Agnolo di Cosimo

detto

il Bronzino


I SALTERELLI DELL'ABBRUCIA

SOPRA I MATTACCINI DI SER FEDOCCO



I

Mentre che 'l gufo ruguma, e la frotta

gli cresce intorno degli scioperoni,

Bertuccia, toi de' fogli e de' carboni,

fammel da' piedi infin alla cicotta.

Questa mi par la Brutta inculincotta.

Dov'è la pelle? O questi drappelloni?

Ecco il giudice, o Ribi, ecco i braconi;

Maso ecco, Matteuzzo, e l'asse rotta.

Tu l'hai schizzato? O buono! Or perch'e' paia

più desso, to 'l colore e de' pennelli;

finiscil tosto pria ch'altri il dibruche,

ch'i corbi, e le cornacchie, e 'l Trentapaia

ci si son volti e voglionlo in brandelli.

Gli sta ben troppo! Or vo' che si conduche

un che me lo riduche

in istampa, e mandarne più d'un collo

pel mondo, e ch'e' si venda a fiaccacollo.


II

La targa del Fedocco e la biscotta

lama, provata a tutti i paragoni,

fann'andar la trivella strasciconi,

né più si ficca, anzi sdrucciola e smotta.

E poi che minchiatarra e bergamotta

ci arreca il Bratti ciarpa, i mascalzoni

nostri aprir doverranno a' cicaloni

e metter dentro gongole e pagnotta.

O sprunate mai più questa callaia,

e passisi alle verze e a' limonchielli,

e ogn'erba e ogn'albero si sbruche.

Pongasi fine a questa ciangolaia;

e cavinsi le stanghe e' chiavistelli,

o s'ardan gl'usci; e 'n qualche Marmeruche

d'un catelano a buche

vestite il parlar tosco, e por si vuollo

con quattro filze di lingue a armacollo.


III

Quel dì che 'l Carafulla alla Condotta

fu fatto cappellan de' fiaccoloni,

ferono i tafferugli e' lumaconi

romor d'abbottinarsi allotta allotta.

E s'e' non fusse stato il savio Motta,

che si pose alla guardia in su' cantoni,

e con bella sanopia i paroloni

scrisse e fe' che la turba stesse chiotta,

ogni lingua d'Italia e tosca e graia

esser voleva, e compro avea i panelli

per fare a chi più arda e più riluche.

Ma la presenza sua la fanciullaia

fermò, ch'avea già rotti gli sportelli

per dare il tutto in preda alle gentuche.

Ben vo', pria che si sdruche

la cornamusa, ognun le dia lo 'ngollo,

ma che s'accordi al nostro torlorollo.


IV

Dov'arrenò la frusta trivellotta,

armata di chimere e rovescioni,

e quanti furno a peso i verrettoni

che percosson la fabbrica nebrotta,

e se un ranocchio, a dir "guotte" e non "guotta",

sarebbe censurato da' rabboni,

e quanto buio, andando brancoloni,

s'imbottere' con la vostra barlotta,

vorrei sapere, e se la succiolaia

dal Pontevecchio, stampando cartelli,

vuol far tropp'arti, e a questo che l'induche,

e quanto sia 'l pescar d'una ragnaia

da grilli a braccia quadre e martinelli

tirato, e se tra' granchi e le pesciuche

di loliche e ferruche

può farsi un ponte, e di lolla, che 'n collo

tenga la piena che sì mal conciollo.


V

Quanto la luna divisa e quadrotta

tien la briglia del mare a' cavalloni,

tanto gl'allenta e sciôe come stalloni

quand'ell'è 'ntera o scema e mal raddotta.

E s'un mi presta e poi me le rimbrotta,

tengasi le sue brache e' suoi calzoni,

ch'i' vo' più presto al palio ir zoppiconi,

che sul dosso d'un barbero che trotta.

S' tu vuoi riprender, fa che e' non si paia,

castellan della rocca de' carelli,

conventato, mastraico, alifuche.

E 'ntanto intanto, a quel grembiul di saia,

scambi le verghe, e' botton per gl'ucchielli

poni, e di' cose da 'npregnar le ciuche.

Prima la pappa muche

questo bamboccio e vada a' bimbi e 'n collo,

poi cresca, impari e parli e patirollo.


VI

Mettiam ch'uno stidion sopr'una ghiotta

reggesse lepre o vitella o capponi,

e che d'arista il lardo a stranguglioni

vi gocciolasse sopra botta botta.

Che 'nporterebbe ch'una cucciolotta

più ch'un'altra volgesse? E di frasconi

fusse 'l fuoco o di pezzi? S' i bocconi

fussino stagionati e cotti a otta?

E, non avendo legne, alla tinaia

ricorrere e tôr cerchi e asserelli,

purché l'arrosto in tavola s'adduche.

E, per un fondamento, se la ghiaia

fusse d'Arno o di Tever? dovend'elli

star forte in tutti i modi e senza ruche?

Ogn'occhial che traluche,

pur che mi mostri il vero, adoprerollo,

e chi con ragion parla ascolterollo.


VII

Intendo che voi fate la raddotta,

Maestro Soda, degli scerpelloni;

dove saran gli strigoli e gl'arnioni

digrassati al Petrarca otta per otta?

Nuove cose vedrai, se vai a buon'otta,

felice etade, e quasi in processioni

ir gl'alfabeti e gl'enni andar cogl'oni

consolàti di maglia a tutta botta.

Vedrai, se arrivi a tempo, la mannaia

mescolar con la lancia, e' zolfanelli

cogl'oriuoli, e per ovunque ovuche

porre e non porre, e fare una grillaia

Pian d'i Giullari e quel di Monticelli,

e seminarli di loppa e fogliuche.

D'un ch'ordini e traduche

s'ha dunque a cercar fuori? Or come puollo

patir chi io so di non ci dar di collo?


VIII

Sarebbe mai la vostra galeotta

ita a traverso o smarriti i padroni,

ché d'agli, aringhe e sugo di stoppioni

non ci avete, tant'è, fatto condotta?

Noi speravamo, o nostra sempliciotta

fede, aver di corregge e busecchioni

copia, e di cervellate e zibaldoni:

folle chi troppo spera e chi tropp'ôtta!

Certaldo, Ancisa e 'l ponte alla Carraia

facean già trebbio, e stavan co' mantelli

tesi a 'spettar le grazie modenuche.

Or è converso il tutto il berta e 'n baia,

e, quel ch'è peggio, in cedole e 'n libelli

per le piazze, pe' canti e per le ruche;

e di vostre armiluche

braverie un mattufol sur un zollo

rizzar si tratta e alla guazza pôllo.


IX

Già nove volte in man la scurïotta

s'è presa, o arcifànfan de' frusoni,

per farvi andar girando a balzelloni

come palèo che barbera e pirlotta.

Dovete aver sentito una manotta

gagliarda intorno al capo, di tempioni

fornirvi, di cazzotti e rugioloni,

né per molto aggravar mai perder dotta.

Imparerete a frugar la vespaia,

e destare il Giordan che vi sbudelli,

e sverre al lion bravo le peluche.

Or nuova tela, e con nuove telaia,

d'altra trama e d'altr'opra in su' cannelli

si mette in punto a far toghe e vestuche,

acciò s'inconte e 'nduche

di Giron, di Grosseto e Battifollo

Vostra Minchioneria, che pur dirollo.


X

Non vogliate però partirvi a rotta

così da noi, ch'i vostri midolloni,

cenci molli, fardate e buffettoni

vogliam pur darvi, e qualche pizzicotta.

Che la padella il grifo, e 'l Mangiabotta

v'adorni il crine e 'nmerli e 'ntorrioni

bisogna pure, e ch'e' si canti e suoni

la vostra festa, e ve n'andiate allotta.

E non vi manchi Querceto e Legnaia

ch'e' v'accompagni, e San Donato abbelli

di porpora e di fregi le spalluche.

Poi fatto questo, vi converta Maia

in Argo, o Apollo in Marsia; e si cancelli

tutto 'l dare e l'aver delle cartuche,

che sare' schifo altru' che

più ne parlasse. Or pigline l'accollo

la Civillara o 'l chiasso Buonbigollo.


XI

Itene, Salterelli, ite; e qual otta

sarete accesi e tratti da' vecchioni

mattaccin padri vostri, i cotennoni

fuggite e la lor setta stoicotta.

Ch'e' vi farebbon ceffo; e già fu otta

ch'i' fui per non vi fare, alle cagioni

loro: or voi siete un giuoco da baioni:

fra loro entrate scherzando tal otta.

E poi che 'l Buon Visin, né 'l Tasso all'Aia

più non si trova, e Giomo è spento anch'elli,

e tante savie e liete anim'arnuche;

itene, Salterelli, alla Topaia

savia e faceta, e non fia chi v'appelli

dell'ir saltando ove il furor vi duche.

Indi alle magion Luchê

passate; e se mai Caro aravvi, arollo

caro "ancor io", se così dir potrollo.



AGGIUNTA DI FRA STOPPINO


I

Ancora al naso questa scarpellotta

e duo musate e quattro mostaccioni

biccigongoli cinque e di punzoni

una rifrusta; e fia l'opra condotta.

A cavarli duo denti? Ohimè no, potta

di Giuda! e' non potre' questi bocconi

morder di terra: or via su, ginocchioni,

poppi lo sterco e poi pigli la trotta.

Non lo lasciar' andar, tu vo' la baia:

bisogna ch'e' si sbalzi e si carelli,

e poi docciarlo; ma pria se gl'abbruche

questa barbaccia e questa cerfugliaia

e svelgansi le ciglia a' nipitelli,

e che tutto si pomici e rasuche;

poi tra spine e fronduche

d'ortica farli un letto sollo sollo;

e stievi tanto ch'io vadia a ricollo.


II

Poco ci andrà che la reina Isotta

fracida de' par vostri Salamoni

verrà con otri e casse e bariglioni

a visitarvi e darvi di scuffiotta.

Uscite incontro a sì bella carnotta,

che vi farà venire in bietoloni,

co' vostri brodi e caci mezzelloni;

e fate un pasto alla castelvetrotta.

Parlate basso e poco, e, perché 'n baia

non foste messo da quei suoi satelli,

tenete sempre in gola duo molluche

di zuppa, accio che quella rantolaia

e quella mucinaglia a' garganelli

s'allarghi alquanto e si rammorbiduche:

ma fia me' ch'un vi cuche

la bocca o vi rinzaffi un buon catollo;

ch'al primo so le cadreste di collo.


III

La vostra tanto vaga quanto dotta

ultima cianfrusaglia de' cestoni,

che la fame lasciò, degna de' suoni

di que' fattor che vengono a mal'otta,

è arrivata: e chi la scassa e sbotta

afferma ch'ella sa di pedignoni,

e, se non ch'ella è bieca e va a tentoni,

avrebbe un'andatura troppo ghiotta,

ciò è sendo una bestia: e dice il Baia

che que' suoi fogli a razzi e salterelli

serviran tosto a tonnina e salsuche

ma quel che v'è rinvolto, ancor ch'appaia

qualcosa e' tanto puta; izze e tranelli

son tutte e novellucce da donnuche

quest'invidie e rabbiuche

bugie, gare a tuo danno, io 'l dico e sollo,

hai mercatato e legatelo al collo.




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