Niccolò Machiavelli

DELL'ARTE

DELLA GUERRA




Niccolò Machiavegli,
cittadino e segretario fiorentino
sopr'al libro dell'arte della guerra
a Lorenzo di Filippo Strozzi patrizio fiorentino





PROEMIO

         Hanno, Lorenzo, molti tenuto e tengono questa opinione: che e' non sia cosa alcuna che minore convenienza abbia con un'altra, né che sia tanto dissimile, quanto la vita civile dalla militare. Donde si vede spesso, se alcuno disegna nello esercizio del soldo prevalersi, che subito, non solamente cangia abito, ma ancora ne' costumi, nelle usanze, nella voce e nella presenza da ogni civile uso si disforma; perché non crede potere vestire uno abito civile colui che vuole essere espedito e pronto a ogni violenza- né i civili costumi e usanze puote avere quello il quale giudica e quegli costumi essere effeminati e quelle usanze non favorevoli alle sue operazioni; né pare conveniente mantenere la presenza e le parole ordinarie a quello che con la barba e con le bestemmie vuole fare paura agli altri uomini; il che fa in questi tempi tale opinione essere verissima. Ma se si considerassono gli antichi ordini, non si troverebbono cose più unite, più conformi e che, di necessità, tanto l'una amasse l'altra, quanto queste; perché tutte l'arti che si ordinano in una civiltà per cagione del bene comune degli uomini, tutti gli ordini fatti in quella per vivere con timore delle leggi e d'Iddio, sarebbono vani, se non fussono preparate le difese loro; le quali, bene ordinate mantengono quegli, ancora che non bene ordinati. E così, per il contrario, i buoni ordini, sanza il militare aiuto, non altrimenti si disordinano che l'abitazioni d'uno superbo e regale palazzo, ancora che ornate di gemme e d'oro, quando, sanza essere coperte, non avessono cosa che dalla pioggia le difendesse. E se in qualunque altro ordine delle cittadine de' regni si usava ogni diligenza per mantenere gli uomini fedeli, pacifici e pieni del timore d'Iddio, nella milizia si raddoppiava; perché in quale uomo debbe ricercare la patria maggiore fede, che in colui che le ha a promettere di morire per lei? In quale debbe essere più amore di pace, che in quello che solo dalla guerra puote essere offeso? In quale debbe essere più timore d'Iddio, che in colui che ogni dì, sottomettendosi a infiniti pericoli, ha più bisogno degli aiuti suoi? Questa necessità considerata bene, e da coloro che davano le leggi agli imperii, e da quegli che agli esercizi militari erano preposti, faceva che la vita de' soldati dagli altri uomini era lodata e con ogni studio seguitata e imitata. Ma per essere gli ordini militari al tutto corrotti e, di gran lunga, dagli antichi modi separati, ne sono nate queste sinistre opinioni, che fanno odiare la milizia e fuggire la conversazione di coloro che la esercitano. E giudicando io, per quello che io ho veduto e letto, ch'e' non sia impossibile ridurre quella negli antichi modi e renderle qualche forma della passata virtù, diliberai, per non passare questi mia oziosi tempi sanza operare alcuna cosa, di scrivere, a sodisfazione di quegli che delle antiche azioni sono amatori, della arte della guerra quello che io ne intenda. E benché sia cosa animosa trattare di quella materia della quale altri non ne abbia fatto professione, nondimeno io non credo sia errore occupare con le parole uno grado il quale molti, con maggiore prosunzione, con le opere hanno occupato; perché gli errori che io facessi, scrivendo, possono essere sanza danno d'alcuno corretti, ma quegli i quali da loro sono fatti, operando, non possono essere, se non con la rovina degli imperii, conosciuti. Voi pertanto, Lorenzo, considererete le qualità di queste mie fatiche e darete loro, con il vostro giudicio, quel biasimo o quella lode la quale vi parrà ch'elle abbiano meritato. Le quali a voi mando sì per dimostrarmi grato, ancora che la mia possibilità non vi aggiunga, de' benefizi ho ricevuto da voi, sì ancora, perché, essendo consuetudine onorare di simili opere coloro i quali per nobiltà, ricchezze, ingegno e liberalità risplendono, conosco voi di ricchezze e nobiltà non avere molti pari, d'ingegno pochi e di liberalità niuno.



Libro primo


    Perché io credo che si possa lodare dopo la morte ogni uomo, sanza carico, sendo mancata ogni cagione e sospetto di adulazione, non dubiterò di lodare Cosimo Rucellai nostro, il nome del quale non fia mai ricordato da me sanza lagrime, avendo conosciute in lui quelle parti le quali, in uno buono amico dagli amici, in uno cittadino dalla sua patria si possono disiderare. Perché io non so quale cosa si fusse tanto sua (non eccettuando, non ch'altro, l'anima) che per gli amici volentieri da lui non fusse stata spesa; non so quale impresa lo avesse sbigottito, dove quello avesse conosciuto il bene della sua patria. E io confesso, liberamente, non avere riscontro, tra tanti uomini che io ho conosciuti e pratichi, uomo nel quale fusse il più acceso animo alle cose grandi e magnifiche. Né si dolse con gli amici d'altro, nella sua morte, se non di essere nato per morire giovane dentro alle sue case, e inonorato, sanza avere potuto, secondo l'animo suo, giovare ad alcuno; perché sapeva che di lui non si poteva parlare altro, se non che fusse morto uno buono amico. Non resta però, per questo, che noi, e qualunque altro che come noi lo conosceva, non possiamo fare fede, poi che l'opere non appariscono, delle sue lodevoli qualità. Vero è che non gli fu però in tanto la fortuna nimica, che non lasciasse alcun breve ricordo della destrezza del suo ingegno, come ne dimostrano alcuni suoi scritti e composizioni di amorosi versi; ne' quali, come che innamorato non fusse, per non consumare il tempo invano, tanto che a più alti pensieri la fortuna lo avesse condotto, nella sua giovenile età si esercitava; dove chiaramente si può comprendere con quanta felicità i suoi concetti descrivesse, e quanto nella poetica si fusse onorato, se quella, per suo fine, fusse da lui stata esercitata. Avendone pertanto privati la fortuna dello uso d'uno tanto amico, mi pare che non si possa farne altri rimedi che, il più che a noi è possibile cercare, di godersi la memoria di quello e repetere se da lui alcuna cosa fusse stata o acutamente detta o saviamente disputata. E perché non è cosa di lui più fresca, che il ragionamento il quale ne' prossimi tempi il signore Fabrizio Colonna dentro a' suoi orti ebbe con seco (dove largamente fu da quel signore delle cose della guerra disputato, e acutamente e prudentemente in buona parte da Cosimo domandato); mi è parso, essendo con alcuni altri nostri amici stato presente, ridurlo alla memoria, acciò che, leggendo quello, gli amici di Cosimo che quivi convennono, nel loro animo la memoria delle sue virtù rinfreschino, e gli altri, parte si dolgano di non vi essere intervenuti, parte molte cose utili alla vita non solamente militare, ma ancora civile, saviamente da uno sapientissimo uomo disputate, imparino.

    Dico pertanto che, tornando Fabrizio Colonna di Lombardia, dove più tempo aveva per il re cattolico con grande sua gloria militato, diliberò, passando per Firenze, riposarsi alcuno giorno in quella città, per vicitare la eccellenza del duca e rivedere alcuni gentili uomini co' quali per lo addietro aveva tenuto qualche familiarità. Donde che a Cosimo parve convitarlo ne' suoi orti, non tanto per usare la sua liberalità, quanto per avere cagione di parlar seco lungamente, e da quello intendere ed imparare varie cose, secondo che da un tale uomo si può sperare, parendogli avere occasione di spendere uno giorno in ragionare di quelle materie che allo animo suo sodisfacevano. Venne adunque Fabrizio, secondo che quello volle, e da Cosimo insieme con alcuni altri suoi fidati amici fu ricevuto; tra' quali furono Zanobi Buondelmonti, Batista della Palla e Luigi Alamanni, giovani tutti amati da lui e de' medesimi studi ardentissimi, le buone qualità de' quali, perché ogni giorno e ad ogni ora per se medesime si lodano, ommettereno. Fabrizio adunque fu, secondo i tempi e il luogo, di tutti quegli onori che si poterono maggiori onorato, ma passati i convivali piaceri e levate le tavole e consumato ogni ordine di festeggiare, il quale, nel conspetto degli uomini grandi e che a pensieri onorevoli abbiano la mente volta, si consuma tosto, essendo il dì lungo e il caldo molto, giudicò Cosimo, per sodisfare meglio al suo disiderio, che fusse bene, pigliando l'occasione dal fuggire il caldo, condursi nella più segreta e ombrosa parte del suo giardino. Dove pervenuti e posti a sedere, chi sopra all'erba che in quel luogo è freschissima, chi sopra a sedili in quelle parti ordinati sotto l'ombra d'altissimi arbori, lodò Fabrizio il luogo come dilettevole; e considerando particolarmente gli arbori e alcuno di essi non ricognoscendo, stava con l'animo sopeso. Della qual cosa accortosi Cosimo, disse: - Voi per avventura non avete notizia di parte di questi arbori; ma non ve ne maravigliate, perché ce ne sono alcuni più dagli antichi, che oggi dal comune uso, celebrati. - E dettogli il nome di essi, e come Bernardo suo avolo in tale cultura si era affaticato, replicò Fabrizio: - Io pensava che fusse quello che voi dite; e questo luogo e questo studio mi faceva ricordare d'alcuni principi del Regno, i quali di queste antiche culture e ombre si dilettano.- E fermato in su questo il parlare e stato alquanto sopra di sé come sospeso, soggiunse: - Se io non credessi offendere, io ne direi la mia opinione ma io non lo credo fare, parlando con gli amici, e per disputare le cose e non per calunniarle. Quanto meglio arebbono fatto quelli, sia detto con pace di tutti, a cercare di somigliare gli antichi nelle cose forti e aspre, non nelle delicate e molli, e in quelle che facevano sotto il sole, non sotto l'ombra, e pigliare i modi della antichità vera e perfetta, non quelli della falsa e corrotta; perché, poi che questi studi piacquero ai miei Romani, la mia patria rovinò.- A che Cosimo rispose... Ma per fuggire i fastidi d'avere a repetere tante volte "quel disse e quello altro soggiunse", si noteranno solamente i nomi di chi parli, sanza replicarne altro. Disse dunque


    Cosimo:
Voi avete aperto la via a uno ragionamento quale io desiderava, e vi priego che voi parliate sanza rispetto, perché io sanza rispetto vi domanderò; e se io, domandando o replicando, scuserò o accuserò alcuno, non sarà per scusare o per accusare, ma per intendere da voi la verità.

    
FABRIZIO E io sarò molto contento di dirvi quel che io intenderò di tutto quello mi domanderete; il che se sarà vero o no, me ne rapporterò al vostro giudicio. E mi sarà grato mi domandiate, perché io sono per imparare così da voi nel domandarmi, come voi da me nel rispondervi; perché molte volte uno savio domandatore fa a uno considerare molte cose e conoscerne molte altre, le quali, sanza esserne domandato, non arebbe mai conosciute.


    Cosimo:
Io voglio tornare a quello che voi dicesti prima: che lo avolo mio e quegli vostri arebbero fatto più saviamente a somigliare gli antichi nelle cose aspre che nelle delicate; e voglio scusare la parte mia, perché l'altra lascerò scusare a voi. Io non credo ch'egli fusse, ne' tempi suoi, uomo che tanto detestasse il vivere molle quanto egli, e che tanto fusse amatore di quella aspreva di vita che voi lodate; nondimeno e' conosceva non potere nella persona sua, né in quella de' suoi figliuoli, usarla essendo nato in tanta corruttela di secolo, dove uno che si volesse partire dal comune uso, sarebbe infame e vilipeso da ciascheduno. Perché se uno ignudo, di state, sotto il più alto sole si rivoltasse sopr' alla rena, o di verno ne' più gelati mesi sopra alla neve, come faceva Diogene, sarebbe tenuto pazzo. Se uno, come gli Spartani, nutrisse i suoi figliuoli in villa, facessegli dormire al sereno, andare col capo e co' piedi ignudi lavare nell'acqua fredda per indurgli a poter sopportare il male e per fare loro amare meno la vita e temere meno la morte, sarebbe schernito e tenuto piuttosto una fiera che uno uomo. Se fusse ancora veduto uno nutrirsi di legumi e spregiare l'oro, come Fabrizio, sarebbe lodato da pochi e seguito da niuno. Tal che, sbigottito da questi modi del vivere presente, egli lasciò gli antichi, e in quello che potette con minore ammirazione imitare l'antichità, lo fece.

    
Fabrizio: Voi lo avete scusato in questa parte gagliardamente, e certo voi dite il vero; ma io non parlava tanto di questi modi di vivere duri, quanto di altri modi più umani e che hanno con la vita d'oggi maggiore conformità i quali io non credo che ad uno che sia numerato tra' principi d'una città, fusse stato difficile introdurgli. Io non mi partirò mai, con lo esempio di qualunque cosa, da' miei Romani. Se si considerasse la vita di quegli e l'ordine di quella republica, si vedrebbero molte cose in essa non impossibili ad introdurre in una civilità dove fusse qualche cosa ancora del buono.


    Cosimo:
Quali cose sono quelle che voi vorresti introdurre simili all'antiche?

    
Fabrizio: Onorare e premiare le virtù non dispregiare la povertà, stimare i modi e gli ordini della disciplina militare, constringere i cittadini ad amare l'uno l'altro, a vivere sanza sètte, a stimare meno il privato che il publico, e altre simili cose che facilmente si potrebbono con questi tempi accompagnare. I quali modi non sono difficili persuadere, quando vi si pensa assai ed entrasi per li debiti mezzi, perché in essi appare tanto la verità, che ogni comunale ingegno ne puote essere capace; la quale cosa chi ordina, pianta arbori sotto l'ombra de' quali si dimora più felice e più lieto che sotto questa.


    Cosimo:
Io non voglio replicare, a quello che voi avete detto, alcuna cosa ma ne voglio lasciare dare giudicio a questi, i quali facilmente ne possono giudicare; e volgerò il mio parlare a voi che siete accusatore di coloro che nelle gravi e grandi azioni non sono degli antichi imitatori, pensando, per questa via, più facilmente essere nella mia intenzione sodisfatto. Vorrei pertanto sapere da voi, donde nasce che dall'un canto voi danniate quegli che nelle azioni loro gli antichi non somigliano; dall'altro, nella guerra, la quale è l'arte vostra e in quella che voi siete giudicato eccellente, non si vede che voi abbiate usato alcuno termine antico, o che a quegli alcuna similitudine renda.

    
Fabrizio: Voi siete capitato appunta dove io vi aspettava, perché il parlare mio non meritava altra domanda, né io altra ne desiderava. E benché io mi potessi salvare con una facile scusa, nondimeno voglio entrare, a più sodisfazione mia e vostra, poi che la stagione lo comporta, in più lungo ragionamento. Gli uomini che vogliono fare una cosa, deono prima con ogni industria prepararsi, per essere, venendo l'occasione, apparecchiati a sodisfare a quello che si hanno presupposto di operare. E perché) quando le preparazioni sono fatte cautamente, elle non si conoscono, non si può accusare alcuno d'alcuna negligenza! Se prima non è scoperto dalla occasione; nella quale poi, non operando,si vede o che non si è preparato tanto che basti, o che non vi ha in alcuna parte pensato. E perché a me non è venuta occasione alcuna di potere mostrare i preparamenti da me fatti per potere ridurre la milizia negli antichi suoi ordini, se io non la ho ridotta, non ne posso essere da voi né da altri incolpato. Io credo che questa scusa basterebbe per risposta all'accusa vostra.


    Cosimo:
Basterebbe, quando io fussi certo che l'occasione non fusse venuta.

    
Fabrizio: Ma perché io so che voi potete dubitare se questa occasione è venuta o no, voglio io largamente, quando voi vogliate con pazienza ascoltarmi, discorrere quali preparamenti sono necessarii prima fare, quale occasione bisogna nasca, quale difficultà impedisce che i preparamenti non giovano e che l'occasione non venga; e come questa cosa a un tratto, che paiono termini contrarii, è difficilissima e facilissima a fare.


    Cosimo:
Voi non potete fare, e a me e a questi altri, cosa più grata di questa; e se a voi non rincrescerà il parlare, mai a noi non rincrescerà l'udire. Ma perché questo ragionamento debbe esser lungo, io voglio aiuto da questi miei amici, con licenza vostra, e loro e io vi preghiamo d'una cosa. Che voi non pigliate fastidio se qualche volta, con qualche domanda importuna, vi interrompereno.

    
Fabrizio: Io sono contentissimo che voi, Cosimo, con questi altri giovani qui mi domandiate, perché io credo che la gioventù vi faccia più amici delle cose militari e più facili a credere quello che da me si dirà. Questi altri, per aver già il capo bianco e avere i sangui ghiacciati addosso, parte sogliono essere nimici della guerra, parte incorreggibili, come quegli che credono che i tempi e non i cattivi modi costringano gli uomini a vivere così. Si che domandatemi tutti voi sicuramente e sanza rispetto il che io disidero, si perché mi fia un poco di riposo, sì perché io arò piacere non lasciare nella mente vostra alcuna dubitazione. Io mi voglio cominciare dalle parole vostre, dove voi mi dicesti che nella guerra, che è l'arte mia, io non aveva usato alcun termine antico. Sopra a che dico come, essendo questa una arte mediante la quale gli uomini d'ogni tempo non possono vivere onestamente, non la può usare per arte se non una republica o uno regno; e l'uno e l'altro di questi, quando sia bene ordinato, mai non consentì ad alcuno suo cittadino o suddito usarla per arte; né mai alcuno uomo buono l'esercitò per sua particulare arte. Perché buono non sarà mai giudicato colui che faccia uno esercizio che, a volere d'ogni tempo trarne utilità, gli convenga essere rapace, fraudolento, violento e avere molte qualita di le quali di necessità lo facciano non buono; né possono gli uomini che l'usano per arte, così i grandi come i minimi, essere fatti altrimenti, perché questa arte non gli nutrisce nella pace; donde che sono necessitati o pensare che non sia pace, o tanto prevalersi ne' tempi della guerra, che possano nella pace nutrirsi. E qualunque l'uno di questi due pensieri non cape in uno uomo buono; perché dal volersi potere nutrire d'ogni tempo, nascono le ruberie, le violenze, gli assassinamenti che tali soldati fanno così agli amici come a' nimici; e dal non volere la pace nascono gli inganni che i capitani fanno a quegli che gli conducono, perché la guerra duri; e se pure la pace viene, spesso occorre che i capi, sendo privi degli stipendi e del vivere, licenziosamente rizzano una bandiera di ventura e sanza alcuna pietà saccheggiano una provincia. Non avete voi nella memoria delle cose vostre come, trovandosi assai soldati in Italia sanza soldo per essere finite le guerre, si radunarono insieme più brigate, le quali si chiamarono Compagnie, e andavano taglieggiando le terre e saccheggiando il paese, sanza che vi si potesse fare alcuno rimedio? Non avete voi letto che i soldati cartaginesi, finita la prima guerra ch'egli ebbero co' Romani, sotto Mato e Spendio, due capi fatti tumultuariamente da loro, ferono più pericolosa guerra a' Cartaginesi che quella che loro avevano finita co' Romani? Ne' tempi de' padri nostri, Francesco Sforza, per potere vivere onorevolmente ne' tempi della pace, non solamente ingannò i Milanesi de' quali era soldato, ma tolse loro la libertà e divenne loro principe. Simili a costui sono stati tutti gli altri soldati di Italia, che hanno usata la milizia per loro particolare arte; e se non sono, mediante le loro malignita, diventati duchi di Milano, tanto più meritano di essere biasimati, perché sanza tanto utile hanno tutti, se si vedesse la vita loro, i medesimi carichi. Sforza, padre di Francesco, costrinse la reina Giovanna a gittarsi nelle braccia del re di Ragona avendola in un subito abbandonata e in mezzo a' suoi nimici lasciatala disarmata, solo per sfogare l'ambizione sua o di taglieggiarla o di torle il regno. Braccio, con le medesime industrie, cercò di occupare il regno di Napoli; e se non era rotto e morto a Aquila, gli riusciva. Simili disordini non nascono da altro che da essere stati uomini che usavano lo esercizio del soldo per loro propria arte. Non avete voi uno proverbio il quale fortifica le mie ragioni, che dice: "La guerra fa i ladri, e la pace gl'impicca?". Perché quegli che non sanno vivere d'altro esercizio e in quello non trovando chi gli sovvenga e non avendo tanta virtù che sappiano ridursi insieme a fare una cattività onorevole, sono forzati dalla necessità rompere la strada, e la giustizia è forzata spegnerli.


    Cosimo:
Voi m' avete fatto tornare questa arte del soldo quasi che nulla, e io me la aveva presupposta la più eccellente e la più onorevole che si facesse; in modo che, se voi non me la dichiarate meglio, io non resto sodisfatto, perché, quando sia quello che voi dite, io non so donde si nasca la gloria di Cesare, di Pompeo, di Scipione, di Marcello, e di tanti capitani romani che sono per fama celebrati come dii.

    
Fabrizio: Io non ho ancora finito di disputare tutto quello che io proposi, che furono due cose: L'una, che uno uomo buono non poteva usare questo esercizio per sua arte; L'altra, che una republica o uno regno bene ordinato non permesse mai che i suoi suggetti o i suoi cittadini la usassono per arte. Circa la prima ho parlato quanto mi è occorso: restami a parlare della seconda, dove io verrò a rispondere a questa ultima domanda vostra; e dico che Pompeo e Cesare, e quasi tutti quegli capitani che furono a Roma dopo l'ultima guerra cartaginese, acquistarono fama come valenti uomini, non come buoni; e quegli che erano vivuti avanti a loro, acquistarono gloria come valenti e buoni. Il che nacque perché questi non presero lo esercizio della guerra per loro arte, e quegli che io nominai prima, come loro arte la usarono. E in mentre che la republica visse immaculata, mai alcuno cittadino grande non presunse, mediante tale esercizio, valersi nella pace, rompendo le leggi, spogliando le provincie, usurpando e tiranneggiando la patria e in ogni modo prevalendosi; né alcuno d'infima fortuna pensò di violare il sacramento, aderirsi agli uomini privati, non temere il senato, o seguire alcuno tirannico insulto per potere vivere, con l'arte della guerra, d'ogni tempo. Ma quegli che erano capitani, contenti del trionfo, con disiderio tornavono alla vita privata; e quelli che erano membri, con maggior voglia deponevano le armi che non le pigliavano; e ciascuno tornava all'arte sua mediante la quale si aveva ordinata la vita; né vi fu mai alcuno che sperasse con le prede e con questa arte potersi nutrire. Di questo se ne può fare, quanto a' cittadini grandi, evidente coniettura mediante Regolo Attilio; il quale, sendo capitano degli eserciti romani in Affrica e avendo quasi che vinti i Cartaginesi, domandò al senato licenza di ritornarsi a casa a custodire i suoi poderi che gli erano guasti dai suoi lavoratori. Donde è più chiaro che il sole, che, se quello avesse usata la guerra come sua arte e, mediante quella, avesse pensato farsi utile, avendo in preda tante provincie, non arebbe domandato licenza per tornare a custodire i suoi campi; perché ciascuno giorno arebbe molto più, che non era il prezzo di tutti quegli, acquistato. Ma perché questi uomini buoni, e che non usano la guerra per loro arte, non vogliono trarre di quella se non fatica, pericoli e gloria, quando e' sono a sufficienza gloriosi disiderano tornarsi a casa e vivere dell'arte loro. Quanto agli uomini bassi e soldati gregarii, che sia vero che tenessono il medesimo ordine apparisce, Che ciascuno volentieri si discostava da tale esercizio e, quando non militava, arebbe voluto militare e, quando militava, arebbe voluto essere licenziato. Il che si riscontra per molti modi, e massime vedendo come, tra' primi privilegi che dava il popolo romano a un suo cittadino, era che non fusse constretto fuora di sua volontà a militare. Roma pertanto, mentre ch'ella fu bene ordinata (che fu infino a' Gracchi) non ebbe alcuno soldato che pigliasse questo esercizio per arte; e però ne ebbe pochi cattivi, e quelli tanti furono severamente puniti. Debbe adunque una città bene ordinata volere che questo studio di guerra si usi ne' tempi di pace per esercizio e ne' tempi di guerra per necessità e per gloria, e al publico solo lasciarla usare per arte, come fece Roma. E qualunque cittadino che ha in tale esercizio altro fine, non è buono; e qualunque città si governa altrimenti, non è bene ordinata.


    Cosimo:
o resto contento assai e sodisfatto di quello che insino a qui avete detto, e piacemi assai questa conclusione che voi avete fatta; e quanto si aspetta alla republica, io credo ch'ella sia vera; ma quanto ai re, non so già, perché io crederrei che uno re volesse avere intorno chi particolarmente prendesse, per arte sua, tale esercizio.

    
Fabrizio: Tanto più debbe uno regno bene ordinato fuggire simili artefici. Perché solo essi sono la corruttela del suo re e, in tutto, ministri della tirannide. E non mi allegate all'incontro alcuno regno presente, perché io vi negherò quelli essere regni bene ordinati. Perché i regni che hanno buoni ordini, non danno lo imperio assoluto agli loro re se non nelli eserciti; perché in questo luogo solo è necessaria una subita diliberazione e, per questo, che vi sia una unica podestà. Nell'altre cose non può fare alcuna cosa sanza consiglio, e hanno a temere, quegli che lo consigliano, che gli abbi alcuno appresso che ne' tempi di pace disideri la guerra, per non potere sanza essa vivere. Ma io voglio in questo essere un poco più largo, né ricercare uno regno al tutto buono, ma simile a quegli che sono oggi; dove ancora da' re deono esser temuti quegli che prendono per loro arte la guerra, perché il nervo degli eserciti, sanza alcun dubbio, sono le fanterie. Tal che, se uno re non si ordina in modo che i suoi fanti a tempo di pace stieno contenti tornarsi a casa e vivere delle loro arti, conviene di necessità che rovini; perché non si truova la più pericolosa fanteria che quella che è composta di coloro che fanno la guerra come per loro arte, perché tu sei forzato o a fare sempre mai guerra, o a pagargli sempre, o a portare pericolo che non ti tolgano il regno. Fare guerra sempre non è possibile; pagargli sempre non si può; ecco che di necessità si corre ne' pericoli di perdere lo stato. I miei Romani, come ho detto, mentre che furono savi e buoni, mai non permessero che i loro cittadini pigliassono questo esercizio per loro arte. Nonostante che potessono nutrirgli d'ogni tempo, perché d'ogni tempo fecero guerra. Ma per fuggire quel danno che poteva fare loro questo continuo esercizio, poiché il tempo non variava, ei variavano gli uomini, e andavano temporeggiando in modo con le loro legioni, che in quindici anni sempre l'avevano rinnovate; e così si valevano degli uomini nel fiore della loro età, che è da' diciotto a' trentacinque anni, nel qual tempo le gambe, le mani e l'occhio rispondevano l'uno all'altro; né aspettavano che in loro scemasse le forze e crescesse la malizia, com'ella fece poi ne tempi corrotti. Perché Ottaviano, prima, e poi Tiberio, pensando più alla potenza propria che all'utile publico, cominciarono a disarmare il popolo romano per poterlo più facilmente comandare, e a tenere continuamente quegli medesimi eserciti alle frontiere dello Imperio. E perché ancora non giudicarono bastassero a tenere in freno il popolo e senato romano, ordinarono uno esercito chiamato Pretoriano, il quale stava propinquo alle mura di Roma ed era come una rocca addosso a quella città. E perché allora ei cominciarono liberamente a permettere che gli uomini deputati in quelli eserciti usassero la milizia per loro arte, ne nacque subito la insolenza di quegli, e diventarono formidabili al senato e dannosi allo imperadore; donde ne risultò che molti ne furono morti dalla insolenza loro, perché davano e toglievano l'imperio a chi pareva loro; e talvolta occorse che in uno medesimo tempo erano molti imperadori creati da varii eserciti. Dalle quali cose procedé, prima, la divisione dello Imperio e, in ultimo, la rovina di quello. Deono pertanto i re, se vogliono vivere sicuri, avere le loro fanterie composte di uomini che, quando egli è tempo di fare guerra, volentieri per suo amore vadano a quella, e, quando viene poi la pace, più volentieri se ne ritornino a casa. Il che sempre fia, quando egli scerrà uomini che sappiano vivere d'altra arte che di questa. E così debbe volere, venuta la pace, che i suoi principi tornino a governare i loro popoli, i gentili uomini al culto delle loro possessioni, e i fanti alla loro particolare arte: e ciascuno d'essi faccia volentieri la guerra per avere pace, e non cerchi turbare la pace per avere guerra.


    Cosimo:
Veramente questo vostro ragionamento mi pare bene considerato; nondimeno, sendo quasi che contrario a quello che io insino a ora ne ho pensato, non mi resta ancora l'animo purgato d'ogni dubbio; perché io veggo assai signori e gentili uomini nutrirsi a tempo di pace mediante gli studii della guerra, come sono i pari vostri che hanno provvisioni dai principi e dalle comunità. Veggo ancora quasi tutti gli uomini d'arme rimanere con le provvisioni loro; veggo assai fanti restare nelle guardie delle città e delle fortezze; tale che mi pare che ci sia luogo, a tempo di pace, per ciascuno.

    
Fabrizio: Io non credo che voi crediate questo, che a tempo di pace ciascheduno abbia luogo; perché, posto che non se ne potesse addurre altra ragione, il poco numero che fanno tutti coloro che rimangono ne' luoghi allegati da voi, vi risponderebbe: che proporzione hanno le fanterie che bisognano nella guerra con quelle che nella pace si adoperano ? Perché le fortezze e le città che si guardano a tempo di pace, nella guerra si guardano molto più; a che si aggiungono i soldati che Si tengono in campagna, che sono un numero grande, i quali tutti nella pace si abbandonano. E circa le guardie degli stati, che sono uno piccolo numero, papa Iulio e voi avete mostro a ciascuno quanto sia da temere quegli che non vogliono sapere fare altra arte che la guerra; e gli avete per la insolenza loro privi delle vostre guardie e postovi Svizzeri, come nati e allevati sotto le leggi e eletti dalle comunità, secondo la vera elezione; sì che non dite più che nella pace sia luogo per ogni uomo. Quanto alle genti d'arme, rimanendo quelle nella pace tutte con li loro soldi, pare questa soluzione più difficile; nondimeno, chi considera bene tutto, truova la risposta facile, perché questo modo del tenere le genti d'arme è modo corrotto e non buono. La cagione è perché sono uomini che ne fanno arte, e da loro nascerebbe ogni dì mille inconvenienti nelli stati dove ei fussono, se fussero accompagnati da compagnia sufficiente; ma sendo pochi e non potendo per loro medesimi fare un esercito, non possono fare così spesso danni gravi. Nondimeno ne hanno fatti assai volte, come io vi dissi di Francesco e di Sforza, suo padre, e di Braccio da Perugia. Sì che questa usanza di tenere le genti d'arme, io non la appruovo, ed è corrotta e può fare inconvenienti grandi.


    Cosimo:
Vorresti voi fare sanza? O, tenendone, come le vorresti tenere?

    
Fabrizio: Per via d'ordinanza; non simile a quella del re di Francia, perch'ella è pericolosa ed insolente come la nostra, ma simile a quelle degli antichi; i quali creavano la cavalleria di sudditi loro, e ne' tempi di pace gli mandavano alle case loro a vivere delle loro arti, come più largamente, prima finisca questo ragionamento, disputerò. Sì che, se ora questa parte di esercito può vivere in tale esercizio, ancora quando sia pace, nasce dall'ordine corrotto. Quanto alle provvisioni che si riserbano a me e agli altri capi, vi dico che questo medesimamente è uno ordine corrottissimo, perché una savia republica non le debbe dare ad alcuno- anzi debbe operare per capi, nella guerra, i suoi cittadini e, a tempo di pace, volere che ritornino all'arte loro. Così ancora uno savio re o e' non le debbe dare o, dandole, debbono essere le cagioni: o per premio di alcuno egregio fatto, o per volersi valere d'uno uomo così nella pace come nella guerra. E perché voi allegasti me, io voglio esemplificare sopra di me; e dico non aver mai usata la guerra per arte, perché l'arte mia è governare i miei sudditi e defendergli, e, per potergli defendere, amare la pace e saper fare la guerra. Ed il mio re non tanto mi premia e stima per intendermi io della guerra, quanto per sapere io ancora consigliarlo nella pace. Non debbe adunque alcuno re volere appresso di sé alcuno che non sia così fatto, s'egli è savio e prudentemente si voglia governare; perché, s'egli arà intorno, o troppi amatori della pace, o troppi amatori della guerra, lo faranno errare. Io non vi posso, in questo mio primo ragionamento e secondo le proposte mie dire altro; e quando questo non vi basti conviene cerchiate di chi vi sodisfaccia meglio. Potete bene avere cominciato a conoscere quanta difficultà sia ridurre i modi antichi nelle presenti guerre e quali preparazioni ad uno uomo savio conviene rare, e quali occasioni si possa sperare a poterle esequire; ma voi di mano in mano conoscerete queste cose meglio, quando non vi infastidisca il ragionamento, conferendo qualunque parte degli antichi ordini ai modi presenti.

Libro secondo


    Io credo che sia necessario, trovati che sono gli uomini, armargli; e volendo fare questo, credo sia cosa necessaria esaminare che arme usavano gli antichi, e di quelle eleggere le migliori. I Romani dividevano le loro fanterie in gravemente e leggermente armate. Quelle dell'armi leggieri chiamavano con uno vocabolo Veliti. Sotto questo nome s'intendevano tutti quegli che traevano con la fromba, con la balestra, co' dardi, e portavano la maggior parte di loro, per loro difesa, coperto il capo e come una rotella in braccio. Combattevano costoro fuora degli ordini e discosti alla grave armadura; la quale era una celata che veniva infino in sulle spalle, una corazza che con le sue falde perveniva infino alle ginocchia; e avevano le gambe e le braccia coperte dagli stinieri e da' bracciali, con uno scudo imbracciato lungo due braccia e largo uno, il quale aveva un cerchio di ferro di sopra, per potere sostenere il colpo, e un altro di sotto, acciò che, in terra stropicciandosi, non si consumasse. Per offendere avevano cinta una spada in sul fianco sinistro lunga uno braccio e mezzo, in sul fianco destro uno stiletto. Avevano uno dardo in mano, il quale chiamavono pilo, e nello appiccare la zuffa lo lanciavano al nimico. Questa era la importanza delle armi romane, con le quali eglino occuparono tutto el mondo. E benché alcuni di questi antichi scrittori dieno loro, oltre alle predette armi, una asta in mano in modo che uno spiede, io non so come una asta grave si possa da chi tiene lo scudo adoperare; perché, a maneggiarla con due mani, lo scudo lo impedisce, con una, non può fare cosa buona per la gravezza sua. Oltre a questo, combattere nelle frotte e negli ordini con l'arme in asta è inutile, eccetto che nella prima fronte dove si ha lo spazio libero a potere spiegare tutta l'asta; il che negli ordini dentro non si può fare, perché la natura delle battaglie, come nello ordine di quelle vi dirò, è continuamente ristringersi; perché si teme meno questo, ancora che sia inconveniente, che il rallargarsi, dove è il pericolo evidentissimo. Tal che tutte le armi che passano di lunghezza due braccia, nelle stretture sono inutili; perché se voi avete l'asta e vogliate adoperarla a due mani, posto che lo scudo non vi noiasse, non potete offendere con quella uno nimico che vi sia addosso. Se voi la prendete con una mano, per servirvi dello scudo, non la potendo pigliare se non nel mezzo, vi avanza tanta asta dalla parte di dietro, che quelli che vi sono di dietro v'impediscono a maneggiarla. E che sia vero, o che i Romani non avessono queste aste, o che, avendole, se ne valessono poco, leggete tutte le giornate nella sua Istoria da Tito Livio celebrate, e vedrete, in quelle, radissime volte essere fatta menzione delle aste; anzi sempre dice che, lanciati i pili, ei mettevano mano alla spada. Però io voglio lasciare queste aste e attenermi, quanto a' Romani, alla spada per offesa e, per difesa, allo scudo con l'altre armi sopradette. I Greci non armavono sì gravemente per difesa come i Romani, ma, per offesa, si fondavono più in su l'asta che in su la spada; e massime le falangi di Macedonia, le quali portavano aste che chiamavono sarisse, lunghe bene dieci braccia, con le quali eglino aprivono le stiere nimiche e tenevano gli ordini nelle loro falangi. E benché alcuni scrittori dicono ch'egli avevano ancora lo scudo non so, per le ragioni dette di sopra come e' potevano stare insieme le sarisse e quegli. Oltre a questo, nella giornata che fece Paulo Emilio con Persa re di Macedonia, non mi ricorda che vi sia fatta menzione di scudi, ma solo delle sarisse e delle difficultà che ebbe lo esercito romano a vincerle. In modo che io conietturo che non altrimenti fusse una falange macedonica, che si sia oggi una battaglia di Svizzeri, i quali hanno nelle picche tutto lo sforzo e tutta la potenza loro. Ornavano i Romani, oltre alle armi, le fanterie con pennacchi, le quali cose fanno l'aspetto d'uno esercito agli amici bello, a' nimici terribile. L'armi degli uomini a cavallo, in quella prima antichità romana, erano uno scudo tondo, ed avevano coperto il capo e il resto era disarmato. Avevano la spada, e una asta con il ferro solamente dinanzi, lunga e sottile, donde venivano a non potere fermare lo scudo; e l'asta nello agitarsi si fiaccava, ed essi, per essere disarmati, erano esposti alle ferite. Di poi con il tempo si armarono come i fanti; ma avevano lo scudo più breve e quadrato e l'asta più ferma e con due ferri, acciò che, scollandosi da una parte, si potessero valere dell'altra. Con queste armi, così di piede come di cavallo, occuparono i miei Romani tutto il mondo; ed è credibile, per il frutto che se ne vide, che fussono i meglio armati eserciti che fussero mai. E Tito Livio nelle sue Istorie ne fa fede assai volte dove, venendo in comparazione degli eserciti nimici, dice: "Ma i Romani per virtù, per generazione di armi e disciplina erano superiori"; e però io ho più particolarmente ragionato delle armi de' vincitori che de' vinti. Parmi bene solo da ragionare del modo dello armare presente. Hanno i fanti, per loro difesa, uno petto di ferro e, per offesa una lancia nove braccia lunga, la quale chiamano picca, con una spada al fianco piuttosto tonda nella punta che acuta. Questo è l'armare ordinario delle fanterie d'oggi, perché pochi ne sono che abbiano armate le stiene e le braccia, niuno il capo; e quelli pochi portano in cambio di picca una alabarda, l'asta della quale, come sapete, è lunga tre braccia e ha il ferro ritratto come una scure. Hanno tra loro scoppiettieri, i quali, con lo impeto del fuoco, fanno quello ufficio che facevano anticamente i funditori e i balestrieri. Questo modo dello armare fu trovato da' populi tedeschi e massime dai Svizzeri; i quali, sendo poveri e volendo vivere liberi, erano e sono necessitati combattere con la ambizione de' principi della Magna; i quali, per essere ricchi, potevano nutrire cavagli, il che non potevano fare quelli popoli per la povertà; onde ne nacque che, essendo a piè e volendosi difendere da' nimici che erano a cavallo, convenne loro ricercare degli antichi ordini e trovare arme che dalla furia de' cavagli gli difendesse. Questa necessità ha fatto o mantenere o ritrovare a costoro gli antichi ordini, sanza quali, come ciascuno prudente afferma la fanteria è al tutto inutile. Presono pertanto per arme le picche, arme utilissima non solamente a sostenere i cavagli, ma a vincergli. E hanno per virtù di queste armi e di questi ordini presa i Tedeschi tanta audacia, che quindici o ventimila di loro assalterebbero ogni gran numero di cavagli; e di questo da venticinque anni in qua se ne sono vedute esperienze assai. E sono stati tanto possenti gli esempli della virtù loro fondati in su queste armi e questi ordini, che poi che il re Carlo passò in Italia, ogni nazione gli ha imitati; tanto che gli eserciti spagnuoli sono divenuti in una grandissima reputazione.

    Cosimo:   Quale modo di armare lodate voi più: o questo tedesco o lo antico romano?

    Fabrizio:   II romano sanza dubbio, e dirovvi il bene e il male dell'uno e dell'altro. I fanti tedeschi così armati possono sostenere e vincere i cavalli; sono più espediti al cammino e all'ordinarsi, per non essere carichi d'armi. Dall'altra parte sono esposti a tutti i colpi, e discosto e d'appresso, per essere disarmati; sono inutili alle battaglie delle terre e ad ogni zuffa dove sia gagliarda resistenza. Ma i Romani sostenevano e vincevano i cavagli, come questi; erano securi da' colpi da presso e di lontano, per essere coperti d'armi; potevano meglio urtare e meglio sostenere gli urti, avendo gli scudi; potevano più attamente nelle presse valersi con la spada~ che questi con la picca; e se ancora hanno la spada, per essere sanza lo scudo. Ella diventa in tale caso inutile. Potevano securamente assaltare le terre, avendo il capo coperto e potendoselo meglio coprire con lo scudo. Talmente che ei non avevano altra incommodità che la gravezza dell'armi e la noia dello averie a condurre; le quali cose essi superavano con lo avvezzare il corpo a' disagi e con indurirlo a potere durare fatica. E voi sapete come nelle cose consuete gli uomini non patiscono. E avete ad intendere questo: che le fanterie possono avere a combattere con fanti e con cavagli. E sempre fieno inutili quelle che non potranno o sostenere i cavagli, o potendoli sostenere, abbiano nondimeno ad avere paura di fanterie che sieno meglio armate e meglio ordinate che loro. Ora se voi considererete la fanteria tedesca e la romana, voi troverrete nella tedesca attitudine, come abbiamo detto, a vincere i cavagli, ma disavvantaggio grande quando combatte con una fanteria ordinata come loro e armata come la romana. Tale che vi sarà questo vantaggio dall'una all'altra: che i Romani potranno superare i fanti e i cavagli, i Tedeschi solo i cavagli.

    Cosimo:   Io disidererei che voi venissi a qualche esemplo più particolare, acciò che noi lo intendessimo meglio.

    Fabrizio:   Dico così: che voi troverrete, in molti luoghi delle istorie nostre, le fanterie romane avere vinti innumerabili cavagli, e mai troverrete ch'elle siano state vinte da uomini a piè, per difetto ch'ell'abbiano avuto nell'armare, o per vantaggio che abbia avuto il nimico nell'armi. Perché, se il modo del loro armare avesse avuto difetto, egli era necessario che seguisse l'una delle due cose: o che, trovando chi armasse meglio di loro, ei non andassono più avanti con gli acquisti, o che pigliassero de'modi forestieri e lasciassero i loro. E perché non seguì né l'una cosa né l'altra, ne nasce che si può facilmente conietturare che il modo dell'armare loro fusse migliore che quello di alcuno altro. Non è già così intervenuto alle fanterie tedesche, perché si è visto fare loro cattiva pruova qualunque volta quelle hanno avuto a combattere con uomini a piè, ordinati e ostinati come loro, il che è nato dal vantaggio che quelle hanno riscontro nelle armi nimiche. Filippo Visconti, duca di Milano, essendo assaltato da diciottomila Svizzeri, mandò loro incontro il conte Carmignuola, il quale allora era suo capitano. Costui con seimila cavagli e pochi fanti, gli andò a trovare, e, venendo con loro alle mani, fu ributtato con suo danno gravissimo. Donde il Carmignuola, come uomo prudente, subito conobbe la potenza dell'armi nimiche, e quanto contro a' cavagli le prevalevano, e la debolezza de' cavagli contro a quegli a piè così ordinati; e rimesso insieme le sue genti, andò a ritrovare i Svizzeri e, come fu loro propinquo, fece scendere da cavallo le sue genti d'armi; e in tale maniera combattendo con quegli, tutti, fuora che tremila, gli ammazzò; i quali, veggendosi consumare sanza avere rimedio, gittate l'armi in terra, si arrenderono.

    Cosimo:   Donde nasce tanto disavvantaggio?

    Fabrizio:   Io ve l' ho poco fa detto; ma poiché voi non lo avete inteso, io ve lo replicherò. Le fanterie tedesche, come poco fa vi si disse, quasi disarmate per difendersi, hanno, per offendere, la picca e la spada. Vengono con queste armi e con gli loro ordini a trovare il nimico, il quale, se è bene armato per difendersi, come erano gli uomini d'arme del Carmignuola che gli fece scendere a piè, viene con la spada e ne' suoi ordini a trovargli; e non ha altra difficultà che accostarsi a' Svizzeri tanto che gli aggiunga con la spada; perché, come gli ha aggiunti, li combatte securamente, perché il tedesco non può dare con la picca al nimico che gli è presso per la lunghezza della asta, e gli conviene mettere mano alla spada, la quale è a lui inutile, sendo egli disarmato e avendo all'incontro uno nimico che sia tutto armato. Donde chi considera il vantaggio e il disavvantaggio dell'uno e dell'altro, vedrà come il disarmato non vi avrà rimedio veruno; e il vincere la prima punga e passare le prime punte delle picche non è molta difficultà, sendo bene armato chi le combatte; perché le battaglie vanno (come voi intenderete meglio, quando io vi arò dimostro com'elle si mettono insieme) e, andando, di necessità si accostano in modo l'una all'altra, ch'elle si pigliano per il petto; e se dalle picche ne è alcuno morto o gittato per terra, quegli che rimangono in piè sono tanti che bastano alla vittoria. Di qui nacque che il Carmignuola vinse con tanta strage de' Svizzeri e con poca perdita de' suoi.

    Cosimo:   Considerate che quegli del Carmignuola furono uomini d'arme, i quali, benché fussero a piè, erano coperti tutti di ferro, e però poterono fare la pruova che fecero; sì che io mi penso che bisognasse armare una fanteria come loro, volendo fare la medesima pruova.

    Fabrizio:   Se voi vi ricordassi come io dissi che i Romani armavano, voi non penseresti a cotesto; perché uno fante che abbia il capo coperto dal ferro, il petto difeso dalla corazza e dallo scudo le gambe e le braccia armate, è molto più atto a difendersi dalle picche ed entrare tra loro, che non è uno uomo d'arme a piè. Io ne voglio dare un poco di esemplo moderno. Erano scese di Sicilia nel regno di Napoli fanterie spagnuole, per andare a trovare Consalvo che era assediato in Barletta da' Franzesi. Fecesi loro incontro monsignore d'Ubignì con le sue genti d'arme e con circa quattromila fanti tedeschi. Vennero alle mani i Tedeschi. Con le loro picche basse apersero le fanterie spagnuole; ma quelle, aiutate da' loro brocchieri e dall'agilità del corpo loro, si mescolarono con i Tedeschi, tanto che gli poterono aggiugnere con la spada; donde ne nacque la morte, quasi, di tutti quegli e la vittoria degli Spagnuoli. Ciascuno sa quanti fanti tedeschi morirono nella giornata di Ravenna; il che nacque dalle medesime cagioni: perché le fanterie spagnuole si accostarono al tiro della spada alle fanterie tedesche, e le arebbero consumate tutte, se da' cavagli franzesi non fussero i fanti tedeschi stati soccorsi; nondimeno gli Spagnuoli, stretti Insieme, si ridussero in luogo securo. Concludo, adunque, che una buona fanteria dee non solamente potere sostenere i cavagli, ma non avere paura de' fanti; il che, come ho molte volte detto procede dall'armi e dall'ordine.

    Cosimo:   Dite, pertanto, come voi l'armeresti.

    Fabrizio:   Prenderei delle armi romane e delle tedesche, e vorrei che la metà fussero armati come i Romani e l'altra metà come i Tedeschi. Perché, se in seimila fanti, come io vi dirò poco di poi, io avessi tremila fanti con gli scudi alla romana e dumila picche e mille scoppiettieri alla tedesca, mi basterebbono; perché io porrei le picche o nella fronte delle battaglie, o dove io temessi più de' cavaglì; e di quelli dello scudo e della spada mi servirei per fare spalle alle picche e per vincere la giornata, come io vi mostrerò. Tanto che io crederrei che una fanteria così ordinata superasse oggi ogni altra fanteria.

    Cosimo:   Questo che è detto ci basta quanto alle fanterie, ma quanto a' cavagli disideriamo intendere quale vi pare più gagliardo armare, o il nostro o l'antico?

    Fabrizio:   Io credo che in questi tempi, rispetto alle selle arcionate e alle staffe non usate dagli antichi, si stia più gagliardamente a cavallo che allora. Credo che si armi anche più sicuro, tale che oggi uno squadrone di uomini d'arme, pesando assai, viene ad essere con più difficultà sostenuto che non erano gli antichi cavagli. Con tutto questo nondimeno, io giudico che non si debba tenere più conto de' cavagli, che anticamente se ne tenesse; perché, come di sopra si è detto, molte volte ne' tempi nostri hanno con i fanti ricevuta vergogna, e la riceveranno, sempre che riscontrino una fanteria armata e ordinata come di sopra. Aveva Tigrane, re d'Armenia, contro allo esercito romano del quale era capitano Lucullo, cento cinquantamila cavagli, tra li quali erano molti armati come gli uomini d'arme nostri, i quali chiamavano catafratti; e dall'altra parte i Romani non aggiugnevano a seimila, con venticinquemila fanti, tanto che Tigrane, veggendo l'esercito de' nimici disse: - Questi sono cavagli assai per una ambasceria; - nondimeno, venuto alle mani, fu rotto. E chi scrive quella zuffa vilipende quelli catafratti mostrandogli inutili, perché dice che, per avere coperto il viso, erano poco atti a vedere e offendere il nimico e, per essere aggravati dall'armi, non potevano, cadendo, rizzarsi né della persona loro in alcuna maniera valersi. Dico, pertanto, che quegli popoli, o regni, che istimeranno più la cavalleria che la fanteria, sempre fieno deboli ed esposti a ogni rovina, come si è veduta l'Italia ne' tempi nostri; la quale è stata predata, rovinata e corsa da' forestieri, non per altro peccato che per avere tenuta poca cura della milizia di piè, ed essersi ridotti i soldati suoi tutti a cavallo. Debbesi bene avere de' cavagli, ma per secondo e non per primo fondamento dello esercito suo; perché, a fare scoperte, a correre e guastare il paese nimico, a tenere tribolato e infestato l'esercito di quello e in sull'armi sempre, a impedirgli le vettovaglie, sono necessarii e utilissimi; ma, quanto alle giornate e alle zuffe campali che sono la importanza della guerra e il fine a che si ordinano gli eserciti, sono più utili a seguire il nimico, rotto ch'egli è, che a fare alcuna altra cosa che in quelle si operi, e sono alla virtù del peditato assai inferiori.

    Cosimo:   E' mi occororno due dubitatazioni; l'una, che io so che i Parti non operavano in guerra altro che i cavagli, e pure si divisono il mondo con i Romani; l'altra, che io vorrei che voi mi dicessi come la cavalleria puote essere sostenuta da' fanti, e donde nasca la virtù di questi e la debolezza di quella.

    Fabrizio:   O io vi ho detto, o io vi ho voluto dire, come il ragionamento mio delle cose della guerra non ha a passare i termini d'Europa. Quando così sia, io non vi sono obligato a rendere ragione di quello che si è costumato in Asia. Pure io v'ho a dire questo: che la milizia de' Parti era al tutto contraria a quella de' Romani, perché i Parti militavano tutti a cavallo e, nel combattere procedevano confusi e rotti- ed era uno modo di combattere instabile e pieno di incertitudine. I Romani erano, si può dire, quasi tutti a piè e combattevano stretti insieme e saldi; e vinsono variamente l'uno l'altro secondo il sito largo o stretto; perché, in questo, i Romani erano superiori, in quello, i Parti; i quali poterono fare gran pruove con quella milizia, rispetto alla regione che loro avevano a difendere; la quale era larghissima, perché ha le marine lontane mille miglia, i fiumi l'uno dall'altro due o tre giornate, le terre medesimamente e gli abitatori radi; di modo che uno esercito romano, grave e tardo per l'armi e per l'ordine, non poteva cavalcarlo sanza suo grave danno, per essere chi lo difendeva a cavallo ed espeditissimo; in modo ch'egli era oggi in uno luogo, e domani discosto cinquanta miglia; di qui nacque, che i Parti poterono prevalersi con la cavalleria sola, e la rovina dell'esercito di Crasso e i pericoli di quello di Marco Antonio. Ma io, come v'ho detto, non intendo in questo mio ragionamento parlare della milizia fuora d'Europa; però voglio stare in su quello che ordinarono già i Romani e i Greci, e oggi fanno i Tedeschi. Ma vegnamo all'altra domanda vostra, dove voi disiderate intendere quale ordine o quale virtù naturale fa che i fanti superano la cavalleria. E vi dico, in prima, come i cavagli non possono andare, come i fanti, in ogni luogo. Sono più tardi a ubbidire, quando occorre variare l'ordine che i fanti; perché, s'egli è bisogno o andando avanti tornare indietro, o tornando indietro andare avanti, o muoversi stando fermi, o andando fermarsi, sanza dubbio non lo possono così appunto fare i cavagli come i fanti. Non possono i cavagli, sendo da qualche impeto disordinati, ritornare negli ordini se non con difficultà, ancora che quello impeto manchi; il che rattissimo fanno i fanti. Occorre, oltre a questo, molte volte, che uno uomo animoso sarà sopra uno cavallo vile e uno vile sopra uno animoso; donde conviene che queste disparità di d'animo facciano disordine. Né alcuno si maravigli che uno nodo di fanti sostenga ogni impeto di cavagli, perché il cavallo è animale sensato e conosce i pericoli e male volentieri vi entra. E se considererete quali forze lo facciano andar avanti e quali lo tengano indietro, vedrete sanza dubbio essere maggiori quelle che lo ritengono che quelle che lo spingono; perché innanzi lo fa andar lo sprone, e dall'altra banda lo ritiene o la spada o la picca. Tale che si è visto per le antiche e per le moderne esperienze un nodo di fanti essere securissimo, anzi insuperabile da'cavagli. E se voi arguissi a questo che la foga con la quale viene, lo fa più furioso a urtare chi lo volesse sostenere, meno stimare la picca che lo sprone, dico che, se il cavallo discosto comincia a vedere di avere a percuotere nelle punte delle picche, o per se stesso egli raffrenerà il corso, di modo che come egli si sentirà pugnere si fermerà affatto, o, giunto a quelle, si volterà a destra o a sinistra. Di che se volete fare esperienza, provate a correre un cavallo contro a un muro; radi ne troverrete che, con quale vi vogliate foga, vi dieno dentro. Cesare, avendo in Francia a combattere con i Svizzeri, scese e fece scendere ciascuno a piè e rimuovere dalla schiera i cavagli, come cosa più atta a fuggire che a combattere. Ma, nonostante questi naturali impedimenti che hanno i cavagli, quello capitano che conduce i fanti, debbe eleggere vie che abbiano per i cavagli più impedimenti si può; e rado occorrerà che l'uomo non possa assicurarsi per la qualità del paese. Perché, se si cammina per le colline, il sito ti libera da quelle foghe di che voi dubitate; se si va per il piano, radi piani sono che, per le colture o per li boschi, non ti assicurino; perché ogni macchia, ogni argine, ancora debole, toglie quella foga, e ogni coltura, dove sia vigne e altri arbori, impedisce i cavagli. E se tu vieni a giornata, quello medesimo ti interviene che camminando, perché ogni poco di impedimento che il cavallo abbia perde la foga sua. Una cosa nondimeno non voglio scordare di dirvi: come i Romani istimavano tanto i loro ordini e confidavono tanto nelle loro armi, che se gli avessono avuto ad eleggere o un luogo sì aspro per guardarsi dai cavagli, dove ei non avessono potuti spiegare gli ordini loro, o uno dove avessono avuto a temere più de' cavagli, ma vi si fussono potuti distendere, sempre prendevano questo e lasciavano quello. Ma perch'egli è tempo passare allo esercizio, avendo armate queste fanterie secondo lo antico e moderno uso, vedreno quali esercizi facevano loro fare i Romani, avanti che le fanterie si conduchino a fare giornata. Ancora ch'elle siano bene elette e meglio armate, si deono con grandissimo studio esercitare, perché sanza questo esercizio mai soldato alcuno non fu buono. Deono essere questi esercizi tripartiti: l'uno, per indurare il corpo e farlo atto a' disagi e più veloce e più destro; l'altro, per imparare ad operare l'armi; il terzo, per imparare ad osservare gli ordini negli eserciti, così nel camminare, come nel combattere e nello alloggiare. Le quali sono le tre principali azioni che faccia uno esercito perché, se uno esercito cammina, alloggia e combatte ordinatamente e praticamente, il capitano ne riporta l'onore suo ancora che la giornata avesse non buono fine. Hanno pertanto a questi esercizi tutte le republiche antiche provvisto in modo, per costume e per legge, che non se ne lasciava indietro alcuna parte. Esercitavano adunque la loro gioventù per fargli veloci nel correre, per fargli destri nel saltare, per fargli forti a trarre il palo o a fare alle braccia. E queste tre qualità sono quasi che necessarie in uno soldato; perché la velocità lo fa atto a preoccupare i luoghi al nimico, a giugnerlo insperato e inaspettato, a seguitarlo quando egli è rotto. La destrezza lo fa atto a schifare il colpo, a saltare una fossa, a superare uno argine. La fortezza lo fa meglio portare l'armi, urtare il nimico, sostenere uno impeto. E sopratutto, per fare il corpo più atto a'disagi, si avvezzavano a portare gran pesi. La quale consuetudine è necessaria, perché nelle espedizioni difficili conviene molte volte che il soldato, oltre all'armi, porti da vivere per più giorni; e se non fusse assuefatto a questa fatica non potrebbe farlo; e per questo o e' non si potrebbe fuggire uno pericolo o acquistare con fama una vittoria. Quanto a imparare ad operare l'armi, gli esercitavano in questo modo. Volevano che i giovani si vestissero armi che pesassero più il doppio che le vere, e per spada davano loro uno bastone piombato il quale, a comparazione di quella, era gravissimo. Facevano a ciascuno di loro ficcare uno palo in terra che rimanesse alto tre braccia, e in modo gagliardo, che i colpi non lo fiaccassero o atterrassono; contro al quale palo il giovane con lo scudo e col bastone, come contro a uno nimico, si esercitava; e ora gli tirava come se gli volesse ferire la testa o la faccia, ora come se lo volesse percuotere per fianco, ora per le gambe, ora si tirava indietro, ora si faceva innanzi. E avevano, in questo esercizio, questa avvertenza; di farsi atti a coprire sé e ferire il nimico; e avendo l'armi finte gravissime, parevano di poi loro le vere più leggieri. Volevano i Romani che i loro soldati ferissono di punta e non di taglio, sì per essere il colpo più mortale e avere manco difesa, sì per scoprirsi meno chi ferisse ed essere più atto a raddoppiarsi che il taglio. Né vi maravigliate che quegli antichi pensassero a queste cose minime, perché, dove si ragiona che gli uomini abbiano a venire alle mani, ogni piccolo vantaggio è di gran momento; e io vi ricordo quello che di questo gli scrittori ne dicano, piuttosto che io ve lo insegni. Né istimavano gli antichi cosa più felice in una republica, che essere in quella assai uomini esercitati nell'armi; perché non lo splendore delle gemme e dell'oro fa che i nimici ti si sottomettono, ma solo il timore dell'armi. Di poi gli errori che si fanno nell'altre cose, si possono qualche volta correggere; ma quegli che si fanno nella guerra, sopravvenendo subito la pena, non si possono emendare. Oltre a questo, il sapere combattere fa gli uomini più audaci, perché niuno teme di fare quelle cose che gli pare avere imparato a fare. Volevano pertanto gli antichi che i loro cittadini si esercitassono in ogni bellicazione, e facevano trarre loro, contro a quel palo, dardi più gravi che i veri; il quale esercizio, oltre al fare gli uomini esperti nel trarre, fa ancora le braccia più snodate e più forti. Insegnavano ancora loro trarre con l'arco, con la fromba, e a tutte queste cose avevano preposti maestri, in modo che poi, quando egli erano eletti per andare alla guerra, egli erano già con l'animo e con la disposizione soldati. Né restava loro ad imparare altro che andare negli ordini e mantenersi in quegli, o camminando o combattendo; il che facilmente imparavano, mescolandosi con quegli che, per avere più tempo militato, sapevano stare negli ordini.

    Cosimo:   Quali esercizi faresti voi fare loro al presente?

    Fabrizio:   Assai di quegli che si sono detti, come: correre e fare alle braccia, fargli saltare, fargli affaticare sotto armi più gravi che l'ordinarie, fargli trarre con la balestra e con l'arco; a che aggiugnerei lo scoppietto, istrumento nuovo, come voi sapete, e necessario. E a questi esercizi assuefarei tutta la gioventù del mio stato, ma, con maggiore industria e più sollecitudine, quella parte che io avessi descritta per militare; e sempre ne' giorni oziosi si eserciterebbero. Vorrei ancora ch'egl'imparassino a notare; il che è cosa molto utile, perché non sempre sono i ponti a' fiumi, non sempre sono parati i navigli; tale che, non sapendo il tuo esercito notare, resti privo di molte commodità, e ti si tolgono molte occasioni al bene operare. I Romani non per altro avevano ordinato che i giovani si esercitassero in Campo Marzio, se non perché, avendo propinquo il Tevere, potessero, affaticati nello esercizio di terra, ristorarsi nella acqua e parte, nel notare, esercitarsi. Farei ancora, come gli antichi, esercitare quegli che militassono a cavallo; il che è necessarissimo, perché, oltre al sapere cavalcare, sappiano a cavallo valersi di loro medesimi. E per questo avevano ordinati cavagli di legno, sopr'alli quali si addestravano, saltandovi sopra armati e disarmati, sanza alcuno aiuto e da ogni mano; il che faceva che ad un tratto e ad un cenno d'uno capitano la cavalleria era a piè, e così ad un cenno rimontava a cavallo. E tali esercizi, e di piè e di cavallo, come allora erano facili, così ora non sarebbero difficili a quella republica o a quel principe che volesse farli mettere in pratica alla sua gioventù, come per esperienza si vede in alcune città di Ponente dove si tengono vivi simili modi con questo ordine. Dividono quelle tutti i loro abitanti in varie parti, e ogni parte nominano da una generazione di quell'armi che egli usano in guerra. E perché egli usano picche, alabarde, archi e scoppietti, chiamano quelle; picchieri, alabardieri, scoppiettieri e arcieri. Conviene, adunque, a tutti gli abitanti dichiararsi in quale ordine voglia essere descritto. E perché tutti, o per vecchiezza o per altri impedimenti, non sono atti alla guerra, fanno di ciascuno ordine una scelta, e gli chiamano i Giurati; i quali ne'giorni oziosi sono obligati a esercitarsi in quell'armi dalle quali sono nominati. E ha ciascuno il luogo suo deputato dal publico, dove tale esercizio si debba fare; e quelli che sono di quello ordine, ma non de' Giurati, concorrono con i danari a quelle spese che in tale esercizio sono necessarie. Quello pertanto che fanno loro, potremmo fare noi; ma la nostra poca prudenza non lascia pigliare alcuno buono partito. Da questi esercizi nasceva che gli antichi avevano buone fanterie e che ora quegli di Ponente sono migliori fanti che i nostri; perché gli antichi gli esercitavano, o a casa, come facevano quelle republiche, o negli eserciti, come facevano quegli imperadori, per le cagioni che di sopra si dissono. Ma noi a casa esercitare non li vogliamo; in campo non possiamo, per non essere nostri suggetti e non gli potere obligare ad altri esercizi che per loro medesimi si vogliono. La quale cagione ha fatto che si sono straccurati prima gli esercizi e poi gli ordini, e che i regni e le republiche, massime italiane, vivono in tanta debolezza. Ma torniamo all'ordine nostro; e, seguitando questa materia degli esercizi, dico come non basta a far buoni eserciti avere indurati gli uomini, fattigli gagliardi, veloci e destri, ché bisogna ancora ch'egli imparino a stare negli ordini, a ubbidire a' segni, a' suoni e alle voci del capitano, e sapere, stando, ritirandosi, andando innanzi, combattendo e camminando, mantenere quegli; perché sanza questa disciplina, con ogni accurata diligenza osservata e praticata, mai esercito non fu buono. E sanza dubbio gli uomini feroci e disordinati sono molto più deboli che i timidi e ordinati; perché l'ordine caccia dagli uomini il timore, il disordine scema la ferocia. E perché voi intendiate meglio quello che di sotto si dirà, voi avete a intendere come ogni nazione, nell'ordinare gli uomini suoi alla guerra, ha fatto nell'esercito suo, ovvero nella sua milizia uno membro principale; il quale, se l'hanno variato con il nome, l'hanno poco variato con il numero degli uomini, perché tutti l'hanno composto di sei in ottomila uomini. Questo membro da' Romani fu chiamato legione, da' Greci falange, dai Franzesi caterva. Questo medesimo ne' nostri tempi da' Svizzeri, i quali soli dell'antica milizia ritengono alcuna ombra, è chiamato in loro lingua quello che in nostra significa battaglione. Vero è che ciascuno l'ha poi diviso in varie battaglie e a suo proposito ordinato. Parmi, adunque, che noi fondiamo il nostro parlare in su questo nome come più noto, e di poi, secondo gli antichi e moderni ordini, il meglio che è possibile, ordinarlo. E perché i Romani dividevano la loro legione, che era composta di cinque in seimila uomini, in dieci coorti, io voglio che noi dividiamo il nostro battaglione in dieci battaglie e lo componiamo di seimila uomini di piè; e dareno a ogni battaglia quattrocentocinquanta uomini, de' quali ne sieno quattrocento armati d'armi gravi e cinquanta d'armi leggieri. L'armi gravi sieno trecento scudi con le spade, e chiaminsi scudati; e cento con le picche, e chiaminsi picche ordinarie; l'armi leggieri sieno cinquanta fanti armati di scoppietti, balestra e partigiane e rotelle e questi da uno nome antico si chiamino veliti ordinarii. Tutte le dieci battaglie pertanto vengono ad avere tremila scudati, mille picche ordinarie e cinquecento veliti ordinarii; i quali tutti fanno il numero di quattromila cinquecento fanti. E noi diciamo che vogliamo fare il battaglione di seimila, però bisogna aggiugnere altri mille cinquecento fanti, de' quali ne farei mille con le picche, le quali chiamerei picche estraordinarie, e cinquecento armati alla leggiera, i quali chiamerei veliti estraordinarii. E così verrebbero le mie fanterie, secondo che poco fa dissi, a essere composte mezze di scudi e mezze fra picche e altre armi. Preporrei a ogni battaglia uno connestabole, quattro centurioni e quaranta capidieci; e di più un capo a' veliti ordinarii, con cinque capidieci. Darei alle mille picche estraordinarie tre connestaboli, dieci centurioni e cento capidieci; a' veliti estraordinarii due connestaboli, cinque centurioni e cinquanta capidieci. Ordinerei di poi un capo generale di tutto il battaglione. Vorrei che ciascuno connestabole avesse la bandiera e il suono. Sarebbe pertanto composto uno battaglione di dieci battaglie, di tremila scudati, di mille picche ordinarie, di mille estraordinarie, di cinquecento veliti ordinarii, di cinquecento estraordinarii; e così verrebbero ad essere seimila fanti, tra quali sarebbero mille cinquecento capidieci e, di più, quindici connestaboli con quindici suoni e quindici bandiere, cinquantacinque centurioni, dieci capi de' veliti ordinarii, e uno capitano di tutto il battaglione con la sua bandiera e con il suo suono. E vi ho volentieri replicato questo ordine più volte, acciò che poi, quando io vi mostrerò i modi dell'ordinare le battaglie e gli eserciti, voi non vi confondiate. Dico, pertanto, come quel re o quella republica dovrebbe quegli suoi sudditi ch'ella volesse ordinare all'armi, ordinargli con queste armi e con queste parti, e fare nel suo paese tanti battaglioni di quanti fusse capace E quando gli avesse ordinati secondo la sopradetta distribuzione, volendogli esercitare negli ordini, basterebbe esercitargli battaglia per battaglia. E benché il numero degli uomini di ciascuna di esse non possa per sé fare forma d'uno giusto esercito, nondimeno può ciascuno uomo imparare a fare quello che s'appartiene a lui particolarmente; perché negli eserciti si osserva due ordini: l'uno, quello che deono fare gli uomini in ciascuna battaglia, e l'altro, quello che di poi debbe fare la battaglia quando è coll'altre in uno esercito. E quelli uomini che fanno bene il primo, facilmente osservano il secondo; ma, sanza sapere quello, non si può mai alla disciplina del secondo pervenire. Possono, adunque, come ho detto, ciascuna di queste battaglie da per sé imparare a tenere l'ordine delle file in ogni qualità di moto e di luogo e, di poi, a sapere mettersi insieme, intendere il suono mediante il quale nelle zuffe si comanda sapere cognoscere da quello, come i galeotti dal fischio, quanto abbiano a fare o a stare saldi, o gire avanti, o tornare indietro, o dove rivolgere l'armi e il volto. In modo che, sappiendo tenere bene le file, talmente che né luogo né moto le disordinino, intendendo bene i comandamenti del capo mediante il suono e sappiendo di subito ritornare nel suo luogo, possono poi facilmente, come io dissi, queste battaglie, sendone ridotte assai insieme, imparare a fare quello che tutto il corpo loro è obligato, insieme con l'altre battaglie, in un esercito giusto operare. E perché tale pratica universale ancora non è da istimare poco, si potrebbe una volta o due l'anno, quando fusse pace, ridurre tutto il battaglione insieme e dargli forma d'uno esercito intero, esercitandogli alcuni giorni come se si avesse a fare giornata, ponendo la fronte, i fianchi e i sussidi ne' luoghi loro. E perché uno capitano ordina il suo esercito alla giornata, o per conto del nimico che vede o per quello del quale sanza vederlo dubita, si debbe esercitare il suo esercito nell'uno modo e nell'altro, e istruirlo in modo che possa camminare e, se il bisogno lo ricercasse, combattere, mostrando a' tuoi soldati, quando fussero assaltati da questa o da quella banda, come si avessero a governare. E quando lo istruisse da combattere contro al nimico che vedessono, mostrar loro come la zuffa s'appicca, dove si abbiano a ritirare sendo ributtati, chi abbi a succedere in luogo loro a che segni, a che suoni, a che voci debbano ubbidire, e praticarvegli in modo, con le battaglie e con gli assalti finti ch'egli abbiano a disiderare i veri. Perché lo esercito animoso non lo fa per essere in quello uomini animosi, ma lo esservi ordini bene ordinati, perché se Io sono de primi combattitori, e lo sappia, sendo superato, dove io m'abbia a ritirare e chi abbia a succedere nel luogo mio, sempre combatterò con animo, veggendomi il soccorso propinquo. Se io sarò de' secondi combattitori, lo essere spinti e ributtati i primi non mi sbigottirà, perché io mi arò presupposto che possa essere e l'arò disiderato, per essere quello che dia la vittoria al mio padrone, e non sieno quegli. Questi esercizi sono necessarissimi dove si faccia uno esercito di nuovo; e dove sia lo esercito vecchio sono necessarii, perché si vede come, ancora che i Romani sapessero da fanciugli l'ordine degli eserciti loro, nondimeno quegli capitani, avanti che venissero al nimico, continuamente gli esercitavano in quegli. E Iòsafo nella sua Istoria dice che i continui esercizi degli eserciti romani facevano che tutta quella turba che segue il campo per guadagni, era, nelle giornate, utile; perché tutti sapevano stare negli ordini e combattere servando quelli. Ma negli eserciti d'uomini nuovi, o che tu abbi messi insieme per combattere allora, o che tu ne faccia ordinanza per combattere con il tempo, sanza questi esercizi, così delle battaglie di per sé, come di tutto l'esercito, è fatto nulla; perché, sendo necessarii gli ordini, conviene con doppia industria e fatica mostrargli a chi non gli sa, che mantenergli a chi gli sa, come si vede che per mantenergli e per insegnargli molti capitani eccellenti si sono sanza alcuno rispetto affaticati.





Libro terzo


    Cosimo: Poiché noi mutiamo ragionámento, io voglio che si muti domandatore, perché io non vorrei essere tenuto presuntuoso; il che sempre ho biasimato negli altri. Però io depongo la dittatura, e do questa autorità a chi la vuole di questi altri miei amici.

    Zanobi: E' ci era gratissimo che voi seguitassi; pure, poiché voi non volete dite almeno quale di noi dee succedere nel luogo vostro.

    Cosimo: Io voglio dare questo carico al signore.

    Fabrizio: Io sono contento prenderlo, e voglio che noi seguitiamo il costume viniziano: che il più giovane parli prima, perché, sendo questo esercizio da giovani, mi persuado che i giovani sieno più atti a ragionarne, come essi sono più pronti a esequirlo.

    Cosimo: Adunque e' tocca a voi, Luigi. E come io ho piacere di tale successore, così voi vi sodisfarete di tale domandatore. Però vi priego torniamo alla materia e non perdiamo più tempo.

    Fabrizio: Io son certo che, a volere dimostrare bene come si ordina uno esercito per far la giornata, sarebbe necessario narrare come i Greci e i Romani ordinavano le schiere negli loro eserciti. Nondimeno, potendo voi medesimi leggere e considerare queste cose mediante gli scrittori antichi, lascerò molti particolari indietro, e solo ne addurrò quelle cose che di loro mi pare necessario imitare, a volere ne' nostri tempi dare alla milizia nostra qualche parte di perfezione. Il che farà che in uno tempo io mostrerò come uno esercito si ordini alla giornata, e come si affronti nelle vere zuffe, e come si possa esercitarlo nelle finte. Il maggiore disordine che facciano coloro che ordinano uno esercito alla giornata, è dargli solo una fronte e obligarlo a uno impeto e una fortuna. Il che nasce dallo avere perduto il modo che tenevano gli antichi a ricevere l'una schiera nell'altra; perché, sanza questo modo, non si può né sovvenire a' primi, né difendergli, né succedere nella zuffa in loro scambio; il che da' Romani era ottimamente osservato. Per volere adunque mostrare questo modo, dico come i Romani avevano tripartita ciascuna legione in astati, principi e triarii; de'quali, gli astati erano messi nella prima fronte dello esercito con gli ordini spessi e fermi; dietro a'quali erano i principi ma posti con gli loro ordini più radi: dopo questi mettevano i triarii, e con tanta radità di ordini che potessono, bisognando, ricevere tra loro i principi e gli astati. Avevano, oltre a questi, i funditori e i balestrieri e gli altri armati alla leggiera; i quali non stavano in questi ordini, ma li collocavano nella testa dello esercito tra li cavagli e i fanti. Questi, adunque, leggermente armati appiccavano la zuffa; se vincevano, il che occorreva rade volte, essi seguivano la vittoria; se erano ributtati, si ritiravano per i fianchi dello esercito o per gli intervalli a tale effetto ordinati, e si riducevano tra' disarmati. Dopo la partita de' quali venivano alle mani con il nimico gli astati; i quali, se si vedevano superare, si ritiravano a poco a poco per la radità degli ordini tra' principi e, insieme con quegli, rinnovavano la zuffa. Se questi ancora erano sforzati, si ritiravano tutti nella radità degli ordini de' triarii e, tutti insieme, fatto uno mucchio, ricominciavano la zuffa; e se questi la perdevano, non vi era più rimedio, perché non vi restava più modo a rifarsi. I cavagli stavano sopra alli canti dello esercito, posti a similitudine di due alie a uno corpo, e or combattevano con i cavagli, or sovvenivano i fanti, secondo che il bisogno lo ricercava. Questo modo di rifarsi tre volte è quasi impossibile a superare, perché bisogna che tre volte la fortuna ti abbandoni e che il nimico abbia tanta virtù che tre volte ti vinca. I Greci non avevano con le loro falangi questo modo di rifarsi, e benché in quelle fusse assai capi e di molti ordini, nondimeno ne facevano un corpo, ovvero una testa. Il modo ch'essi tenevano in sovvenire l'uno l'altro era, non di ritirarsi l'uno ordine nell'altro, come i Romani, ma di entrare l'uno uomo nel luogo dell'altro. Il che facevano in questo modo: la loro falange era ridotta in file; e pognamo che mettessono per fila cinquanta uomini, venendo poi con la testa sua contro al nimico; di tutte le file, le prime sei potevano combattere perché le loro lance, le quali chiamavano sarisse, erano sì lunghe che la sesta fila passava con la punta della sua lancia fuora della prima fila. Combattendo, adunque, se alcuno della prima o per morte o per ferite cadeva, subito entrava nel luogo suo quello che era di dietro nella seconda fila, e, nel luogo che rimaneva voto della seconda, entrava quello che gli era dietro nella terza; e così successive in uno subito le file di dietro instauravano i difetti di quegli davanti; in modo che le file sempre restavano intere e niuno luogo era di combattitori vacuo, eccetto che la fila ultima, la quale si veniva consumando per non avere dietro alle spalle chi la instaurasse; in modo che i danni che pativano le prime file consumavano le ultime. E le prime restavano sempre intere; e così queste falangi, per l'ordine loro, si potevano piuttosto consumare che rompere, perché il corpo grosso le faceva più immobili. Usarono i Romani, nel principio, le falangi, e instruirono le loro legioni a similitudine di quelle. Di poi non piacque loro questo ordine, e divisero le legioni in più corpi, cioè in coorti e in manipoli; perché giudicarono, come poco fa dissi, che quel corpo avesse più vita, che avesse più anime, e che fusse composto di più parti, in modo che ciascheduna per se stessa si reggesse. I battaglioni de' Svizzeri usano in questi tempi tutti i modi della falange, così nello ordinarsi grossi e interi, come nel sovvenire l'uno l'altro; e nel fare la giornata pongono i battaglioni l'uno a' fianchi dell'altro; e, se li mettono dietro l'uno all'altro, non hanno modo che il primo, ritirandosi, possa essere ricevuto dal secondo; ma tengono, per potere sovvenire l'uno l'altro, quest'ordine: che mettono uno battaglione innanzi e un altro dietro a quello in su la man ritta, tale che, se il primo ha bisogno d'aiuto, quello si può fare innanzi e soccorrerlo. Il terzo battaglione mettono dietro a questi, ma discosto un tratto di scoppietto. Questo fanno perché, sendo quegli due ributtati, questo si possa fare innanzi, e abbiano spazio, e i ributtati e quel che si fa innanzi, a evitare l'urto l'uno dell'altro; perché una moltitudine grossa non può essere ricevuta come un corpo piccolo, e però i corpi piccoli e dístinti che erano in una legione romana si potevano collocare in modo che si potessono tra loro ricevere e l'uno l'altro con facilità sovvenire. E che questo ordine de' Svizzeri non sia buono quanto lo antico romano, lo dimostrano molti esempli delle legioni romane quando si azzuffarono con le falangi greche; e sempre queste furono consumate da quelle, perché la generazione dell'armi come io dissi dianzi, e questo modo di rifarsi, poté più che la solidità delle falangi. Avendo, adunque, con questi esempli a ordinare uno esercito, mi è parso ritenere l'armi e i modi, parte delle falangi greche, parte delle legioni romane; e però io ho detto di volere in uno battaglione dumila picche, che sono l'armi delle falangi macedoniche, e tremila scudi con la spada, che sono l'armi de' Romani. Ho diviso il battaglione in dieci battaglie, come i Romani; la legione in dieci coorti. Ho ordinato i veliti, cioè l'armi leggieri, per appiccare la zuffa come loro. E perché così, come l'armi sono mescolate e participano dell'una e dell'altra nazione, ne participino ancora gli ordini, ho ordinato che ogni battaglia abbia cinque file di picche in fronte e il restante di scudi, per potere, con la fronte, sostenere i cavagli e entrare facilmente nelle battaglie de' nimici a piè, avendo nel primo scontro le picche, come il nimico, le quali voglio mi bastino a sostenerlo, gli scudi, poi, a vincerlo. E se voi noterete la virtù di questo ordine, voi vedrete queste armi tutte fare interamente l'ufficio loro, perché le picche sono utili contro a' cavagli, e, quando vengono contro a' fanti fanno bene l'ufficio loro prima che la zuffa si ristringa; perché, ristretta ch'ella è, diventano inutili. Donde che i Svizzeri, per fuggire questo inconveniente pongono dopo ogni tre file di picche una fila d'alabarde; il che fanno per dare spazio alle picche, il quale non è tanto che basti. Ponendo adunque le nostré picche davanti e gli scudi dietro, vengono a sostenere i cavagli e, nello appiccare la zuffa, aprono e molestano i fanti; ma poi che la zuffa è ristretta, e ch'elle diventerebbono inutili, succedono gli scudi e le spade; i quali possono in ogni strettura maneggiarsi.

    Luigi: Noi aspettiamo ora con disiderio di intendere come voi ordineresti l'esercito a giornata con queste armi e con questi ordini.

    Fabrizio: E io non voglio ora dimostrarvi altro che questo. Voi avete a intendere come in uno esercito romano ordinario, il quale chiamavano esercito consolare, non erano più che due legioni di cittadini romani, che erano secento cavagli e circa undicimila fanti. Avevano di poi altrettanti fanti e cavagli, che erano loro mandati dagli amici e confederati loro; i quali dividevano in due parti e chiamavano, l'una, corno destro e, l'altra, corno sinistro; né mai permettevano che questi fanti ausiliari passassero il numero de' fanti delle legioni loro; erano bene contenti che fusse più numero quello de' cavagli. Con questo esercito, che era di ventiduemila fanti e circa dumila cavagli utili, faceva uno consolo ogni fazione e andava a ogni impresa. Pure, quando bisognava opporsi a maggiori forze, raccozzavano due consoli con due eserciti. Dovete ancora notare come, per l'ordinario, in tuttatré l'azioni principali che fanno gli eserciti cioè camminare, alloggiare e combattere, mettevano le legioni in mezzo perché volevano che quella virtù in la quale più confidavano, fusse più unita, come nel ragionare di tuttatré queste azioni vi si mostrerà. Quegli fanti ausiliarii, per la pratica che avevano con i fanti legionari, erano utili quanto quelli; perché erano disciplinati come loro e però nel simile modo, nello ordinare la giornata gli ordinavano. Chi adunque sa come i Romani disponevano una legione nell'esercito a giornata, sa come lo disponevano tutto. Però, avendovi io detto come essi dividevano una legione in tre schiere, e come l'una schiera riceveva l'altra, vi vengo ad avere detto come tutto lo esercito in una giornata si ordinava. Volendo io pertanto ordinare una giornata a similitudine de' Romani, come quegli avevano due legioni, io prenderò due battaglioni, e, disposti questi, si intenderà la disposizione di tutto uno esercito; perché nello aggiungere più genti non si arà a fare altro che ingrossare gli ordini. Io non credo che bisogni che io vi ricordi quanti fanti abbia uno battaglione, e come egli ha dieci battaglie, e che capi sieno per battaglia, e quali armi abbiano, e quali sieno le picche e i veliti ordinarii e quali gli estraordinarii; perché poco fa ve lo dissi distintamente, e vi ricordai lo mandassi alla memoria come cosa necessaria a volere intendere tutti gli altri ordini; e però io verrò alla dimostrazione dell'ordine sanza replicare altro. E' mi pare che le dieci battaglie d'uno battaglione si pongano nel sinistro fianco e, le dieci altre dell'altro, nel destro. Ordininsi quelle del sinistro in questo modo: pongansi cinque battaglie l'una allato all'altra nella fronte, in modo che tra l'una e l'altra rimanga uno spazio di quattro braccia che vengano a occupare, per larghezza, centoquarantuno braccio di terreno e, per la lunghezza, quaranta. Dietro a queste cinque battaglie ne porrei tre altre, discosto per linea retta dalle prime quaranta braccia; due delle quali venissero dietro per linea retta alle estreme delle cinque, e l'altra tenesse lo spazio di mezzo. E così verrebbero queste tre ad occupare per larghezza e per lunghezza il medesimo spazio che le cinque; ma, dove le cinque hanno tra l'una e l'altra una distanza di quattro braccia, queste l'arebbero di trentatré. Dopo queste porrei le due ultime battaglie pure dietro alle tre, per linea retta e distanti, da quelle tre, quaranta braccia; e porrei ciascuna d'esse dietro alle estreme delle tre, tale che lo spazio che restasse tra l'una e l'altra sarebbe novantuno braccio. Terrebbero adunque tutte queste battaglie così ordinate, per larghezza, centoquarantuno braccio e, per lunghezza, dugento. Le picche estraordinarie distenderei lungo i fianchi di queste battaglie dal lato sinistro, discosto venti braccia da quelle, faccendone centoquarantatré file a sette per fila; in modo ch'elle fasciassono con la loro lunghezza tutto il lato sinistro delle dieci battaglie, nel modo da me detto, ordinate; e ne avanzerebbe quaranta file per guardare i carriaggi e i disarmati che rimanessono nella coda dello esercito, distribuendo i capidieci e i centurioni ne'luoghi loro; e degli tre connestaboli ne metterei uno nella testa, l'altro nel mezzo, il terzo nell'ultima fila, il quale facesse l'ufficio del tergiduttore, ché così chiamavano gli antichi quello che era proposto alle spalle dello esercito. Ma, ritornando alla testa dello esercito, dico come io collocherei appresso alle picche estraordinarie i veliti estraordinarii, che sapete che sono cinquecento, e darei loro uno spazio di quaranta braccia. A lato a questi, pure in su la man manca, metterei gli uomini d'arme, e vorrei avessero uno spazio di centocinquanta braccia. Dopo questi, i cavagli leggieri, a' quali darei il medesimo spazio che alle genti d'arme. I veliti ordinarii lascerei intorno alle loro battaglie, i quali stessono in quegli spazi che io pongo tra l'una battaglia e l'altra, che sarebbero come ministri di quelle, se già egli non mi paresse da metterli sotto le picche estraordinarie; il che farei, o no, secondo che più a proposito mi tornasse. Il capo generale di tutto il battaglione metterei in quello spazio che fusse tra 'l primo e il secondo ordine delle battaglie, ovvero nella testa e in quello spazio che è tra l'ultima battaglia delle prime cinque e le picche estraordinarie, secondo che più a proposito mi tornasse, con trenta o quaranta uomini intorno, scelti e che sapessono per prudenza esequire una commissione e per fortezza sostenere uno impeto; e fusse ancora esso in mezzo del suono e della bandiera. Questo è l'ordine col quale io disporrei uno battaglione nella parte sinistra, che sarebbe la disposizione della metà dell'esercito; e terrebbe, per larghezza, cinquecento undici braccia e, per lunghezza, quanto di sopra si dice, non computando lo spazio che terrebbe quella parte delle picche estraordinarie che facessono scudo a' disarmati, che sarebbe circa cento braccia. L'altro battaglione disporrei sopra 'l destro canto,in quel modo appunto che io ho disposto quello del sinistro, lasciando dall'uno battaglione all'altro uno spazio di trenta braccia; nella testa del quale spazio porrei qualche carretta di artiglieria, dietro alle quali stesse il capitano generale di tutto l'esercito e avesse intorno, con il suono e con la bandiera capitana, dugento uomini almeno, eletti, a piè la maggior parte, tra' quali ne fusse dieci o più, atti a esequire ogni comandamento; e fusse in modo a cavallo e armato che potesse essere e a cavallo e a piè secondo che il bisogno ricercasse. L'artiglierie dell'esercito, bastano dieci cannoni per la espugnazione delle terre, che non passassero cinquanta libbre di portata; de' quali in campagna mi servirei più per la difesa degli alloggiamenti che per fare giornata, l'altra artiglieria tutta fusse piuttosto di dieci che di quindici libbre di portata. Questa porrei innanzi alla fronte di tutto l'esercito, se già il paese non stesse in modo che io la potessi collocare per fianco in luogo securo dov'ella non potesse dal nimico essere urtata. Questa forma di esercito così ordinato può, nel combattere, tenere l'ordine delle falangi e l'ordine delle legioni romane; perché nella fronte sono picche, sono tutti i fanti ordinati nelle file, in modo che, appiccandosi col nimico e sostenendolo, possono ad uso delle falangi ristorare le prime file con quelli di dietro. Dall'altra parte, se sono urtati in modo che fieno necessitati rompere gli ordini e ritirarsi, possono entrare negli intervalli delle seconde battaglie che hanno dietro, e unirsi con quelle, e di nuovo, fatto uno mucchio, sostenere il nimico e combatterlo. E quando questo non basti, possono nel medesimo modo ritirarsi la seconda volta, e la terza combattere; sì che in questo ordine, quanto al combattere, ci è da rifarsi e secondo il modo greco e secondo il romano. Quanto alla fortezza dell'esercito, non si può ordinare più forte; perché l'uno e l'altro corno è munitissimo e di capi e di armi, né gli resta debole altro che la parte di dietro de' disarmati; e quella ha ancora fasciati i fianchi dalle picche estraordinarie. Né può il nimico da alcuna parte assaltarlo che non lo truovi ordinato; e la parte di dietro non può essere assaltata, perché non può essere nimico che abbia tante forze che equalmente ti possa assalire da ogni banda; perché, avendole, tu non ti hai a mettere in campagna seco. Ma quando fusse il terzo più di te e bene ordinato come te, se si indebolisce per assaltarti in più luoghi, una parte che tu ne rompa, tutto va male. Da' cavagli, quando fussono più che i tuoi, sei sicurissimo; perché gli ordini delle picche che ti fasciano, ti difendano da ogni impeto di quegli, quando bene i tuoi cavagli fussero ributtati. I capi, oltre a questo, sono disposti in lato che facilmente possono comandare e ubbidire. Gli spazi che sono tra l'una battaglia e l'altra e tra l'uno ordine e l'altro, non solamente servono a potere ricevere l'uno l'altro, ma ancora a dare luogo a' mandati che andassono e venissono per ordine del capitano. E com'io vi dissi prima, i Romani avevano per esercito circa ventiquattromila uomini, così debbe essere questo, e come il modo del combattere e la forma dell'esercito gli altri soldati lo prendevano da'le legioni, così quelli soldati che voi aggiugnessi agli due battaglioni vostri arebbero a prendere la forma e ordine da quelli. Delle quali cose avendone posto uno esemplo, è facil cosa imitarlo; perché, accrescendo o due altri battaglioni all'esercito, o tanti soldati degli altri quanti sono quegli, egli non si ha a fare altro che duplicare gli ordini e, dove si pose dieci battaglie nella sinistra parte, porvene venti, o ingrossando o distendendo gli ordini secondo che il luogo o il nimico ti comandasse.

    Luigi:   Veramente, signore, io mi immagino in modo questo esercito, che già lo veggo, e ardo d'uno disiderio di vederlo affrontare. E non vorrei, per cosa del mondo, che voi diventassi Fabio Massimo, faccendo pensiero di tenere a bada il nimico e differire la giornata, perché io direi peggio di voi che il popolo romano non diceva di quello.

    Fabrizio:   Non dubitate. Non sentite voi l'artiglierie? Le nostre hanno già tratto, ma poco offeso il nimico; e i veliti estraordinarii escono de' luoghi loro insieme con la cavalleria leggiere, e, più sparsi e con maggiore furia e maggior grida che possono, assaltano il nimico; l'artiglieria del quale ha scarico una volta e ha passato sopra la testa de' nostri fanti sanza fare loro offensione alcuna. E perch'ella non possa trarre la seconda volta, vedete i veliti e i cavagli nostri che l'hanno già occupata, e che i nimici, per difenderla, si sono fatti innanzi; tal che quella degli amici e nimici non può più fare l'ufficio suo. Vedete con quanta virtù combattono i nostri, e con quanta disciplina, per lo esercizio che ne ha fatto loro fare abito e per la confidenza ch'egli hanno nell'esercito; il quale vedete che, col suo passo e con le genti d'arme allato, cammina ordinato per appiccarsi con l'avversario. Vedete l'artiglierie nostre che per dargli luogo e lasciargli lo spazio iibero, si sono ritirate per quello spazio donde erano usciti i veliti. Vedete il capitano che gli inanimisce e mostra loro la vittoria certa. Vedete che i veliti ed i cavagli leggieri si sono allargati e ritornati ne' fianchi dell'esercito, per vedere se possono per fianco fare alcuna ingiuria alli avversarii. Ecco che si sono affrontati gli eserciti. Guardate con quanta virtù egli hanno sostenuto lo impeto de nimici, e con quanto silenzio, e come il capitano comanda agli uomini d'arme che sostengano e non urtino e dall'ordine delle fanterie non si spicchino. Vedete come i nostri cavagli leggieri sono iti a urtare una banda di scoppiettieri nimici che volevano ferire per fianco, e come i cavagli nimici gli hanno soccorsi: tal che, rinvolti tra l'una e l'altra cavalleria, non possono trarre e ritiransi dietro alle loro battaglie. Vedete con che furia le picche nostre si affrontano, e come i fanti sono già sì propinqui l'uno all'altro, che le picche non si possono più maneggiare; di modo che, secondo la disciplina imparata da noi, le nostre picche si ritirano a poco a poco tra gli scudi. Guardate come, in questo tanto, una grossa banda d'uomini d'arme, nimici, hanno spinti gli uomini d'arme nostri dalla parte sinistra. e come i nostri. secondo la disciplina, si sono ritirati sotto le picche estraordinarie, e, con lo aiuto di quelle avendo rifatto testa, hanno ributtati gli avversari e morti buona parte di loro. Intanto tutte le picche ordinarie delle prime battaglie si sono nascose tra gli ordini degli scudi, e lasciata la zuffa agli scudati; i quali guardate con quanta virtù, sicurtà e ozio ammazzano il nimico. Non vedete voi quanto, combattendo, gli ordini sono ristretti, che a fatica possono menare le spade? Guardate con quanta furia i nimici muoiono. Perché, armati con la picca e con la loro spada, inutile l'una per essere troppo lunga, l'altra per trovare il nimico troppo armato, in parte cascano fenti o morti, in parte fuggono. Vedetegli fuggire dal destro canto; fuggono ancora dal sinistro; ecco che la vittoria è nostra. Non abbiamo noi vinto una giornata felicissimamente? Ma con maggiore felicità si vincerebbe, se mi fusse concesso il metterla in atto. E vedete che non è bisognato valersi né del secondo né del terzo ordine; ché gli è bastata la nostra prima fronte a supc,-argli. In questa parte io non ho che dirvi altro, se non risolvere se alcuna dubitazione vi nasce.

    Luigi:   Voi avete con tanta furia vinta questa giornata, che io ne resto tutto ammirato e in tanto stupefatto, che io non credo potere bene esplicare se alcuno dubbio mi resta nell'animo. Pure, confidandomi nella vostra prudenza, piglierò animo a dire quello che io intendo. Ditemi prima: perché non facesti voi trarre le vostre artiglierie più che una volta? E perché subito le facesti ritirare dentro all'esercito né poi ne facesti menzione? Parvemi ancora che voi ponessi l'artiglierie del nimico alte e ordinassile a vostro modo, il che può molto bene essere. Pure, quando egli occorresse, che credo ch'egli occorra spesso, che percuotano le schiere, che rimedio ne date? E poiché io mi sono cominciato dalle artiglierie, io voglio fornire tutta questa domanda, per non ne avere a ragionare più. Io ho sentito a molti spregiare l'armi e gli ordini degli eserciti antichi, arguendo come oggi potrebbono poco, anzi tutti quanti sarebbero inutili, rispetto al furore delle artiglierie; perché queste rompono gli ordini e passono l'armi in modo, che pare loro pazzia fare uno ordine che non si possa tenere, e durare fatica a portare una arme che non ti possa difendere.

    



Libro quarto


    Luigi: Poiché sotto l'imperio mio si è vinto una giornata sì onorevolmente, io penso che sia bene che io non tenti più la fortuna, sappiendo quanto quella è varia e instabile. E però io desidero deporre la dittatura e che Zanobi faccia ora questo ufficio del domandare, volendo seguire l'ordine che tocchi al più giovane. E io so che non ricuserà questo onore o, vogliamo dire, questa fatica, sì per compiacermi, sì ancora per essere naturalmente più animoso di me; né gli recherà paura avere a entrare in questi travagli, dove egli potesse così essere vinto, come vincere.

    Zanobi: Io sono per stare dove voi mi metterete, ancora che lo stessi più volentieri ad ascoltare; perché, infino a qui, mi sono più sodisfatte le domande vostre che non mi sarieno piaciute quelle che a me, nello ascoltare i vostri ragionamenti, occorrevano. Ma io credo che sia bene signore, che voi avanziate tempo e abbiate pazienza, se con queste nostre cerimonie vi infastidissimo.

    Fabrizio: Anzi mi date piacere, perché questa variazione de' domandatori mi fa conoscere i varii ingegni e i varii appetiti vostri. Ma restavi cosa alcuna che vi paia da aggiugnere alla materia ragionata ?

    Zanobi: Due cose disidero, avanti che si passi ad un'altra parte: l'una, è che voi ne mostriate se altra forma di ordinare eserciti vi occorre; l'altra, quali rispetti debbe avere uno capitano prima che si conduca alla zuffa, e, nascendo alcuno accidente in essa, quali rimedii vi si possa fare.

    Fabrizio: Ie mi sforzerò sodisfarvi. Non risponderò già distintamente alle domande vostre, perché, mentre che io risponderò a una, molte volte si verrà a rispondere all'altra. Io vi ho detto come io vi proposi una forma di esercito, acciò che, secondo quella, gli potesse dare tutte quelle forme che 'l nimico e il sito ricerca; perché, in questo caso, e secondo il sito e secondo il nimico si procede. Ma notate questo: che non ci è la più pericolosa forma che distendere assai la fronte dell'esercito tuo, se già tu non hai un gagliardissimo e un grandissimo esercito; altrimenti tu l'hai a fare piuttosto grosso e poco largo, che assai largo e sottile. Perché, quando tu hai poche genti a comparazione del nimico, tu dei cercare degli altri rimedii come sono: ordinare l'esercito tuo in iato che tu sia fasciato o da fiume o da palude, in modo che tu non possa essere circundato; o fasciarti da' fianchi con le fosse, come fece Cesare in Francia. E avete a prendere in questo caso questa generalità: di allargarvi o ristrignervi con la fronte, secondo il numero vostro e quello del nimico; ed essendo il nimico di minore numero, dei cercare di luoghi larghi, avendo tu massimamente le genti tue disciplinate, acciò che tu possa non solamente circundare il nimico, ma distendervi i tuoi ordini, perché ne' luoghi aspri e difficili, non potendo valerti degli ordini tuoi, non vieni ad avere alcuno vantaggio. Quinci nasceva che i Romani quasi sempre cercavano i campi aperti e fuggivano i difficili. Al contrario, come ho detto, dei fare se hai o poche genti o male disciplinate; perché tu hai a cercare luoghi, o dove il poco numero si salvi, o dove la poca esperienza non ti offenda. Debbesi ancora eleggere il luogo superiore, per potere più facilmente urtarlo. Nondimanco si debbe avere questa avvertenza: di non ordinare l'esercito tuo in una spiaggia e in luogo propinquo alle radici di quella, dove possa venire l'esercito nimico; perché in questo caso, rispetto alle artiglierie, il luogo superiore ti arrecherebbe disavvantaggio; perché sempre e commodamente potresti dalle artiglierie nimiche essere offeso sanza potervi fare alcuno rimedio, e tu non potresti commodamente offendere quello, impedito da' tuoi medesimi. Debbe ancora, chi ordina uno esercito a giornata, avere rispetto al sole e al vento, che l'uno e l'altro non ti ferisca la fronte, perché l'uno e l'altro ti impediscono la vista, l'uno con i razzi, l'altro con la polvere. E di più il vento disfavorisce l'armi che si traggono al nimico e fa più deboli i colpi loro. E quanto al sole, non basta avere cura che allora non ti dia nel viso, ma conviene pensare che crescendo il dì, non ti offenda. E per questo converrebbe, nello ordinare le genti, averlo tutto alle spalle, acciò ch'egli avesse a passare assai tempo nello arrivarti in fronte. Questo modo fu osservato da Annibale a Canne e da Mario contro a' Cimbri. Se tu fossi assai inferiore di cavagli, ordina l'esercito tuo tra vigne e arbori e simili impedimenti, come fecero ne' nostri tempi gli Spagnuoli, quando ruppono i Franzesi nel Reame alla Cirignuola. E si è veduto molte volte come con i medesimi soldati, variando solo l'ordine e il luogo, si diventa di perdente vittorioso, come intervenne a' Cartaginesi, i quali, sendo stati vinti da Marco Regolo più volte, furono di poi, per il consiglio di Santippo lacedemonio, vittoriosi; il quale gli fece scendere nel piano, dove, per virtù de' cavagli e degli liofanti, poterono superare i Romani. E mi pare, secondo gli antichi esempli, che quasi tutti i capitani eccellenti, quando eglino hanno conosciuto che il nimico ha fatto forte uno lato della battaglia, non gli hanno opposta la parte più forte, ma la più debole, e l'altra più forte hanno opposta alla più debole; poi, nello appiccare la zuffa, hanno comandato alla loro parte più gagliarda, che solamente sostenga il nimico e non lo spinga, e alla più debole, che si lasci vincere e ritirisi nell'ultima schiera dell'esercito. Questo genera due grandi disordini al nimico: il primo, ch'egli si truova la sua parte più gagliarda circundata; il secondo è che, parendogli avere la vittoria subito, rade volte è che non si disordini, donde ne nasce la sua subita perdita. Cornelio Scipione, sendo in Ispagna contro ad Asdrubale cartaginese, e sappiendo come ad Asdrubale era noto ch'egli nell'ordinare l'esercito poneva le sue legioni in mezzo, la quale era la più forte parte del suo esercito e, per questo, come Asdrubale con simile ordine doveva procedere; quando di poi venne alla giornata, mutò ordine e le sue legioni messe ne'corni dello esercito, e nel mezzo pose tutte le sue genti più deboli. Di poi, venendo alle mani, in un subito quelle genti poste nel mezzo fece camminare adagio ed i corni dello esercito con celerità farsi innanzi; di modo che solo i corni dell'uno e dell'altro esercito combattevano, e le schiere di mezzo, per essere distante l'una dall'altra, non si aggiugnevano; e così veniva a combattere la parte di Scipione più gagliarda con la più debole d'Asdrubale; e vinselo. Il quale modo fu allora utile; ma oggi, rispetto alle artiglierie, non si potrebbe usare, perché quello spazio che rimarrebbe nel mezzo, tra l'uno esercito e l'altro, darebbe tempo a quelle di potere trarre il che è perniziosissimo, come di sopra dicemmo. Però conviene lasciare questo modo da parte, e usarlo, come poco fa dissi, faccendo appiccare tutto lo esercito e la parte più debole cedere. Quando uno capitano si truova avere più esercito di quello del nimico, a volerlo circundare che non lo prevegga, ordini lo esercito suo di equale fronte a quello dello avversario; di poi, appiccata la zuffa, faccia che a poco a poco la fronte si ritiri e i fianchi si distendano; e sempre occorrerà che 'l nimico si troverrà, sanza accorgersene, circundato. Quando uno capitano voglia combattere quasi che sicuro di non potere essere rotto, ordini l'esercito suo in luogo dove egli abbia il refugio propinquo e sicuro, o tra paludi o tra monti o in una città potente; perché, in questo caso, egli non può essere seguito dal nimico e il nimico può essere seguitato da lui. Questo termine fu usato da Annibale, quando la fortuna cominciò a diventargli avversa e che dubitava del valore di Marco Marcello. Alcuni, per turbare gli ordini del nimico, hanno comandato a quegli che sono leggermente armati, che appicchino la zuffa, e, appiccata, si ritirino tra gli ordini; e quando di poi gli eserciti si sono attestati insieme e che la fronte di ciascuno è occupata al combattere, gli hanno fatti uscire per li fianchi delle battaglie, e quello turbato e rotto. Se alcuno si truova inferiore di cavagli, può, oltre a' modi detti, porre dietro a' suoi cavagli una battaglia di picche, e, nel combattere, ordinare che dieno la via alle picche; e rimarrà sempre superiore. Molti hanno consueto di avvezzare alcuni fanti leggiermente armati a combattere tra' cavagli; il che è stato alla cavalleria di aiuto grandissimo. Di tutti coloro che hanno ordinati eserciti alla giornata, sono i più lodati Annibale e Scipione quando combatterono in Affrica; e perché Annibale aveva l'esercito suo composto di Cartaginesi e di ausiliarii di varie generazioni, pose nella prima fronte ottanta liofanti; di poi collocò gli ausiliarii, dopo a' quali pose i suoi Cartaginesi; nell'ultimo luogo messe gli Italiani, ne' quali confidava poco. Le quali cose ordinò così, perché gli ausiliarii, avendo innanzi il nimico e di dietro sendo chiusi da' suoi, non potessono fuggire; di modo che, sendo necessitati al combattere, vincessero o straccassero i Romani, pensando poi, con la sua gente fresca e virtuosa facilmente i Romani già stracchi superare. All'incontro di questo ordine, Scipione collocò gli astati, i principi e i triarii nel modo consueto da potere ricevere l'uno l'altro e sovvenire l'uno all'altro. Fece la fronte dello esercito piena di intervalli; e perch'ella non transparesse, anzi paresse unita, li riempié di veliti; a' quali comandò che, tosto ch'e' liofanti venivano, cedessero, e, per li spazi ordinarii, entrassono tra le legioni e lasciassero la via aperta a' liofanti; e così venne a rendere vano l'impeto di quegli, tanto che, venuto alle mani, ei fu superiore.

    Zanobi: Voi mi avete fatto ricordare, nello allegarmi cotesta giornata, come Scipione nel combattere non fece ritirare gli astati negli ordini de' principi, ma gli divise e fecegli ritirare nelle corna dello esercito, acciò che dessono luogo a' principi, quando gli volle spingere innanzi. Però vorrei mi dicessi quale cagione lo mosse a non osservare l'ordine consueto.

    Fabrizio: Dirovvelo. Aveva Annibale posta tutta la virtù del suo esercito nella seconda schiera; donde che Scipione, per opporre, a quella, simile virtù, raccozzò i principi e i triarii insieme; tale che, essendo gli intervalli de'principi occupati da' triarii, non vi era luogo a potere ricevere gli astati; e però fece dividere gli astati e andare ne' corni dello esercito, e non gli ritirò tra' principi. Ma notate che questo modo dello aprire la prima schiera per dare luogo alla seconda, non si può usare se non quando altri è superiore; perché allora si ha commodità a poterlo fare, come potette Scipione. Ma essendo al disotto e ributtato, non lo puoi fare se non con tua manifesta rovina; e però conviene avere, dietro, ordini che ti ricevino. Ma torniamo al ragionamento nostro. Usavano gli antichi Asiatici, tra l'altre cose pensate da loro per offendere i nimici, carri i quali avevano da' fianchi alcune falce ;tale che, non solamente servivano ad aprire con il loro impeto le schiere, ma ancora ad ammazzare con le falci gli avversarii. Contro a questi impeti in tre modi si provvedeva: o si sostenevano con la densità degli ordini, o si ricevevano dentro nelle schiere come i liofanti, o e' si faceva con arte alcuna resistenza gagliarda; come fece Silla romano contro ad Archelao, il quale aveva assai di questi carri che chiamavano falcati, che, per sostenergli, ficcò assai pali in terra dopo le prime schiere, da' quali i carri sostenuti perdevano l'impeto loro. Ed è da notare il nuovo modo che tenne Silla contro a costui in ordinare lo esercito; perché misse i veliti e i cavagli dietro e tutti gli armati gravi davanti, lasciando assai intervalli da potere mandare innanzi quegli di dietro quando la necessità lo richiedesse; donde, appiccata la zuffa, con lo aiuto de' cavagli a' quali dette la via, ebbe la vittoria. A volere turbare nella zuffa l'esercito nimico, conviene fare nascere qualche cosa che lo sbigottisca, o con annunziare nuovi aiuti che vengano, o col dimostrare cose che gli rappresentino; talmente che i nimici ingannati da quello aspetto, sbigottiscono e, sbigottiti, si possano facilmente vincere. I quali modi tennono Minuzio Ruffo e Acilio Glabrione consoli romani. Caio Sulpizio ancora misse assai saccomanni sopra muli e altri animali alla guerra inutili, ma in modo ordinati che rappresentavano gente d'arme, e comandò ch'eglino apparissono sopra uno col le, mentre ch'egli era alle mani con i Franzesi; donde ne nacque la sua vittoria. Il medesimo fece Mario quando combatté contro a' Tedeschi. Valendo, adunque, assai gli assalti finti mentre che la zuffa dura, conviene che molto più giovino i veri, massimamente se allo improvviso nel mezzo della zuffa si potesse di dietro o da lato assaltare il nimico. Il che difficilmente si può fare se il paese non ti aiuta; perché, quando egli è aperto, non si può celare parte delle tue genti come conviene fare in simili imprese; ma ne' luoghi silvosi o montuosi, e per questo atti agli agguati, si può bene nascondere parte delle tue genti, per potere, in uno subito e fuora di sua opinione, assaltare il nimico; la quale cosa sempre sarà cagione di darti la vittoria. E' stato qualche volta di grande momento, mentre che la zuffa dura seminare voci che pronuncino il capitano de' nimici essere morto, o avere vinto dall'altra parte dello esercito, il che molte volte a chi l'ha usato ha dato la vittoria. Turbasi facilmente la cavalleria nimica o con forme o con romori inusitati; come fece Creso, che oppose i cammegli agli cavagli degli avversarii; e Pirro oppose alla cavalleria romana i liofanti, lo aspetto de' quali la turbò e la disordinò. Ne' nostri tempi il Turco ruppe il Sofì in Persia e il Soldano in Sorìa, non con altro se non con i romori degli scoppietti; i quali in modo alterarono con gli loro inusitati romori la cavalleria di quegli, che il Turco potéo facilmente vincerla. Gli Spagnuoli, per vincere l'esercito d'Amilcare, missero nella prima fronte carri pieni di stipa tirati da buoi, e, venendo alle mani, appiccarono fuoco a quella; donde che i buoi, volendo fuggire il fuoco, urtarono nell'esercito di Amilcare e lo apersero. Soglionsi, come abbiamo detto, ingannare i nimici nel combattere, tirandogli negli agguati, dove il paese è accomodato; ma, quando fusse aperto e largo hanno molti usato di fare fosse, e di poi ricopertole leggermente di frasche e terra e lasciato alcuni spazi solidi da potersi tra quelle ritirare, di poi, appiccata la zuffa, ritiratosi per quelli, e il nimico seguendogli, è rovinato in esse. Se nella zuffa ti occorre alcuno accidente da sbigottire i tuoi soldati, è cosa prudentissima il saperlo dissimulare e pervertirlo in bene, come fece Tullo Ostilio e Lucio Silla; il quale, veggendo come, mentre che si combatteva, una parte delle sue genti se ne era ita dalla parte inimica, e come quella cosa aveva assai sbigottiti i suoi, fece subito intendere per tutto lo esercito come ogni cosa seguiva per ordine suo, il che non solo non turbò lo esercito, ma gli accrebbe in tanto lo animo, che rimase vittorioso. Occorse ancora a Silla che, avendo mandati certi soldati a fare alcuna faccenda, ed essendo stati morti, disse, perché l'esercito suo non si sbigottisse, avergli con arte mandati nelle mani de' nimici perché gli aveva trovati poco fedeli. Sertorio, faccendo una giornata in Ispagna ammazzò uno che gli significò la morte d'uno de' suoi capi, per paura che, dicendo il medesimo agli altri, non gli sbigottisse. È cosa difficilissima, uno esercito già mosso a fuggire, fermarlo e renderlo alla zuffa. E avete a fare questa distinzione: o egli è mosso tutto, e qui è impossibile restituirlo, o ne è mossa una parte, e qui è qualche rimedio. Molti capitani romani con il farsi innanzi a quegli che fuggivano, gli hanno fermi, faccendoli vergognare della fuga, come fece Lucio Silla, che, sendo già parte delle sue legioni in volta cacciate dalle genti di Mitridate, si fece innanzi con una spada in mano, gridando: — Se alcuno vi domanda dove voi avete lasciato il capitano vostro, dite: "Noi lo abbiamo lasciato in Beozia che combatteva". —Attilio consolo a quegli che fuggivano oppose quegli che non fuggivano, e fece loro intendere che, se non voltavano, sarebbero morti dagli amici e da' nimici. Filippo di Macedonia, intendendo come i suoi temevano de' soldati sciti, pose dietro al suo esercito alcuni de' suoi cavagli fidatissimi, e commisse loro ammazzassono qualunque fuggiva; onde che i suoi, volendo più tosto morire combattendo che fuggendo, vinsero. Molti Romani, non tanto per fermare una fuga, quanto per dare occasione a' suoi di fare maggiore forza, hanno, mentre che si combatte, tolta una bandiera di mani a' suoi e gittatala tra' nimici e proposto premi a chi la riguadagna. Io non credo che sia fuora di proposito aggiugnere a questo ragionamento quelle cose che intervengono dopo la zuffa, massime sendo cose brevi e da non le lasciare indietro e a questo ragionamento assai conformi. Dico, adunque, come le giornate si perdono o si vincono. Quando si vince, si dee con ogni celerità seguire la vittoria e imitare in questo caso Cesare e non Annibale; il quale, per essersi fermo da poi ch'egli ebbe rotti i Romani a Canne, ne perdé lo imperio di Roma. Quello altro mai dopo la vittoria non si posava, ma con maggiore impeto e furia seguiva el nimico rotto, che non l'aveva assaltato intero. Ma quando si perde, dee un capitano vedere se dalla perdita ne può nascere alcuna sua utilità, massimamente se gli è rimaso alcuno residuo di esercito La commodità può nascere dalla poca avvertenza del nimico, il quale, il più delle volte, dopo la vittoria diventa trascurato e ti dà occasione di opprimerlo; come Marzio Romano oppresse gli eserciti cartaginesi, i quali, avendo morti i duoi Scipioni e rotti i loro eserciti, non stimando quello rimanente delle genti che con Marzio erano rimase vive, furono da lui assaltati e rotti. Per che si vede che non è cosa tanto riuscibile quanto quella che il nimico crede che tu non possa tentare; perché il più delle volte gli uomini sono offesi più dove dubitano meno. Debbe un capitano pertanto, quando egli non possa fare questo, ingegnarsi almeno con la industria che la perdita sia meno dannosa. A fare questo ti è necessario tenere modi che il nimico non ti possa con facilità seguire, o dargli cagione ch'egli abbia a ritardare Nel primo caso, alcuni, poi ch'egli hanno conosciuto di perdere, ordinarono agli loro capi che in diverse parti e per diverse vie si fuggissono, avendo dato ordine dove si avevano di poi a raccozzare; il che faceva che il nimico, temendo di dividere l'esercito, ne lasciava ire salvi o tutti o la maggior parte di essi. Nel secondo caso, molti hanno gittato innanzi al nimico le loro cose più care, acciò che quello, ritardato dalla preda, dia loro più spazio alla fuga. Tito Didio usò non poca astuzia per nascondere il danno ch'egli aveva ricevuto nella zuffa; perché, avendo combattuto infino a notte con perdita di assai de' suoi, fece la notte sotterrare la maggior parte di quegli; donde che la mattina, vedendo i nimici tanti morti de' loro e sì pochi de' Romani, credendo avere disavvantaggio, si fuggirono. Io credo di avere così confusamente, come io dissi, sodisfatto in buona parte alla domanda vostra. Vero è che, circa la forma degli eserciti, mi resta a dirvi come alcuna volta per alcun capitano si è costumato fargli con la fronte a uso d'uno conio, giudicando potere per tale via più facilmente aprire l'esercito inimico. Contro a questa forma hanno usato fare una forma a uso di forbici, per potere tra quello vacuo ricevere quello conio e circundarlo e combatterlo da ogni parte. Sopra che voglio che voi prendiate questa regola generale: che il maggiore rimedio che si usi contro a uno disegno del nimico, è fare volontario quello ch'egli disegna che tu faccia per forza; perché, faccendolo volontario, tu lo fai con ordine e con vantaggio tuo e disavvantaggio suo; se lo facessi forzato, vi sarebbe la tua rovina. A fortificazione di questo non mi curerò di replicarvi alcuna cosa già detta. Fa il conio lo avversario per aprire le tue schiere? Se tu vai con esse aperte, tu disordini lui ed esso non disordina te. Pose i liofanti in fronte del suo esercito Annibale, per aprire con quegli l'esercito di Scipione, andò Scipione con esso aperto, e fu cagione e della sua vittoria e della rovina di quello. Pose Asdrubale le sue genti più gagliarde nel mezzo della fronte del suo esercito, per spingere le genti di Scipione; comandò Scipione che per loro medesime si ritirassono, e ruppelo. In modo che simili disegni, quando si presentano, sono cagione della vittoria di colui contro a chi essi sono ordinati. Restami ancora, se bene mi ricorda, dirvi quali rispetti debbe avere uno capitano prima che si conduca alla zuffa. Sopra che io vi ho a dire, in prima come uno capitano non ha mai a fare giornata se non ha vantaggio, o se non e necessitato. Il vantaggio nasce dal sito, dall'ordine, dall'avere o più o migliore gente. La necessità nasce quando tu vegga, non combattendo, dovere in ogni modo perdere; come è: che sia per mancarti danari e, per questo, lo esercito tuo si abbia in ogni modo a risolvere che sia per assaltarti la fame, che il nimico aspetti di ingrossare di nuova gente. In questi casi sempre si dee combattere, ancora con tuo disavvantaggio, perch'egli è assai meglio tentare la fortuna dov'ella ti possa favorire, che, non la tentando, vedere la tua certa rovina. Ed è così grave peccato, in questo caso, in uno capitano il non combattere, come è d'avere avuta occasione di vincere e non la avere o conosciuta per ignoranza o lasciata per viltà. I vantaggi qualche volta te gli dà il nimico e qualche volta la tua prudenza. Molti, nel passare i fiumi, sono stati rotti da uno loro nimico accorto, il quale ha aspettato che sieno mezzi da ogni banda e, di poi, gli ha assaltati; come fece Cesare a' Svizzeri che consumò la quarta parte di loro, per essere tramezzati da uno fiume. Trovasi alcuna volta il tuo nimico stracco per averti seguito troppo inconsideratamente; di modo che, trovandoti tu fresco e riposato, non dei lasciare passare tale occasione. Oltre a questo, se il nimico ti presenta, la mattina di buona ora, la giornata, tu puoi differire di uscir de' tuoi alloggiamenti per molte ore; e quando egli è stato assai sotto l'armi e ch'egli ha perso quel primo ardore con il quale venne, puoi allora combattere seco. Questo modo tenne Scipione e Metello in Ispagna, l'uno contro ad Asdrubale, l'altro contro a Sertorio. Se il nimico è diminuito di forze, o per avere diviso gli eserciti, come gli Scipioni in Ispagna, o per qualche altra cagione, dei tentare la sorte. La maggior parte de'capitani prudenti piuttosto ricevano l'impeto de' nimici, che vadano con impeto ad assaltare quelli: perché il furore è facilmente sostenuto dagli uomini fermi e saldi, e il furore sostenuto facilmente si convertisce in viltà. Così fece Fabio contro a' Sanniti e contro a' Galli, e fu vittorioso e Decio suo collega vi rimase morto. Alcuni che hanno temuto della virtù del loro nimico, hanno cominciato la zuffa nell'ora propinqua alla notte, acciò che i suoi, sendo vinti, potessero, difesi dalla oscurità di quella, salvarsi. Alcuni avendo conosciuto come l'esercito nimico è preso da certa superstizione di non combattere in tale tempo, hanno quel tempo eletto alla zuffa, e vinto. Il che osservò Cesare in Francia contro ad Ariovisto, e Vespasiano in Sorìa contro a' Giudei. La maggiore e più importante avvertenza che debba avere uno capitano, è di avere appresso di sé uomini fedeli, peritissimi della guerra e prudenti, con gli quali continuamente si consigli e con loro ragioni delle sue genti e di quelle del nimico: quale sia maggiore numero, quale meglio armato, o meglio a cavallo, o meglio esercitato quali sieno più atti a patire la necessità in quali confidi più, o ne' fanti o ne' cavagli. Di poi considerino il luogo dove sono, e s'egli è più a proposito per il nimico che per lui; chi abbia di loro più commodamente la vettovaglia; s'egli è bene differire la giornata o farla; che di bene gli potesse dare o torre il tempo; perché molte volte i soldati, veduta allungare la guerra, infastidiscono e stracchi nella fatica e nel tedio, ti abbandonano. Importa sopra tutto conoscere il capitano de' nimici e chi egli ha intorno: s'egli è temerario o cauto, se timido o audace. Vedere come tu ti puoi fidare de' soldati ausiliarii. E sopra tutto ti debbi guardare di non condurre l'esercito ad azzuffarsi che tema o che in alcuno modo diffidi della vittoria, perché il maggiore segno di perdere è quando non si crede potere vincere. E però in questo caso dei fuggire la giornata, o col fare come Fabio Massimo che, accampandosi ne' luoghi forti, non dava animo ad Annibale d'andarlo a trovare; o, quando tu credessi che il nimico ancora ne' luoghi forti ti venisse a trovare partirsi della campagna e dividere le genti per le tue terre, acciò che il tedio della espugnazione di quelle lo stracchi.

    Zanobi: Non si può egli fuggire altrimenti la giornata, che dividersi in più parti e mettersi nelle terre?

    Fabrizio: Io credo, altra volta, con alcuno di voi avere ragionato come quello che sta alla campagna non può fuggire la giornata, quando egli ha uno nimico che lo vogli combattere in ogni modo; e non ha se non uno rimedio: porsi con l'esercito suo discosto cinquanta miglia almeno dall'avversario suo, per essere a tempo a levarsegli dinanzi quando lo andasse a trovare. E Fabio Massimo non fuggì mai la giornata con Annibale, ma la voleva fare a suo vantaggio; e Annibale non presumeva poterlo vincere andando a trovarlo ne' luoghi dove quello alloggiava; ché s'egli avesse presupposto poterlo vincere, a Fabio conveniva fare giornata seco in ogni modo, o fuggirsi. Filippo, re di Macedonia, quello che fu padre di Perse, venendo a guerra con i Romani, pose gli alloggiamenti suoi sopra uno monte altissimo per non fare giornata con quegli; ma i Romani lo andarono a trovare in su quello monte e lo ruppono. Cingentorige, capitano de' Franciosi, per non avere a fare giornata con Cesare, il quale fuora della sua opinione aveva passato un fiume, si discostò molte miglia con le sue genti. I Viniziani, ne' tempi nostri, se non volevano venire a giornata con il re di Francia, non dovevano aspettare che l'esercito francioso passasse l'Adda, ma discostarsi da quello, come Cingentorige. Donde che quegli, avendo aspettato, non seppono pigliare nel passare delle genti la occasione del fare la giornata, né fuggirla, perché i Franciosi sendo loro pripinqui, come i Viniziani disalloggiarono, gli assaltarono e ruppero. Tanto è che la giornata non si può fuggire quando il nimico la vuole in ogni modo fare. Né alcuno alleghi Fabio, perché tanto in quel caso fuggì la giornata egli, quanto Annibale. Egli occorre molte volte che i tuoi soldati sono volonterosi di combattere, e tu cognosci, per il numero e per il sito o per qualche altra cagione, avere disavvantaggio, e disideri fargli rimuovere da questo disiderio. Occorre ancora che la necessità o l'occasione ti costringe alla giornata, e che i tuoi soldati sono male confidenti e poco disposti a combattere; donde che ti è necessario nell'uno caso sbigottirgli e nell'altro accendergli. Nel primo caso, quando le persuasioni non bastano, non è il migliore modo che darne in preda una parte di loro al nimico, acciò che quegli che hanno e quegli che non hanno combattuto, ti credano. E puossi molto bene fare con arte quello che a Fabio Massimo intervenne a caso. Disiderava come voi sapete, l'esercito di Fabio combattere con l'esercito d'Annibale; il medesimo disiderio aveva il suo maestro de'cavagli; a Fabio non pareva di tentare la zuffa; tanto che, per tale disparere, egli ebbero a dividere l'esercito. Fabio ritenne i suoi negli alloggiamenti; quell'altro combatté, e, venuto in pericolo grande, sarebbe stato rotto, se Fabio non lo avesse soccorso. Per il quale esemplo il maestro de'cavagli, insieme con tutto lo esercito, cognobbe come egli era partito savio ubbidire a Fabio. Quanto allo accendergli al combattere, è bene fargli sdegnare contro a'nimici, mostrando che dicono parole ignominiose di loro, mostrare di avere con loro intelligenza e averne corrotti parte; alloggiare in lato che veggano i nimici e che facciano qualche zuffa leggiere con quegli, perché le cose che giornalmente si veggono, con più facilità si dispregiano; mostrarsi indegnato e, con una orazione a proposito, riprendergli della loro pigrizia e, per fargli vergognare, dire di volere combattere solo, quando non gli vogliano fare compagnia. E dei, sopra ogni cosa, avere questa avvertenza, volendo fare il soldato ostinato alla zuffa: di non permettere che ne mandino a casa alcuna loro facultà, o depongano in alcuno luogo, infino ch'egli è terminata la guerra, acciò che intendano che, se 'l fuggire salva loro la vita, egli non salva loro la roba l'amore della quale non suole meno di quella rendere ostinati gli uomini alla difesa.

    Zanobi: Voi avete detto come egli si può fare i soldati volti a combattere parlanda loro. Intendete voi, per questo, che si abbia a parlare a tutto l'esercito, o a' capi di quello?

    Fabrizio: A persuadere o a dissuadere a' pochi una cosa, è molto facile perché, se non bastano le parole, tu vi puoi usare l'autorità e la forza; ma la difficultà è rimuovere da una moltitudine una sinistra opinione e che sia contraria o al bene comune o all'opinione tua; dove non si può usare se non le parole le quali conviene che sieno udite da tutti, volendo persuadergli tutti. Per questo gli eccellenti capitani conveniva che fussono oratori, perché, sanza sapere parlare a tutto l'esercito, con difficultà si può operare cosa buona, il che al tutto in questi nostri tempi è dismesso. Leggete la vita d'Alessandro Magno, e vedete quante volte gli fu necessario concionare e parlare publicamente all'esercito; altrimenti non l'arebbe mai condotto, sendo diventato ricco e pieno di preda, per i deserti d'Arabia e nell'India con tanto suo disagio e noia perché infinite volte nascono cose mediante le quali uno esercito rovina, quando il capitano o non sappia o non usi di parlare a quello, perché questo parlare lieva il timore, accende gli animi cresce l'ostinazione, scuopre gl'inganni, promette premii, mostra i pericoli e la via di fuggirli, riprende, priega, minaccia, riempie di speranza, loda, vitupera, e fa tutte quelle cose per le quali le umane passioni si spengono o si accendono. Donde quel principe o republica che disegnasse fare una nuova milizia e rendere riputazione a questo esercizio debbe assuefare i suoi soldati a udire parlare il capitano, e il capitano a sapere parlare a quegli. Valeva assai, nel tenere disposti gli soldati antichi, la religione e il giuramento che si dava loro quando si conducevano a militare, perché in ogni loro errore si minacciavano non solamente di quelli mali che potessono temere dagli uomini, ma di quegli che da Dio potessono aspettare. La quale cosa, mescolata con altri modi religiosi, fece molte volte facile a' capitani antichi ogni impresa, e farebbe sempre dove la religione si temesse e osservasse. Sertorio si valse di questa, mostrando di parlare con una cervia la quale, da parte d'Iddio, gli prometteva la vittoria. Silla diceva di parlare con una immagine ch'egli aveva tratta dal tempio di Apolline. Molti hanno detto essere loro apparse in sogno Iddio, che gli ha ammoniti al combattere. Ne' tempi de'padri nostri, Carlo VII re di Francia, nella guerra che fece contro agli Inghilesi diceva consigliarsi con una fanciulla mandata da Iddio, la quale si chiamò per tutto la Pulzella di Francia, il che gli fu cagione della vittoria. Puossi ancora tenere modi che facciano che i tuoi apprezzino poco il nimico; come tenne Agesilao spartano, il quale mostrò a' suoi soldati alcuni Persiani ignudi acciò che vedute le loro membra dilicate, non avessero cagione di temergli. Alcuni gli hanno costretti a combattere per necessità, levando loro via ogni speranza di salvarsi, fuora che nel vincere, la quale è la più gagliarda e la migliore provvisione che si faccia, a volere fare il suo soldato ostinato. La quale ostinazione è accresciuta dalla confidenza e dall'amore del capitano o della patria. La confidenza, la causa l'armi, l'ordine, le vittorie fresche e l'opinione del capitano. L'amore della patria è causato dalla natura; quello del capitano, dalla virtù più che da niuno altro beneficio. Le necessitadi possono essere molte, ma quella è più forte, che ti costringe o vincere o morire.

 



Libro quinto


    Fabrizio:   Io vi ho mostro come si ordina uno esercito per fare giornata con un altro esercito che si vegga posto all'incontro di sé, e narratovi come quella si vince e, di poi, molte circustanze per li varii accidenti che possono occorrere intorno a quella; tanto che mi pare tempo da mostrarvi ora come si ordina uno esercito contro a quel nimico che altri non vede, ma che continuamente si teme non ti assalti. Questo interviene quando si cammina per il paese nimico o sospetto. E prima avete a intendere come uno esercito romano, per l'ordinario, sempre mandava innanzi alcune torme di cavagli come speculatori del cammino. Di poi seguitava il corno destro. Dopo questo ne venivano tutti i carriaggi che a quello appartenevano. Dopo questi veniva una legione; dopo lei i suoi carriaggi; dopo quegli un'altra legione e, appresso a quella, i suoi carriaggi; dopo i quali ne veniva il corno sinistro co' suoi carriaggi a spalle e, nell'ultima parte, seguiva il rimanente della cavalleria. Questo era in effetto il modo col quale ordinariamente si camminava. E se avveniva che l'esercito fusse assaltato a cammino da fronte o da spalle, essi facevano a un tratto ritirare tutti i carriaggi o in su la destra o in su la sinistra, secondo che occorreva o che meglio, rispetto al sito, si poteva e tutte le genti insieme, libere dagli impedimenti loro, facevano testa da quella parte donde il nimico veniva. Se erano assaltate per fianco, si ritiravano i carriaggi verso quella parte che era sicura, e dell'altra facevano testa. Questo modo, sendo buono e prudentemente governato, mi parrebbe da imitare, mandando innanzi i cavagli leggieri come speculatori del paese; di poi, avendo quattro battaglioni, fare che camminassero alla fila, e ciascuno con i suoi carriaggi a spalle. E perché sono di due ragioni carriaggi, cioè pertinenti a'particolari soldati e pertinenti al publico uso di tutto il campo, dividerei i carriaggi publici in quattro parti e, ad ogni battaglione, ne concederei la sua parte, dividendo ancora in quarto le artiglierie e tutti i disarmati, acciò che ogni numero di armati avesse equalmente gli impedimenti suoi. Ma perché egli occorre alcuna volta che si cammina per il paese, non solamente sospetto, ma in tanto nimico che tu temi a ogni ora di essere assalito, sei necessitato, per andare più sicuro, mutare forma di cammino e andare in modo ordinato, che né i paesani né l'esercito ti possa offendere, trovandoti in alcuna parte improvvisto. Solevano in tale caso gli antichi capitani andare con lo esercito quadrato (ché così chiamava no questa forma, non perch'ella fusse al tutto quadra, ma per essere atta a combattere da quattro parti) e dicevano che andavano parati e al cammino e alla zuffa; dal quale modo io non mi voglio discostare, e voglio ordinare i miei due battaglioni, i quali ho preso per regola d'uno esercito, a questo effetto. Volendo pertanto camminare sicuro per il paese nimico e potere rispondere da ogni parte quando fusse all'improvviso assaltato, e volendo, secondo gli antichi, ridurlo in quadro, disegnerei fare uno quadro, che il vacuo suo fusse di spazio da ogni parte dugentododici braccia, in questo modo: io porrei prima i fianchi, discosto l'uno fianco dall'altro dugentododici braccia, e metterei cinque battaglie per fianco in filo per lunghezza, e discosto l'una dall'altra tre braccia; le quali occuperebbero con gli loro spazii, occupando ogni battaglia quaranta braccia dugentododici braccia. Tra le teste poi e tra le code di questi due fianchi porrei l'altre dieci battaglie, in ogni parte cinque, ordinandole in modo che quattro se ne accostassono alla testa del fianco destro, e quattro alla coda del fianco sinistro, lasciando tra ciascuna uno intervallo di tre braccia; una poi se ne accostasse alla testa del fianco sinistro e una alla coda del fianco destro. E perché il vano- che è dall'uno fianco all'altro è dugentododici braccia, e queste battaglie, che sono poste allato l'una all'altra per larghezza e non per lunghezza, verrebbero a occupare con gli intervalli centotrentaquattro braccia, verrebbe, tra le quattro battaglie poste in su la fronte del fianco destro e l'una posta in su quella del sinistro, a restare uno spazio di settantotto braccia; e quello medesimo spazio verrebbe a rimanere nelle battaglie poste nella parte posteriore; né vi sarebbe altra differenza, se non che l'uno spazio verrebbe dalla parte di dietro verso il corno destro, l'altro verrebbe dalla parte davanti verso il corno sinistro. Nello spazio delle settantotto braccia davanti porrei tutti i veliti ordinarii: in quello di dietro gli straordinarii, che ne verrebbe ad essere mille per spazio. E volendo che lo spazio che avesse di dentro l'esercito fusse per ogni verso dugentododici braccia, converrebbe che le cinque battaglie che si pongono nella testa, e quelle che si pongono nella coda, non occupassono alcuna parte dello spazio che tengono i fianchi, e però converrebbe che le cinque battaglie di dietro toccassero, con la fronte, la coda de' loro fianchi, e quelle davanti, con la coda, toccassero le teste; in modo che sopra ogni canto di questo esercito resterebbe uno spazio da ricevere un'altra battaglia. E perché sono quattro spazi, io torrei quattro bandiere delle picche estraordinarie e, in ogni canto, ne metterei una; e le due bandiere di dette picche che mi avanzassero, porrei nel mezzo del vano di questo esercito in uno quadro in battaglia, alla testa delle quali stesse il capitano generale co' suoi uomini intorno. E perché queste battaglie, ordinate così, camminano tutte per uno verso, ma non tutte per uno verso combattono, si ha, nel porle insieme, a ordinare quegli lati a combattere che non sono guardati dall'altre battaglie. E però si dee considerare che le cinque battaglie che sono in fronte, hanno guardate tutte l'altre parti eccetto che la fronte; e però queste s'hanno a mettere insieme ordinariamente e con le picche davanti. Le cinque battaglie che sono dietro, hanno guardate tutte le bande fuora che la parte di dietro; e però si dee mettere insieme queste in modo che le picche vengano dietro, come nel suo luogo dimostrammo. Le cinque battaglie che sono nel fianco destro, hanno guardati tutti i lati, dal fianco destro in fuora. Le cinque che sono in sul sinistro, hanno fasciate tutte le parti, dal fianco sinistro in fuora; e però nell'ordinare le battaglie si debbe fare che le picche tornino da quel fianco che resta scoperto. E perché i capidieci vengano per testa e per coda acciò che, avendo a combattere, tutte l'armi e le membra sieno ne' luoghi loro il modo a fare questo si disse quando ragionammo de' modi dell'ordinare le battaglie. L'artiglierie dividerei; e una parte ne metterei di fuora nel fianco destro e l'altra nel sinistro. I cavagli leggieri manderei innanzi a scoprire il paese. Degli uomini d'arme, ne porrei parte dietro in sul corno destro e parte in sul sinistro, distanti un quaranta braccia dalle battaglie. E avete a pigliare, in ogni modo che voi ordinate uno esercito quanto a' cavagli, questa generalità: che sempre si hanno a porre o dietro o da' fianchi. Chi li pone davanti, nel dirimpetto dello esercito, conviene faccia una delle due cose: o che gli metta tanto innanzi che, sendo ributtati, eglino abbiano tanto spazio che dia loro tempo a potere cansarsi dalle fanterie tue e non le urtare; o ordinare in modo quelle con tanti intervalli, che i cavagli, per quegli, possano entrare tra loro sanza disordinarle. Né sia alcuno che stimi poco questo ricordo, perché molti, per non ci avere avvertito, ne sono rovinati e, per loro medesimi si sono disordinati e rotti. I carriaggi e gli uomini disarmati si mettono nella piazza che resta dentro all'esercito, e in modo compartiti che dieno la via facilmente a chi volesse andare o dall'uno canto all'altro o dall'una testa all'altra dell'esercito. Occupano queste battaglie, sanza l'artiglierie e i cavagli, per ogni verso dal lato di fuora, dugentottantadue braccia di spazio. E perché questo quadro è composto di due battaglioni, conviene divisare quale parte ne faccia uno battaglione e quale l'altro. E perché i battaglioni si chiamano dal numero e ciascuno di loro ha, come sapete, dieci battaglie e uno capo generale, farei che il primo battaglione ponesse le sue prime cinque battaglie nella fronte, l'altre cinque nel fianco sinistro, e il capo stesse nell'angulo sinistro della fronte. Il secondo battaglione di poi mettesse le prime cinque sue battaglie nel fianco destro, e le altre cinque nella coda, e il capo stesse nell'angulo destro, il quale verrebbe a fare l'ufficio del tergiduttore. Ordinato in questo modo lo esercito, si ha a fare muovere e, nello andare, osservare tutto questo ordine; e sanza dubbio egli è sicuro da tutti i tumulti de' paesani. Né dee fare il capitano altra provvisione agli assalti tumultuarii, che dare qualche volta commissione, a qualche cavallo o bandiera de' veliti, che gli rimettano. Né mai occorrerà che queste genti tumultuarie vengano a trovarti al tiro della spada o della picca, perché la gente inordinata ha paura della ordinata; e sempre si vedrà che, con le grida e con i romori, faranno uno grande assalto sanza appressartisi altrimenti, a guisa di cani botoli intorno a uno maschino. Annibale, quando venne a' danni de' Romani in Italia, passò per tutta la Francia e, sempre, de' tumulti franzesi tenne poco conto. Conviene, a volere camminare, avere spianatori e marraiuoli innanzi che ti tacciano la via- i quali saranno guardati da quegli cavagli che si mandono avanti a scoprire. Camminerà uno esercito in questo ordine dieci miglia il giorno e avanzeragli tanto di sole, che egli alloggerà e cenerà; perché per l'ordinario uno esercito cammina venti miglia. Se viene che sia assaltato da uno esercito ordinato, questo assalto non può nascere subito, perché uno esercito ordinato viene col passo tuo; tanto che tu sei a tempo a riordinarti alla giornata e ridurti tosto in quella forma, o simile a quella forma di esercito che di sopra ti si mostrò. Perché, se tu sei assaltato dalla parte dinanzi, tu non hai se non a fare che l'artiglierie che sono ne' fianchi e i cavagli che sono di dietro vengano dinanzi e pongansi in quegli luoghi e con quelle distanze che di sopra si dice. I mille veliti che sono davanti escano del luogo suo, e dividansi in cinquecento per parte, ed entrino nel luogo loro tra' cavagli e le corna dell'esercito. Di poi nel vòto che lasceranno, entrino le due bandiere delle picche estraordinarie che io posi nel mezzo della piazza dell'esercito. I mille veliti che io posi di dietro si partano di quello luogo, e dividansi per i fianchi delle battaglie a fortificazione di quelle; e, per la apertura che loro lasceranno, escano tutti i carriaggi e i disarmati, e mettansi alle spalle delle battaglie. Rimasa adunque la piazza vota e andato ciascuno a' luoghi suoi, le cinque battaglie che io posi dietro all'esercito si facciano innanzi per il vòto che è tra l'uno e l'altro fianco, e camminino verso le battaglie di testa; e le tre si accostino a quelle a quaranta braccia con uguali intervalli intra l'una e l'altra; e le due rimangano addietro, discosto altre quaranta braccia. La quale forma si può ordinare in uno subito e viene ad essere quasi simile alla prima disposizione che dello esercito dianzi dimostrammo, e se viene più stretto in fronte, viene più grosso ne' fianchi- che non gli dà meno fortezza. Ma perché le cinque battaglie che sono nella coda hanno le picche dalla parte di dietro, per le cagioni che dianzi dicemmo, è necessario farle venire dalla parte davanti, volendo ch'elle facciano spalle alla fronte dell'esercito; e però conviene: o fare voltare battaglia per battaglia come uno corpo solido, o farle subito entrare tra gli ordini degli scudi e condurle davanti; il quale modo è più ratto e di minore disordine che farle voltare. E così dei fare di tutte quelle che restono di dietro, in ogni qualità di assalto, come io vi mostrerò. Se si presenta che il nimico venga dalla parte di dietro, la prima cosa, si ha a fare che ciascuno volti il viso dov'egli aveva le schiene; e subito lo esercito viene ad avere fatto del capo, coda e della coda, capo. Di poi si dee tenere tutti quegli modi in ordinare quella fronte che io dico di sopra. Se il nimico viene ad affrontare il fianco destro, si debbe, verso quella banda, fare voltare il viso a tutto lo esercito; di poi fare tutte quelle cose, in fortificazione di quella testa, che di sopra si dicono; tale che i cavagli, i veliti, l'artiglierie sieno ne'luoghi conformi a questa testa. Solo vi è questa differenza: che nel variare le teste di quelli che si tramutono, chi ha ad ire meno e chi più. Bene è vero che faccendo testa del fianco destro, i veliti che avessono ad entrare negli intervalli che sono tra le corna dello esercito e i cavagli, sarebbono quegli che fussono più propinqui al fianco sinistro; nel luogo de' quali arebbero ad entrare le due bandiere delle picche estraordinarie, poste nel mezzo. Ma, innanzi vi entrassero, i carriaggi e i disarmati per l'apertura sgomberassono la piazza e ritirassonsi dietro al fianco sinistro; il che verrebbe ad essere allora coda dello esercito. Gli altri veliti che fussono posti nella coda secondo l'ordinazione principale, in questo caso non si mutassero perché quello luogo non rimanesse aperto; il quale di coda verrebbe ad essere fianco. Tutte l'altre cose si deono fare come nella prima testa si disse. Questo che si è detto circa il fare testa del fianco destro, s'intende detto avendola a fare del fianco sinistro, perché si dee osservare il medesimo ordine. Se il nimico venisse grosso ed ordinato per assaltarti da due bande, si deono fare quelle due bande ch'egli viene ad assaltare, forti con quelle due che non sono assaltate, duplicando gli ordini in ciascheduna e dividendo, per ciascuna parte, l'artiglieria, i veliti e i cavagli. Se viene da tre o da quattro bande, è necessario o che tu o esso manchi di prudenza; perché, se tu sarai savio, tu non ti metterai mai in lato che il nimico da tre o da quattro bande con gente grossa e ordinata ti possa assaltare; perché, a volere che sicuramente ti offenda, conviene che sia sì grosso, che da ogni banda egli ti assalti con tanta gente quanta abbia quasi tutto il tuo esercito. E se tu se' sì poco prudente, che tu ti metta nelle terre e forze d'uno nimico che abbia tre volte gente ordinata più di te, non ti puoi dolere, se tu capiti male, se non di te. Se viene, non per tua colpa, ma per qualche sventura, sarà il danno sanza la vergogna, e ti interverrà come agli Scipioni in Ispagna e ad Asdrubale in Italia. Ma se il nimico non ha molta più gente di te, e voglia, per disordinarti, assaltarti da più bande, sarà stoltizia sua e ventura tua; perché conviene che a fare questo egli s'assottigli in modo, che tu puoi facilmente urtarne una banda e sostenerne un'altra, e in brieve tempo rovinarlo. Questo modo dell'ordinare un esercito contro a uno nimico che non si vede ma che si teme, è necessario; ed è cosa utilissima assuefare i tuoi soldati a mettersi insieme e camminare con tale ordine e nel camminare, ordinarsi per combattere secondo la prima testa e, di poi, ritornare nella forma che si cammina; da quella, fare testa della coda, poi del fianco, da queste, ritornare nella prima forma. I quali esercizi e assuefazioni sono necessarii, volendo avere uno esercito disciplinato e pratico. Nelle quali cose si hanno ad affaticare i capitani e i principi; né è altro la disciplina militare che sapere bene comandare ed eseguire queste cose; né è altro uno esercito disciplinato, che uno esercito che sia bene pratico in su questi ordini, né sarebbe possibile che chi in questi tempi usasse bene simile disciplina, fusse mai rotto. E se questa forma quadrata che io vi ho dimostra, è alquanto difficile, tale difficultà è necessaria, pigliandola per esercizio; perché, sappiendo bene ordinarsi e mantenersi in quella, si saprà di poi più facilmente stare in quelle che non avessono tanta difficultà.

    Zanobi: Io credo, come voi dite, che questi ordini sieno molto necessarii; e io per me non saprei che mi vi aggiungere o levare. Vero è che io disidero sapere da voi due cose: l'una, se, quando voi volete fare della coda o del fianco, testa, e voi gli volete fare voltare, se questo si comanda con la voce o con il suono; l'altra, se quegli che voi mettete davanti a spianare le strade per fare la via allo esercito, deono essere de' medesimi soldati delle vostre battaglie, oppure altra gente vile, deputata a simile esercizio.

    Fabrizio: La prima vostra domanda importa assai; perché molte volte lo essere i comandamenti de' capitani non bene intesi, o male interpretati, ha disordinato il loro esercito; però le voci con le quali si comanda ne' pericoli deono essere chiare e nette. E se tu comandi con il suono, conviene fare che dall'uno modo all'altro sia tanta differenza, che non si possa scambiare l'uno dall'altro; e, se comandi con le voci, dei avere avvertenza di fuggire le voci generali e usare le particolari, e delle particulari fuggire quelle che si potessono interpretare sinistramente Molte volte il dire: "A dietro! A dietro!" ha fatto rovinare uno esercito; però questa voce si dee fuggire, e, in suo luogo, usare: "Ritiratevi!". Se voi gli volete fare voltare per rimutare testa o per fianco o a spalle, non usate mai: "Voltatevi!" ma dite: "A sinistra! A destra! A spalle! A fronte!". Così tutte le altre voci hanno ad essere semplici e nette, come: "Premete! State forti! Innanzi! Tornate!". E tutte quelle cose che si possono fare con la voce, si facciano; l'altre si facciano con il suono. Quanto agli spianatori, che è la seconda domanda vostra, io fare questo ufficio a' miei soldati proprii, sì perché così si faceva nella antica milizia, sì ancora, perché fusse nello esercito meno gente disarmata e meno impedimenti, e ne trarrei d'ogni battaglia quel numero bisognasse, e farei loro pigliare gli istrumenti atti a spianare, e l'armi lasciare a quelle file che fussero loro più presso; le quali le porterebbero loro, e, venendo il nimico, non arebbono a fare altro che ripigliarle e ritornare negli ordini loro.

    Zanobi: Gli istrumenti da spianare chi gli porterebbe?

    Fabrizio: I carri, a portare simili istrumenti, deputati.

    Zanobi: Io dubito che voi non condurresti mai questi vostri soldati a zappare.

    Fabrizio: Di tutto si ragionerà nel luogo suo. Per ora io voglio lasciare stare questa parte e ragionare del modo del vivere dello esercito; perché mi pare, avendolo tanto affaticato, che sia tempo da rinfrescarlo e ristorarlo con il cibo. Voi avete ad intendere che uno principe debbe ordinare l'esercito suo più espedito che sia possibile e torgli tutte quelle cose che gli aggiugnessero carico e gli facessero difficili le imprese. Tra quelle che arrecono più difficultà, sono avere a tenere provvisto l'esercito di vino e di pane cotto. Gli antichi al vino non pensavano, perché, mancandone, beevano acqua tinta con un poco d'aceto per darle sapore; donde che tra le munizioni de' viveri dello esercito era l'aceto e non il vino. Non cocevano il pane ne' forni, come si usa per le cittadi, ma provvedevano le farine; e di quelle ogni soldato a suo modo si sodisfaceva, avendo per condimento lardo e sugna; il che dava al pane che facevano, sapore e gli manteneva gagliardi. In modo che le provvisioni di vivere per l'esercito erano farine, aceto, lardo e sugna e, per i cavagli, orzo. Avevano, per l'ordinario, branchi di bestiame grosso e minuto che seguiva l'esercito; il quale, per non avere bisogno di essere portato, non dava molto impedimento. Da questo ordine nasceva che uno esercito antico camminava alcuna volta molti giorni per luoghi solitarii e difficili sanza patire disagi di vettovaglie, perché viveva di cose che facilmente se le poteva tirare dietro. Al contrario interviene ne' moderni eserciti; i quali, volendo non mancare del vino e mangiare pane cotto in quegli modi che quando sono a casa, di che non possono fare provvisione a lungo, rimangono spesso affamati, o, se pure ne sono provvisti, si fa con uno disagio e con una spesa grandissima. Pertanto io ritirerei l'esercito mio a questa forma del vivere, né vorrei mangiassono altro pane che quello che per loro medesimi si cocessero. Quanto al vino non proibirei il berne, né che nello esercito ne venisse, ma non userei ne industria né fatica alcuna per averne; e nell'altre provvisioni mi governerei al tutto come gli antichi. La quale cosa se considererete bene, vedrete quanta difficultà si lieva via, e di quanti affanni e disagi si priva uno esercito e uno capitano, e quanta commodità si darà a qualunque impresa si volesse fare.

    Zanobi: Noi abbiamo vinto il nimico alla campagna, camminato di poi sopra il paese suo; la ragione vuole che si sia fatto prede, taglieggiato terre, preso prigioni; però io vorrei sapere come gli antichi in queste cose si governavano.

    Fabrizio: Ecco che io vi sodisfarò. Io credo che voi abbiate considerato, perché altra volta con alcuni di voi ne ho ragionato, come le presenti guerre impoveriscono così quegli signori che vincono, come quegli che perdono; perché se l'uno perde lo stato, l'altro perde i danari e il mobile suo; il che anticamente non era, perché il vincitore delle guerre arricchiva. Questo nasce da non tenere conto in questi tempi delle prede, come anticamente si faceva, ma si lasciano tutte alla discrezione de' soldati. Questo modo fa due disordini grandissimi: l'uno, quello che io ho detto; l'altro, che il soldato diventa più cupido del predare e meno osservante degli ordini; e molte volte si è veduto come la cupidità della preda ha fatto perdere chi era vittorioso. I Romani pertanto che furno principi di questo esercizio provvidero all'uno e all'altro di questi inconvenienti, ordinando che tutta la preda appartenesse al publico, e che il publico poi la dispensasse come gli paresse. E però avevano negli eserciti i questori, che erano, come diremmo noi i camarlinghi; appresso a'quali tutte le taglie e le prede si collocavano, di che il consolo si serviva a dar la paga ordinaria a' soldati, a sovvenire i feriti e gl'infermi, e agli altri bisogni dello esercito. Poteva bene il consolo, e usavalo spesso, concedere una preda a' soldati; ma questa concessione non faceva disordine, perché, rotto lo esercito, tutta la preda si metteva in mezzo e distribuivasi per testa secondo le qualità di ciascuno. Il quale modo faceva che i soldati attendevano a vincere e non a rubare; e le legioni romane vincevano il nimico e non lo seguitavano, perché mai non si partivano degli ordini loro; solamente lo seguivano i cavagli con quegli armati leggermente e, se vi erano, altri soldati che legionari. Che se le prede fussero state di chi le guadagnava, non era possibile né ragionevole tenere le legioni ferme, e portavasi molti pericoli. Di qui nasceva pertanto che il publico arricchiva, e ogni consolo portava con gli suoi trionfi nello erario assai tesoro, il quale era tutto di taglie e di prede. Un'altra cosa facevano gli antichi bene considerata; che del soldo che davano a ciascuno soldato, la terza parte volevano che deponesse appresso quello che della sua battaglia portava la bandiera; il quale ma i non gliene riconsegnava se non fornita la guerra. Questo facevano mossi da due ragioni: la prima, perché il soldato facesse del suo soldo capitale; perché, essendo la maggior parte giovani e straccurati, quanto più hanno, tanto più sanza necessità spendono; l'altra, perché sappiendo che il mobile loro era appresso alla bandiera, fussero forzati averne più cura e con più ostinazione difenderla, e così questo modo gli faceva massai e gagliardi. Le quali cose tutte è necessario osservare, a volere ridurre la milizia ne' termini suoi.

    Zanobi: Io credo che non sia possibile che ad uno esercito, mentre che cammina da luogo a luogo, non scaggia accidenti pericolosi dove bisogni la industria del capitano e la virtù de' soldati, volendogli evitare; però io arei caro che voi, occorrendone alcuno, lo narrassi.

    Fabrizio: Io vi contenterò volentieri, essendo massimamente necessario, volendo dare di questo esercizio perfetta scienza. Deono i capitani, sopra ogni altra cosa, mentre che camminano con l'esercito, guardarsi dagli agguati; ne' quali si incorre in due modi: o camminando tu entri in quegli, o con arte del nimico vi se' tirato dentro, sanza che tu gli presenta. Al primo caso volendo obviare, è necessario mandare innanzi doppie guardie le quali scuoprano il paese; e tanto maggiore diligenza vi si debba usare, quanto più il paese fusse atto agli agguati, come sono i paesi selvosi e montuosi, perché sempre si mettono o in una selva o dietro a uno colle. E come lo agguato, non lo prevedendo ti rovina, così, prevedendolo, non ti offende. Hanno gli uccegli o la polvere molte volte scoperto il nimico, perché sempre che il nimico ti venga a trovare farà polverio grande che ti significherà la sua venuta. Così molte volte uno capitano veggendo, ne' luoghi donde egli debbe passare, levare colombi o altri di quegli uccelli che volono in schiera, e aggirarsi e non si porre, ha conosciuto essere quivi lo agguato de' nimici e mandato innanzi sue genti; e, conosciuto quello, ha salvato sé e offeso il nimico suo. Quanto al secondo caso di esservi tirato dentro, che questi nostri chiamono essere tirato alla tratta, dei stare accorto di non credere facilmente a quelle cose che sono poco ragionevoli ch'elle sieno, come sarebbe: se il nimico ti mettesse innanzi una preda, dei credere che in quella sia l'amo e che vi sia dentro nascoso lo inganno Se gli assai nimici sono cacciati da' tuoi pochi; se pochi nimici assaltono i tuoi assai; se i nimici fanno una subita fuga e non ragionevole; sempre dei in tali casi temere di inganno. E non hai a credere mai che il nimico non sappia fare i fatti suoi; anzi, a volerti ingannare meno e a volere portare meno pericolo, quanto è più debole, quanto è meno cauto il nimico, tanto più dei stimarlo. E hai in questo ad usare due termini diversi, perché tu hai a temerlo con il pensiero e con l'ordine; ma con le parole e con l'altre estrinseche dimostrazioni mostrare di spregiarlo, perché questo ultimo modo fa che i tuoi soldati sperano più di avere vittoria, quell'altro ti fa più cauto e meno atto ad essere ingannato. E hai ad intendere che, quando si cammina per il paese nimico, si porta più e maggiori pericoli che nel fare la giornata. E però il capitano, camminando, dee raddoppiare la diligenza; e la prima cosa che dee fare, è di avere descritto e dipinto tutto il paese per il quale egli cammina, in modo che sappia i luoghi, il numero, le distanze, le vie, i monti, i fiumi, i paludi e tutte le qualità loro; e, a fare di sapere questo, conviene abbia a sé, diversamente e in diversi modi, quegli che sanno i luoghi, e dimandargli con diligenza, e riscontrare il loro parlare e, secondo i riscontri, notare. Deve mandare innanzi cavagli e, con loro, capi prudenti, non tanto a scoprire il nimico, quanto a speculare il paese, per vedere se riscontra col disegno e con la notizia ch'egli ha avuta di quello. Deve ancora mandare guardate le guide con speranza di premio e timore di pena e, sopra tutto, deve fare che l'esercito non sappia a che fazione egli lo guida; perché non è cosa nella guerra più utile che tacere le cose che si hanno a fare. E perché uno subito assalto non turbi i tuoi soldati, li dei avvertire ch'egli stieno parati con l'armi; perché le cose previse offendono meno. Molti hanno, per fuggire le confusioni del cammino, messo sotto le bandiere i carriaggi e i disarmati, e comandato loro che seguino quelle, acciò che, avendosi, camminando, a fermare o a ritirare, lo possano fare più facilmente; la quale cosa, come utile, io appruovo assai. Debbesi avere ancora quella avvertenza, nel camminare, che l'una parte dell'esercito non si spicchi dall'altra, o che, per andare l'uno tosto e l'altro adagio, l'esercito non si assottigli; le quali cose sono cagione di disordine. Però bisogna collocare i capi in lato che mantengano il passo uniforme, ritenendo i troppo solleciti e sollecitando i tardi; il quale passo non si può meglio regolare che col suono. Debbonsi fare rallargare le vie, acciò che sempre una battaglia almeno possa ire in ordinanza. Debbesi considerare il costume e le qualità del nimico, e se ti suole assaltare o da mattino o da mezzo dì o da sera, e s'egli è più potente co' fanti o co' cavagli; e, secondo intendi, ordinarti e provvederti. Ma vegnamo a qualche particolare accidente. Egli occorre qualche volta che, levandoti dinanzi al nimico per giudicarti inferiore, e per questo, non volere fare gionata seco, e venendoti quello a spalle, arrivi alla ripa d'un fiume il quale ti toglie tempo nel passare, in modo che 'l nimico è per raggiungerti e per combatterti. Hanno alcuni, che si sono trovati in tale pericolo, cinto l'esercito loro dalla parte di dietro con una fossa, e quella ripiena di stipa e messovi fuoco; di poi passato con l'esercito sanza potere essere impediti dal nimico, essendo quello da quel fuoco che era di mezzo ritenuto.

    Zanobi: E' mi è duro a credere che cotesto fuoco li possa ritenere, massime perché mi ricorda avere udito come Annone cartaginese, essendo assediato da' nimici, si cinse, da quella parte che voleva fare eruzione, di legname e messevi fuoco- donde che, i nimici non essendo intenti da quella parte a guardarlo, fece sopra quelle fiamme passare il suo esercito, faccendo tenere a ciascuno gli scudi al viso per difendersi dal fuoco e dal fumo.

    Fabrizio: Voi dite bene, ma considerate come io ho detto e come fece Annone; perché io dissi che fecero una fossa e la riempierono di stipa, in modo che, chi voleva passare aveva a contendere con la fossa e coi fuoco. Annone fece il fuoco sanza la fossa, e perché lo voleva passare, non lo dovette fare gagliardo, perché, ancora sanza la fossa, l'arebbe impedito. Non sapete voi che Nabide spartano, sendo assediato in Sparta da' Romani, messe fuoco in parte della sua terra per impedire il passo a' Romani, i quali erano di già entrati dentro? E mediante quelle fiamme, non solamente impedì loro il passo, ma gli ributtò fuora. Ma torniamo alla materia nostra. Quinto Lutazio romano, avendo alle spalle i Cimbri e arrivato ad uno fiume, perché il nimico gli desse tempo a passare, mostrò di dare tempo a lui al combatterlo; e però finse di volere alloggiare quivi, e fece fare fosse e rizzare alcuno padiglione, e mandò alcuni cavagli per i campi a saccomanno, tanto che, credendo i Cimbri ch'egli alloggiasse, ancora essi alloggiarono e si divisero in più parti per provvedere a' viveri, di che essendosi Lutazio accorto passò il fiume sanza potere essere impedito da loro. Alcuni, per passare uno fiume non avendo ponte, lo hanno derivato e una parte tiratasi dietro alle spalle; e l'altra di poi, divenuta più bassa, con facilità passata. Quando i fiumi sono rapidi, a volere che le fanterie passino più sicuramente, si mettono i cavagli più possenti dalla parte di sopra, che sostengano l'acqua, e un'altra parte di sotto, che soccorra i fanti, se alcuno dal fiume nel passare ne fusse vinto. Passansi ancora i fiumi che non si guadano con ponti, con barche, con otri, e però è bene avere ne' suoi eserciti attitudine a potere fare tutte queste cose. Occorre alcuna volta che, nel passare uno fiume il nimico opposto dall'altra ripa t'impedisce. A volere vincere questa difficultà non ci conosco esemplo da imitare migliore che quello di Cesare; il quale, avendo lo esercito suo alla riva d'un fiume in Francia, ed essendogli impedito il passare da Vergingetorige franzese il quale dall'altra parte del fiume aveva le sue genti, camminò più giornate lungo il fiume, e il simile faceva il nimico. E avendo Cesare fatto uno alloggiamento in uno luogo selvoso e atto a nascondere gente, trasse da ogni legione tre coorti e fecele fermare in quello luogo, comandando loro che, subito che fusse partito, gittassero uno ponte e lo fortificassero; ed egli con l'altre sue genti seguitò il cammino. Donde che Vergingetorige vedendo il numero delle legioni, credendo che non ne fusse rimasa parte a dietro, seguì ancora egli il camminare; ma Cesare, quando credette che il ponte fusse fatto, se ne tornò indietro e, trovato ogni cosa ad ordine, passò il fiume sanza diffficultà.

    Zanobi: Avete voi regola alcuna a conoscere i guadi?

    Fabrizio: Sì, abbiamo. Sempre il fiume in quella parte la quale è tra l'acqua che stagna e la corrente, che fa a chi vi riguarda come una riga, ha meno fondo ed è luogo più atto a essere guadato che altrove; perché sempre in quello luogo il fiume ha posto più, e ha tenuto più in collo di quella materia che per il fondo trae seco. La quale cosa, perché è stata esperimentata assai volte, è verissima.

    Zanobi: Se egli avviene che il fiume abbia sfondato il guado, tale che i cavagli vi si affondino, che rimedio ne date ?

    Fabrizio: Fare graticci di legname e porgli nel fondo del fiume e, sopra quegli, passare. Ma seguitiamo il ragionamento nostro. S'egli accade che uno capitano si conduca col suo esercito tra due monti e che non abbia se non due vie a salvarsi, o quella davanti o quella di dietro, e quelle sieno da'nimici occupate, ha, per rimedio, di far quello che alcuno ha per l'addietro fatto, il che è: fare dalla parte di dietro una fossa grande e difficile a passare, e mostrare al nimico di volere con quella ritenerlo, per potere con tutte le forze sanza avere a temere di dietro, fare forza per quella via che davanti resta aperta. Il che credendo i nimici, si fecero forti di verso la parte aperta e abbandonarono la chiusa, e quello allora gittò uno ponte di legname a tale effetto ordinato sopra la fossa, e da quella parte sanza alcuno impedimento passò e liberossi dalle mani del nimico. Lucio Minuzio, consolo romano, era in Liguria con gli eserciti, ed era stato da' nimici rinchiuso tra certi monti donde non poteva uscire. Pertanto mandò quello alcuni soldati di Numidia a cavallo, ch'egli aveva nel suo esercito, i quali erano male armati e sopra cavagli piccoli e magri, verso i luoghi che erano guardati da' nimici, i quali, nel primo aspetto, fecero che i nimici si missero insieme a difendere il passo, ma, poi che viddero quelle genti male in ordine e, secondo loro, male a cavallo, stimandogli poco, allargarono gli ordini della guardia. Di che come i Numidi si avviddero, dato di sproni a' cavagli e fatto impeto sopra di loro, passarono sanza che quegli vi potessero fare alcuno rimedio; i quali passati, guastando e predando il paese, costrinsero i nimici a lasciare il passo libero allo esercito di Lucio. Alcuno capitano che si è trovato assaltato da gran moltitudine di nemici, si è ristretto insieme e dato al nimico facultà di circundarlo tutto, e di poi, da quella parte ch'egli l'ha conosciuto più debole, ha fatto forza e, per quella via, si ha fatto fare luogo, e salvatosi. Marco Antonio andando ritirandosi dinanzi all'esercito de' Parti, s'accorse come i nimici ogni giorno al fare del dì, quando si moveva, lo assaltavano e, per tutto il cammino, lo infestavano; di modo che prese per partito di non partire prima che a mezzogiorno. Tale che i Parti, credendo che per quel giorno egli non volesse disalloggiare, se ne tornarono alle loro stanze; e Marco Antonio potèo di poi tutto il rimanente dì camminare sanza alcuna molestia. Questo medesimo, per fuggire il saettume de' Parti, comandò alle sue genti che, quando i Parti venivano verso di loro, s'inginocchiassero, e la seconda fila delle battaglie ponesse gli scudi in capo alla prima, la terza alla seconda, la quarta alla terza, e così successive; tanto che tutto lo esercito veniva ad essere come sotto uno tetto e difeso dal saettume nimico. Questo è tanto quanto mi occorre dirvi che possa a uno esercito, camminando, intervenire; però quando a voi non occorra altro, io passerò ad un'altra parte.

 



Libro sesto


    Zanobi: Io credo che sia bene, poiché si debbe mutare ragionamento, che Batista pigli l'ufficio suo e io deponga il mio, e verreno in questo caso ad imitare i buoni capitani, secondo che io intesi già qui dal signore; i quali pongono i migliori soldati dinanzi e di dietro all'esercito, parendo loro necessario avere davanti chi gagliardamente appicchi la zuffa e chi, di dietro, gagliardamente la sostenga. Cosimo, pertanto, cominciò questo ragionamento prudentemente, e Batista prudentemente lo finirà. Luigi ed io l'abbiamo in questi mezzi intrattenuto. E come ciascuno di noi ha presa la parte sua volentieri, così non credo che Batista sia per ricusarla.

    Batista: Io mi sono lasciato governare infino a qui; così sono per lasciarmi per lo avvenire. Pertanto, signore, siate contento di seguitare i ragionamenti vostri e, se noi v'interrompiamo con queste pratiche, abbiateci per escusati.

    Fabrizio: Voi mi fate, come già vi dissi, cosa gratissima; perché questo vostro interrompermi non mi toglie fantasia anzi me la rinfresca. Ma, volendo seguitare la materia nostra, dico come ormai è tempo che noi alloggiamo questo nostro esercito, perché voi sapete che ogni cosa disidera il riposo, e sicuto, perché riposarsi, e non si riposare sicuramente, non è riposo perfetto. Dubito bene che da voi non si fusse disiderato che io l'avessi prima alloggiato, di poi fatto camminare e, in ultímo, combattere; e noi abbiamo fatto al contrario. A che ci ha indotto la necessità, perché, volendo mostrare, camminando, come uno esercito si riduceva dalla forma del camminare a quella dell'azzuffarsi, era necessario avere prima mostro come si ordinava alla zuffa. Ma, tornando alla materia nostra, dico che, a volere che lo alloggiamento sia sicuro, conviene che sia forte e ordinato. Ordinato lo fa la industria del capitano; forte lo fa o il sito o l'arte. I Greci cercavano de' siti forti, e non si sarebbero mai posti dove non fusse stata o grotta o ripa di fiume o moltitudine di arbori, o altro naturale riparo che gli difendesse. Ma i Romani non tanto alloggiavano sicuri dal sito quanto dall'arte, né mai sarebbero alloggiati ne' luoghi dove eglino non avessero potuto, secondo la disciplina loro, distendere tutte le loro genti. Di qui nasceva che i Romani potevano tenere una forma d'alloggiamento, perché volevano che il sito ubbidisse a loro, non loro al sito. Il che non potevano osservare i Greci, perché, ubbidendo al sito e variando i siti di forma, conveniva che ancora eglino variassero il modo dello alloggiare e la forma degli loro alloggiamenti. I Romani adunque, dove il sito mancava di fortezza, supplivano con l'arte e con la industria. E perché io, in questa mia narrazione, ho voluto che si imitino i Romani, non mi partirò nel modo dello alloggiare da quegli, non osservando però al tutto gli ordini loro, ma prendendone quella parte quale mi pare che a' presenti tempi si confaccia. Io vi ho detto più volte come i Romani avevano, negli loro eserciti consolari, due legioni d'uomini romani, i quali erano circa undicimila fanti e seicento cavagli; e di più avevano altri undicimila fanti di gente mandata dagli amici in loro aiuto; né mai negli loro eserciti avevano più soldati forestieri che romani, eccetto che di cavagli, i quali non si curavano passassero il numero delle legioni loro; e, corne in tutte l'azioni loro, mettevano le legioni in mezzo e gli ausiliari da lato. Il quale modo osservavano ancora nello alloggiarsi, come per voi medesimi avete potuto leggere in quegli che scrivono le cose loro; e però io non sono per narrarvi appunto come quegli alloggiassero, ma per dirvi solo con quale ordine io al presente alloggerei il mio esercito; e voi allora conoscerete quale parte io abbia tratta da' modi romani. Voi sapete che, all'incontro di due legioni romane, io ho preso due battaglioni di fanti, di semila fanti e trecento cavagli utili per battaglione, e in che battaglie, in che arme, in che nomi io li ho divisi. Sapete come nell'ordinare l'esercito a camminare e a combattere, io non ho fatto menzione d'altre genti, ma solo ho mostro come, raddoppiando le genti, non si aveva se non a raddoppiare gli ordini. Ma volendo, al presente, mostrarvi il modo dello alloggiare, mi pare da non stare solamente con due battaglioni, ma da ridurre insieme uno esercito giusto composto, a similitudine del romano, di due battaglioni e di altrettante genti ausiliarie. Il che fo, perché la forma dello alloggiamento sia più perfetta, alloggiando uno esercito perfetto, la quale cosa nelle altre dimostrazioni non mi è paruta necessaria. Volendo adunque alloggiare uno esercito giusto di ventiquattro mila fanti e di dumila cavagli utili, essendo diviso in quattro battaglioni, due di gente propria e due di forestieri, terrei questo modo. Trovato il sito dove io volessi alloggiare, rizzerei la bandiera capitana e, intorno, le disegnerei uno quadro che avesse ogni faccia discosto da lei cinquanta braccia; delle quali qualunque, l'una guardasse l'una delle quattro regioni del cielo, come è levante, ponente, mezzodì e tramontana; tra 'l quale spazio vorrei che fusse lo alloggiamento del capitano. E perché io credo che sia prudenza, e perché così in buona parte facevano i Romani, dividerei gli armati da'disarmati e separerei gli uomini impediti dagli espediti. Io alloggerei tutti, o la maggior parte degli armati, dalla parte di levante, e i disarmati e gli impediti dalla parte di ponente, faccendo levante la testa e ponente le spalle dello alloggiamento e mezzodì e tramontana fussero i fianchi. E per distinguere gli alloggiamenti degli armati, terrei questo modo: io moverei una linea dalla bandiera capitana e la guiderei verso levante per uno spazio di secentottanta braccia. Farei di poi due altre linee che mettessero in mezzo quella e fussero di lunghezza quanto quella, ma distante ciascuna da lei quindici braccia; nella estremità delle quali vorrei fusse la porta di levante, e lo spazio, che è tra le due estreme linee, facesse una via che andasse dalla porta allo alloggiamento del capitano; la quale verrebbe ad essere larga trenta braccia e lunga secentotrenta (perché cinquanta braccia ne occuperebbe lo alloggiamento del capitano) e chiamassesi questa la via capitana, movessesi di poi un'altra via dalla porta di mezzodi infino alla porta di tramontana, e passasse per la testa della via capitana e rasente lo alloggiamento del capitano di verso levante, la quale fusse lunga mille dugento cinquanta braccia (perché occuperebbe tutta la larghezza dello alloggiamento) e fusse larga pure trenta braccia e si chiamasse la via di croce. Disegnato adunque che fusse lo alloggiamento del capitano e queste due vie, si cominciassero a disegnare gli alloggiamenti de' due battaglioni proprii; e uno ne alloggerei da mano destra della via capitana, e uno da sinistra. E però, passato lo spazio che tiene la larghezza della via di croce, porrei trentadue alloggiamenti dalla parte sinistra della via capitana, e trentadue dalla parte destra, lasciando, tra il sedicesimo e diciassettesimo alloggiamento, uno spazio di trenta braccia; il che servisse a una via traversa che attraversasse per tutti gli alloggiamenti de' battaglioni, come nella distribuzione d'essi si vedrà. Di questi due ordini di alloggiamenti, ne' primi delle teste, che verrebbero ad essere appiccati alla via di croce, alloggerei i capi degli uomini d'arme; ne' quindici alloggiamenti che da ogni banda seguissono appresso, le loro genti d'arme che, avendo ciascuno battaglione centocinquanta uomini d'arme, toccherebbe dieci uomini d'arme per alloggiamenti. Gli spazi degli alloggiamenti de' capi fussero, per larghezza, quaranta e, per lunghezza, dieci braccia. E notisi che, qualunque volta io dico larghezza, significo lo spazio da mezzodì a tramontana, e, dicendo lunghezza, quello da ponente a levante. Quegli degli uomini d'arme fussero quindici braccia per lunghezza e trenta per larghezza. Negli altri quindici alloggiamenti che da ogni parte seguissono (i quali arebbero il principio loro passata la via traversa e che arebbero il medesimo spazio che quegli degli uomini d'arme) alloggerei i cavagli leggieri; de' quali, per essere centocinquanta, ne toccherebbe dieci cavagli per alloggiamento; e nel sedecimo che ne restasse, alloggereí il capo loro, dandogli quel medesimo spazio che si dà al capo degli uomini d'arme. E così gli alloggiamenti de' cavagli de' due battaglioni verrebbero a mettere in mezzo la via capitana e dare regola agli alloggiamenti delle fanterie, come io narrerò. Voi avete notato come io ho alloggiato i trecento cavagli d'ogni battaglione, con gli loro capi, in trentadue alloggiamenti posti in su la via capitana e cominciati dalla via di croce; come dal sestodecimo al diciassettesimo resta uno spazio di trenta braccia per fare una via traversa. Volendo pertanto alloggiare le venti battaglie che hanno i due battaglioni ordinarii, porrei gli alloggiamenti d'ogni due battaglie dietro gli alloggiamenti de' cavagli, che avessero ciascuno, di lunghezza, quindici braccia e, di larghezza, trenta come quegli de' cavagli, e fussero congiunti dalla parte di dietro, che toccassero l'uno l'altro. E in ogni primo alloggiamento, da ogni banda, che viene appiccato con la via di croce, alloggerei il connestabole d'una battaglia, che verrebbe a rispondere allo alloggiamento del capo degli uomini d'arme; ed arebbe questo alloggiamento solo di spazio, per lunghezza, venti braccia e, per lunghezza, dieci. Negli altri quindici alloggiamenti, che da ogni banda seguissono dopo questo infino alla via traversa, alloggerei da ogni parte una battaglia di fanti, che, essendo quattrocentocinquanta, ne toccherebbe per alloggiamento trenta. Gli altri quindici alloggiamenti porrei continui, da ogni banda, a quegli de' cavagli leggieri, con gli medesimi spazi, dove alloggerei da ogni parte un'altra battaglia di fanti. E nell'ultimo alloggiamento porrei da ogni parte il connestabole della battaglia, che verrebbe ad essere appiccato con quello del capo de' cavagli leggieri, con lo spazio di dieci braccia per lunghezza e di venti per larghezza. E così questi due primi ordini di alloggiamenti sarebbero mezzi di cavagli e mezzi di fanti. E perché io voglio, come nel suo luogo vi dissi, che questi cavagli sieno tutti utilí, e per questo non avendo famigli che, nel governare i cavagli o nell'altre cose necessarie, gli sovvenissono, vorrei che questi fanti che alloggiassero dietro a' cavagli, fussero obligati ad aiutargli provvedere e governare a' padroni, e per questo fussero esenti dall'altre fazioni del campo; il quale modo era osservato da' Romani. Lasciato di poi, dopo questi alloggiamenti, da ogni parte, uno spazio di trenta braccia che facesse via e chiamassesi l'una, prima via a mano destra, e l'altra, prima via a sinistra, porrei da ogni banda un altro ordine di trentadue alloggiamenti doppi che voltassero la parte di dietro l'uno all'altro, con gli medesimi spazi che quegli ho detti, e divisi dopo i sedecimi nel medesimo modo, per fare la via traversa dove alloggerei da ogni lato quattro battaglie di fanti con i connestaboli nelle teste da piè e da capo. Lasciato di poi, da ogni lato, un altro spazio di trenta braccia che facesse via, che si chiamasse da una parte, la seconda via a man destra, e dall'altra parte, la seconda via a sinistra, metterei un altro ordine da ogni banda di trentadue alloggiamenti doppi con le medesime distanze e divisioni dove alloggerei da ogni lato altre quattro battaglie con gli loro connestaboli. E così verrebbero ad essere alloggiati in tre ordini d'alloggiamenti per banda i cavagli e le battaglie degli due battaglioni ordinarii, e metterebbero in mezzo la via capitana. I due battaglioni ausiliarii, perché io gli fo composti de' medesimi uomini, alloggerei da ogni parte di questi due battaglioni ordinarii con gli medesimi ordini di alloggiamenti, ponendo prima uno ordine di alloggiamenti doppi dove alloggiassono mezz'i cavagli e mezz'i fanti, discosto trenta braccia dagli altri, per fare una via che si chiamasse, l'una, terza via a man destra, e l'altra, terza via a sinistra. E di poi farei da ogni lato due altri ordini di alloggiamenti, nel medesimo modo distinti e ordinati che sono quegli de' battaglioni ordinarii, che farebbero due altre vie; e tutte quante si chiamassono dal numero e dalla mano dov'elle fussero collocate. In modo che tutta quanta questa banda di esercito verrebbe ad essere alloggiata in dodici ordini d'alloggiamenti doppi, e in tredici vie, computando la via capitana e quella di croce. Vorrei restasse uno spazio, dagli alloggiamenti al fosso, di cento braccia intorno intorno. E se voi computerete tutti questi spazi, vedrete che dal mezzo dello alloggiamento del capitano alla porta di levante sono secentottanta braccia. Restaci ora due spazi, de' quali, uno è dallo alloggiamento del capitano alla porta di mezzodì, l'altro è da quello alla porta di tramontana; che viene ad essere ciascuno, misurandolo dal punto del mezzo, secentoventicinque braccia. Tratto di poi da ciascuno di questi spazi cinquanta braccia, che occupa l'alloggiamento del capitano, e quarantacinque braccia di piazza, che io gli voglio dare da ogni lato, e trenta braccia di via, che divida ciascuno di detti spazi nel mezzo e cento braccia che si lasciano da ogni parte tra gli alloggiamenti e il fosso, resta da ogni banda uno spazio per alloggiamenti largo quattrocento braccia e lungo cento, misurando la lunghezza con lo spazio che tiene l'alloggiamento del capitano. Dividendo adunque per il mezzo dette lunghezze, si farebbe da ciascuna mano del capitano quaranta alloggiamenti lunghi cinquanta braccia e larghi venti, che verrebbero ad essere in tutto ottanta alloggiamenti; ne' quali si alloggerebbe i capi generali de' battaglioni, i camarlinghi, i maestri di campi e tutti quegli che avessono ufficio nello esercito, lasciandone alcuno vòto per gli forestieri che venissono e per quegli che militassero per grazia del capitano. Dalla parte di dietro dello alloggiamento del capitano moverei una via da mezzodì a tramontana, larga trenta braccia, e chiamassesi la via di testa, la quale verrebbe ad essere posta lungo gli ottanta alloggiamenti detti, perché questa via e la via di croce metterebbero in mezzo l'alloggiamento del capitano e gli ottanta alloggiamenti che gli fussero da' fianchi. Da questa via di testa, e di rincontro allo alloggiamento del capitano, moverei un'altra via che andasse da quella alla porta di ponente, larga pure trenta braccia, e rispondesse per sito e per lunghezza alla via capitana e si chiamasse la via di piazza. Poste queste due vie, ordinerei la piazza dove si facesse il mercato, la quale porrei nella testa della via di piazza, all'incontro allo alloggiamento del capitano, ed appiccata con la via di testa; e vorrei ch'ella fusse quadra, e le consegnerei novantasei braccia per quadro. E da man destra e man sinistra di detta piazza farei due ordini d'alloggiamenti, che ogni ordine avesse otto alloggiamenti doppi, i quali occupassero per lunghezza dodici braccia e per larghezza trenta; sì che verrebbero ad essere da ogni mano della piazza che la mettessono in mezzo, sedici alloggiamenti che sarebbero in tutto trentadue; ne' quali alloggerei quegli cavagli che avanzassero a' battaglioni ausiliarii; e quando questi non bastassero, consegnerei loro alcuni di quegli alloggiamenti che mettono in mezzo il capitano, e massime di quegli che guardano verso i fossi. Restanci ora ad alloggiare le picche e i veliti estraordinarii che ha ogni battaglione; che sapete secondo l'ordine nostro, come ciascuno ha, oltre alle dieci battaglie, mille picche estraordinarie e cinquecento veliti; talmente che i due battaglioni proprii hanno dumila picche estraordinarie e mille veliti estraordinarii, e gli ausiliarii quanto quegli; di modo che si viene ancora avere ad alloggiare semila fanti, i quali tutti alloggerei nella parte di verso ponente e lungo i fossi. Dalla punta adunque della via di testa e di verso tramontana, lasciando lo spazio delle cento braccia da quegli al fosso, porrei uno ordine di cinque alloggiamenti doppi, che tenessero tutti settantacinque braccia per lunghezza e sessanta per larghezza; tale che, divisa la larghezza, toccherebbe a ciascuno alloggiamento quindici braccia per lunghezza e trenta per larghezza. E perché sarebbero dieci alloggiamenti, alloggerebbero trecento fanti, toccando ad ogni alloggiamento trenta fanti. Lasciando di poi uno spazio di trentun braccio, porrei in simile modo e con simili spazi un altro ordine di cinque alloggiamenti doppi, e di poi un altro, tanto che fossero cinque ordini di cinque alloggiamenti doppi, che verrebbero ad essere cinquanta alloggiamenti posti per linea retta dalla parte di tramontana, distanti tutti da' fossi cento braccia, che alloggerebbero mille cinquecento fanti. Voltando di poi in su la mano sinistra verso la porta di ponente, porrei in tutto quel tratto che fusse da loro a detta porta, cinque altri ordini d'alloggiamenti doppi, co' medesimi spazi e co' medesimi modi; vero è che dall'uno ordine all'altro non sarebbe più che quindici braccia di spazio, ne' quali si alloggerebbero ancora mille cinquecento fanti; e così dalla porta di tramontana a quella di ponente, come girano i fossi in cento alloggiamenti, compartiti in dieci ordini di cinque alloggiamenti doppi per ordine, si alloggerebbero tutte le picche e i veliti estraordinarii de' battaglioni proprii. E così dalla porta di ponente a quella di mezzodì, come girano i fossi nel medesimo modo appunto in altri dieci ordini di dieci alloggiamenti per ordine, si alloggerebbero le picche e i veliti estraordinarii de' battaglioni ausiliarii. I capi, ovvero i connestaboli loro, potrebbero pigliarsi quegli alloggiamenti parèssono loro più commodi dalla parte di verso i fossi. L'artiglierie disporrei per tutto lungo gli argini de fossi; ed in tutto l'altro spazio che restasse di verso ponente, alloggerei tutti i disarmati e tutti gli impedimenti del campo. E hassi ad intendere che, sotto questo nome di impedimenti, come voi sapete, gli antichi intendevano tutto quel traino e tutte quelle cose che sono necessarie a uno esercito, fuora de' soldati, come sono: legnaiuoli, fabbri, maniscalchi, scarpellini, ingegneri, bombardieri, ancora che quegli si potessero mettere nel numero degli armati, mandriani con le loro mandrie di castroni e buoi che per vivere dello esercito bisognano e, di più, maestri d'ogni arte, insieme co' carriaggi publici delle munizioni publiche, pertinenti al vivere e allo armare. Né distinguerei particolarmente questi alloggiamenti; solo disegnerei le vie che non avessero ad essere occupate da loro; di Poi gli altri spazi che tra le vie restassero, che sarebbero quattro, consegnerei In genere a tutti i detti impedimenti, cioè l'uno a' mandriani, l'altro agli artefici e maestranze l'altro a carriaggi publici de'viveri, il quarto a quegli dell'armare Le vie, le quali io vorrei si lasciassero sanza occuparle, sarebbero la via di piazza, la via di testa e, di più, una via che si chiamasse la via di mezzo; la quale si partisse da tramontana e andasse verso mezzodì e passasse per il mezzo della via di piazza, la quale dalla parte di ponente facesse quello effetto che fa la via traversa dalla parte di levante. E, oltre a questo, una via che girasse dalla parte di dentro, lungo gli alloggiamenti delle picche e de'veliti estraordinarii E tutte queste vie fussero larghe trenta braccia. E l'artigliere disporrei lungo i fossi del campo dalla parte di drento.

    Batista: Io confesso non me ne intendere; né credo anche che a dire così mi sia vergogna, non sendo questo mio esercizio. Nondimanco, questo ordine mi piace assai; solo vorrei che voi mi solvessi questi dubbi: l'uno, perché voi fate le vie e gli spazi d'intorno sì larghi; l'altro, che mi dà più noia è, questi spazi che voi disegnate per gli alloggiamenti, come eglino hanno a essere usati.

    Fabrizio: Sappiate che io fo le vie tutte larghe trenta braccia, acciò che per quelle possa andare una battaglia di fanti in ordinanza; ché, se bene vi ricorda, vi dissi come per larghezza tiene ciascuna dalle venticinque alle trenta braccia. Che lo spazio il quale è tra il fosso e gli alloggiamenti sia cento braccia, e necessario, perché vi si possano maneggiare le battaglie e l'artiglierie, condurre per quello le prede e, bisognando, avere spazio da ritirarsi con nuovi fossi e nuovi argini. Stanno meglio ancora gli alloggiamenti discosto assai da' fossi, per essere più discosto a' fuochi e alle altre cose che potesse trarre il nimico per offesa di quegli. Quanto alla seconda domanda, la intenzione mia non è che ogni spazio da me disegnato sia coperto da uno padiglione solo, ma sia usato come torna commodità a quegli che vi alloggiano, o con più o con manco tende, pure che non si esca de' termini di quello. E a disegnare questi alloggiamenti, conviene sieno uomini pratichissimi e architettori eccellenti; i quali, subito che 'l capitano ha eletto il luogo, gli sappiano dare la forma e distribuirlo, distinguendo le vie, dividendo gli alloggiamenti con corde e con aste in modo, praticamente, che subito sieno ordinati e divisi. E a volere che non nasca confusione conviene voltare sempre il campo in uno medesimo modo, acciò che ciascuno sappia in quale via, in quale spazio egli ha a trovare il suo alloggiamento. E questo si dee osservare in ogni tempo, in ogni luogo, e in maniera che paia una città mobile, la quale, dovunque va, porti seco le medesime vie, le medesime case e il medesimo aspetto, la quale cosa non possono osservare coloro i quali, cercando di siti forti, hanno a mutare forma secondo la variazione del sito. Ma i Romani facevano forte il luogo co' fossi, col vallo e con gli argini, perché facevano uno steccato intorno al campo e, innanzi a quello, la fossa, per l'ordinario larga sei braccia e fonda tre; i quali spazi accrescevano, secondo che volevano dimorare in uno luogo e secondo che temevano il nimico. Io per me al presente non farei lo steccato, se già io non volessi vernare in uno luogo. Farei bene la fossa e l'argine non minore che la detta, ma maggiore secondo la necessità; farei ancora, rispetto all'artiglierie, sopra ogni canto dello alloggiamento un mezzo circulo di fosso, dal quale le artiglierie potessero battere per fianco chi venisse a combattere i fossi. In questo esercizio di sapere ordinare uno alloggiamento si deono ancora esercitare i soldati e fare, con quello, i ministri pronti a disegnarlo e i soldati presti a cognoscere i luoghi loro. Né cosa alcuna è difficile, come nel luogo suo più largamente si dirà. Perché io voglio passare per ora alle guardie del campo, perché, sanza la distribuzione delle guardie, tutte l'altre fatiche sarebbero vane.

    Batista: Avanti che voi passiate alle guardie, vorrei mi dicessi: quando altri vuole porre gli alloggiamenti propinqui al nimico, che modi si tengono? Perché io non so come vi sia tempo a potergli ordinare sanza pericolo.

    Fabrizio: Voi avete a sapere questo: che niuno capitano alloggia propinquo al nimico, se non quello che è disposto fare la giornata qualunque volta il nimico voglia; e quando altri è così disposto, non ci è pericolo se non ordinario, perché si ordinano le due parti dello esercito a fare la giornata, e l'altra parte fa gli alloggiamenti. I Romani in questo caso davano questa via di fortificare gli alloggiamenti a' triari, ed i principi e gli astati stavano in arme. Questo facevano perché, essendo i triari gli ultimi a combattere, erano a tempo, se il nimico veniva, a lasciare l'opera e pigliare l'armi e entrare ne' luoghi loro. Voi, a imitazione de' Romani, aresti a far fare gli alloggiamenti a quelle battaglie che voi volessi mettere nella ultima parte dello esercito in luogo de' triarii. Ma torniamo a ragionare delle guardie. E' non mi pare avere trovato, appresso agli antichi, che per guardare il campo la notte tenessero guardie fuora de' fossi discosto, come si usa oggi, le quali chiamano ascolte. Il che credo facessero, pensando che facilmente lo esercito ne potesse restare ingannato per la difficultà che è nel rivederle, e per potere essere quelle o corrotte o oppresse dal nimico; in modo che fidarsi o in parte o in tutto di loro giudicavano pericoloso. E però tutta la forza della guardia era dentro a' fossi; la quale facevano con una diligenza e con uno ordine grandissimo, punendo capitalmente qualunque da tale ordine deviava. Il quale, come era da loro ordinato non vi dirò altrimenti, per non vi tediare, potendo per voi medesimi vederlo quando, infino a ora, non l'avessi veduto. Dirò solo brevemente quello che per me si farebbe. Io farei stare per l'ordinario ogni notte il terzo dell'esercito armato e, di quello, la quarta parte sempre in piè; la quale sarebbe distribuita per tutti gli argini e per tutti i luoghi dello esercito con guardie doppie poste da ogni quadro di quello; delle quali, parte stessono saldi, parte continuamente andassero dall'uno canto dell'alloggiamento all'altro. E questo ordine che io dico, osserverei ancora di giorno quando io avessi il nimico propinquo. Quanto a dare il nome, e quello rinnovare ogni sera e fare l'altre cose che in simili guardie si usano, per essere cose note, non ne parlerò altrimenti. Solo ricorderò una cosa, per essere importantissima e che genera molto bene osservandola, e, non la osservando, molto male; la quale è, che si usi gran diligenza di chi la sera non alloggia dentro al campo e di chi vi viene di nuovo. E questo è facile cosa rivedere a chi alloggia con quello ordine che noi abbiamo disegnato; perché, avendo ogni alloggiamento il numero degli uomini determinato, è facile cosa vedere se vi manca o se vi avanza uomini, e, quando ve ne manca sanza licenza, punirgli come fuggitivi, e, se ve ne avanza, intendere chi sono, quello che fanno e dell'altre condizioni loro. Questa diligenza fa che il nimico non può, se non con difficultà, tenere pratica co' tuoi capi ed essere consapevole de' tuoi consigli. La quale cosa se da' Romani non fusse stata osservata con diligenza, non poteva Claudio Nerone, avendo Annibale appresso, partirsi da' suoi alloggiamenti ch'egli aveva in Lucania, e andare e tornare dalla Marca, sanza che Annibale ne avesse presentito alcuna cosa. Ma egli non basta fare questi ordini buoni, se non si fanno con una gran severità osservare; perché non è cosa che voglia tanta osservanza, quanta si ricerca in uno esercito. Però le leggi a fortificazione di quello deono essere aspre e dure, e lo esecutore durissimo. I Romani punivano di pena capitale chi mancava nelle guardie, chi abbandonava il luogo che gli era dato a combattere, chi portava cosa alcuna di nascosto fuora degli alloggiamenti, se alcuno dicesse avere fatta qualche cosa egregia nella zuffa e non l'avesse fatta, se alcuno avesse combattuto fuora del comandamento del capitano, se alcuno avesse per timore gittato via l'armi. E quando egli occorreva che una coorte o una legione intera avesse fatto simile errore, per non gli fare morire tutti, gl'imborsavano tutti e ne traevano la decima parte, e quegli morivano. La quale pena era in modo fatta che, se ciascuno non la sentiva, ciascuno nondimeno la temeva. E perché dove sono le punizioni grandi, vi deono essere ancora i premi, a volere che gli uomini ad un tratto temano o sperino, egli avevano proposti premi a ogni egregio fatto: come a colui che, combattendo, salvava la vita ad uno suo cittadino, a chi prima saliva sopra il muro delle terre nimiche, a chi prima entrava negli alloggiamenti de' nimici, a chi avesse, combattendo, ferito o morto il nimico, a chi lo avesse gittato da cavallo. E così qualunque atto virtuoso era da' consoli riconosciuto e premiato e, publicamente, da ciascuno lodato; e quegli che conseguitavano doni per alcuna di queste cose, oltre alla gloria e alla fama che ne acquistavano tra' soldati, poi ch'egli erano tornati nella patria, con solenni pompe e con gran dimostrazioni tra gli amici e parenti le dimostravano. Non è adunque maraviglia se quel popolo acquistò tanto imperio, avendo tanta osservanza di pena e di merito verso di quegli che, o per loro bene o per loro male operare, meritassono o lode o biasimo; delle quali cose converrebbe osservare la maggior parte. Né mi pare da tacere un modo di pena da loro osservato, il quale era che come il reo era, innanzi al tribuno o ii consolo, convinto, era da quello leggermente con una verga percosso; dopo la quale percossa, al reo era lecito fuggire e a tutti i soldati ammazzarlo in modo che subito ciascuno gli traeva o sassi o dardi, o con altre armi lo percoteva; di qualità ch'egli andava poco vivo e radissimi ne campavano; e a quegli tali campati non era lecito tornare a casa, se non con tanti incommodi e ignominie, ch'egli era molto meglio morire. Vedesi questo modo essere quasi osservato da' Svizzeri, i quali fanno i condannati ammazzare popularmente dagli altri soldati. Il che è bene considerato e ottimamente fatto; perché, a volere che uno non sia defensore d'uno reo, il maggiore rimedio che si truovi è farlo punitore di quello; perché con altro rispetto lo favorisce e con altro disiderio brama la punizione sua, quando egli proprio ne è esecutore, che quando la esecuzione perviene ad uno altro. Volendo adunque che uno non sia negli errori sua favorito da uno popolo, gran rimedio è fare che il popolo l'abbia egli a giudicare. A fortificazione di questo si può addurre lo esemplo di Manlio Capitolino, il quale, essendo accusato dal senato, fu difeso dal popolo infino a tanto che non ne diventò giudice- ma, diventato arbitro nella causa sua, lo condannò a morte. E' adunque un modo di punire questo da levare i tumulti e da fare osservare la giustizia. E perché a frenare gli uomini armati non bastono né il timore delle leggi, né quello degli uomini, vi aggiugnevano gli antichi l'autorità di Iddio; e però con cerimonie grandissime facevano a' loro soldati giurare l'osservanza della disciplina militare, acciò che contrafaccendo, non solamente avessero a temere le leggi e gli uomini, ma Iddio; e usavano ogni industria per empiergli di religione.





Libro VII


    Voi dovete sapere come le terre e le rocche possono essere forti o per natura o per industria. Per natura sono forti quelle che sono circundate da fiumi o da paludi, come è Mantova e Ferrara, o che sono poste sopra uno scoglio o sopra uno monte erto, come Monaco e Santo Leo; perché quelle poste sopra a' monti, che non sieno molto difficili a salirgli, sono oggi, rispetto alle artiglierie e le cave, debolissime. E però il più delle volte nello edificare si cerca oggi uno piano, per farlo forte con la industria. La prima industria è fare le mura ritorte e piene di volture e di ricetti; la quale cosa fa che 'l nimico non si può accostare a quelle, potendo facilmente essere ferito non solamente a fronte, ma per fianco. Se le mura si fanno alte, sono troppo esposte a' colpi dell'artiglieria s'elle si fanno basse, sono facili a scalare. Se tu fai i fossi innanzi a quelle per dare difficultà alle scale, se avviene che il nimico gli riempia ( il che può uno grosso esercito fare facilmente) resta il muro in preda del nimico. Pertanto io credo, salvo sempre migliore giudicio, che a volere provvedere all'uno e all'altro inconveniente, si debba fare il muro alto e con fossi di dentro e non di fuora. Questo è il più forte modo di edificare che si faccia, perché ti difende dall'artiglierie e dalle scale, e non dà facilità al nimico di riempiere il fosso. Debbe essere adunque il muro alto di quale altezza vi occorre maggiore, e grosso non meno di tre braccia, per rendere più difficile il farlo rovinare. Debbe avere poste le torri con gli intervalli di dugento braccia; debbe il fosso dentro essere largo almeno trenta braccia e fondo dodici; e tutta la terra che si cava per fare il fosso, sia gettata di verso la città, e sia sostenuta da uno muro che si parta dal fondo del fosso e vadia tanto alto sopra la terra che uno uomo si cuopra dietro a quello: la quale cosa farà la profondità del fosso maggiore. Nel fondo del fosso ogni dugento braccia vuole essere una casamatta che, con l'artiglierie, offenda qualunque scendesse in quello. L'artiglierie grosse che difendono la città, si pongano dietro al muro che chiude il fosso; perché, per difendere il muro davanti, sendo alto, non si possono adoperare commodamente altro che le minute o mezzane. Se il nimico ti viene a scalare, l'altezza del primo muro facilmente ti difende. Se viene con l'artiglierie, gli conviene prima battere il muro primo; ma battuto ch'egli è, perché la natura di tutte le batterie è fare cadere il muro di verso la parte battuta, viene la rovina del muro, non trovando fosso che la riceva e nasconda a raddoppiare la profondità del fosso, in modo che passare più innanzi non ti è possibile, per trovare una rovina che ti ritiene, uno fosso che ti impedisce e l'artiglierie nimiche che dal muro del fosso sicuramente ti ammazzano. Solo vi è questo rimedio: riempiere il fosso; il che è difficilissimo, sì perché la capacità sua è grande, sì per la difficultà che è nello accostarvisi, essendo le mura sinuose e concave, tra le quali, per le ragioni dette, con difficultà si può entrare, e di poi avendo a salire con la materia su per una rovina che ti dà difficultà grandissima, tanto che io fo una città così ordinata al tutto inespugnabile.

    Batista: Quando si facesse, oltre al fosso di dentro, ancora uno fosso di fuora, non sarebbe ella più forte?

    Fabrizio: Sarebbe sanza dubbio; ma il ragionamento mio è, volendo fare uno fosso solo, ch'egli sta meglio dentro che fuora.

    Batista: Vorresti voi che ne' fossi fusse acqua, o gli ameresti asciutti?

    Fabrizio: Le opinioni sono diverse perché i fossi pieni d'acqua ti guardano dalle cave sutterranee, i fossi sanza acqua ti fanno più difficile il riempierli. Ma io, considerato tutto, li farei sanza acqua perché sono più sicuri, e si è visto di verno ghiacciare i fossi e fare facile la espugnazione di una città come intervenne alla Mirandola, quando papa Iulio la campeggiava. E per guardarmi dalle cave, gli farei profondi tanto che chi volesse andare più sotto trovasse l'acqua. Le rocche ancora edificherei, quanto a' fossi e alle mura, in simile modo, acciò ch'elle avessero la simile diffficultà a espugnarle. Una cosa bene voglio ricordare a chi difende le città: e questo è che non facciano bastioni fuora e che sieno discosto dalle mura di quelle, ed un'altra a chi fabbrica le rocche: e questo è, che non faccia ridotto alcuno in quelle, nel quale chi vi è dentro, perduto il primo muro, si possa ritirare. Quello che mi fa dare il primo consiglio è che niuno debbe fare cosa mediante la quale, sanza rimedio, tu cominci a perdere la tua prima riputazione; la quale, perdendosi, fa stimare meno gli altri ordini tuoi e sbigottire coloro che hanno preso la tua difesa. E sempre t'interverrà questo che io dico, quando tu faccia bastioni fuora della terra che tu abbia a difendere; perché sempre gli perderai, non si potendo oggi le cose piccole difendere, quando elle sieno sottoposte al furore delle artiglierie; in modo che, perdendoli, fieno principio e cagione della tua rovina. Genova, quando si ribellò dal re Luigi di Francia, fece alcuni bastioni su per quegli colli che gli sono d'intorno; i quali, come furono perduti (che si perderono subito) fecero ancora perdere la città. Quanto al consiglio secondo, affermo niuna cosa essere ad una rocca più pericolosa, che essere in quella ridotti da potersi ritirare, perché la speranza che gli uomini hanno abbandonando uno luogo, fa che egli si perde, e quello perduto fa perdere poi tutta la rocca. Di esemplo ci è fresco la perdita della rocca di Furlì, quando la contessa Caterina la difendeva contra a Cesare Borgia, figliuolo di papa Alessandro VI, il quale vi aveva condotto l'esercito del re di Francia. Era tutta quella fortezza piena di luoghi da ritirarsi dall'uno nell'altro; perché vi era prima la cittadella da quella alla rocca era uno fosso, in modo che vi si passava per uno ponte levatoio; la rocca era partita in tre parti e ogni parte era divisa con fossi e con acque dall'altra, e con ponti da quello luogo a quell'altro si passava. Donde che il duca batté con l'artiglieria una di quelle parti della rocca e aperse parte del muro, donde messer Giovanni da Casale, che era preposto a quella guardia, non pensò di difendere quella apertura, ma l'abbandonò per ritirarsi negli altri luoghi; tal che, entrate le genti del duca sanza contrasto in quella parte, in uno subito la presero tutta, perché diventarono signori de' ponti che andavano dall'uno membro all'altro. Perdessi adunque questa rocca, ch'era tenuta inespugnabile, per due difetti: l'uno per avere tanti ridotti, l'altro per non essere ciascuno ridotto signore de' ponti suoi. Fece, dunque, la mala edificata fortezza e la poca prudenza di chi la difendeva vergogna alla magnanima impresa della contessa, la quale aveva avuto animo ad aspettare uno esercito, il quale né il re di Napoli né il duca di Milano aveva aspettato. E benché gli suoi sforzi non avessero buono fine, nondimeno ne riportò quello onore che aveva meritata la sua virtù. Il che fu testificato da molti epigrammi in quegli tempi in sua lode fatti. Se io avessi pertanto ad edificare rocche, io farei loro le mura gagliarde e i fossi nel modo abbiamo ragionato; né vi farei dentro altro che case per abitare, e quelle farei deboli e basse di modo ch'elle non impedissero, a chi stesse nel mezzo della piazza, la vista di tutte le mura, acciò che il capitano potesse vedere con l'occhio dove potesse soccorrere, e che ciascuno intendesse che, perdute le mura e il fosso, fusse perduta la rocca. E quando pure io vi facessi alcuno ridotto, farei i ponti divisi in tal modo che ciascuna parte fusse signore de' ponti dalla banda sua, ordinando che battessero in su' pilastri nel mezzo del fosso.

    Batista: Voi avete detto che le cose piccole oggi non si possono difendere; ed egli mi pareva avere inteso al contrario: che quanto minore era una cosa, meglio si difendeva.

    Fabrizio: Voi non avevi inteso bene perché egli non si può chiamare oggi forte quello luogo dove, chi lo difende, non abbia spazio da ritirarsi con nuovi fossi e con nuovi ripari; perché egli è tanto il furore delle artiglierie, che quello che si fonda in su la guardia d'uno muro e d'uno riparo solo, s'inganna; e perché i bastioni, volendo che non passino la misura ordinaria loro, perché poi sarebbono terre e castella, non si fanno in modo che altri si possa ritirare, si perdono subito. È adunque savio partito lasciare stare questi bastioni di fuora e fortificare l'entrate delle terre e coprire le porte di quelle con rivellini, in modo che non si entri o esca della porta per linea retta, e dal rivellino alla porta sia uno fosso con uno ponte. Affortificansi ancora le porte con le saracinesche, per potere mettere dentro i suoi uomini quando sono usciti fuora a combattere, e, occorrendo che i nimici gli caccino, ovviare che alla mescolata non entrino dentro con loro. E però sono trovate queste, le quali gli antichi chiamano cateratte, le quali, calandosi, escludono i nimici e salvono gli amici; perché in tale caso altri non si può valere né de' ponti né della porta, sendo l'uno e l'altra occupata dalla calca.

    Batista: Io ho vedute queste saracinesche che voi dite, fatte nella Magna di travette in forma d'una graticola di ferro, e queste nostre sono fatte di panconi tutte massicce. Disidererei intendere donde nasca questa differenza e quali sieno più gagliarde.

    Fabrizio: Io vi dico di nuovo che i modi e ordini della guerra in tutto il mondo rispetto a quegli degli antichi, sono spenti; ma in Italia sono al tutto perduti, e se ci è cosa un poco più gagliarda, nasce dallo esemplo degli oltramontani. Voi potete avere inteso, e quest'altri se ne possono ricordare, con quanta debolezza si edificava innanzi che il re Carlo di Francia nel mille quattrocento novantaquattro passasse in Italia. I merli si facevano sottili un mezzo braccio, le balestriere e le bombardiere si facevano con poca apertura di fuora e con assai dentro, e con molti altri difetti che, per non essere tedioso, lascerò; perché da' merli sottili facilmente si lievano le difese, e le bombardiere edificate in quel modo facilmente si aprono. Ora da' Franciosi si è imparato a fare il merlo largo e grosso, e che ancora le bombardiere sieno larghe dalla parte di dentro e ristringano infino alla metà del muro e poi di nuovo rallarghino infino alla corteccia di fuora, questo fa che l'artiglieria con fatica può levare le difese. Hanno pertanto i Franciosi, come questi, molti altri ordini i quali, per non essere stati veduti da' nostri, non sono stati considerati. Tra' quali è questo modo di saracinesche fatte ad uso di graticola, il quale è di gran lunga migliore modo che il vostro; perché, se voi avete per riparo d'una porta una saracinesca soda come la vostra, calandola, voi vi serrate dentro e non potete per quella offendere il nimico; talmente che quello con scure o con fuoco la può combattere sicuramente. Ma s'ella è fatta ad uso di graticola, potete, calata ch'ella è, per quelle maglie e per quegli intervalli difenderla con lance, con balestre e con ogni altra generazione d'armi.

    Batista: Io ho veduto in Italia un altra usanza oltramontana, e questo è fare i carri delle artiglierie co' razzi delle ruote torti verso i poli. Io vorrei sapere perché gli fanno così, parendomi che sieno più forti diritti, come quegli delle ruote nostre.

    Fabrizio: Non crediate mai che le cose che si partono da modi ordinarii sieno fatte: a caso; e se voi credessi che gli facessero così per essere più begli, voi erreresti, perché dove è necessaria la fortezza, non si fa conto della bellezza, ma tutto nasce perché sono assai più sicuri e più gagliardi che i vostri. La ragione è questa: il carro, quando egli è carico, o e' va pari, o e' pende sopra il destro o sopra il sinistro lato. Quando egli va pari, le ruote parimente sostengono il peso, il quale, sendo diviso ugualmente tra loro, non le aggrava molto; ma, pendendo, viene ad avere tutto il pondo del carro addosso a quella ruota, sopra la quale egli pende. Se i razzi di quella sono diritti, possono facilmente fiaccarsi, perché, pendendo la ruota, vengono i razzi a pendere ancora loro e a non sostenere il peso per il ritto. E così quando il carro va pari e quando eglino hanno meno peso, vengono ad essere più forti; quando il carro va torto e che vengono ad avere più peso, e' sono più deboli. Al contrario appunto interviene a' razzi torti de' carri franciosi; perché, quando il carro, pendendo-sopra una banda, ponta sopra di loro, per essere ordinariamente torti, vengono allora ad essere diritti e potere sostenere gagliardamente tutto il peso; che quando il carro va pari e che sono torti lo sostengono mezzo. Ma torniamo alle nostre città e rocche. Usano ancora i Franciosi per più sicurtà delle porte delle terre loro e per potere nelle ossidioni più facilmente mettere e trarre genti di quelle, oltre alle cose dette, un altro ordine del quale io non ne ho veduto ancora in Italia alcuno esemplo, e questo è che rizzano dalla punta di fuora del ponte levatoio due pilastri, e sopra ciascuno di quegli bilicono una trave, in modo che le metà di quelle vengano sopra il ponte l'altre metà di fuora. Di poi tutta quella parte che viene di fuora congiungono con travette, le quali tessono dall'una trave all'altra ad uso di graticola, e dalla parte di dentro appiccano alla punta di ciascuna trave una catena. Quando vogliono adunque chiudere il ponte dalla parte di fuora, eglino allentano le catene e lasciano calare tutta quella parte ingraticolata la quale, abbassandosi, chiude il ponte; e quando lo vogliono aprire, tirano le catene, e quella si viene ad alzare; e puossi alzare tanto che vi passi sotto uno uomo e non uno cavallo, e tanto che vi passi il cavallo e l'uomo, e chiuderla ancora affatto, perch'ella si abbassa ed alza come una ventiera di merlo. Questo ordine è più sicuro che la saracinesca, perché difficilmente può essere dal nimico impedito in modo che non cali, non calando per una linea retta come la saracinesca, che facilmente si può puntellare. Deono adunque coloro che vogliono fare una città, fare ordinare tutte le cose dette, e di più si vorrebbe, almeno uno miglio intorno alle mura, non vi lasciare né cultivare, né murare, ma fusse tutta campagna dove non fusse né macchia, né argine, né arbori, né casa che impedisse la vista e che facesse spalle al nimico che si accampa. E notate che una terra che abbia i fossi di fuora con gli argini più alti che il terreno, è debolissima; perché quegli fanno riparo al nimico che ti assalta e non gli impediscono l'offenderti, perché facilmente si possono aprire e dare luogo alle artiglierie di quello. Ma passiamo dentro nella terra. Io non voglio perdere molto tempo in mostrarvi come, oltre alle cose predette, conviene avere munizioni da vi vere e da combattere, perché sono cose che ciascuno se le intende e, sanza esse, ogni altro provvedimento è vano. E generalmente si dee fare due cose: provvedere sé e torre commodità al nimico di valersi delle cose del tuo paese. Però gli strami, il bestiame, il frumento che tu non puoi ricevere in casa, si dee corrompere. Debbe ancora, chi difende una terra, provvedere che tumultuariamente e disordinatamente non si faccia alcuna cosa, e tenere modi che in ogni accidente ciascuno sappia quello abbia a fare. Il modo è questo: che le donne, i vecchi, i fanciugli e i deboli si stieno in casa e lascino la terra libera a' giovani e gagliardi; i quali armati si distribuiscano alla difesa, stando parte di quegli alle mura, parte alle porti, parte ne' luoghi principali della città, per rimediare a quegli inconvenienti che potessero nascere dentro; un'altra parte non sia obligata ad alcuno luogo, ma sia apparecchiata a soccorrere a tutti, richiedendolo il bisogno. Ed essendo le cose ordinate così, possono con diffficultà nascere tumulti che ti disordinino. Ancora voglio che notiate questo nelle offese e difese delle città: che niuna cosa dà tanta speranza al nimico di potere occupare una terra, quanto il sapere che quella non è consueta a vedere il nimico; perché molte volte, per la paura solamente, sanza altra esperienza di forze, le città si perdono. Però debbe uno, quando egli assalta una città simile, fare tutte le sue ostentazioni terribili. Dall'altra parte chi è assaltato debba preporre, da quella parte che il nimico combatte, uomini forti e che non gli spaventi l'opinione ma l'arme; perché se la prima pruova torna vana, cresce animo agli assediati, e di poi il nimico è forzato a superare chi è dentro con la virtù e non con la reputazione. Gli instrumenti co' quali gli antichi difendevano le terre erano molti, come baliste, onagri, scorpioni, arcubaliste, fustibali, funde; ed ancora erano molti quegli co' quali le assaltavano, come arieti, torri, musculi, plutei, vinee, falci, testudini. In cambio delle quali cose sono oggi l'artiglierie, le quali servono a chi offende e a chi si difende; e però io non ne parlerò altrimenti. Ma torniamo al ragionamento nostro, e vegnamo alle offese particolari. Debbesi avere cura di non potere essere preso per fame e di non essere sforzato per assalti. Quanto alla fame, si è detto che bisogna, prima che la ossidione venga, essersi munito bene di viveri. Ma quando ne manca per la ossidione lunga, si è veduto usare qualche volta qualche modo estraordinario ad essere provvisto dagli amici che ti vorrebbero salvare,massime se per il mezzo della città assediata corre uno fiume; come ferno i Romani, essendo assediato Casalino loro castello da Annibale, che, non potendo per il fiume mandare loro altro, gittorno in quello gran quantità di noci, le quali, portate dal fiume sanza potere essere impedite, ciborno più tempo i Casalinesi. Alcuni assediati, per mostrare al nimico che gli avanza loro grano e per farlo disperare che non possa per fame assediargli, hanno o gittato pane fuora delle mura, o dato mangiare grano ad uno giovenco, e quello di poi lasciato pigliare, acciò che, morto e trovatolo pieno di grano, mostri quella abbondanza che non hanno. Dall'altra parte, i capitani eccellenti hanno usato vari termini per affamare il nimico. Fabio lasciò seminare a' Campani, acciò che mancassero di quel frumento che seminavano. Dionisio, essendo a campo a Reggio, finse di volere fare con loro accordo, e durante la pratica si faceva provvedere da vivere, e quando poi gli ebbe per questo modo voti di frumento, gli ristrinse ed affamogli. Alessandro Magno, volendo espugnare Leucadia, espugnò tutti i castegli allo intorno, e gli uomini di quegli lasciò rifuggire in quella; e così, sopravvenendo assai moltitudine, l'affamò. Quanto agli assalti, si è detto che altri si debbe guardare dal primo impeto; col quale i Romani occuparono molte volte di molte terre, assaltandole ad un tratto e da ogni parte, e chiamavanlo "Aggredi urbem corona", come fece Scipione, quando occupò Cartagine Nuova in Ispagna. Il quale impeto se si sostiene, con diffficultà sei poi superato. E se pure egli occorresse che il nimico fusse entrato dentro nella città per avere sforzate le mura, ancora i terrazzani vi hanno qualche rimedio, se non si abbandonano; perché molti eserciti sono, poi che sono entrati in una terra, stati o ributtati o morti. Il rimedio è che i terrazzani si mantengano ne' luoghi alti e dalle case e dalle torri gli combattano. La quale cosa coloro che sono entrati nelle città si sono ingegnati vincere in due modi: l'uno, con aprire le porte della città e fare la via a' terrazzani che securamente si possano fuggire; l'altro, col mandare fuora una voce che significhi che non si offenda se non gli armati, e a chi getta l'armi in terra si perdoni. La quale cosa ha renduta facile la vittoria di molte città. Sono facili, oltre a questo, le città ad espugnarle, se tu giugni loro addosso imprevisto; il che si fa, trovandosi con lo esercito discosto, in modo che non si creda o che tu le voglia assaltare, o che tu possa farlo sanza che si presenta per la distanza del luogo. Donde che se tu secretamente e sollecitamente le assalti, quasi sempre ti succederà di riportarne la vittoria. Io ragiono male volentieri delle cose successe de' nostri tempi, perché di me e de' miei mi sarebbe carico a ragionare; d'altri non saprei che mi dire. Nondimeno non posso a questo proposito non addurre lo esemplo di Cesare Borgia, chiamato duca Valentino; il quale, trovandosi a Nocera con le sue genti, sotto colore di andare a' danni di Camerino si volse verso lo stato d'Urbino, ed occupò uno stato in uno giorno e sanza alcuna fatica, il quale un altro con assai tempo e spesa non arebbe appena occupato. Conviene ancora, a quegli che sono assediati, guardarsi dagli inganni e dalle astuzie del nimico, e però non si deono fidare gli assediati d'alcuna cosa che veggano fare al nimico continuamente, ma credano sempre che vi sia sotto lo inganno e che possa a loro danno variare. Domizio Calvino, assediando una terra, prese per consuetudine di circuire ogni giorno, con buona parte delle sue genti, le mura di quella. Donde credendo i terrazzani lo facesse per esercizio, allentarono le guardie; di che accortosi Domizio, gli assaltò ed espugnogli. Alcuni capitani, avendo presentito che doveva venire aiuto agli assediati, hanno vestiti loro soldati sotto le insegne di quegli che dovevano venire, ed essendo stati intromessi hanno occupato la terra. Cimone ateniese messe fuoco una notte in uno tempio che era fuora della terra, onde i terrazzani, andando a soccorrerlo, lasciarono in preda la terra al nimico. Alcuni hanno morti quegli che del castello assediato vanno a saccomanno e rivestiti i suoi soldati con la veste de' saccomanni; i quali di poi gli hanno dato la terra. Hanno ancora usato gli antichi capitani vari termini da spogliare di guardie le terre che vogliono pigliare. Scipione, sendo in Affrica e desiderando occupare alcuni castegli ne' quali erano messe guardie da' Cartaginesi, finse più volte di volergli assaltare, ma poi per paura non solamente astenersi, ma discostarsi da quegli. Il che credendo Annibale essere vero, per seguirlo con maggiore forze e per potere più facilmente opprimerlo, trasse tutte le guardie di quegli; il che Scipione conosciuto, mandò Massinissa suo capitano ad espugnargli. Pirro, faccendo guerra in Schiavonia ad una città capo di quello paese, dove era ridotta assai gente in guardia, finse di essere disperato di poterla espugnare e, voltatosi agli altri luoghi, fece che quella per soccorrergli si votò di guardie e diventò facile ad essere sforzata. Hanno molti corrotte l'acque e derivati i fiumi per pigliare le terre, ancora che di poi non riuscisse. Fannosi facili ancora gli assediati ad arrendersi, spaventandogli con significare loro una vittoria avuta o nuovi aiuti che vengano in loro disfavore. Hanno cerco gli antichi capitani occupare le terre per tradimento, corrompendo alcuno di dentro; ma hanno tenuti diversi modi. Alcuno ha mandato uno suo che, sotto nome di fuggitivo, prenda autorità e fede co' nimici, la quale di poi usi in benificio suo. Alcuno per questo mezzo ha inteso il modo delle guardie e, mediante quella notizia, presa la terra. Alcuno ha impedito la porta, ch'ella non si possa serrare, con uno carro e con travi sotto qualche colore, e per questo modo fatto l'entrare facile al nimico. Annibale persuase ad uno che gli desse uno castello de' Romani e che fingesse di andare a caccia la notte, mostrando non potere andare di giorno per paura de' nimici, e, tornando di poi con la cacciagione, mettesse dentro con seco de' suoi uomini e, ammazzata la guardia, gli desse la porta. Ingannansi ancora gli assediati col tirargli fuora della terra ediscostargli da quella, mostrando, quando essi ti assaltano, di fuggire. E molti, tra' quali fu Annibale, hanno non ch'altro, lasciatosi torre gli alloggiamenti per avere occasione di mettergli in mezzo e torre loro la terra. Ingannansi ancora col fingere di partirsi, come fece Formione ateniese; il quale, avendo predato il paese de' Calcidensi, ricevé di poi i loro ambasciadori, riempiendo la loro città di sicurtà e di buone promesse sotto le quali, come uomini poco cauti, furono poco di poi da Formione oppressi. Debbonsi gli assediati guardare dagli uomini che egli hanno fra loro sospetti, ma qualche volta si suole così assicurarsene col merito come con la pena. Marcello, conoscendo come Lucio Banzio Nolano era volto a favorire Annibale, tanta umanità e liberalità usò verso di lui, che di nimico se lo fece amicissimo. Deono gli assediati usare più diligenza nelle guardie, quando il nimico si è discostato, che quando egli è propinquo; e deono guardare meglio quegli luoghi i quali pensano che possano essere offesi meno; perché si sono perdute assai terre quando il nimico le assalta da quella parte donde essi non credono essere assaltati. E questo inganno nasce da due cagioni: o per essere il luogo forte e credere che sia inaccessibile, o per essere usata arte dal nimico di assaltargli da uno lato , con romori finti e, dall'altro, taciti e con assalti veri. E però deono gli assediati avere a questo grande avvertenza, e sopra tutto d'ogni tempo, e massime la notte, fare buone guardie alle mura; e non solamente preporvi uomini, ma i cani, e torgli feroci e pronti, i quali col fiuto presentano il nimico e con lo abbaiare lo scuoprano. E non che i cani, si è trovato che l'oche hanno salvo una città, come intervenne a' Romani quando i Franzesi assediavano il Campidoglio. Alcibiade, per vedere se le guardie vigilavano, essendo assediata Atene dagli Spartani, ordinò che, quando la notte egli alzasse uno lume, tutte le guardie lo alzassero, constituendo pena a chi non lo osservasse. Ificrate ateniese ammazzò una guardia che dormiva, dicendo di averlo lasciato come l'aveva trovato. Hanno coloro che sono assediati tenuti vari modi a mandare avvisi agli amici loro, e per non mandare imbasciate a bocca, scrivono lettere in cifera e nascondonle in vari modi: le cifere sono secondo la volontà di chi l'ordina, il modo del nasconderle è vario. Chi ha scritto il fodero, dentro, d'una spada; altri hanno messe le lettere in uno pane crudo, e di poi cotto quello e datolo come per suo cibo a colui che le porta. Alcuni se le sono messe ne' luoghi più secreti del corpo. Altri le hanno messe in un collare d'uno cane che sia familiare di quello che le porta. Alcuni hanno scritto in una lettera cose ordinarie, e di poi, tra l'uno verso e l'altro, scritto con acque che, bagnandole e scaldandole, poi le lettere appariscano. Questo modo è stato astutissimamente osservato ne' nostri tempi; dove che, volendo alcuno significare cose da tenere secrete a' suoi amici che dentro a una terra abitavano, e non volendo fidarsi di persona, mandava scomuniche scritte secondo la consuetudine ed interlineate, come io dico di sopra, e quelle faceva alle porte de' templi suspendere; le quali conosciute da quegli che per gli contrassegni le conoscevano, erano spiccate e lette. Il quale modo è cautissimo, perché chi le porta vi può esser ingannato e non vi corre alcuno pericolo. Sono infiniti altri modi che ciascuno per se medesimo può fingere e trovare. Ma con più facilità si scrive agli assediati, che gli assediati agli amici di fuora, perché tali lettere non le possono mandare, se non per uno che sotto ombra di fuggitivo esca della terra, il che è cosa dubbia e pericolosa quando il nimico è punto cauto. Ma quelli che mandono dentro, può quello che è mandato, sotto molti colori andare nel campo che assedia, e di quivi, presa conveniente occasione, saltare nella terra. Ma vegnamo a parlare delle presenti espugnazioni; e dico che s'egli occorre che tu sia combattuto nella tua città, che non sia ordinata co' fossi dalla parte di dentro, come poco fa dimostrammo, a volere che il nimico non entri per le rotture del muro che l'artiglieria fa (perché alla rottura ch'ella non si faccia non è rimedio), ti è necessario, mentre che l'artiglieria batte, muovere uno fosso dentro al muro che è percosso, largo almeno trenta braccia, e gittare tutto quello che si cava di verso la terra, che faccia argine e più profondo il fosso; e ti conviene sollecitare questa opera in modo che, quando il muro caggia, il fosso sia cavato almeno cinque o sei braccia. Il quale fosso è necessario, mentre che si cava, chiudere da ogni fianco con una casamatta. E quando il muro è sì gagliardo che ti dia tempo a fare il fosso e le casematte, viene ad essere più forte quella parte battuta che il resto della città, perché tale riparo viene ad avere la forma che noi demmo a' fossi di dentro Ma quando il muro è debole e che non ti dia tempo, allora è che bisogna mostrare la virtù, ed opporvisi con le genti armate e con tutte le forze tue. Questo modo di riparare fu osservato da' Pisani, quando voi vi andavi a campo; e poterono farlo, perché avevano le mura gagliarde, che davano loro tempo, e il terreno tenace e attissimo a rizzare argini e fare ripari. Che se fussono mancati di questa commodità, si sarebbero perduti. Pertanto si farà sempre prudentemente a provvedersi prima, faccendo i fossi dentro alla sua città e per tutto il suo circuito, come poco fa divisammo; perché in questo caso si aspetta ozioso e sicuro il nemico, essendo i ripari fatti. Occupavano gli antichi molte volte le terre con le cave sutterranee in due modi: o e' facevano una via sotterra segretamente che riusciva nella terra, e per quella entravano (nel quale modo i Romani presono la città de' Veienti ) o con le cave scalzavano uno muro e facevanlo rovinare. Questo ultimo modo è oggi più gagliardo e fa che le città poste alto sieno più deboli, perché si possono meglio cavare; e mettendo di poi nelle cave di quella polvere che in istante si accende, non solamente rovina uno muro, ma i monti si aprono e le fortezze tutte in più parti si dissolvono. Il rimedio a questo è edificare in piano e fare il fosso che cigne la tua città tanto profondo, che il nimico non possa cavare più basso di quello che non trovi l'acqua, la quale è solamente nimica di queste cave. E se pure ti truovi con la terra che tu difendi in poggio, non puoi rimediarvi con altro che fare dentro alle tue mura assai pozzi profondi; i quali sono come sfogatoi a quelle cave che il nimico ti potesse ordinare contra. Un altro rimedio è fargli una cava all'incontro, quando ti accorgessi donde quello cavasse; il quale modo facilmente lo impedisce, ma difficilmente si prevede, essendo assediato da uno nimico cauto. Deve sopra tutto avere cura, quello che è assediato, di non essere oppresso ne' tempi del riposo, come è dopo una battaglia avuta, dopo le guardie fatte, che è la mattina al fare del giorno, la sera tra dì e notte, e sopra tutto quando si mangia; nel quale tempo molte terre sono espugnate e molti eserciti sono stati da quegli di dentro rovinati. Però si debbe con diligenza da ogni parte stare sempre guardato e in buona parte armato. Io non voglio mancare di dirvi come quello che fa difficile il difendere una città o uno alloggiamento, è lo avere a tenere disunite tutte le forze che tu hai in quegli; perché, potendoti il nimico assalire a sua posta tutto insieme da qualunque banda, ti conviene tenere ogni luogo guardato; e così quello ti assalta con tutte le forze e tu con parte di quelle ti difendi. Può ancora lo assediato essere vinto in tutto; quello di fuora non può essere se non ributtato; onde che molti che sono stati assediati o nello alloggiamento o in una terra, ancora che inferiori di forze sono usciti con tutte le loro genti ad un tratto fuora e hanno superato il nimico. Questo fece Marcello a Nola, questo fece Cesare in Francia, che, essendogli assaltati gli alloggiamenti da uno numero grandissimo di Franzesi e veggendo non gli potere difendere per avere a dividere le sue forze in più parti, e non potere, stando dentro agli steccati, con empito urtare il nimico, aperse da una banda lo alloggiamento, e, rivoltosi in quella parte con tutte le forze, fece tanto impeto loro contra e con tanta virtù che gli superò e vinse. La costanza ancora degli assediati fa molte volte disperare e sbigottire coloro che assediano. Essendo Pompeo a fronte di Cesare e patendo assai l'esercito Cesariano per la fame, fu portato del suo pane a Pompeo; il quale vedendo fatto di erbe, comandò che non si mostrasse al suo esercito per non lo fare sbigottire, vedendo quali nimici aveva all'incontro. Niuna cosa fece tanto onore a' Romani nella guerra di Annibale quanto la costanza loro, perché in qualunque più nimica e avversa fortuna mai non domandorono pace, mai fecero alcun segno di timore; anzi, quando Annibale era allo intorno di Roma. Si venderono quegli campi dove egli aveva posti i suoi alloggiamenti, più pregio che per l'ordinario per altri tempi venduti non si sarebbono; e stettero in tanto ostinati nelle imprese loro, che, per difendere Roma, non vollero levare le offese da Capua, la quale, in quel medesimo tempo che Roma era assediata, i Romani assediavano. Io so che io vi ho detto di molte cose le quali per voi medesimi avete potuto intendere e considerare; nondimeno l'ho fatto, come oggi ancora vi dissi, per potervi mostrare, mediante quelle, meglio la qualità di questo esercizio e ancora per sodisfare a quegli, se alcuno ce ne fusse, che non avessero avuta quella commodità di intenderle che voi. Né mi pare che ci resti altro a dirvi che alcune regole generali, le quali voi averete familiarissime; che sono queste:

    Quello che giova al nimico nuoce a te, e quel che giova a te nuoce al nimico.

    Colui che sarà nella guerra più vigilante a osservare i disegni del nimico e più durerà fatica ad esercitare il suo esercito, in minori pericoli incorrerà e più potrà sperare della vittoria.

    Non condurre mai a giornata i tuoi soldati, se prima non hai confermato l'animo loro e conosciutogli sanza paura e ordinati; né mai ne farai pruova, se non quando vedi ch'egli sperano di vincere.

    Meglio è vincere il nimico con la fame che col ferro, nella vittoria del quale può molto più la fortuna che la virtù.

    Niuno partito è migliore che quello che sta nascoso al nimico infino che tu lo abbia eseguito.

    Sapere nella guerra conoscere l'occasione e pigliarla, giova più che niuna altra cosa.

    La natura genera pochi uomini gagliardi; la industria e lo esercizio ne fa assai.

    Può la disciplina nella guerra più che il furore.

    Quando si partono alcuni dalla parte nimica per venire a' servizi tuoi, quando sieno fedeli vi sarà sempre grandi acquisti; perché le forze degli avversari più si minuiscono con la perdita di quegli che si fuggono, che di quegli che sono ammazzati, ancora che il nome de' fuggitivi sia a' nuovi amici sospetto, a' vecchi odioso.

    Meglio è, nell'ordinare la giornata, riserbare dietro alla prima fronte assai aiuti, che, per fare la fronte maggiore, disperdere i suoi soldati.

    Difficilmente è vinto colui che sa conoscere le forze sue e quelle del nimico.

    Più vale la virtù de' soldati che la moltitudine; più giova alcuna volta il sito che la virtù.

    Le cose nuove e sùbite sbigottiscono gli eserciti le cose consuete e lente sono poco stimate da quegli; però farai al tuo esercito praticare e conoscere con piccole zuffe un nimico nuovo, prima che tu venga alla giornata con quello.

    Colui che seguita con disordine il nimico poi ch'egli è rotto, non vuole fare altro che diventare, di vittorioso, perdente.

    Quello che non prepara le vettovaglie necessarie al vivere è vinto sanza ferro.

    Chi confida più ne' cavagli che ne' fanti, o più ne' fanti che ne' cavagli, si accomodi col sito.

    Quando tu vuoi vedere se, il giorno, alcuna spia è venuta in campo, fa' che ciascuno ne vadia al suo alloggiamento. Muta partito, quando ti accorgi che il nimico l'abbia previsto.

    Consìgliati, delle cose che tu dei fare, con molti; quello che di poi vuoi fare confenferisci con pochi.

    I soldati, quando dimorano alle stanze, si mantengano col timore e con la pena; poi, quando si conducono alla guerra, con la speranza e col premio.

    I buoni capitani non vengono mai a giornata se la necessità non gli strigne o la occasione non gli chiama.

    Fa' che i tuoi nimici non sappiano come tu voglia ordinare l'esercito alla zuffa: e in qualunque modo l'ordini, fa' che le prime squadre possano essere ricevute dalle seconde e dalle terze.

    Nella zuffa non adoperare mai una battaglia ad un'altra cosa che a quella per che tu l'avevi deputata, se tu non vuoi fare disordine.

    Agli accidenti sùbiti con difficultà si rimedia, a' pensati con facilità.

    Gli uomini, il ferro, i danari e il pane sono il nervo della guerra; ma di questi quattro sono più necessarii i primi due, perché gli uomini e il ferro truovano i danari e il pane, ma il pane e i danari non truovano gli uomini e il ferro.

    Il disarmato ricco è premio del soldato povero.

    Avvezza i tuoi soldati a spregiare il vivere delicato e il vestire lussurioso.


    Questo è quanto mi occorre generalmente ricordarvi; e so che si sarebbero possute dire molte altre cose in tutto questo mio ragionamento, come sarebbero: come e in quanti modi gli antichi ordinavano le schiere; come vestivano e come in molte altre cose si esercitavano e aggiugnervi assai particolari i quali non ho giudicati necessarii narrare, sì perché per voi medesimi potete vederli sì ancora perché la intenzione mia non è stata mostrarvi appunto come l'antica milizia era fatta, ma come in questi tempi si potesse ordinare una milizia che avesse più virtù che quella che si usa. Donde che non mi è parso delle cose antiche ragionare altro che quello che io ho giudicato a tale introduzione necessario. So ancora che io mi arei avuto ad allargare più sopra la milizia a cavallo e di poi ragionare della guerra navale, perché chi distingue la milizia dice come egli è uno esercizio di mare e di terra, a piè e a cavallo. Di quello di mare io non presumerei parlare, per non ne avere alcuna notizia; ma lascieronne parlare a' Genovesi e a' Viniziarni, i quali con simili studi hanno per lo addietro fatto gran cose. De' cavagli ancora non voglio dire altro che di sopra mi abbia detto, essendo, come io dissi, questa parte corrotta meno. Oltre a questo, ordinate che sono bene le fanterie, che sono il nervo dello esercito, si vengono di necessità a fare buoni cavagli. Solo ricorderei a chi ordinasse la milizia nel paese suo per riempierlo di cavagli, facesse due provvedimenti: l'uno, che distribuisse cavalle di buona razza per il suo contado e avvezzasse i suoi uomini a fare incette di puledri, come voi in questo paese fate de'vitegli e de' muli; l'altro, acciò che gli incettanti trovassero il comperatore, proibirei il potere tenere mulo ad alcuno che non tenesse cavallo; talmente che, chi volesse tenere una cavalcatura sola, fusse costretto tenere cavallo; e di più, che non potesse vestire di drappo se non chi tenesse cavallo. Questo ordine intendo essere stato fatto da alcuno principe ne' nostri tempi, e in brevissimo tempo avere nel paese suo ridotto una ottima cavalleria. Circa alle altre cose quanto si aspetta a' cavagli, mi rimetto a quanto oggi vi dissi e a quello che si costuma. Desidereresti forse ancora intendere quali parte debbe avere uno capitano? A che io vi sodisfarò brevissimamente, perché io non saprei eleggere altro uomo che quello che sapesse fare tutte quelle cose che da noi sono state oggi ragionate; le quali ancora non basterebbero, quando non ne sapesse trovare da sé, perché niuno sanza invenzione fu mai grande uomo nel mestiero suo; e se la invenzione fa onore nell'altre cose, in questo sopra tutto ti onora. E si vede ogni invento, ancora che debole, essere dagli scrittori celebrato; come si vede che lodano Alessandro Magno, che, per disalloggiare più segretamente, non dava il segno con la tromba, ma con uno cappello sopra una lancia. E' laudato ancora per avere ordinato agli suoi soldati che, nello appiccarsi con gli nimici, s'inginocchiassero col piè manco, per potere più gagliardamente sostenere l'impeto loro; il che avendogli dato la vittoria, gli dette ancora tanta lode, che tutte le statue, che si rizzavano in suo onore stavano in quella guisa. Ma perch'egli è tempo di finire questo ragionamento, io voglio tornare a proposito; e parte fuggirò quella pena in che si costuma condannare in questa terra coloro che non vi tornano. Se vi ricorda bene, Cosimo, voi mi dicesti che, essendo io dall'uno canto esaltatore della antichità e biasimatore di quegli che nelle cose gravi non la imitano, e, dall'altro, non la avendo io nelle cose della guerra, dove io mi sono affaticato, imitata, non ne potevi ritrovare la cagione; a che io risposi come gli uomini che vogliono fare una cosa, conviene prima si preparino a saperla fare, per potere poi operarla quando l'occasione lo permetta Se io saprei ridurre la milizia ne' modi antichi o no, io ne voglio per giudici voi che mi avete sentito sopra questa materia lungamente disputare; donde voi avete potuto conoscere quanto tempo io abbia consumato in questi pensieri, e ancora credo possiate immaginare quanto disiderio sia in me di mandargli ad effetto. Il che se io ho potuto fare, o se mai me ne è stata data occasione, facilmente potete conietturarlo. Pure per farvene più certi, e per più mia giustificazione, voglio ancora addurne le cagioni; e parte vi osserverò quanto promissi di dimostrarvi: le difficultà e le facilità che sono al presente in tali imitazioni. Dico pertanto come niuna azione che si faccia oggi tra gli uomini, è più facile a ridurre ne' modi antichi che la milizia, ma per coloro soli che sono principi di tanto stato, che potessero almeno di loro suggetti mettere insieme quindici o ventimila giovani. Dall'altra parte, niuna cosa è più difficile che questa a coloro che non hanno tale commodità. E perché voi intendiate meglio questa parte, voi avete a sapere come e' sono di due ragioni capitani lodati. L'una è quegli che con uno esercito ordinato per sua naturale disciplina hanno fatto grandi cose, come furono la maggior parte de' cittadini romani e altri che hanno guidati eserciti; i quali non hanno avuto altra fatica che mantenergli buoni e vedere di guidargli sicuramente. L'altra è quegli che non solamente hanno avuto a superare il nimico, ma, prima ch'egli arrivino a quello, sono stati necessitati fare buono e bene ordinato l'esercito loro- i quali sanza dubbio meritono più lode assai che non hanno meritato quegli che con gli eserciti antichi e buoni hanno virtuosamente operato. Di questi tali fu Pelopida ed Epaminonda, Tullo Ostilio, Filippo di Macedonia padre d'Alessandro, Ciro re de' Persi, Gracco romano. Costoro tutti ebbero prima a fare l'esercito buono, e poi combattere con quello. Costoro tutti lo poterono fare, sì per la prudenza loro, sì per avere suggetti da potergli in simile esercizio indirizzare. Né mai sarebbe stato possibile che alcuno di loro, ancora che uomo pieno d'ogni eccellenza, avesse potuto in una provincia aliena, piena di uomini corrotti, non usi ad alcuna onesta ubbidienza, fare alcuna opera lodevole. Non basta adunque in Italia il sapere governare uno esercito fatto, ma prima è necessario saperlo fare e poi saperlo comandare E di questi bisogna sieno quegli principi che, per avere molto stato e assai suggetti, hanno commodità di farlo. De' quali non posso essere io che non comandai mai, né posso comandare se non a eserciti forestieri e a uomini obligati ad altri e non a me. Ne' quali s'egli è possibile o no introdurre alcuna di quelle cose da me oggi ragionate, lo voglio lasciare nel giudicio vostro. Quando potrei io fare portare a uno di questi soldati che oggi si praticano, più armi che le consuete, e oltra alle armi, il cibo per due o tre giorni e la zappa? Quando potrei io farlo zappare o tenerlo ogni giorno molte ore sotto l'armi negli esercizi finti, per potere poi ne' veri valermene? Quando si asterrebbe egli da' giuochi, dalle lascivie, dalle bestemmie, dalle insolenze che ogni dì fanno? Quando si ridurrebbero eglino in tanta disciplina e in tanta ubbidienza e reverenza, che uno arbore pieno di pomi nel mezzo degli alloggiamenti vi si trovasse e lasciasse intatto, come si legge che negli eserciti antichi molte volte intervenne? Che cosa posso io promettere loro, mediante la quale e' mi abbiano con reverenza ad amare o temere, quando, finita la guerra, e' non hanno più alcuna cosa a convenire meco ? Di che gli ho io a fare vergognare, che sono nati e allevati sanza vergogna? Perché mi hanno eglino ad osservare, che non mi conoscono? Per quale Iddio, o per quali santi gli ho io a fare giurare? Per quei ch'egli adorano, o per quei che bestemmiano? Che ne adorino non so io alcuno, ma so bene che li bestemmiano tutti. Come ho io a credere ch'egli osservino le promesse a coloro che ad ogni ora essi dispregiano? Come possono coloro che dispregiano Iddio, riverire gli uomini ? Quale dunque buona forma sarebbe quella che si potesse imprimere in questa materia ? E se voi mi allegassi che i Svizzeri e gli Spagnuoli sono buoni io vi confesserei come eglino sono di gran lunga migliori che gli Italiani; ma se voi noterete il ragionamento mio e il modo del procedere d'ambidue, vedrete come e' manca loro di molte cose ad aggiugnere alla perfezione degli antichi. E i Svizzeri sono fatti buoni da uno loro naturale uso causato da quello che oggi vi dissi, quegli altri da una necessità; perché, militando in una provincia forestiera e parendo loro essere costretti o morire o vincere, per non parere loro avere luogo alla fuga, sono diventati buoni. Ma è una bontà in molte parti defettiva, perché in quella non è altro di buono, se non che si sono assuefatti ad aspettare il nimico infino alla punta della picca e della spada. Né quello che manca loro, sarebbe alcuno atto ad insegnarlo, e tanto meno chi non fusse della loro lingua. Ma torniamo agli Italiani, i quali, per non avere avuti i principi savi, non hanno preso alcuno ordine buono, e, per non avere avuto quella necessità che hanno avuta gli Spagnuoli, non gli hanno per loro medesimi presi; tale che rimangono il vituperio del mondo. Ma i popoli non ne hanno colpa, ma sì bene i principi loro; i quali ne sono stati gastigati, e della ignoranza loro ne hanno portate giuste pene perdendo ignominiosamente lo stato, e sanza alcuno esemplo virtuoso. Volete voi vedere se questo che io dico è vero? Considerate quante guerre sono state in Italia dalla passata del re Carlo ad oggi; e solendo le guerre fare uomini bellicosi e riputati, queste quanto più sono state grandi e fiere, tanto più hanno fatto perdere di riputazione alle membra e a' capi suoi. Questo conviene che nasca che gli ordini consueti non erano e non sono buoni; e degli ordini nuovi non ci è alcuno che abbia saputo pigliarne. Né crediate mai che si renda riputazione alle armi italiane, se non per quella via che io ho dimostra e mediante coloro che tengono stati grossi in Italia; perché questa forma si può imprimere negli uomini semplici, rozzi e proprii, non ne' maligni male custoditi e forestieri. Né si troverrà mai alcuno buono scultore che creda fare una bella statua d'un pezzo di marmo male abbozzato, ma sì bene d'uno rozzo. Credevano i nostri principi italiani, prima ch'egli assaggiassero i colpi delle oltramontane guerre, che a uno principe bastasse sapere negli scrittoi pensare una acuta risposta, scrivere una bella lettera, mostrare ne' detti e nelle parole arguzia e prontezza, sapere tessere una fraude, ornarsi di gemme e d'oro, dormire e mangiare con maggiore splendore che gli altri, tenere assai lascivie intorno, governarsi co' sudditi avaramente e superbamente, marcirsi nello ozio, dare i gradi della milizia per grazia disprezzare se alcuno avesse loro dimostro alcuna lodevole via, volere che le parole loro fussero responsi di oraculi; ne si accorgevano i meschini che si preparavano ad essere preda di qualunque gli assaltava. Di qui nacquero poi nel mille quattrocento novantaquattro i grandi spaventi, le sùbite fughe e le miracolose perdite; e così tre potentissimi stati che erano in Italia, sono stati più volte saccheggiati e guasti. Ma quello che è peggio, è che quegli che ci restano stanno nel medesimo errore e vivono nel medesimo disordine, e non considerano che quegli che anticamente volevano tenere lo stato, facevano e facevano fare tutte quelle cose che da me si sono ragionate, e che il loro studio era preparare il corpo a' disagi e lo animo a non temere i pericoli. Onde nasceva che Cesare, Alessandro e tutti quegli uomini e principi eccellenti, erano i primi tra' combattitori, andavano armati a piè, e se pure perdevano lo stato, e' volevano perdere la vita; talmente che vivevano e morivano virtuosamente. E se in loro, o in parte di loro, si poteva dannare troppa ambizione di regnare, mai non si troverrà che in loro si danni alcuna mollizie o alcuna cosa che faccia gli uomini delicati e imbelli. Le quali cose, se da questi principi fussero lette e credute, sarebbe impossibile che loro non mutassero forma di vivere e le provincie loro non mutassero fortuna. E perché voi, nel principio di questo nostro ragionamento, vi dolesti della vostra ordinanza, io vi dico che, se voi la avete ordinata come io ho di sopra ragionato ed ella abbia dato di sé non buona esperienza, voi ragionevolmente ve ne potete dolere; ma s'ella non è così ordinata ed esercitata come ho detto, ella può dolersi di voi che avete fatto uno abortivo, non una figura perfetta. I Viniziani ancora e il duca di Ferrara la cominciarono e non la seguirono; il che è stato per difetto loro, non degli uomini loro. E io vi affermo che qualunque di quelli che tengono oggi stati in Italia prima entrerrà per questa via, fia, prima che alcuno altro, signore di questa provincia, e interverrà allo stato suo come al regno de' Macedoni, il quale, venendo sotto a Filippo che aveva imparato il modo dello ordinare gli eserciti da Epaminonda tebano, diventò, con questo ordine e con questi esercizi, mentre che l'altra Grecia stava in ozio e attendeva a recitare commedie, tanto potente che potette in pochi anni tutta occuparla, e al figliuolo lasciare tale fondamento, che poté farsi principe di tutto il mondo. Colui adunque che dispregia questi pensieri, s'egli è principe, dispregia il principato suo; s'egli è cittadino, la sua città. E io mi dolgo della natura, la quale o ella non mi dovea fare conoscitore di questo, o ella mi doveva dare facultà a poterlo eseguire. Né penso oggimai, essendo vecchio, poterne avere alcuna occasione, e per questo io ne sono stato con voi liberale che, essendo giovani e qualificati, potrete, quando le cose dette da me vi piacciano, ai debiti tempi, in favore de' vostri principi, aiutarle e consigliarle. Di che non voglio vi sbigottiate o diffidiate, perché questa pronvincia pare nata per risuscitare le cose morte, come si è visto della poesia, della pittura e della scultura. Ma quanto a me si aspetta, per essere in là con gli anni, me ne diffido. E veramente, se la fortuna mi avesse conceduto per lo addietro tanto stato quanto basta a una simile impresa, io crederei, in brevissimo tempo, avere dimostro al mondo quanto gli antichi ordini vagliono; e sanza dubbio o io l'arei accresciuto con gloria o perduto senza vergogna.

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