Didimo Chierico

(Pseudonimo di Ugo Foscolo)



IPERCALISSE


Libro singolare di Didimo Chierico
profeta minimo

Traduzione di G.A. Martinetti



Lor. Alderano Rainero C. I.
al Cav. Giulio Ricardo Worth Sal.

      L'autore della notizia intorno agli studi e i costumi di Didimo, stampata or sono due anni a Pisa, aveva ad altri pochissimi e a me permesso di copiare questo libercoletto che tu vedi, o Giulio, a patti che non si pubblicasse: la qual cosa fu da me finora religiosamente osservata. Perch'era a temere che gl'importunissimi fra gli scrittori non prendessero novella occasione di lucro; essendo ben noto che tra gl'italiani si fa mercato di risse. Il quale contagio ebbe primamente origine dalle gare de' municipi, fiorenti tutti di loro particolare libertà, ma privi d'armi e di un unico reggitore. Quando poi la gara degenerò in discordia, crebbe anche la malignità nelle lettere, siccome necessità della servitù che s'andava introducendo. Ora finalmente, specie da questi diciott'anni, da che la tua Bretagna professa di difendere i comuni diritti del genere umano, noi frattanto col nostro sangue

scontammo gli spergiuri del Re Corso:

se i costumi della servitù abbiano corrotto le lettere, o le lettere la servitù non te lo saprei dire facilmente. Ma poiché le Muse ti hanno indotto a venire in Italia, dove ancora godono dell'antico culto, e alleviano le nostre miserie, e qualche poco ci valgono presso i popoli più fortunati; tu allora hai potuto vedere che taluno de' loro cultori palesemente per adulazione, più spesso nascostamente per libidine di diffamare, si prostituiscono all'utilità d'ogni nuovo padrone, o sono vilmente abbandonati alla impotente maldicenza de' servi. Ma l'adulazione gradita a pochi, molto meno è utile agli scrittori. Mercurio essendo più servizievole, s'avvicendano lucro e vituperi, e quello che più

lo spesso volgo ascolta avidamente.

      E avvenne per l'appunto ciò ch'io temevo. Perché uno di quella genìa d'uomini letterati, la quale è ipotecata a' librai, essendo, non so come, riuscito a carpire alcuni capi dell'Ipercalisse, ne pubblicò una parafrasi volgare, piena zeppa di prolisse interpretazioni: maltrattò inoltre tanti uomini, per ingegno e per dottrina ragguardevolissimi, da muovere la bile a chicchessia. Tu poi, Giulio, il quale la cortesia de' Senesi e testé hai sperimentato, e il ricordarla ti piace, non potrai sopportare che tanto l'interprete quanto il tipografo abbiano taciuto i loro nomi, e solamente fingendosi cittadini Senesi, abbiano calunniato una città per soavi costumi e religiosa ospitalità veramente specchiatissima: come se i Senesi sapessero comportare che si abbiano ad irritare quelli stessi, i quali, venendo tra loro, essi accoglierebbero con tutta la cortesia. Sebbene né una pagina, né una riga forse troveresti in quella parafrasi che non senta d'idiotismo Lombardo: talvolta anche di ricercata Fiorentinità: il che è manifesto indizio di letterato Lombardo. Questo non spiegherò a te, che di tale controversia vorrei giudice, ma a' tuoi concittadini e a chi non conosce le lettere nostre.
      Una grazia nativa sorge spontanea su le labbra del popolo Fiorentino: i vocaboli tuttavia, sebbene di felice natura, vogliono, perché splendano negli scritti, scelta accurata e assidua meditazione dello scrittore. Ma alcuni, i quali e in Firenze e nelle vicine città si dànno a' libri, scrivono di tale maniera, che la nostra lingua non figlia primogenita della lingua Romana, ed erede ricchissima, e libera per ragione della sua origine; ma sembra piuttosto bastarda, nata fuori tempo, e sorella servile della lingua Francese: sì perché, com'usa tra gli uomini, guastano l'abbondanza con la negligenza; sì perché trascurano di ripulire le proprie cose, siccome quelle che sono comuni con la plebe; o piuttosto perché vogliono aver riguardo de' lettori avvezzi alla lingua de' Francesi, la quale millantano filosofica ed universale. I Bolognesi al contrario, i Milanesi, i Veronesi particolarmente, e quelli altrove che la fanno da Orbilio, vanno senza scelta racimolando arcaismi e locuzioni ridevolissime, a bella posta introdotte da' novellieri in leggeri componimenti; spessissimo anche i solecismi che nelle antiche commedie piovono di bocca a un qualche Davo o Siro, o frate mezzano; talora gli stessi spropositi degli amanuensi e de' tipografi, comparsi nelle prime edizioni degli antichi scrittori. Pertanto non dall'arbitrio dell'uso, o dall'accordo de' suoni, né dall'analogia, né dalla fecondità dell'ingegno, né dal decoro della materia; ma derivano la norma e il precetto del parlare dalla superstizione delle scuole. Ma perché cosa pessima a farsi ben sovente con ottimo consiglio la si mantiene, stabilirono per esempi e per legge d'introdurre questi modi plebei nelle storie e nelle scritture di genere più nobile: cioè, essere conveniente ridare alla lingua le primitive forze e la genuina bellezza: né ciò potere alcuno interamente conseguire, se non si rimettano in onore innumerevoli vocaboli immeritamente dimenticati. Oh non mostrasse piuttosto la lingua una miserrima bellezza decrepita! Lepidamente il poeta senese deride cotesta gente:

troppo Toscano il non Toscano accusa:

al qual verso Oraziano schietto, aggiungerò l'oracolo del tripode Venosino; tanto più volentieri, in quanto che in un codice particolare di Didimo trovai una lezione nuovissima (non ancora avvertita da nessuno, neppure da Ric. Bentley; il che però non mi fa meraviglia, poiché trattavasi de' suoi altari e focolari):

certi vizi cansar volendo, i dotti
dan negli opposti.

Ma anche questi vizi provenuti da menti guaste finirono in ogni sorta di servitù. Così, mentre altri inclina alla novità, altri all'antichità, s'andò finalmente perdendo quella forza geniale e, per così dire, nuova libertà, moderata dalle regole degli antichi, a tal segno che la moltitudine de' lettori non può neppure congetturare se tu abbia scritto atticamente o all'uso Cario:

Naste a' Cari di barbara favella
è condottiero,

Non vedi che la barbarie de' vocaboli fu derisa anche a' tempi Iliaci? Ma a' tempi nostri non assurdamente il Pseudosenese aveva sperato, non potersi dal solo indizio della lingua, se non da pochissimi, scoprire l'inganno.
      Né io mi sarei impacciato con questo garrulo scrittorello, ov'egli, lodandomi sinistramente, non mi avesse fatto segno all'invidia, ch'io temo assai, degli uomini dotti (bollati, siccome ho detto, dall'impudente letterato). Perciocché Didimo trovò nella biblioteca di non so quali frati un'antica dissertazione intorno all'Eunucomachia, cioè, intorno all'uso della filologia battagliera e lucrosa. Ne farò, Giulio mio, per tuo amore un compendio. — Poiché Mercurio bambino rubò i buoi al barbato Apollo, i due Iddii, sebbene fratelli e nati da Giove e beati, si odiavano a morte. Per la qual cosa intervenne il Padre con l'autorità sua grande, e fu per legge provveduto: i poeti non siano mercanti: parimente i mercanti, non siano poeti. Pena privata, il debito: pena pubblica, il disprezzo. Questa legge a Mercurio assai gradita, spiacque grandemente ad Apollo: siccome quegli che per divina prescienza sapeva, che tutti i più ricchi, i più nobili, i più valenti de' mortali avrebbero finalmente sdegnato l'arte di scrivere; laonde i suoi clienti, se anche non attendessero alla mercatura, sarebbero spesse volte travagliati dall'indigenza. Del che molte e vive discussioni si tennero nel concilio degli Dei, finché Giano bifronte disse tante e sì acconce parole, che non solo persuase Giove a temperare la legge, e Apollo ad ubbidire di buon grado a' comandamenti del Padre; ma e Marte pure placò. Perciocché Marte non sapeva sopportare che i poeti, i retori e i grammatici e gli altri tutti chiamati promiscuamente eruditi, si astenessero dal guerreggiare. Fu pertanto fatta una nuova legge, per la quale, poiché è destino che i mortali abbiano immortali inimicizie, i potenti e i generosi combattono con le armi; i servi ignoranti, a' quali le armi sono vietate o pericolose, co' bastoni: ma i servi eruditi contendono, invece di bastone, forniti di calunnie, talvolta sino alla morte, non mai senza qualche guadagno.
      Costoro adunque non avrei, o Giulio, potuto sfuggire tacendo. Aggiungi che il Pseudosenese, per mettermi vie più e più sicuramente nell'imbroglio, e indurmi ad acconsentire alla sua frode, riuscì a conciliare fede alla menzogna: poich'e' professa d'avere solamente ottenuto il permesso per undici capi dell'Ipercalisse; per ciò non conoscere appieno le singole allegorie: anzi, potersi questo ottenere da me solo. Sembrami pertanto di dovere affrettare che l'Ipercalisse esca alla luce, restituita alla sua ebraica latinità; e nuda e intera, e schietta affatto d'inventate riprensioni. Benché temo, che quegli stesso, che m'aveva affidato il libercolo non manifesti il suo dissenso; tuttavia non solo equa, ma giustissima, se necessaria, è la giustificazione: specialmente quando tentiamo distruggere, a detestazione dell'invidia, ciò che altri fece per guadagno. Ma non ne feci tirare più che CIV esemplari: con l'intenzione cioè, che questa genuina edizione paia piuttosto biasimare l'inverecondia della furtiva versione, che dare qualche peso alle ambagi di Didimo.
      Grande tedio in vero, Giulio mio, e niente affatto giovevole credo si cerchi colui, il quale s'assuma d'interpretare l'Ipercalisse. Sebbene molti forse siano stati, i quali giudicassero che ogni vocabolo ha i suoi significati, che agl'intendenti sono apertissimi: e certi curiosi aneddoti, come dicono, accertassero potersi congetturare; altri la pensano diversamente; anzi crederanno che o un burlone, o tocco nel cervello, o pazzo frenetico, e comechessia insulso uomo, abbia voluto scherzare. Del che tuttavia questo solamente mi consta; che la ragione di questa scrittura ben corrisponde. in tutti i suoi numeri, al proprio fine: ma quale sia, taluno potrà dire con probabilità; prudentemente nessuno. Non mi vergogno di confessare ch'io non l'intendo: ciò non solo confesso, ma anche mi è più tollerabile che abusare dell'occasione di far l'indovino; e, od essere ingannato e ingannare; oppure, se qualche cosa avrà a bella posta lo scrittore adombrato con ambagi, poco cautamente e meno onestamente svelare. Perciocché io dubito talora, se Didimo sia il più astuto de' mortali; talora, se il più pazzo; Marco Gioviano Rainero figlio di Marco, mio concittadino e congiunto, il quale mentre trovavasi agli stipendi del Re di Baviera, aveva avuto qualche familiarità con Didimo, lo richiese, per mia preghiera, di spiegazione: n'avemmo la risposta della sfinge. Eccoti, o Giulio, qui trascritta la lettera.

DIDIMO CHIERICO
A M. G. RAINERO CAV. GER. SAL.

      All'antico Didimo accadde una volta, che opponendosi a un racconto, siccome falso, gli fu mostrato un suo libro che lo conteneva: la qual cosa a me pure oggi avviene, ma a quello, perché aveva scritto moltissimo: a me, perché quasi nulla, quando e le innumerevoli cose, e le pochissime cadono ugualmente per lo stesso fato in dimenticanza, principalmente ad un uomo il quale dalla prima virilità fece proponimento di né più scrivere, né più leggere. Allora, non so in qual anno del secolo, presso Bologna fra' Morini, regalai tutti i miei scartafacci a un capitano tuo familiare che ne usasse a suo beneplacito. Ch'io abbia scritto l'Ipercalisse (nome del tutto nuovo a me) non ricordo. Da Iacopo Annoni sacerdote intemerato, ottimo uomo udii, ch'io nell'adolescenza sveglio sano e sobrio (perché sono astemio) vidi cose prodigiose, tosto scribacchiai per tre giorni. Questo pure non ricordo, ma che allora forse io abbia scritto un libercolo sibillino, non negherò: non ricordo, né desidero leggere; né, come chiedi, narrare saprei, né vorrei, che anzi circa l'edizione da intraprendere, voglio si consulti Apollo Didimeo. La verità, se pure alcuna è negli enimmi, è nascosta quasi seme che senza offesa de' contemporanei, senza frode de' posteri fiorirà, col tempo: se al contrario è cosa da giuoco, l'età stessa e le baie, e gli autori, e i profeti metterà in derisione. Veramente, e che un mortale vaticini, e dimentichi affatto le cose scritte: né l'uno né l'altro tu potrai credere: quanto a me, mi basta che molte cose spesso siano state e vere e incredibili. Che? Non fu al cieco Didimo divinamente manifestata la morte di Giuliano? — Ho scritto più che non soglio: ma volli con questa lettera siccome con un editto ammonire che niuno turbi la quiete a un uomo il quale presto morirà. Salute. Ufenau presso il sepolcro di Ulrico Hutten.
      Ma poiché è pur giuocoforza seguire il proprio Genio o Fato, ed anche le proprie passioni, sarà difficile ottenere che qualcuno non segua di miglior voglia l'esempio del Pseudosenese che il nostro. Perché, chi non sente di sé altamente? Chi perciò non crederà detto a sé il verso d'Euripide:

Chi ben congettura ottimo profeta:

il quale, a mio malgrado, vedi nel frontispizio intorno al ritratto di Didimo? O chi non vorrà tramandare a' posteri i singoli oracoli del Profeta minimo del proprio ingegno illustrati, sì come tutte le singole testimonianze? Né io vorrò negare che altri possa sapere quello ch'io non so: ma ben convengo con chi crede stolta la scienza, la quale manchi di sapienza:

poi che il senso comune è raro in quella
dottrina.

      Adunque, s'io non avessi scrupolo di fare qualche mutazione nell'autografo, in luogo dell'inscrizione tolta al Tragico greco, metterei la sentenza sapientissima del Comico latino:

Sai tu ben non saper quello che sai,
quindi tacendo più saggio sarai?

Forse con questo ricercato concorso della stessa lettera il Comico morde Euripide, Sofocle, e gli altri gravissimi poeti, i quali talvolta si compiacevano di simili artifizi di parole: come quello d'Ennio:

Tito Tazio tiranno, ti attirasti
tu stesso tanti affanni.

Questi gli antichi retori difendono: questi ammirano i moderni; chi ardirebbe dire doversi abbandonare? ciò solo io oserei non senza rossore chiedere dagli uomini dottissimi, che facciano grazia alle parole del Comico antico, né si ridano della sentenza: " Chiunque mette fuori loquacemente tutto ciò che anche ottimo apprese, opera da uomo stoltissimo". Veggano specialmente gl'interpreti dell'Ipercalisse, che in essi non si adempia la parola del Profeta minimo: L'ignoranza degli asini val meglio che la stoltezza dei dotti.
E qui non ignoro (sebbene manchino venali e maligni commenti) ch'io l'avrò durissima con quelli a cui più sodisfa il figurare comechessia nelle stampe che non essere affatto nominati: i quali certo vorranno credere che gli enimmi siano a loro offesa piuttosto che d'altri: di questi cotali io conosco tre sorte. La prima è di coloro a' quali non manca qualche buona fama, ma per libidine di accrescerla, si affannano miseramente: sempre temono insidie; scorgono d'ogni parte venire nemici; checché abbiano con diffidenza da vecchierella intraveduto, tengono per certo: si lagnano che innocenti e benemeriti delle lettere sono assaliti di calunnie; riparano al Mecenate; implorano che si rimetta l'inquisizione da Augusto instituita contro i libelli famosi: sollecitano la severità del Principe; s'accaparrano l'aiuto dei giornali, e si appellano all'equità del genere umano: cioè grandissimo pericolo dovere al mondo intero avvenire dal danno delle lettere. La seconda è di coloro a' quali, poiché non possono conseguire neppure una fama qualsiasi, sembra gran guadagno lo stuzzicare altrui; cercano e afferrano occasioni di litigio; non hanno speranza di vittoria, ma temono la pace: non tanto hanno caro di giovare a sé, quanto di nuocere ad altri. La terza sorte è di coloro, i nomi de' quali sono famosi, il pudore nullo; studiano di rendersi celebri con l'audacia e col disonore; né temono di manifestare essi stessi i propri vituperi, purché acquistino in qualche modo rinomanza. Perciocché come i mortali che sono travagliati dalla brama della lode, se hanno ricchezze, fortuna, ingegno, spessissimo compiono chiarissime geste; così quegli altri che di tutto questo sono privi, e sono presi dalla stessa ebbrezza, niuna ridevolezza, niuna infamia vien loro in pensiero che subito non mettano in opera. Pertanto il dottissimo, e talora (il dirò con tua buona pace) elegantissimo de' poeti latini, finse la Lode che a mo' di Baccante agita il tirso:

Grande speranza mi percosse il core
col tirso della Lode.

Grideranno adunque in tono magistrale che l'Ipercalisse fu temerariamente e malignamente pubblicata quasi seme di risse, delle quali nondimeno sono avidi. Ed ecco malignarmi; accusarmi; strascinarmi in giudizio; piantar lite; inquisirmi senza autorità; dirmi sovvertitore delle lettere, nemico della patria; farmi reo di lesa maestà: finalmente doversi l'editore e lo scrittore dell'Ipercalisse condannare a morte; il tipografo e i librai gravemente multare; i lettori cacciare in esilio. Però, se il giudice dell'accusa la conoscesse, la legge santissima dell'imperatore Giustiniano: Se qualcuno operando sarà ito più là che non era la sua intenzione, mi sarà sufficiente difesa. Ma altrimenti andrà la cosa,

giudicando la plebe, che conosci,
la quale stolta dà gli onori spesso
agl'indegni: -
                    e se a segno col bastone
non la tieni, la turba premeratti
che ti sta intorno, e scoppierai di rabbia:

dalla quale gli uomini dottissimi prendono in prestito le ire e il linguaggio. I colpi dell'ire, sentendomi puro, incontrerò virilmente: ma le ciance (dacché lessi il dialogo dell'Eunucomachia) temo grandemente. Pertanto, se in qualche cosa avrò errato, non ricuso la penitenza: cerco di tener lontane le risse: mi mostro sottomesso, e, pagata la taglia, desidero la pace o almeno la tregua:

mi fia segno di pace dei tiranno
aver stretta la destra.

Che se a tale pace, sebbene gloriosa, preferiranno turpissime risse, io avrò più caro d'esser condannato muto, che trionfare loquacemente. Quel Crisippo, che Cicerone chiama il più destro, il più ingegnoso, il più sagace degli Stoici, sdegnando di ribattere gl'ingannosi soriti dell'Accademia, ritrovò un altro argomento dialettico che chiamava toèn h|sucaézonta loégon; cioè, quand'altri insiste nelle parole, doversi tacere.

      Né io intercederò per Didimo, che sperimentai uomo di tanta dolcezza, da neppure invidiare a' suoi nemici i piaceri della vendetta: inoltre così incurante delle umane cose, che ignorava il quando, o il perché, o con le armi di quali popoli si combattessero le perpetue guerre del nostro tempo: né sapeva i nomi dei Re; né chi fossero i padroni delle province Europee: e non usava orologio o calendario: non contava le ore, i giorni, i mesi, gli anni del secolo. Vedano ancora gli uomini eruditi che non se la piglino con un uomo morto: perché dopo quella lettera scritta da Didimo a M. G. Rainero, se morto ei sia o vivo, e che di lui sia avvenuto, non so.

Del resto, perché altro più non mi chieda intorno a Didimo, troverai in fine dell'opuscolo la notizia già stampata in Italia, che ho rammentato sul principio dell'epistola. Aggiungerò che si trovano nelle mie mani due codici autografi, de' quali l'uno ha questo titolo: {Upohnhmaétwn bibliéa peénte cioè (secondo quanto interpreta lo scrittore della notizia) libri memoriali cinque, intorno la propria vita, che Didimo stese in istile Greco-Alessandrino, non so con quale intenzione, seriamente però; e voglio una volta pubblicarlo, con la versione sia latina, sia italiana: l'altro, che dallo scrittore della notizia è appellato Itinerario a' confini della repubblica letteraria, manca del titolo: solamente ha innanzi quest'epigrafe tolta a Fedro:

Cosa da scherzo sembrati, e da vero
è lieve: alcun subbietto non avendo
più grave, ci spassiam con la penna,

ma non credo di doverlo pubblicare. Vedo nell'itinerario che Didimo scherza talvolta, ma con molta urbanità: tal altra motteggia piacevolmente: più spesso però si trastulla alla buona e dice inezie puerili: attesta anche d'aver veduto nelle parti recondite di un'Accademia una legge incisa a lettere maiuscole sovra una colonnetta di bronzo; in questo modo:

S.F.F.E. A . NESSUNO . DI . FRODE . TUTTI . GLI . SCRITTI . ANTICAMENTE . OSSIA . IN . LINGUA . ANTICA . DETTATI . ANCHE BREVI . SI FACCIANO . CONOSCERE . E . STAMPINO . SONTUOSAMENTE . A . UN . NOBILE . DESTRO . O . SINISTRO . E . AL . QUALE . SIANO CONVENEVOLI . E . GRADITI . SIANO . DEDICATI . CON . PREFAZIONE . SPECIALMENTE . LATINA . BREVE . IL . MENO . POSSIBILE SI MAGNIFICHINO . NELLA . QUALE . MOLTE . COSE . SEBBENE NON . C'ENTRINO . AFFATTO . SI . DIRANNO . CARMI . GRECI . E . ROMANI . A . UNO . A . DUE . A . TRE . A . MOLTI . PER . VOLTA . SI DECLAMINO DAL . SANTUARIO . DEGLI . SCOPRITORI . RINNOVATI . CON . VARIA . ED . INUDITA . LEZIONE . PARIMENTE, . ALQUANTI VOCABOLI . Dl . TUTTE . LE . LINGUE . RICAVATI . DA' . TESAURI.

DECRETO

A . CHI . PER . QUESTA . LEGGE . SI . RENDERÀ . NOTO . UNA . VOLTA . SIA . PRIMA . CARICA . IL . SALIRE . IN . CATTEDRA . CHI . DUE ABBIASI . MAESTRO . CHI . TRE . SI . CHI . CHIAMI . CELEBERRIMO . SE . ALCUNO . FARÀ . ALTRIMENTI . AVRÀ . SCEMATI . GLI . EMOLUMENTI SARÀ . REO . DI . LESA . LETTERATURA.

Ed io, poiché volle la mia fortuna che mi toccasse, sebbene a mio malgrado, il carico di editore; mi studiai nondimeno di non adempierlo se non se rettamente: cioè non secondo la legge immaginata forse da Didimo, ma secondo il perpetuo consentimento degli eruditi, il quale ha valore di legge: perocché stimano vergogna non tanto l'ignorare, quanto il trattare contro l'uso le lettere. Pertanto, affinché non paia ch'io mi diparta dalle comuni leggi della filologia, scrissi a te, Giulio Ric. Worth, questa lettera, poco latina forse, verbosa assai: nella quale, perché né a te né ad altri rimanesse nascosto nessun motivo dell'edizione dell'Ipercalisse, molte e varie cose compresi. Eccoti anche il libricciuolo stampato lindamente, e adorno delle stesse figure disegnate nel manoscritto: queste cure inoltre usai per apprestare a te dell'eleganze tutte, e degli appassionati per le biblioteche amantissimo un piccolo dono tipografico. Salute. Pisa. Il primo di luglio del 1815.





CAPO PRIMO

1. Visione di Didimo chierico sopra Ieromomo monaco.
2. E avvenne che Ieromomo non ancora diacono scriveva diari nel recesso del tempio intorno il rege, il gregge, la legge e i profeti: E lo spirito di lui obbediva al danaro.
3. Godeva anche de' funerali e dell'esequie de' villici: E quando gli orfani e le vedove non avevano il cero per la sepoltura de' congiunti, Ieromomo minacciava ad essi la parola del Signore:
4. Guai villici! come mai vi allontanate dall'orazione dei santi? Portate il vino, e il frumento, e gli oboli dell'elemosina affinché il sacerdote non si contamini nel lutto: Se il sacerdote e il chierico non pregheranno per i vostri defunti, il diavolo li divorerà nella geenna del fuoco.
5. E io Didimo ricordai la parola di Dio: Guai a voi, scribi e farisei ipocriti: perché divorate le case delle vedove mormorando lunghe preghiere.
6. Pertanto mi dilungai dalla vita di Ieromomo: e solamente scrivevo giornali con esso.



CAPO SECONDO

1. E avvenne che nel diciannovesimo anno, nel sesto mese, nel dì terzo del mese dal mio battesimo, in giorno di domenica, nell'ora prima avanti i vespri, tremò l'arbore, e vidi una visione:
2. Nella terra della trasmigrazione degli Aramei, lungo il fiume della città di Firza, nella campagna che dicesi Ptomotafio: che gli uomini Aramei interpretano, sepolcreto di quadrupedi.
3. Io nato al colle de' cipressi, dirò tutto ciò che vidi nella visione e che udii nella capanna.
4. Chi ode, cerchi: e chi non ha occhi, riposi nelle mie parole.
5. E dormendo sotto un fico, con le labbra aperte, se mai il vento che scolava il fico mandasse i frutti nella mia bocca: si fe' silenzio intorno l'anima mia, e il calore m'avea rilassati i nervi e le giunture: perché era il mese de' fichi.
6. E le orecchie mie udirono tuoni nel sonno: e colpi quasi di grandine mi percotevano il naso.
7. E io destatomi per il dolore del naso aprii gli occhi, e il terrore entrò nelle mie ossa: perché l'arbore si agitava siccome per tempesta, e il cielo era senza tempesta.

8. E i fichi più acerbi mi percotevano il naso: e il latte loro colava più amaro del fiele e dell'assenzio: e i fichi più maturi pendevano da' rami.
9. Pensando congetturai che il diavolo dimorasse nell'arbore, siccome fu scritto da' poeti ne' canti delle genti e ne' libri delle metamorfosi.
10. E levatomi vidi un giovane uomo militare con la sciabola e l'elmo e il cimiero, avente nella mano sinistra un corno di cacciatore: e con la destra scoteva il tronco del fico.
11. E dissi: Scostati, Satana: e i miei piedi correvano lontano dall'arbore, correvano come su le reni de' cavalli.
12. Allora un suono terribile mutatosi a poco a poco in voce d'uomo, gridò: Sta: E io caddi bocconi, e udii la voce del gridatore: Sta su' tuoi piedi e parlerò teco. Io frattanto levatomi correvo lontano dalla voce.

13. Di bel nuovo la voce chiamandomi col mio nome, e col nome del padre mio, e col nome dell'avolo mio, mi teneva dietro: l'uomo militare correva calzato di stivali, e con speroni ferrei: e il suono della sciabola nella ferrea guaina strascicante sopra le pietre empié di freddo i miei polpacci, mentr'io entravo nella capanna del bifolco del mio contubernale per fuggire il terrore d'inferno.
14. Ed ecco a' miei occhi sedente sopra un fastello di fieno con un canestro nelle mani una vecchierella che si chiamava Margherita.
15. E l'uomo militare stando su la soglia della capanna mandava col corno lo squillo delle torme nel momento della battaglia.



CAPO TERZO

1. Segno che fu fatto a Didimo chierico dalla vecchierella Margherita mentre l'uomo militare col rimbombo del corno scacciava tutti i giovani lascivi e le figlie della campagna dall'uscio della capanna.
2. I bovi del bifolco, al suono della tromba, temettero il macellaio, e mandarono lungo muggito: I forti tori davano delle corna nella greppia, e il loro membro genitale protendevasi nell'ira: Gli agnelli lattanti correvano alle madri, e le madri e gli agnelli si stringevano scambievolmente per la paura: E i cavalli dell'aratore col nitrito chiedevano la pugna: E i porci grugnendo scorrazzavano qua e là atterriti per la stalla: E il cane del pastore con lungo ululato predisse funesto augurio. Ma la vecchierella Margherita faceva, senza tema della mente, orazione al Signore.
3. E vedendo la fortezza e la fede della vecchierella l'abbracciai: e piangendo come un fanciullo esclamai Ah Ah.
4. E la terza volta aperta la mia bocca ad esclamare: Ah, quella vecchierella pose nella mia gola il dolce fico che unico aveva nel canestro.
5. E mangiai il fico: e si fece nella mia bocca, siccome miele, dolce.
6. E quella sporse innanzi a me il canestro vuoto. E l'uomo militare disse a me: Se pianterai la vigna e il frutteto il ventre tuo quieterà, e i pensieri tuoi saranno sanati.
7. Fa che codesto canestro, ch'io ti do, s'empia col tuo sudore e con la tua fatica nel nome di Dio.
8. Perciocché con qual mente aspetti supino il vento e la procella che mandino i frutti nella tua bocca? sonno e morte sorprenderanno l'anima tua.



CAPO QUARTO

1. Dopo questo si fe' ancora sentire il rimbombo del corno dell'uomo militare, e udii la voce di lui: perché stava su l'uscio della capanna.
2. Veramente è meglio il sonno che la frode: meglio è la morte della vita che il mal nome e l'ignominia: ma ottimo il mangiare il pane con l'opera delle proprie mani e vigilare in fatica onesta.
3. Destati, Didimo, destati: volgi gli occhi a' lumi del cielo, e al Signore che creò il cielo e la terra, e l'uomo affinché per desiderio del cielo lavorasse la terra.
4. È scritto: Un poco dormirai, un poco sonnecchierai, un poco giungerai le mani tue per prender sonno: e verrà a te quasi malandrino l'indigenza, e il vituperio quasi uomo armato.
5. Ed ecco che tu accatti il viatico dell'insipienza e dell'infingardia e dello scandalo: perché scrivi effemeridi contro i tuoi fratelli cercando lucro nell'adulazione e nella calunnia.
6. Tu se' chierico: che dunque hanno a fare i giornali col chierico? Insegna a' fanciulli l'orazione che apprendesti nel tabernacolo santo: leggi a te e a' contadini le parabole della verità:
7. Perché Dio ama i fanciulli e i pusilli e i poveri: renderà quindi a te il bene secondo la carità tua per essi.
8. Predica a' poveri l'orazione domenicale: affinché chiedano nella tranquillità della mente e nel sudore della fronte il pane quotidiano:
9. Affinché nella pazienza del cuore imparino a rimettere il debito a' debitori ricchi che non dànno all'operaio la mercede:
10. Affinché, quando leggi, greggi, regi de' figli d'Adam saranno travolti, saranno sovvertiti, ritorneranno su la faccia della terra, gli agricoltori e gli operai adorando esclamino: Facciasi la volontà di Dio siccome in cielo anche in terra.
11. Così per lavoro onesto avrai pane e pace dentro il tuo cuore.
12. Guardati sopra tutto dallo scrivere giornali: meglio il sonno che la frode: meglio è la morte della vita che il mal nome e l'ignominia.
13. La memoria degli scrittori tutti di effemeridi sarà un miscuglio di adulazione e di rimprovero, opera d'uomo perverso.



CAPO QUINTO

1. Peso di Ieromomo.
2. E la voce dell'uomo militare si faceva vie più sentire: Uomo, uomo del colle de' cipressi, figlio di Rafael figlio di Serafim, conosco l'opere tue, e l'adulazione ad allettare i tristi, e le tue contese contro i profeti, e le insidie contro l'anima mia: tu se' vivo e morto.
3. Ma perché odii le opere di Ieromomo a danno delle vedove, rimetto a te i peccati.
4. Ritorna dalla via tua pessima: perché leggerai con gli orbi, e salverai col calunniatore: e il tempo dell'ira è vicino.
5. Ieromomo diventerà monaco e sacerdote nella città della trasrnigrazione de' Galli Senoni ad Austro dell'Alpe Pennina.
6. E fornito del doppio manto dell'impudenza, insegnerà a' giovanetti le dottrine che neppur esso aveva apprese.
7. E diventerà apostata: perché tutti confessino quello che fu scritto dal Sapiente: Uomo apostata, persona inutile: cammina con la faccia stravolta; ammicca con gli occhi; strascica il piede; parla col dito; nel cuore perverso macchina il male; in ogni tempo semina scandali: a costui arriva tosto la sua perdizione.
8. Pertanto Ieromomo scriverà giornali ad appiccare il fuoco alle stoppie della città, che la mano di Dio liberò dallo sterminio e dalla perdizione della licenza.
9. E andrà pieno della maledizione del popolo suo: e togliendo con sé la sua malignità e il calamaio e il bordone esulerà per genti diverse, finché giungerà nella terra fertile, dove siede Babilonia la minima, al popolo gozzovigliante, del quale vaticinò Iacob:
10. Asino forte giacente tra' suoi confini: vide che buono era il far nulla, ed ottima la terra, e sobbarcò il suo dorso al peso, e fu servo a' tributi.

11. Ivi la biscia che divora il fanciullo fu spenta dalla mela cotogna dell'agricoltore: e la mela cotogna spaventata dal giglio: e il giglio divelto dall'imperatore monaco i cui figli e i figli del pronipote tenevano quella terra sotto tributo per mezzo di satrapi:
12. Tosto Iddio Signore degli eserciti diede la maschia Donna a principe del popolo: sicari, pubblicani, e lenoni la violarono, e divenne meretrice.
13. E l'Avvoltoio portando innanzi a sé il vessillo dell'Aquila venne e disse al suo pulcino: Io il Signore: e tu il principe di questo popolo: e darò a te le ali del Leone; e un corno del Toro bellicoso; e i lidi del Pescatore: nondimeno tu disprezza i profeti, perch'io con la moltitudine degli stolti soffocherò la sapienza de' profeti.
14. Nel principio Dio vestì di fortezza la spada del pulcino; e la mente di lui di giustizia: e il cuore di lui di misericordia: e la bellezza e la castità si baciarono nel talamo suo: e vide le vergini e le matrone spargere rose nel latticello de' figli suoi.
15. Di poi le prosperità troppe, e gli adulatori, e la Sinagoga de' Dottori, e il Senato de' Parassiti gonfiarono l'anima sua; e nell'ebbrezza della sua gloria respinse il profeta; e chiamò la Sinagoga de' Dottori, e il Senato de' Parassiti, e disse a loro le parole di Baruc:
16. Ecco a voi mandammo denari, coi quali comperate le vittime e l'incenso, e fate la manna, e venerate Nabucodonosor delle tre Babilonie, e me Baldassar figlio di lui: magnificate il forte guerriero:
17. Affinché tutti i popoli tacciano sotto l'ombra di Nabucodonosor: voi poi lo canterete sotto l'ombra mia, affinché serviate a me e a' servi miei lungo tempo, e troviate grazia nel cospetto mio sempre.

18. E diede a Ieromomo il lettaccio e la ferula, e lo costituì pedagogo Caldeo degli efebi dell'atrio del re.



CAPO SESTO

1. Peso di Ieromomo.

2. Disse lo spirito del Dio vivo: i; necessità che vengano scandali.
3. Diede adunque a Satana scribi e pedagoghi e vecchie poetesse libidinose perché scandalizzino.
4. Queste cose disse l'uomo militare a me: Uomo francese si satollerà de' frutti della terra pingue, e griderà:
5. Dimenticate la lingua de' padri vostri perché dice vanezze: parlate la lingua mia che ha parole di sapienza, e canta mirabilmente in teatro.
6. Allora anche Ieromomo berrà vino al banchetto di Eden satrapo, e vocerà insieme col francese: Sputerò fiele dal fegato mio su' visi de' figli del popolo a sanare gli occhi loro, perché i profeti accecarono la città.
7. Ma i cittadini buoni diranno a Teromomo: Tu stendi la lingua tua quasi arco della menzogna e non della verità:
8. Mangia e bevi nella povertà tua sotto il re prodigo, e metti il dito sovra la bocca tua: perché i littori a cavallo non ti conducano nel castello della città paludosa fino alla morte.
9. Ma le orecchie di Ieromomo non daranno ascolto alla parola della pazienza: e novamente schernirà i profeti giusti della terra pingue, dove siede Babilonia la minima.
10. E i cittadini diranno di bel nuovo: Ieromomo prete; levati le vesti amorose de' giovani, e indossa la nera veste sacerdotale:
11. Abiura il sacrilegio, l'adulterio e la simonia: getta via la penna del calunniatore togli il libro de' salmi, e co' sacerdoti e il popolo canta nel tempio di Dio ad implorare la pace della città, e la gloria del principe:

12. Non devi, tu sacerdote, magnificare le stragi della vittoria: perché chiediamo al Signore Iddio meno un re guerriero, ma più un re sapiente:
13. È scritto: Tu se' sacerdote in eterno.








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CAPO SETTIMO

1. Peso di Ieromomo.
2. Ascolta, Didimo, perché i cittadini buoni diranno la terza volta parole di pazienza a Ieromomo: e il figlio dell'Avvoltoio stenderà le sue ali sopra di lui.
3. Ma l'Apostata persisterà nella prevaricazione; né avrà più mezzo di salute: e quando non dia ascolto la terza volta, e l'Avvoltoio sia cacciato nel nido dell'ignominia, il peso della vendetta piomberà sopra di lui.
4. I littori a cavallo legheranno le mani di lui con nodi di ferro, e lo avvolgeranno di catene.
5. I librai a rifarsi del danaro che gli avevano dato perché scrivesse con l'inchiostro del calunniatore a solleticare la libidine de' tristi, venderanno a' mercanti d'anticaglie la raccolta di papiri di Ieromomo.
6. I lettori d'effemeridi esecreranno lui nell'amarezza perché tracannarono la menzogna, e perseguitarono la verità.
7. Egli ricordando i suoi giorni felici, chiederà aiuto; ma anche i suoi partigiani si allontaneranno da lui.
8. Fliria istrione, figlio di Benac; e Goes poeta, figlio di Oros; e Psoriona maestro di scuola, figlio di Ftonia; e Agirte libraio, figlio di Beton:
9. E altre genìe di Mammona la cui fronte è logora e il cuore non è di carne:
10. I quali andavano dettando giornali a Ieromomo, e lo facevano testimonio di adultera calunnia contro i profeti vivi e contro i re morti:
11. E a' pranzi mangiavano con lui l'agnello pingue del gregge e i vitelli della Vacca del Pastore buono:
12. E dicevano a Ieromomo: Reca il vino e berremo: E nella crapula e nell'ebbrezza si abbracciavano scambievolmente vociferando: Pace: e non era pace.
13. Tu adunque dispregiali: né pure ti troverai a' pranzi loro: perché mangiano pane contaminato.
14. Né anche i discorsi loro ascolterai: perché sono menzogneri, e sovvertitori, e irritatori, e lo spirito della loro bocca ambiguo.
15. Né farai parole nella presenza loro: perché increduli, invidiosi, delatori, ed esasperanti.
16. Per la qual cosa, se essi odono, suggella le tue labbra: chi fa mercato del proprio intelletto venderà la verità, e il mercenario dell'anima sua tradirà l'anima del suo fratello.
17. Adunque que' dessi tutti rimproverando la calamità a Ieromomo, lo caricheranno de' propri peccati.
18. E ciascuno nel secreto del suo cuore temprerà i suoi pensieri nell'empietà.
19. Perché a lungo tace la coscienza nelle viscere degli empi: coscienza di empi, leone che dorme.
20. È scritto: L'iniquità spuntò nella verga della crudeltà: ma la crudeltà, benché tardi, è flagello a se stessa.
21. Pertanto mentre i littori a cavallo meneranno Ieromomo nel castello della città paludosa fino alla morte:
22. Goes, e Psoriona, e Fliria, e Agirte figlio di Beton lo seguiranno giacente nelle ritorte sul carro, e stromberanno: Oi.
23. E gli stropicceranno la faccia con ortica perché impari ad arrossire.
24. Tre cose soltanto: Ara, Aratro, Arbore del patibolo, abbisognano a' figli d'Adam: ma uno solo agli uomini inverecondi pedagogo ottimo; il Carnefice.



CAPO OTTAVO

1. Spada che vide Didimo chierico.
2. Silenzio fu intorno e si fe' buio nella capanna: perché il giorno volgeva a sera.
3. E udii una voce che diceva: Togli il canestro e appressati. E tolsi il canestro e dissi: Dove sei?
4. E l'uomo militare sfoderò la sciabola gridando: Segui il lume della fortezza.
5. E vidi lampeggiare la sciabola nuda: e caddi a pie' di lui siccome morto.
6. E mi prese per un riccio della testa tonsurata: e mi condusse al fiume della città di Firza in una campagna che guardava a tramontana, dov'è il sepolcreto de' quadrupedi.
7. Era la terra minacciata di turbine: e le stelle s'erano illividite: notte solitaria spaziava per il sepolcreto: e nel corso delle acque tuoni.
8. E la spada dell'uomo militare, siccome rame rovente, rompeva la notte.
9. E da ambe le parti del ferro, siccome stelle di minima grandezza, sfolgoravano dodici lettere:
10. Da una parte, lettere sei: est est: dall'altra parte, lettere sei: non non.



CAPO NONO

1. Verbo sopra la vecchia poetessa.
2. Ed ecco la sembianza d'una donna nuda, d'anni sessanta: la quale, a guisa di volpe in traccia di preda per la solitudine, spiava per ogni dove i penetrali delle fosse de' quadrupedi; e veniva sotto il lume dell'aere rabbuiantesi,
3. Storcendo gli occhi, con lo sguardo procace, i denti rotti, le mammelle logore, il femore lordo di proluvie, il ventre smisurato, le gambe sbilenche:
4. La testa aveva calva: e non sapeva star ferma.
5. E aveva nella mano sinistra una penna.
6. E scavava le carogne de' quadrupedi: e radunava le putredini impastandole nella sua bocca.
7. E sputava il biascicaticcio: e rappigliassi in inchiostro di scrittore.
8. Dopo ciò squassando uno smisurato serpe vermiglio, percoteva con la mano destra le proprie natiche con grandi risate:
9. E incontanente gli occhi della donna sessagenaria insanivano di libidine.
10. E s'arricciarono i peli della mia carne.



CAPO DECIMO

1. Morte di Ieromomo.
2. Ed ecco un eunuco, maestro di scuola, chiamato Filippo: uomo bastardo della terra della trasmigrazione degli Aramei.
3. Che camminava con l'andatura dell'oca: e gli occhiali inforcavano il naso di lui: perch'era storpio e losco.
4. E teneva una zappa di becchino: e i suoi passi erano involti d'ambiguità e di tenebra: cui avendo scorto, la maliarda mise un grido correndogli incontro:
5. Ecco impastai secondo il precetto di Psoriona l'inchiostro per la penna sua e per quella de' suoi fratelli.
6. L'opera è terminata: vieni ed inebriamoci d'abbracciamenti finché non spunti il dì.
7. L'eunuco rispondendo disse: Anna sorella Calamoboa, il tuo vago Ieromomo spirò ier l'altro nelle catene e nella bestemmia.
8. Fliria e Goes, e Psoriona figlio di Ftonia, e Agirte figlio di Beton, adulteri tuoi, verranno a seppellirlo nel Ptomotafio: perch'essi esumarono il corpo di lui dal luogo santo dove la Sinagoga de' Dottori l'avevano sepolto.
9. Ed eccomi qui novamente scavatore della fossa.
10. E avendo queste parole udite, la poetessa vagolava a somiglianza della cagna pregna che spia le tenebre e i sepolcri:
11. E mugolava forte dicendo: Veleni nascosi nella putredine, e carogne pestifere:
12. Datemi il tossico per uccidere a banchetto Goes e Psoriona, e Fliria, e tutti gli Apostoli loro traditori del mio Ieromomo:
13. Stillate inchiostro e scriverò a lettere di fuoco maledizione eterna: perché gli ottimati della città credettero a me:
14. E come aguzzavo calunnie contro i mariti miei: e con la penna accecai la Giustizia, e aprii le sue orecchie con le mie lacrime: E dal giuramento spuntò la condanna degli innocenti:
15. Così scriverò in un volume la maledizione e il giuramento e le minacce a rovina eziandio de' nocevoli:
16. Perché compagni e traditori dell'amante mio vivo, persecutori anche gli si fecero morto.
17. E nuda baccante nella Sinagoga de' Dottori e nel tempio, e nel mercato del popolo andrò vociando:
18. Miratemi, popoli tutti, perché anche le mie vesti mi hanno finalmente in abominio.
19. Apprendete la sporcizia mia che celai con la veste della vergine:
20. Noverate su le mie natiche i baci di Fliria, e di Agirte, e di Goes, e di Psoriona inquilini della casa mia.
21. Confesserò tutti i miei misfatti, e le fornicazioni, e le calunnie, e gl'infanticidi; poiché gli adulteri miei, ipocriti miei aiutatori, esultano nell'amarezza del mio dolore: e il sepolcro di Ieromomo fu aperto dalle loro mani.
22. Dannatemi pur dunque alla corda e al fuoco e alla tanaglia purché siano martoriati gli adulteri miei con me: e raddolcirò l'amarezza mia con l'obbrobrio degli adulteri miei, e sarò consolata nell'inferno.



CAPO UNDECIMO

1. Dopo ciò la donna sessagenaria tinse la penna nell'inchiostro che aveva impastato nella sua bocca.
2. E scrisse sopra le sue cosce la moltitudine degli adulteri suoi, con numero arabico: e i loro nomi con lettera Aramea:
3. E il numero e il nome si mutavano in ulcere: e le mie nari detestarono il fetore.
4. E mentre quella strega mugolava, scorsi un serpentello verde contorcentesi dalla sua bocca: perché aveva un serpentello per lingua.
5. E dalla bocca del serpentello mille punte: e in ogni punta solfo, e tossico, e sangue.
6. Frattanto l'eunuco Filippo scavava la fossa con la zappa.
7. E sedendo stanco sul mucchio delle zolle della fossa posò la zappa fra le cosce: e giungendo le mani sue, con voce d'un campanello rotto, disse alla donna:
8. Senti, Anna Calamoboa: la Sinagoga de' Dottori per non scandalizzare la plebe e la chiesa, seppellirono il corpo di Ieromomo nel campo di riposo de' fedeli:
9. Ma la paura fe' al passeggero vespertino vedere l'altra notte la sembianza di Ieromomo uscente dalla tomba, abbattente le croci dei defunti in pace.
10. E le loro ombre a somiglianza d'uno stuolo di colombe tementi l'avvoltoio a Dio facevano gemendo orazione: L'inimico dell'anima nostra scompigliatore delle ossa pacifiche.
11. Senti, Anna, e siimi indulgente; perché turbamento sopra turbamento, e udizione sopra udizione: perché quelli che abitano presso il luogo sacro udirono la voce di Ieromomo:
12. Perché gridava di sotterra: Figlio di Oros, figlio di Beton, figlio di Ftonia, figlio di Benac: e voi tutti che tenevate consiglio rneco:
13. A che mi lasciaste solo nella battaglia?
14. Su via, scacciate i profeti dal nido della vita: e l'ombra mia scompiglierà le loro reliquie, e le ossa loro darò in balìa all'aquilone:
13. Perché i viventi nel futuro non rammemorino le virtù loro sovra i sepolcri, e non li piangano.
16 I cittadini adunque che udirono questo, riedificarono oggi al sorgere del sole i sepolcri de' fedeli: e sopra vi ripiantarono le croci, e maledissero Ieromomo.
17. Poscia si scagliarono contro Goes e i poeti; e contro Fliria e i buffoni; e contro Agirte e i librai, e tutta la razza degli scrittori d'effemeridi.

18. E contro la Sinagoga de' Dottori.
19. Ed anche contro me, sebbene trattenga la voce nelle fauci mie, affinché non abbiano intoppo al banchetto d'Eden principe de' Parassiti: perché ho fame.
20. Né tinsi la penna nel calamaio, né diedi scrittura al tipografo: perché ho paura.
21. La mia parola invisibile gettata nelle viscere delle orecchie dello schernitore ricco: e quando dal seme mio germoglierà la zizzania nella bocca altrui, io dirò: Non so.
22. Pensando io dunque a un partito, dissi nell'adunanza agli adulteri tuoi: dissotterriamo tosto il corpo di Ieromomo; lo seppelliremo nel Ptomotafio.
23. Perché avverrà che il luogo santo sia eternamente campo di battaglia fra l'ombra di Ieromomo e le ombre de' fedeli.
24. Siccome fu detto dal poeta: Neanche nella morte stessa le sofferenze abbandonano l'uomo.
25. Perché dove novamente Ieromomo vi chiamerà di sotterra, rivelando le opere vostre, il furore del popolo e le pietre si scateneranno contro noi tutti.



CAPO DUODECIMO

1. Funerale di Ieromomo.
2. E l'uomo militare disse a me: Volgiti, Didimo, dalla parte d'oriente, e guarda: E incontanente apparve una luce lurida su l'orizzonte.
3. E guardai, ed ecco quivi seicento mila ali di pipistrelli splendenti di solfo acceso, e nuotanti su per le correnti del fiume.
4. E portata sull'ali a noi ratta veniva una barca senza vele e senza remi.
5. E nella barca le sembianze di sei uomini, e un feretro.
6. E accostatisi legarono la barca al grosso d'un corbezzolo nell'argine.
7. E dalla barca uscì primo un omiciattolo il quale si pasceva di spugne e liquirizia: questi Agirte figlio di Beton.

8. E aveva in spalla un corbello di libri, e nelle mani un cembalo: e affrettavasi gridando loquacemente:
9. Ecco gli aromi miei, caramente comprati con l'altrui danaro ad abbruciare le ossa di Ieromomo.
10. E secondo a uscire della barca vidi un uomo più loquace, il capo coperto d'una parrucca di pelle di scimmia; e una maschera nelle mani di lui; e si nutriva di cicale: questi Fliria istrione figlio di Benac.
11. Il terzo venendo con occhi e braccia spellati, mangiando api e sputando pungiglioni sul viso degli uomini acconciava parole greche, e sulle labbra di lui un mormorio di loiolita; e nelle mani di lui radici di parole: questi Psoriona figlio di Ftonia.
12. E vidi sulla sua fronte scritti a colore d'orpello numeri arabici undici 19876543210.
13. E avvicinandosi al fulgore della spada dell'uomo militare, ecco i dieci primi numeri svanirono: ma l'ultimo numero zero si fece più grande in mezzo alla fronte.
14. E il quarto uscendo con trista guardatura, mangiando lumache e sputando bava gridava: Raccogliete l'argento mio: E dalla bava spuntavano corna di lumaca: questi Goes figlio di Oros.
15. E pose su l'argine un vaso pieno di papiri di carmi: e avendo il soffio del vento rapiti i carmi e offertili tutti quanti a' miei occhi:
16. Io Didimo leggendo vidi: Per la legge, contro la legge: per il rege, contro il rege: per il gregge, contro il gregge.
17. Frattanto quegli cantava carmi con tumulto: e la discordia risonava nel canto della sua lira:
18. E detto un carme, scorgendo d'ogni parte insidie ed emuli, stendeva la palma della sua destra all'elemosina, come il cieco nel vestibolo del tempio.
19. Teneva dietro a' quattro un pigmeo lettore: e la fronte di lui siccome tavola e carie; perché si nutriva delle tignuole de' libri: e gridava con la voce delle rane: Miserere:
20. E il quarto uomo che gli era vicino, battendolo assai forte col plettro della sua lira, il lettore rispondeva: Così sia.
21. Questi è scismatico, e senza nome.
22. Ultimo poi, e coperto del vello d'un verro scoiato, uscì dalla barca un gigante alto cinque cubiti e un palmo:

23. Divorava gli avanzi della gran cena del cenacolo de' figli del Carnefice Santo:
24. E ruminava il mangiare siccome Bove: e lo ruttava gridando:
25. Io solo so quanto voi tutti non sapete: perché Giuda Iscariota il quale tradì il Figlio dell'uomo nel bacio santo era della stirpe di David. Perché David era rosso.
26. Allora l'uomo militare disse a me: Quel gigante ravvolto nel vello del verro non sa ciò che i popoli sanno: perché anch'esso tradì il suo maestro alla Sinagoga de' Dottori: Baldassar ingannato dalla Sinagoga diede cinque mila monete d'oro prezzo del tradimento, e costituì il gigante maestro de' maestri.
27. Questi sono i sei uomini ch'io Didimo vidi uscire dalla barca.



CAPO DECIMO TERZO

1. E quel gigante portava la bara: e depose il feretro presso la fossa scavata dall'eunuco.
2. E avendo rovesciata la bara a farne uscire il cadavere, ravvisai' Ieromomo già monaco, e le lacrime spuntarono sugli occhi miei, e le mie palpebre si ottenebrarono.
3. Perché ricordai i giorni della mia innocenza, e i trastulli della puerizia nostra: e tutti i miei pensieri furono tronchi dalla paura della morte eterna.
4. E mi copersi con le mani gli occhi perché l'uomo militare non forse discernesse la vera mia afflizione:
5. Egli scrutando le viscere mie disse: Principio di virtù la misericordia: è scritto: I giusti tutti sono misericordiosi; e Dio custode della misericordia:
6. E se questi tutti che ti stanno dinanzi minacceranno l'anima tua, abbi di loro misericordia:
7. E dove tutti gli uomini li temano, la tribolazione darà loro affanno, e la coscienza, benché tardi, li circonderà.
8. Frattanto il figlio di Beton inalzava il rogo co' volumi del corbello.
9. La donna sessagenaria incominciò il duolo sopra il cadavere.
10. E Fliria cantava al suo fianco con voce meretricia canzoni meliche di poeta evirato: e piangeva con lacrime di commediante.
11. Un mattone giaceva nel Ptomotafio, e il gigante v'incise con l'unghie l'effigie di Ieromomo, e l'epitafio che il pigmeo lettore aveva scritto in lettere greche: così:

SEPOLCRO . ALLA . FURIA . SACRO
IL . CANEVOLPE . IEROMOMO . GIACE
ESTINTO . MORDE . FUGGI

12. Il pigmeo perché altri per avventura non vedesse quello che aveva scritto, sedette sopra il mattone: e burlandosi di quelli parlò a sé:

volpeggiare con la volpe.

13. E l'uomo militare, rispondendo a lui, disse a me:

serpente, se non mangia serpente, non nascerà dragone.



CAPO DECIMO QUARTO

1. Eunucomachia. Perché sorse rabbiosa gara tra Psoriona e Goes; essendo che uno amava meglio lodare Ieromomo per arringa: l'altro invece cantare nello strepito della lira un epicedio.
2. E Psoriona gridava: Ascolta Goes; perché Nabucodonosor re delle tre Babilonie mi costituì dottore della Sinagoga sua minima: chiunque pertanto sprezzerà gli scritti miei, sarà reo di maestà; siccome quegli che imputa ignoranza a Nabucodonosor re, il quale costituimmi dottore.
3. E Goes gridava: Taci, figlio di Ftonia; perché le tue dicerie vanno passo passo; ma i miei carmi volano con penne veloci: per ciò Nabucodonosor re mi costituì banditore del nome suo, affinché lo confessino i popoli tutti: chiunque pertanto preferisce le sue pedestri dicerie alle mie canzoni, preferisce la gloria propria alla gloria di Nabucodonosor re: tu dunque sarai reo di maestà.
4. Io Didimo udii in visione questi argomenti incredibilmente veri: onde avverrà che si tramandino lodati alla posterità dal settimanale Poligrafo.
5. Frattanto nel Ptomotafio l'invidia e il livore antico riarsero allora in furore novello tra Psoriona e Goes:
6. E risse e minacce e imprecazioni e accuse di scelleratezze: e Goes rinfacciava i furti a Psoriona; e Psoriona rinfacciava a Goes i lenocini e si calunniavano scambievolmente.
7. E Goes s'era cercato l'aiuto di Agirte: e Psoriona l'aiuto di Fliria istrione.
8. I1 gigante menava schiaffi ora a Goes e ad Agirte; ora a Psoriona e a Fliria.
9. Il pigmeo sedendo in disparte, piangendo con un occhio, scongiurava la rissa: ma con l'altro sorridendo, esilarava l'ipocrisia del suo cuore.
10. E Anna Calamoboa intanto che baciava i contendenti, piagavali tutti coi suoi denti avvelenati.
11. E ripullulava la maligna disputa intorno la legge, il rege, il gregge: e nella disputa delitti di maestà, e sangue senza spada: ma i sassi e le ossa de' quadrupedi somministravano le armi.
12. Frattanto l'eunuco Filippo atterrito fuggiva a passi d'oca: disegnava d'andare al banchetto d'Eden satrapo Fariseo Dottore Massimo: perché costui incitava l'Eunucomachia, per dare la baia a' Dottori accapigliantisi, a' quali codesto Fariseo Massimo presedeva.
13. E il sepolcro si mutò in taverna d'armeggioni.
14. E avvenne un grande terremoto.
15. E la terra si squarciò con fracasso orribile: e la sembianza d'un asino scoiato sorgendo dal tumulo scorrazzava per tutte parti:
16. E il raglio di lui più lungo dell'uhi di cento guerrieri morenti.
17. E mentre lo spirito dell'asino, me presente, trapassava, si raggricciarono tutte le mie ossa.
18. Il raglio intanto divenne cantilena di Sinagogita leggente dalla cattedra sua.



CAPO DECIMO QUINTO

1. Querimonia dell'asino.
2. Quando l'asino parlava, gli uomini tutti e l'eunuco e la donna tacevano: e quando quello camminava, stavano.
3. Queste cose disse l'asino:
4. I padri miei e i fratelli miei, e i cavalli e i muli amici miei, e i bovi e le pecore e gli altri figli della terra miei conoscenti:
5. Sfiniti dalla fatica, dalla vecchiezza e dalla tabe della servitù morirono: e alla terra ritornarono, dove è pace.
6. E voi umane belve poiché sopra tutte le creature animali avete loquela e mano, esattori e carnefici nostri diveniste:

7. I quali non vi tenete figli della terra al pari di noi, e affettate la via del cielo: fummo dunque spregevoli a' vostri occhi.
8. Concedete almeno a noi l'abitazione della terra: abitazione materna e pacifica per tutti in eterno.
9. Perché turbate il nostro riposo e nella solitudine della morte nostra vigilate?
10. Certo la congerie della putredine degli asini e de' bovi sembra a voi cattedra degna della sapienza:
11. Perché voi, siccome udii nel lume della vita mia, volate oltre le nubi e i luminari del firmamento e il Sole e le sette mura de' cieli: E dall'occhio di carne, e cerebro di carne, e cuore di carne, giudicate il Santo de' santi da più sublime altezza.
12. Però udii anche i sapienti vostri quando portavo il carico della decima e le primizie del mio contadino all'entrata dell'altare:
13. Perché confessavano queste tre cose nel santo volume: L'uomo non ha nulla più del giumento: Una medesima è la morte dell'uomo e de' giumenti, e pari la condizione d'entrambi: Chi sa se lo spirito de' figli d'Adam salga in alto, e se lo spirito de' giumenti scenda in basso?
14. Ben noi sappiamo che i due doni i quali separano voi da noi e vi fanno insuperbire, sono doni affannosi: la loquela vi rende ciarlieri, bugiardi, delatori; nelle mani spada e penna:
15. Nella bocca vostra, fiele; nelle mani, sangue: onde abbisognate della legge, cui fate violenza; e del rege, che adulate; e voi siete il gregge divorato o divoratore.
16. Ora vi è fonte di calunnie: se la legge sia innanzi il rege e il gregge; o se il rege sia innanzi il gregge e la legge; o se il gregge sia innanzi la legge e il rege.
17. Ma dove la verità? non diceste forse che i vostri scritti sono aromi caramente comprati con l'altrui danaro ad abbruciare le ossa dell'uomo? il vostro ventre non divora forse la verità? non dà l'oro il tracollo alla bilancia?
18. Bensì la verità dalla bocca mia perché io asino e morto.
19. Il gregge, è il popolo; la legge, è il cane vigilante; il rege, è il pastore: dunque il rege primo e innanzi tutto, perché senza pastore né cane né bestiame; inoltre ha il bastone. Ma vi sono volpi tra le pecore, e voi le volpi siete: ora dite nel cuor vostro: L'ignoranza val meglio che la stoltezza; l'asino ci ha conosciuti.
20. Né io vi rinfaccerei i vostri enimmi purché fossi lasciato tranquillo co' miei fratelli: ma ora voi lordate le nostre reliquie con un cadavere nemico.
21. Il fratello vostro Ieromomo fu già figlio di questa terra.
22. E venendo i nostri carnefici ad ammazzarci con il coltello e il maglio, Ieromomo giovanetto ci straziava con lunga morte:
23. E me vecchio e sciancato scorticò ancora vivo con un temperino, per cavarne danaro: ond'io non voglio che il mio carnefice sia inquilino della mia abitazione sempiterna.

24. Pertanto non vi sarà dato d'uscire da questo luogo, se prima non seppellite nel vostro ventre il cadavere di Ieromomo.
25. Saziatevi delle carni del vostro fratello, prima che la fame vi colga, e morte visibile dia i vostri corpi pascolo alle fiere.

 


CAPO DECIMO SESTO

1. Sepoltura di Ieromomo.
2. E successe un terremoto più forte; e si squarciò novamente la terra: e la figura dell'asino ritornò nell'abitacolo suo.
3. E il lume del solfo acceso dell'ale de' pipistrelli volgevasi in fumo; e si moltiplicarono le tenebre: e il vento ruggendo inaridì l'erbe del Ptomotafio: e le onde del fiume si accavallavano per i tumuli.
4. E i quattro uomini e il pigmeo e il gigante e l'eunuco e la vecchia gridavano con orrendo lamento: Guai:
5. E col guai degli uomini la voce della volpe e della lupa e della cagna pregna, e di rane innumerevoli: e il gufo e il rospo e la civetta, e l'upupa, con luttuoso e funereo singulto: e i sibili de' chersidri, de' chelidri, de' iacoli, de' cencri, delle anfesibene, degli aspidi, de' basilischi, delle faree, e di tutta la progenie delle vipere.
6. E gli uomini cercavano la barca nel campo, e andavano di corsa tastando le tenebre: ma la barca galleggiava per il mare Tirreno lungi dalla campagna.
7. Ed ecco uno stuolo di corvi sopra il corpo di Ieromomo: e tutti i rettili e gli animali immondi con essi.
8. E l'eunuco gridò: Ho fame: Uomini fratelli, adempiasi la parola dell'asino, prima che gli animali del cielo, del fiume, e della terra divorino la nostra cena, e morte visibile faccia convito di noi tutti nel Ptomotafio.
9. Adunque i figli dell'uomo temendo le minacce dello spirito dell'asino, mangiavano le carni putrefatte del fratello.
10. L'uomo militare aborrì le scellerate mense e disse: Attendi. E corse con la spada e il corno in mezzo del convito:
11. E al fulgore della spada, vidi le carni di Ieromomo di botto ingoiate e le belve si rapivano le scarnite ossa.
12. Vidi i sei uomini e la poetessa e l'eunuco dal sommo del capo sino alle piante de' piedi aspersi di sangue bollente, e lambivano il sangue con le lingue ad abbeverarsi:
13. E l'uomo militare vibrando la sciabola per scannarli, ritrasse il ferro, e s'astenne dall'uccisione, gridando ad alta voce:
14. Non io vendicatore delle iniquità che gl'iniqui consumano su gl'iniqui; e il calice dell'ira non ancora trabocca:
15. Vivete ora tutti da' quali io una volta sarò immolato: ma tu, o terra, non mi coprirai prima della vendetta.

16. E si pose il corno alle sue labbra, e il sepolcreto fu abbandonato da quella moltitudine: e rimise la spada nella vagina sua, e s'abbuiò l'aere, e silenzio ed ombre stettero intorno all'anima mia.



CAPO DECIMO SETTIMO

1. Nudità delle tre Babilonie.
2. E rimastomi con l'uomo giovane militare nell'oscura solitudine, conobbi ch'era la mezza notte per dodici tocchi di campana della torre di città di Firza.
3. E udii voci di grande commozione discorrenti per le nubi de' cieli siccome tuoni: e tendevano alla sinistra ala d'Aquilone, dicendo:
4. Babilonia massima, perché cercasti la verità e la trovasti e pervertisti, furiosa, nell'empietà delle libidini del tuo popolo; se il sangue da te e per te sparso rifluirà sopra te, farassi in te un lago di sangue profondo quanta è l'altezza delle tue mura, e largo tre mila passi da Mezzodì a settentrione, e lungo sei mila passi da oriente a occidente: Guai città! per te la verità divenne esecrabile: mostrerò alle genti la tua nudità; non s'allontanerà da te la rapina.

5. E le voci rintronanti si volsero indietro quasi eco di fulmini: e affrettavansi alla parte tra oriente e Austro, dicendo:
6. Babilonia perpetua, poiché s'aprirono i cieli e su te fu mandata la luce; ma tu, astutissima, su' tuoi be' colli spargesti nebbia comoda a' pastori tuoi perché divorino i greggi altrui e i tuoi; e i principi tuoi circondati di oscurità giudicano ne' doni, e i tuoi sacerdoti insegnano nella mercede, e i tuoi profeti vaticinano nel danaro, dicendo: Forse che non è la luce in mezzo di noi? Guai città! hai lume divino, e lo intenebri con l'ombre della terra: mostrerò alle genti la tua nudità; non s'allontanerà da te la rapina.
7. Incontanente le voci volsero il corso de' tuoni alla regione tra occidente e Aquilone, dicendo:
8. Babilonia minima, perché stupida né trovasti né cercasti le vie della verità; ma spalancasti le tue orecchie affinché s'empiessero di menzogna; chiudesti gli occhi tuoi perché non vedessero la luce; e la lingua tua pronta nell'ebbrezza, e la mente tua tarda per la pinguedine mischiarono adulazione e contese, né discerni i giusti da' tristi, o i cittadini dagli stranieri; Guai città! piscina di calunnie, e piena del morso dell'invidia: mostrerò alle genti la tua nudità; non s'allontanerà da te la rapina.
9. Ora va superba e godi, Babilonia ricca, nella nudità delle tre Babilonie: a te pure giungerà il calice; sarai inebriata e denudata.
10. E ristatesi le voci, io me ne stavo meravigliando: e chiesi all'uomo militare che cosa significassero; né udii risposta.
11. Poiché quegli sedendo in terra piangeva amaramente, nella disperazione: e le sue lacrime cadevano tacite quasi primaverile pioggia mattutina che inganna gli occhi dell'aratore.
12. Pertanto anch'io sedendo in terra accosto a lui non gli dicevo parola: perché conoscevo che il suo pianto era senza consolazione.



CAPO DECIMO OTTAVO

1 Parole ultime.
2 Ed essendo passata la prima metà della notte, e la metà dell'altra metà, l'uomo militare sorgendo, mi fe' stare in piedi;
3. Per dirmi le ultime parole; né io potevo ravvisarlo attraverso il tenebrore della notte; ma stampai nel mio cuore la voce di lui.
4. E mi diceva: Quando sarai tornato al colle de' cipressi, e avrai piantato la vigna e il frutteto affinché empia il canestro con la tua fatica:
5. Ritorna nella città tua, e vaticina la visione che vedesti: né domanderai elemosina, né accetterai mercede da uomo nessuno: è scritto: Il fuoco divorerà le abitazioni di coloro che volonterosi accettano doni.
6. E io rammentando i dileggi de' profeti, proruppi dicendo: Ecco ogni cosa vide l'occhio mio, e udì l'orecchio mio, e le intesi tutte quante:
7. Il mio tremore mi scuote i muscoli: contrito è il mio cuore, e sani sono i miei pensieri.
8. Tuttavia sono dappoco e malaccorto e adolescente e povero e chierico perciò mi scherniranno molti; e se taluno inchinerà l'animo ad udirmi, cercherà un contrassegno.
9. Rispose quegli: È scritto: Lampada sprezzata nella mente de' potenti pronta sino al tempo determinato. A chi cerca contrassegno, sia contrassegno la tua fortezza nella povertà.
10. Nondimeno brucia le effemeridi e i volumi di pedagogia de' monaci che abusarono della giovinezza tua: recati al sacerdote della tua chiesa paterna, e riceverai il volume unico nel quale profeterai, e non riuscirai spregevole.
11. Adunque giunto che sarai nella città apri il volume, e li' alla Sinagoga de' Dottori: Negli antichi è sapienza; udite che fu detto agli antichi:
12. Congrega d'ipocriti sterile in vaniloqui: così taceste, e sembrerebbe che foste sapienti.
13. Interroga quindi il Senato de' Parassiti i quali edificano case per sé: Dov'è la cancellatura che avete ricoperto?
14. Perché è scritto: Farò dall'Aquilone prorompere il soffio delle tempeste, e pioggia rovinosa, e il rigore del verno; e distruggerò la parete che i re smaltano senza mistura, e si scoprirà senza fondamento.
15. Pertanto una mano di giovani lascivi manderà tosto in fumo il fastigio della casa vostra, e vi cacceranno da' vostri seggi, e grideranno: Non c'è casa; e quei che dianzi edificavano, non sono.
16. Poscia di' a' ricchi sfondati: Quando gli stranieri prenderanno l'esercito della città vostra, ed entreranno per le porte di lei, e sopra i vostri fratelli getteranno le sorti:
17. Non vogliate, confidando nelle vostre ricchezze, darvi bel tempo nel giorno della povertà de' vostri fratelli, né magnificare la vostra bocca nel giorno della miseria: Ricchi siamo e fatti tali da' padri nostri, e di nessuno abbisogniamo.
18. Vi esorto a comprare un tantino di carità e di verecondia, e avvertite che voi siete cittadini della stessa misera città, e nelle catene e nell'obbrobrio come gli altri che abitano la città; ma l'abiezione vostra, più appariscente per le ricchezze vostre.
19. Perché voi siete d'oro e d'argento simili agli Dei dell'idolatria, i quali cadendo non sapevano rilevarsi; e quando sopravverrà la devastazione sarete spogliati dal più forte: non sono forse migliori di voi le bestie del campo, che possono o della fuga o del furore giovarsi nell'ora della battaglia?
20. Quindi contro gli altri che seggono nelle taverne, e sotto i portici delle piazze, trincando, vociferando, tutto riprovando, rimproverando tutti, scaglia le più acute saette del libro:
21. Voi siete nubi senz'acqua; piante sfatte, in balìa di tutti venti, infruttifere; onde del mare efferate, fallaci; caldaie bollenti e schiumanti in vituperi: uccelli accecati, schiamazzanti, i quali con l'ali erranti cercano l'esca per l'oscurità delle tempeste:
22. Mormoratori queruli: nelle libidini vostre boriosi; de' quali la bocca erutta superbia; date in molte minacce, nulla concludete; la giusta signoria respingete; la dignità che temete, con segreti vituperi travagliate; e quanto non conoscete, vituperate:
23. Inermi, inerti, invocate redenzione dagli stranieri; libertà chiedete, e sovvertite la plebe alla sedizione; desiderate un re, e adulate, per l'utile vostro, la tirannide:

24. Virtù cercate e quanto è retto pervertite; i quali né sapete ferire i nemici con la spada, ma neppure non calunniare il vincitore: di contraddizione perirete.
25. Quindi e agli altri, i quali disputando in adunanza tenebrosa, grandi cose apparecchiano, di' solamente: Nulla di grande nelle tenebre.
26. Quindi a tutti quelli che sdraiati nelle loro poltrone sognano la universale felicità de' figli d'Adam in terra, e aspettano l'indipendenza della città dall'equità de' potenti, rompi il sonno e la speranza, e di' a ciascuno:
27. So che tu né freddo sei, né fervido: fossi pure o freddo o fervido: adunque poiché se' tepido, verrà tempo ch'io ti rigetterò dalla mia bocca.
28. Quindi agli ottimi cittadini annuncia la perpetuità dell'antica e presente schiavitù: e leggi a tutti loro il libro:

29. Ho poco contro di voi; perché troppo vi allietaste nella speranza di redenzione e di gloria: ora siate piú provvidi: perché i re della terra sederanno parlando contro di noi; e servi ci affanneremo a giustificarci: nondimeno nella disperazione di tutto ciascuno dica a sé: Mi cingerò col cinto della fortezza, e paziente tacerò.
30. Presentati pure a' Seniori della Chiesa affinché sappiano da te che durano peranche molti Ieromomi nell'arca di salute: vedano pertanto che non si faccia arca naufraga: perciò che sostiene, e certo molti, apostati, farisei, e discepoli di Simon mago sitibondi dell'oro del morente, di roghi e di sangue:
31. E su' frontoni delle case dove i nuovi satrapi si raduneranno, scrivi dal libro: Scacciate gli adulatori, e uscirà la calunnia con essi; scacciate i delatori, e tacerà la congiura; scacciate i derisori, e le inimicizie e le contumelie cesseranno.
32. Queste cose finalmente dirai alla plebe: Il sudore tesoro dell'innocenza. E quando la plebe vocerà, reprimi i clamori; e se snuderà le spade, ricevile nel sangue tuo prima che le rivolga contro la città.
33. Seguita quindi sino alla sommità del giogo massimo dell'Alpe media: e quando avrai co' tuoi occhi scorsa tutta la terra de' padri nostri, apri di nuovo il volume:
34. Assumi lutto di lacrime inconsolabili e leggi; perché sono descritte nel libro le cose tutte che furono, sono, saranno; quanto si compì nel passato, e si compirà nell'avvenire. Leggi dunque sopra la terra de' padri nostri:
35. Il nome tuo per la bellezza tua corse fra le genti: e fiduciosa nel tuo decoro, esponesti la fornicazione tua ad ogni passeggero per diventare sua.
36. E togliesti i figli tuoi e li sacrificasti a stranieri adulteri: forse ch'è lieve la tua fornicazione?
37. E ti piantasti un lupanare in tutte le tue città: ad ogni capo di via, dall'ombelico sino alle giogaie de' tuoi monti e a' due tuoi mari, inalzasti il segno della tua prostituzione, e abominevole facesti il decoro tuo, perché moltiplicasti e moltiplicherai le fornicazioni.
38. Ed eccoti oltraggiata da' tuoi adulteri, e spogliata, e piena di confusione, e implori l'aiuto de' figli tuoi che desti in mano agli adulteri tuoi: e mandi lamenti conculcata nel sangue tuo.
39. Non divenisti quasi meretrice che per sazietà aumenta il prezzo: tu se' madre adultera che sull'eredità de' suoi pupilli alletta gli estranei:
40. A tutte le meretrici si dànno le mercedi della fornicazione: ma tu desti mercedi a tutti gli amatori, e il lume anche degli occhi tuoi donerai, affinché a te vengano gli stranieri da tutte parti a fornicare con te: e quei che avevi rifiutati, inviti.
41. Per ciò, meretrice, odi la parola di Dio:
42. Perché profusa è la tua ricchezza, e svelata l'ignominia tua, e le abominazioni tue nel sangue de' figli tuoi:
43. Ecco io congregherò tutti gli amatori co' quali ti congiungesti; e tutti sopra te d'ogni parte che preferisti, con tutti quelli che odiavi:
44. I quali scambievolmente si manifesteranno le tue vergogne: e l'adultero ti passerà all'adultero, perché t'avevano presa in pegno con la carne loro.
45. E ti giudicheranno de' giudizi delle adultere; e distruggeranno il tuo lupanare recente, e delle macerie ti riedificheranno l'antico postribolo, e ti copriranno di pietre, e delle mammelle tue si faranno un'emulsione di latte e sangue: né cesserai di fornicare, ma non darai più mercedi.
46. Queste cose da te, Didimo, siano tre volte recitate sopra la terra de' padri nostri, affinché abbiano di sé misericordia: perché come 1'autunno e l'inverno ogni anno, così la gloria e la calamità visitano in certe vicende de' secoli i singoli popoli della terra.
47 E quando sarai disceso dal giogo dell'Alpe media sigilla la tua bocca, e guardati dall'entrare nella città; e usa fra la moltitudine degli agricoltori: e se piangeranno, piangi con la moltitudine, e di':
48. Sia fatta la volontà di Dio.



CAPO ULTIMO

1. E poi che l'uomo militare ebbe detto queste sole parole, ecco che quella caligine della casa della morte si squarciò davanti gli occhi miei.
2. E l'onda del fiume siccome ambra; e il mormorio delle acque quasi duolo lontano della sonatrice di flauto; e le correnti loro argentine sotto il chiarore della luna:
3. E gli aliti soavi dell'aura refrigeravano le mie vene; e i profumi de' fiori ond'era l'aria impregnata facevano lieto il mio cuore:
4. E magnificenza e gloria per le azzurre volte del firmamento; e un dolce orrore, e amore d'armonia, quiete ed intelligenza da tutti gli splendori della notte.
5. E l'uomo militare esclamò: Questo è il tempio del Dio vivo, e mio consapevole ne' più alti cieli. E cadde in ginocchio e adorò.
6. E volto a me mi disse: Non sono apostolo né profeta né angelo, ma centurione di Dragoni:
7. E se sarò giudicato, so d'essere trovato giusto: ma l'ora del mio ritorno m'incalza.
8. E dette queste parole, montò a cavallo, e gli occhi più non lo videro.
9. Ritornai nella capanna alla vecchierella Margherita, e la vidi dormire sopra il fastello di fieno.
10. E pace e silenzio regnando nella capanna, me n'andai col canestro vuoto nelle mie mani.

 

HAEC TRIA TANTUM
FINISCE L'IPERCALISSE STESA
IN CAPI XIX.
E VERSETTI 333: LODE A DIO.

 

CHIAVE

ECCO LA CHIAVE DELL'IPERCALISSE DELLA QUALE FURONO STAMPATI SOLAMENTE XII ESEMPLARI NUMERATI . OGNUNO D'ESSI CON UN'ISCRIZIONE E UN'EPIGRAFE SUA PROPRIA DESUNTA DA'. LIBRI DI ANTICHI SCRITTORI

Didimo: è persona finta d'uomo, il quale dopo d'aver coltivato gli studi letterari e conosciuti gli uomini dotti, e osservati i costumi di molti e le città, finalmente comprese e la vanità delle cose umane e l'inutilità de' viaggi e de' libri. Dall'anno trentesimo non volle più altro leggere o scrivere, né stringere amicizia con alcuno, né che si sapesse dove aveva dimora, ozioso e tranquillo vivendo unicamente secondo i suoi costumi e le sue opinioni, ma senza offesa d'alcuno: essendo egli persuaso che ciò si fa nella vita degli uomini non perché lo si trovi vero, ma per avere qualche cosa probabile, la quale seguire facilmente, a stento possiamo affermare.

Ipercalisse: è una satira contro gli uomini dotti d'Italia, i quali del sapere e della verità facendo mercato, le lettere italiane corruppero: l'ambizione e gli errori di Napoleone nutrirono. In essa si adombrano i costumi e le tristi passioni di sì fatti dotti e la vera natura di taluno; perché s'intenda che le calamità delle cose successe in Europa e della servitù d'Italia nacquero dalle menzogne degli uomini letterati divulgate per la temporanea utilità de' Governanti.




CAPO PRIMO

Vs. 1. - Ieromomo: nome composto da i|eroév, sacro, e da Mw%mov, il Dio della maldicenza. È un cotal frate Urbano Lampredi, scrittore di gazzette e maestro a' giovani in ogni letteratura e scienza. Tale veramente è la natura di costui, da seminare discordie e liti dovunque si trova, e nella stessa settimana lodare e satireggiare le stesse persone. A Siena fu frate, e scrisse in Roma fra' torbidi della repubblica il Monitore, libello famoso ed esecrando: buttò via la tonaca, e si dissacrò. Viaggiò traverso la Francia, facendo il maestro: tornato in Italia, insegnò matematica nel collegio de' paggi del re d'Italia: fondò col Lamberti e alcuni altri il Poligrafo, giornale letterario, nel quale versò tutta la sua bile. Finalmente abbandonò il suo uffizio e la Lombardia; né per quanto io ne so, fu ricevuto in Firenze sua patria Sino al MDCCCXIII visse in Napoli; da quel tempo non lo vidi altrove né altro seppi di lui.

Vs. 2. - Studio dello scrittore di gazzette. Rege, legge, gregge: vedi cap. XV, 16, segg. - Tutto il rimanente di questo capo descrive i costumi de' Sacerdoti cattolici per le campagne d'Italia, i quali, sotto il pretesto di religione, spogliano i contadini in Italia più poveri che altrove.



CAPO SECONDO

Vs. 2. - Firza: nome antichissimo di Firenze, a detta degli archeologi. Secondo essi, gli Aramei sono popoli dell'Arabia, i quali innanzi la fondazione di Roma abitarono le terre d'Etruria.
- Fiume: l'Arno.
- Ptomotafio: sulla riva settentrionale del fiume Arno vicino a Firenze, sotterrano asini, muli, cavalli: non lontano da questo cimitero di bestie è il villaggio dove nacque il frate Lampredi.
Vs. 3. - Colle de' cipressi: secondo la notizia intorno a Didimo stampata in Italia, nacque costui ad Inverigo, colle piantato tutt'intorno di cipressi tra la città di Milano e le rive del fiume Adda.
Vs. 5 segg. - Il restante del capo adombra l'inerzia e la miseria e la tristizia di coloro, i quali, non sapendo nulla di buono, si dànno a scrivere gazzette.
Vs. 10. - Uomo militare: è Ugo Foscolo.



CAPO TERZO

La vecchierella Margherita, che delle cose ignara non teme quasi di nulla, mentre i contadini e gli animali sono atterriti dal suono della tromba dell'uomo militare, dà l'immagine degli uomini semplici, i quali non si curano se non delle loro faccende, e frattanto consolano gl'infelici: la Margherita pertanto col suo amplesso solleva la mente abbattuta di Didimo.



CAPO QUARTO

In tutto questo capo si paragona il traffico vile degli scrittori di gazzette con l'onesto costume de' buoni sacerdoti. Perché non s'ignora che la maggior parte degli scribacchiatori di gazzette per 1'Italia o sono ecclesiastici, o preti spretati.



CAPO QUINTO

Vs. 7-9. - Ved. sopra la nota cap. I, vs. 1.
- Babilonia la minima: è Milano.
- Terra fertile: la Lombardia.
Vs. 10. - Asino: il Popolo Milanese.
Vs. 11. - La casa dei Visconti aveva per insegna nell'arme della sua famiglia una serpe che addenta un fanciullo. Furono abbattuti da F. Sforza, nipote d'un contadino, il cui scudo portava una mela cotogna. Gli Sforza furono cacciati da' gigli Francesi; e questi di bel nuovo da Carlo V che doveva finir frate: i cui discendenti prima Spagnuoli, poscia Austriaci tennero la Lombardia sotto tributo per mezzo di Governatori.
Vs. 12. - Maschia donna: la Libertà.
Vs. 13. - Avvoltoio: Napoleone.
- Pulcino: Il principe Eugenio Beauharnais. - Il regno d'Italia fu composto parte dell'antica Lombardia Austriaca e delle città Venete distinte per l'immagine d'un Leone alato; parte delle più fertili regioni del Piemonte la cui insegna è un Toro; parte delle città del Papa lungo il mare Adriatico.
Vs. 14. - Tale si mostrò il Viceré nel principio del suo governo.
Vs. 15. - Sinagoga de' Dottori: l'Istituto Regio delle scienze, lettere ed arti del regno d'Italia.
- Senato de' parassiti: il Senato del regno.
- Nabucodonosor: Napoleone.
- Baldassar: il Viceré.
Vs. 18. - Vedi la nota 1. cap. I verso il fine.



CAPO SESTO

Vs. 4-5. Uomo Francese: un certo Abbate Guillon, Francese, spretatosi, venne in Italia sotto gli auspici dei suoi connazionali, e dié fuori un libro tutto adulazione alla superbia e puerile vanità de' Francesi. Volle esso provare doversi dagli scrittori Italiani usare la lingua Francese, lasciata da parte la propria siccome inetta alle scienze e perfino assai meno armoniosa della Francese. Lo stesso Guillon beccavasi tre mila lire all'anno scrivendo di cose temerarie nel Giornale italiano, e le sue ciance uscivano col privilegio della pubblica autorità. Non sapeva un'acca d'Italiano, e i suoi parti letterari fe' tradurre dal Francese. Disprezzato e schernito, pure era temuto, come quegli ch'era spia del principe; il medesimo fu anche maestro di lingua Francese a' Paggi.

Vs. 6. - Eden satrapo: è pure detto al capo XI, vs. 19: principe de' parassiti; e al capo XlV, vs. 12: fariseo massimo. Fu questi il conte Paradisi, uomo se altri mai astutissimo, il quale, spregevole esso stesso, con arte molta usò dispregiare quanti gli bazzicavano intorno. Essendo presidente e del Senato e dell'Istituto regio, ogni giorno a lui venivano molti a profondersi in riverenze; e la sera nella sua casa radunava i dotti a conversazione. Figlio d'un poeta da Reggio di qualche fama, del nome paterno il figlio abusò per accrescere esageratamente l'opinione della sua dottrina, tra' poeti facendo il matematico, e tra' matematici il poeta. Del resto non in altro si adoperò se non in rendersi necessario a Bonaparte a cui fece bel servigio rendendo ridevoli gli uomini dotti: il che certo non dispiace a' tiranni.
Vs. 8. - Littori a cavallo: la Gendarmeria.
- Castello della città paludosa: Mantova.



CAPO SETTIMO

Vs. 1-7. - Quanto si dice della punizione del Lampredi è finto, né vi è ombra di vero: ma l'antecedente narrazione e quella che qui si legge del suo anfaneggiare è espressa al naturale.
Vs. 8. - I nomi contenuti in questo verso sono svelati nel capo XII.
Vs. 9. - Ecco, senz'alcuna esagerazione, la vera natura degli uomini eruditi, i quali in Milano servivano a Bonaparte e nella reggia d'Eugenio.
- Pastore buono con la Vacca
: s'intende il conte Vaccari, uomo d'animo nobile, fermo, e retto, ma che, per sua sventura, ministro delle cose interne del regno, non poté fare a meno d'invitare alla sua mensa gli uomini dotti cortigiani; a' quali bench'e' facesse molti benefizi, ebbe spesso a sperimentarli immemori ed ingrati.



CAPO OTTAVO

In tutto questo capo la Spada dell'uomo militare simboleggia la spada, che sogliamo attribuire alla verità.
- Est est: Non non: sono parole dell'Evangelo presso Matteo V, 37; le quali Ugo Foscolo fa incidere nel suo sigillo.



CAPO NONO

Vecchia libidinosa: è immagine di tutte le donne dotte, ma copiata dalla natura di una tale, il cui nome non vuolsi imprudentemente svelare.



CAPO DECIMO

Vs. 2. - Eunuco: è un tal Filippo del Rosso tuttora professore d'eloquenza nel Liceo di Brera: Fiorentino, parassita, maledico e delatore di professione. Del rimanente qui e ne' seguenti capi, dove si fa menzione di lui, è dipinta la precisa natura dell'uomo quanto al corpo e quanto all'animo. Ved. cap. XI, vss. 19, 20, 21, e cap. XIV, vs. 12. Filippo era una delle spie del Paradisi: non scrisse mai nulla.
Vs. 7. - Calamoboa: appellativo derivato dal nome di un tal Demetrio Calamoboa, del quale è fatta, credo, menzione negli Opuscoli Morali di Plutarco. Questo soprannome gli era stato messo dal vano strepito della sua penna, e si adatta a puntino alla donna dotta, della quale qui si tratta.
Vs. 14. - Anna Calamoboa, moglie successivamente a due mariti, spargendo calunnie contro ambedue, si procurò con tal arte un'annua pensione, e a tal prezzo essi si liberarono di quella vipera. Certo non si crederebbe quanto era stolida e perversa cotesta donnaccia.



CAPO UNDECIMO

Questo capo è tutto invenzione poetica, e non è per anche morto il Lampredi. Ma ci bisogna fingerlo tale a manifestare la malvagità dell'animo suo, e a far rendere al cadavere gli estremi onori da' suoi amici. Ved. cap. XVI.



CAPO DUODECIMO

Le maravigliose cose di questo e de' seguenti capi, fino al termine dell'Ipercalisse, hanno luogo nel Ptomotafio sulle rive del fiume Arno.
Vs. 7. - Agirte figlio di Beton: è il Bettoni, stampatore di Brescia, uomo sfacciatissimo. I suoi libri sempre dedica con lusinghe a' nuovi Imperanti, e sempre sparla di quelli che prima aveva a parole adulato. Con quest'arte *ce grandi ricchezze; ma, tristo, fu a tal punto prodigo dell'aver suo, che già è ridotto a mal partito.
Vs. 10. - Fliria istrione figlio di Benac: è un tale di nome Anelli, scrittore di libretti d'Opera buffa, del lago di Garda, chiamato anche Benaco. Uomo loquacissimo, nuoce con la sua garrulità; né consapevole forse della sua sconsideratezza, fece spesso senz'accorgersi da spia.

Vs. 11. - Psoriona figlio di Ftonia: Luigi Lamberti, Bibliotecario della Braidense. Ispettore della pubblica istruzione, membro dell'Istituto, Cavaliere dei due ordini: il corpo di lui chiazzato d'una specie di rogna che gli tormentò gli occhi e le mani; l'animo fu sede di sordidissima e sospettosissima invidia. Ebbe nome in filologia, e fu consultato intorno a quanto s'atteneva ad autori classici Italiani, Latini, Greci: ma non fece mai nulla degno di tanto nome, anzi scrisse pochissimo: da giovane, imitando Orazio, compose alquanti bei versi. La sua fama però andò scemando, e, morto, fu dimenticato del tutto. Espertissimo del resto in cortigianeria, inalzato più in alto che non meritasse la cadente fama, moltiplicò le sue entrate. Molto nocque, per mezzo d'altri, a' suoi rivali. Più eloquente d'un gesuita, insidiò oltre ogni credere, a tutti i dotti d'Italia. Educato nella corte Romana, fu, giovanetto, tra i familiari d'un principe.
Vs. 14. - Goes figlio di Oros: il poeta Monti, il quale ricco veramente d'ingegno poetico, tuttavia mancò di costanza: ne' suoi componimenti ebbe sempre mai fretta, anzi ci fu costretto, perché pigliava l'occasione dalla frequenza de' magistrati a' quali la sua penna era venduta. Dacché il mondo è mondo, non so se altri sia mai esistito più volubile e impudente di lui. Dall'anno 1792 al 1814, le cose scritte pel Papa spirano eccessiva superstizione: pari empietà quelle per i Giacobini; lodò ed esecrò tutti i principii del diritto civile, e i principi, secondo la spinta che riceveva per danaro. E già blandisce l'Imperatore d'Austria la cui fama aveva lacerato negli anni addietro. Il suo dire è nitido, benché più splendido che puro: imita e più spesso ripete le stesse cose. La moglie è famosa per intemperanza, e il signore va adorno di corna di lumaca. Il Monti fu educato nella corte Romana.


Vs. 19-21. Scismatico e senza nome: è un tale che strozzò esso stesso la propria fama con la troppa malignità: ne tacerò il nome. Ma fu quale è qui descritto e sarà fatto meglio conoscere al capo XIII, vs. 11, segg., XIV, verso 9.
Vs. 22-24. - 1l gigante.. ruminava siccome Bove: è il pittore Bossi, morto mentre si stava stampando l'Ipercalisse. Felice nel disegnare le figure de' corpi, non ebbe criterio nell'armonia de' colori, anzi in questa principale dote della pittura fu veramente nullo. Il medesimo fu così fatto, che pur seguendo mirabilissimi principii, cadeva in falsissime conseguenze: di fatto non tenne per buoni pittori se non Michelangelo e Leonardo da Vinci: gli altri, e perfino lo stesso Raffaello, sprezzò. Che più? essendo la Cena di Leonardo quasi distrutta dal tempo, il Bossi non si peritò di vantarsi da tanto di restaurare questo capolavoro d'arte stupenda; e per grande sventura i dotti cortigiani insinuarono al Viceré essere il Bossi un altro Leonardo da Vinci; e fu tanta la stoltezza del Viceré da profondere circa tre mila zecchini in questo spudorato artista. Ristaurò il Bossi la tavola, ma fu da meno d'uno scolaro. Tuttavia fu nominato Professore di Pittura Sublime, titolo veramente nuovo trovato dall'acutezza Francese. Il Bossi però scrisse un'opera eruditissima intorno al Cenacolo di Leonardo: e si fosse accontentato di tanto, e non avesse voluto contendere con quell'ingegno e artefice sovrano! Fattasi dal Bossi una copia, le reliquie dell'originale giacquero neglette, e già volgono a rovina.
Vs. 23. - Nel cenacolo de' figli del carnefice santo: la Cena di Leonardo era posta nel refettorio de' Domenicani, ordine di quel Santo che inventò l'Inquisizione e l'auto da fé.
Vs. 25. - Si millantò il Bossi d'avere egli solo percorso tutte le scienze, gli altri credette ignoranti. Ma giusta la sua stolidezza, fece Giuda co' capelli rossi che furono propri della stirpe di Davide: vedi lib. I de' Re, cap. XVI, 12. Leonardo invece aveva dato tale capigliatura a Gesù: e a Giuda capelli nerissimi.



CAPO DECIMO TERZO

È chiaro da sé.



CAPO DECIMO QUARTO

Vs 4. Argomenti incredibilmente veri: si leggevano quasi con le stesse parole nella Gazzetta letteraria, che uscì la Domenica soltanto intitolata il Poligrafo: fu questa la gazzetta, nella quale il Lampredi (Ieromomo) e il Lamberti (Psoriona), quasi difensori di Napoleone e della corte, accusavano i principii politici de' loro rivali: e avendo a discorrere di libri, palesare le mende che la loro acutezza trovava, essi parlavano de' costumi altrui, quando non li calunniavano protetti dal Governo che avrebbe proibito le altre gazzette. Un certo Contarini Veneto aveva per due o tre mesi pubblicato 1'Antipoligrafo: ma fu sospeso.

CAPO DECIMO QUINTO

e

DECIMO SESTO

Sono bastevolmente chiari.



CAPO DECIMO SETTIMO

Vs. 4. - Babilonia massima: questa è Parigi.
Vs. 6. - Babilonia perpetua: questa è Roma.
Vs. 8. - Babilonia minima: questa è Milano.
Vs. 9. - Babilonia ricca: questa è l'Inghilterra.



CAPO DECIMO OTTAVO

Vs. 14. - E' questa l'infelice spedizione in Russia, nella quale morirono di freddo circa quarantotto mila giovani dell'esercito italiano: per la qual cosa, disfatti i Francesi, al Regno d'Italia mancarono i difensori.
Vs. 15. E' vero infatti che da giovani corrotti della nobiltà, da servi e da femmine nella sommossa di Milano furono i Senatori scacciati dall'aula, la sede de' Senatori i giovani saccheggiarono, e sicari prezzolati da' patrizi concitarono quel tumulto che vollero si chiamasse mutamento di stato nell'an. MDCCCXIV, giorno XX d'aprile.
Vs. [16-]19. - Ricchi sfondati: i Nobili Mi!anesi, i quali insultarono l'esercito Italiano, il giorno che gli Austriaci entrati in Milano con la promessa di difendere la città, nel fatto l'annientarono.
Vs. 22-24 -
Costumi dei Patrioti, de' Giacobini, de' Repubblicani, de Popolani d'Italia, specie di Milano, i quali in ogni tempo non cercarono se non lucro e fama quale si fosse.
Vs. 25. - Francs Maçons, ossia liberi Muratori.
Vs. 26-27. - I Metafisici, i quali con le mani in mano attendono la perfezione del genere umano, che predicano quasi imminente; onde fra pochi anni dicono che sarà libera e beatissima l'Europa intera: frattanto essi dormono.

Vs. 28-29. - Sono i buoni cittadini d'Italia, che imprudentemente si dolgono della miseria della loro patria, come già a' tempi dl Trasibulo i buoni parlavano più forte, di quello che combattessero, per la libertà.
Vs 30. - I Sacerdoti.
Vs 31. - I Governatori austriaci i quali attizzano la discordia degli animi e sognano congiure.
Vs 33. - Volume unico: la sacra Bibbia.
Vs 34. segg. - Sino al fine del capo trattasi dello stato d'Italia presente, passato e futuro, che noi con labbro fatidico deduciamo da' sacri libri.

 

 

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