Niccolò Machiavelli
DELL'ARTE
DELLA GUERRA
Niccolò
Machiavegli,
cittadino e segretario fiorentino
sopr'al libro
dell'arte della guerra
a Lorenzo di Filippo Strozzi patrizio
fiorentino
PROEMIO
Hanno, Lorenzo, molti tenuto e tengono questa opinione: che e' non sia cosa alcuna che minore convenienza abbia con un'altra, né che sia tanto dissimile, quanto la vita civile dalla militare. Donde si vede spesso, se alcuno disegna nello esercizio del soldo prevalersi, che subito, non solamente cangia abito, ma ancora ne' costumi, nelle usanze, nella voce e nella presenza da ogni civile uso si disforma; perché non crede potere vestire uno abito civile colui che vuole essere espedito e pronto a ogni violenza- né i civili costumi e usanze puote avere quello il quale giudica e quegli costumi essere effeminati e quelle usanze non favorevoli alle sue operazioni; né pare conveniente mantenere la presenza e le parole ordinarie a quello che con la barba e con le bestemmie vuole fare paura agli altri uomini; il che fa in questi tempi tale opinione essere verissima. Ma se si considerassono gli antichi ordini, non si troverebbono cose più unite, più conformi e che, di necessità, tanto l'una amasse l'altra, quanto queste; perché tutte l'arti che si ordinano in una civiltà per cagione del bene comune degli uomini, tutti gli ordini fatti in quella per vivere con timore delle leggi e d'Iddio, sarebbono vani, se non fussono preparate le difese loro; le quali, bene ordinate mantengono quegli, ancora che non bene ordinati. E così, per il contrario, i buoni ordini, sanza il militare aiuto, non altrimenti si disordinano che l'abitazioni d'uno superbo e regale palazzo, ancora che ornate di gemme e d'oro, quando, sanza essere coperte, non avessono cosa che dalla pioggia le difendesse. E se in qualunque altro ordine delle cittadine de' regni si usava ogni diligenza per mantenere gli uomini fedeli, pacifici e pieni del timore d'Iddio, nella milizia si raddoppiava; perché in quale uomo debbe ricercare la patria maggiore fede, che in colui che le ha a promettere di morire per lei? In quale debbe essere più amore di pace, che in quello che solo dalla guerra puote essere offeso? In quale debbe essere più timore d'Iddio, che in colui che ogni dì, sottomettendosi a infiniti pericoli, ha più bisogno degli aiuti suoi? Questa necessità considerata bene, e da coloro che davano le leggi agli imperii, e da quegli che agli esercizi militari erano preposti, faceva che la vita de' soldati dagli altri uomini era lodata e con ogni studio seguitata e imitata. Ma per essere gli ordini militari al tutto corrotti e, di gran lunga, dagli antichi modi separati, ne sono nate queste sinistre opinioni, che fanno odiare la milizia e fuggire la conversazione di coloro che la esercitano. E giudicando io, per quello che io ho veduto e letto, ch'e' non sia impossibile ridurre quella negli antichi modi e renderle qualche forma della passata virtù, diliberai, per non passare questi mia oziosi tempi sanza operare alcuna cosa, di scrivere, a sodisfazione di quegli che delle antiche azioni sono amatori, della arte della guerra quello che io ne intenda. E benché sia cosa animosa trattare di quella materia della quale altri non ne abbia fatto professione, nondimeno io non credo sia errore occupare con le parole uno grado il quale molti, con maggiore prosunzione, con le opere hanno occupato; perché gli errori che io facessi, scrivendo, possono essere sanza danno d'alcuno corretti, ma quegli i quali da loro sono fatti, operando, non possono essere, se non con la rovina degli imperii, conosciuti. Voi pertanto, Lorenzo, considererete le qualità di queste mie fatiche e darete loro, con il vostro giudicio, quel biasimo o quella lode la quale vi parrà ch'elle abbiano meritato. Le quali a voi mando sì per dimostrarmi grato, ancora che la mia possibilità non vi aggiunga, de' benefizi ho ricevuto da voi, sì ancora, perché, essendo consuetudine onorare di simili opere coloro i quali per nobiltà, ricchezze, ingegno e liberalità risplendono, conosco voi di ricchezze e nobiltà non avere molti pari, d'ingegno pochi e di liberalità niuno.
Libro primo
Perché
io credo che si possa lodare dopo la morte ogni uomo, sanza carico,
sendo mancata ogni cagione e sospetto di adulazione, non dubiterò
di lodare Cosimo Rucellai nostro, il nome del quale non fia mai
ricordato da me sanza lagrime, avendo conosciute in lui quelle parti
le quali, in uno buono amico dagli amici, in uno cittadino dalla sua
patria si possono disiderare. Perché io non so quale cosa si
fusse tanto sua (non eccettuando, non ch'altro, l'anima) che per gli
amici volentieri da lui non fusse stata spesa; non so quale impresa
lo avesse sbigottito, dove quello avesse conosciuto il bene della sua
patria. E io confesso, liberamente, non avere riscontro, tra tanti
uomini che io ho conosciuti e pratichi, uomo nel quale fusse il più
acceso animo alle cose grandi e magnifiche. Né si dolse con
gli amici d'altro, nella sua morte, se non di essere nato per morire
giovane dentro alle sue case, e inonorato, sanza avere potuto,
secondo l'animo suo, giovare ad alcuno; perché sapeva che di
lui non si poteva parlare altro, se non che fusse morto uno buono
amico. Non resta però, per questo, che noi, e qualunque altro
che come noi lo conosceva, non possiamo fare fede, poi che l'opere
non appariscono, delle sue lodevoli qualità. Vero è che
non gli fu però in tanto la fortuna nimica, che non lasciasse
alcun breve ricordo della destrezza del suo ingegno, come ne
dimostrano alcuni suoi scritti e composizioni di amorosi versi; ne'
quali, come che innamorato non fusse, per non consumare il tempo
invano, tanto che a più alti pensieri la fortuna lo avesse
condotto, nella sua giovenile età si esercitava; dove
chiaramente si può comprendere con quanta felicità i
suoi concetti descrivesse, e quanto nella poetica si fusse onorato,
se quella, per suo fine, fusse da lui stata esercitata. Avendone
pertanto privati la fortuna dello uso d'uno tanto amico, mi pare che
non si possa farne altri rimedi che, il più che a noi è
possibile cercare, di godersi la memoria di quello e repetere se da
lui alcuna cosa fusse stata o acutamente detta o saviamente
disputata. E perché non è cosa di lui più
fresca, che il ragionamento il quale ne' prossimi tempi il signore
Fabrizio Colonna dentro a' suoi orti ebbe con seco (dove largamente
fu da quel signore delle cose della guerra disputato, e acutamente e
prudentemente in buona parte da Cosimo domandato); mi è parso,
essendo con alcuni altri nostri amici stato presente, ridurlo alla
memoria, acciò che, leggendo quello, gli amici di Cosimo che
quivi convennono, nel loro animo la memoria delle sue virtù
rinfreschino, e gli altri, parte si dolgano di non vi essere
intervenuti, parte molte cose utili alla vita non solamente militare,
ma ancora civile, saviamente da uno sapientissimo uomo disputate,
imparino.
Dico pertanto che, tornando
Fabrizio Colonna di Lombardia, dove più tempo aveva per il re
cattolico con grande sua gloria militato, diliberò, passando
per Firenze, riposarsi alcuno giorno in quella città, per
vicitare la eccellenza del duca e rivedere alcuni gentili uomini co'
quali per lo addietro aveva tenuto qualche familiarità. Donde
che a Cosimo parve convitarlo ne' suoi orti, non tanto per usare la
sua liberalità, quanto per avere cagione di parlar seco
lungamente, e da quello intendere ed imparare varie cose, secondo che
da un tale uomo si può sperare, parendogli avere occasione di
spendere uno giorno in ragionare di quelle materie che allo animo suo
sodisfacevano. Venne adunque Fabrizio, secondo che quello volle, e da
Cosimo insieme con alcuni altri suoi fidati amici fu ricevuto; tra'
quali furono Zanobi Buondelmonti, Batista della Palla e Luigi
Alamanni, giovani tutti amati da lui e de' medesimi studi
ardentissimi, le buone qualità de' quali, perché ogni
giorno e ad ogni ora per se medesime si lodano, ommettereno. Fabrizio
adunque fu, secondo i tempi e il luogo, di tutti quegli onori che si
poterono maggiori onorato, ma passati i convivali piaceri e levate le
tavole e consumato ogni ordine di festeggiare, il quale, nel
conspetto degli uomini grandi e che a pensieri onorevoli abbiano la
mente volta, si consuma tosto, essendo il dì lungo e il caldo
molto, giudicò Cosimo, per sodisfare meglio al suo disiderio,
che fusse bene, pigliando l'occasione dal fuggire il caldo, condursi
nella più segreta e ombrosa parte del suo giardino. Dove
pervenuti e posti a sedere, chi sopra all'erba che in quel luogo è
freschissima, chi sopra a sedili in quelle parti ordinati sotto
l'ombra d'altissimi arbori, lodò Fabrizio il luogo come
dilettevole; e considerando particolarmente gli arbori e alcuno di
essi non ricognoscendo, stava con l'animo sopeso. Della qual cosa
accortosi Cosimo, disse: - Voi per avventura non avete notizia di
parte di questi arbori; ma non ve ne maravigliate, perché ce
ne sono alcuni più dagli antichi, che oggi dal comune uso,
celebrati. - E dettogli il nome di essi, e come Bernardo suo avolo in
tale cultura si era affaticato, replicò Fabrizio: - Io pensava
che fusse quello che voi dite; e questo luogo e questo studio mi
faceva ricordare d'alcuni principi del Regno, i quali di queste
antiche culture e ombre si dilettano.- E fermato in su questo il
parlare e stato alquanto sopra di sé come sospeso, soggiunse:
- Se io non credessi offendere, io ne direi la mia opinione ma io non
lo credo fare, parlando con gli amici, e per disputare le cose e non
per calunniarle. Quanto meglio arebbono fatto quelli, sia detto con
pace di tutti, a cercare di somigliare gli antichi nelle cose forti e
aspre, non nelle delicate e molli, e in quelle che facevano sotto il
sole, non sotto l'ombra, e pigliare i modi della antichità
vera e perfetta, non quelli della falsa e corrotta; perché,
poi che questi studi piacquero ai miei Romani, la mia patria rovinò.-
A che Cosimo rispose... Ma per fuggire i fastidi d'avere a repetere
tante volte "quel disse e quello altro soggiunse", si
noteranno solamente i nomi di chi parli, sanza replicarne altro.
Disse dunque
Cosimo:
Voi avete aperto la via a uno ragionamento quale io desiderava, e vi
priego che voi parliate sanza rispetto, perché io sanza
rispetto vi domanderò; e se io, domandando o replicando,
scuserò o accuserò alcuno, non sarà per scusare
o per accusare, ma per intendere da voi la verità.
FABRIZIO
E
io sarò molto contento di dirvi quel che io intenderò
di tutto quello mi domanderete; il che se sarà vero o no, me
ne rapporterò al vostro giudicio. E mi sarà grato mi
domandiate, perché io sono per imparare così da voi nel
domandarmi, come voi da me nel rispondervi; perché molte volte
uno savio domandatore fa a uno considerare molte cose e conoscerne
molte altre, le quali, sanza esserne domandato, non arebbe mai
conosciute.
Cosimo:
Io voglio tornare a quello che voi dicesti
prima: che lo avolo mio e quegli vostri arebbero fatto più
saviamente a somigliare gli antichi nelle cose aspre che nelle
delicate; e voglio scusare la parte mia, perché l'altra
lascerò scusare a voi. Io non credo ch'egli fusse, ne' tempi
suoi, uomo che tanto detestasse il vivere molle quanto egli, e che
tanto fusse amatore di quella aspreva di vita che voi lodate;
nondimeno e' conosceva non potere nella persona sua, né in
quella de' suoi figliuoli, usarla essendo nato in tanta corruttela di
secolo, dove uno che si volesse partire dal comune uso, sarebbe
infame e vilipeso da ciascheduno. Perché se uno ignudo, di
state, sotto il più alto sole si rivoltasse sopr' alla rena, o
di verno ne' più gelati mesi sopra alla neve, come faceva
Diogene, sarebbe tenuto pazzo. Se uno, come gli Spartani, nutrisse i
suoi figliuoli in villa, facessegli dormire al sereno, andare col
capo e co' piedi ignudi lavare nell'acqua fredda per indurgli a poter
sopportare il male e per fare loro amare meno la vita e temere meno
la morte, sarebbe schernito e tenuto piuttosto una fiera che uno
uomo. Se fusse ancora veduto uno nutrirsi di legumi e spregiare
l'oro, come Fabrizio, sarebbe lodato da pochi e seguito da niuno. Tal
che, sbigottito da questi modi del vivere presente, egli lasciò
gli antichi, e in quello che potette con minore ammirazione imitare
l'antichità, lo fece.
Fabrizio:
Voi
lo avete scusato in questa parte gagliardamente, e certo voi dite il
vero; ma io non parlava tanto di questi modi di vivere duri, quanto
di altri modi più umani e che hanno con la vita d'oggi
maggiore conformità i quali io non credo che ad uno che sia
numerato tra' principi d'una città, fusse stato difficile
introdurgli. Io non mi partirò mai, con lo esempio di
qualunque cosa, da' miei Romani. Se si considerasse la vita di quegli
e l'ordine di quella republica, si vedrebbero molte cose in essa non
impossibili ad introdurre in una civilità dove fusse qualche
cosa ancora del buono.
Cosimo:
Quali cose sono quelle che voi vorresti
introdurre simili all'antiche?
Fabrizio:
Onorare
e premiare le virtù non dispregiare la povertà, stimare
i modi e gli ordini della disciplina militare, constringere i
cittadini ad amare l'uno l'altro, a vivere sanza sètte, a
stimare meno il privato che il publico, e altre simili cose che
facilmente si potrebbono con questi tempi accompagnare. I quali modi
non sono difficili persuadere, quando vi si pensa assai ed entrasi
per li debiti mezzi, perché in essi appare tanto la verità,
che ogni comunale ingegno ne puote essere capace; la quale cosa chi
ordina, pianta arbori sotto l'ombra de' quali si dimora più
felice e più lieto che sotto questa.
Cosimo:
Io non voglio replicare, a quello che voi avete
detto, alcuna cosa ma ne voglio lasciare dare giudicio a questi, i
quali facilmente ne possono giudicare; e volgerò il mio
parlare a voi che siete accusatore di coloro che nelle gravi e grandi
azioni non sono degli antichi imitatori, pensando, per questa via,
più facilmente essere nella mia intenzione sodisfatto. Vorrei
pertanto sapere da voi, donde nasce che dall'un canto voi danniate
quegli che nelle azioni loro gli antichi non somigliano; dall'altro,
nella guerra, la quale è l'arte vostra e in quella che voi
siete giudicato eccellente, non si vede che voi abbiate usato alcuno
termine antico, o che a quegli alcuna similitudine
renda.
Fabrizio:
Voi siete capitato appunta dove io
vi aspettava, perché il parlare mio non meritava altra
domanda, né io altra ne desiderava. E benché io mi
potessi salvare con una facile scusa, nondimeno voglio entrare, a più
sodisfazione mia e vostra, poi che la stagione lo comporta, in più
lungo ragionamento. Gli uomini che vogliono fare una cosa, deono
prima con ogni industria prepararsi, per essere, venendo l'occasione,
apparecchiati a sodisfare a quello che si hanno presupposto di
operare. E perché) quando le preparazioni sono fatte
cautamente, elle non si conoscono, non si può accusare alcuno
d'alcuna negligenza! Se prima non è scoperto dalla occasione;
nella quale poi, non operando,si vede o che non si è preparato
tanto che basti, o che non vi ha in alcuna parte pensato. E perché
a me non è venuta occasione alcuna di potere mostrare i
preparamenti da me fatti per potere ridurre la milizia negli antichi
suoi ordini, se io non la ho ridotta, non ne posso essere da voi né
da altri incolpato. Io credo che questa scusa basterebbe per risposta
all'accusa vostra.
Cosimo:
Basterebbe, quando io fussi certo che
l'occasione non fusse venuta.
Fabrizio:
Ma perché io so che voi
potete dubitare se questa occasione è venuta o no, voglio io
largamente, quando voi vogliate con pazienza ascoltarmi, discorrere
quali preparamenti sono necessarii prima fare, quale occasione
bisogna nasca, quale difficultà impedisce che i preparamenti
non giovano e che l'occasione non venga; e come questa cosa a un
tratto, che paiono termini contrarii, è difficilissima e
facilissima a fare.
Cosimo:
Voi non potete fare, e a me e a questi altri,
cosa più grata di questa; e se a voi non rincrescerà il
parlare, mai a noi non rincrescerà l'udire. Ma perché
questo ragionamento debbe esser lungo, io voglio aiuto da questi miei
amici, con licenza vostra, e loro e io vi preghiamo d'una cosa. Che
voi non pigliate fastidio se qualche volta, con qualche domanda
importuna, vi interrompereno.
Fabrizio:
Io sono contentissimo che voi,
Cosimo, con questi altri giovani qui mi domandiate, perché io
credo che la gioventù vi faccia più amici delle cose
militari e più facili a credere quello che da me si dirà.
Questi altri, per aver già il capo bianco e avere i sangui
ghiacciati addosso, parte sogliono essere nimici della guerra, parte
incorreggibili, come quegli che credono che i tempi e non i cattivi
modi costringano gli uomini a vivere così. Si che domandatemi
tutti voi sicuramente e sanza rispetto il che io disidero, si perché
mi fia un poco di riposo, sì perché io arò
piacere non lasciare nella mente vostra alcuna dubitazione. Io mi
voglio cominciare dalle parole vostre, dove voi mi dicesti che nella
guerra, che è l'arte mia, io non aveva usato alcun termine
antico. Sopra a che dico come, essendo questa una arte mediante la
quale gli uomini d'ogni tempo non possono vivere onestamente, non la
può usare per arte se non una republica o uno regno; e l'uno e
l'altro di questi, quando sia bene ordinato, mai non consentì
ad alcuno suo cittadino o suddito usarla per arte; né mai
alcuno uomo buono l'esercitò per sua particulare arte. Perché
buono non sarà mai giudicato colui che faccia uno esercizio
che, a volere d'ogni tempo trarne utilità, gli convenga essere
rapace, fraudolento, violento e avere molte qualita di le quali di
necessità lo facciano non buono; né possono gli uomini
che l'usano per arte, così i grandi come i minimi, essere
fatti altrimenti, perché questa arte non gli nutrisce nella
pace; donde che sono necessitati o pensare che non sia pace, o tanto
prevalersi ne' tempi della guerra, che possano nella pace nutrirsi. E
qualunque l'uno di questi due pensieri non cape in uno uomo buono;
perché dal volersi potere nutrire d'ogni tempo, nascono le
ruberie, le violenze, gli assassinamenti che tali soldati fanno così
agli amici come a' nimici; e dal non volere la pace nascono gli
inganni che i capitani fanno a quegli che gli conducono, perché
la guerra duri; e se pure la pace viene, spesso occorre che i capi,
sendo privi degli stipendi e del vivere, licenziosamente rizzano una
bandiera di ventura e sanza alcuna pietà saccheggiano una
provincia. Non avete voi nella memoria delle cose vostre come,
trovandosi assai soldati in Italia sanza soldo per essere finite le
guerre, si radunarono insieme più brigate, le quali si
chiamarono Compagnie, e andavano taglieggiando le terre e
saccheggiando il paese, sanza che vi si potesse fare alcuno rimedio?
Non avete voi letto che i soldati cartaginesi, finita la prima guerra
ch'egli ebbero co' Romani, sotto Mato e Spendio, due capi fatti
tumultuariamente da loro, ferono più pericolosa guerra a'
Cartaginesi che quella che loro avevano finita co' Romani? Ne' tempi
de' padri nostri, Francesco Sforza, per potere vivere onorevolmente
ne' tempi della pace, non solamente ingannò i Milanesi de'
quali era soldato, ma tolse loro la libertà e divenne loro
principe. Simili a costui sono stati tutti gli altri soldati di
Italia, che hanno usata la milizia per loro particolare arte; e se
non sono, mediante le loro malignita, diventati duchi di Milano,
tanto più meritano di essere biasimati, perché sanza
tanto utile hanno tutti, se si vedesse la vita loro, i medesimi
carichi. Sforza, padre di Francesco, costrinse la reina Giovanna a
gittarsi nelle braccia del re di Ragona avendola in un subito
abbandonata e in mezzo a' suoi nimici lasciatala disarmata, solo per
sfogare l'ambizione sua o di taglieggiarla o di torle il regno.
Braccio, con le medesime industrie, cercò di occupare il regno
di Napoli; e se non era rotto e morto a Aquila, gli riusciva. Simili
disordini non nascono da altro che da essere stati uomini che usavano
lo esercizio del soldo per loro propria arte. Non avete voi uno
proverbio il quale fortifica le mie ragioni, che dice: "La
guerra fa i ladri, e la pace gl'impicca?". Perché quegli
che non sanno vivere d'altro esercizio e in quello non trovando chi
gli sovvenga e non avendo tanta virtù che sappiano ridursi
insieme a fare una cattività onorevole, sono forzati dalla
necessità rompere la strada, e la giustizia è forzata
spegnerli.
Cosimo:
Voi m' avete fatto tornare questa arte del soldo
quasi che nulla, e io me la aveva presupposta la più
eccellente e la più onorevole che si facesse; in modo che, se
voi non me la dichiarate meglio, io non resto sodisfatto, perché,
quando sia quello che voi dite, io non so donde si nasca la gloria di
Cesare, di Pompeo, di Scipione, di Marcello, e di tanti capitani
romani che sono per fama celebrati come dii.
Fabrizio:
Io non ho ancora finito di
disputare tutto quello che io proposi, che furono due cose: L'una,
che uno uomo buono non poteva usare questo esercizio per sua arte;
L'altra, che una republica o uno regno bene ordinato non permesse mai
che i suoi suggetti o i suoi cittadini la usassono per arte. Circa la
prima ho parlato quanto mi è occorso: restami a parlare della
seconda, dove io verrò a rispondere a questa ultima domanda
vostra; e dico che Pompeo e Cesare, e quasi tutti quegli capitani che
furono a Roma dopo l'ultima guerra cartaginese, acquistarono fama
come valenti uomini, non come buoni; e quegli che erano vivuti avanti
a loro, acquistarono gloria come valenti e buoni. Il che nacque
perché questi non presero lo esercizio della guerra per loro
arte, e quegli che io nominai prima, come loro arte la usarono. E in
mentre che la republica visse immaculata, mai alcuno cittadino grande
non presunse, mediante tale esercizio, valersi nella pace, rompendo
le leggi, spogliando le provincie, usurpando e tiranneggiando la
patria e in ogni modo prevalendosi; né alcuno d'infima fortuna
pensò di violare il sacramento, aderirsi agli uomini privati,
non temere il senato, o seguire alcuno tirannico insulto per potere
vivere, con l'arte della guerra, d'ogni tempo. Ma quegli che erano
capitani, contenti del trionfo, con disiderio tornavono alla vita
privata; e quelli che erano membri, con maggior voglia deponevano le
armi che non le pigliavano; e ciascuno tornava all'arte sua mediante
la quale si aveva ordinata la vita; né vi fu mai alcuno che
sperasse con le prede e con questa arte potersi nutrire. Di questo se
ne può fare, quanto a' cittadini grandi, evidente coniettura
mediante Regolo Attilio; il quale, sendo capitano degli eserciti
romani in Affrica e avendo quasi che vinti i Cartaginesi, domandò
al senato licenza di ritornarsi a casa a custodire i suoi poderi che
gli erano guasti dai suoi lavoratori. Donde è più
chiaro che il sole, che, se quello avesse usata la guerra come sua
arte e, mediante quella, avesse pensato farsi utile, avendo in preda
tante provincie, non arebbe domandato licenza per tornare a custodire
i suoi campi; perché ciascuno giorno arebbe molto più,
che non era il prezzo di tutti quegli, acquistato. Ma perché
questi uomini buoni, e che non usano la guerra per loro arte, non
vogliono trarre di quella se non fatica, pericoli e gloria, quando e'
sono a sufficienza gloriosi disiderano tornarsi a casa e vivere
dell'arte loro. Quanto agli uomini bassi e soldati gregarii, che sia
vero che tenessono il medesimo ordine apparisce, Che ciascuno
volentieri si discostava da tale esercizio e, quando non militava,
arebbe voluto militare e, quando militava, arebbe voluto essere
licenziato. Il che si riscontra per molti modi, e massime vedendo
come, tra' primi privilegi che dava il popolo romano a un suo
cittadino, era che non fusse constretto fuora di sua volontà a
militare. Roma pertanto, mentre ch'ella fu bene ordinata (che fu
infino a' Gracchi) non ebbe alcuno soldato che pigliasse questo
esercizio per arte; e però ne ebbe pochi cattivi, e quelli
tanti furono severamente puniti. Debbe adunque una città bene
ordinata volere che questo studio di guerra si usi ne' tempi di pace
per esercizio e ne' tempi di guerra per necessità e per
gloria, e al publico solo lasciarla usare per arte, come fece Roma. E
qualunque cittadino che ha in tale esercizio altro fine, non è
buono; e qualunque città si governa altrimenti, non è
bene ordinata.
Cosimo:
o resto contento assai e sodisfatto di quello
che insino a qui avete detto, e piacemi assai questa conclusione che
voi avete fatta; e quanto si aspetta alla republica, io credo ch'ella
sia vera; ma quanto ai re, non so già, perché io
crederrei che uno re volesse avere intorno chi particolarmente
prendesse, per arte sua, tale esercizio.
Fabrizio:
Tanto più debbe uno regno
bene ordinato fuggire simili artefici. Perché solo essi sono
la corruttela del suo re e, in tutto, ministri della tirannide. E non
mi allegate all'incontro alcuno regno presente, perché io vi
negherò quelli essere regni bene ordinati. Perché i
regni che hanno buoni ordini, non danno lo imperio assoluto agli loro
re se non nelli eserciti; perché in questo luogo solo è
necessaria una subita diliberazione e, per questo, che vi sia una
unica podestà. Nell'altre cose non può fare alcuna cosa
sanza consiglio, e hanno a temere, quegli che lo consigliano, che gli
abbi alcuno appresso che ne' tempi di pace disideri la guerra, per
non potere sanza essa vivere. Ma io voglio in questo essere un poco
più largo, né ricercare uno regno al tutto buono, ma
simile a quegli che sono oggi; dove ancora da' re deono esser temuti
quegli che prendono per loro arte la guerra, perché il nervo
degli eserciti, sanza alcun dubbio, sono le fanterie. Tal che, se uno
re non si ordina in modo che i suoi fanti a tempo di pace stieno
contenti tornarsi a casa e vivere delle loro arti, conviene di
necessità che rovini; perché non si truova la più
pericolosa fanteria che quella che è composta di coloro che
fanno la guerra come per loro arte, perché tu sei forzato o a
fare sempre mai guerra, o a pagargli sempre, o a portare pericolo che
non ti tolgano il regno. Fare guerra sempre non è possibile;
pagargli sempre non si può; ecco che di necessità si
corre ne' pericoli di perdere lo stato. I miei Romani, come ho detto,
mentre che furono savi e buoni, mai non permessero che i loro
cittadini pigliassono questo esercizio per loro arte. Nonostante che
potessono nutrirgli d'ogni tempo, perché d'ogni tempo fecero
guerra. Ma per fuggire quel danno che poteva fare loro questo
continuo esercizio, poiché il tempo non variava, ei variavano
gli uomini, e andavano temporeggiando in modo con le loro legioni,
che in quindici anni sempre l'avevano rinnovate; e così si
valevano degli uomini nel fiore della loro età, che è
da' diciotto a' trentacinque anni, nel qual tempo le gambe, le mani e
l'occhio rispondevano l'uno all'altro; né aspettavano che in
loro scemasse le forze e crescesse la malizia, com'ella fece poi ne
tempi corrotti. Perché Ottaviano, prima, e poi Tiberio,
pensando più alla potenza propria che all'utile publico,
cominciarono a disarmare il popolo romano per poterlo più
facilmente comandare, e a tenere continuamente quegli medesimi
eserciti alle frontiere dello Imperio. E perché ancora non
giudicarono bastassero a tenere in freno il popolo e senato romano,
ordinarono uno esercito chiamato Pretoriano, il quale stava propinquo
alle mura di Roma ed era come una rocca addosso a quella città.
E perché allora ei cominciarono liberamente a permettere che
gli uomini deputati in quelli eserciti usassero la milizia per loro
arte, ne nacque subito la insolenza di quegli, e diventarono
formidabili al senato e dannosi allo imperadore; donde ne risultò
che molti ne furono morti dalla insolenza loro, perché davano
e toglievano l'imperio a chi pareva loro; e talvolta occorse che in
uno medesimo tempo erano molti imperadori creati da varii eserciti.
Dalle quali cose procedé, prima, la divisione dello Imperio e,
in ultimo, la rovina di quello. Deono pertanto i re, se vogliono
vivere sicuri, avere le loro fanterie composte di uomini che, quando
egli è tempo di fare guerra, volentieri per suo amore vadano a
quella, e, quando viene poi la pace, più volentieri se ne
ritornino a casa. Il che sempre fia, quando egli scerrà uomini
che sappiano vivere d'altra arte che di questa. E così debbe
volere, venuta la pace, che i suoi principi tornino a governare i
loro popoli, i gentili uomini al culto delle loro possessioni, e i
fanti alla loro particolare arte: e ciascuno d'essi faccia volentieri
la guerra per avere pace, e non cerchi turbare la pace per avere
guerra.
Cosimo:
Veramente questo vostro ragionamento mi pare
bene considerato; nondimeno, sendo quasi che contrario a quello che
io insino a ora ne ho pensato, non mi resta ancora l'animo purgato
d'ogni dubbio; perché io veggo assai signori e gentili uomini
nutrirsi a tempo di pace mediante gli studii della guerra, come sono
i pari vostri che hanno provvisioni dai principi e dalle comunità.
Veggo ancora quasi tutti gli uomini d'arme rimanere con le
provvisioni loro; veggo assai fanti restare nelle guardie delle città
e delle fortezze; tale che mi pare che ci sia luogo, a tempo di pace,
per ciascuno.
Fabrizio:
Io non credo che voi crediate
questo, che a tempo di pace ciascheduno abbia luogo; perché,
posto che non se ne potesse addurre altra ragione, il poco numero che
fanno tutti coloro che rimangono ne' luoghi allegati da voi, vi
risponderebbe: che proporzione hanno le fanterie che bisognano nella
guerra con quelle che nella pace si adoperano ? Perché le
fortezze e le città che si guardano a tempo di pace, nella
guerra si guardano molto più; a che si aggiungono i soldati
che Si tengono in campagna, che sono un numero grande, i quali tutti
nella pace si abbandonano. E circa le guardie degli stati, che sono
uno piccolo numero, papa Iulio e voi avete mostro a ciascuno quanto
sia da temere quegli che non vogliono sapere fare altra arte che la
guerra; e gli avete per la insolenza loro privi delle vostre guardie
e postovi Svizzeri, come nati e allevati sotto le leggi e eletti
dalle comunità, secondo la vera elezione; sì che non
dite più che nella pace sia luogo per ogni uomo. Quanto alle
genti d'arme, rimanendo quelle nella pace tutte con li loro soldi,
pare questa soluzione più difficile; nondimeno, chi considera
bene tutto, truova la risposta facile, perché questo modo del
tenere le genti d'arme è modo corrotto e non buono. La cagione
è perché sono uomini che ne fanno arte, e da loro
nascerebbe ogni dì mille inconvenienti nelli stati dove ei
fussono, se fussero accompagnati da compagnia sufficiente; ma sendo
pochi e non potendo per loro medesimi fare un esercito, non possono
fare così spesso danni gravi. Nondimeno ne hanno fatti assai
volte, come io vi dissi di Francesco e di Sforza, suo padre, e di
Braccio da Perugia. Sì che questa usanza di tenere le genti
d'arme, io non la appruovo, ed è corrotta e può fare
inconvenienti grandi.
Cosimo:
Vorresti voi fare sanza? O, tenendone, come le
vorresti tenere?
Fabrizio:
Per via d'ordinanza; non simile a
quella del re di Francia, perch'ella è pericolosa ed insolente
come la nostra, ma simile a quelle degli antichi; i quali creavano la
cavalleria di sudditi loro, e ne' tempi di pace gli mandavano alle
case loro a vivere delle loro arti, come più largamente, prima
finisca questo ragionamento, disputerò. Sì che, se ora
questa parte di esercito può vivere in tale esercizio, ancora
quando sia pace, nasce dall'ordine corrotto. Quanto alle provvisioni
che si riserbano a me e agli altri capi, vi dico che questo
medesimamente è uno ordine corrottissimo, perché una
savia republica non le debbe dare ad alcuno- anzi debbe operare per
capi, nella guerra, i suoi cittadini e, a tempo di pace, volere che
ritornino all'arte loro. Così ancora uno savio re o e' non le
debbe dare o, dandole, debbono essere le cagioni: o per premio di
alcuno egregio fatto, o per volersi valere d'uno uomo così
nella pace come nella guerra. E perché voi allegasti me, io
voglio esemplificare sopra di me; e dico non aver mai usata la guerra
per arte, perché l'arte mia è governare i miei sudditi
e defendergli, e, per potergli defendere, amare la pace e saper fare
la guerra. Ed il mio re non tanto mi premia e stima per intendermi io
della guerra, quanto per sapere io ancora consigliarlo nella pace.
Non debbe adunque alcuno re volere appresso di sé alcuno che
non sia così fatto, s'egli è savio e prudentemente si
voglia governare; perché, s'egli arà intorno, o troppi
amatori della pace, o troppi amatori della guerra, lo faranno errare.
Io non vi posso, in questo mio primo ragionamento e secondo le
proposte mie dire altro; e quando questo non vi basti conviene
cerchiate di chi vi sodisfaccia meglio. Potete bene avere cominciato
a conoscere quanta difficultà sia ridurre i modi antichi nelle
presenti guerre e quali preparazioni ad uno uomo savio conviene rare,
e quali occasioni si possa sperare a poterle esequire; ma voi di mano
in mano conoscerete queste cose meglio, quando non vi infastidisca il
ragionamento, conferendo qualunque parte degli antichi ordini ai modi
presenti.
Libro secondo
Io
credo che sia necessario, trovati che sono gli uomini, armargli; e
volendo fare questo, credo sia cosa necessaria esaminare che arme
usavano gli antichi, e di quelle eleggere le migliori. I Romani
dividevano le loro fanterie in gravemente e leggermente armate.
Quelle dell'armi leggieri chiamavano con uno vocabolo Veliti. Sotto
questo nome s'intendevano tutti quegli che traevano con la fromba,
con la balestra, co' dardi, e portavano la maggior parte di loro, per
loro difesa, coperto il capo e come una rotella in braccio.
Combattevano costoro fuora degli ordini e discosti alla grave
armadura; la quale era una celata che veniva infino in sulle spalle,
una corazza che con le sue falde perveniva infino alle ginocchia; e
avevano le gambe e le braccia coperte dagli stinieri e da' bracciali,
con uno scudo imbracciato lungo due braccia e largo uno, il quale
aveva un cerchio di ferro di sopra, per potere sostenere il colpo, e
un altro di sotto, acciò che, in terra stropicciandosi, non si
consumasse. Per offendere avevano cinta una spada in sul fianco
sinistro lunga uno braccio e mezzo, in sul fianco destro uno
stiletto. Avevano uno dardo in mano, il quale chiamavono pilo, e
nello appiccare la zuffa lo lanciavano al nimico. Questa era la
importanza delle armi romane, con le quali eglino occuparono tutto el
mondo. E benché alcuni di questi antichi scrittori dieno loro,
oltre alle predette armi, una asta in mano in modo che uno spiede, io
non so come una asta grave si possa da chi tiene lo scudo adoperare;
perché, a maneggiarla con due mani, lo scudo lo impedisce, con
una, non può fare cosa buona per la gravezza sua. Oltre a
questo, combattere nelle frotte e negli ordini con l'arme in asta è
inutile, eccetto che nella prima fronte dove si ha lo spazio libero a
potere spiegare tutta l'asta; il che negli ordini dentro non si può
fare, perché la natura delle battaglie, come nello ordine di
quelle vi dirò, è continuamente ristringersi; perché
si teme meno questo, ancora che sia inconveniente, che il
rallargarsi, dove è il pericolo evidentissimo. Tal che tutte
le armi che passano di lunghezza due braccia, nelle stretture sono
inutili; perché se voi avete l'asta e vogliate adoperarla a
due mani, posto che lo scudo non vi noiasse, non potete offendere con
quella uno nimico che vi sia addosso. Se voi la prendete con una
mano, per servirvi dello scudo, non la potendo pigliare se non nel
mezzo, vi avanza tanta asta dalla parte di dietro, che quelli che vi
sono di dietro v'impediscono a maneggiarla. E che sia vero, o che i
Romani non avessono queste aste, o che, avendole, se ne valessono
poco, leggete tutte le giornate nella sua Istoria da Tito Livio
celebrate, e vedrete, in quelle, radissime volte essere fatta
menzione delle aste; anzi sempre dice che, lanciati i pili, ei
mettevano mano alla spada. Però io voglio lasciare queste aste
e attenermi, quanto a' Romani, alla spada per offesa e, per difesa,
allo scudo con l'altre armi sopradette. I Greci non armavono sì
gravemente per difesa come i Romani, ma, per offesa, si fondavono più
in su l'asta che in su la spada; e massime le falangi di Macedonia,
le quali portavano aste che chiamavono sarisse, lunghe bene dieci
braccia, con le quali eglino aprivono le stiere nimiche e tenevano
gli ordini nelle loro falangi. E benché alcuni scrittori
dicono ch'egli avevano ancora lo scudo non so, per le ragioni dette
di sopra come e' potevano stare insieme le sarisse e quegli. Oltre a
questo, nella giornata che fece Paulo Emilio con Persa re di
Macedonia, non mi ricorda che vi sia fatta menzione di scudi, ma solo
delle sarisse e delle difficultà che ebbe lo esercito romano a
vincerle. In modo che io conietturo che non altrimenti fusse una
falange macedonica, che si sia oggi una battaglia di Svizzeri, i
quali hanno nelle picche tutto lo sforzo e tutta la potenza loro.
Ornavano i Romani, oltre alle armi, le fanterie con pennacchi, le
quali cose fanno l'aspetto d'uno esercito agli amici bello, a' nimici
terribile. L'armi degli uomini a cavallo, in quella prima antichità
romana, erano uno scudo tondo, ed avevano coperto il capo e il resto
era disarmato. Avevano la spada, e una asta con il ferro solamente
dinanzi, lunga e sottile, donde venivano a non potere fermare lo
scudo; e l'asta nello agitarsi si fiaccava, ed essi, per essere
disarmati, erano esposti alle ferite. Di poi con il tempo si armarono
come i fanti; ma avevano lo scudo più breve e quadrato e
l'asta più ferma e con due ferri, acciò che,
scollandosi da una parte, si potessero valere dell'altra. Con queste
armi, così di piede come di cavallo, occuparono i miei Romani
tutto il mondo; ed è credibile, per il frutto che se ne vide,
che fussono i meglio armati eserciti che fussero mai. E Tito Livio
nelle sue Istorie ne fa fede assai volte dove, venendo in
comparazione degli eserciti nimici, dice: "Ma i Romani per
virtù, per generazione di armi e disciplina erano superiori";
e però io ho più particolarmente ragionato delle armi
de' vincitori che de' vinti. Parmi bene solo da ragionare del modo
dello armare presente. Hanno i fanti, per loro difesa, uno petto di
ferro e, per offesa una lancia nove braccia lunga, la quale chiamano
picca, con una spada al fianco piuttosto tonda nella punta che acuta.
Questo è l'armare ordinario delle fanterie d'oggi, perché
pochi ne sono che abbiano armate le stiene e le braccia, niuno il
capo; e quelli pochi portano in cambio di picca una alabarda, l'asta
della quale, come sapete, è lunga tre braccia e ha il ferro
ritratto come una scure. Hanno tra loro scoppiettieri, i quali, con
lo impeto del fuoco, fanno quello ufficio che facevano anticamente i
funditori e i balestrieri. Questo modo dello armare fu trovato da'
populi tedeschi e massime dai Svizzeri; i quali, sendo poveri e
volendo vivere liberi, erano e sono necessitati combattere con la
ambizione de' principi della Magna; i quali, per essere ricchi,
potevano nutrire cavagli, il che non potevano fare quelli popoli per
la povertà; onde ne nacque che, essendo a piè e
volendosi difendere da' nimici che erano a cavallo, convenne loro
ricercare degli antichi ordini e trovare arme che dalla furia de'
cavagli gli difendesse. Questa necessità ha fatto o mantenere
o ritrovare a costoro gli antichi ordini, sanza quali, come ciascuno
prudente afferma la fanteria è al tutto inutile. Presono
pertanto per arme le picche, arme utilissima non solamente a
sostenere i cavagli, ma a vincergli. E hanno per virtù di
queste armi e di questi ordini presa i Tedeschi tanta audacia, che
quindici o ventimila di loro assalterebbero ogni gran numero di
cavagli; e di questo da venticinque anni in qua se ne sono vedute
esperienze assai. E sono stati tanto possenti gli esempli della virtù
loro fondati in su queste armi e questi ordini, che poi che il re
Carlo passò in Italia, ogni nazione gli ha imitati; tanto che
gli eserciti spagnuoli sono divenuti in una grandissima
reputazione.
Cosimo:
Quale modo di armare lodate voi più: o questo tedesco o lo
antico romano?
Fabrizio:
II romano sanza dubbio, e dirovvi il bene e il male dell'uno e
dell'altro. I fanti tedeschi così armati possono sostenere e
vincere i cavalli; sono più espediti al cammino e
all'ordinarsi, per non essere carichi d'armi. Dall'altra parte sono
esposti a tutti i colpi, e discosto e d'appresso, per essere
disarmati; sono inutili alle battaglie delle terre e ad ogni zuffa
dove sia gagliarda resistenza. Ma i Romani sostenevano e vincevano i
cavagli, come questi; erano securi da' colpi da presso e di lontano,
per essere coperti d'armi; potevano meglio urtare e meglio sostenere
gli urti, avendo gli scudi; potevano più attamente nelle
presse valersi con la spada~ che questi con la picca; e se ancora
hanno la spada, per essere sanza lo scudo. Ella diventa in tale caso
inutile. Potevano securamente assaltare le terre, avendo il capo
coperto e potendoselo meglio coprire con lo scudo. Talmente che ei
non avevano altra incommodità che la gravezza dell'armi e la
noia dello averie a condurre; le quali cose essi superavano con lo
avvezzare il corpo a' disagi e con indurirlo a potere durare fatica.
E voi sapete come nelle cose consuete gli uomini non patiscono. E
avete ad intendere questo: che le fanterie possono avere a combattere
con fanti e con cavagli. E sempre fieno inutili quelle che non
potranno o sostenere i cavagli, o potendoli sostenere, abbiano
nondimeno ad avere paura di fanterie che sieno meglio armate e meglio
ordinate che loro. Ora se voi considererete la fanteria tedesca e la
romana, voi troverrete nella tedesca attitudine, come abbiamo detto,
a vincere i cavagli, ma disavvantaggio grande quando combatte con una
fanteria ordinata come loro e armata come la romana. Tale che vi sarà
questo vantaggio dall'una all'altra: che i Romani potranno superare i
fanti e i cavagli, i Tedeschi solo i cavagli.
Cosimo:
Io disidererei che voi venissi a qualche esemplo più
particolare, acciò che noi lo intendessimo
meglio.
Fabrizio:
Dico così: che voi troverrete, in molti luoghi delle istorie
nostre, le fanterie romane avere vinti innumerabili cavagli, e mai
troverrete ch'elle siano state vinte da uomini a piè, per
difetto ch'ell'abbiano avuto nell'armare, o per vantaggio che abbia
avuto il nimico nell'armi. Perché, se il modo del loro armare
avesse avuto difetto, egli era necessario che seguisse l'una delle
due cose: o che, trovando chi armasse meglio di loro, ei non
andassono più avanti con gli acquisti, o che pigliassero
de'modi forestieri e lasciassero i loro. E perché non seguì
né l'una cosa né l'altra, ne nasce che si può
facilmente conietturare che il modo dell'armare loro fusse migliore
che quello di alcuno altro. Non è già così
intervenuto alle fanterie tedesche, perché si è visto
fare loro cattiva pruova qualunque volta quelle hanno avuto a
combattere con uomini a piè, ordinati e ostinati come loro, il
che è nato dal vantaggio che quelle hanno riscontro nelle armi
nimiche. Filippo Visconti, duca di Milano, essendo assaltato da
diciottomila Svizzeri, mandò loro incontro il conte
Carmignuola, il quale allora era suo capitano. Costui con seimila
cavagli e pochi fanti, gli andò a trovare, e, venendo con loro
alle mani, fu ributtato con suo danno gravissimo. Donde il
Carmignuola, come uomo prudente, subito conobbe la potenza dell'armi
nimiche, e quanto contro a' cavagli le prevalevano, e la debolezza
de' cavagli contro a quegli a piè così ordinati; e
rimesso insieme le sue genti, andò a ritrovare i Svizzeri e,
come fu loro propinquo, fece scendere da cavallo le sue genti d'armi;
e in tale maniera combattendo con quegli, tutti, fuora che tremila,
gli ammazzò; i quali, veggendosi consumare sanza avere
rimedio, gittate l'armi in terra, si arrenderono.
Cosimo:
Donde nasce tanto disavvantaggio?
Fabrizio:
Io ve l' ho poco fa detto; ma poiché voi non lo
avete inteso, io ve lo replicherò. Le fanterie tedesche, come
poco fa vi si disse, quasi disarmate per difendersi, hanno, per
offendere, la picca e la spada. Vengono con queste armi e con gli
loro ordini a trovare il nimico, il quale, se è bene armato
per difendersi, come erano gli uomini d'arme del Carmignuola che gli
fece scendere a piè, viene con la spada e ne' suoi ordini a
trovargli; e non ha altra difficultà che accostarsi a'
Svizzeri tanto che gli aggiunga con la spada; perché, come gli
ha aggiunti, li combatte securamente, perché il tedesco non
può dare con la picca al nimico che gli è presso per la
lunghezza della asta, e gli conviene mettere mano alla spada, la
quale è a lui inutile, sendo egli disarmato e avendo
all'incontro uno nimico che sia tutto armato. Donde chi considera il
vantaggio e il disavvantaggio dell'uno e dell'altro, vedrà
come il disarmato non vi avrà rimedio veruno; e il vincere la
prima punga e passare le prime punte delle picche non è molta
difficultà, sendo bene armato chi le combatte; perché
le battaglie vanno (come voi intenderete meglio, quando io vi arò
dimostro com'elle si mettono insieme) e, andando, di necessità
si accostano in modo l'una all'altra, ch'elle si pigliano per il
petto; e se dalle picche ne è alcuno morto o gittato per
terra, quegli che rimangono in piè sono tanti che bastano alla
vittoria. Di qui nacque che il Carmignuola vinse con tanta strage de'
Svizzeri e con poca perdita de' suoi.
Cosimo:
Considerate che quegli del Carmignuola furono uomini
d'arme, i quali, benché fussero a piè, erano coperti
tutti di ferro, e però poterono fare la pruova che fecero; sì
che io mi penso che bisognasse armare una fanteria come loro, volendo
fare la medesima pruova.
Fabrizio:
Se voi vi ricordassi come io dissi che i Romani
armavano, voi non penseresti a cotesto; perché uno fante che
abbia il capo coperto dal ferro, il petto difeso dalla corazza e
dallo scudo le gambe e le braccia armate, è molto più
atto a difendersi dalle picche ed entrare tra loro, che non è
uno uomo d'arme a piè. Io ne voglio dare un poco di esemplo
moderno. Erano scese di Sicilia nel regno di Napoli fanterie
spagnuole, per andare a trovare Consalvo che era assediato in
Barletta da' Franzesi. Fecesi loro incontro monsignore d'Ubignì
con le sue genti d'arme e con circa quattromila fanti tedeschi.
Vennero alle mani i Tedeschi. Con le loro picche basse apersero le
fanterie spagnuole; ma quelle, aiutate da' loro brocchieri e
dall'agilità del corpo loro, si mescolarono con i Tedeschi,
tanto che gli poterono aggiugnere con la spada; donde ne nacque la
morte, quasi, di tutti quegli e la vittoria degli Spagnuoli. Ciascuno
sa quanti fanti tedeschi morirono nella giornata di Ravenna; il che
nacque dalle medesime cagioni: perché le fanterie spagnuole si
accostarono al tiro della spada alle fanterie tedesche, e le arebbero
consumate tutte, se da' cavagli franzesi non fussero i fanti tedeschi
stati soccorsi; nondimeno gli Spagnuoli, stretti Insieme, si
ridussero in luogo securo. Concludo, adunque, che una buona fanteria
dee non solamente potere sostenere i cavagli, ma non avere paura de'
fanti; il che, come ho molte volte detto procede dall'armi e
dall'ordine.
Cosimo:
Dite, pertanto, come voi l'armeresti.
Fabrizio:
Prenderei delle armi romane e delle tedesche, e vorrei
che la metà fussero armati come i Romani e l'altra metà
come i Tedeschi. Perché, se in seimila fanti, come io vi dirò
poco di poi, io avessi tremila fanti con gli scudi alla romana e
dumila picche e mille scoppiettieri alla tedesca, mi basterebbono;
perché io porrei le picche o nella fronte delle battaglie, o
dove io temessi più de' cavaglì; e di quelli dello
scudo e della spada mi servirei per fare spalle alle picche e per
vincere la giornata, come io vi mostrerò. Tanto che io
crederrei che una fanteria così ordinata superasse oggi ogni
altra fanteria.
Cosimo:
Questo che è detto ci basta quanto alle fanterie, ma quanto a'
cavagli disideriamo intendere quale vi pare più gagliardo
armare, o il nostro o l'antico?
Fabrizio:
Io credo che in questi tempi, rispetto alle selle
arcionate e alle staffe non usate dagli antichi, si stia più
gagliardamente a cavallo che allora. Credo che si armi anche più
sicuro, tale che oggi uno squadrone di uomini d'arme, pesando assai,
viene ad essere con più difficultà sostenuto che non
erano gli antichi cavagli. Con tutto questo nondimeno, io giudico che
non si debba tenere più conto de' cavagli, che anticamente se
ne tenesse; perché, come di sopra si è detto, molte
volte ne' tempi nostri hanno con i fanti ricevuta vergogna, e la
riceveranno, sempre che riscontrino una fanteria armata e ordinata
come di sopra. Aveva Tigrane, re d'Armenia, contro allo esercito
romano del quale era capitano Lucullo, cento cinquantamila cavagli,
tra li quali erano molti armati come gli uomini d'arme nostri, i
quali chiamavano catafratti; e dall'altra parte i Romani non
aggiugnevano a seimila, con venticinquemila fanti, tanto che Tigrane,
veggendo l'esercito de' nimici disse: - Questi sono cavagli assai per
una ambasceria; - nondimeno, venuto alle mani, fu rotto. E chi scrive
quella zuffa vilipende quelli catafratti mostrandogli inutili, perché
dice che, per avere coperto il viso, erano poco atti a vedere e
offendere il nimico e, per essere aggravati dall'armi, non potevano,
cadendo, rizzarsi né della persona loro in alcuna maniera
valersi. Dico, pertanto, che quegli popoli, o regni, che istimeranno
più la cavalleria che la fanteria, sempre fieno deboli ed
esposti a ogni rovina, come si è veduta l'Italia ne' tempi
nostri; la quale è stata predata, rovinata e corsa da'
forestieri, non per altro peccato che per avere tenuta poca cura
della milizia di piè, ed essersi ridotti i soldati suoi tutti
a cavallo. Debbesi bene avere de' cavagli, ma per secondo e non per
primo fondamento dello esercito suo; perché, a fare scoperte,
a correre e guastare il paese nimico, a tenere tribolato e infestato
l'esercito di quello e in sull'armi sempre, a impedirgli le
vettovaglie, sono necessarii e utilissimi; ma, quanto alle giornate e
alle zuffe campali che sono la importanza della guerra e il fine a
che si ordinano gli eserciti, sono più utili a seguire il
nimico, rotto ch'egli è, che a fare alcuna altra cosa che in
quelle si operi, e sono alla virtù del peditato assai
inferiori.
Cosimo:
E' mi occororno due dubitatazioni; l'una, che io so che i Parti non
operavano in guerra altro che i cavagli, e pure si divisono il mondo
con i Romani; l'altra, che io vorrei che voi mi dicessi come la
cavalleria puote essere sostenuta da' fanti, e donde nasca la virtù
di questi e la debolezza di quella.
Fabrizio:
O io vi ho detto, o io vi ho voluto dire, come il
ragionamento mio delle cose della guerra non ha a passare i termini
d'Europa. Quando così sia, io non vi sono obligato a rendere
ragione di quello che si è costumato in Asia. Pure io v'ho a
dire questo: che la milizia de' Parti era al tutto contraria a quella
de' Romani, perché i Parti militavano tutti a cavallo e, nel
combattere procedevano confusi e rotti- ed era uno modo di combattere
instabile e pieno di incertitudine. I Romani erano, si può
dire, quasi tutti a piè e combattevano stretti insieme e
saldi; e vinsono variamente l'uno l'altro secondo il sito largo o
stretto; perché, in questo, i Romani erano superiori, in
quello, i Parti; i quali poterono fare gran pruove con quella
milizia, rispetto alla regione che loro avevano a difendere; la quale
era larghissima, perché ha le marine lontane mille miglia, i
fiumi l'uno dall'altro due o tre giornate, le terre medesimamente e
gli abitatori radi; di modo che uno esercito romano, grave e tardo
per l'armi e per l'ordine, non poteva cavalcarlo sanza suo grave
danno, per essere chi lo difendeva a cavallo ed espeditissimo; in
modo ch'egli era oggi in uno luogo, e domani discosto cinquanta
miglia; di qui nacque, che i Parti poterono prevalersi con la
cavalleria sola, e la rovina dell'esercito di Crasso e i pericoli di
quello di Marco Antonio. Ma io, come v'ho detto, non intendo in
questo mio ragionamento parlare della milizia fuora d'Europa; però
voglio stare in su quello che ordinarono già i Romani e i
Greci, e oggi fanno i Tedeschi. Ma vegnamo all'altra domanda vostra,
dove voi disiderate intendere quale ordine o quale virtù
naturale fa che i fanti superano la cavalleria. E vi dico, in prima,
come i cavagli non possono andare, come i fanti, in ogni luogo. Sono
più tardi a ubbidire, quando occorre variare l'ordine che i
fanti; perché, s'egli è bisogno o andando avanti
tornare indietro, o tornando indietro andare avanti, o muoversi
stando fermi, o andando fermarsi, sanza dubbio non lo possono così
appunto fare i cavagli come i fanti. Non possono i cavagli, sendo da
qualche impeto disordinati, ritornare negli ordini se non con
difficultà, ancora che quello impeto manchi; il che rattissimo
fanno i fanti. Occorre, oltre a questo, molte volte, che uno uomo
animoso sarà sopra uno cavallo vile e uno vile sopra uno
animoso; donde conviene che queste disparità di d'animo
facciano disordine. Né alcuno si maravigli che uno nodo di
fanti sostenga ogni impeto di cavagli, perché il cavallo è
animale sensato e conosce i pericoli e male volentieri vi entra. E se
considererete quali forze lo facciano andar avanti e quali lo tengano
indietro, vedrete sanza dubbio essere maggiori quelle che lo
ritengono che quelle che lo spingono; perché innanzi lo fa
andar lo sprone, e dall'altra banda lo ritiene o la spada o la picca.
Tale che si è visto per le antiche e per le moderne esperienze
un nodo di fanti essere securissimo, anzi insuperabile da'cavagli. E
se voi arguissi a questo che la foga con la quale viene, lo fa più
furioso a urtare chi lo volesse sostenere, meno stimare la picca che
lo sprone, dico che, se il cavallo discosto comincia a vedere di
avere a percuotere nelle punte delle picche, o per se stesso egli
raffrenerà il corso, di modo che come egli si sentirà
pugnere si fermerà affatto, o, giunto a quelle, si volterà
a destra o a sinistra. Di che se volete fare esperienza, provate a
correre un cavallo contro a un muro; radi ne troverrete che, con
quale vi vogliate foga, vi dieno dentro. Cesare, avendo in Francia a
combattere con i Svizzeri, scese e fece scendere ciascuno a piè
e rimuovere dalla schiera i cavagli, come cosa più atta a
fuggire che a combattere. Ma, nonostante questi naturali impedimenti
che hanno i cavagli, quello capitano che conduce i fanti, debbe
eleggere vie che abbiano per i cavagli più impedimenti si può;
e rado occorrerà che l'uomo non possa assicurarsi per la
qualità del paese. Perché, se si cammina per le
colline, il sito ti libera da quelle foghe di che voi dubitate; se si
va per il piano, radi piani sono che, per le colture o per li boschi,
non ti assicurino; perché ogni macchia, ogni argine, ancora
debole, toglie quella foga, e ogni coltura, dove sia vigne e altri
arbori, impedisce i cavagli. E se tu vieni a giornata, quello
medesimo ti interviene che camminando, perché ogni poco di
impedimento che il cavallo abbia perde la foga sua. Una cosa
nondimeno non voglio scordare di dirvi: come i Romani istimavano
tanto i loro ordini e confidavono tanto nelle loro armi, che se gli
avessono avuto ad eleggere o un luogo sì aspro per guardarsi
dai cavagli, dove ei non avessono potuti spiegare gli ordini loro, o
uno dove avessono avuto a temere più de' cavagli, ma vi si
fussono potuti distendere, sempre prendevano questo e lasciavano
quello. Ma perch'egli è tempo passare allo esercizio, avendo
armate queste fanterie secondo lo antico e moderno uso, vedreno quali
esercizi facevano loro fare i Romani, avanti che le fanterie si
conduchino a fare giornata. Ancora ch'elle siano bene elette e meglio
armate, si deono con grandissimo studio esercitare, perché
sanza questo esercizio mai soldato alcuno non fu buono. Deono essere
questi esercizi tripartiti: l'uno, per indurare il corpo e farlo atto
a' disagi e più veloce e più destro; l'altro, per
imparare ad operare l'armi; il terzo, per imparare ad osservare gli
ordini negli eserciti, così nel camminare, come nel combattere
e nello alloggiare. Le quali sono le tre principali azioni che faccia
uno esercito perché, se uno esercito cammina, alloggia e
combatte ordinatamente e praticamente, il capitano ne riporta l'onore
suo ancora che la giornata avesse non buono fine. Hanno pertanto a
questi esercizi tutte le republiche antiche provvisto in modo, per
costume e per legge, che non se ne lasciava indietro alcuna parte.
Esercitavano adunque la loro gioventù per fargli veloci nel
correre, per fargli destri nel saltare, per fargli forti a trarre il
palo o a fare alle braccia. E queste tre qualità sono quasi
che necessarie in uno soldato; perché la velocità lo fa
atto a preoccupare i luoghi al nimico, a giugnerlo insperato e
inaspettato, a seguitarlo quando egli è rotto. La destrezza lo
fa atto a schifare il colpo, a saltare una fossa, a superare uno
argine. La fortezza lo fa meglio portare l'armi, urtare il nimico,
sostenere uno impeto. E sopratutto, per fare il corpo più atto
a'disagi, si avvezzavano a portare gran pesi. La quale consuetudine è
necessaria, perché nelle espedizioni difficili conviene molte
volte che il soldato, oltre all'armi, porti da vivere per più
giorni; e se non fusse assuefatto a questa fatica non potrebbe farlo;
e per questo o e' non si potrebbe fuggire uno pericolo o acquistare
con fama una vittoria. Quanto a imparare ad operare l'armi, gli
esercitavano in questo modo. Volevano che i giovani si vestissero
armi che pesassero più il doppio che le vere, e per spada
davano loro uno bastone piombato il quale, a comparazione di quella,
era gravissimo. Facevano a ciascuno di loro ficcare uno palo in terra
che rimanesse alto tre braccia, e in modo gagliardo, che i colpi non
lo fiaccassero o atterrassono; contro al quale palo il giovane con lo
scudo e col bastone, come contro a uno nimico, si esercitava; e ora
gli tirava come se gli volesse ferire la testa o la faccia, ora come
se lo volesse percuotere per fianco, ora per le gambe, ora si tirava
indietro, ora si faceva innanzi. E avevano, in questo esercizio,
questa avvertenza; di farsi atti a coprire sé e ferire il
nimico; e avendo l'armi finte gravissime, parevano di poi loro le
vere più leggieri. Volevano i Romani che i loro soldati
ferissono di punta e non di taglio, sì per essere il colpo più
mortale e avere manco difesa, sì per scoprirsi meno chi
ferisse ed essere più atto a raddoppiarsi che il taglio. Né
vi maravigliate che quegli antichi pensassero a queste cose minime,
perché, dove si ragiona che gli uomini abbiano a venire alle
mani, ogni piccolo vantaggio è di gran momento; e io vi
ricordo quello che di questo gli scrittori ne dicano, piuttosto che
io ve lo insegni. Né istimavano gli antichi cosa più
felice in una republica, che essere in quella assai uomini esercitati
nell'armi; perché non lo splendore delle gemme e dell'oro fa
che i nimici ti si sottomettono, ma solo il timore dell'armi. Di poi
gli errori che si fanno nell'altre cose, si possono qualche volta
correggere; ma quegli che si fanno nella guerra, sopravvenendo subito
la pena, non si possono emendare. Oltre a questo, il sapere
combattere fa gli uomini più audaci, perché niuno teme
di fare quelle cose che gli pare avere imparato a fare. Volevano
pertanto gli antichi che i loro cittadini si esercitassono in ogni
bellicazione, e facevano trarre loro, contro a quel palo, dardi più
gravi che i veri; il quale esercizio, oltre al fare gli uomini
esperti nel trarre, fa ancora le braccia più snodate e più
forti. Insegnavano ancora loro trarre con l'arco, con la fromba, e a
tutte queste cose avevano preposti maestri, in modo che poi, quando
egli erano eletti per andare alla guerra, egli erano già con
l'animo e con la disposizione soldati. Né restava loro ad
imparare altro che andare negli ordini e mantenersi in quegli, o
camminando o combattendo; il che facilmente imparavano, mescolandosi
con quegli che, per avere più tempo militato, sapevano stare
negli ordini.
Cosimo:
Quali esercizi faresti voi fare loro al presente?
Fabrizio:
Assai di quegli che si sono detti, come: correre e
fare alle braccia, fargli saltare, fargli affaticare sotto armi più
gravi che l'ordinarie, fargli trarre con la balestra e con l'arco; a
che aggiugnerei lo scoppietto, istrumento nuovo, come voi sapete, e
necessario. E a questi esercizi assuefarei tutta la gioventù
del mio stato, ma, con maggiore industria e più sollecitudine,
quella parte che io avessi descritta per militare; e sempre ne'
giorni oziosi si eserciterebbero. Vorrei ancora ch'egl'imparassino a
notare; il che è cosa molto utile, perché non sempre
sono i ponti a' fiumi, non sempre sono parati i navigli; tale che,
non sapendo il tuo esercito notare, resti privo di molte commodità,
e ti si tolgono molte occasioni al bene operare. I Romani non per
altro avevano ordinato che i giovani si esercitassero in Campo
Marzio, se non perché, avendo propinquo il Tevere, potessero,
affaticati nello esercizio di terra, ristorarsi nella acqua e parte,
nel notare, esercitarsi. Farei ancora, come gli antichi, esercitare
quegli che militassono a cavallo; il che è necessarissimo,
perché, oltre al sapere cavalcare, sappiano a cavallo valersi
di loro medesimi. E per questo avevano ordinati cavagli di legno,
sopr'alli quali si addestravano, saltandovi sopra armati e disarmati,
sanza alcuno aiuto e da ogni mano; il che faceva che ad un tratto e
ad un cenno d'uno capitano la cavalleria era a piè, e così
ad un cenno rimontava a cavallo. E tali esercizi, e di piè e
di cavallo, come allora erano facili, così ora non sarebbero
difficili a quella republica o a quel principe che volesse farli
mettere in pratica alla sua gioventù, come per esperienza si
vede in alcune città di Ponente dove si tengono vivi simili
modi con questo ordine. Dividono quelle tutti i loro abitanti in
varie parti, e ogni parte nominano da una generazione di quell'armi
che egli usano in guerra. E perché egli usano picche,
alabarde, archi e scoppietti, chiamano quelle; picchieri,
alabardieri, scoppiettieri e arcieri. Conviene, adunque, a tutti gli
abitanti dichiararsi in quale ordine voglia essere descritto. E
perché tutti, o per vecchiezza o per altri impedimenti, non
sono atti alla guerra, fanno di ciascuno ordine una scelta, e gli
chiamano i Giurati; i quali ne'giorni oziosi sono obligati a
esercitarsi in quell'armi dalle quali sono nominati. E ha ciascuno il
luogo suo deputato dal publico, dove tale esercizio si debba fare; e
quelli che sono di quello ordine, ma non de' Giurati, concorrono con
i danari a quelle spese che in tale esercizio sono necessarie. Quello
pertanto che fanno loro, potremmo fare noi; ma la nostra poca
prudenza non lascia pigliare alcuno buono partito. Da questi esercizi
nasceva che gli antichi avevano buone fanterie e che ora quegli di
Ponente sono migliori fanti che i nostri; perché gli antichi
gli esercitavano, o a casa, come facevano quelle republiche, o negli
eserciti, come facevano quegli imperadori, per le cagioni che di
sopra si dissono. Ma noi a casa esercitare non li vogliamo; in campo
non possiamo, per non essere nostri suggetti e non gli potere
obligare ad altri esercizi che per loro medesimi si vogliono. La
quale cagione ha fatto che si sono straccurati prima gli esercizi e
poi gli ordini, e che i regni e le republiche, massime italiane,
vivono in tanta debolezza. Ma torniamo all'ordine nostro; e,
seguitando questa materia degli esercizi, dico come non basta a far
buoni eserciti avere indurati gli uomini, fattigli gagliardi, veloci
e destri, ché bisogna ancora ch'egli imparino a stare negli
ordini, a ubbidire a' segni, a' suoni e alle voci del capitano, e
sapere, stando, ritirandosi, andando innanzi, combattendo e
camminando, mantenere quegli; perché sanza questa disciplina,
con ogni accurata diligenza osservata e praticata, mai esercito non
fu buono. E sanza dubbio gli uomini feroci e disordinati sono molto
più deboli che i timidi e ordinati; perché l'ordine
caccia dagli uomini il timore, il disordine scema la ferocia. E
perché voi intendiate meglio quello che di sotto si dirà,
voi avete a intendere come ogni nazione, nell'ordinare gli uomini
suoi alla guerra, ha fatto nell'esercito suo, ovvero nella sua
milizia uno membro principale; il quale, se l'hanno variato con il
nome, l'hanno poco variato con il numero degli uomini, perché
tutti l'hanno composto di sei in ottomila uomini. Questo membro da'
Romani fu chiamato legione, da' Greci falange, dai Franzesi caterva.
Questo medesimo ne' nostri tempi da' Svizzeri, i quali soli
dell'antica milizia ritengono alcuna ombra, è chiamato in loro
lingua quello che in nostra significa battaglione. Vero è che
ciascuno l'ha poi diviso in varie battaglie e a suo proposito
ordinato. Parmi, adunque, che noi fondiamo il nostro parlare in su
questo nome come più noto, e di poi, secondo gli antichi e
moderni ordini, il meglio che è possibile, ordinarlo. E perché
i Romani dividevano la loro legione, che era composta di cinque in
seimila uomini, in dieci coorti, io voglio che noi dividiamo il
nostro battaglione in dieci battaglie e lo componiamo di seimila
uomini di piè; e dareno a ogni battaglia quattrocentocinquanta
uomini, de' quali ne sieno quattrocento armati d'armi gravi e
cinquanta d'armi leggieri. L'armi gravi sieno trecento scudi con le
spade, e chiaminsi scudati; e cento con le picche, e chiaminsi picche
ordinarie; l'armi leggieri sieno cinquanta fanti armati di
scoppietti, balestra e partigiane e rotelle e questi da uno nome
antico si chiamino veliti ordinarii. Tutte le dieci battaglie
pertanto vengono ad avere tremila scudati, mille picche ordinarie e
cinquecento veliti ordinarii; i quali tutti fanno il numero di
quattromila cinquecento fanti. E noi diciamo che vogliamo fare il
battaglione di seimila, però bisogna aggiugnere altri mille
cinquecento fanti, de' quali ne farei mille con le picche, le quali
chiamerei picche estraordinarie, e cinquecento armati alla leggiera,
i quali chiamerei veliti estraordinarii. E così verrebbero le
mie fanterie, secondo che poco fa dissi, a essere composte mezze di
scudi e mezze fra picche e altre armi. Preporrei a ogni battaglia uno
connestabole, quattro centurioni e quaranta capidieci; e di più
un capo a' veliti ordinarii, con cinque capidieci. Darei alle mille
picche estraordinarie tre connestaboli, dieci centurioni e cento
capidieci; a' veliti estraordinarii due connestaboli, cinque
centurioni e cinquanta capidieci. Ordinerei di poi un capo generale
di tutto il battaglione. Vorrei che ciascuno connestabole avesse la
bandiera e il suono. Sarebbe pertanto composto uno battaglione di
dieci battaglie, di tremila scudati, di mille picche ordinarie, di
mille estraordinarie, di cinquecento veliti ordinarii, di cinquecento
estraordinarii; e così verrebbero ad essere seimila fanti, tra
quali sarebbero mille cinquecento capidieci e, di più,
quindici connestaboli con quindici suoni e quindici bandiere,
cinquantacinque centurioni, dieci capi de' veliti ordinarii, e uno
capitano di tutto il battaglione con la sua bandiera e con il suo
suono. E vi ho volentieri replicato questo ordine più volte,
acciò che poi, quando io vi mostrerò i modi
dell'ordinare le battaglie e gli eserciti, voi non vi confondiate.
Dico, pertanto, come quel re o quella republica dovrebbe quegli suoi
sudditi ch'ella volesse ordinare all'armi, ordinargli con queste armi
e con queste parti, e fare nel suo paese tanti battaglioni di quanti
fusse capace E quando gli avesse ordinati secondo la sopradetta
distribuzione, volendogli esercitare negli ordini, basterebbe
esercitargli battaglia per battaglia. E benché il numero degli
uomini di ciascuna di esse non possa per sé fare forma d'uno
giusto esercito, nondimeno può ciascuno uomo imparare a fare
quello che s'appartiene a lui particolarmente; perché negli
eserciti si osserva due ordini: l'uno, quello che deono fare gli
uomini in ciascuna battaglia, e l'altro, quello che di poi debbe fare
la battaglia quando è coll'altre in uno esercito. E quelli
uomini che fanno bene il primo, facilmente osservano il secondo; ma,
sanza sapere quello, non si può mai alla disciplina del
secondo pervenire. Possono, adunque, come ho detto, ciascuna di
queste battaglie da per sé imparare a tenere l'ordine delle
file in ogni qualità di moto e di luogo e, di poi, a sapere
mettersi insieme, intendere il suono mediante il quale nelle zuffe si
comanda sapere cognoscere da quello, come i galeotti dal fischio,
quanto abbiano a fare o a stare saldi, o gire avanti, o tornare
indietro, o dove rivolgere l'armi e il volto. In modo che, sappiendo
tenere bene le file, talmente che né luogo né moto le
disordinino, intendendo bene i comandamenti del capo mediante il
suono e sappiendo di subito ritornare nel suo luogo, possono poi
facilmente, come io dissi, queste battaglie, sendone ridotte assai
insieme, imparare a fare quello che tutto il corpo loro è
obligato, insieme con l'altre battaglie, in un esercito giusto
operare. E perché tale pratica universale ancora non è
da istimare poco, si potrebbe una volta o due l'anno, quando fusse
pace, ridurre tutto il battaglione insieme e dargli forma d'uno
esercito intero, esercitandogli alcuni giorni come se si avesse a
fare giornata, ponendo la fronte, i fianchi e i sussidi ne' luoghi
loro. E perché uno capitano ordina il suo esercito alla
giornata, o per conto del nimico che vede o per quello del quale
sanza vederlo dubita, si debbe esercitare il suo esercito nell'uno
modo e nell'altro, e istruirlo in modo che possa camminare e, se il
bisogno lo ricercasse, combattere, mostrando a' tuoi soldati, quando
fussero assaltati da questa o da quella banda, come si avessero a
governare. E quando lo istruisse da combattere contro al nimico che
vedessono, mostrar loro come la zuffa s'appicca, dove si abbiano a
ritirare sendo ributtati, chi abbi a succedere in luogo loro a che
segni, a che suoni, a che voci debbano ubbidire, e praticarvegli in
modo, con le battaglie e con gli assalti finti ch'egli abbiano a
disiderare i veri. Perché lo esercito animoso non lo fa per
essere in quello uomini animosi, ma lo esservi ordini bene ordinati,
perché se Io sono de primi combattitori, e lo sappia, sendo
superato, dove io m'abbia a ritirare e chi abbia a succedere nel
luogo mio, sempre combatterò con animo, veggendomi il soccorso
propinquo. Se io sarò de' secondi combattitori, lo essere
spinti e ributtati i primi non mi sbigottirà, perché io
mi arò presupposto che possa essere e l'arò disiderato,
per essere quello che dia la vittoria al mio padrone, e non sieno
quegli. Questi esercizi sono necessarissimi dove si faccia uno
esercito di nuovo; e dove sia lo esercito vecchio sono necessarii,
perché si vede come, ancora che i Romani sapessero da
fanciugli l'ordine degli eserciti loro, nondimeno quegli capitani,
avanti che venissero al nimico, continuamente gli esercitavano in
quegli. E Iòsafo nella sua Istoria dice che i continui
esercizi degli eserciti romani facevano che tutta quella turba che
segue il campo per guadagni, era, nelle giornate, utile; perché
tutti sapevano stare negli ordini e combattere servando quelli. Ma
negli eserciti d'uomini nuovi, o che tu abbi messi insieme per
combattere allora, o che tu ne faccia ordinanza per combattere con il
tempo, sanza questi esercizi, così delle battaglie di per sé,
come di tutto l'esercito, è fatto nulla; perché, sendo
necessarii gli ordini, conviene con doppia industria e fatica
mostrargli a chi non gli sa, che mantenergli a chi gli sa, come si
vede che per mantenergli e per insegnargli molti capitani eccellenti
si sono sanza alcuno rispetto affaticati.
Libro terzo
Cosimo:
Poiché noi mutiamo ragionámento, io voglio che
si muti domandatore, perché io non vorrei essere tenuto
presuntuoso; il che sempre ho biasimato negli altri. Però io
depongo la dittatura, e do questa autorità a chi la vuole di
questi altri miei amici.
Zanobi:
E' ci era gratissimo che voi seguitassi; pure, poiché
voi non volete dite almeno quale di noi dee succedere nel luogo
vostro.
Cosimo: Io
voglio dare questo carico al signore.
Fabrizio:
Io sono contento prenderlo, e voglio che noi seguitiamo il
costume viniziano: che il più giovane parli prima, perché,
sendo questo esercizio da giovani, mi persuado che i giovani sieno
più atti a ragionarne, come essi sono più pronti a
esequirlo.
Cosimo: Adunque
e' tocca a voi, Luigi. E come io ho piacere di tale successore, così
voi vi sodisfarete di tale domandatore. Però vi priego
torniamo alla materia e non perdiamo più tempo.
Fabrizio:
Io son certo che, a volere dimostrare bene come si ordina uno
esercito per far la giornata, sarebbe necessario narrare come i Greci
e i Romani ordinavano le schiere negli loro eserciti. Nondimeno,
potendo voi medesimi leggere e considerare queste cose mediante gli
scrittori antichi, lascerò molti particolari indietro, e solo
ne addurrò quelle cose che di loro mi pare necessario imitare,
a volere ne' nostri tempi dare alla milizia nostra qualche parte di
perfezione. Il che farà che in uno tempo io mostrerò
come uno esercito si ordini alla giornata, e come si affronti nelle
vere zuffe, e come si possa esercitarlo nelle finte. Il maggiore
disordine che facciano coloro che ordinano uno esercito alla
giornata, è dargli solo una fronte e obligarlo a uno impeto e
una fortuna. Il che nasce dallo avere perduto il modo che tenevano
gli antichi a ricevere l'una schiera nell'altra; perché, sanza
questo modo, non si può né sovvenire a' primi, né
difendergli, né succedere nella zuffa in loro scambio; il che
da' Romani era ottimamente osservato. Per volere adunque mostrare
questo modo, dico come i Romani avevano tripartita ciascuna legione
in astati, principi e triarii; de'quali, gli astati erano messi nella
prima fronte dello esercito con gli ordini spessi e fermi; dietro
a'quali erano i principi ma posti con gli loro ordini più
radi: dopo questi mettevano i triarii, e con tanta radità di
ordini che potessono, bisognando, ricevere tra loro i principi e gli
astati. Avevano, oltre a questi, i funditori e i balestrieri e gli
altri armati alla leggiera; i quali non stavano in questi ordini, ma
li collocavano nella testa dello esercito tra li cavagli e i fanti.
Questi, adunque, leggermente armati appiccavano la zuffa; se
vincevano, il che occorreva rade volte, essi seguivano la vittoria;
se erano ributtati, si ritiravano per i fianchi dello esercito o per
gli intervalli a tale effetto ordinati, e si riducevano tra'
disarmati. Dopo la partita de' quali venivano alle mani con il nimico
gli astati; i quali, se si vedevano superare, si ritiravano a poco a
poco per la radità degli ordini tra' principi e, insieme con
quegli, rinnovavano la zuffa. Se questi ancora erano sforzati, si
ritiravano tutti nella radità degli ordini de' triarii e,
tutti insieme, fatto uno mucchio, ricominciavano la zuffa; e se
questi la perdevano, non vi era più rimedio, perché non
vi restava più modo a rifarsi. I cavagli stavano sopra alli
canti dello esercito, posti a similitudine di due alie a uno corpo, e
or combattevano con i cavagli, or sovvenivano i fanti, secondo che il
bisogno lo ricercava. Questo modo di rifarsi tre volte è quasi
impossibile a superare, perché bisogna che tre volte la
fortuna ti abbandoni e che il nimico abbia tanta virtù che tre
volte ti vinca. I Greci non avevano con le loro falangi questo modo
di rifarsi, e benché in quelle fusse assai capi e di molti
ordini, nondimeno ne facevano un corpo, ovvero una testa. Il modo
ch'essi tenevano in sovvenire l'uno l'altro era, non di ritirarsi
l'uno ordine nell'altro, come i Romani, ma di entrare l'uno uomo nel
luogo dell'altro. Il che facevano in questo modo: la loro falange era
ridotta in file; e pognamo che mettessono per fila cinquanta uomini,
venendo poi con la testa sua contro al nimico; di tutte le file, le
prime sei potevano combattere perché le loro lance, le quali
chiamavano sarisse, erano sì lunghe che la sesta fila passava
con la punta della sua lancia fuora della prima fila. Combattendo,
adunque, se alcuno della prima o per morte o per ferite cadeva,
subito entrava nel luogo suo quello che era di dietro nella seconda
fila, e, nel luogo che rimaneva voto della seconda, entrava quello
che gli era dietro nella terza; e così successive in uno
subito le file di dietro instauravano i difetti di quegli davanti; in
modo che le file sempre restavano intere e niuno luogo era di
combattitori vacuo, eccetto che la fila ultima, la quale si veniva
consumando per non avere dietro alle spalle chi la instaurasse; in
modo che i danni che pativano le prime file consumavano le ultime. E
le prime restavano sempre intere; e così queste falangi, per
l'ordine loro, si potevano piuttosto consumare che rompere, perché
il corpo grosso le faceva più immobili. Usarono i Romani, nel
principio, le falangi, e instruirono le loro legioni a similitudine
di quelle. Di poi non piacque loro questo ordine, e divisero le
legioni in più corpi, cioè in coorti e in manipoli;
perché giudicarono, come poco fa dissi, che quel corpo avesse
più vita, che avesse più anime, e che fusse composto di
più parti, in modo che ciascheduna per se stessa si reggesse.
I battaglioni de' Svizzeri usano in questi tempi tutti i modi della
falange, così nello ordinarsi grossi e interi, come nel
sovvenire l'uno l'altro; e nel fare la giornata pongono i battaglioni
l'uno a' fianchi dell'altro; e, se li mettono dietro l'uno all'altro,
non hanno modo che il primo, ritirandosi, possa essere ricevuto dal
secondo; ma tengono, per potere sovvenire l'uno l'altro,
quest'ordine: che mettono uno battaglione innanzi e un altro dietro a
quello in su la man ritta, tale che, se il primo ha bisogno d'aiuto,
quello si può fare innanzi e soccorrerlo. Il terzo battaglione
mettono dietro a questi, ma discosto un tratto di scoppietto. Questo
fanno perché, sendo quegli due ributtati, questo si possa fare
innanzi, e abbiano spazio, e i ributtati e quel che si fa innanzi, a
evitare l'urto l'uno dell'altro; perché una moltitudine grossa
non può essere ricevuta come un corpo piccolo, e però i
corpi piccoli e dístinti che erano in una legione romana si
potevano collocare in modo che si potessono tra loro ricevere e l'uno
l'altro con facilità sovvenire. E che questo ordine de'
Svizzeri non sia buono quanto lo antico romano, lo dimostrano molti
esempli delle legioni romane quando si azzuffarono con le falangi
greche; e sempre queste furono consumate da quelle, perché la
generazione dell'armi come io dissi dianzi, e questo modo di rifarsi,
poté più che la solidità delle falangi. Avendo,
adunque, con questi esempli a ordinare uno esercito, mi è
parso ritenere l'armi e i modi, parte delle falangi greche, parte
delle legioni romane; e però io ho detto di volere in uno
battaglione dumila picche, che sono l'armi delle falangi macedoniche,
e tremila scudi con la spada, che sono l'armi de' Romani. Ho diviso
il battaglione in dieci battaglie, come i Romani; la legione in dieci
coorti. Ho ordinato i veliti, cioè l'armi leggieri, per
appiccare la zuffa come loro. E perché così, come
l'armi sono mescolate e participano dell'una e dell'altra nazione, ne
participino ancora gli ordini, ho ordinato che ogni battaglia abbia
cinque file di picche in fronte e il restante di scudi, per potere,
con la fronte, sostenere i cavagli e entrare facilmente nelle
battaglie de' nimici a piè, avendo nel primo scontro le
picche, come il nimico, le quali voglio mi bastino a sostenerlo, gli
scudi, poi, a vincerlo. E se voi noterete la virtù di questo
ordine, voi vedrete queste armi tutte fare interamente l'ufficio
loro, perché le picche sono utili contro a' cavagli, e, quando
vengono contro a' fanti fanno bene l'ufficio loro prima che la zuffa
si ristringa; perché, ristretta ch'ella è, diventano
inutili. Donde che i Svizzeri, per fuggire questo inconveniente
pongono dopo ogni tre file di picche una fila d'alabarde; il che
fanno per dare spazio alle picche, il quale non è tanto che
basti. Ponendo adunque le nostré picche davanti e gli scudi
dietro, vengono a sostenere i cavagli e, nello appiccare la zuffa,
aprono e molestano i fanti; ma poi che la zuffa è ristretta, e
ch'elle diventerebbono inutili, succedono gli scudi e le spade; i
quali possono in ogni strettura maneggiarsi.
Luigi:
Noi aspettiamo ora con disiderio di intendere come voi
ordineresti l'esercito a giornata con queste armi e con questi
ordini.
Fabrizio: E io
non voglio ora dimostrarvi altro che questo. Voi avete a intendere
come in uno esercito romano ordinario, il quale chiamavano esercito
consolare, non erano più che due legioni di cittadini romani,
che erano secento cavagli e circa undicimila fanti. Avevano di poi
altrettanti fanti e cavagli, che erano loro mandati dagli amici e
confederati loro; i quali dividevano in due parti e chiamavano,
l'una, corno destro e, l'altra, corno sinistro; né mai
permettevano che questi fanti ausiliari passassero il numero de'
fanti delle legioni loro; erano bene contenti che fusse più
numero quello de' cavagli. Con questo esercito, che era di
ventiduemila fanti e circa dumila cavagli utili, faceva uno consolo
ogni fazione e andava a ogni impresa. Pure, quando bisognava opporsi
a maggiori forze, raccozzavano due consoli con due eserciti. Dovete
ancora notare come, per l'ordinario, in tuttatré l'azioni
principali che fanno gli eserciti cioè camminare, alloggiare e
combattere, mettevano le legioni in mezzo perché volevano che
quella virtù in la quale più confidavano, fusse più
unita, come nel ragionare di tuttatré queste azioni vi si
mostrerà. Quegli fanti ausiliarii, per la pratica che avevano
con i fanti legionari, erano utili quanto quelli; perché erano
disciplinati come loro e però nel simile modo, nello ordinare
la giornata gli ordinavano. Chi adunque sa come i Romani disponevano
una legione nell'esercito a giornata, sa come lo disponevano tutto.
Però, avendovi io detto come essi dividevano una legione in
tre schiere, e come l'una schiera riceveva l'altra, vi vengo ad avere
detto come tutto lo esercito in una giornata si ordinava. Volendo io
pertanto ordinare una giornata a similitudine de' Romani, come quegli
avevano due legioni, io prenderò due battaglioni, e, disposti
questi, si intenderà la disposizione di tutto uno esercito;
perché nello aggiungere più genti non si arà a
fare altro che ingrossare gli ordini. Io non credo che bisogni che io
vi ricordi quanti fanti abbia uno battaglione, e come egli ha dieci
battaglie, e che capi sieno per battaglia, e quali armi abbiano, e
quali sieno le picche e i veliti ordinarii e quali gli
estraordinarii; perché poco fa ve lo dissi distintamente, e vi
ricordai lo mandassi alla memoria come cosa necessaria a volere
intendere tutti gli altri ordini; e però io verrò alla
dimostrazione dell'ordine sanza replicare altro. E' mi pare che le
dieci battaglie d'uno battaglione si pongano nel sinistro fianco e,
le dieci altre dell'altro, nel destro. Ordininsi quelle del sinistro
in questo modo: pongansi cinque battaglie l'una allato all'altra
nella fronte, in modo che tra l'una e l'altra rimanga uno spazio di
quattro braccia che vengano a occupare, per larghezza,
centoquarantuno braccio di terreno e, per la lunghezza, quaranta.
Dietro a queste cinque battaglie ne porrei tre altre, discosto per
linea retta dalle prime quaranta braccia; due delle quali venissero
dietro per linea retta alle estreme delle cinque, e l'altra tenesse
lo spazio di mezzo. E così verrebbero queste tre ad occupare
per larghezza e per lunghezza il medesimo spazio che le cinque; ma,
dove le cinque hanno tra l'una e l'altra una distanza di quattro
braccia, queste l'arebbero di trentatré. Dopo queste porrei le
due ultime battaglie pure dietro alle tre, per linea retta e
distanti, da quelle tre, quaranta braccia; e porrei ciascuna d'esse
dietro alle estreme delle tre, tale che lo spazio che restasse tra
l'una e l'altra sarebbe novantuno braccio. Terrebbero adunque tutte
queste battaglie così ordinate, per larghezza, centoquarantuno
braccio e, per lunghezza, dugento. Le picche estraordinarie
distenderei lungo i fianchi di queste battaglie dal lato sinistro,
discosto venti braccia da quelle, faccendone centoquarantatré
file a sette per fila; in modo ch'elle fasciassono con la loro
lunghezza tutto il lato sinistro delle dieci battaglie, nel modo da
me detto, ordinate; e ne avanzerebbe quaranta file per guardare i
carriaggi e i disarmati che rimanessono nella coda dello esercito,
distribuendo i capidieci e i centurioni ne'luoghi loro; e degli tre
connestaboli ne metterei uno nella testa, l'altro nel mezzo, il terzo
nell'ultima fila, il quale facesse l'ufficio del tergiduttore, ché
così chiamavano gli antichi quello che era proposto alle
spalle dello esercito. Ma, ritornando alla testa dello esercito, dico
come io collocherei appresso alle picche estraordinarie i veliti
estraordinarii, che sapete che sono cinquecento, e darei loro uno
spazio di quaranta braccia. A lato a questi, pure in su la man manca,
metterei gli uomini d'arme, e vorrei avessero uno spazio di
centocinquanta braccia. Dopo questi, i cavagli leggieri, a' quali
darei il medesimo spazio che alle genti d'arme. I veliti ordinarii
lascerei intorno alle loro battaglie, i quali stessono in quegli
spazi che io pongo tra l'una battaglia e l'altra, che sarebbero come
ministri di quelle, se già egli non mi paresse da metterli
sotto le picche estraordinarie; il che farei, o no, secondo che più
a proposito mi tornasse. Il capo generale di tutto il battaglione
metterei in quello spazio che fusse tra 'l primo e il secondo ordine
delle battaglie, ovvero nella testa e in quello spazio che è
tra l'ultima battaglia delle prime cinque e le picche estraordinarie,
secondo che più a proposito mi tornasse, con trenta o quaranta
uomini intorno, scelti e che sapessono per prudenza esequire una
commissione e per fortezza sostenere uno impeto; e fusse ancora esso
in mezzo del suono e della bandiera. Questo è l'ordine col
quale io disporrei uno battaglione nella parte sinistra, che sarebbe
la disposizione della metà dell'esercito; e terrebbe, per
larghezza, cinquecento undici braccia e, per lunghezza, quanto di
sopra si dice, non computando lo spazio che terrebbe quella parte
delle picche estraordinarie che facessono scudo a' disarmati, che
sarebbe circa cento braccia. L'altro battaglione disporrei sopra 'l
destro canto,in quel modo appunto che io ho disposto quello del
sinistro, lasciando dall'uno battaglione all'altro uno spazio di
trenta braccia; nella testa del quale spazio porrei qualche carretta
di artiglieria, dietro alle quali stesse il capitano generale di
tutto l'esercito e avesse intorno, con il suono e con la bandiera
capitana, dugento uomini almeno, eletti, a piè la maggior
parte, tra' quali ne fusse dieci o più, atti a esequire ogni
comandamento; e fusse in modo a cavallo e armato che potesse essere e
a cavallo e a piè secondo che il bisogno ricercasse.
L'artiglierie dell'esercito, bastano dieci cannoni per la
espugnazione delle terre, che non passassero cinquanta libbre di
portata; de' quali in campagna mi servirei più per la difesa
degli alloggiamenti che per fare giornata, l'altra artiglieria tutta
fusse piuttosto di dieci che di quindici libbre di portata. Questa
porrei innanzi alla fronte di tutto l'esercito, se già il
paese non stesse in modo che io la potessi collocare per fianco in
luogo securo dov'ella non potesse dal nimico essere urtata. Questa
forma di esercito così ordinato può, nel combattere,
tenere l'ordine delle falangi e l'ordine delle legioni romane; perché
nella fronte sono picche, sono tutti i fanti ordinati nelle file, in
modo che, appiccandosi col nimico e sostenendolo, possono ad uso
delle falangi ristorare le prime file con quelli di dietro.
Dall'altra parte, se sono urtati in modo che fieno necessitati
rompere gli ordini e ritirarsi, possono entrare negli intervalli
delle seconde battaglie che hanno dietro, e unirsi con quelle, e di
nuovo, fatto uno mucchio, sostenere il nimico e combatterlo. E quando
questo non basti, possono nel medesimo modo ritirarsi la seconda
volta, e la terza combattere; sì che in questo ordine, quanto
al combattere, ci è da rifarsi e secondo il modo greco e
secondo il romano. Quanto alla fortezza dell'esercito, non si può
ordinare più forte; perché l'uno e l'altro corno è
munitissimo e di capi e di armi, né gli resta debole altro che
la parte di dietro de' disarmati; e quella ha ancora fasciati i
fianchi dalle picche estraordinarie. Né può il nimico
da alcuna parte assaltarlo che non lo truovi ordinato; e la parte di
dietro non può essere assaltata, perché non può
essere nimico che abbia tante forze che equalmente ti possa assalire
da ogni banda; perché, avendole, tu non ti hai a mettere in
campagna seco. Ma quando fusse il terzo più di te e bene
ordinato come te, se si indebolisce per assaltarti in più
luoghi, una parte che tu ne rompa, tutto va male. Da' cavagli, quando
fussono più che i tuoi, sei sicurissimo; perché gli
ordini delle picche che ti fasciano, ti difendano da ogni impeto di
quegli, quando bene i tuoi cavagli fussero ributtati. I capi, oltre a
questo, sono disposti in lato che facilmente possono comandare e
ubbidire. Gli spazi che sono tra l'una battaglia e l'altra e tra
l'uno ordine e l'altro, non solamente servono a potere ricevere l'uno
l'altro, ma ancora a dare luogo a' mandati che andassono e venissono
per ordine del capitano. E com'io vi dissi prima, i Romani avevano
per esercito circa ventiquattromila uomini, così debbe essere
questo, e come il modo del combattere e la forma dell'esercito gli
altri soldati lo prendevano da'le legioni, così quelli soldati
che voi aggiugnessi agli due battaglioni vostri arebbero a prendere
la forma e ordine da quelli. Delle quali cose avendone posto uno
esemplo, è facil cosa imitarlo; perché, accrescendo o
due altri battaglioni all'esercito, o tanti soldati degli altri
quanti sono quegli, egli non si ha a fare altro che duplicare gli
ordini e, dove si pose dieci battaglie nella sinistra parte, porvene
venti, o ingrossando o distendendo gli ordini secondo che il luogo o
il nimico ti comandasse.
Luigi:
Veramente, signore, io mi immagino in modo questo
esercito, che già lo veggo, e ardo d'uno disiderio di vederlo
affrontare. E non vorrei, per cosa del mondo, che voi diventassi
Fabio Massimo, faccendo pensiero di tenere a bada il nimico e
differire la giornata, perché io direi peggio di voi che il
popolo romano non diceva di quello.
Fabrizio:
Non dubitate. Non sentite voi l'artiglierie? Le nostre
hanno già tratto, ma poco offeso il nimico; e i veliti
estraordinarii escono de' luoghi loro insieme con la cavalleria
leggiere, e, più sparsi e con maggiore furia e maggior grida
che possono, assaltano il nimico; l'artiglieria del quale ha scarico
una volta e ha passato sopra la testa de' nostri fanti sanza fare
loro offensione alcuna. E perch'ella non possa trarre la seconda
volta, vedete i veliti e i cavagli nostri che l'hanno già
occupata, e che i nimici, per difenderla, si sono fatti innanzi; tal
che quella degli amici e nimici non può più fare
l'ufficio suo. Vedete con quanta virtù combattono i nostri, e
con quanta disciplina, per lo esercizio che ne ha fatto loro fare
abito e per la confidenza ch'egli hanno nell'esercito; il quale
vedete che, col suo passo e con le genti d'arme allato, cammina
ordinato per appiccarsi con l'avversario. Vedete l'artiglierie nostre
che per dargli luogo e lasciargli lo spazio iibero, si sono ritirate
per quello spazio donde erano usciti i veliti. Vedete il capitano che
gli inanimisce e mostra loro la vittoria certa. Vedete che i veliti
ed i cavagli leggieri si sono allargati e ritornati ne' fianchi
dell'esercito, per vedere se possono per fianco fare alcuna ingiuria
alli avversarii. Ecco che si sono affrontati gli eserciti. Guardate
con quanta virtù egli hanno sostenuto lo impeto de nimici, e
con quanto silenzio, e come il capitano comanda agli uomini d'arme
che sostengano e non urtino e dall'ordine delle fanterie non si
spicchino. Vedete come i nostri cavagli leggieri sono iti a urtare
una banda di scoppiettieri nimici che volevano ferire per fianco, e
come i cavagli nimici gli hanno soccorsi: tal che, rinvolti tra l'una
e l'altra cavalleria, non possono trarre e ritiransi dietro alle loro
battaglie. Vedete con che furia le picche nostre si affrontano, e
come i fanti sono già sì propinqui l'uno all'altro, che
le picche non si possono più maneggiare; di modo che, secondo
la disciplina imparata da noi, le nostre picche si ritirano a poco a
poco tra gli scudi. Guardate come, in questo tanto, una grossa banda
d'uomini d'arme, nimici, hanno spinti gli uomini d'arme nostri dalla
parte sinistra. e come i nostri. secondo la disciplina, si sono
ritirati sotto le picche estraordinarie, e, con lo aiuto di quelle
avendo rifatto testa, hanno ributtati gli avversari e morti buona
parte di loro. Intanto tutte le picche ordinarie delle prime
battaglie si sono nascose tra gli ordini degli scudi, e lasciata la
zuffa agli scudati; i quali guardate con quanta virtù, sicurtà
e ozio ammazzano il nimico. Non vedete voi quanto, combattendo, gli
ordini sono ristretti, che a fatica possono menare le spade? Guardate
con quanta furia i nimici muoiono. Perché, armati con la picca
e con la loro spada, inutile l'una per essere troppo lunga, l'altra
per trovare il nimico troppo armato, in parte cascano fenti o morti,
in parte fuggono. Vedetegli fuggire dal destro canto; fuggono ancora
dal sinistro; ecco che la vittoria è nostra. Non abbiamo noi
vinto una giornata felicissimamente? Ma con maggiore felicità
si vincerebbe, se mi fusse concesso il metterla in atto. E vedete che
non è bisognato valersi né del secondo né del
terzo ordine; ché gli è bastata la nostra prima fronte
a supc,-argli. In questa parte io non ho che dirvi altro, se non
risolvere se alcuna dubitazione vi nasce.
Luigi:
Voi avete con tanta furia vinta questa giornata, che
io ne resto tutto ammirato e in tanto stupefatto, che io non credo
potere bene esplicare se alcuno dubbio mi resta nell'animo. Pure,
confidandomi nella vostra prudenza, piglierò animo a dire
quello che io intendo. Ditemi prima: perché non facesti voi
trarre le vostre artiglierie più che una volta? E perché
subito le facesti ritirare dentro all'esercito né poi ne
facesti menzione? Parvemi ancora che voi ponessi l'artiglierie del
nimico alte e ordinassile a vostro modo, il che può molto bene
essere. Pure, quando egli occorresse, che credo ch'egli occorra
spesso, che percuotano le schiere, che rimedio ne date? E poiché
io mi sono cominciato dalle artiglierie, io voglio fornire tutta
questa domanda, per non ne avere a ragionare più. Io ho
sentito a molti spregiare l'armi e gli ordini degli eserciti antichi,
arguendo come oggi potrebbono poco, anzi tutti quanti sarebbero
inutili, rispetto al furore delle artiglierie; perché queste
rompono gli ordini e passono l'armi in modo, che pare loro pazzia
fare uno ordine che non si possa tenere, e durare fatica a portare
una arme che non ti possa difendere.
Libro quarto
Luigi:
Poiché sotto l'imperio mio si è vinto una
giornata sì onorevolmente, io penso che sia bene che io non
tenti più la fortuna, sappiendo quanto quella è varia e
instabile. E però io desidero deporre la dittatura e che
Zanobi faccia ora questo ufficio del domandare, volendo seguire
l'ordine che tocchi al più giovane. E io so che non ricuserà
questo onore o, vogliamo dire, questa fatica, sì per
compiacermi, sì ancora per essere naturalmente più
animoso di me; né gli recherà paura avere a entrare in
questi travagli, dove egli potesse così essere vinto, come
vincere.
Zanobi: Io
sono per stare dove voi mi metterete, ancora che lo stessi più
volentieri ad ascoltare; perché, infino a qui, mi sono più
sodisfatte le domande vostre che non mi sarieno piaciute quelle che a
me, nello ascoltare i vostri ragionamenti, occorrevano. Ma io credo
che sia bene signore, che voi avanziate tempo e abbiate pazienza, se
con queste nostre cerimonie vi infastidissimo.
Fabrizio:
Anzi mi date piacere, perché questa variazione de'
domandatori mi fa conoscere i varii ingegni e i varii appetiti
vostri. Ma restavi cosa alcuna che vi paia da aggiugnere alla materia
ragionata ?
Zanobi: Due
cose disidero, avanti che si passi ad un'altra parte: l'una, è
che voi ne mostriate se altra forma di ordinare eserciti vi occorre;
l'altra, quali rispetti debbe avere uno capitano prima che si conduca
alla zuffa, e, nascendo alcuno accidente in essa, quali rimedii vi si
possa fare.
Fabrizio: Ie
mi sforzerò sodisfarvi. Non risponderò già
distintamente alle domande vostre, perché, mentre che io
risponderò a una, molte volte si verrà a rispondere
all'altra. Io vi ho detto come io vi proposi una forma di esercito,
acciò che, secondo quella, gli potesse dare tutte quelle forme
che 'l nimico e il sito ricerca; perché, in questo caso, e
secondo il sito e secondo il nimico si procede. Ma notate questo: che
non ci è la più pericolosa forma che distendere assai
la fronte dell'esercito tuo, se già tu non hai un
gagliardissimo e un grandissimo esercito; altrimenti tu l'hai a fare
piuttosto grosso e poco largo, che assai largo e sottile. Perché,
quando tu hai poche genti a comparazione del nimico, tu dei cercare
degli altri rimedii come sono: ordinare l'esercito tuo in iato che tu
sia fasciato o da fiume o da palude, in modo che tu non possa essere
circundato; o fasciarti da' fianchi con le fosse, come fece Cesare in
Francia. E avete a prendere in questo caso questa generalità:
di allargarvi o ristrignervi con la fronte, secondo il numero vostro
e quello del nimico; ed essendo il nimico di minore numero, dei
cercare di luoghi larghi, avendo tu massimamente le genti tue
disciplinate, acciò che tu possa non solamente circundare il
nimico, ma distendervi i tuoi ordini, perché ne' luoghi aspri
e difficili, non potendo valerti degli ordini tuoi, non vieni ad
avere alcuno vantaggio. Quinci nasceva che i Romani quasi sempre
cercavano i campi aperti e fuggivano i difficili. Al contrario, come
ho detto, dei fare se hai o poche genti o male disciplinate; perché
tu hai a cercare luoghi, o dove il poco numero si salvi, o dove la
poca esperienza non ti offenda. Debbesi ancora eleggere il luogo
superiore, per potere più facilmente urtarlo. Nondimanco si
debbe avere questa avvertenza: di non ordinare l'esercito tuo in una
spiaggia e in luogo propinquo alle radici di quella, dove possa
venire l'esercito nimico; perché in questo caso, rispetto alle
artiglierie, il luogo superiore ti arrecherebbe disavvantaggio;
perché sempre e commodamente potresti dalle artiglierie
nimiche essere offeso sanza potervi fare alcuno rimedio, e tu non
potresti commodamente offendere quello, impedito da' tuoi medesimi.
Debbe ancora, chi ordina uno esercito a giornata, avere rispetto al
sole e al vento, che l'uno e l'altro non ti ferisca la fronte, perché
l'uno e l'altro ti impediscono la vista, l'uno con i razzi, l'altro
con la polvere. E di più il vento disfavorisce l'armi che si
traggono al nimico e fa più deboli i colpi loro. E quanto al
sole, non basta avere cura che allora non ti dia nel viso, ma
conviene pensare che crescendo il dì, non ti offenda. E per
questo converrebbe, nello ordinare le genti, averlo tutto alle
spalle, acciò ch'egli avesse a passare assai tempo nello
arrivarti in fronte. Questo modo fu osservato da Annibale a Canne e
da Mario contro a' Cimbri. Se tu fossi assai inferiore di cavagli,
ordina l'esercito tuo tra vigne e arbori e simili impedimenti, come
fecero ne' nostri tempi gli Spagnuoli, quando ruppono i Franzesi nel
Reame alla Cirignuola. E si è veduto molte volte come con i
medesimi soldati, variando solo l'ordine e il luogo, si diventa di
perdente vittorioso, come intervenne a' Cartaginesi, i quali, sendo
stati vinti da Marco Regolo più volte, furono di poi, per il
consiglio di Santippo lacedemonio, vittoriosi; il quale gli fece
scendere nel piano, dove, per virtù de' cavagli e degli
liofanti, poterono superare i Romani. E mi pare, secondo gli antichi
esempli, che quasi tutti i capitani eccellenti, quando eglino hanno
conosciuto che il nimico ha fatto forte uno lato della battaglia, non
gli hanno opposta la parte più forte, ma la più debole,
e l'altra più forte hanno opposta alla più debole; poi,
nello appiccare la zuffa, hanno comandato alla loro parte più
gagliarda, che solamente sostenga il nimico e non lo spinga, e alla
più debole, che si lasci vincere e ritirisi nell'ultima
schiera dell'esercito. Questo genera due grandi disordini al nimico:
il primo, ch'egli si truova la sua parte più gagliarda
circundata; il secondo è che, parendogli avere la vittoria
subito, rade volte è che non si disordini, donde ne nasce la
sua subita perdita. Cornelio Scipione, sendo in Ispagna contro ad
Asdrubale cartaginese, e sappiendo come ad Asdrubale era noto ch'egli
nell'ordinare l'esercito poneva le sue legioni in mezzo, la quale era
la più forte parte del suo esercito e, per questo, come
Asdrubale con simile ordine doveva procedere; quando di poi venne
alla giornata, mutò ordine e le sue legioni messe ne'corni
dello esercito, e nel mezzo pose tutte le sue genti più
deboli. Di poi, venendo alle mani, in un subito quelle genti poste
nel mezzo fece camminare adagio ed i corni dello esercito con
celerità farsi innanzi; di modo che solo i corni dell'uno e
dell'altro esercito combattevano, e le schiere di mezzo, per essere
distante l'una dall'altra, non si aggiugnevano; e così veniva
a combattere la parte di Scipione più gagliarda con la più
debole d'Asdrubale; e vinselo. Il quale modo fu allora utile; ma
oggi, rispetto alle artiglierie, non si potrebbe usare, perché
quello spazio che rimarrebbe nel mezzo, tra l'uno esercito e l'altro,
darebbe tempo a quelle di potere trarre il che è
perniziosissimo, come di sopra dicemmo. Però conviene lasciare
questo modo da parte, e usarlo, come poco fa dissi, faccendo
appiccare tutto lo esercito e la parte più debole cedere.
Quando uno capitano si truova avere più esercito di quello del
nimico, a volerlo circundare che non lo prevegga, ordini lo esercito
suo di equale fronte a quello dello avversario; di poi, appiccata la
zuffa, faccia che a poco a poco la fronte si ritiri e i fianchi si
distendano; e sempre occorrerà che 'l nimico si troverrà,
sanza accorgersene, circundato. Quando uno capitano voglia combattere
quasi che sicuro di non potere essere rotto, ordini l'esercito suo in
luogo dove egli abbia il refugio propinquo e sicuro, o tra paludi o
tra monti o in una città potente; perché, in questo
caso, egli non può essere seguito dal nimico e il nimico può
essere seguitato da lui. Questo termine fu usato da Annibale, quando
la fortuna cominciò a diventargli avversa e che dubitava del
valore di Marco Marcello. Alcuni, per turbare gli ordini del nimico,
hanno comandato a quegli che sono leggermente armati, che appicchino
la zuffa, e, appiccata, si ritirino tra gli ordini; e quando di poi
gli eserciti si sono attestati insieme e che la fronte di ciascuno è
occupata al combattere, gli hanno fatti uscire per li fianchi delle
battaglie, e quello turbato e rotto. Se alcuno si truova inferiore di
cavagli, può, oltre a' modi detti, porre dietro a' suoi
cavagli una battaglia di picche, e, nel combattere, ordinare che
dieno la via alle picche; e rimarrà sempre superiore. Molti
hanno consueto di avvezzare alcuni fanti leggiermente armati a
combattere tra' cavagli; il che è stato alla cavalleria di
aiuto grandissimo. Di tutti coloro che hanno ordinati eserciti alla
giornata, sono i più lodati Annibale e Scipione quando
combatterono in Affrica; e perché Annibale aveva l'esercito
suo composto di Cartaginesi e di ausiliarii di varie generazioni,
pose nella prima fronte ottanta liofanti; di poi collocò gli
ausiliarii, dopo a' quali pose i suoi Cartaginesi; nell'ultimo luogo
messe gli Italiani, ne' quali confidava poco. Le quali cose ordinò
così, perché gli ausiliarii, avendo innanzi il nimico e
di dietro sendo chiusi da' suoi, non potessono fuggire; di modo che,
sendo necessitati al combattere, vincessero o straccassero i Romani,
pensando poi, con la sua gente fresca e virtuosa facilmente i Romani
già stracchi superare. All'incontro di questo ordine, Scipione
collocò gli astati, i principi e i triarii nel modo consueto
da potere ricevere l'uno l'altro e sovvenire l'uno all'altro. Fece la
fronte dello esercito piena di intervalli; e perch'ella non
transparesse, anzi paresse unita, li riempié di veliti; a'
quali comandò che, tosto ch'e' liofanti venivano, cedessero,
e, per li spazi ordinarii, entrassono tra le legioni e lasciassero la
via aperta a' liofanti; e così venne a rendere vano l'impeto
di quegli, tanto che, venuto alle mani, ei fu superiore.
Zanobi: Voi mi avete
fatto ricordare, nello allegarmi cotesta giornata, come Scipione nel
combattere non fece ritirare gli astati negli ordini de' principi, ma
gli divise e fecegli ritirare nelle corna dello esercito, acciò
che dessono luogo a' principi, quando gli volle spingere innanzi.
Però vorrei mi dicessi quale cagione lo mosse a non osservare
l'ordine consueto.
Fabrizio:
Dirovvelo. Aveva Annibale posta tutta la virtù del suo
esercito nella seconda schiera; donde che Scipione, per opporre, a
quella, simile virtù, raccozzò i principi e i triarii
insieme; tale che, essendo gli intervalli de'principi occupati da'
triarii, non vi era luogo a potere ricevere gli astati; e però
fece dividere gli astati e andare ne' corni dello esercito, e non gli
ritirò tra' principi. Ma notate che questo modo dello aprire
la prima schiera per dare luogo alla seconda, non si può usare
se non quando altri è superiore; perché allora si ha
commodità a poterlo fare, come potette Scipione. Ma essendo al
disotto e ributtato, non lo puoi fare se non con tua manifesta
rovina; e però conviene avere, dietro, ordini che ti ricevino.
Ma torniamo al ragionamento nostro. Usavano gli antichi Asiatici, tra
l'altre cose pensate da loro per offendere i nimici, carri i quali
avevano da' fianchi alcune falce ;tale che, non solamente servivano
ad aprire con il loro impeto le schiere, ma ancora ad ammazzare con
le falci gli avversarii. Contro a questi impeti in tre modi si
provvedeva: o si sostenevano con la densità degli ordini, o si
ricevevano dentro nelle schiere come i liofanti, o e' si faceva con
arte alcuna resistenza gagliarda; come fece Silla romano contro ad
Archelao, il quale aveva assai di questi carri che chiamavano
falcati, che, per sostenergli, ficcò assai pali in terra dopo
le prime schiere, da' quali i carri sostenuti perdevano l'impeto
loro. Ed è da notare il nuovo modo che tenne Silla contro a
costui in ordinare lo esercito; perché misse i veliti e i
cavagli dietro e tutti gli armati gravi davanti, lasciando assai
intervalli da potere mandare innanzi quegli di dietro quando la
necessità lo richiedesse; donde, appiccata la zuffa, con lo
aiuto de' cavagli a' quali dette la via, ebbe la vittoria. A volere
turbare nella zuffa l'esercito nimico, conviene fare nascere qualche
cosa che lo sbigottisca, o con annunziare nuovi aiuti che vengano, o
col dimostrare cose che gli rappresentino; talmente che i nimici
ingannati da quello aspetto, sbigottiscono e, sbigottiti, si possano
facilmente vincere. I quali modi tennono Minuzio Ruffo e Acilio
Glabrione consoli romani. Caio Sulpizio ancora misse assai saccomanni
sopra muli e altri animali alla guerra inutili, ma in modo ordinati
che rappresentavano gente d'arme, e comandò ch'eglino
apparissono sopra uno col le, mentre ch'egli era alle mani con i
Franzesi; donde ne nacque la sua vittoria. Il medesimo fece Mario
quando combatté contro a' Tedeschi. Valendo, adunque, assai
gli assalti finti mentre che la zuffa dura, conviene che molto più
giovino i veri, massimamente se allo improvviso nel mezzo della zuffa
si potesse di dietro o da lato assaltare il nimico. Il che
difficilmente si può fare se il paese non ti aiuta; perché,
quando egli è aperto, non si può celare parte delle tue
genti come conviene fare in simili imprese; ma ne' luoghi silvosi o
montuosi, e per questo atti agli agguati, si può bene
nascondere parte delle tue genti, per potere, in uno subito e fuora
di sua opinione, assaltare il nimico; la quale cosa sempre sarà
cagione di darti la vittoria. E' stato qualche volta di grande
momento, mentre che la zuffa dura seminare voci che pronuncino il
capitano de' nimici essere morto, o avere vinto dall'altra parte
dello esercito, il che molte volte a chi l'ha usato ha dato la
vittoria. Turbasi facilmente la cavalleria nimica o con forme o con
romori inusitati; come fece Creso, che oppose i cammegli agli cavagli
degli avversarii; e Pirro oppose alla cavalleria romana i liofanti,
lo aspetto de' quali la turbò e la disordinò. Ne'
nostri tempi il Turco ruppe il Sofì in Persia e il Soldano in
Sorìa, non con altro se non con i romori degli scoppietti; i
quali in modo alterarono con gli loro inusitati romori la cavalleria
di quegli, che il Turco potéo facilmente vincerla. Gli
Spagnuoli, per vincere l'esercito d'Amilcare, missero nella prima
fronte carri pieni di stipa tirati da buoi, e, venendo alle mani,
appiccarono fuoco a quella; donde che i buoi, volendo fuggire il
fuoco, urtarono nell'esercito di Amilcare e lo apersero. Soglionsi,
come abbiamo detto, ingannare i nimici nel combattere, tirandogli
negli agguati, dove il paese è accomodato; ma, quando fusse
aperto e largo hanno molti usato di fare fosse, e di poi ricopertole
leggermente di frasche e terra e lasciato alcuni spazi solidi da
potersi tra quelle ritirare, di poi, appiccata la zuffa, ritiratosi
per quelli, e il nimico seguendogli, è rovinato in esse. Se
nella zuffa ti occorre alcuno accidente da sbigottire i tuoi soldati,
è cosa prudentissima il saperlo dissimulare e pervertirlo in
bene, come fece Tullo Ostilio e Lucio Silla; il quale, veggendo come,
mentre che si combatteva, una parte delle sue genti se ne era ita
dalla parte inimica, e come quella cosa aveva assai sbigottiti i
suoi, fece subito intendere per tutto lo esercito come ogni cosa
seguiva per ordine suo, il che non solo non turbò lo esercito,
ma gli accrebbe in tanto lo animo, che rimase vittorioso. Occorse
ancora a Silla che, avendo mandati certi soldati a fare alcuna
faccenda, ed essendo stati morti, disse, perché l'esercito suo
non si sbigottisse, avergli con arte mandati nelle mani de' nimici
perché gli aveva trovati poco fedeli. Sertorio, faccendo una
giornata in Ispagna ammazzò uno che gli significò la
morte d'uno de' suoi capi, per paura che, dicendo il medesimo agli
altri, non gli sbigottisse. È cosa difficilissima, uno
esercito già mosso a fuggire, fermarlo e renderlo alla zuffa.
E avete a fare questa distinzione: o egli è mosso tutto, e qui
è impossibile restituirlo, o ne è mossa una parte, e
qui è qualche rimedio. Molti capitani romani con il farsi
innanzi a quegli che fuggivano, gli hanno fermi, faccendoli
vergognare della fuga, come fece Lucio Silla, che, sendo già
parte delle sue legioni in volta cacciate dalle genti di Mitridate,
si fece innanzi con una spada in mano, gridando: Se alcuno vi
domanda dove voi avete lasciato il capitano vostro, dite: "Noi
lo abbiamo lasciato in Beozia che combatteva". Attilio
consolo a quegli che fuggivano oppose quegli che non fuggivano, e
fece loro intendere che, se non voltavano, sarebbero morti dagli
amici e da' nimici. Filippo di Macedonia, intendendo come i suoi
temevano de' soldati sciti, pose dietro al suo esercito alcuni de'
suoi cavagli fidatissimi, e commisse loro ammazzassono qualunque
fuggiva; onde che i suoi, volendo più tosto morire combattendo
che fuggendo, vinsero. Molti Romani, non tanto per fermare una fuga,
quanto per dare occasione a' suoi di fare maggiore forza, hanno,
mentre che si combatte, tolta una bandiera di mani a' suoi e
gittatala tra' nimici e proposto premi a chi la riguadagna. Io non
credo che sia fuora di proposito aggiugnere a questo ragionamento
quelle cose che intervengono dopo la zuffa, massime sendo cose brevi
e da non le lasciare indietro e a questo ragionamento assai conformi.
Dico, adunque, come le giornate si perdono o si vincono. Quando si
vince, si dee con ogni celerità seguire la vittoria e imitare
in questo caso Cesare e non Annibale; il quale, per essersi fermo da
poi ch'egli ebbe rotti i Romani a Canne, ne perdé lo imperio
di Roma. Quello altro mai dopo la vittoria non si posava, ma con
maggiore impeto e furia seguiva el nimico rotto, che non l'aveva
assaltato intero. Ma quando si perde, dee un capitano vedere se dalla
perdita ne può nascere alcuna sua utilità, massimamente
se gli è rimaso alcuno residuo di esercito La commodità
può nascere dalla poca avvertenza del nimico, il quale, il più
delle volte, dopo la vittoria diventa trascurato e ti dà
occasione di opprimerlo; come Marzio Romano oppresse gli eserciti
cartaginesi, i quali, avendo morti i duoi Scipioni e rotti i loro
eserciti, non stimando quello rimanente delle genti che con Marzio
erano rimase vive, furono da lui assaltati e rotti. Per che si vede
che non è cosa tanto riuscibile quanto quella che il nimico
crede che tu non possa tentare; perché il più delle
volte gli uomini sono offesi più dove dubitano meno. Debbe un
capitano pertanto, quando egli non possa fare questo, ingegnarsi
almeno con la industria che la perdita sia meno dannosa. A fare
questo ti è necessario tenere modi che il nimico non ti possa
con facilità seguire, o dargli cagione ch'egli abbia a
ritardare Nel primo caso, alcuni, poi ch'egli hanno conosciuto di
perdere, ordinarono agli loro capi che in diverse parti e per diverse
vie si fuggissono, avendo dato ordine dove si avevano di poi a
raccozzare; il che faceva che il nimico, temendo di dividere
l'esercito, ne lasciava ire salvi o tutti o la maggior parte di essi.
Nel secondo caso, molti hanno gittato innanzi al nimico le loro cose
più care, acciò che quello, ritardato dalla preda, dia
loro più spazio alla fuga. Tito Didio usò non poca
astuzia per nascondere il danno ch'egli aveva ricevuto nella zuffa;
perché, avendo combattuto infino a notte con perdita di assai
de' suoi, fece la notte sotterrare la maggior parte di quegli; donde
che la mattina, vedendo i nimici tanti morti de' loro e sì
pochi de' Romani, credendo avere disavvantaggio, si fuggirono. Io
credo di avere così confusamente, come io dissi, sodisfatto in
buona parte alla domanda vostra. Vero è che, circa la forma
degli eserciti, mi resta a dirvi come alcuna volta per alcun capitano
si è costumato fargli con la fronte a uso d'uno conio,
giudicando potere per tale via più facilmente aprire
l'esercito inimico. Contro a questa forma hanno usato fare una forma
a uso di forbici, per potere tra quello vacuo ricevere quello conio e
circundarlo e combatterlo da ogni parte. Sopra che voglio che voi
prendiate questa regola generale: che il maggiore rimedio che si usi
contro a uno disegno del nimico, è fare volontario quello
ch'egli disegna che tu faccia per forza; perché, faccendolo
volontario, tu lo fai con ordine e con vantaggio tuo e disavvantaggio
suo; se lo facessi forzato, vi sarebbe la tua rovina. A
fortificazione di questo non mi curerò di replicarvi alcuna
cosa già detta. Fa il conio lo avversario per aprire le tue
schiere? Se tu vai con esse aperte, tu disordini lui ed esso non
disordina te. Pose i liofanti in fronte del suo esercito Annibale,
per aprire con quegli l'esercito di Scipione, andò Scipione
con esso aperto, e fu cagione e della sua vittoria e della rovina di
quello. Pose Asdrubale le sue genti più gagliarde nel mezzo
della fronte del suo esercito, per spingere le genti di Scipione;
comandò Scipione che per loro medesime si ritirassono, e
ruppelo. In modo che simili disegni, quando si presentano, sono
cagione della vittoria di colui contro a chi essi sono ordinati.
Restami ancora, se bene mi ricorda, dirvi quali rispetti debbe avere
uno capitano prima che si conduca alla zuffa. Sopra che io vi ho a
dire, in prima come uno capitano non ha mai a fare giornata se non ha
vantaggio, o se non e necessitato. Il vantaggio nasce dal sito,
dall'ordine, dall'avere o più o migliore gente. La necessità
nasce quando tu vegga, non combattendo, dovere in ogni modo perdere;
come è: che sia per mancarti danari e, per questo, lo esercito
tuo si abbia in ogni modo a risolvere che sia per assaltarti la fame,
che il nimico aspetti di ingrossare di nuova gente. In questi casi
sempre si dee combattere, ancora con tuo disavvantaggio, perch'egli è
assai meglio tentare la fortuna dov'ella ti possa favorire, che, non
la tentando, vedere la tua certa rovina. Ed è così
grave peccato, in questo caso, in uno capitano il non combattere,
come è d'avere avuta occasione di vincere e non la avere o
conosciuta per ignoranza o lasciata per viltà. I vantaggi
qualche volta te gli dà il nimico e qualche volta la tua
prudenza. Molti, nel passare i fiumi, sono stati rotti da uno loro
nimico accorto, il quale ha aspettato che sieno mezzi da ogni banda
e, di poi, gli ha assaltati; come fece Cesare a' Svizzeri che consumò
la quarta parte di loro, per essere tramezzati da uno fiume. Trovasi
alcuna volta il tuo nimico stracco per averti seguito troppo
inconsideratamente; di modo che, trovandoti tu fresco e riposato, non
dei lasciare passare tale occasione. Oltre a questo, se il nimico ti
presenta, la mattina di buona ora, la giornata, tu puoi differire di
uscir de' tuoi alloggiamenti per molte ore; e quando egli è
stato assai sotto l'armi e ch'egli ha perso quel primo ardore con il
quale venne, puoi allora combattere seco. Questo modo tenne Scipione
e Metello in Ispagna, l'uno contro ad Asdrubale, l'altro contro a
Sertorio. Se il nimico è diminuito di forze, o per avere
diviso gli eserciti, come gli Scipioni in Ispagna, o per qualche
altra cagione, dei tentare la sorte. La maggior parte de'capitani
prudenti piuttosto ricevano l'impeto de' nimici, che vadano con
impeto ad assaltare quelli: perché il furore è
facilmente sostenuto dagli uomini fermi e saldi, e il furore
sostenuto facilmente si convertisce in viltà. Così fece
Fabio contro a' Sanniti e contro a' Galli, e fu vittorioso e Decio
suo collega vi rimase morto. Alcuni che hanno temuto della virtù
del loro nimico, hanno cominciato la zuffa nell'ora propinqua alla
notte, acciò che i suoi, sendo vinti, potessero, difesi dalla
oscurità di quella, salvarsi. Alcuni avendo conosciuto come
l'esercito nimico è preso da certa superstizione di non
combattere in tale tempo, hanno quel tempo eletto alla zuffa, e
vinto. Il che osservò Cesare in Francia contro ad Ariovisto, e
Vespasiano in Sorìa contro a' Giudei. La maggiore e più
importante avvertenza che debba avere uno capitano, è di avere
appresso di sé uomini fedeli, peritissimi della guerra e
prudenti, con gli quali continuamente si consigli e con loro ragioni
delle sue genti e di quelle del nimico: quale sia maggiore numero,
quale meglio armato, o meglio a cavallo, o meglio esercitato quali
sieno più atti a patire la necessità in quali confidi
più, o ne' fanti o ne' cavagli. Di poi considerino il luogo
dove sono, e s'egli è più a proposito per il nimico che
per lui; chi abbia di loro più commodamente la vettovaglia;
s'egli è bene differire la giornata o farla; che di bene gli
potesse dare o torre il tempo; perché molte volte i soldati,
veduta allungare la guerra, infastidiscono e stracchi nella fatica e
nel tedio, ti abbandonano. Importa sopra tutto conoscere il capitano
de' nimici e chi egli ha intorno: s'egli è temerario o cauto,
se timido o audace. Vedere come tu ti puoi fidare de' soldati
ausiliarii. E sopra tutto ti debbi guardare di non condurre
l'esercito ad azzuffarsi che tema o che in alcuno modo diffidi della
vittoria, perché il maggiore segno di perdere è quando
non si crede potere vincere. E però in questo caso dei fuggire
la giornata, o col fare come Fabio Massimo che, accampandosi ne'
luoghi forti, non dava animo ad Annibale d'andarlo a trovare; o,
quando tu credessi che il nimico ancora ne' luoghi forti ti venisse a
trovare partirsi della campagna e dividere le genti per le tue terre,
acciò che il tedio della espugnazione di quelle lo stracchi.
Zanobi: Non si può
egli fuggire altrimenti la giornata, che dividersi in più
parti e mettersi nelle terre?
Fabrizio:
Io credo, altra volta, con alcuno di voi avere ragionato come
quello che sta alla campagna non può fuggire la giornata,
quando egli ha uno nimico che lo vogli combattere in ogni modo; e non
ha se non uno rimedio: porsi con l'esercito suo discosto cinquanta
miglia almeno dall'avversario suo, per essere a tempo a levarsegli
dinanzi quando lo andasse a trovare. E Fabio Massimo non fuggì
mai la giornata con Annibale, ma la voleva fare a suo vantaggio; e
Annibale non presumeva poterlo vincere andando a trovarlo ne' luoghi
dove quello alloggiava; ché s'egli avesse presupposto poterlo
vincere, a Fabio conveniva fare giornata seco in ogni modo, o
fuggirsi. Filippo, re di Macedonia, quello che fu padre di Perse,
venendo a guerra con i Romani, pose gli alloggiamenti suoi sopra uno
monte altissimo per non fare giornata con quegli; ma i Romani lo
andarono a trovare in su quello monte e lo ruppono. Cingentorige,
capitano de' Franciosi, per non avere a fare giornata con Cesare, il
quale fuora della sua opinione aveva passato un fiume, si discostò
molte miglia con le sue genti. I Viniziani, ne' tempi nostri, se non
volevano venire a giornata con il re di Francia, non dovevano
aspettare che l'esercito francioso passasse l'Adda, ma discostarsi da
quello, come Cingentorige. Donde che quegli, avendo aspettato, non
seppono pigliare nel passare delle genti la occasione del fare la
giornata, né fuggirla, perché i Franciosi sendo loro
pripinqui, come i Viniziani disalloggiarono, gli assaltarono e
ruppero. Tanto è che la giornata non si può fuggire
quando il nimico la vuole in ogni modo fare. Né alcuno alleghi
Fabio, perché tanto in quel caso fuggì la giornata
egli, quanto Annibale. Egli occorre molte volte che i tuoi soldati
sono volonterosi di combattere, e tu cognosci, per il numero e per il
sito o per qualche altra cagione, avere disavvantaggio, e disideri
fargli rimuovere da questo disiderio. Occorre ancora che la necessità
o l'occasione ti costringe alla giornata, e che i tuoi soldati sono
male confidenti e poco disposti a combattere; donde che ti è
necessario nell'uno caso sbigottirgli e nell'altro accendergli. Nel
primo caso, quando le persuasioni non bastano, non è il
migliore modo che darne in preda una parte di loro al nimico, acciò
che quegli che hanno e quegli che non hanno combattuto, ti credano. E
puossi molto bene fare con arte quello che a Fabio Massimo intervenne
a caso. Disiderava come voi sapete, l'esercito di Fabio combattere
con l'esercito d'Annibale; il medesimo disiderio aveva il suo maestro
de'cavagli; a Fabio non pareva di tentare la zuffa; tanto che, per
tale disparere, egli ebbero a dividere l'esercito. Fabio ritenne i
suoi negli alloggiamenti; quell'altro combatté, e, venuto in
pericolo grande, sarebbe stato rotto, se Fabio non lo avesse
soccorso. Per il quale esemplo il maestro de'cavagli, insieme con
tutto lo esercito, cognobbe come egli era partito savio ubbidire a
Fabio. Quanto allo accendergli al combattere, è bene fargli
sdegnare contro a'nimici, mostrando che dicono parole ignominiose di
loro, mostrare di avere con loro intelligenza e averne corrotti
parte; alloggiare in lato che veggano i nimici e che facciano qualche
zuffa leggiere con quegli, perché le cose che giornalmente si
veggono, con più facilità si dispregiano; mostrarsi
indegnato e, con una orazione a proposito, riprendergli della loro
pigrizia e, per fargli vergognare, dire di volere combattere solo,
quando non gli vogliano fare compagnia. E dei, sopra ogni cosa, avere
questa avvertenza, volendo fare il soldato ostinato alla zuffa: di
non permettere che ne mandino a casa alcuna loro facultà, o
depongano in alcuno luogo, infino ch'egli è terminata la
guerra, acciò che intendano che, se 'l fuggire salva loro la
vita, egli non salva loro la roba l'amore della quale non suole meno
di quella rendere ostinati gli uomini alla difesa.
Zanobi:
Voi avete detto come egli si può fare i soldati volti
a combattere parlanda loro. Intendete voi, per questo, che si abbia a
parlare a tutto l'esercito, o a' capi di quello?
Fabrizio:
A persuadere o a dissuadere a' pochi una cosa, è molto
facile perché, se non bastano le parole, tu vi puoi usare
l'autorità e la forza; ma la difficultà è
rimuovere da una moltitudine una sinistra opinione e che sia
contraria o al bene comune o all'opinione tua; dove non si può
usare se non le parole le quali conviene che sieno udite da tutti,
volendo persuadergli tutti. Per questo gli eccellenti capitani
conveniva che fussono oratori, perché, sanza sapere parlare a
tutto l'esercito, con difficultà si può operare cosa
buona, il che al tutto in questi nostri tempi è dismesso.
Leggete la vita d'Alessandro Magno, e vedete quante volte gli fu
necessario concionare e parlare publicamente all'esercito; altrimenti
non l'arebbe mai condotto, sendo diventato ricco e pieno di preda,
per i deserti d'Arabia e nell'India con tanto suo disagio e noia
perché infinite volte nascono cose mediante le quali uno
esercito rovina, quando il capitano o non sappia o non usi di parlare
a quello, perché questo parlare lieva il timore, accende gli
animi cresce l'ostinazione, scuopre gl'inganni, promette premii,
mostra i pericoli e la via di fuggirli, riprende, priega, minaccia,
riempie di speranza, loda, vitupera, e fa tutte quelle cose per le
quali le umane passioni si spengono o si accendono. Donde quel
principe o republica che disegnasse fare una nuova milizia e rendere
riputazione a questo esercizio debbe assuefare i suoi soldati a udire
parlare il capitano, e il capitano a sapere parlare a quegli. Valeva
assai, nel tenere disposti gli soldati antichi, la religione e il
giuramento che si dava loro quando si conducevano a militare, perché
in ogni loro errore si minacciavano non solamente di quelli mali che
potessono temere dagli uomini, ma di quegli che da Dio potessono
aspettare. La quale cosa, mescolata con altri modi religiosi, fece
molte volte facile a' capitani antichi ogni impresa, e farebbe sempre
dove la religione si temesse e osservasse. Sertorio si valse di
questa, mostrando di parlare con una cervia la quale, da parte
d'Iddio, gli prometteva la vittoria. Silla diceva di parlare con una
immagine ch'egli aveva tratta dal tempio di Apolline. Molti hanno
detto essere loro apparse in sogno Iddio, che gli ha ammoniti al
combattere. Ne' tempi de'padri nostri, Carlo VII re di Francia, nella
guerra che fece contro agli Inghilesi diceva consigliarsi con una
fanciulla mandata da Iddio, la quale si chiamò per tutto la
Pulzella di Francia, il che gli fu cagione della vittoria. Puossi
ancora tenere modi che facciano che i tuoi apprezzino poco il nimico;
come tenne Agesilao spartano, il quale mostrò a' suoi soldati
alcuni Persiani ignudi acciò che vedute le loro membra
dilicate, non avessero cagione di temergli. Alcuni gli hanno
costretti a combattere per necessità, levando loro via ogni
speranza di salvarsi, fuora che nel vincere, la quale è la più
gagliarda e la migliore provvisione che si faccia, a volere fare il
suo soldato ostinato. La quale ostinazione è accresciuta dalla
confidenza e dall'amore del capitano o della patria. La confidenza,
la causa l'armi, l'ordine, le vittorie fresche e l'opinione del
capitano. L'amore della patria è causato dalla natura; quello
del capitano, dalla virtù più che da niuno altro
beneficio. Le necessitadi possono essere molte, ma quella è
più forte, che ti costringe o vincere o morire.
Libro quinto
Fabrizio:
Io vi ho mostro come si ordina uno esercito per fare
giornata con un altro esercito che si vegga posto all'incontro di sé,
e narratovi come quella si vince e, di poi, molte circustanze per li
varii accidenti che possono occorrere intorno a quella; tanto che mi
pare tempo da mostrarvi ora come si ordina uno esercito contro a quel
nimico che altri non vede, ma che continuamente si teme non ti
assalti. Questo interviene quando si cammina per il paese nimico o
sospetto. E prima avete a intendere come uno esercito romano, per
l'ordinario, sempre mandava innanzi alcune torme di cavagli come
speculatori del cammino. Di poi seguitava il corno destro. Dopo
questo ne venivano tutti i carriaggi che a quello appartenevano. Dopo
questi veniva una legione; dopo lei i suoi carriaggi; dopo quegli
un'altra legione e, appresso a quella, i suoi carriaggi; dopo i quali
ne veniva il corno sinistro co' suoi carriaggi a spalle e,
nell'ultima parte, seguiva il rimanente della cavalleria. Questo era
in effetto il modo col quale ordinariamente si camminava. E se
avveniva che l'esercito fusse assaltato a cammino da fronte o da
spalle, essi facevano a un tratto ritirare tutti i carriaggi o in su
la destra o in su la sinistra, secondo che occorreva o che meglio,
rispetto al sito, si poteva e tutte le genti insieme, libere dagli
impedimenti loro, facevano testa da quella parte donde il nimico
veniva. Se erano assaltate per fianco, si ritiravano i carriaggi
verso quella parte che era sicura, e dell'altra facevano testa.
Questo modo, sendo buono e prudentemente governato, mi parrebbe da
imitare, mandando innanzi i cavagli leggieri come speculatori del
paese; di poi, avendo quattro battaglioni, fare che camminassero alla
fila, e ciascuno con i suoi carriaggi a spalle. E perché sono
di due ragioni carriaggi, cioè pertinenti a'particolari
soldati e pertinenti al publico uso di tutto il campo, dividerei i
carriaggi publici in quattro parti e, ad ogni battaglione, ne
concederei la sua parte, dividendo ancora in quarto le artiglierie e
tutti i disarmati, acciò che ogni numero di armati avesse
equalmente gli impedimenti suoi. Ma perché egli occorre alcuna
volta che si cammina per il paese, non solamente sospetto, ma in
tanto nimico che tu temi a ogni ora di essere assalito, sei
necessitato, per andare più sicuro, mutare forma di cammino e
andare in modo ordinato, che né i paesani né l'esercito
ti possa offendere, trovandoti in alcuna parte improvvisto. Solevano
in tale caso gli antichi capitani andare con lo esercito quadrato
(ché così chiamava no questa forma, non perch'ella
fusse al tutto quadra, ma per essere atta a combattere da quattro
parti) e dicevano che andavano parati e al cammino e alla zuffa; dal
quale modo io non mi voglio discostare, e voglio ordinare i miei due
battaglioni, i quali ho preso per regola d'uno esercito, a questo
effetto. Volendo pertanto camminare sicuro per il paese nimico e
potere rispondere da ogni parte quando fusse all'improvviso
assaltato, e volendo, secondo gli antichi, ridurlo in quadro,
disegnerei fare uno quadro, che il vacuo suo fusse di spazio da ogni
parte dugentododici braccia, in questo modo: io porrei prima i
fianchi, discosto l'uno fianco dall'altro dugentododici braccia, e
metterei cinque battaglie per fianco in filo per lunghezza, e
discosto l'una dall'altra tre braccia; le quali occuperebbero con gli
loro spazii, occupando ogni battaglia quaranta braccia dugentododici
braccia. Tra le teste poi e tra le code di questi due fianchi porrei
l'altre dieci battaglie, in ogni parte cinque, ordinandole in modo
che quattro se ne accostassono alla testa del fianco destro, e
quattro alla coda del fianco sinistro, lasciando tra ciascuna uno
intervallo di tre braccia; una poi se ne accostasse alla testa del
fianco sinistro e una alla coda del fianco destro. E perché il
vano- che è dall'uno fianco all'altro è dugentododici
braccia, e queste battaglie, che sono poste allato l'una all'altra
per larghezza e non per lunghezza, verrebbero a occupare con gli
intervalli centotrentaquattro braccia, verrebbe, tra le quattro
battaglie poste in su la fronte del fianco destro e l'una posta in su
quella del sinistro, a restare uno spazio di settantotto braccia; e
quello medesimo spazio verrebbe a rimanere nelle battaglie poste
nella parte posteriore; né vi sarebbe altra differenza, se non
che l'uno spazio verrebbe dalla parte di dietro verso il corno
destro, l'altro verrebbe dalla parte davanti verso il corno sinistro.
Nello spazio delle settantotto braccia davanti porrei tutti i veliti
ordinarii: in quello di dietro gli straordinarii, che ne verrebbe ad
essere mille per spazio. E volendo che lo spazio che avesse di dentro
l'esercito fusse per ogni verso dugentododici braccia, converrebbe
che le cinque battaglie che si pongono nella testa, e quelle che si
pongono nella coda, non occupassono alcuna parte dello spazio che
tengono i fianchi, e però converrebbe che le cinque battaglie
di dietro toccassero, con la fronte, la coda de' loro fianchi, e
quelle davanti, con la coda, toccassero le teste; in modo che sopra
ogni canto di questo esercito resterebbe uno spazio da ricevere
un'altra battaglia. E perché sono quattro spazi, io torrei
quattro bandiere delle picche estraordinarie e, in ogni canto, ne
metterei una; e le due bandiere di dette picche che mi avanzassero,
porrei nel mezzo del vano di questo esercito in uno quadro in
battaglia, alla testa delle quali stesse il capitano generale co'
suoi uomini intorno. E perché queste battaglie, ordinate così,
camminano tutte per uno verso, ma non tutte per uno verso combattono,
si ha, nel porle insieme, a ordinare quegli lati a combattere che non
sono guardati dall'altre battaglie. E però si dee considerare
che le cinque battaglie che sono in fronte, hanno guardate tutte
l'altre parti eccetto che la fronte; e però queste s'hanno a
mettere insieme ordinariamente e con le picche davanti. Le cinque
battaglie che sono dietro, hanno guardate tutte le bande fuora che la
parte di dietro; e però si dee mettere insieme queste in modo
che le picche vengano dietro, come nel suo luogo dimostrammo. Le
cinque battaglie che sono nel fianco destro, hanno guardati tutti i
lati, dal fianco destro in fuora. Le cinque che sono in sul sinistro,
hanno fasciate tutte le parti, dal fianco sinistro in fuora; e però
nell'ordinare le battaglie si debbe fare che le picche tornino da
quel fianco che resta scoperto. E perché i capidieci vengano
per testa e per coda acciò che, avendo a combattere, tutte
l'armi e le membra sieno ne' luoghi loro il modo a fare questo si
disse quando ragionammo de' modi dell'ordinare le battaglie.
L'artiglierie dividerei; e una parte ne metterei di fuora nel fianco
destro e l'altra nel sinistro. I cavagli leggieri manderei innanzi a
scoprire il paese. Degli uomini d'arme, ne porrei parte dietro in sul
corno destro e parte in sul sinistro, distanti un quaranta braccia
dalle battaglie. E avete a pigliare, in ogni modo che voi ordinate
uno esercito quanto a' cavagli, questa generalità: che sempre
si hanno a porre o dietro o da' fianchi. Chi li pone davanti, nel
dirimpetto dello esercito, conviene faccia una delle due cose: o che
gli metta tanto innanzi che, sendo ributtati, eglino abbiano tanto
spazio che dia loro tempo a potere cansarsi dalle fanterie tue e non
le urtare; o ordinare in modo quelle con tanti intervalli, che i
cavagli, per quegli, possano entrare tra loro sanza disordinarle. Né
sia alcuno che stimi poco questo ricordo, perché molti, per
non ci avere avvertito, ne sono rovinati e, per loro medesimi si sono
disordinati e rotti. I carriaggi e gli uomini disarmati si mettono
nella piazza che resta dentro all'esercito, e in modo compartiti che
dieno la via facilmente a chi volesse andare o dall'uno canto
all'altro o dall'una testa all'altra dell'esercito. Occupano queste
battaglie, sanza l'artiglierie e i cavagli, per ogni verso dal lato
di fuora, dugentottantadue braccia di spazio. E perché questo
quadro è composto di due battaglioni, conviene divisare quale
parte ne faccia uno battaglione e quale l'altro. E perché i
battaglioni si chiamano dal numero e ciascuno di loro ha, come
sapete, dieci battaglie e uno capo generale, farei che il primo
battaglione ponesse le sue prime cinque battaglie nella fronte,
l'altre cinque nel fianco sinistro, e il capo stesse nell'angulo
sinistro della fronte. Il secondo battaglione di poi mettesse le
prime cinque sue battaglie nel fianco destro, e le altre cinque nella
coda, e il capo stesse nell'angulo destro, il quale verrebbe a fare
l'ufficio del tergiduttore. Ordinato in questo modo lo esercito, si
ha a fare muovere e, nello andare, osservare tutto questo ordine; e
sanza dubbio egli è sicuro da tutti i tumulti de' paesani. Né
dee fare il capitano altra provvisione agli assalti tumultuarii, che
dare qualche volta commissione, a qualche cavallo o bandiera de'
veliti, che gli rimettano. Né mai occorrerà che queste
genti tumultuarie vengano a trovarti al tiro della spada o della
picca, perché la gente inordinata ha paura della ordinata; e
sempre si vedrà che, con le grida e con i romori, faranno uno
grande assalto sanza appressartisi altrimenti, a guisa di cani botoli
intorno a uno maschino. Annibale, quando venne a' danni de' Romani in
Italia, passò per tutta la Francia e, sempre, de' tumulti
franzesi tenne poco conto. Conviene, a volere camminare, avere
spianatori e marraiuoli innanzi che ti tacciano la via- i quali
saranno guardati da quegli cavagli che si mandono avanti a scoprire.
Camminerà uno esercito in questo ordine dieci miglia il giorno
e avanzeragli tanto di sole, che egli alloggerà e cenerà;
perché per l'ordinario uno esercito cammina venti miglia. Se
viene che sia assaltato da uno esercito ordinato, questo assalto non
può nascere subito, perché uno esercito ordinato viene
col passo tuo; tanto che tu sei a tempo a riordinarti alla giornata e
ridurti tosto in quella forma, o simile a quella forma di esercito
che di sopra ti si mostrò. Perché, se tu sei assaltato
dalla parte dinanzi, tu non hai se non a fare che l'artiglierie che
sono ne' fianchi e i cavagli che sono di dietro vengano dinanzi e
pongansi in quegli luoghi e con quelle distanze che di sopra si dice.
I mille veliti che sono davanti escano del luogo suo, e dividansi in
cinquecento per parte, ed entrino nel luogo loro tra' cavagli e le
corna dell'esercito. Di poi nel vòto che lasceranno, entrino
le due bandiere delle picche estraordinarie che io posi nel mezzo
della piazza dell'esercito. I mille veliti che io posi di dietro si
partano di quello luogo, e dividansi per i fianchi delle battaglie a
fortificazione di quelle; e, per la apertura che loro lasceranno,
escano tutti i carriaggi e i disarmati, e mettansi alle spalle delle
battaglie. Rimasa adunque la piazza vota e andato ciascuno a' luoghi
suoi, le cinque battaglie che io posi dietro all'esercito si facciano
innanzi per il vòto che è tra l'uno e l'altro fianco, e
camminino verso le battaglie di testa; e le tre si accostino a quelle
a quaranta braccia con uguali intervalli intra l'una e l'altra; e le
due rimangano addietro, discosto altre quaranta braccia. La quale
forma si può ordinare in uno subito e viene ad essere quasi
simile alla prima disposizione che dello esercito dianzi dimostrammo,
e se viene più stretto in fronte, viene più grosso ne'
fianchi- che non gli dà meno fortezza. Ma perché le
cinque battaglie che sono nella coda hanno le picche dalla parte di
dietro, per le cagioni che dianzi dicemmo, è necessario farle
venire dalla parte davanti, volendo ch'elle facciano spalle alla
fronte dell'esercito; e però conviene: o fare voltare
battaglia per battaglia come uno corpo solido, o farle subito entrare
tra gli ordini degli scudi e condurle davanti; il quale modo è
più ratto e di minore disordine che farle voltare. E così
dei fare di tutte quelle che restono di dietro, in ogni qualità
di assalto, come io vi mostrerò. Se si presenta che il nimico
venga dalla parte di dietro, la prima cosa, si ha a fare che ciascuno
volti il viso dov'egli aveva le schiene; e subito lo esercito viene
ad avere fatto del capo, coda e della coda, capo. Di poi si dee
tenere tutti quegli modi in ordinare quella fronte che io dico di
sopra. Se il nimico viene ad affrontare il fianco destro, si debbe,
verso quella banda, fare voltare il viso a tutto lo esercito; di poi
fare tutte quelle cose, in fortificazione di quella testa, che di
sopra si dicono; tale che i cavagli, i veliti, l'artiglierie sieno
ne'luoghi conformi a questa testa. Solo vi è questa
differenza: che nel variare le teste di quelli che si tramutono, chi
ha ad ire meno e chi più. Bene è vero che faccendo
testa del fianco destro, i veliti che avessono ad entrare negli
intervalli che sono tra le corna dello esercito e i cavagli,
sarebbono quegli che fussono più propinqui al fianco sinistro;
nel luogo de' quali arebbero ad entrare le due bandiere delle picche
estraordinarie, poste nel mezzo. Ma, innanzi vi entrassero, i
carriaggi e i disarmati per l'apertura sgomberassono la piazza e
ritirassonsi dietro al fianco sinistro; il che verrebbe ad essere
allora coda dello esercito. Gli altri veliti che fussono posti nella
coda secondo l'ordinazione principale, in questo caso non si
mutassero perché quello luogo non rimanesse aperto; il quale
di coda verrebbe ad essere fianco. Tutte l'altre cose si deono fare
come nella prima testa si disse. Questo che si è detto circa
il fare testa del fianco destro, s'intende detto avendola a fare del
fianco sinistro, perché si dee osservare il medesimo ordine.
Se il nimico venisse grosso ed ordinato per assaltarti da due bande,
si deono fare quelle due bande ch'egli viene ad assaltare, forti con
quelle due che non sono assaltate, duplicando gli ordini in
ciascheduna e dividendo, per ciascuna parte, l'artiglieria, i veliti
e i cavagli. Se viene da tre o da quattro bande, è necessario
o che tu o esso manchi di prudenza; perché, se tu sarai savio,
tu non ti metterai mai in lato che il nimico da tre o da quattro
bande con gente grossa e ordinata ti possa assaltare; perché,
a volere che sicuramente ti offenda, conviene che sia sì
grosso, che da ogni banda egli ti assalti con tanta gente quanta
abbia quasi tutto il tuo esercito. E se tu se' sì poco
prudente, che tu ti metta nelle terre e forze d'uno nimico che abbia
tre volte gente ordinata più di te, non ti puoi dolere, se tu
capiti male, se non di te. Se viene, non per tua colpa, ma per
qualche sventura, sarà il danno sanza la vergogna, e ti
interverrà come agli Scipioni in Ispagna e ad Asdrubale in
Italia. Ma se il nimico non ha molta più gente di te, e
voglia, per disordinarti, assaltarti da più bande, sarà
stoltizia sua e ventura tua; perché conviene che a fare questo
egli s'assottigli in modo, che tu puoi facilmente urtarne una banda e
sostenerne un'altra, e in brieve tempo rovinarlo. Questo modo
dell'ordinare un esercito contro a uno nimico che non si vede ma che
si teme, è necessario; ed è cosa utilissima assuefare i
tuoi soldati a mettersi insieme e camminare con tale ordine e nel
camminare, ordinarsi per combattere secondo la prima testa e, di poi,
ritornare nella forma che si cammina; da quella, fare testa della
coda, poi del fianco, da queste, ritornare nella prima forma. I quali
esercizi e assuefazioni sono necessarii, volendo avere uno esercito
disciplinato e pratico. Nelle quali cose si hanno ad affaticare i
capitani e i principi; né è altro la disciplina
militare che sapere bene comandare ed eseguire queste cose; né
è altro uno esercito disciplinato, che uno esercito che sia
bene pratico in su questi ordini, né sarebbe possibile che chi
in questi tempi usasse bene simile disciplina, fusse mai rotto. E se
questa forma quadrata che io vi ho dimostra, è alquanto
difficile, tale difficultà è necessaria, pigliandola
per esercizio; perché, sappiendo bene ordinarsi e mantenersi
in quella, si saprà di poi più facilmente stare in
quelle che non avessono tanta difficultà.
Zanobi:
Io credo, come voi dite, che questi ordini sieno molto
necessarii; e io per me non saprei che mi vi aggiungere o levare.
Vero è che io disidero sapere da voi due cose: l'una, se,
quando voi volete fare della coda o del fianco, testa, e voi gli
volete fare voltare, se questo si comanda con la voce o con il suono;
l'altra, se quegli che voi mettete davanti a spianare le strade per
fare la via allo esercito, deono essere de' medesimi soldati delle
vostre battaglie, oppure altra gente vile, deputata a simile
esercizio.
Fabrizio: La
prima vostra domanda importa assai; perché molte volte lo
essere i comandamenti de' capitani non bene intesi, o male
interpretati, ha disordinato il loro esercito; però le voci
con le quali si comanda ne' pericoli deono essere chiare e nette. E
se tu comandi con il suono, conviene fare che dall'uno modo all'altro
sia tanta differenza, che non si possa scambiare l'uno dall'altro; e,
se comandi con le voci, dei avere avvertenza di fuggire le voci
generali e usare le particolari, e delle particulari fuggire quelle
che si potessono interpretare sinistramente Molte volte il dire: "A
dietro! A dietro!" ha fatto rovinare uno esercito; però
questa voce si dee fuggire, e, in suo luogo, usare: "Ritiratevi!".
Se voi gli volete fare voltare per rimutare testa o per fianco o a
spalle, non usate mai: "Voltatevi!" ma dite: "A
sinistra! A destra! A spalle! A fronte!". Così tutte le
altre voci hanno ad essere semplici e nette, come: "Premete!
State forti! Innanzi! Tornate!". E tutte quelle cose che si
possono fare con la voce, si facciano; l'altre si facciano con il
suono. Quanto agli spianatori, che è la seconda domanda
vostra, io fare questo ufficio a' miei soldati proprii, sì
perché così si faceva nella antica milizia, sì
ancora, perché fusse nello esercito meno gente disarmata e
meno impedimenti, e ne trarrei d'ogni battaglia quel numero
bisognasse, e farei loro pigliare gli istrumenti atti a spianare, e
l'armi lasciare a quelle file che fussero loro più presso; le
quali le porterebbero loro, e, venendo il nimico, non arebbono a fare
altro che ripigliarle e ritornare negli ordini loro.
Zanobi:
Gli istrumenti da spianare chi gli porterebbe?
Fabrizio:
I carri, a portare simili istrumenti, deputati.
Zanobi:
Io dubito che voi non condurresti mai questi vostri soldati a
zappare.
Fabrizio: Di
tutto si ragionerà nel luogo suo. Per ora io voglio lasciare
stare questa parte e ragionare del modo del vivere dello esercito;
perché mi pare, avendolo tanto affaticato, che sia tempo da
rinfrescarlo e ristorarlo con il cibo. Voi avete ad intendere che uno
principe debbe ordinare l'esercito suo più espedito che sia
possibile e torgli tutte quelle cose che gli aggiugnessero carico e
gli facessero difficili le imprese. Tra quelle che arrecono più
difficultà, sono avere a tenere provvisto l'esercito di vino e
di pane cotto. Gli antichi al vino non pensavano, perché,
mancandone, beevano acqua tinta con un poco d'aceto per darle sapore;
donde che tra le munizioni de' viveri dello esercito era l'aceto e
non il vino. Non cocevano il pane ne' forni, come si usa per le
cittadi, ma provvedevano le farine; e di quelle ogni soldato a suo
modo si sodisfaceva, avendo per condimento lardo e sugna; il che dava
al pane che facevano, sapore e gli manteneva gagliardi. In modo che
le provvisioni di vivere per l'esercito erano farine, aceto, lardo e
sugna e, per i cavagli, orzo. Avevano, per l'ordinario, branchi di
bestiame grosso e minuto che seguiva l'esercito; il quale, per non
avere bisogno di essere portato, non dava molto impedimento. Da
questo ordine nasceva che uno esercito antico camminava alcuna volta
molti giorni per luoghi solitarii e difficili sanza patire disagi di
vettovaglie, perché viveva di cose che facilmente se le poteva
tirare dietro. Al contrario interviene ne' moderni eserciti; i quali,
volendo non mancare del vino e mangiare pane cotto in quegli modi che
quando sono a casa, di che non possono fare provvisione a lungo,
rimangono spesso affamati, o, se pure ne sono provvisti, si fa con
uno disagio e con una spesa grandissima. Pertanto io ritirerei
l'esercito mio a questa forma del vivere, né vorrei
mangiassono altro pane che quello che per loro medesimi si cocessero.
Quanto al vino non proibirei il berne, né che nello esercito
ne venisse, ma non userei ne industria né fatica alcuna per
averne; e nell'altre provvisioni mi governerei al tutto come gli
antichi. La quale cosa se considererete bene, vedrete quanta
difficultà si lieva via, e di quanti affanni e disagi si priva
uno esercito e uno capitano, e quanta commodità si darà
a qualunque impresa si volesse fare.
Zanobi:
Noi abbiamo vinto il nimico alla campagna, camminato di poi
sopra il paese suo; la ragione vuole che si sia fatto prede,
taglieggiato terre, preso prigioni; però io vorrei sapere come
gli antichi in queste cose si governavano.
Fabrizio:
Ecco che io vi sodisfarò. Io credo che voi abbiate
considerato, perché altra volta con alcuni di voi ne ho
ragionato, come le presenti guerre impoveriscono così quegli
signori che vincono, come quegli che perdono; perché se l'uno
perde lo stato, l'altro perde i danari e il mobile suo; il che
anticamente non era, perché il vincitore delle guerre
arricchiva. Questo nasce da non tenere conto in questi tempi delle
prede, come anticamente si faceva, ma si lasciano tutte alla
discrezione de' soldati. Questo modo fa due disordini grandissimi:
l'uno, quello che io ho detto; l'altro, che il soldato diventa più
cupido del predare e meno osservante degli ordini; e molte volte si è
veduto come la cupidità della preda ha fatto perdere chi era
vittorioso. I Romani pertanto che furno principi di questo esercizio
provvidero all'uno e all'altro di questi inconvenienti, ordinando che
tutta la preda appartenesse al publico, e che il publico poi la
dispensasse come gli paresse. E però avevano negli eserciti i
questori, che erano, come diremmo noi i camarlinghi; appresso a'quali
tutte le taglie e le prede si collocavano, di che il consolo si
serviva a dar la paga ordinaria a' soldati, a sovvenire i feriti e
gl'infermi, e agli altri bisogni dello esercito. Poteva bene il
consolo, e usavalo spesso, concedere una preda a' soldati; ma questa
concessione non faceva disordine, perché, rotto lo esercito,
tutta la preda si metteva in mezzo e distribuivasi per testa secondo
le qualità di ciascuno. Il quale modo faceva che i soldati
attendevano a vincere e non a rubare; e le legioni romane vincevano
il nimico e non lo seguitavano, perché mai non si partivano
degli ordini loro; solamente lo seguivano i cavagli con quegli armati
leggermente e, se vi erano, altri soldati che legionari. Che se le
prede fussero state di chi le guadagnava, non era possibile né
ragionevole tenere le legioni ferme, e portavasi molti pericoli. Di
qui nasceva pertanto che il publico arricchiva, e ogni consolo
portava con gli suoi trionfi nello erario assai tesoro, il quale era
tutto di taglie e di prede. Un'altra cosa facevano gli antichi bene
considerata; che del soldo che davano a ciascuno soldato, la terza
parte volevano che deponesse appresso quello che della sua battaglia
portava la bandiera; il quale ma i non gliene riconsegnava se non
fornita la guerra. Questo facevano mossi da due ragioni: la prima,
perché il soldato facesse del suo soldo capitale; perché,
essendo la maggior parte giovani e straccurati, quanto più
hanno, tanto più sanza necessità spendono; l'altra,
perché sappiendo che il mobile loro era appresso alla
bandiera, fussero forzati averne più cura e con più
ostinazione difenderla, e così questo modo gli faceva massai e
gagliardi. Le quali cose tutte è necessario osservare, a
volere ridurre la milizia ne' termini suoi.
Zanobi:
Io credo che non sia possibile che ad uno esercito, mentre
che cammina da luogo a luogo, non scaggia accidenti pericolosi dove
bisogni la industria del capitano e la virtù de' soldati,
volendogli evitare; però io arei caro che voi, occorrendone
alcuno, lo narrassi.
Fabrizio:
Io vi contenterò volentieri, essendo massimamente
necessario, volendo dare di questo esercizio perfetta scienza. Deono
i capitani, sopra ogni altra cosa, mentre che camminano con
l'esercito, guardarsi dagli agguati; ne' quali si incorre in due
modi: o camminando tu entri in quegli, o con arte del nimico vi se'
tirato dentro, sanza che tu gli presenta. Al primo caso volendo
obviare, è necessario mandare innanzi doppie guardie le quali
scuoprano il paese; e tanto maggiore diligenza vi si debba usare,
quanto più il paese fusse atto agli agguati, come sono i paesi
selvosi e montuosi, perché sempre si mettono o in una selva o
dietro a uno colle. E come lo agguato, non lo prevedendo ti rovina,
così, prevedendolo, non ti offende. Hanno gli uccegli o la
polvere molte volte scoperto il nimico, perché sempre che il
nimico ti venga a trovare farà polverio grande che ti
significherà la sua venuta. Così molte volte uno
capitano veggendo, ne' luoghi donde egli debbe passare, levare
colombi o altri di quegli uccelli che volono in schiera, e aggirarsi
e non si porre, ha conosciuto essere quivi lo agguato de' nimici e
mandato innanzi sue genti; e, conosciuto quello, ha salvato sé
e offeso il nimico suo. Quanto al secondo caso di esservi tirato
dentro, che questi nostri chiamono essere tirato alla tratta, dei
stare accorto di non credere facilmente a quelle cose che sono poco
ragionevoli ch'elle sieno, come sarebbe: se il nimico ti mettesse
innanzi una preda, dei credere che in quella sia l'amo e che vi sia
dentro nascoso lo inganno Se gli assai nimici sono cacciati da' tuoi
pochi; se pochi nimici assaltono i tuoi assai; se i nimici fanno una
subita fuga e non ragionevole; sempre dei in tali casi temere di
inganno. E non hai a credere mai che il nimico non sappia fare i
fatti suoi; anzi, a volerti ingannare meno e a volere portare meno
pericolo, quanto è più debole, quanto è meno
cauto il nimico, tanto più dei stimarlo. E hai in questo ad
usare due termini diversi, perché tu hai a temerlo con il
pensiero e con l'ordine; ma con le parole e con l'altre estrinseche
dimostrazioni mostrare di spregiarlo, perché questo ultimo
modo fa che i tuoi soldati sperano più di avere vittoria,
quell'altro ti fa più cauto e meno atto ad essere ingannato. E
hai ad intendere che, quando si cammina per il paese nimico, si porta
più e maggiori pericoli che nel fare la giornata. E però
il capitano, camminando, dee raddoppiare la diligenza; e la prima
cosa che dee fare, è di avere descritto e dipinto tutto il
paese per il quale egli cammina, in modo che sappia i luoghi, il
numero, le distanze, le vie, i monti, i fiumi, i paludi e tutte le
qualità loro; e, a fare di sapere questo, conviene abbia a sé,
diversamente e in diversi modi, quegli che sanno i luoghi, e
dimandargli con diligenza, e riscontrare il loro parlare e, secondo i
riscontri, notare. Deve mandare innanzi cavagli e, con loro, capi
prudenti, non tanto a scoprire il nimico, quanto a speculare il
paese, per vedere se riscontra col disegno e con la notizia ch'egli
ha avuta di quello. Deve ancora mandare guardate le guide con
speranza di premio e timore di pena e, sopra tutto, deve fare che
l'esercito non sappia a che fazione egli lo guida; perché non
è cosa nella guerra più utile che tacere le cose che si
hanno a fare. E perché uno subito assalto non turbi i tuoi
soldati, li dei avvertire ch'egli stieno parati con l'armi; perché
le cose previse offendono meno. Molti hanno, per fuggire le
confusioni del cammino, messo sotto le bandiere i carriaggi e i
disarmati, e comandato loro che seguino quelle, acciò che,
avendosi, camminando, a fermare o a ritirare, lo possano fare più
facilmente; la quale cosa, come utile, io appruovo assai. Debbesi
avere ancora quella avvertenza, nel camminare, che l'una parte
dell'esercito non si spicchi dall'altra, o che, per andare l'uno
tosto e l'altro adagio, l'esercito non si assottigli; le quali cose
sono cagione di disordine. Però bisogna collocare i capi in
lato che mantengano il passo uniforme, ritenendo i troppo solleciti e
sollecitando i tardi; il quale passo non si può meglio
regolare che col suono. Debbonsi fare rallargare le vie, acciò
che sempre una battaglia almeno possa ire in ordinanza. Debbesi
considerare il costume e le qualità del nimico, e se ti suole
assaltare o da mattino o da mezzo dì o da sera, e s'egli è
più potente co' fanti o co' cavagli; e, secondo intendi,
ordinarti e provvederti. Ma vegnamo a qualche particolare accidente.
Egli occorre qualche volta che, levandoti dinanzi al nimico per
giudicarti inferiore, e per questo, non volere fare gionata seco, e
venendoti quello a spalle, arrivi alla ripa d'un fiume il quale ti
toglie tempo nel passare, in modo che 'l nimico è per
raggiungerti e per combatterti. Hanno alcuni, che si sono trovati in
tale pericolo, cinto l'esercito loro dalla parte di dietro con una
fossa, e quella ripiena di stipa e messovi fuoco; di poi passato con
l'esercito sanza potere essere impediti dal nimico, essendo quello da
quel fuoco che era di mezzo ritenuto.
Zanobi:
E' mi è duro a credere che cotesto fuoco li possa
ritenere, massime perché mi ricorda avere udito come Annone
cartaginese, essendo assediato da' nimici, si cinse, da quella parte
che voleva fare eruzione, di legname e messevi fuoco- donde che, i
nimici non essendo intenti da quella parte a guardarlo, fece sopra
quelle fiamme passare il suo esercito, faccendo tenere a ciascuno gli
scudi al viso per difendersi dal fuoco e dal fumo.
Fabrizio:
Voi dite bene, ma considerate come io ho detto e come fece
Annone; perché io dissi che fecero una fossa e la riempierono
di stipa, in modo che, chi voleva passare aveva a contendere con la
fossa e coi fuoco. Annone fece il fuoco sanza la fossa, e perché
lo voleva passare, non lo dovette fare gagliardo, perché,
ancora sanza la fossa, l'arebbe impedito. Non sapete voi che Nabide
spartano, sendo assediato in Sparta da' Romani, messe fuoco in parte
della sua terra per impedire il passo a' Romani, i quali erano di già
entrati dentro? E mediante quelle fiamme, non solamente impedì
loro il passo, ma gli ributtò fuora. Ma torniamo alla materia
nostra. Quinto Lutazio romano, avendo alle spalle i Cimbri e arrivato
ad uno fiume, perché il nimico gli desse tempo a passare,
mostrò di dare tempo a lui al combatterlo; e però finse
di volere alloggiare quivi, e fece fare fosse e rizzare alcuno
padiglione, e mandò alcuni cavagli per i campi a saccomanno,
tanto che, credendo i Cimbri ch'egli alloggiasse, ancora essi
alloggiarono e si divisero in più parti per provvedere a'
viveri, di che essendosi Lutazio accorto passò il fiume sanza
potere essere impedito da loro. Alcuni, per passare uno fiume non
avendo ponte, lo hanno derivato e una parte tiratasi dietro alle
spalle; e l'altra di poi, divenuta più bassa, con facilità
passata. Quando i fiumi sono rapidi, a volere che le fanterie passino
più sicuramente, si mettono i cavagli più possenti
dalla parte di sopra, che sostengano l'acqua, e un'altra parte di
sotto, che soccorra i fanti, se alcuno dal fiume nel passare ne fusse
vinto. Passansi ancora i fiumi che non si guadano con ponti, con
barche, con otri, e però è bene avere ne' suoi eserciti
attitudine a potere fare tutte queste cose. Occorre alcuna volta che,
nel passare uno fiume il nimico opposto dall'altra ripa t'impedisce.
A volere vincere questa difficultà non ci conosco esemplo da
imitare migliore che quello di Cesare; il quale, avendo lo esercito
suo alla riva d'un fiume in Francia, ed essendogli impedito il
passare da Vergingetorige franzese il quale dall'altra parte del
fiume aveva le sue genti, camminò più giornate lungo il
fiume, e il simile faceva il nimico. E avendo Cesare fatto uno
alloggiamento in uno luogo selvoso e atto a nascondere gente, trasse
da ogni legione tre coorti e fecele fermare in quello luogo,
comandando loro che, subito che fusse partito, gittassero uno ponte e
lo fortificassero; ed egli con l'altre sue genti seguitò il
cammino. Donde che Vergingetorige vedendo il numero delle legioni,
credendo che non ne fusse rimasa parte a dietro, seguì ancora
egli il camminare; ma Cesare, quando credette che il ponte fusse
fatto, se ne tornò indietro e, trovato ogni cosa ad ordine,
passò il fiume sanza diffficultà.
Zanobi:
Avete voi regola alcuna a conoscere i guadi?
Fabrizio:
Sì, abbiamo. Sempre il fiume in quella parte la quale
è tra l'acqua che stagna e la corrente, che fa a chi vi
riguarda come una riga, ha meno fondo ed è luogo più
atto a essere guadato che altrove; perché sempre in quello
luogo il fiume ha posto più, e ha tenuto più in collo
di quella materia che per il fondo trae seco. La quale cosa, perché
è stata esperimentata assai volte, è verissima.
Zanobi: Se egli avviene
che il fiume abbia sfondato il guado, tale che i cavagli vi si
affondino, che rimedio ne date ?
Fabrizio:
Fare graticci di legname e porgli nel fondo del fiume e,
sopra quegli, passare. Ma seguitiamo il ragionamento nostro. S'egli
accade che uno capitano si conduca col suo esercito tra due monti e
che non abbia se non due vie a salvarsi, o quella davanti o quella di
dietro, e quelle sieno da'nimici occupate, ha, per rimedio, di far
quello che alcuno ha per l'addietro fatto, il che è: fare
dalla parte di dietro una fossa grande e difficile a passare, e
mostrare al nimico di volere con quella ritenerlo, per potere con
tutte le forze sanza avere a temere di dietro, fare forza per quella
via che davanti resta aperta. Il che credendo i nimici, si fecero
forti di verso la parte aperta e abbandonarono la chiusa, e quello
allora gittò uno ponte di legname a tale effetto ordinato
sopra la fossa, e da quella parte sanza alcuno impedimento passò
e liberossi dalle mani del nimico. Lucio Minuzio, consolo romano, era
in Liguria con gli eserciti, ed era stato da' nimici rinchiuso tra
certi monti donde non poteva uscire. Pertanto mandò quello
alcuni soldati di Numidia a cavallo, ch'egli aveva nel suo esercito,
i quali erano male armati e sopra cavagli piccoli e magri, verso i
luoghi che erano guardati da' nimici, i quali, nel primo aspetto,
fecero che i nimici si missero insieme a difendere il passo, ma, poi
che viddero quelle genti male in ordine e, secondo loro, male a
cavallo, stimandogli poco, allargarono gli ordini della guardia. Di
che come i Numidi si avviddero, dato di sproni a' cavagli e fatto
impeto sopra di loro, passarono sanza che quegli vi potessero fare
alcuno rimedio; i quali passati, guastando e predando il paese,
costrinsero i nimici a lasciare il passo libero allo esercito di
Lucio. Alcuno capitano che si è trovato assaltato da gran
moltitudine di nemici, si è ristretto insieme e dato al nimico
facultà di circundarlo tutto, e di poi, da quella parte
ch'egli l'ha conosciuto più debole, ha fatto forza e, per
quella via, si ha fatto fare luogo, e salvatosi. Marco Antonio
andando ritirandosi dinanzi all'esercito de' Parti, s'accorse come i
nimici ogni giorno al fare del dì, quando si moveva, lo
assaltavano e, per tutto il cammino, lo infestavano; di modo che
prese per partito di non partire prima che a mezzogiorno. Tale che i
Parti, credendo che per quel giorno egli non volesse disalloggiare,
se ne tornarono alle loro stanze; e Marco Antonio potèo di poi
tutto il rimanente dì camminare sanza alcuna molestia. Questo
medesimo, per fuggire il saettume de' Parti, comandò alle sue
genti che, quando i Parti venivano verso di loro, s'inginocchiassero,
e la seconda fila delle battaglie ponesse gli scudi in capo alla
prima, la terza alla seconda, la quarta alla terza, e così
successive; tanto che tutto lo esercito veniva ad essere come sotto
uno tetto e difeso dal saettume nimico. Questo è tanto quanto
mi occorre dirvi che possa a uno esercito, camminando, intervenire;
però quando a voi non occorra altro, io passerò ad
un'altra parte.
Libro sesto
Zanobi:
Io credo che sia bene, poiché si debbe mutare
ragionamento, che Batista pigli l'ufficio suo e io deponga il mio, e
verreno in questo caso ad imitare i buoni capitani, secondo che io
intesi già qui dal signore; i quali pongono i migliori soldati
dinanzi e di dietro all'esercito, parendo loro necessario avere
davanti chi gagliardamente appicchi la zuffa e chi, di dietro,
gagliardamente la sostenga. Cosimo, pertanto, cominciò questo
ragionamento prudentemente, e Batista prudentemente lo finirà.
Luigi ed io l'abbiamo in questi mezzi intrattenuto. E come ciascuno
di noi ha presa la parte sua volentieri, così non credo che
Batista sia per ricusarla.
Batista:
Io mi sono lasciato governare infino a qui; così sono
per lasciarmi per lo avvenire. Pertanto, signore, siate contento di
seguitare i ragionamenti vostri e, se noi v'interrompiamo con queste
pratiche, abbiateci per escusati.
Fabrizio:
Voi mi fate, come già vi dissi, cosa gratissima;
perché questo vostro interrompermi non mi toglie fantasia anzi
me la rinfresca. Ma, volendo seguitare la materia nostra, dico come
ormai è tempo che noi alloggiamo questo nostro esercito,
perché voi sapete che ogni cosa disidera il riposo, e sicuto,
perché riposarsi, e non si riposare sicuramente, non è
riposo perfetto. Dubito bene che da voi non si fusse disiderato che
io l'avessi prima alloggiato, di poi fatto camminare e, in ultímo,
combattere; e noi abbiamo fatto al contrario. A che ci ha indotto la
necessità, perché, volendo mostrare, camminando, come
uno esercito si riduceva dalla forma del camminare a quella
dell'azzuffarsi, era necessario avere prima mostro come si ordinava
alla zuffa. Ma, tornando alla materia nostra, dico che, a volere che
lo alloggiamento sia sicuro, conviene che sia forte e ordinato.
Ordinato lo fa la industria del capitano; forte lo fa o il sito o
l'arte. I Greci cercavano de' siti forti, e non si sarebbero mai
posti dove non fusse stata o grotta o ripa di fiume o moltitudine di
arbori, o altro naturale riparo che gli difendesse. Ma i Romani non
tanto alloggiavano sicuri dal sito quanto dall'arte, né mai
sarebbero alloggiati ne' luoghi dove eglino non avessero potuto,
secondo la disciplina loro, distendere tutte le loro genti. Di qui
nasceva che i Romani potevano tenere una forma d'alloggiamento,
perché volevano che il sito ubbidisse a loro, non loro al
sito. Il che non potevano osservare i Greci, perché, ubbidendo
al sito e variando i siti di forma, conveniva che ancora eglino
variassero il modo dello alloggiare e la forma degli loro
alloggiamenti. I Romani adunque, dove il sito mancava di fortezza,
supplivano con l'arte e con la industria. E perché io, in
questa mia narrazione, ho voluto che si imitino i Romani, non mi
partirò nel modo dello alloggiare da quegli, non osservando
però al tutto gli ordini loro, ma prendendone quella parte
quale mi pare che a' presenti tempi si confaccia. Io vi ho detto più
volte come i Romani avevano, negli loro eserciti consolari, due
legioni d'uomini romani, i quali erano circa undicimila fanti e
seicento cavagli; e di più avevano altri undicimila fanti di
gente mandata dagli amici in loro aiuto; né mai negli loro
eserciti avevano più soldati forestieri che romani, eccetto
che di cavagli, i quali non si curavano passassero il numero delle
legioni loro; e, corne in tutte l'azioni loro, mettevano le legioni
in mezzo e gli ausiliari da lato. Il quale modo osservavano ancora
nello alloggiarsi, come per voi medesimi avete potuto leggere in
quegli che scrivono le cose loro; e però io non sono per
narrarvi appunto come quegli alloggiassero, ma per dirvi solo con
quale ordine io al presente alloggerei il mio esercito; e voi allora
conoscerete quale parte io abbia tratta da' modi romani. Voi sapete
che, all'incontro di due legioni romane, io ho preso due battaglioni
di fanti, di semila fanti e trecento cavagli utili per battaglione, e
in che battaglie, in che arme, in che nomi io li ho divisi. Sapete
come nell'ordinare l'esercito a camminare e a combattere, io non ho
fatto menzione d'altre genti, ma solo ho mostro come, raddoppiando le
genti, non si aveva se non a raddoppiare gli ordini. Ma volendo, al
presente, mostrarvi il modo dello alloggiare, mi pare da non stare
solamente con due battaglioni, ma da ridurre insieme uno esercito
giusto composto, a similitudine del romano, di due battaglioni e di
altrettante genti ausiliarie. Il che fo, perché la forma dello
alloggiamento sia più perfetta, alloggiando uno esercito
perfetto, la quale cosa nelle altre dimostrazioni non mi è
paruta necessaria. Volendo adunque alloggiare uno esercito giusto di
ventiquattro mila fanti e di dumila cavagli utili, essendo diviso in
quattro battaglioni, due di gente propria e due di forestieri, terrei
questo modo. Trovato il sito dove io volessi alloggiare, rizzerei la
bandiera capitana e, intorno, le disegnerei uno quadro che avesse
ogni faccia discosto da lei cinquanta braccia; delle quali qualunque,
l'una guardasse l'una delle quattro regioni del cielo, come è
levante, ponente, mezzodì e tramontana; tra 'l quale spazio
vorrei che fusse lo alloggiamento del capitano. E perché io
credo che sia prudenza, e perché così in buona parte
facevano i Romani, dividerei gli armati da'disarmati e separerei gli
uomini impediti dagli espediti. Io alloggerei tutti, o la maggior
parte degli armati, dalla parte di levante, e i disarmati e gli
impediti dalla parte di ponente, faccendo levante la testa e ponente
le spalle dello alloggiamento e mezzodì e tramontana fussero i
fianchi. E per distinguere gli alloggiamenti degli armati, terrei
questo modo: io moverei una linea dalla bandiera capitana e la
guiderei verso levante per uno spazio di secentottanta braccia. Farei
di poi due altre linee che mettessero in mezzo quella e fussero di
lunghezza quanto quella, ma distante ciascuna da lei quindici
braccia; nella estremità delle quali vorrei fusse la porta di
levante, e lo spazio, che è tra le due estreme linee, facesse
una via che andasse dalla porta allo alloggiamento del capitano; la
quale verrebbe ad essere larga trenta braccia e lunga secentotrenta
(perché cinquanta braccia ne occuperebbe lo alloggiamento del
capitano) e chiamassesi questa la via capitana, movessesi di poi
un'altra via dalla porta di mezzodi infino alla porta di tramontana,
e passasse per la testa della via capitana e rasente lo alloggiamento
del capitano di verso levante, la quale fusse lunga mille dugento
cinquanta braccia (perché occuperebbe tutta la larghezza dello
alloggiamento) e fusse larga pure trenta braccia e si chiamasse la
via di croce. Disegnato adunque che fusse lo alloggiamento del
capitano e queste due vie, si cominciassero a disegnare gli
alloggiamenti de' due battaglioni proprii; e uno ne alloggerei da
mano destra della via capitana, e uno da sinistra. E però,
passato lo spazio che tiene la larghezza della via di croce, porrei
trentadue alloggiamenti dalla parte sinistra della via capitana, e
trentadue dalla parte destra, lasciando, tra il sedicesimo e
diciassettesimo alloggiamento, uno spazio di trenta braccia; il che
servisse a una via traversa che attraversasse per tutti gli
alloggiamenti de' battaglioni, come nella distribuzione d'essi si
vedrà. Di questi due ordini di alloggiamenti, ne' primi delle
teste, che verrebbero ad essere appiccati alla via di croce,
alloggerei i capi degli uomini d'arme; ne' quindici alloggiamenti che
da ogni banda seguissono appresso, le loro genti d'arme che, avendo
ciascuno battaglione centocinquanta uomini d'arme, toccherebbe dieci
uomini d'arme per alloggiamenti. Gli spazi degli alloggiamenti de'
capi fussero, per larghezza, quaranta e, per lunghezza, dieci
braccia. E notisi che, qualunque volta io dico larghezza, significo
lo spazio da mezzodì a tramontana, e, dicendo lunghezza,
quello da ponente a levante. Quegli degli uomini d'arme fussero
quindici braccia per lunghezza e trenta per larghezza. Negli altri
quindici alloggiamenti che da ogni parte seguissono (i quali arebbero
il principio loro passata la via traversa e che arebbero il medesimo
spazio che quegli degli uomini d'arme) alloggerei i cavagli leggieri;
de' quali, per essere centocinquanta, ne toccherebbe dieci cavagli
per alloggiamento; e nel sedecimo che ne restasse, alloggereí
il capo loro, dandogli quel medesimo spazio che si dà al capo
degli uomini d'arme. E così gli alloggiamenti de' cavagli de'
due battaglioni verrebbero a mettere in mezzo la via capitana e dare
regola agli alloggiamenti delle fanterie, come io narrerò. Voi
avete notato come io ho alloggiato i trecento cavagli d'ogni
battaglione, con gli loro capi, in trentadue alloggiamenti posti in
su la via capitana e cominciati dalla via di croce; come dal
sestodecimo al diciassettesimo resta uno spazio di trenta braccia per
fare una via traversa. Volendo pertanto alloggiare le venti battaglie
che hanno i due battaglioni ordinarii, porrei gli alloggiamenti
d'ogni due battaglie dietro gli alloggiamenti de' cavagli, che
avessero ciascuno, di lunghezza, quindici braccia e, di larghezza,
trenta come quegli de' cavagli, e fussero congiunti dalla parte di
dietro, che toccassero l'uno l'altro. E in ogni primo alloggiamento,
da ogni banda, che viene appiccato con la via di croce, alloggerei il
connestabole d'una battaglia, che verrebbe a rispondere allo
alloggiamento del capo degli uomini d'arme; ed arebbe questo
alloggiamento solo di spazio, per lunghezza, venti braccia e, per
lunghezza, dieci. Negli altri quindici alloggiamenti, che da ogni
banda seguissono dopo questo infino alla via traversa, alloggerei da
ogni parte una battaglia di fanti, che, essendo
quattrocentocinquanta, ne toccherebbe per alloggiamento trenta. Gli
altri quindici alloggiamenti porrei continui, da ogni banda, a quegli
de' cavagli leggieri, con gli medesimi spazi, dove alloggerei da ogni
parte un'altra battaglia di fanti. E nell'ultimo alloggiamento porrei
da ogni parte il connestabole della battaglia, che verrebbe ad essere
appiccato con quello del capo de' cavagli leggieri, con lo spazio di
dieci braccia per lunghezza e di venti per larghezza. E così
questi due primi ordini di alloggiamenti sarebbero mezzi di cavagli e
mezzi di fanti. E perché io voglio, come nel suo luogo vi
dissi, che questi cavagli sieno tutti utilí, e per questo non
avendo famigli che, nel governare i cavagli o nell'altre cose
necessarie, gli sovvenissono, vorrei che questi fanti che
alloggiassero dietro a' cavagli, fussero obligati ad aiutargli
provvedere e governare a' padroni, e per questo fussero esenti
dall'altre fazioni del campo; il quale modo era osservato da' Romani.
Lasciato di poi, dopo questi alloggiamenti, da ogni parte, uno spazio
di trenta braccia che facesse via e chiamassesi l'una, prima via a
mano destra, e l'altra, prima via a sinistra, porrei da ogni banda un
altro ordine di trentadue alloggiamenti doppi che voltassero la parte
di dietro l'uno all'altro, con gli medesimi spazi che quegli ho
detti, e divisi dopo i sedecimi nel medesimo modo, per fare la via
traversa dove alloggerei da ogni lato quattro battaglie di fanti con
i connestaboli nelle teste da piè e da capo. Lasciato di poi,
da ogni lato, un altro spazio di trenta braccia che facesse via, che
si chiamasse da una parte, la seconda via a man destra, e dall'altra
parte, la seconda via a sinistra, metterei un altro ordine da ogni
banda di trentadue alloggiamenti doppi con le medesime distanze e
divisioni dove alloggerei da ogni lato altre quattro battaglie con
gli loro connestaboli. E così verrebbero ad essere alloggiati
in tre ordini d'alloggiamenti per banda i cavagli e le battaglie
degli due battaglioni ordinarii, e metterebbero in mezzo la via
capitana. I due battaglioni ausiliarii, perché io gli fo
composti de' medesimi uomini, alloggerei da ogni parte di questi due
battaglioni ordinarii con gli medesimi ordini di alloggiamenti,
ponendo prima uno ordine di alloggiamenti doppi dove alloggiassono
mezz'i cavagli e mezz'i fanti, discosto trenta braccia dagli altri,
per fare una via che si chiamasse, l'una, terza via a man destra, e
l'altra, terza via a sinistra. E di poi farei da ogni lato due altri
ordini di alloggiamenti, nel medesimo modo distinti e ordinati che
sono quegli de' battaglioni ordinarii, che farebbero due altre vie; e
tutte quante si chiamassono dal numero e dalla mano dov'elle fussero
collocate. In modo che tutta quanta questa banda di esercito verrebbe
ad essere alloggiata in dodici ordini d'alloggiamenti doppi, e in
tredici vie, computando la via capitana e quella di croce. Vorrei
restasse uno spazio, dagli alloggiamenti al fosso, di cento braccia
intorno intorno. E se voi computerete tutti questi spazi, vedrete che
dal mezzo dello alloggiamento del capitano alla porta di levante sono
secentottanta braccia. Restaci ora due spazi, de' quali, uno è
dallo alloggiamento del capitano alla porta di mezzodì,
l'altro è da quello alla porta di tramontana; che viene ad
essere ciascuno, misurandolo dal punto del mezzo, secentoventicinque
braccia. Tratto di poi da ciascuno di questi spazi cinquanta braccia,
che occupa l'alloggiamento del capitano, e quarantacinque braccia di
piazza, che io gli voglio dare da ogni lato, e trenta braccia di via,
che divida ciascuno di detti spazi nel mezzo e cento braccia che si
lasciano da ogni parte tra gli alloggiamenti e il fosso, resta da
ogni banda uno spazio per alloggiamenti largo quattrocento braccia e
lungo cento, misurando la lunghezza con lo spazio che tiene
l'alloggiamento del capitano. Dividendo adunque per il mezzo dette
lunghezze, si farebbe da ciascuna mano del capitano quaranta
alloggiamenti lunghi cinquanta braccia e larghi venti, che verrebbero
ad essere in tutto ottanta alloggiamenti; ne' quali si alloggerebbe i
capi generali de' battaglioni, i camarlinghi, i maestri di campi e
tutti quegli che avessono ufficio nello esercito, lasciandone alcuno
vòto per gli forestieri che venissono e per quegli che
militassero per grazia del capitano. Dalla parte di dietro dello
alloggiamento del capitano moverei una via da mezzodì a
tramontana, larga trenta braccia, e chiamassesi la via di testa, la
quale verrebbe ad essere posta lungo gli ottanta alloggiamenti detti,
perché questa via e la via di croce metterebbero in mezzo
l'alloggiamento del capitano e gli ottanta alloggiamenti che gli
fussero da' fianchi. Da questa via di testa, e di rincontro allo
alloggiamento del capitano, moverei un'altra via che andasse da
quella alla porta di ponente, larga pure trenta braccia, e
rispondesse per sito e per lunghezza alla via capitana e si chiamasse
la via di piazza. Poste queste due vie, ordinerei la piazza dove si
facesse il mercato, la quale porrei nella testa della via di piazza,
all'incontro allo alloggiamento del capitano, ed appiccata con la via
di testa; e vorrei ch'ella fusse quadra, e le consegnerei novantasei
braccia per quadro. E da man destra e man sinistra di detta piazza
farei due ordini d'alloggiamenti, che ogni ordine avesse otto
alloggiamenti doppi, i quali occupassero per lunghezza dodici braccia
e per larghezza trenta; sì che verrebbero ad essere da ogni
mano della piazza che la mettessono in mezzo, sedici alloggiamenti
che sarebbero in tutto trentadue; ne' quali alloggerei quegli cavagli
che avanzassero a' battaglioni ausiliarii; e quando questi non
bastassero, consegnerei loro alcuni di quegli alloggiamenti che
mettono in mezzo il capitano, e massime di quegli che guardano verso
i fossi. Restanci ora ad alloggiare le picche e i veliti
estraordinarii che ha ogni battaglione; che sapete secondo l'ordine
nostro, come ciascuno ha, oltre alle dieci battaglie, mille picche
estraordinarie e cinquecento veliti; talmente che i due battaglioni
proprii hanno dumila picche estraordinarie e mille veliti
estraordinarii, e gli ausiliarii quanto quegli; di modo che si viene
ancora avere ad alloggiare semila fanti, i quali tutti alloggerei
nella parte di verso ponente e lungo i fossi. Dalla punta adunque
della via di testa e di verso tramontana, lasciando lo spazio delle
cento braccia da quegli al fosso, porrei uno ordine di cinque
alloggiamenti doppi, che tenessero tutti settantacinque braccia per
lunghezza e sessanta per larghezza; tale che, divisa la larghezza,
toccherebbe a ciascuno alloggiamento quindici braccia per lunghezza e
trenta per larghezza. E perché sarebbero dieci alloggiamenti,
alloggerebbero trecento fanti, toccando ad ogni alloggiamento trenta
fanti. Lasciando di poi uno spazio di trentun braccio, porrei in
simile modo e con simili spazi un altro ordine di cinque
alloggiamenti doppi, e di poi un altro, tanto che fossero cinque
ordini di cinque alloggiamenti doppi, che verrebbero ad essere
cinquanta alloggiamenti posti per linea retta dalla parte di
tramontana, distanti tutti da' fossi cento braccia, che
alloggerebbero mille cinquecento fanti. Voltando di poi in su la mano
sinistra verso la porta di ponente, porrei in tutto quel tratto che
fusse da loro a detta porta, cinque altri ordini d'alloggiamenti
doppi, co' medesimi spazi e co' medesimi modi; vero è che
dall'uno ordine all'altro non sarebbe più che quindici braccia
di spazio, ne' quali si alloggerebbero ancora mille cinquecento
fanti; e così dalla porta di tramontana a quella di ponente,
come girano i fossi in cento alloggiamenti, compartiti in dieci
ordini di cinque alloggiamenti doppi per ordine, si alloggerebbero
tutte le picche e i veliti estraordinarii de' battaglioni proprii. E
così dalla porta di ponente a quella di mezzodì, come
girano i fossi nel medesimo modo appunto in altri dieci ordini di
dieci alloggiamenti per ordine, si alloggerebbero le picche e i
veliti estraordinarii de' battaglioni ausiliarii. I capi, ovvero i
connestaboli loro, potrebbero pigliarsi quegli alloggiamenti
parèssono loro più commodi dalla parte di verso i
fossi. L'artiglierie disporrei per tutto lungo gli argini de fossi;
ed in tutto l'altro spazio che restasse di verso ponente, alloggerei
tutti i disarmati e tutti gli impedimenti del campo. E hassi ad
intendere che, sotto questo nome di impedimenti, come voi sapete, gli
antichi intendevano tutto quel traino e tutte quelle cose che sono
necessarie a uno esercito, fuora de' soldati, come sono: legnaiuoli,
fabbri, maniscalchi, scarpellini, ingegneri, bombardieri, ancora che
quegli si potessero mettere nel numero degli armati, mandriani con le
loro mandrie di castroni e buoi che per vivere dello esercito
bisognano e, di più, maestri d'ogni arte, insieme co'
carriaggi publici delle munizioni publiche, pertinenti al vivere e
allo armare. Né distinguerei particolarmente questi
alloggiamenti; solo disegnerei le vie che non avessero ad essere
occupate da loro; di Poi gli altri spazi che tra le vie restassero,
che sarebbero quattro, consegnerei In genere a tutti i detti
impedimenti, cioè l'uno a' mandriani, l'altro agli artefici e
maestranze l'altro a carriaggi publici de'viveri, il quarto a quegli
dell'armare Le vie, le quali io vorrei si lasciassero sanza
occuparle, sarebbero la via di piazza, la via di testa e, di più,
una via che si chiamasse la via di mezzo; la quale si partisse da
tramontana e andasse verso mezzodì e passasse per il mezzo
della via di piazza, la quale dalla parte di ponente facesse quello
effetto che fa la via traversa dalla parte di levante. E, oltre a
questo, una via che girasse dalla parte di dentro, lungo gli
alloggiamenti delle picche e de'veliti estraordinarii E tutte queste
vie fussero larghe trenta braccia. E l'artigliere disporrei lungo i
fossi del campo dalla parte di drento.
Batista:
Io confesso non me ne intendere; né credo anche che a
dire così mi sia vergogna, non sendo questo mio esercizio.
Nondimanco, questo ordine mi piace assai; solo vorrei che voi mi
solvessi questi dubbi: l'uno, perché voi fate le vie e gli
spazi d'intorno sì larghi; l'altro, che mi dà più
noia è, questi spazi che voi disegnate per gli alloggiamenti,
come eglino hanno a essere usati.
Fabrizio:
Sappiate che io fo le vie tutte larghe trenta braccia, acciò
che per quelle possa andare una battaglia di fanti in ordinanza; ché,
se bene vi ricorda, vi dissi come per larghezza tiene ciascuna dalle
venticinque alle trenta braccia. Che lo spazio il quale è tra
il fosso e gli alloggiamenti sia cento braccia, e necessario, perché
vi si possano maneggiare le battaglie e l'artiglierie, condurre per
quello le prede e, bisognando, avere spazio da ritirarsi con nuovi
fossi e nuovi argini. Stanno meglio ancora gli alloggiamenti discosto
assai da' fossi, per essere più discosto a' fuochi e alle
altre cose che potesse trarre il nimico per offesa di quegli. Quanto
alla seconda domanda, la intenzione mia non è che ogni spazio
da me disegnato sia coperto da uno padiglione solo, ma sia usato come
torna commodità a quegli che vi alloggiano, o con più o
con manco tende, pure che non si esca de' termini di quello. E a
disegnare questi alloggiamenti, conviene sieno uomini pratichissimi e
architettori eccellenti; i quali, subito che 'l capitano ha eletto il
luogo, gli sappiano dare la forma e distribuirlo, distinguendo le
vie, dividendo gli alloggiamenti con corde e con aste in modo,
praticamente, che subito sieno ordinati e divisi. E a volere che non
nasca confusione conviene voltare sempre il campo in uno medesimo
modo, acciò che ciascuno sappia in quale via, in quale spazio
egli ha a trovare il suo alloggiamento. E questo si dee osservare in
ogni tempo, in ogni luogo, e in maniera che paia una città
mobile, la quale, dovunque va, porti seco le medesime vie, le
medesime case e il medesimo aspetto, la quale cosa non possono
osservare coloro i quali, cercando di siti forti, hanno a mutare
forma secondo la variazione del sito. Ma i Romani facevano forte il
luogo co' fossi, col vallo e con gli argini, perché facevano
uno steccato intorno al campo e, innanzi a quello, la fossa, per
l'ordinario larga sei braccia e fonda tre; i quali spazi
accrescevano, secondo che volevano dimorare in uno luogo e secondo
che temevano il nimico. Io per me al presente non farei lo steccato,
se già io non volessi vernare in uno luogo. Farei bene la
fossa e l'argine non minore che la detta, ma maggiore secondo la
necessità; farei ancora, rispetto all'artiglierie, sopra ogni
canto dello alloggiamento un mezzo circulo di fosso, dal quale le
artiglierie potessero battere per fianco chi venisse a combattere i
fossi. In questo esercizio di sapere ordinare uno alloggiamento si
deono ancora esercitare i soldati e fare, con quello, i ministri
pronti a disegnarlo e i soldati presti a cognoscere i luoghi loro. Né
cosa alcuna è difficile, come nel luogo suo più
largamente si dirà. Perché io voglio passare per ora
alle guardie del campo, perché, sanza la distribuzione delle
guardie, tutte l'altre fatiche sarebbero vane.
Batista:
Avanti che voi passiate alle guardie, vorrei mi dicessi:
quando altri vuole porre gli alloggiamenti propinqui al nimico, che
modi si tengono? Perché io non so come vi sia tempo a potergli
ordinare sanza pericolo.
Fabrizio:
Voi avete a sapere questo: che niuno capitano alloggia
propinquo al nimico, se non quello che è disposto fare la
giornata qualunque volta il nimico voglia; e quando altri è
così disposto, non ci è pericolo se non ordinario,
perché si ordinano le due parti dello esercito a fare la
giornata, e l'altra parte fa gli alloggiamenti. I Romani in questo
caso davano questa via di fortificare gli alloggiamenti a' triari, ed
i principi e gli astati stavano in arme. Questo facevano perché,
essendo i triari gli ultimi a combattere, erano a tempo, se il nimico
veniva, a lasciare l'opera e pigliare l'armi e entrare ne' luoghi
loro. Voi, a imitazione de' Romani, aresti a far fare gli
alloggiamenti a quelle battaglie che voi volessi mettere nella ultima
parte dello esercito in luogo de' triarii. Ma torniamo a ragionare
delle guardie. E' non mi pare avere trovato, appresso agli antichi,
che per guardare il campo la notte tenessero guardie fuora de' fossi
discosto, come si usa oggi, le quali chiamano ascolte. Il che credo
facessero, pensando che facilmente lo esercito ne potesse restare
ingannato per la difficultà che è nel rivederle, e per
potere essere quelle o corrotte o oppresse dal nimico; in modo che
fidarsi o in parte o in tutto di loro giudicavano pericoloso. E però
tutta la forza della guardia era dentro a' fossi; la quale facevano
con una diligenza e con uno ordine grandissimo, punendo capitalmente
qualunque da tale ordine deviava. Il quale, come era da loro ordinato
non vi dirò altrimenti, per non vi tediare, potendo per voi
medesimi vederlo quando, infino a ora, non l'avessi veduto. Dirò
solo brevemente quello che per me si farebbe. Io farei stare per
l'ordinario ogni notte il terzo dell'esercito armato e, di quello, la
quarta parte sempre in piè; la quale sarebbe distribuita per
tutti gli argini e per tutti i luoghi dello esercito con guardie
doppie poste da ogni quadro di quello; delle quali, parte stessono
saldi, parte continuamente andassero dall'uno canto
dell'alloggiamento all'altro. E questo ordine che io dico, osserverei
ancora di giorno quando io avessi il nimico propinquo. Quanto a dare
il nome, e quello rinnovare ogni sera e fare l'altre cose che in
simili guardie si usano, per essere cose note, non ne parlerò
altrimenti. Solo ricorderò una cosa, per essere
importantissima e che genera molto bene osservandola, e, non la
osservando, molto male; la quale è, che si usi gran diligenza
di chi la sera non alloggia dentro al campo e di chi vi viene di
nuovo. E questo è facile cosa rivedere a chi alloggia con
quello ordine che noi abbiamo disegnato; perché, avendo ogni
alloggiamento il numero degli uomini determinato, è facile
cosa vedere se vi manca o se vi avanza uomini, e, quando ve ne manca
sanza licenza, punirgli come fuggitivi, e, se ve ne avanza, intendere
chi sono, quello che fanno e dell'altre condizioni loro. Questa
diligenza fa che il nimico non può, se non con difficultà,
tenere pratica co' tuoi capi ed essere consapevole de' tuoi consigli.
La quale cosa se da' Romani non fusse stata osservata con diligenza,
non poteva Claudio Nerone, avendo Annibale appresso, partirsi da'
suoi alloggiamenti ch'egli aveva in Lucania, e andare e tornare dalla
Marca, sanza che Annibale ne avesse presentito alcuna cosa. Ma egli
non basta fare questi ordini buoni, se non si fanno con una gran
severità osservare; perché non è cosa che voglia
tanta osservanza, quanta si ricerca in uno esercito. Però le
leggi a fortificazione di quello deono essere aspre e dure, e lo
esecutore durissimo. I Romani punivano di pena capitale chi mancava
nelle guardie, chi abbandonava il luogo che gli era dato a
combattere, chi portava cosa alcuna di nascosto fuora degli
alloggiamenti, se alcuno dicesse avere fatta qualche cosa egregia
nella zuffa e non l'avesse fatta, se alcuno avesse combattuto fuora
del comandamento del capitano, se alcuno avesse per timore gittato
via l'armi. E quando egli occorreva che una coorte o una legione
intera avesse fatto simile errore, per non gli fare morire tutti,
gl'imborsavano tutti e ne traevano la decima parte, e quegli
morivano. La quale pena era in modo fatta che, se ciascuno non la
sentiva, ciascuno nondimeno la temeva. E perché dove sono le
punizioni grandi, vi deono essere ancora i premi, a volere che gli
uomini ad un tratto temano o sperino, egli avevano proposti premi a
ogni egregio fatto: come a colui che, combattendo, salvava la vita ad
uno suo cittadino, a chi prima saliva sopra il muro delle terre
nimiche, a chi prima entrava negli alloggiamenti de' nimici, a chi
avesse, combattendo, ferito o morto il nimico, a chi lo avesse
gittato da cavallo. E così qualunque atto virtuoso era da'
consoli riconosciuto e premiato e, publicamente, da ciascuno lodato;
e quegli che conseguitavano doni per alcuna di queste cose, oltre
alla gloria e alla fama che ne acquistavano tra' soldati, poi ch'egli
erano tornati nella patria, con solenni pompe e con gran
dimostrazioni tra gli amici e parenti le dimostravano. Non è
adunque maraviglia se quel popolo acquistò tanto imperio,
avendo tanta osservanza di pena e di merito verso di quegli che, o
per loro bene o per loro male operare, meritassono o lode o biasimo;
delle quali cose converrebbe osservare la maggior parte. Né mi
pare da tacere un modo di pena da loro osservato, il quale era che
come il reo era, innanzi al tribuno o ii consolo, convinto, era da
quello leggermente con una verga percosso; dopo la quale percossa, al
reo era lecito fuggire e a tutti i soldati ammazzarlo in modo che
subito ciascuno gli traeva o sassi o dardi, o con altre armi lo
percoteva; di qualità ch'egli andava poco vivo e radissimi ne
campavano; e a quegli tali campati non era lecito tornare a casa, se
non con tanti incommodi e ignominie, ch'egli era molto meglio morire.
Vedesi questo modo essere quasi osservato da' Svizzeri, i quali fanno
i condannati ammazzare popularmente dagli altri soldati. Il che è
bene considerato e ottimamente fatto; perché, a volere che uno
non sia defensore d'uno reo, il maggiore rimedio che si truovi è
farlo punitore di quello; perché con altro rispetto lo
favorisce e con altro disiderio brama la punizione sua, quando egli
proprio ne è esecutore, che quando la esecuzione perviene ad
uno altro. Volendo adunque che uno non sia negli errori sua favorito
da uno popolo, gran rimedio è fare che il popolo l'abbia egli
a giudicare. A fortificazione di questo si può addurre lo
esemplo di Manlio Capitolino, il quale, essendo accusato dal senato,
fu difeso dal popolo infino a tanto che non ne diventò
giudice- ma, diventato arbitro nella causa sua, lo condannò a
morte. E' adunque un modo di punire questo da levare i tumulti e da
fare osservare la giustizia. E perché a frenare gli uomini
armati non bastono né il timore delle leggi, né quello
degli uomini, vi aggiugnevano gli antichi l'autorità di Iddio;
e però con cerimonie grandissime facevano a' loro soldati
giurare l'osservanza della disciplina militare, acciò che
contrafaccendo, non solamente avessero a temere le leggi e gli
uomini, ma Iddio; e usavano ogni industria per empiergli di
religione.
Libro VII
Voi
dovete sapere come le terre e le rocche possono essere forti o per
natura o per industria. Per natura sono forti quelle che sono
circundate da fiumi o da paludi, come è Mantova e Ferrara, o
che sono poste sopra uno scoglio o sopra uno monte erto, come Monaco
e Santo Leo; perché quelle poste sopra a' monti, che non sieno
molto difficili a salirgli, sono oggi, rispetto alle artiglierie e le
cave, debolissime. E però il più delle volte nello
edificare si cerca oggi uno piano, per farlo forte con la industria.
La prima industria è fare le mura ritorte e piene di volture e
di ricetti; la quale cosa fa che 'l nimico non si può
accostare a quelle, potendo facilmente essere ferito non solamente a
fronte, ma per fianco. Se le mura si fanno alte, sono troppo esposte
a' colpi dell'artiglieria s'elle si fanno basse, sono facili a
scalare. Se tu fai i fossi innanzi a quelle per dare difficultà
alle scale, se avviene che il nimico gli riempia ( il che può
uno grosso esercito fare facilmente) resta il muro in preda del
nimico. Pertanto io credo, salvo sempre migliore giudicio, che a
volere provvedere all'uno e all'altro inconveniente, si debba fare il
muro alto e con fossi di dentro e non di fuora. Questo è il
più forte modo di edificare che si faccia, perché ti
difende dall'artiglierie e dalle scale, e non dà facilità
al nimico di riempiere il fosso. Debbe essere adunque il muro alto di
quale altezza vi occorre maggiore, e grosso non meno di tre braccia,
per rendere più difficile il farlo rovinare. Debbe avere poste
le torri con gli intervalli di dugento braccia; debbe il fosso dentro
essere largo almeno trenta braccia e fondo dodici; e tutta la terra
che si cava per fare il fosso, sia gettata di verso la città,
e sia sostenuta da uno muro che si parta dal fondo del fosso e vadia
tanto alto sopra la terra che uno uomo si cuopra dietro a quello: la
quale cosa farà la profondità del fosso maggiore. Nel
fondo del fosso ogni dugento braccia vuole essere una casamatta che,
con l'artiglierie, offenda qualunque scendesse in quello.
L'artiglierie grosse che difendono la città, si pongano dietro
al muro che chiude il fosso; perché, per difendere il muro
davanti, sendo alto, non si possono adoperare commodamente altro che
le minute o mezzane. Se il nimico ti viene a scalare, l'altezza del
primo muro facilmente ti difende. Se viene con l'artiglierie, gli
conviene prima battere il muro primo; ma battuto ch'egli è,
perché la natura di tutte le batterie è fare cadere il
muro di verso la parte battuta, viene la rovina del muro, non
trovando fosso che la riceva e nasconda a raddoppiare la profondità
del fosso, in modo che passare più innanzi non ti è
possibile, per trovare una rovina che ti ritiene, uno fosso che ti
impedisce e l'artiglierie nimiche che dal muro del fosso sicuramente
ti ammazzano. Solo vi è questo rimedio: riempiere il fosso; il
che è difficilissimo, sì perché la capacità
sua è grande, sì per la difficultà che è
nello accostarvisi, essendo le mura sinuose e concave, tra le quali,
per le ragioni dette, con difficultà si può entrare, e
di poi avendo a salire con la materia su per una rovina che ti dà
difficultà grandissima, tanto che io fo una città così
ordinata al tutto inespugnabile.
Batista:
Quando si facesse, oltre al fosso di dentro, ancora uno fosso
di fuora, non sarebbe ella più forte?
Fabrizio:
Sarebbe sanza dubbio; ma il ragionamento mio è,
volendo fare uno fosso solo, ch'egli sta meglio dentro che
fuora.
Batista: Vorresti
voi che ne' fossi fusse acqua, o gli ameresti
asciutti?
Fabrizio: Le
opinioni sono diverse perché i fossi pieni d'acqua ti guardano
dalle cave sutterranee, i fossi sanza acqua ti fanno più
difficile il riempierli. Ma io, considerato tutto, li farei sanza
acqua perché sono più sicuri, e si è visto di
verno ghiacciare i fossi e fare facile la espugnazione di una città
come intervenne alla Mirandola, quando papa Iulio la campeggiava. E
per guardarmi dalle cave, gli farei profondi tanto che chi volesse
andare più sotto trovasse l'acqua. Le rocche ancora
edificherei, quanto a' fossi e alle mura, in simile modo, acciò
ch'elle avessero la simile diffficultà a espugnarle. Una cosa
bene voglio ricordare a chi difende le città: e questo è
che non facciano bastioni fuora e che sieno discosto dalle mura di
quelle, ed un'altra a chi fabbrica le rocche: e questo è, che
non faccia ridotto alcuno in quelle, nel quale chi vi è
dentro, perduto il primo muro, si possa ritirare. Quello che mi fa
dare il primo consiglio è che niuno debbe fare cosa mediante
la quale, sanza rimedio, tu cominci a perdere la tua prima
riputazione; la quale, perdendosi, fa stimare meno gli altri ordini
tuoi e sbigottire coloro che hanno preso la tua difesa. E sempre
t'interverrà questo che io dico, quando tu faccia bastioni
fuora della terra che tu abbia a difendere; perché sempre gli
perderai, non si potendo oggi le cose piccole difendere, quando elle
sieno sottoposte al furore delle artiglierie; in modo che,
perdendoli, fieno principio e cagione della tua rovina. Genova,
quando si ribellò dal re Luigi di Francia, fece alcuni
bastioni su per quegli colli che gli sono d'intorno; i quali, come
furono perduti (che si perderono subito) fecero ancora perdere la
città. Quanto al consiglio secondo, affermo niuna cosa essere
ad una rocca più pericolosa, che essere in quella ridotti da
potersi ritirare, perché la speranza che gli uomini hanno
abbandonando uno luogo, fa che egli si perde, e quello perduto fa
perdere poi tutta la rocca. Di esemplo ci è fresco la perdita
della rocca di Furlì, quando la contessa Caterina la difendeva
contra a Cesare Borgia, figliuolo di papa Alessandro VI, il quale vi
aveva condotto l'esercito del re di Francia. Era tutta quella
fortezza piena di luoghi da ritirarsi dall'uno nell'altro; perché
vi era prima la cittadella da quella alla rocca era uno fosso, in
modo che vi si passava per uno ponte levatoio; la rocca era partita
in tre parti e ogni parte era divisa con fossi e con acque
dall'altra, e con ponti da quello luogo a quell'altro si passava.
Donde che il duca batté con l'artiglieria una di quelle parti
della rocca e aperse parte del muro, donde messer Giovanni da Casale,
che era preposto a quella guardia, non pensò di difendere
quella apertura, ma l'abbandonò per ritirarsi negli altri
luoghi; tal che, entrate le genti del duca sanza contrasto in quella
parte, in uno subito la presero tutta, perché diventarono
signori de' ponti che andavano dall'uno membro all'altro. Perdessi
adunque questa rocca, ch'era tenuta inespugnabile, per due difetti:
l'uno per avere tanti ridotti, l'altro per non essere ciascuno
ridotto signore de' ponti suoi. Fece, dunque, la mala edificata
fortezza e la poca prudenza di chi la difendeva vergogna alla
magnanima impresa della contessa, la quale aveva avuto animo ad
aspettare uno esercito, il quale né il re di Napoli né
il duca di Milano aveva aspettato. E benché gli suoi sforzi
non avessero buono fine, nondimeno ne riportò quello onore che
aveva meritata la sua virtù. Il che fu testificato da molti
epigrammi in quegli tempi in sua lode fatti. Se io avessi pertanto ad
edificare rocche, io farei loro le mura gagliarde e i fossi nel modo
abbiamo ragionato; né vi farei dentro altro che case per
abitare, e quelle farei deboli e basse di modo ch'elle non
impedissero, a chi stesse nel mezzo della piazza, la vista di tutte
le mura, acciò che il capitano potesse vedere con l'occhio
dove potesse soccorrere, e che ciascuno intendesse che, perdute le
mura e il fosso, fusse perduta la rocca. E quando pure io vi facessi
alcuno ridotto, farei i ponti divisi in tal modo che ciascuna parte
fusse signore de' ponti dalla banda sua, ordinando che battessero in
su' pilastri nel mezzo del fosso.
Batista:
Voi avete detto che le cose piccole oggi non si possono
difendere; ed egli mi pareva avere inteso al contrario: che quanto
minore era una cosa, meglio si difendeva.
Fabrizio:
Voi non avevi inteso bene perché egli non si può
chiamare oggi forte quello luogo dove, chi lo difende, non abbia
spazio da ritirarsi con nuovi fossi e con nuovi ripari; perché
egli è tanto il furore delle artiglierie, che quello che si
fonda in su la guardia d'uno muro e d'uno riparo solo, s'inganna; e
perché i bastioni, volendo che non passino la misura ordinaria
loro, perché poi sarebbono terre e castella, non si fanno in
modo che altri si possa ritirare, si perdono subito. È adunque
savio partito lasciare stare questi bastioni di fuora e fortificare
l'entrate delle terre e coprire le porte di quelle con rivellini, in
modo che non si entri o esca della porta per linea retta, e dal
rivellino alla porta sia uno fosso con uno ponte. Affortificansi
ancora le porte con le saracinesche, per potere mettere dentro i suoi
uomini quando sono usciti fuora a combattere, e, occorrendo che i
nimici gli caccino, ovviare che alla mescolata non entrino dentro con
loro. E però sono trovate queste, le quali gli antichi
chiamano cateratte, le quali, calandosi, escludono i nimici e salvono
gli amici; perché in tale caso altri non si può valere
né de' ponti né della porta, sendo l'uno e l'altra
occupata dalla calca.
Batista:
Io ho vedute queste saracinesche che voi dite, fatte nella
Magna di travette in forma d'una graticola di ferro, e queste nostre
sono fatte di panconi tutte massicce. Disidererei intendere donde
nasca questa differenza e quali sieno più
gagliarde.
Fabrizio: Io
vi dico di nuovo che i modi e ordini della guerra in tutto il mondo
rispetto a quegli degli antichi, sono spenti; ma in Italia sono al
tutto perduti, e se ci è cosa un poco più gagliarda,
nasce dallo esemplo degli oltramontani. Voi potete avere inteso, e
quest'altri se ne possono ricordare, con quanta debolezza si
edificava innanzi che il re Carlo di Francia nel mille quattrocento
novantaquattro passasse in Italia. I merli si facevano sottili un
mezzo braccio, le balestriere e le bombardiere si facevano con poca
apertura di fuora e con assai dentro, e con molti altri difetti che,
per non essere tedioso, lascerò; perché da' merli
sottili facilmente si lievano le difese, e le bombardiere edificate
in quel modo facilmente si aprono. Ora da' Franciosi si è
imparato a fare il merlo largo e grosso, e che ancora le bombardiere
sieno larghe dalla parte di dentro e ristringano infino alla metà
del muro e poi di nuovo rallarghino infino alla corteccia di fuora,
questo fa che l'artiglieria con fatica può levare le difese.
Hanno pertanto i Franciosi, come questi, molti altri ordini i quali,
per non essere stati veduti da' nostri, non sono stati considerati.
Tra' quali è questo modo di saracinesche fatte ad uso di
graticola, il quale è di gran lunga migliore modo che il
vostro; perché, se voi avete per riparo d'una porta una
saracinesca soda come la vostra, calandola, voi vi serrate dentro e
non potete per quella offendere il nimico; talmente che quello con
scure o con fuoco la può combattere sicuramente. Ma s'ella è
fatta ad uso di graticola, potete, calata ch'ella è, per
quelle maglie e per quegli intervalli difenderla con lance, con
balestre e con ogni altra generazione d'armi.
Batista:
Io ho veduto in Italia un altra usanza oltramontana, e questo
è fare i carri delle artiglierie co' razzi delle ruote torti
verso i poli. Io vorrei sapere perché gli fanno così,
parendomi che sieno più forti diritti, come quegli delle ruote
nostre.
Fabrizio: Non
crediate mai che le cose che si partono da modi ordinarii sieno
fatte: a caso; e se voi credessi che gli facessero così per
essere più begli, voi erreresti, perché dove è
necessaria la fortezza, non si fa conto della bellezza, ma tutto
nasce perché sono assai più sicuri e più
gagliardi che i vostri. La ragione è questa: il carro, quando
egli è carico, o e' va pari, o e' pende sopra il destro o
sopra il sinistro lato. Quando egli va pari, le ruote parimente
sostengono il peso, il quale, sendo diviso ugualmente tra loro, non
le aggrava molto; ma, pendendo, viene ad avere tutto il pondo del
carro addosso a quella ruota, sopra la quale egli pende. Se i razzi
di quella sono diritti, possono facilmente fiaccarsi, perché,
pendendo la ruota, vengono i razzi a pendere ancora loro e a non
sostenere il peso per il ritto. E così quando il carro va pari
e quando eglino hanno meno peso, vengono ad essere più forti;
quando il carro va torto e che vengono ad avere più peso, e'
sono più deboli. Al contrario appunto interviene a' razzi
torti de' carri franciosi; perché, quando il carro,
pendendo-sopra una banda, ponta sopra di loro, per essere
ordinariamente torti, vengono allora ad essere diritti e potere
sostenere gagliardamente tutto il peso; che quando il carro va pari e
che sono torti lo sostengono mezzo. Ma torniamo alle nostre città
e rocche. Usano ancora i Franciosi per più sicurtà
delle porte delle terre loro e per potere nelle ossidioni più
facilmente mettere e trarre genti di quelle, oltre alle cose dette,
un altro ordine del quale io non ne ho veduto ancora in Italia alcuno
esemplo, e questo è che rizzano dalla punta di fuora del ponte
levatoio due pilastri, e sopra ciascuno di quegli bilicono una trave,
in modo che le metà di quelle vengano sopra il ponte l'altre
metà di fuora. Di poi tutta quella parte che viene di fuora
congiungono con travette, le quali tessono dall'una trave all'altra
ad uso di graticola, e dalla parte di dentro appiccano alla punta di
ciascuna trave una catena. Quando vogliono adunque chiudere il ponte
dalla parte di fuora, eglino allentano le catene e lasciano calare
tutta quella parte ingraticolata la quale, abbassandosi, chiude il
ponte; e quando lo vogliono aprire, tirano le catene, e quella si
viene ad alzare; e puossi alzare tanto che vi passi sotto uno uomo e
non uno cavallo, e tanto che vi passi il cavallo e l'uomo, e
chiuderla ancora affatto, perch'ella si abbassa ed alza come una
ventiera di merlo. Questo ordine è più sicuro che la
saracinesca, perché difficilmente può essere dal nimico
impedito in modo che non cali, non calando per una linea retta come
la saracinesca, che facilmente si può puntellare. Deono
adunque coloro che vogliono fare una città, fare ordinare
tutte le cose dette, e di più si vorrebbe, almeno uno miglio
intorno alle mura, non vi lasciare né cultivare, né
murare, ma fusse tutta campagna dove non fusse né macchia, né
argine, né arbori, né casa che impedisse la vista e che
facesse spalle al nimico che si accampa. E notate che una terra che
abbia i fossi di fuora con gli argini più alti che il terreno,
è debolissima; perché quegli fanno riparo al nimico che
ti assalta e non gli impediscono l'offenderti, perché
facilmente si possono aprire e dare luogo alle artiglierie di quello.
Ma passiamo dentro nella terra. Io non voglio perdere molto tempo in
mostrarvi come, oltre alle cose predette, conviene avere munizioni da
vi vere e da combattere, perché sono cose che ciascuno se le
intende e, sanza esse, ogni altro provvedimento è vano. E
generalmente si dee fare due cose: provvedere sé e torre
commodità al nimico di valersi delle cose del tuo paese. Però
gli strami, il bestiame, il frumento che tu non puoi ricevere in
casa, si dee corrompere. Debbe ancora, chi difende una terra,
provvedere che tumultuariamente e disordinatamente non si faccia
alcuna cosa, e tenere modi che in ogni accidente ciascuno sappia
quello abbia a fare. Il modo è questo: che le donne, i vecchi,
i fanciugli e i deboli si stieno in casa e lascino la terra libera a'
giovani e gagliardi; i quali armati si distribuiscano alla difesa,
stando parte di quegli alle mura, parte alle porti, parte ne' luoghi
principali della città, per rimediare a quegli inconvenienti
che potessero nascere dentro; un'altra parte non sia obligata ad
alcuno luogo, ma sia apparecchiata a soccorrere a tutti,
richiedendolo il bisogno. Ed essendo le cose ordinate così,
possono con diffficultà nascere tumulti che ti disordinino.
Ancora voglio che notiate questo nelle offese e difese delle città:
che niuna cosa dà tanta speranza al nimico di potere occupare
una terra, quanto il sapere che quella non è consueta a vedere
il nimico; perché molte volte, per la paura solamente, sanza
altra esperienza di forze, le città si perdono. Però
debbe uno, quando egli assalta una città simile, fare tutte le
sue ostentazioni terribili. Dall'altra parte chi è assaltato
debba preporre, da quella parte che il nimico combatte, uomini forti
e che non gli spaventi l'opinione ma l'arme; perché se la
prima pruova torna vana, cresce animo agli assediati, e di poi il
nimico è forzato a superare chi è dentro con la virtù
e non con la reputazione. Gli instrumenti co' quali gli antichi
difendevano le terre erano molti, come baliste, onagri, scorpioni,
arcubaliste, fustibali, funde; ed ancora erano molti quegli co' quali
le assaltavano, come arieti, torri, musculi, plutei, vinee, falci,
testudini. In cambio delle quali cose sono oggi l'artiglierie, le
quali servono a chi offende e a chi si difende; e però io non
ne parlerò altrimenti. Ma torniamo al ragionamento nostro, e
vegnamo alle offese particolari. Debbesi avere cura di non potere
essere preso per fame e di non essere sforzato per assalti. Quanto
alla fame, si è detto che bisogna, prima che la ossidione
venga, essersi munito bene di viveri. Ma quando ne manca per la
ossidione lunga, si è veduto usare qualche volta qualche modo
estraordinario ad essere provvisto dagli amici che ti vorrebbero
salvare,massime se per il mezzo della città assediata corre
uno fiume; come ferno i Romani, essendo assediato Casalino loro
castello da Annibale, che, non potendo per il fiume mandare loro
altro, gittorno in quello gran quantità di noci, le quali,
portate dal fiume sanza potere essere impedite, ciborno più
tempo i Casalinesi. Alcuni assediati, per mostrare al nimico che gli
avanza loro grano e per farlo disperare che non possa per fame
assediargli, hanno o gittato pane fuora delle mura, o dato mangiare
grano ad uno giovenco, e quello di poi lasciato pigliare, acciò
che, morto e trovatolo pieno di grano, mostri quella abbondanza che
non hanno. Dall'altra parte, i capitani eccellenti hanno usato vari
termini per affamare il nimico. Fabio lasciò seminare a'
Campani, acciò che mancassero di quel frumento che seminavano.
Dionisio, essendo a campo a Reggio, finse di volere fare con loro
accordo, e durante la pratica si faceva provvedere da vivere, e
quando poi gli ebbe per questo modo voti di frumento, gli ristrinse
ed affamogli. Alessandro Magno, volendo espugnare Leucadia, espugnò
tutti i castegli allo intorno, e gli uomini di quegli lasciò
rifuggire in quella; e così, sopravvenendo assai moltitudine,
l'affamò. Quanto agli assalti, si è detto che altri si
debbe guardare dal primo impeto; col quale i Romani occuparono molte
volte di molte terre, assaltandole ad un tratto e da ogni parte, e
chiamavanlo "Aggredi urbem corona", come fece Scipione,
quando occupò Cartagine Nuova in Ispagna. Il quale impeto se
si sostiene, con diffficultà sei poi superato. E se pure egli
occorresse che il nimico fusse entrato dentro nella città per
avere sforzate le mura, ancora i terrazzani vi hanno qualche rimedio,
se non si abbandonano; perché molti eserciti sono, poi che
sono entrati in una terra, stati o ributtati o morti. Il rimedio è
che i terrazzani si mantengano ne' luoghi alti e dalle case e dalle
torri gli combattano. La quale cosa coloro che sono entrati nelle
città si sono ingegnati vincere in due modi: l'uno, con aprire
le porte della città e fare la via a' terrazzani che
securamente si possano fuggire; l'altro, col mandare fuora una voce
che significhi che non si offenda se non gli armati, e a chi getta
l'armi in terra si perdoni. La quale cosa ha renduta facile la
vittoria di molte città. Sono facili, oltre a questo, le città
ad espugnarle, se tu giugni loro addosso imprevisto; il che si fa,
trovandosi con lo esercito discosto, in modo che non si creda o che
tu le voglia assaltare, o che tu possa farlo sanza che si presenta
per la distanza del luogo. Donde che se tu secretamente e
sollecitamente le assalti, quasi sempre ti succederà di
riportarne la vittoria. Io ragiono male volentieri delle cose
successe de' nostri tempi, perché di me e de' miei mi sarebbe
carico a ragionare; d'altri non saprei che mi dire. Nondimeno non
posso a questo proposito non addurre lo esemplo di Cesare Borgia,
chiamato duca Valentino; il quale, trovandosi a Nocera con le sue
genti, sotto colore di andare a' danni di Camerino si volse verso lo
stato d'Urbino, ed occupò uno stato in uno giorno e sanza
alcuna fatica, il quale un altro con assai tempo e spesa non arebbe
appena occupato. Conviene ancora, a quegli che sono assediati,
guardarsi dagli inganni e dalle astuzie del nimico, e però non
si deono fidare gli assediati d'alcuna cosa che veggano fare al
nimico continuamente, ma credano sempre che vi sia sotto lo inganno e
che possa a loro danno variare. Domizio Calvino, assediando una
terra, prese per consuetudine di circuire ogni giorno, con buona
parte delle sue genti, le mura di quella. Donde credendo i terrazzani
lo facesse per esercizio, allentarono le guardie; di che accortosi
Domizio, gli assaltò ed espugnogli. Alcuni capitani, avendo
presentito che doveva venire aiuto agli assediati, hanno vestiti loro
soldati sotto le insegne di quegli che dovevano venire, ed essendo
stati intromessi hanno occupato la terra. Cimone ateniese messe fuoco
una notte in uno tempio che era fuora della terra, onde i terrazzani,
andando a soccorrerlo, lasciarono in preda la terra al nimico. Alcuni
hanno morti quegli che del castello assediato vanno a saccomanno e
rivestiti i suoi soldati con la veste de' saccomanni; i quali di poi
gli hanno dato la terra. Hanno ancora usato gli antichi capitani vari
termini da spogliare di guardie le terre che vogliono pigliare.
Scipione, sendo in Affrica e desiderando occupare alcuni castegli ne'
quali erano messe guardie da' Cartaginesi, finse più volte di
volergli assaltare, ma poi per paura non solamente astenersi, ma
discostarsi da quegli. Il che credendo Annibale essere vero, per
seguirlo con maggiore forze e per potere più facilmente
opprimerlo, trasse tutte le guardie di quegli; il che Scipione
conosciuto, mandò Massinissa suo capitano ad espugnargli.
Pirro, faccendo guerra in Schiavonia ad una città capo di
quello paese, dove era ridotta assai gente in guardia, finse di
essere disperato di poterla espugnare e, voltatosi agli altri luoghi,
fece che quella per soccorrergli si votò di guardie e diventò
facile ad essere sforzata. Hanno molti corrotte l'acque e derivati i
fiumi per pigliare le terre, ancora che di poi non riuscisse. Fannosi
facili ancora gli assediati ad arrendersi, spaventandogli con
significare loro una vittoria avuta o nuovi aiuti che vengano in loro
disfavore. Hanno cerco gli antichi capitani occupare le terre per
tradimento, corrompendo alcuno di dentro; ma hanno tenuti diversi
modi. Alcuno ha mandato uno suo che, sotto nome di fuggitivo, prenda
autorità e fede co' nimici, la quale di poi usi in benificio
suo. Alcuno per questo mezzo ha inteso il modo delle guardie e,
mediante quella notizia, presa la terra. Alcuno ha impedito la porta,
ch'ella non si possa serrare, con uno carro e con travi sotto qualche
colore, e per questo modo fatto l'entrare facile al nimico. Annibale
persuase ad uno che gli desse uno castello de' Romani e che fingesse
di andare a caccia la notte, mostrando non potere andare di giorno
per paura de' nimici, e, tornando di poi con la cacciagione, mettesse
dentro con seco de' suoi uomini e, ammazzata la guardia, gli desse la
porta. Ingannansi ancora gli assediati col tirargli fuora della terra
ediscostargli da quella, mostrando, quando essi ti assaltano, di
fuggire. E molti, tra' quali fu Annibale, hanno non ch'altro,
lasciatosi torre gli alloggiamenti per avere occasione di mettergli
in mezzo e torre loro la terra. Ingannansi ancora col fingere di
partirsi, come fece Formione ateniese; il quale, avendo predato il
paese de' Calcidensi, ricevé di poi i loro ambasciadori,
riempiendo la loro città di sicurtà e di buone promesse
sotto le quali, come uomini poco cauti, furono poco di poi da
Formione oppressi. Debbonsi gli assediati guardare dagli uomini che
egli hanno fra loro sospetti, ma qualche volta si suole così
assicurarsene col merito come con la pena. Marcello, conoscendo come
Lucio Banzio Nolano era volto a favorire Annibale, tanta umanità
e liberalità usò verso di lui, che di nimico se lo fece
amicissimo. Deono gli assediati usare più diligenza nelle
guardie, quando il nimico si è discostato, che quando egli è
propinquo; e deono guardare meglio quegli luoghi i quali pensano che
possano essere offesi meno; perché si sono perdute assai terre
quando il nimico le assalta da quella parte donde essi non credono
essere assaltati. E questo inganno nasce da due cagioni: o per essere
il luogo forte e credere che sia inaccessibile, o per essere usata
arte dal nimico di assaltargli da uno lato , con romori finti e,
dall'altro, taciti e con assalti veri. E però deono gli
assediati avere a questo grande avvertenza, e sopra tutto d'ogni
tempo, e massime la notte, fare buone guardie alle mura; e non
solamente preporvi uomini, ma i cani, e torgli feroci e pronti, i
quali col fiuto presentano il nimico e con lo abbaiare lo scuoprano.
E non che i cani, si è trovato che l'oche hanno salvo una
città, come intervenne a' Romani quando i Franzesi assediavano
il Campidoglio. Alcibiade, per vedere se le guardie vigilavano,
essendo assediata Atene dagli Spartani, ordinò che, quando la
notte egli alzasse uno lume, tutte le guardie lo alzassero,
constituendo pena a chi non lo osservasse. Ificrate ateniese ammazzò
una guardia che dormiva, dicendo di averlo lasciato come l'aveva
trovato. Hanno coloro che sono assediati tenuti vari modi a mandare
avvisi agli amici loro, e per non mandare imbasciate a bocca,
scrivono lettere in cifera e nascondonle in vari modi: le cifere sono
secondo la volontà di chi l'ordina, il modo del nasconderle è
vario. Chi ha scritto il fodero, dentro, d'una spada; altri hanno
messe le lettere in uno pane crudo, e di poi cotto quello e datolo
come per suo cibo a colui che le porta. Alcuni se le sono messe ne'
luoghi più secreti del corpo. Altri le hanno messe in un
collare d'uno cane che sia familiare di quello che le porta. Alcuni
hanno scritto in una lettera cose ordinarie, e di poi, tra l'uno
verso e l'altro, scritto con acque che, bagnandole e scaldandole, poi
le lettere appariscano. Questo modo è stato astutissimamente
osservato ne' nostri tempi; dove che, volendo alcuno significare cose
da tenere secrete a' suoi amici che dentro a una terra abitavano, e
non volendo fidarsi di persona, mandava scomuniche scritte secondo la
consuetudine ed interlineate, come io dico di sopra, e quelle faceva
alle porte de' templi suspendere; le quali conosciute da quegli che
per gli contrassegni le conoscevano, erano spiccate e lette. Il quale
modo è cautissimo, perché chi le porta vi può
esser ingannato e non vi corre alcuno pericolo. Sono infiniti altri
modi che ciascuno per se medesimo può fingere e trovare. Ma
con più facilità si scrive agli assediati, che gli
assediati agli amici di fuora, perché tali lettere non le
possono mandare, se non per uno che sotto ombra di fuggitivo esca
della terra, il che è cosa dubbia e pericolosa quando il
nimico è punto cauto. Ma quelli che mandono dentro, può
quello che è mandato, sotto molti colori andare nel campo che
assedia, e di quivi, presa conveniente occasione, saltare nella
terra. Ma vegnamo a parlare delle presenti espugnazioni; e dico che
s'egli occorre che tu sia combattuto nella tua città, che non
sia ordinata co' fossi dalla parte di dentro, come poco fa
dimostrammo, a volere che il nimico non entri per le rotture del muro
che l'artiglieria fa (perché alla rottura ch'ella non si
faccia non è rimedio), ti è necessario, mentre che
l'artiglieria batte, muovere uno fosso dentro al muro che è
percosso, largo almeno trenta braccia, e gittare tutto quello che si
cava di verso la terra, che faccia argine e più profondo il
fosso; e ti conviene sollecitare questa opera in modo che, quando il
muro caggia, il fosso sia cavato almeno cinque o sei braccia. Il
quale fosso è necessario, mentre che si cava, chiudere da ogni
fianco con una casamatta. E quando il muro è sì
gagliardo che ti dia tempo a fare il fosso e le casematte, viene ad
essere più forte quella parte battuta che il resto della
città, perché tale riparo viene ad avere la forma che
noi demmo a' fossi di dentro Ma quando il muro è debole e che
non ti dia tempo, allora è che bisogna mostrare la virtù,
ed opporvisi con le genti armate e con tutte le forze tue. Questo
modo di riparare fu osservato da' Pisani, quando voi vi andavi a
campo; e poterono farlo, perché avevano le mura gagliarde, che
davano loro tempo, e il terreno tenace e attissimo a rizzare argini e
fare ripari. Che se fussono mancati di questa commodità, si
sarebbero perduti. Pertanto si farà sempre prudentemente a
provvedersi prima, faccendo i fossi dentro alla sua città e
per tutto il suo circuito, come poco fa divisammo; perché in
questo caso si aspetta ozioso e sicuro il nemico, essendo i ripari
fatti. Occupavano gli antichi molte volte le terre con le cave
sutterranee in due modi: o e' facevano una via sotterra segretamente
che riusciva nella terra, e per quella entravano (nel quale modo i
Romani presono la città de' Veienti ) o con le cave scalzavano
uno muro e facevanlo rovinare. Questo ultimo modo è oggi più
gagliardo e fa che le città poste alto sieno più
deboli, perché si possono meglio cavare; e mettendo di poi
nelle cave di quella polvere che in istante si accende, non solamente
rovina uno muro, ma i monti si aprono e le fortezze tutte in più
parti si dissolvono. Il rimedio a questo è edificare in piano
e fare il fosso che cigne la tua città tanto profondo, che il
nimico non possa cavare più basso di quello che non trovi
l'acqua, la quale è solamente nimica di queste cave. E se pure
ti truovi con la terra che tu difendi in poggio, non puoi rimediarvi
con altro che fare dentro alle tue mura assai pozzi profondi; i quali
sono come sfogatoi a quelle cave che il nimico ti potesse ordinare
contra. Un altro rimedio è fargli una cava all'incontro,
quando ti accorgessi donde quello cavasse; il quale modo facilmente
lo impedisce, ma difficilmente si prevede, essendo assediato da uno
nimico cauto. Deve sopra tutto avere cura, quello che è
assediato, di non essere oppresso ne' tempi del riposo, come è
dopo una battaglia avuta, dopo le guardie fatte, che è la
mattina al fare del giorno, la sera tra dì e notte, e sopra
tutto quando si mangia; nel quale tempo molte terre sono espugnate e
molti eserciti sono stati da quegli di dentro rovinati. Però
si debbe con diligenza da ogni parte stare sempre guardato e in buona
parte armato. Io non voglio mancare di dirvi come quello che fa
difficile il difendere una città o uno alloggiamento, è
lo avere a tenere disunite tutte le forze che tu hai in quegli;
perché, potendoti il nimico assalire a sua posta tutto insieme
da qualunque banda, ti conviene tenere ogni luogo guardato; e così
quello ti assalta con tutte le forze e tu con parte di quelle ti
difendi. Può ancora lo assediato essere vinto in tutto; quello
di fuora non può essere se non ributtato; onde che molti che
sono stati assediati o nello alloggiamento o in una terra, ancora che
inferiori di forze sono usciti con tutte le loro genti ad un tratto
fuora e hanno superato il nimico. Questo fece Marcello a Nola, questo
fece Cesare in Francia, che, essendogli assaltati gli alloggiamenti
da uno numero grandissimo di Franzesi e veggendo non gli potere
difendere per avere a dividere le sue forze in più parti, e
non potere, stando dentro agli steccati, con empito urtare il nimico,
aperse da una banda lo alloggiamento, e, rivoltosi in quella parte
con tutte le forze, fece tanto impeto loro contra e con tanta virtù
che gli superò e vinse. La costanza ancora degli assediati fa
molte volte disperare e sbigottire coloro che assediano. Essendo
Pompeo a fronte di Cesare e patendo assai l'esercito Cesariano per la
fame, fu portato del suo pane a Pompeo; il quale vedendo fatto di
erbe, comandò che non si mostrasse al suo esercito per non lo
fare sbigottire, vedendo quali nimici aveva all'incontro. Niuna cosa
fece tanto onore a' Romani nella guerra di Annibale quanto la
costanza loro, perché in qualunque più nimica e avversa
fortuna mai non domandorono pace, mai fecero alcun segno di timore;
anzi, quando Annibale era allo intorno di Roma. Si venderono quegli
campi dove egli aveva posti i suoi alloggiamenti, più pregio
che per l'ordinario per altri tempi venduti non si sarebbono; e
stettero in tanto ostinati nelle imprese loro, che, per difendere
Roma, non vollero levare le offese da Capua, la quale, in quel
medesimo tempo che Roma era assediata, i Romani assediavano. Io so
che io vi ho detto di molte cose le quali per voi medesimi avete
potuto intendere e considerare; nondimeno l'ho fatto, come oggi
ancora vi dissi, per potervi mostrare, mediante quelle, meglio la
qualità di questo esercizio e ancora per sodisfare a quegli,
se alcuno ce ne fusse, che non avessero avuta quella commodità
di intenderle che voi. Né mi pare che ci resti altro a dirvi
che alcune regole generali, le quali voi averete familiarissime; che
sono queste:
Quello che giova al
nimico nuoce a te, e quel che giova a te nuoce al nimico.
Colui
che sarà nella guerra più vigilante a osservare i
disegni del nimico e più durerà fatica ad esercitare il
suo esercito, in minori pericoli incorrerà e più potrà
sperare della vittoria.
Non condurre
mai a giornata i tuoi soldati, se prima non hai confermato l'animo
loro e conosciutogli sanza paura e ordinati; né mai ne farai
pruova, se non quando vedi ch'egli sperano di vincere.
Meglio
è vincere il nimico con la fame che col ferro, nella vittoria
del quale può molto più la fortuna che la virtù.
Niuno partito è migliore che
quello che sta nascoso al nimico infino che tu lo abbia eseguito.
Sapere nella guerra conoscere
l'occasione e pigliarla, giova più che niuna altra cosa.
La natura genera pochi uomini
gagliardi; la industria e lo esercizio ne fa assai.
Può
la disciplina nella guerra più che il furore.
Quando
si partono alcuni dalla parte nimica per venire a' servizi tuoi,
quando sieno fedeli vi sarà sempre grandi acquisti; perché
le forze degli avversari più si minuiscono con la perdita di
quegli che si fuggono, che di quegli che sono ammazzati, ancora che
il nome de' fuggitivi sia a' nuovi amici sospetto, a' vecchi odioso.
Meglio è, nell'ordinare la
giornata, riserbare dietro alla prima fronte assai aiuti, che, per
fare la fronte maggiore, disperdere i suoi soldati.
Difficilmente è vinto colui
che sa conoscere le forze sue e quelle del nimico.
Più
vale la virtù de' soldati che la moltitudine; più giova
alcuna volta il sito che la virtù.
Le
cose nuove e sùbite sbigottiscono gli eserciti le cose
consuete e lente sono poco stimate da quegli; però farai al
tuo esercito praticare e conoscere con piccole zuffe un nimico nuovo,
prima che tu venga alla giornata con quello.
Colui
che seguita con disordine il nimico poi ch'egli è rotto, non
vuole fare altro che diventare, di vittorioso, perdente.
Quello
che non prepara le vettovaglie necessarie al vivere è vinto
sanza ferro.
Chi confida più
ne' cavagli che ne' fanti, o più ne' fanti che ne' cavagli, si
accomodi col sito.
Quando tu vuoi
vedere se, il giorno, alcuna spia è venuta in campo, fa' che
ciascuno ne vadia al suo alloggiamento. Muta partito, quando ti
accorgi che il nimico l'abbia previsto.
Consìgliati,
delle cose che tu dei fare, con molti; quello che di poi vuoi fare
confenferisci con pochi.
I soldati,
quando dimorano alle stanze, si mantengano col timore e con la pena;
poi, quando si conducono alla guerra, con la speranza e col premio.
I buoni capitani non vengono mai a
giornata se la necessità non gli strigne o la occasione non
gli chiama.
Fa' che i tuoi nimici non
sappiano come tu voglia ordinare l'esercito alla zuffa: e in
qualunque modo l'ordini, fa' che le prime squadre possano essere
ricevute dalle seconde e dalle terze.
Nella
zuffa non adoperare mai una battaglia ad un'altra cosa che a quella
per che tu l'avevi deputata, se tu non vuoi fare disordine.
Agli accidenti sùbiti con
difficultà si rimedia, a' pensati con facilità.
Gli uomini, il ferro, i danari e il
pane sono il nervo della guerra; ma di questi quattro sono più
necessarii i primi due, perché gli uomini e il ferro truovano
i danari e il pane, ma il pane e i danari non truovano gli uomini e
il ferro.
Il disarmato ricco è
premio del soldato povero.
Avvezza i
tuoi soldati a spregiare il vivere delicato e il vestire lussurioso.
Questo
è quanto mi occorre generalmente ricordarvi; e so che si
sarebbero possute dire molte altre cose in tutto questo mio
ragionamento, come sarebbero: come e in quanti modi gli antichi
ordinavano le schiere; come vestivano e come in molte altre cose si
esercitavano e aggiugnervi assai particolari i quali non ho giudicati
necessarii narrare, sì perché per voi medesimi potete
vederli sì ancora perché la intenzione mia non è
stata mostrarvi appunto come l'antica milizia era fatta, ma come in
questi tempi si potesse ordinare una milizia che avesse più
virtù che quella che si usa. Donde che non mi è parso
delle cose antiche ragionare altro che quello che io ho giudicato a
tale introduzione necessario. So ancora che io mi arei avuto ad
allargare più sopra la milizia a cavallo e di poi ragionare
della guerra navale, perché chi distingue la milizia dice come
egli è uno esercizio di mare e di terra, a piè e a
cavallo. Di quello di mare io non presumerei parlare, per non ne
avere alcuna notizia; ma lascieronne parlare a' Genovesi e a'
Viniziarni, i quali con simili studi hanno per lo addietro fatto gran
cose. De' cavagli ancora non voglio dire altro che di sopra mi abbia
detto, essendo, come io dissi, questa parte corrotta meno. Oltre a
questo, ordinate che sono bene le fanterie, che sono il nervo dello
esercito, si vengono di necessità a fare buoni cavagli. Solo
ricorderei a chi ordinasse la milizia nel paese suo per riempierlo di
cavagli, facesse due provvedimenti: l'uno, che distribuisse cavalle
di buona razza per il suo contado e avvezzasse i suoi uomini a fare
incette di puledri, come voi in questo paese fate de'vitegli e de'
muli; l'altro, acciò che gli incettanti trovassero il
comperatore, proibirei il potere tenere mulo ad alcuno che non
tenesse cavallo; talmente che, chi volesse tenere una cavalcatura
sola, fusse costretto tenere cavallo; e di più, che non
potesse vestire di drappo se non chi tenesse cavallo. Questo ordine
intendo essere stato fatto da alcuno principe ne' nostri tempi, e in
brevissimo tempo avere nel paese suo ridotto una ottima cavalleria.
Circa alle altre cose quanto si aspetta a' cavagli, mi rimetto a
quanto oggi vi dissi e a quello che si costuma. Desidereresti forse
ancora intendere quali parte debbe avere uno capitano? A che io vi
sodisfarò brevissimamente, perché io non saprei
eleggere altro uomo che quello che sapesse fare tutte quelle cose che
da noi sono state oggi ragionate; le quali ancora non basterebbero,
quando non ne sapesse trovare da sé, perché niuno sanza
invenzione fu mai grande uomo nel mestiero suo; e se la invenzione fa
onore nell'altre cose, in questo sopra tutto ti onora. E si vede ogni
invento, ancora che debole, essere dagli scrittori celebrato; come si
vede che lodano Alessandro Magno, che, per disalloggiare più
segretamente, non dava il segno con la tromba, ma con uno cappello
sopra una lancia. E' laudato ancora per avere ordinato agli suoi
soldati che, nello appiccarsi con gli nimici, s'inginocchiassero col
piè manco, per potere più gagliardamente sostenere
l'impeto loro; il che avendogli dato la vittoria, gli dette ancora
tanta lode, che tutte le statue, che si rizzavano in suo onore
stavano in quella guisa. Ma perch'egli è tempo di finire
questo ragionamento, io voglio tornare a proposito; e parte fuggirò
quella pena in che si costuma condannare in questa terra coloro che
non vi tornano. Se vi ricorda bene, Cosimo, voi mi dicesti che,
essendo io dall'uno canto esaltatore della antichità e
biasimatore di quegli che nelle cose gravi non la imitano, e,
dall'altro, non la avendo io nelle cose della guerra, dove io mi sono
affaticato, imitata, non ne potevi ritrovare la cagione; a che io
risposi come gli uomini che vogliono fare una cosa, conviene prima si
preparino a saperla fare, per potere poi operarla quando l'occasione
lo permetta Se io saprei ridurre la milizia ne' modi antichi o no, io
ne voglio per giudici voi che mi avete sentito sopra questa materia
lungamente disputare; donde voi avete potuto conoscere quanto tempo
io abbia consumato in questi pensieri, e ancora credo possiate
immaginare quanto disiderio sia in me di mandargli ad effetto. Il che
se io ho potuto fare, o se mai me ne è stata data occasione,
facilmente potete conietturarlo. Pure per farvene più certi, e
per più mia giustificazione, voglio ancora addurne le cagioni;
e parte vi osserverò quanto promissi di dimostrarvi: le
difficultà e le facilità che sono al presente in tali
imitazioni. Dico pertanto come niuna azione che si faccia oggi tra
gli uomini, è più facile a ridurre ne' modi antichi che
la milizia, ma per coloro soli che sono principi di tanto stato, che
potessero almeno di loro suggetti mettere insieme quindici o
ventimila giovani. Dall'altra parte, niuna cosa è più
difficile che questa a coloro che non hanno tale commodità. E
perché voi intendiate meglio questa parte, voi avete a sapere
come e' sono di due ragioni capitani lodati. L'una è quegli
che con uno esercito ordinato per sua naturale disciplina hanno fatto
grandi cose, come furono la maggior parte de' cittadini romani e
altri che hanno guidati eserciti; i quali non hanno avuto altra
fatica che mantenergli buoni e vedere di guidargli sicuramente.
L'altra è quegli che non solamente hanno avuto a superare il
nimico, ma, prima ch'egli arrivino a quello, sono stati necessitati
fare buono e bene ordinato l'esercito loro- i quali sanza dubbio
meritono più lode assai che non hanno meritato quegli che con
gli eserciti antichi e buoni hanno virtuosamente operato. Di questi
tali fu Pelopida ed Epaminonda, Tullo Ostilio, Filippo di Macedonia
padre d'Alessandro, Ciro re de' Persi, Gracco romano. Costoro tutti
ebbero prima a fare l'esercito buono, e poi combattere con quello.
Costoro tutti lo poterono fare, sì per la prudenza loro, sì
per avere suggetti da potergli in simile esercizio indirizzare. Né
mai sarebbe stato possibile che alcuno di loro, ancora che uomo pieno
d'ogni eccellenza, avesse potuto in una provincia aliena, piena di
uomini corrotti, non usi ad alcuna onesta ubbidienza, fare alcuna
opera lodevole. Non basta adunque in Italia il sapere governare uno
esercito fatto, ma prima è necessario saperlo fare e poi
saperlo comandare E di questi bisogna sieno quegli principi che, per
avere molto stato e assai suggetti, hanno commodità di farlo.
De' quali non posso essere io che non comandai mai, né posso
comandare se non a eserciti forestieri e a uomini obligati ad altri e
non a me. Ne' quali s'egli è possibile o no introdurre alcuna
di quelle cose da me oggi ragionate, lo voglio lasciare nel giudicio
vostro. Quando potrei io fare portare a uno di questi soldati che
oggi si praticano, più armi che le consuete, e oltra alle
armi, il cibo per due o tre giorni e la zappa? Quando potrei io farlo
zappare o tenerlo ogni giorno molte ore sotto l'armi negli esercizi
finti, per potere poi ne' veri valermene? Quando si asterrebbe egli
da' giuochi, dalle lascivie, dalle bestemmie, dalle insolenze che
ogni dì fanno? Quando si ridurrebbero eglino in tanta
disciplina e in tanta ubbidienza e reverenza, che uno arbore pieno di
pomi nel mezzo degli alloggiamenti vi si trovasse e lasciasse
intatto, come si legge che negli eserciti antichi molte volte
intervenne? Che cosa posso io promettere loro, mediante la quale e'
mi abbiano con reverenza ad amare o temere, quando, finita la guerra,
e' non hanno più alcuna cosa a convenire meco ? Di che gli ho
io a fare vergognare, che sono nati e allevati sanza vergogna? Perché
mi hanno eglino ad osservare, che non mi conoscono? Per quale Iddio,
o per quali santi gli ho io a fare giurare? Per quei ch'egli adorano,
o per quei che bestemmiano? Che ne adorino non so io alcuno, ma so
bene che li bestemmiano tutti. Come ho io a credere ch'egli osservino
le promesse a coloro che ad ogni ora essi dispregiano? Come possono
coloro che dispregiano Iddio, riverire gli uomini ? Quale dunque
buona forma sarebbe quella che si potesse imprimere in questa materia
? E se voi mi allegassi che i Svizzeri e gli Spagnuoli sono buoni io
vi confesserei come eglino sono di gran lunga migliori che gli
Italiani; ma se voi noterete il ragionamento mio e il modo del
procedere d'ambidue, vedrete come e' manca loro di molte cose ad
aggiugnere alla perfezione degli antichi. E i Svizzeri sono fatti
buoni da uno loro naturale uso causato da quello che oggi vi dissi,
quegli altri da una necessità; perché, militando in una
provincia forestiera e parendo loro essere costretti o morire o
vincere, per non parere loro avere luogo alla fuga, sono diventati
buoni. Ma è una bontà in molte parti defettiva, perché
in quella non è altro di buono, se non che si sono assuefatti
ad aspettare il nimico infino alla punta della picca e della spada.
Né quello che manca loro, sarebbe alcuno atto ad insegnarlo, e
tanto meno chi non fusse della loro lingua. Ma torniamo agli
Italiani, i quali, per non avere avuti i principi savi, non hanno
preso alcuno ordine buono, e, per non avere avuto quella necessità
che hanno avuta gli Spagnuoli, non gli hanno per loro medesimi presi;
tale che rimangono il vituperio del mondo. Ma i popoli non ne hanno
colpa, ma sì bene i principi loro; i quali ne sono stati
gastigati, e della ignoranza loro ne hanno portate giuste pene
perdendo ignominiosamente lo stato, e sanza alcuno esemplo virtuoso.
Volete voi vedere se questo che io dico è vero? Considerate
quante guerre sono state in Italia dalla passata del re Carlo ad
oggi; e solendo le guerre fare uomini bellicosi e riputati, queste
quanto più sono state grandi e fiere, tanto più hanno
fatto perdere di riputazione alle membra e a' capi suoi. Questo
conviene che nasca che gli ordini consueti non erano e non sono
buoni; e degli ordini nuovi non ci è alcuno che abbia saputo
pigliarne. Né crediate mai che si renda riputazione alle armi
italiane, se non per quella via che io ho dimostra e mediante coloro
che tengono stati grossi in Italia; perché questa forma si può
imprimere negli uomini semplici, rozzi e proprii, non ne' maligni
male custoditi e forestieri. Né si troverrà mai alcuno
buono scultore che creda fare una bella statua d'un pezzo di marmo
male abbozzato, ma sì bene d'uno rozzo. Credevano i nostri
principi italiani, prima ch'egli assaggiassero i colpi delle
oltramontane guerre, che a uno principe bastasse sapere negli
scrittoi pensare una acuta risposta, scrivere una bella lettera,
mostrare ne' detti e nelle parole arguzia e prontezza, sapere tessere
una fraude, ornarsi di gemme e d'oro, dormire e mangiare con maggiore
splendore che gli altri, tenere assai lascivie intorno, governarsi
co' sudditi avaramente e superbamente, marcirsi nello ozio, dare i
gradi della milizia per grazia disprezzare se alcuno avesse loro
dimostro alcuna lodevole via, volere che le parole loro fussero
responsi di oraculi; ne si accorgevano i meschini che si preparavano
ad essere preda di qualunque gli assaltava. Di qui nacquero poi nel
mille quattrocento novantaquattro i grandi spaventi, le sùbite
fughe e le miracolose perdite; e così tre potentissimi stati
che erano in Italia, sono stati più volte saccheggiati e
guasti. Ma quello che è peggio, è che quegli che ci
restano stanno nel medesimo errore e vivono nel medesimo disordine, e
non considerano che quegli che anticamente volevano tenere lo stato,
facevano e facevano fare tutte quelle cose che da me si sono
ragionate, e che il loro studio era preparare il corpo a' disagi e lo
animo a non temere i pericoli. Onde nasceva che Cesare, Alessandro e
tutti quegli uomini e principi eccellenti, erano i primi tra'
combattitori, andavano armati a piè, e se pure perdevano lo
stato, e' volevano perdere la vita; talmente che vivevano e morivano
virtuosamente. E se in loro, o in parte di loro, si poteva dannare
troppa ambizione di regnare, mai non si troverrà che in loro
si danni alcuna mollizie o alcuna cosa che faccia gli uomini delicati
e imbelli. Le quali cose, se da questi principi fussero lette e
credute, sarebbe impossibile che loro non mutassero forma di vivere e
le provincie loro non mutassero fortuna. E perché voi, nel
principio di questo nostro ragionamento, vi dolesti della vostra
ordinanza, io vi dico che, se voi la avete ordinata come io ho di
sopra ragionato ed ella abbia dato di sé non buona esperienza,
voi ragionevolmente ve ne potete dolere; ma s'ella non è così
ordinata ed esercitata come ho detto, ella può dolersi di voi
che avete fatto uno abortivo, non una figura perfetta. I Viniziani
ancora e il duca di Ferrara la cominciarono e non la seguirono; il
che è stato per difetto loro, non degli uomini loro. E io vi
affermo che qualunque di quelli che tengono oggi stati in Italia
prima entrerrà per questa via, fia, prima che alcuno altro,
signore di questa provincia, e interverrà allo stato suo come
al regno de' Macedoni, il quale, venendo sotto a Filippo che aveva
imparato il modo dello ordinare gli eserciti da Epaminonda tebano,
diventò, con questo ordine e con questi esercizi, mentre che
l'altra Grecia stava in ozio e attendeva a recitare commedie, tanto
potente che potette in pochi anni tutta occuparla, e al figliuolo
lasciare tale fondamento, che poté farsi principe di tutto il
mondo. Colui adunque che dispregia questi pensieri, s'egli è
principe, dispregia il principato suo; s'egli è cittadino, la
sua città. E io mi dolgo della natura, la quale o ella non mi
dovea fare conoscitore di questo, o ella mi doveva dare facultà
a poterlo eseguire. Né penso oggimai, essendo vecchio, poterne
avere alcuna occasione, e per questo io ne sono stato con voi
liberale che, essendo giovani e qualificati, potrete, quando le cose
dette da me vi piacciano, ai debiti tempi, in favore de' vostri
principi, aiutarle e consigliarle. Di che non voglio vi sbigottiate o
diffidiate, perché questa pronvincia pare nata per risuscitare
le cose morte, come si è visto della poesia, della pittura e
della scultura. Ma quanto a me si aspetta, per essere in là
con gli anni, me ne diffido. E veramente, se la fortuna mi avesse
conceduto per lo addietro tanto stato quanto basta a una simile
impresa, io crederei, in brevissimo tempo, avere dimostro al mondo
quanto gli antichi ordini vagliono; e sanza dubbio o io l'arei
accresciuto con gloria o perduto senza vergogna.