chiede nulla.

- Ebbene buon amico, - disse La Peyrade rientrando alle tre dalla Conciliatura, - eccovi straricco!

- E per merito tuo, caro Teodosio...

- E voi, zietta, siete ritornata in vita?... Oh, non avrete avuto mai paura quanto me... Antepongo i vostri ai miei interessi.

Sapete, ho respirato liberamente solo stamattina alle undici; adesso sono certo d'avere nemici mortali alle calcagna nei due individui che ho raggirato per voi. Facendo ritorno a casa mi son chiesto qual è stato il vostro influsso nell'indurmi a commettere questa specie di reato o se la soddisfazione di far parte della vostra famiglia, di divenire vostro figlio, cancellerà la macchia che scorgo sulla mia coscienza...

- Bah, la confesserai, - disse Thuillier, anima impavida.

- Ora, - disse Teodosio a Brigitte, - potete pagare tranquillamente il prezzo della casa, ottantamila franchi; i trentamila franchi a Grindot; in tutto, con le spese già sostenute, centoventimila franchi più questi ultimi ventimila e sono centoquarantamila. Se locate a un affittuario principale chiedetegli l'ultimo anno anticipato e tenete libero per me e mia moglie tutto il primo piano sopra l'ammezzato. Ricaverete ancora quarantamila franchi per dodici anni a queste condizioni. Se volete lasciare questo quartiere per quello della Camera avrete di che sistemarvi comodamente in quel vasto primo piano con rimessa, scuderia e tutto ciò che comporta un tenor di vita elevato. E adesso, Thuillier, ti procurerò la croce della Legion d'onore!

A quest'ultima frase Brigitte scattò:

- Perbacco, ragazzo mio, avete diretto così bene i nostri affari che lascio a voi di concludere quello della Maison Thuillier...

- Non abdicate, zietta bella, - disse Teodosio, - e Dio mi eviti di fare un passo senza di voi! Siete voi il nume tutelare della casa. Penso solo al giorno in cui Thuillier sarà membro della Camera. Voi rientrerete in possesso di quarantamila franchi fra due mesi. E questo non impedirà a Thuillier di ricevere i suoi diecimila d'affitto alla prima scadenza.

Dopo aver fatto balenare questa speranza alla vecchia zitella, giubilante, condusse Thuillier in giardino e là, senza esitazione, gli disse:

- Buon amico, trova il modo di chiedere diecimila franchi a tua sorella senza che sospetti che verranno rimessi a me; dille che questa somma è destinata agli uffici per facilitarti la nomina a cavaliere della Legion d'onore e che sai tu a chi farla pervenire.

- Giusto, - disse Thuillier; - e gliela restituirò poi sugli affitti.

- Procuratela per stasera, buon amico; ora esco per la tua croce e domani sapremo come regolarci...

- Che uomo sei! - proruppe Thuillier.

- Il ministero del primo marzo sta per cadere, bisogna ottenere la cosa da lui, - rispose con scaltrezza Teodosio.

L'avvocato corse dalla signora Colleville e le disse entrando:

- Ho vinto; per Celeste avremo un immobile da un milione del quale le verrà concessa la nuda proprietà da Thuillier nel contratto di nozze; ma serbiamo il segreto, vostra figlia sarà chiesta in moglie da Pari di Francia. Del resto questo miglioramento andrà a mio vantaggio. Ora vestitevi e rechiamoci dalla contessa du Bruel, lei può fare avere la croce a Thuillier. E mentre voi vi mettete in ghingheri io farò un po' di corte a Celeste e parleremo in carrozza.

La Peyrade aveva scorto, nel salone, Celeste e Felice Phellion Flavia aveva tanta fiducia nella figlia da lasciarla sola col giovane professore. Dopo il successone del mattino Teodosio sentiva il bisogno di cominciare a dedicarsi a Celeste. L'ora di metter zizzania fra i due innamorati era giunta ed egli non si peritò di origliare alla porta del salone, prima d'entrarvi, per sapere quale lettera dell'alfabeto dell'amore essi stessero compitando, e fu spronato, si può dire, a commettere questo reato domestico intuendo da qualche esclamazione più vivace che stavano bisticciando. L'amore, secondo un nostro poeta, è il privilegio che due esseri si concedono d'infliggersi molte pene scambievoli per nulla.

Una volta scelto Felice nel suo cuore quale compagno della propria vita Celeste aveva avuto il desiderio, più che di studiarlo, d'unirsi a lui mediante quella comunione del cuore da cui ogni affetto trae origine e che, nelle menti giovanili, è causa d'involontaria analisi. Il bisticcio cui Teodosio prestava orecchio nasceva da una profonda divergenza sorta da pochi giorni fra il matematico e Celeste.

La fanciulla, moralmente frutto del periodo in cui la signora Colleville s'era sforzata di pentirsi delle sue colpe, era davvero pia; faceva parte del gregge autentico dei fedeli e, in lei, il cattolicesimo integrale, temperato dal misticismo che tanto piace alle anime giovani, era come una poesia intima, una vita nella vita. Di qui partono le ragazze per diventare o donne molto frivole o sante. Ma, in questa bella stagione della loro giovinezza, esse hanno in cuore un po' di dispotismo; nelle loro idee è sempre presente l'immagine della perfezione e tutto dev'essere per loro celestiale, angelico, divino. Fuori del proprio ideale nulla esiste, tutto è fango e sozzura. E tale idea induce allora molte ragazze, che una volta donne andranno matte per quelli finti, a scartare diamanti autentici ma difettosi.

Ora, Celeste aveva notato non l'irreligiosità bensì l'indifferenza di Felice in fatto di religione. Come la maggior parte dei geometri, dei chimici, dei matematici e dei grandi naturalisti egli aveva subordinato la religione al raziocinio: e lo giudicava un problema insolubile come la quadratura del cerchio. Deista "in petto" (sic) restava attaccato alla fede della maggioranza dei francesi senza attribuirle maggior significato che alla nuova legge nata dal Luglio. Dio era necessario in cielo come il busto del re su un basamento in municipio. Felice Phellion, degno figlio del padre, non aveva ricoperto col più lieve velo la coscienza; lasciava che Celeste vi leggesse dentro col candore e la distrazione d'un ricercatore; e la fanciulla mescolava le questioni religiose con quelle laiche; professava un profondo orrore per l'ateismo e il confessore le diceva che il deista è parente stretto dell'ateo.

- Felice, avete pensato a fare quel che m'avete promesso? - chiese Celeste non appena la signora Colleville li ebbe lasciati soli.

- No, mia cara Celeste, - rispose Felice.

- Oh, mancare a una promessa! - protestò lei con dolcezza.

- Si trattava d'una profanazione, - dichiarò Felice. - Vi amo tanto, e con affetto così condiscendente ai vostri desideri, da promettere una cosa contraria alla mia coscienza. La coscienza, Celeste, è il nostro tesoro, la nostra forza; il nostro sostegno Come potevate volere che mi recassi in chiesa a inginocchiarmi davanti a un prete nel quale vedo solo un uomo?... Se vi avessi obbedito m'avreste disprezzato.

- E così, mio caro Felice, non volete andare in chiesa?... - disse Celeste lanciando a colui che amava un'occhiata piena di lacrime.

- Se fossi vostra moglie mi ci lascereste andar sola?... Non m'amate quanto v'amo io... dato che finora ho in cuore, per un ateo, un sentimento opposto a quello che Dio s'attende da me!

- Un ateo! - esclamò Felice Phellion - Ah no! Ascoltate, Celeste... Certamente c'è un Dio, e io ci credo, ma di lui ho un'immagine più bella di quella che hanno i vostri preti; non l'abbasso fino a me ma cerco d'innalzarmi a lui... Ascolto la voce che ha infuso in me, che la gente onesta chiama coscienza, e cerco di non ottenebrare i raggi divini che giungono fino a me. Perciò non farò mai male a nessuno e non infrangerò i comandamenti della morale universale, che fu quella di Confucio, di Mosè, di Pitagora, di Socrate come pure di Gesù Cristo... Mi manterrò puro al cospetto di Dio; le mie azioni saranno le mie preghiere; non mentirò mai, la mia parola sarà sacra e mai commetterò qualcosa di meschino e di vile... Ecco gli insegnamenti che ho ricevuto dal mio virtuoso padre e che voglio lasciare in eredità ai miei figli.

Tutto il bene che potrò fare lo compirò, anche se mi causasse dolore. Che esigete di più da un uomo?...

Questa professione di fede di Phellion fece crollare con dolore il capo a Celeste.

- Leggete attentamente, - essa disse, - l'"Imitazione di Gesù Cristo"!... Cercate di convertirvi alla santa Chiesa cattolica, apostolica e romana e v'accorgerete quanto le vostre parole siano assurde... Ascoltate, Felice: il matrimonio, per la Chiesa, non è il problema d'un giorno né il soddisfacimento dei nostri desideri; è fatto per l'eternità. Ma come! Saremmo uniti giorno e notte, dovremmo essere una sola carne, una sola lingua, e in cuore avremmo due linguaggi, due religioni, una causa di perenne attrito! Voi mi condannereste a pianti, che vi terrei celati, sulla salvezza della vostra anima; potrei rivolgermi a Dio se vedessi la sua destra armata senza cessa contro di voi?... Il vostro sangue di deista e le vostre convinzioni potrebbero contagiare i miei figli!... Oh, mio Dio! Quanti dolori per una moglie!... No, queste idee sono intollerabili... Oh Felice, abbracciate la mia fede visto che io non posso condividere la vostra! Non scavate abissi fra noi due... Se m'amaste avreste già letto l'"Imitazione di Gesù Cristo"!...

I Phellion, figli del "Constitutionnel", non amavano granché lo spirito pretesco. Felice ebbe l'imprudenza di rispondere a questa specie di sermone scaturito dal profondo di un'anima ardente:

- Celeste, voi ripetete la lezione del vostro confessore e nulla è più nocivo alla felicità, credetemi, dell'intrusione dei preti nelle famiglie...

- Oh! - gridò indignata Celeste sospinta solo dall'amore, - voi non m'amate!... La voce del mio cuore non giunge al vostro! Non m'avete capita perché non m'avete ascoltata e vi perdono perché non sapete quel che dite.

Si chiuse in un silenzio sdegnoso e Felice andò a tamburellare con le dita un vetro della finestra: musica familiare a coloro che sono immersi in amare riflessioni. In effetti Felice si poneva questi inusitati e delicati problemi di coscienza phelloniana:

"Celeste è una ricca ereditiera e cedendo, a dispetto della voce della religione naturale, alle sue idee potrei aspirare a un matrimonio vantaggioso: azione infame. Come padre di famiglia non devo consentire ai preti d'avere su di me la minima influenza: se oggi cedo commetto un atto di debolezza che sarà seguito da molti altri, nefasti all'autorità del padre e del marito... Tutto questo è indegno d'un filosofo".

Tornò quindi dall'amata.

- Celeste, vi supplico in ginocchio, non mescoliamo ciò che la legge, saggiamente, ha distinto. Noi viviamo per due mondi, la società e il cielo. A ognuno la sua strada per salvarsi; ma, per quanto concerne la società, ubbidire alle sue leggi non equivale ubbidire a Dio? Cristo ha detto: "Date a Cesare quel che è di Cesare". Cesare è il mondo politico... Scordiamo questo piccolo bisticcio!

- Piccolo bisticcio! ... - esclamò la giovane infervorata. - Voglio che abbiate il mio cuore così come voglio avere tutto il vostro e voi lo dividete a mezzo!... Non è l'infelicità? Voi scordate che il matrimonio è un sacramento...

- La vostra pretaglia vi monta la testa! - gridò spazientito il matematico.

- Signor Phellion, - esclamò Celeste interrompendolo bruscamente, - basta con quest'argomento!

Fu a questo punto che Teodosio giudicò opportuno entrare trovando Celeste pallida e il giovane professore turbato come uno spasimante che abbia irritato la sua amata.

- Ho udito la parola "basta"!... C'era quindi alcunché di troppo?

- osservò volgendo lo sguardo da Celeste a Felice.

- Discutevamo di religione... - rispose Felice, - e stavo dicendo alla signorina quanto l'influsso religioso sia pernicioso alle famiglie...

- Non si trattava di questo, signore, - ribatté aspramente Celeste, - quanto di sapere se marito e moglie riescano ad essere un solo cuore quando uno è ateo e l'altro cattolico.

- Ci sono degli atei?... - proruppe Teodosio mostrando profondo stupore. - Può una cattolica sposare un protestante? Per due sposi l'unica possibilità di salvezza sta nella completa affinità d'idee in fatto di religione!... Io che, a dire il vero, sono del Comtat e discendo da una famiglia che conta un papa fra i suoi avi (le nostre armi infatti sono "rosse a chiave d'argento" sostenute da un monaco sorreggente una chiesa e un pellegrino con un bordone d'oro in mano col detto: "Io apro e chiudo") sono su questo punto d'una intransigenza assoluta. Ma oggigiorno, grazie al sistema educativo in atto, pare logico discutere problemi simili... Io, dicevo, non sposerei una protestante neppure fosse ricca a milioni... e se anche l'amassi da perdere la testa! La fede non va posta in discussione. "Una fides, unus Dominus", ecco il mio motto in politica.

- Avete udito!... - esclamò trionfante Celeste fissando Felice Phellion.

- Io non sono un bigotto, vado a messa alle sei del mattino quando nessuno mi vede: mangio di magro il venerdì; sono, insomma, un figlio della Chiesa e non mi accingerei a nulla d'importante senza prima aver pregato, secondo la vecchia consuetudine dei nostri avi. Nessuno presta attenzione alla mia fede... Durante la Rivoluzione del 1789 nella mia famiglia è avvenuto un fatto che ci ha legato più strettamente ancora che in passato alla nostra santa madre Chiesa. Una povera signorina de La Peyrade del ramo principale, che possiede la piccola tenuta di La Peyrade, dato che noi siamo Peyrade des Canquoelle, ma i due rami ereditano l'uno dall'altro; questa signorina sposò, sei anni prima della Rivoluzione, un avvocato che, secondo la moda dell'epoca, era volteriano, vale a dire miscredente o deista, a piacere. Egli abbracciò le idee rivoluzionarie e fu d'accordo in pieno con le paganità che sapete, il culto della dea Libertà-Ragione. Giunse nella nostra terra esaltato, fanatico della Convenzione. La moglie era bellissima ed egli la costrinse a impersonare la Libertà; la povera infelice è impazzita... Ed è morta pazza! Ebbene, coi tempi che corrono, possiamo anche aspettarci un altro 1793!...

Questa storia, inventata sui due piedi, fece un tale effetto sulla fantasia ingenua e candida di Celeste da indurla ad alzarsi, a salutare i due giovani e a ritirarsi in camera sua.

- Ah, signore, che avete mai detto!.. - esclamò Felice, ferito al cuore dall'occhiata gelida che Celeste gli aveva scoccata ostentando profonda indifferenza. - Ora si vede già dea della Ragione...

- Ma di che si trattava? - chiese Teodosio - Della mia indifferenza in materia religiosa.

- La grande piaga del secolo, - rispose in tono serio Teodosio.

- Eccomi, - disse la signora Colleville apparendo abbigliata con ricercatezza. - Ma che ha la mia povera figliola? Sta piangendo...

- Signora, sta piangendo! ... - gridò Felice; - ditele, signora, che mi metterò subito a leggere l'"Imitazione di Gesù Cristo".

E Felice discese le scale con Teodosio e Flavia, alla quale l'avvocato stringeva il braccio in modo da farle capire che, in carrozza, le avrebbe spiegata la follia del giovane studioso.

Un'ora più tardi la signora Colleville e Celeste, Colleville e Teodosio facevano il loro ingresso in casa Thuillier per cenare con essi. Teodosio e Flavia avevano condotto Thuillier in giardino dove Teodosio gli dichiarò:

- Buon amico, tra otto giorni avrai la croce. Su, cara amica, raccontagli la nostra visita alla contessa du Bruel...

E Teodosio lasciò Thuillier scorgendo Desroches in compagnia della signorina Thuillier; spinto da un pauroso e gelido presentimento andò incontro al procuratore.

- Mio caro avvocato, - mormorò Desroches all'orecchio di Teodosio - vengo a vedere se potete procurarvi ventisettemilaseicentottanta franchi e sessanta centesimi per le spese...

- Siete il procuratore di Cérizet?... - esclamò l'avvocato.

- Ha consegnato gli incartamenti a Louchard e voi sapete ciò che vi aspetta se vi arrestano. Ha torto Cérizet di credervi in possesso di venticinquemila franchi? Glieli avete offerti e trova quindi naturale che non restino in casa vostra...

- Vi ringrazio del vostro passo mio caro procuratore, - disse Teodosio, - e ho previsto l'attacco...

- Detto fra noi, - rispose Desroches, - l'avete preso bellamente in giro... Il mariolo non esita dinanzi a nulla pur di vendicarsi, visto che rischia di perder tutto se decidete di gettar la toga alle ortiche e di andare in prigione...

- Io, - esclamò Teodosio, - pagherò... Ma vi sono cinque tratte da cinquemila franchi ciascuna; che intendete farne?

- Oh, dopo la faccenda di stamani non posso dirvi niente; ma il mio cliente è un vero cane rognoso e certo ha i suoi progetti...

- Orsù Desroches, - disse Teodosio cingendo alla vita il secco e rigido Desroches, - gli effetti sono ancora da voi?

- Siete deciso a pagare?

- Sì, fra tre ore.

- Bene, trovatevi da me alle nove; incasserò i vostri denari e vi restituirò le cambiali; ma alle nove e mezza saranno da Louchard...

- Va bene, stasera alle nove... - disse Teodosio.

- Alle nove, - ripeté Desroches che aveva abbracciato con lo sguardo la famiglia intera riunita in quel momento in giardino, Celeste che, con gli occhi arrossati, parlava con la madrina, Colleville e Brigitte, Flavia e Thuillier. Sui gradini dell'ampia scalinata d'ingresso per la quale dal giardino si saliva nell'atrio Desroches disse a Teodosio, che l'aveva accompagnato fin là:

- Potete tranquillamente pagare la vostra cambiale.

Con quella sola occhiata Desroches, che aveva fatto cantare Cérizet, aveva apprezzato le strenue fatiche dell'avvocato.

 

 

 

21

UNA CLIENTE DI CERIZET

 

L'indomani, all'alba, Teodosio si diresse dal banchiere dei rivenduglioli a constatare l'effetto prodotto sul nemico dal saldo effettuato puntualmente la sera prima e compiere un ultimo tentativo per liberarsi di quel tafano.

Trovò Cérizet in piedi, impegnato a parlare con una donna, e ne ricevette come un invito perentorio a tenersi alla larga per non turbare il colloquio. L'avvocato dovette quindi limitarsi a supposizioni sull'importanza di quella donna, della quale garantiva l'aria impensierita del prestatore ad alto interesse e a breve scadenza. Teodosio ebbe un presentimento, molto vago però, che l'oggetto del colloquio influisse sullo stato d'animo di Cérizet perché scorgeva nel suo aspetto quel mutamento radicale causato dalla speranza.

- Ma mia cara mamma Cardinal...

- Sì, mio buon signore...

- Che volete?

- Bisogna decidersi...

Queste aperture o chiusure di frase erano i soli barlumi che il colloquio animato e tenuto sottovoce, da orecchio a bocca e da bocca a orecchio, riverberasse sul testimone immoto, che scrutò con attenzione la signora Cardinal.

La signora Cardinal era una delle clienti principali di Cérizet, ed era rivenditrice di pesce di mare. Se ai parigini questi tipici prodotti locali sono noti gli stranieri non ne immaginano l'esistenza e la mamma Cardinal, in stile necrologico, meritava in pieno l'interesse suscitato sull'avvocato. Tante sono le donne come quella che s'incontrano per strada che chi passeggia non vi bada più che ai tremila quadri di un'esposizione. Ma là, nel corso di quell'escursione, la Cardinal aveva tutto il valore d'un capolavoro a sé perché era il tipo rappresentativo del suo genere.

Portava zoccoli inzaccherati, ma i piedi, infilati con cura in babbucce, erano coperti da lunghe e spesse calze. Il vestito in tela indiana, ornato d'una balza fangosa, mostrava l'impronta della tracolla sorreggente la cassetta, che cingeva sul dietro un po' in basso la vita. Il capo essenziale era costituito da uno scialle detto "cachemire in pelo di coniglio" le cui cocche erano annodate sopra la "tournure"; è infatti il caso d'impiegare il termine usato dal bel mondo per descrivere l'effetto prodotto dalla tracolla trasversale sulle sottane, che apparivano rialzate in forma di cavolo. Una cotonina stampata, che serviva da scialletto, lasciava intravedere un collo rosso e striato come la conca delle Villette dopo che vi si è pattinato. Il copricapo consisteva in un fazzolettone di seta gialla, attorcigliato in modo pittoresco.

Piccola e grassa, di colorito acceso, la mamma Cardinal aveva bisogno del suo sorso d'acquavite ogni mattina. Era stata bella.

La Halle le rimproverava, nel suo pittoresco e sboccato linguaggio, d'aver fatto più d'una giornata lavorativa notturna.

Il suo organo, per intonarsi al diapason d'una conversazione normale, era costretto a smorzare il suono, come si fa nella camera d'un ammalato; ma usciva allora spesso e grave da una gola abituata a lanciare fin dentro le mansarde i nomi dei pesci di stagione. Il naso alla Roxellane, la bocca ben delineata, gli occhi azzurri, tutto ciò che aveva costituito un tempo la sua bellezza era sepolto ora nelle pieghe d'un grasso non flaccido che attestava l'abitudine di vivere all'aria aperta. Ventre e seni spiccavano per ampiezza rubensiana.

- E volete che dorma sulla paglia?... - stava dicendo a Cérizet. - Che m'importa dei Poupillier!... Non sono anch'io una Poupillier?... Sapete dove me li ficco i Poupillier?...

Questo sfogo selvaggio fu represso da Cérizet che rivolse alla rivenditrice uno di quei "Silenzio!" prolungati ai quali ogni cospiratore obbedisce.

- Va bene, andate a vedere che ne è di loro e tornate, disse Cérizet spingendo la donna all'uscita e sussurrandole qualche parola all'orecchio.

- Ebbene caro amico, - disse Teodosio a Cérizet, - hai i tuoi soldi?

- Sì, - rispose Cérizet, - abbiamo misurato i nostri artigli e sono della identica durezza, della stessa lunghezza e della medesima forza... E allora?

- Devo dire a Dutocq che ieri hai ricevuto ventisette?...

- Mio caro amico, non una sillaba!... Se mi vuoi bene! ... - proruppe Cérizet.

- Ascolta, - replicò Teodosio, - bisogna che io sappia una buona volta quel che vuoi. Sono fermamente deciso a non restare altre ventiquattr'ore sulla graticola su cui m'avete messo. Che tu imbrogli Dutocq mi è del tutto indifferente, ma voglio che noi ci mettiamo d'accordo... Ventisettemila franchi sono un capitale nelle tue mani perché devi averne di tuo diecimila ricavati dai tuoi traffici ed è quanto basta per diventare un galantuomo.

Cérizet, se mi lasci tranquillo, se non m'impedisci di divenire il marito della signorina Colleville, conterò qualcosa quale avvocato del re a Parigi e non potresti far meglio che assicurarti una protezione in quell'ambiente.

- Le mie condizioni sono queste e non ammettono deroghe; devi prendere o lasciare. Tu mi farai avere la casa Thuillier come affittuario principale con un buon contratto di diciott'anni e io ti restituirò una delle altre cinque cambiali quietanzata. Non m'incontrerai più sulla tua strada e te la vedrai con Dutocq per le altre quattro... A me tu l'hai fatta; Dutocq non è del tuo calibro...

- Accetto se pagherai quarantottomila franchi d'affitto per la casa, l'ultima annata anticipata e farai decorrere il contratto dall'ottobre prossimo...

- Va bene ma ti darò solo quarantatremila franchi in contanti, la tua cambiale completerà la somma. Ho guardato bene la casa, l'ho studiata a fondo e mi va.

- Un'ultima condizione, - disse Teodosio. - M'aiuterai contro Dutocq.

- No, - rispose Cérizet, - l'ho rosolato abbastanza senza che debba anche lardellarlo: perderebbe tutto il sugo. Ci vuole giudizio. Quel pover'uomo non sa come pagare i restanti quindicimila franchi del suo posto e per te è sufficiente sapere che con quindicimila franchi puoi riottenere le cambiali.

- Va bene, concedimi quindici giorni per procurarti il contratto...

- Non più tardi di lunedì prossimo! Martedì la tua cambiale da cinquemila sarà protestata a meno tu non paghi lunedì o che Thuillier non m'abbia fatto avere il contratto.

- E sia, lunedì!... - disse Teodosio. - Siamo amici?

- Lo saremo lunedì, - rispose Cérizet.

- D'accordo, lunedì; m'offrirai cena? - esclamò ridendo Teodosio.

- Al "Rocher-de-Cancale" se ho il contratto. Dutocq resterà... ci sarà da ridere... E' tanto che non rido...

Teodosio e Cérizet si strinsero la mano con un reciproco:

- A presto!

Cérizet non s'era calmato con tanta subitaneità senza motivo.

Anzitutto, secondo il detto di Desroches, "la bile non facilita gli affari" e l'usuraio ne aveva sperimentato fin troppo bene l'esattezza per non risolversi a trarre profitto con freddezza dalla sua situazione e a "strangolare" (termine tecnico) il furbo provenzale.

- Vi spetta una rivincita, - gli aveva detto Desroches, - e avete in pugno quel giovanotto... Cercate di spremerlo a fondo.

Ora, da un decennio, Cérizet aveva visto parecchia gente arricchirsi facendo l'affittuario principale. Costui è, a Parigi, nei confronti del proprietario quel che sono i fittavoli per i possidenti terrieri. Parigi intera ha visto uno dei sarti più rinomati costruire sulla famosa area di Frascati, all'angolo del boulevard e della rue de Richelieu, un sontuoso edificio a sue spese e fare l'affittuario principale d'un palazzo il cui affitto non rende meno di cinquantamila franchi. Nonostante le spese di costruzione, ammontanti pressappoco a settecentomila franchi, i diciannove anni d'affitto renderanno dei bei soldi.

Cérizet, in caccia d'affari, aveva studiato le probabilità di guadagno che poteva offrirgli l'affitto della casa "rubata" da Thuillier, come si esprimeva con Desroches, e aveva ammesso la possibilità d'affittarla a oltre sessantamila franchi nel giro di sei anni. Aveva quattro negozi, due per lato, dato che formava l'angolo d'un boulevard.

Cérizet faceva conto di guadagnare diecimila franchi almeno all'anno per dodici anni, esclusi gli imprevisti o le regalie offerte a ogni rinnovo di contratto dagli esercizi commerciali che vi si stabiliscono e ai quali avrebbe, per cominciare, concesso solo contratti per sei anni. Si proponeva quindi di cedere la sua azienda da usuraio alla vedova Poiret e a Cadenet per una decina di migliaia di franchi; ne possedeva all'incirca dieci ed era quindi in grado di versare l'annualità anticipata che i proprietari sogliono pretendere a titolo di garanzia dagli affittuari principali. Cérizet aveva perciò trascorso una notte assai lieta; era immerso in un bel sogno, già si vedeva in procinto d'esercitare una professione onesta e diventar borghese come Thuillier, Minard e tanti altri.

Avrebbe allora rinunciato all'acquisto della casa in costruzione in rue Geoffroy-Marie. Ma ebbe un risveglio inatteso: si trovò la Fortuna accanto, che versava a fiotti su di lui la cornucopia dorata, nella persona della signora Cardinal.

Aveva sempre avuto stima per quella donna e, da un anno in specie a quella parte, le andava promettendo la somma occorrente per acquistare un asino con un carretto che le permettesse di esercitare il suo commercio in grande recandosi da Parigi in periferia. La signora Cardinal, vedova d'un forzuto della Halle, aveva una figlia unica la cui bellezza era stata decantata a Cérizet da altre comari. Ollimpia Cardinal aveva circa tredici anni quando, nel 1837, Cérizet aveva dato inizio al "prestito" nel quartiere e, mosso da un intento inqualificabile, aveva trattato col massimo riguardo la Cardinal; l'aveva sottratta alla più squallida miseria nella speranza di fare di Olimpia la propria amante; ma nel 1838, la figlia aveva piantato la madre e "faceva di sicuro la vita", per usare la frase con la quale la gente del popolo definisce l'abuso dei preziosi doni della natura e della gioventù.

Cercare una ragazza a Parigi è come trovare un'alborella nella Senna, ci vuole la fortuna d'un buon colpo di lenza. E questa fortuna era capitata. La mamma Cardinal che, per far piacere a una comare, l'aveva condotta al teatro di Bobino aveva scoperto nella giovane protagonista la figlia, che il primo attor comico teneva in sua balia da tre anni. La madre, compiaciuta dapprima nel vedere la figlia in un bell'abito laminato, acconciata come una duchessa, con calze traforate, scarpette di raso, salutata da applausi al suo apparire, aveva finito col gridarle dal suo posto:

- Avrai mie notizie, assassina di tua madre!... Saprò se dei viziosi ciarlatani hanno il diritto di traviare ragazzine tredicenni!...

Cercò di sorprendere la figlia all'uscita, ma la giovane protagonista e l'attor comico dovevano aver scavalcato il parapetto andandosene col resto del pubblico invece di passare per la porta del teatro, dove la vedova Cardinal e la mamma Mahoudeau, sua buona amica, fecero un bailamme infernale che due guardie municipali subito sedarono. Questa augusta istituzione, al cospetto della quale le due donne abbassarono il diapason della voce, fece notare alla madre che a sedici anni la figlia era in età di recitare a teatro e che invece di sbraitare alla porta contro il direttore poteva citarlo in Conciliatura o alla polizia correzionale, a piacere.

L'indomani la signora Cardinal s'era proposta di consultarlo, dato che "egli" lavorava in Conciliatura; ma fu folgorata dal portinaio della casa in cui abitava il vecchio Poupillier, suo zio, che, a quanto le disse il signor Perrache, non aveva più di due giorni di vita ed era insomma agli estremi.

- Beh, che volete che ci faccia? - rispose la vedova Cardinal.

- Facciamo affidamento su voi, mia cara signora Cardinal; voi non scorderete il buon consiglio che vi diamo. Ecco il fatto. Negli ultimi tempi il vostro povero zio, non essendo più in grado di muoversi, è ricorso a me per riscuotere gli affitti della sua casa in rue Nôtre-Dame-de-Nazareth, e gli arretrati d'una cedola dei buoni del Tesoro da milleottocento franchi...

A quest'annuncio gli occhi della vedova Cardinal da mobili si fecero fissi.

- Sì bambina mia, - riprese il signor Perrache, piccolo e con la gobba; - e dato che siete l'unica ad aver provveduto a lui, ad avergli portato di tanto in tanto del pesce e ad esservi recata a fargli visita può darsi faccia delle "deposizioni" a vostro favore... Mia moglie, in questi ultimi giorni, l'ha curato e vegliato; ma gli ha parlato di voi e lui non voleva sapeste che era così malato... Capite che è tempo di farvi vedere. Diamine, son due mesi che non bada più ai suoi affari.

- Mio vecchio grattacuoio, - disse la mamma Cardinal al portiere, di professione calzolaio, avviandosi in tutta fretta verso la rue Honoré-Chevalier dove lo zio abitava in un'orribile mansarda, - ammetterete che tutto avrei supposto meno questo... Perbacco! Mio zio Poupillier ricco! Il buon mendicante della chiesa Saint- Sulpice!

- Oh, - disse il portinaio, - si trattava bene... Ogni sera andava a letto con la sua buona amica, una bella bottiglia di vino del Roussillon. Mia moglie l'ha assaggiato, a noi però diceva che era vino da sei soldi. Glielo forniva il vinaio della rue des Canettes.

- Non dite una parola di tutto questo mio prode, - disse la vedova Cardinal - e penserò a voi... se c'è qualcosa.

Questo Poupillier, già tamburo maggiore nelle Guardie francesi, era passato, due anni prima del 1789, al servizio della Chiesa divenendo guardaportone a Saint-Sulpice. La Rivoluzione l'aveva privato del posto ed era piombato in estrema miseria. Fu costretto a fare il modello dato che aveva un bel fisico.

Con la ripresa del culto riebbe la sua picca; ma, nel 1816, fu destituito sia per immoralità sia per vecchiaia: si diceva fosse sulla settantina. A mo' di pensione gli era permesso tuttavia di stare sulla soglia dove porgeva l'acqua benedetta. Nel 1820 il suo aspersorio suscitò invidia ed egli lo cedette a patto d'essere accettato come mendicante alla porta della chiesa. Nel 1820, a sessantacinque anni suonati, se ne attribuì ottantasei e iniziò il mestiere del centenario.

Era impossibile trovare, in tutta Parigi, una barba e dei capelli come quelli di Poupillier. Si teneva piegato quasi in due, un bastone nella mano tremolante, una mano coperta del lichene che si trova sul granito, e tendeva il classico cappello, bisunto, a larghe tese, rattoppato, nel quale le elemosine piovevano abbondanti. Le gambe, avvolte in panni e stracci, erano infilate in orribili calzature di sparto alle quali adattava però ottime suole in cuoio. Si cospargeva il viso di sostanze simulanti le chiazze di gravi malattie o rughe e fingeva in modo ammirevole la senilità d'un centenario. A partire dal 1825 ebbe cent'anni, mentre in realtà ne aveva appena settanta. Era il capo dei poveri, il padrone della piazza, e tutti coloro che venivano a mendicare sotto le arcate della chiesa, al riparo dalle persecuzioni degli agenti di polizia e sotto la protezione dello scaccino, del sagrestano, del porgitore d'acqua benedetta, della parrocchia insomma, gli pagavano una specie di decima.

Quando, all'uscita, un erede, uno sposo o qualche padrino diceva:

"Ecco, per voi tutti e non molestate nessuno", Poupillier, designato dallo scaccino suo successore, intascava i tre quarti dell'offerta e ne dava solo un quarto ai compari, il cui tributo ammontava a un soldo il giorno. Nel 1820 l'ingordigia e l'inclinazione al bere erano gli unici sentimenti che gli restassero; ma egli provvide al secondo e si dedicò interamente al primo, senza trascurare il suo benessere. Beveva la sera, dopo cena, quando la chiesa era chiusa; e per vent'anni s'era addormentato nelle braccia dell'ubriachezza, ultima sua amante.

Il mattino, all'alba, era al suo posto con tutti i propri trucchi.

Dal mattino all'ora di cena, che consumava dal noto Père Lathuile illustrato da Charlet, rosicchiava solo croste di pane e lo faceva da artista, con una rassegnazione che gli procurava copiose offerte. Lo scaccino e il porgitore d'acqua benedetta, coi quali se l'intendeva, dicevano di lui:

- E' il povero della chiesa: ha conosciuto il parroco Languet, che ha edificato Saint-Sulpice; è stato scaccino per vent'anni, prima e dopo la Rivoluzione; ha cent'anni.

Questa breve biografia, conosciuta dai devoti, era la migliore attrattiva e nessun cappello fu più rifornito del suo in tutta Parigi. Aveva comprato la casa nel 1826 e la rendita nel 1830.

Stando al valore dei due beni, doveva percepire seimila franchi l'anno e averli investiti in una usura analoga a quella di Cérizet, dato che il prezzo della casa era stato di quarantamila franchi e la rendita ne era costata quarantottomila. La nipote, tratta in inganno dallo zio allo stesso modo dei portieri, dei minori dipendenti della chiesa e delle anime pie, lo credeva più disgraziato di lei e, quando le avanzavano dei pesci, li portava allo zio.

Giudicò quindi opportuno trar partito dalle sue merci e dalla sua compassione per uno zio che doveva avere una quantità di collaterali ignoti. Essa era infatti la terza ed ultima delle sorelle Poupillier; aveva quattro fratelli, e il padre, che faceva il corriere su carretta, le parlava nell'infanzia di tre zie e quattro zii tutti con esistenze strampalate.

Visitato lo zio si recò di carriera a consultare Cérizet informandolo sul come aveva rintracciato la figlia e i motivi, le supposizioni, gli indizi che le facevano ritenere che Poupillier nascondesse un mucchio d'oro nel giaciglio.

La mamma Cardinal non si sentiva abbastanza in gamba da appropriarsi dell'eredità del mendicante,legalmenteo illegalmente, ed era corsa a confidarsi con Cérizet.

L'usuraio dei poveri, simile ai fognaroli, trovava finalmente dei diamanti nel pantano in cui da quattro anni sguazzava in attesa d'uno di quei casi che, si dice, capitano in quei faubourgs da cui escono eredi calzati di zoccoli. Questo era il segreto della sua arrendevolezza con l'uomo che aveva giurato di rovinare. Si può immaginare con quale ansietà attese il ritorno della vedova Cardinal. Ad essa l'astuto orditore di trame tenebrose aveva indicato il mezzo per verificare i suoi sospetti sull'esistenza del tesoro e, con la sua ultima frase, promesso quel che voleva pur che lasciasse a lui ]'incarico di cogliere quella messe. Non era uomo da indietreggiare davanti a un reato, specie quando scorgeva il modo di farlo compiere da un altro appropriandosi dei guadagni. E acquistava allora la casa in rue Geoffroy-Marie e si vedeva infine borghese di Parigi, capitalista in grado di dedicarsi ad affari redditizi!

 

 

 

22

DELLE DIFFICOLTA' CHE S'INCONTRANO NEL PIU' FACILE VOLO

 

- Mio caro Beniamino, - disse la rivenditrice di pesce di mare avvicinandosi a Cérizet col viso infiammato dalla rapidità della corsa e dalla cupidigia, - mio zio dorme su più di centomila franchi in oro!... E sono certa che i Perrache, con la scusa di curarlo, hanno adocchiato il malloppo.

- Questa somma, - disse Cérizet, - divisa fra quaranta eredi non frutterebbe a ognuno che una bazzecola. Mamma Cardinal, ascoltatemi... sposo vostra figlia; cedetele l'oro di vostro zio e vi lascerò il reddito e la casa... in usufrutto.

- Non corriamo nessun rischio?

- Nessuno.

- Affare fatto! - disse la vedova Cardinal; - che bella vita farò con seimila franchi di rendita!

- E un genero pari mio in più, - esclamò Cérizet.

- Sarò allora una borghese di Parigi! - disse la Cardinal.

- Adesso, - riprese Cérizet dopo una pausa nella quale genero e suocera s'abbracciarono, - devo andare a tastare il terreno. Non lasciate più il posto e dite al portiere che aspettate un medico; il medico sarò io e voi fingete di non riconoscermi.

- Sei un bel furbo, briccone! - esclamò la mamma Cardinal dando una pacca al ventre di Cérizet in segno di commiato.

Un'ora dopo Cérizet, vestito tutto in nero, mascherato con una parrucca rossa e i lineamenti abilmente contraffatti, giunse in rue Honoré-Chevalier in calesse da nolo.

Si fece indicare l'alloggio d'un povero di nome Poupillier dal calzolaio portiere che gli chiese:

- Il signore è il medico che la signora Cardinal sta aspettando?

E al cenno affermativo di Cérizet lo guidò verso una scala di servizio che conduceva alla mansarda occupata dal mendicante.

Perrache uscì sulla soglia e il cocchiere del calesse, da lui interrogato, confermò la qualifica che Cérizet s'era lasciata affibbiare.

La casa in cui abitava Poupillier è una di quelle destinate a perdere, in base al piano di rettificazione, metà dell'ampiezza, dato che la rue Honoré-Chevalier è una delle più strette del quartiere Saint-Sulpice. Il proprietario, al quale la legge vietava d'innalzare altri piani o di rimodernarli, era costretto ad affittare la bicocca nello stato in cui l'aveva comprata.

L'edificio, estremamente brutto visto dalla strada, si componeva d'un primo piano sormontato da mansarde oltre il pianterreno e da due piccole ali ad angolo retto ai lati. Il cortile dava su un giardino alberato di pertinenza dell'alloggio del primo piano.

Quel giardino, diviso dal cortile da un'inferriata, avrebbe permesso a un ricco proprietario di vendere la casa al Comune e ricostruirla sull'area del cortile stesso; ma non solo il proprietario non era ricco, aveva anche dato in affitto tutto il primo piano, con un contratto di diciott'anni, a un individuo misterioso sul quale né le indagini ufficiose del portinaio né la curiosità degli altri inquilini avevano potuto appurare alcunché.

Questo locatario, a quel tempo sulla settantina, aveva nel 1829 fatto applicare una scala alla finestra dell'ala a gomito che dava sul giardino per scendervi e passeggiarvi senza passare dal cortile. Metà del pianterreno a sinistra era occupata da un cucitore di libri che, da un decennio, aveva trasformato le rimesse e le scuderie in laboratorio e l'altra metà da un rilegatore. Cucitore e legatore occupavano ciascuno metà delle mansarde che davano sulla strada. Quelle sovrastanti una delle ali a gomito facevano parte dell'alloggio del misterioso personaggio.

A farla breve, Poupillier pagava cento franchi per la mansarda che sormontava l'altra piccola ala a sinistra e alla quale s'accedeva per mezzo di una scala rischiarata da lumi. La porta carraia aveva quella convessità circolare indispensabile in una strada angusta in cui due carrozze hanno difficoltà a passare.

Cérizet s'aggrappò a una corda che serviva da scorrimano inerpicandosi su quella specie di scala a pioli che portava alla camera nella quale il centenario stava spegnendosi e dove l'attendeva l'orrendo spettacolo d'una falsa miseria.

Ora, a Parigi, tutto quel che è fatto apposta riesce in modo splendido. In questo i poveri non sono da meno dei negozianti con le loro vetrine o dei pseudo ricchi in cerca di credito.

Il pavimento non era stato mai spazzato; le mattonelle scomparivano sotto uno strato d'immondizie, polvere, fango essiccato e tutto ciò che Poupillier vi gettava. Una brutta stufa in ghisa dal tubo infilato nella parete d'un camino fuori uso ornava la stamberga, in fondo alla quale c'era un'alcova, un letto detto "en tombeau", a pendoni e cortine in sargia verde che le tarme avevano mutato in pizzo. I muri, imbiancati a calce, mostravano una patina fuligginosa dovuta al carbone e alla torba che il mendicante ardeva nella stufa. Sul camino c'era un orcio sbrecciato per l'acqua, due bottiglie e un piatto rotto. Un brutto cassettone tarlato conteneva la biancheria e gli abiti puliti. Il mobilio consisteva in un comodino da notte del tipo più corrente, un tavolo da quaranta soldi e due sedie da cucina quasi spagliate.

Il costume, così pittoresco, del centenario era appeso a chiodi e le informi calzature di sparto che gli servivano da scarpe sbadigliavano al di sotto. Il suo prestigioso bastone e il cappello stavano presso l'alcova.

Entrando, Cérizet scrutò il vecchio; la testa era appoggiata a un cuscino nero d'unto, senza federa, e il profilo spigoloso, simile a quello che, nel secolo passato, alcuni incisori si sono sbizzarriti a tratteggiare in paesaggi dalle rocce incombenti e che si trovano sui boulevards, si stagliava in scuro sullo sfondo verde delle cortine. Poupillier, alto quasi sei piedi, guardava fisso un oggetto immaginario a piè del letto e non si mosse udendo cigolare la pesante porta, rinforzata in ferro e dalla robusta serratura, che chiudeva solidamente la sua abitazione.

- E' in sé? - chiese Cérizet dinanzi al quale la Cardinal arretrò riconoscendolo solo alla voce.

- Così così, - rispose la signora Cardinal.

- Venite sulla scala, nessuno ci potrà udire. Ecco il piano, sussurrò egli all'orecchio della futura suocera. E' debole, ma ha buona cera e abbiamo ancora otto giorni davanti. E poi cercherò un medico che faccia al caso nostro. Tornerò martedì con sei teste di papavero. Nello stato in cui si trova, vedete, un decotto di papavero lo farà cadere in un profondo torpore. Vi farò inviare una branda con la scusa di procurarvi un giaciglio per vegliare vostro zio. Lo trasporteremo dal letto verde alla branda e quando avremo controllato la somma che il prezioso mobile contiene, beh, non ci mancheranno i mezzi di trasporto. Il medico ci dirà se durerà ancora qualche giorno e, soprattutto, se è in grado di far testamento...

- Figlio mio!...

- Ma occorre sapere chi sono gli abitanti di questa topaia! I Perrache possono dare l'allarme, e tanti inquilini tante spie.

- Bah, so già che il signor Du Portail, l'inquilino del primo, un vecchietto, si prende cura d'una pazza che sento chiamare Lidia da stamani; è al piano di sotto, affidata a una vecchia fiamminga di nome Katt. Il vecchio ha per unico domestico un anziano cameriere, un vecchio anche lui, che si chiama Bruno e che si occupa di tutto meno che della cucina.

- Ma quel legatore e quel cucitore cominciano a lavorare di buon mattino, - disse Cérizet. - Rechiamoci in municipio; per le pubblicazioni mi occorre nome e cognome di vostra figlia e luogo di nascita in modo da avere i documenti necessari. Da sabato prossimo in otto le nozze!

- Va là, va là, razza di birbante! - esclamò la mamma Cardinal dando una spallata al pericoloso genero.

Scendendo, Cérizet fu sorpreso al vedere il vecchietto, quel Du Portail, passeggiare in giardino con una delle personalità più in vista del governo, il conte Martial de la Roche-Hugon. Si fermò nel cortile scrutando quella vecchia casa edificata sotto Luigi Quattordicesimo, le cui mura gialle, benché in pietra da taglio, erano incurvate come il vecchio Poupillier; osservava i due laboratori e contava gli operai. La casa era silenziosa come un chiostro. Vistosi osservato a sua volta Cérizet se ne andò pensando alle difficoltà connesse alla sottrazione della somma nascosta dal moribondo, pur non essendo essa di grossa consistenza.

"Portarla via di notte? - si diceva. - I portinai sono all'erta e, di giorno, venti persone almeno ci vedrebbero... Non è facile caricarsi addosso venticinquemila franchi in oro..." Le società hanno due modelli di perfezione: il primo è quello d'una civiltà in cui la morale, intesa in modo uniforme, elimina l'idea del delitto, e i gesuiti erano giunti a quell'eccelso punto d'arrivo presente nella Chiesa primitiva; il secondo è quello d'una civiltà in cui la vigilanza reciproca dei cittadini rende impossibile il delitto, quel modello cui tende la società odierna nella quale il delitto presenta difficoltà tali che bisogna aver smarrito il cervello per commetterlo. In effetti nessuna delle iniquità che la legge persegue resta impunita e la condanna sociale è più severa ancora di quella giudiziaria. Si sopprima un testamento senza testimoni, come ha fatto Minoret, direttore dell'ufficio postale di Nemours, e il reato è braccato dallo spionaggio della virtù come un furto è notato dalla polizia.

Nessuna inadempienza passa inosservata e ovunque c'è lesione se ne vede il segno. Non si possono più far sparire persone o beni tanto le cose sono, specie a Parigi, numerate, le case custodite, le strade vigilate, le piazze sorvegliate. Per esistere, il delitto ha bisogno di un avallo, come quello della Borsa o quello offerto dai clienti di Cérizet che non si lamentavano e che avrebbero anzi tremato se non l'avessero più trovato, il martedì, nella sua cucina.

- Ebbene mio caro signore, - disse la portinaia andando incontro a Cérizet, - come sta quell'amico di Dio, quel pover'uomo?...

- Sono l'agente d'affari della signora Cardinal, - rispose Cérizet, - le ho appena consigliato di procurarsi un letto per vegliare lo zio e manderò un notaio, un medico e una infermiera.

- Oh posso fare io da infermiera, - rispose la signora Perrache, - ho già assistito donne in procinto di partorire.

- Beh vedremo, - replicò Cérizet, - sistemerò la faccenda... Chi è l'inquilino del primo piano?

- Il signor du Portail... Son trent'anni che risiede qui; è uno che vive di rendita, signore, un vecchio assai stimabile... Voi sapete, i benestanti vivono del loro reddito... E' stato uomo d'affari. Son quasi undici anni che cerca di ridare la ragione alla figlia d'un amico, la signorina Lidia de La Peyrade. Oh, è curata benissimo, siate certo, e da due medici fra i più rinomati... Ma fino ad oggi niente è riuscito a farla rinsavire!

- La signorina Lidia de La Peyrade! - esclamò Cérizet, - siete certa del nome?

- La signora Katt la sua governante, che fa anche quel po' di cucina per la casa, me l'ha ripetuto mille volte benché, di solito, né il signor Bruno, il cameriere, né la signora Katt amino discuterne. Cavare informazioni da loro è come parlare ai muri...

Son vent'anni che facciamo i portinai e non siamo mai riusciti a sapere nulla del signor du Portail. Inoltre, caro signore, è anche padrone della casetta attigua, quella con l'uscita secondaria vedete? Così può uscire quando gli pare e piace e ricevere gente di lì senza che ne sappiamo nulla. Neanche il nostro proprietario ne sa più di noi; quando suonano alla porta secondaria è il signor Bruno che va ad aprire...

- Perciò, - disse Cérizet, - non avete visto passare il signore col quale quel misterioso vecchietto sta conversando?

- Toh! Ma no...

"E' la figlia dello zio di Teodosio", si disse Cérizet risalendo in calesse. "Sarebbe Du Portail il protettore che, in passato, ha fatto avere duemilacinquecento franchi al mio amico?... Se gli inviassi una lettera anonima per avvertirlo del pericolo che ventimila franchi in cambiali rappresentano per il giovane avvocato?" Un'ora dopo giunse una branda con tutti gli accessori per la signora Cardinal, alla quale la portinaia curiosa offrì i suoi servizi per prepararle da mangiare.

- Volete vedere il parroco? - chiese la mamma Cardinal allo zio che l'installazione del letto interessò non poco.

- Voglio del vino! - rispose il mendicante, - e nessun'altra medicina.

- Come vi sentite, papà Poupillier? - chiese la portinaia.

- Non mi sento affatto, - rispose egli sorridendo; - da dodici giorni non lavoro...

La mendicità religiosa, il suo posto sotto il portico di Saint- Sulpice erano il suo lavoro...

- Gli torna la memoria, - disse la mamma Cardinal.

- Mi derubano, fanno a meno di me, - riprese egli con occhiate minacciose... - Ah, eccoti qua, mia piccola Cardinal, un nome di Chiesa...

- Che piacere che vi siate ripreso! - esclamò la piccola Cardinal, che era sulla quarantina.

Il centenario era ricaduto.

- Fa lo stesso, sarà in grado di far testamento, come dice la mia "scimmia".

Gli uomini d'affari sono soprannominati scimmie dal popolino. Lo stesso appellativo viene dato agli appaltatori. - Non scordatevi di me, - disse la portinaia; - sono io che ho detto a Perrache di venirvi a cercare.

- Scordarvi! Scorderei il buon Dio allora figlia mia... Com'è vero che sono nata Poupillier di quel che riuscirò a ottenere ne avrete tanto da far scoppiare il grembiule...

Cérizet tornò verso sera dopo aver fatto i passi necessari per procurarsi i documenti occorrenti al suo matrimonio e aver provveduto alle pubblicazioni nei due municipi. Una sola tazza d'infuso di papavero aveva fatto piombare in un profondo sonno il vecchio Poupillier. La nipote e Cérizet presero il centenario e lo trasferirono da un letto all'altro. Poi, con rapidità spudorata, disfecero il letto e rovistarono il pagliericcio, la cassaforte dei mendicanti. Il pagliericcio era vuoto; ma il letto, al posto dei tiranti, aveva un fondo in legno simile ad un cassetto e il peso di quel letto, che il mattino la mamma Cardinal non era riuscita a spostare, si spiegò quando i due eredi s'accorsero che esisteva un doppio fondo. A furia di cercare, Cérizet finì con l'appurare che la traversa sul davanti era mascherata da un'assicella disposta come quelle che chiudono le scatole dei domino. Tirò quella linguetta e vide quattro tiretti spessi tre pollici pieni di monete d'oro.

- Le sostituiremo con soldoni, - disse toccando il gomito alla mamma Cardinal.

- Quanto ci sarà ?

- Novantamila franchi, trentamila almeno per tiretto, - rispose Cérizet, - la dote di vostra figlia. Ma rimettiamolo nel suo letto: sarà una cosa da nulla sfruttare questa miniera; il segreto, una volta scoperto, è davvero ingegnoso...

- Avrà trovato questo letto da avaro da qualche rivenditore di mobili... - esclamò la mamma Cardinal.

- Vediamo se riesco a portare via mille pezzi da quaranta franchi, - disse Cérizet riempiendosi le due tasche dei pantaloni, in cui ficcò trecento monete d'oro, le due del panciotto nelle quali ne cacciò duecento e le due del soprabito, ove ne sistemò duecentocinquanta nel proprio fazzoletto e duecentocinquanta in quello di mamma Cardinal. - Sembro molto carico? - chiese andando su e giù.

- Ma no!...

- Bene, in quattro viaggi l'oro dei tiretti sarà a casa mia.

Il vecchio sempre addormentato fu rimesso nel suo letto e Cérizet raggiunse piazza Saint-Sulpice dove prese una vettura da nolo per fare ritorno a casa. Per non dare adito a sospetti tornò una seconda volta accompagnato da un medico del quartiere Saint-Marcel che soleva visitare i poveri e conosceva le loro malattie, e la visita finì verso le nove. Il medico, vistolo così prostrato dall'infuso di papavero, dichiarò che il vecchio non sarebbe durato tre giorni; e non appena se ne fu andato Cérizet prese una...

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