Franco Sacchetti


LA BATTAGLIA DELLE BELLE DONNE

DI FIRENZE COLLE VECCHIE



CANTARE PRIMO


1

Tu santa madre del benigno Iddio,
del creator di tutte creature,
che l'universo muove al suo disío,
e dà chiarezza nelle cose oscure,
tu vergine pietosa, il cui ricrio
è sol conforto alle mondane cure,
tanto mi presta del tuo lume santo
ch'io possa seguitar mio vago canto.


2

E tu, o madre del pietoso Enea,
o Venus, pace de' fedeli amanti,
tu alta donna valorosa Dea,
ch'ogni sospiro muti in dolci canti,
tu che 'l mio petto con amor ricrea
di bel piacere e di vaghi sembianti,
tu, che vincendo vinci crudel prove,
grazia mi presta pel tuo santo Giove.


3

Egli è ragion, signor, che la bellezza
quando con la virtú si vede unita,
sia gloriata con felice altezza,
acciò che piú da tutti sia gradita,
che poi che giugne la crudel vecchiezza
donna non è per virtú reverita;
e ciò si vede nel mondano errore
ch'oggi non s'ama il frutto ma sí il fiore.


4

Dunque davanti che bellezza mora,
acciò che la virtú lodar si possa,
d'alquante donne che 'l gran Giove onora
intendo di cantar con dolce mossa,
che nell'alta Fiorenza fan dimora
e quella tengon d'ogni vizio scossa,
ferendo or qua or là senza contesa
che non è cor che possa far difesa.


5

Quest'alte donne di somma potenza,
veggendosi gradire in tale stato,
in un burletto appresso di Fiorenza
fu lor collegio tutto ragunato,
e quivi con felice provvidenza
segretamente fecion tal mercato,
mirando l'una l'altra in sí bel coro,
poson di far reína sopra loro.


6

Un sí bell'orto non si vide mai
che quel dove le donne sono andate,
con prati verdi dilettosi e gai,
con alberi fioriti verno e state,
fontane vive ancor v'erano assai
con acque chiare nitide e stillate,
uccei v'avea e di molte ragioni,
aranci fini datteri e cedroni.


7

Ed era circumpreso d'alte mura,
sí che quel dentro di fuor non si vede,
là dove essendo la turma sicura,
ciascuna sollazzando si provvede
con canti vaghi, dolci oltre a misura
chi dritta scherza e chi ne' fior si siede;
poi raunate con silenzio cheto
fecion consiglio provido e discreto.


8

Leggiadra donna giovinetta e bella
si drizzò in piè molto discretamente,
dicendo: "Vaghe donne, quale è quella
che sia tra noi piú alta e risplendente
piú saggia piú gentil piú vaga e snella
piú valorosa nobile e possente,
si vuol chiamar reína sopra noi,
sí che governi tutte l'altre poi.


9

Però che disinor di tal brigata
saria sanza reina piú durare,
che tanta gran biltà disordinata
fa li nostri amador tutti turbare,
perché talor trovando donna ingrata
non sanno a chi si debbian richiamare:
e spesso avvien che ricevendo torto
si partan dall'Amor senza conforto.




10


Ond'io vi prego per seguir ragione
che donna sopra noi si faccia tosto,
che doni pace a chi Amor ci pone
acciò che l'amador non sia disposto."
Cosí facendo fine al suo sermone
un fiore in testa l'altre l'hanno posto
giurando tutte il ben de' loro amanti,
e che reina voglion con gran canti.


11

Tutto quel giorno stette il bello stuolo
sanza deliberar chi donna sia,
però ch'egli era lor sí grave duolo
vedere a chi la corona si dia,
che quella notte nel fiorito suolo
convenne dimorar la compagnia,
arpe sonando naccheri e liuti
organetti d'argento con flaúti.


12

L'aurora giunse poi l'altra mattina
mostrando il giorno, e Febo soprovvenne,
dove ciascuna donna con dottrina
il suo parer per piú volte sostenne,
ma pur deliberaron che reina
fosse alta donna che còrona mantenne,
gridando l'altre: "Viva, viva quella
Costanza valorosa tanto bella."


13

Cosí Costanza in mezzo d'un bel prato
chiamata fu reína di valore,
come piú bella e di piú alto stato,
fior risplendente sopra ciascun fiore;
o graziosa dea, quant'è beato
chi ti porta nascosa dentro al core!
Tu se' colei ch'avanzi ogn'altro lume
come l'impireo ciel per suo costume.


14

E poi ch'ell'ebbe presa la bacchetta
immantanente in piè si fu levata,
e con amor di gran virtú costretta
incominciò parlando a tal brigata:
"O care donne, che m'avete eletta
per vostra donna cotanto pregiata,
grazia vi rendo piena di merzede,
reggendo sempre voi con dritta fede.


15

Io son vostra reína alta Costanza
da Dio formata per accender pace,
li Strozzi dieron sí chiara speranza
quanto si vede per mirar verace,
la quale intendo con molta certanza
usar sopra di voi quel ch'a me piace,
imaginando che la mia virtute
sia sol disposta per vostra salute."


16

Cosí questa magnifica reína
per ordinar sue donne con gran festa,
a sé chiamò una stella divina
che s'avea fatta una grillanda in testa;
e consigliera la fe' la mattina
alta piú ch'altra e di maggior podèsta,
questa fu Itta piú bella che Dido,
con l'arco in mano a guisa di Cupido.


17

Il ciel legato con caten d'argento
condusse al mondo questa bella diva,
per consumar durezza e greve stento
e per far cosa morta venir viva,
Alberti degni e d'ogni ben contento
e d'ogni nobiltà perfetta viva,
da poi che tanto bene al mondo deste
che la luce del Sol prender voleste.


18

Posossi a' piè della lor nuova dama,
Itta leggiadra d'ogni virtú piena,
e poi Costanza un'altra donna chiama,
piú bella che Cassandra o Polissena,
la quale ha nome Telda dolze rama
gentil piú ch'altra lucida e serena,
e per compagna d'Itta consigliera
la fe' sedere appresso dov'ell'era.


19

De' Bardi scese questa per grandezza,
piú ch'altra donna graziosa e vaga,
la qual per sua virtute ognor s'avvezza
di fare a tanti cuor la dolce piaga,
quant'ha canton di fuoco per altezza
nell'arme sua, che giammai non si smaga,
cosí ferendo con franca giustizia
nel mondo spegne dolore e tristizia.


20

Poiché Costanza il suo consiglio ha fatto
e ordinato come si conviene,
a sé chiamò con un piacevol atto:
"O Caterina, forte d'ogni bene,
grandezza ti vo' dare in questo tratto,
perché tua mente ogni virtú mantene.
E in man le pose un ricco gonfalone,
dove trionfa Venus con ragione,


21


dicendo: "Cara donna, questo porta
sovra 'l mio capo e delle duo compagne;
l'altre verranno dietro a tale scorta
per lor somma virtú sanza magagne."
E di tanto valor poi la conforta
che per rigoglio d'allegrezza piagne
questa leggiadra e bella giovinetta,
nelle cui mani il gonfalon s'assetta.


22

Tal Caterina de' Bigliotti scese
sí degna di portar questo vessillo,
perch'ell'è saggia nobile e cortese
piú ch'altra donna, ben ardisco a dillo;
e quanto tutto 'l mondo a sé accese
d'alto splendore e di perfetto stillo,
onesta piú che donna al mondo nata,
che par maestra di Diana stata.


23

Dato quel gonfalon vittorioso,
Costanza volle uscir di tal giardino,
e con desío gentile e valoroso
venne alla porta a guisa di rubino,
sí che 'l ciel ch'era tutto nebuloso
divenne chiaro piú che serafino,
veggendo quella donna con sua schiera
e quella che portava la bandiera.


24

In sulla porta del vago burletto
fece Costanza tutte apparecchiare,
e disse: "Donne mie, con gran diletto
una foresta ci convien trovare,
la quale è molto vaga, ciò m'è detto,
quivi ciascuna intendo insegnare,
e però venga chi bella si tene,
che chi non fia morrà con gran pene."


25

Cosí le donne alla foresta guida,
chi con sparvieri e chi con cani a mano,
e chi cantando con suavi grida,
chi danza e chi saetta per lo piano,
chi corre un palafren, che par che rida,
e chi pescando va con bianca mano,
infin che giunsono a quella foresta
dove sta la reína con suo gesta.


26

Non fa mestier ch'io dica, o cari amanti,
del gran valor che le donne mostraro,
però che voi vi fosti tutti quanti
mirando ciò ch'io viddi molto chiaro;
ma pur per sadisfar, che gl'ignoranti
non muoian tutto dí col cuore avaro,
intendo di mostrar gli dolci regni
che forse fia cagion di farli degni.


27

Una foresta tanto vaga e bella
per alcun tempo non si vidde mai,
dalle duo parti i poggi chiudon quella,
poi dalla terza v'è pianura assai;
nel mezzo siede un monte, el quale appella
ogni diletto sanza pena o guai;
quivi si posa un'alta e bella rocca
dove non entrò mai fuso né rocca.


28

Da questo monte gira un vago fiume
a piè d'intorno quasi maggior parte,
che mena pesci piú ch'altro lagume,
dove le donne pescan per lor arte;
quivi ha boscaglie con segreto lume,
che vivo fonte mai non le diparte,
e presso a quel palazzo ha un giardino,
che par creato dal Signor divino.


29

Non si potrebbe mai per tempo e tempo
narrar la gran biltà di quel gioiello,
dove le donne al piú fiorito tempo
in quella parte fanno lor drappello;
quivi Costanza che non cura tempo
né rea fortuna né mortal quadrello,
con gran diletto tutte le rassegna
sotto la sua celeste e vaga insegna.


30

Ora ch'è giunta vaga primavera
Costanza vuol le sue donne vedere,
ed in un prato coll'alta bandera
con atto di silenzio e bel piacere,
ogni stormento di vaga maniera
tosto comando che debba tacere,
poi dice che ciascuna veder vuole,
grillanda in testa di belle vivole.


31

Fatte son le grillande prestamente,
e Caterina in piè si fu levata,
col gonfalon di Venus rilucente,
allegra come donna innamorata,
e cominciò con un atto piacente
a rassegnar la nobile brigata,
chiamando prima una giovine bella,
o Alessandra lume d'ogni stella.


32

O Alessandra con leggiadra fronte,
alta sí come donna signorile,
tu vai raggiando a guisa di Fetonte,
quando a' paterni carri diede stile
sperando altezza con sue virtú pronte,
nelle gran rotte del celeste mile;
tu se' colei che sopra ogni altra degna
se' prima di seguir la nostra insegna.


33

D'Alberti nacque tanto chiara stella
quando si sa per chi sua fama sente,
mai non si vidde petra tanto bella
in cerchio d'oro giunta d'oriente;
o beato colui cu' questa appella
venire in forza del signor possente,
perch'ell'è sol d'amor dolce speranza,
e d'ogni altro valor ferma costanza.


34

Elena poi che si sedea fra l'erba
chiamata fu da questa Caterina,
nemica Elena d'ogn'altra superba,
da cui valore e leggiadria dichina;
chi la sua luce dentro al cor si serba
per tal virtú la mente ognor raffina,
né può morir giammai, né sente male;
pensate quanto questa donna vale.


35

Elena bella piú che la rapíta
nella greca foresta del Troiano,
costei che morti fa tornare in vita,
ch'a Dido ha tolto la palla di mano,
e come valorosa e piú gradita,
sempre saetta e mai non coglie invano;
la casa de' Bomben l'hanno creata
per donar pace a chiunque la guata.


36

Come le gru seguendo lor signore
nell'aire van cantando a gran diletto,
similemente giugne un altro fiore,
con melodie di spirito perfetto,
chiamato Caterina, il cui valore
stimar non si porría con vero effetto,
perché natura a sé la fe' sí propia
che solamente 'l ciel ne vede copia.


37

Triunfate, Mannelli, or triunfate,
che fama gloriosa vi risona
per questa donna la cui gran bontate
giammai valor virtú non abbandona,
ma sempre degna per sua nobiltate
li petti rozzi a bene amar isprona,
come prova l'amante ch'al suo porto
si vede vivo e già si vedde morto.


38

Nobile donna piú che ninfa in fiume,
piú che chiarezza di verace frutto,
segue Giovanna col vago costume,
coll'alta resta ch'ha vizio distrutto:
questo sí degno e glorioso lume
virtú notrica e spegne amaro lutto;
sí come Febo nel ventre terreno
giugnendo il purga e di valor l'ha pieno.


39

Creato fu sí bel piacere de' Bardi,
sí dolce fuoco, sí perfetta fiamma,
che se gli avvien che fiso la riguardi
il cor contenta e subito disgrama,
sempre porta costei gli arguti dardi
per avanzar nel mondo onore e fama,
a guisa della nobile Amanzona
che per Pirro crudel mutò corona.


40

Una sorella di Costanza vene
cantando a guisa di celeste Dea,
Nanna, leggiadra e d'amorosa spene,
piú bella assai che donna in Citerea,
che chi la mira morir le convene
s'amor di lei nel petto non si crea,
che la sua vista è di tanta virtute
ch'ancide chi non vuol la sua salute.


41

Strozzi dieron questa donna al mondo,
questa fiammella che d'amor s'accende,
sí che mirando lei vive giocondo
chi guarda suo biltà quanto risplende,
avventurosa lammia che nel fondo
dell'acque chiare suo biltà si stende,
però che ninfa di somma potenza
ti mostri degna d'alta reverenza.


42

Segue chiamando questa giovinetta
per mostrar la biltà di duo sorelle;
o fonte di virtú o Agnoletta
che se' sí bella fra l'altre donzelle,
tu Agnola verace e benedetta,
da Dio formata sopra l'altre stelle,
tu giunta se' dal ciel per nostra pace
guidando ciò che vuoi, come a te piace.


43

L'altra sorella Ginevra piacente
con Agnoletta suo presa per mano,
sí bella giugne che Tisbe niente
fu pari a questa coll'aspetto umano:
e come 'l fior s'avviva di presente
sentendo il Sol che giugne là di mano,
cosí l'altre mirando questo fiore
mostrarono lor biltà di piú valore.


44

Ancor gli Strozzi degni d'alta fama
dal ciel condusson questi duo smeraldi,
che quale amante la lor vita brama
beato vive d'amorosi caldi;
non si può dir biltà se non si chiama
la lor, che mostri li suo raggi caldi;
oneste sagge vaghe e leggiadrette,
sempre fornite d'archi e di saette.


45

Piú non si dee celar la gran bellezza
d'una che pare un falcon pellegrino,
sí vien sopra di sé con tanta altezza
che fa risplender tutto quel giardino,
chiamata Lisa di gran gentilezza,
piena d'ogni virtú piú che zaffino,
e piú che pietra chiara e preziosa,
umil soave dolce e vergognosa.


46

Venne tanto valor da' Bivigliani,
come al signor dell'universo piacque,
ch'al tempo delle donne de' Troiani
passavan di biltà la terra e l'acque;
avria fatti parer lor volti vani
questa ch'onora tanto ond'ella nacque,
quest'alta donna, lucido tesoro,
con angelico viso e coi crin d'oro.


47

A cotal festa Loba fu chiamata,
la qual rispose con benigno volto:
"Dolce reina mia tanto pregiata,
ecco la mia biltà gradita molto,
ecco la vaga giovinetta amata
da ciascun cor gentil che non è stolto;
i' son colei che, se virtú non manca
d'abbatter vizi, sempre sarò franca."


48

Amor che dolce lume fa d'oscuro
tien questa donna nel verace seno,
non Polissena nel valor sicuro
vide suo stato lucido e sereno,
né spiendor di biltà senti sí puro,
quanto costei ognor che n'ebbe meno,
perché soletta s'è, cotal virtute
da' Bardi tolse piena di salute.


49

Come dei fior la vaga primavera
s'adorna per virtú de' sommi raggi,
tal segue per amor l'alta bandera
costei, che pare un fior tra verdi faggi:
qual è quel lume che l'ottava spera
mova sí chiaro ne' dolci viaggi,
qual move questa penetrante stella,
per sua virtú chiamata Lisa bella.


50

Degli Ammannati scese cotal fiore,
come si può veder, da Dio formato;
che chi nel mondo cerca piú valore
può gir cercando Glauco trasformato.
Pensate adunque chi la tien nel core
quanto si vede piú ch'altro beato,
piú non ne dico perché par vergogna
narrar quel ver ch'ha faccia di menzogna.


51

All'alta voce della vaga figlia
Francesca bella subito rispose;
costei veracemente m'assomiglia
la santa Venus tra vermiglie rose;
chi guarda nelle suo pulite ciglia
subito corre alle celesti cose;
tanto dolcezza ne' begli occhi porta,
che 'l mondo sempre di virtú conforta.


52

Chi della schiatta sua mi dimandasse,
io credo che dal ciel per arte venne,
o l'alto Giove per pietà spirasse
tutta la sua virtú, che nulla tenne,
e missela in costei, che trasformasse
contra Medusa le frontali antenne
in chiari lumi d'alte condizioni;
e gli Asini i di ciò son testimoni.


53

Ben è felice piú ch'altra filice
per ogn'altra virtú e per bellezza;
giammai non fu reina o 'mperadrice
che questa s'assembrasse in gentilezza;
e come canta in sul finir fenice
cosí con melodie di gran dolcezza
sempre s'infiamma nell'eterna via,
donde fortuna non la può tor via.


54

Ell'è sí vaga bella ed amorosa
ch' i' non ardisco gloriar costei,
però che d'una tanto altera cosa
non si può dir se non tra sommi Iddei;
benigna donna, piú ch'altra vezzosa,
or veggio che tu se' sola colei
per cui s'adorna il mondo di chiarore,
gli Strozzi partoriron sí bel fiore.


55

Oretta bella guardi chi vedere
vuol quella gran biltà ch'onora il mondo;
viva fontana di vago piacere,
leggiadra ninfa col viso giocondo;
ben si può dir costei senza temere
che suo virtú già mai si truovi in fondo,
però che Giove la dotò nel cielo
coperta dal superno e alto velo.


56

Voli la fama sopra l'alte stelle
di chi formò sí bella creatura,
ciò furon gl'Infangati, che novelle
rendono al ciel di sí fatta figura;
le suo fattezze, Amor, son tanto belle
che non si posson dir per iscrittura,
però che Pallas di valor trapassa,
e 'l suo bel viso ogni bel viso cassa.


57

Ecco chi giugne nel fiorito prato,
vagando suo biltà come Narcisso,
non per vano piacer ma piú beato
d'alcun che spenga fuoco nell'abisso;
chiamar si fa Maria di grande stato
questa che corre lampeggiando fisso,
coll'alta chioma legando gli amanti
al ben servir con amorosi canti.


58

La bella schiatta che l'alta reina
creò, questa creò similemente,
furon gli Strozzi per virtú divina,
siccome piacque a Giove onnipotente;
chi mira il suo bel viso, in cui s'affina
valor d'ogni valor piú risplendente,
vede la gloria che dagli occhi suoi
per umiltà discende sopra noi.


59

Chi sente pena per alcun dolore
volga la luce agli occhi di costei,
e subito fuggendo ogni tremore
la pace sentirà, virtú di lei,
perché gli è tanto dilettoso fiore
questo che par creato tra gli Dei;
donnina leggiadretta come donna,
fontana di virtú superna gonna.


60

Superna donna de' Bomben discesa,
in chiara vista glorioso lume;
non faccia di biltà nessun contesa,
che questa sola nel benigno fiume,
qual figlia di Peneo si vidde accesa
di bella vista o d'alto e bel costume,
che la minor virtú sola di questa
non sia piú che di quella manifesta.


61

Amor a ciascun ben Moraccia prende
per alto suo valor in ogni loco,
ben è beato chi con lei s'apprende
in dolce fiamma d'amoroso foco;
e come pellegrin falcon discende
calando giú dell'aire a poco a poco,
cosí costei dal ciel per sua virtute
volando viene a noi con gran salute.


62

E come che si chiamin Bonfiglioli
la schiatta donde questa donna nacque,
pur venne suo virtú dagli alti poli
siccome piace a Giove e sempre piacque:
la fama di costei convien che voli
nel fondo chiaro delle tepid'acque,
siccome cosa che poco né troppo
non volle mai che fosse suo rintoppo.


63

Cosí chiamando Caterina bella
quest'alte donne con sommo diletto,
com'è usanza d'ogni vecchierella
sempre portare invidia e gran dispetto,
nascosa s'era tra l'erba novella
una vecchietta di crudele aspetto,
la quale era di borgo tegolaio
Ogliente moglie di ser Calamaio.


64

Venuta quivi questa donna Ogliente
si fece innanzi tutta schizzinosa,
quasi adirata, perché primamente
non la chiamaron donna valorosa:
la buccia crespa molto strettamente
s'avía tirata questa invidiosa,
e cosí giunse tutta vezzeggiando
coi lenti passi quasi minacciando.


65

Ciascuna la guardò per meraviglia,
e Caterina subito si volse
alla lor donna colle belle ciglia,
l'una coll'altra per ira raccolse,
veggendo questa vecchia che bisbiglia
co' denti neri e colle carni bolse,
venuta quivi sanz'esser chiamata
piú ch'altra viziosa e arrabbiata.


66

Allor gridò Costanza, e disse: "Via,
subitamente fate che sia morta
questa superba vecchia tanto ria,
ch'ardita fu passar la nostra porta."
Perché tutta la bella compagnia
ciascuna ver la vecchia stette accorta,
e chi con pietre e chi con gran bastoni,
chi con cinture e chi pur con punzoni,


67


tanto le dieron che fuor di quel prato
per forza la sospinson tutta rotta;
ella fuggendo cadde in un fossato,
percossa in terra d'una lunga grotta.
Cosí morí la vecchia in tale stato
per esser dal peccato mal condotta;
la piena giunse e 'l corpo menò via
e il diavol ne portò l'anima ria.


68

Morta la vecchia, le donne tornaro
alla lor donna tutte con gran risa,
Costanza bella coll'aspetto chiaro
veggendo la dolente sí conquisa,
ogni stormento dilettoso e caro
comanda che si suoni, e 'n ciò l'avvisa,
con canti e balli dilettosi e gai,
che ciò veggendo in paradiso andai.


69

Qual paradiso o armonia celeste
generò mai sí dolce e vago canto,
o quale dea per le verdi foreste,
o ninfa in chiaro fiume fe' mai tanto?
Certo giammai non furon pari a queste
d'Orfeo le melodie, o di chi vanto
si diè di Febo me' saper sonare,
quando di pelle Apollo il fe' spogliare.


70

Un suon non fu già mai di tal virtute
quanto fecer le donne a quella volta,
ghirlande dritte e ghirlande cadute
scherzando si vedien per l'erba folta,
e cosí tutte d'amor provvedute
chi balla canta suona e chi ascolta,
chi l'una l'altra bascia, e chi s'abbraccia,
e chi la vecchia suocera minaccia.


71

O cari amanti, e' mi par tempo omai
lasciar le donne alquanto sollazzare
con gran diletto sanza pene o guai
ponendo fine al mio primo cantare;
e nel secondo con diletto assai
seguire intendo sanza dimorare,
narrando la biltà di molte donne,
che di valor nel mondo son colonne.




CANTARE SECONDO



1


Dal ciel discenda la verace manna
di quella pura Vergine Maria
che figlia fu di Giovacchino e d'Anna,
piú ch'altra donna graziosa e pia,
e sparga sopra me che chiamo osanna
per non morir nella fallace via,
ch'ogn'anima dolente sempre volge
al tristo porto nella eternal bolge.


2

E tu che reggi l'amorosa stella,
ch'e valorosi amanti sempre guida,
o penetrante Venus chiara e bella,
nelle cui chiome non dimora strida;
tu con merzé, tu con pietà se' quella
che doni pace a chi di te si fida,
cosí ti priego degna e graziosa
che la tuo grazia non mi sia nascosa.


3

Venite, amanti, ch' io ritorno al prato
dove le donne sollazzar lasciai,
e movo per passar l'alto fossato
dove morí la vecchia con gran guai.
Risuona la foresta d'ogni lato
degli angelici canti dolci e gai:
Costanza bella nobile reina
si posa a guisa di stella divina.


4

Poi che Costanza tempo da tacere
vidde negli atti di sí gran valore
silenzio puose a tanto bel piacere,
e in piè drizzossi con ardito core,
dicendo: "Donne mie, sanza dolere
viver possiam, poi ch'ha voluto Amore
che la nostra biltà non sia turbata
da vecchia alcuna misera ed ingrata.


5

Le vecchie son crudeli e invidiose,
le vecchie son nimiche d'ogni bene,
verso gli amanti sempre dispettose,
e sempre apparecchiate a veder pene,
arabiche superbe e maliziose,
avare cieche e fuor d'ogn'altra spene,
vadan le vecchie a' frati col malanno,
da poi ch'amor né fede al cor non hanno.


6

Lascino star la nostra giovinezza,
la nostra gran biltà e 'l nostro amore;
noi diamo al mondo pace e allegrezza,
somma felicità che mai non more;
ogni valore e ogni gentilezza
per noi si vede sempre in alto core,
ed ogni vizio da noi si ribella
seguendo d'onestà Diana stella.


7

O care donne, alquanto rimirate
che vale il mondo sanza nostro lume,
e poi a queste vecchie imaginate
quanto son fuor d'ogn'alto e bel costume;
però vi priego che sian discacciate
dal nostro prato e dal nostro villume,
sí che lor legge fra noi non si mischi
che male sta il falcon fra' badalischi.


8

E come donna Ogliente concia sia
quale entrerà nel nostro bel giardino,
sí che punite della lor follia
veder si possan tutte a gran ruino;
se ciò non basta, dico in fede mia,
che subito si cerchi ogni cammino,
e dove alcuna vecchia ritroviamo
sanza piatà sia morta a mano a mano.


9

Vadan con Esicon e Proserpina
facendo pe' fossati amara festa,
e chiamin Nuccia, Matta, e la Gemmina
Cianghella di spiacente, e la gran gesta,
la sempre schizzinosa, e la Dondina
Puccia barbuta con canuta testa,
e lascin noi con Venus nostro duce
che a morte né a vecchiezza non c'induce."


10

Costanza dato fine al suo sermone,
tutte le donne con pace e dolcezza
gridando muoia la cruda Esicone,
e viva Venus con felice altezza;
intanto quella del bel gonfalone
in piè drizzossi piena di bellezza
come a Costanza piacque di seguire
a rassegnar le donne da gradire.


11

E Madalena prima fu chiamata
come piú degna in questo primo canto,
la qual rispose d'alto amor guidata:
"Reina nostra, prezioso ammanto,
ecco colei che sempre fia beata
donando a queste vecchie mortal pianto;
perch'i'ho tanti vizi al mondo spenti
quant'ha nel cielo stelle rilucenti.


12

In verde selva Amor m'ha fatta Dea,
come ben vedi, donna, se ragguardi
qual è quell'arco che mai non ristea
di saettar li dolci e vaghi dardi,
altro che l'arco mio ch'ogni ben crea?
Negli alti petti che non son codardi,
che mai per mia virtú non fia disfatta,
formata fui della Guascona schiatta."


13

Il seno e 'l grembo avea pien di vivole
per far ghirlande nel mezzo de' fiori
una che sola par figlia del sole
di raggi adorna con tanti valori,
Agnola bella che già mai non duole
per tempo che secondi o per errori
che 'l mondo muova, ma come smeraldo
suo lucido splendor tien sempre saldo.


14

In che punto del cielo o 'n che pianeto
congiunse amore a generar costei
quando ne' Tornaquinci tanto lieto
entrò per tor biltà agli altri Dei?
O gentil donna, o animo discreto,
omai ben veggio che tu se' colei
Agnola bella sol da Dio formata,
il qual per nostra pace t'ha mandata.


15

Tal come la diman la bella aurora
caccia la notte tenebrosa e scura,
cosí giugnendo la vezzosa Dora
viltà sommerge e caccia ogni paura;
qual misero colui non s'innamora
mirando suo biltà felice e pura,
e gli atti gloriosi sí leggiadri,
ch'a tor l'anima altrui son dolci ladri.


16

O bella Dora co' dorati crini,
cogli occhi vaghi e colla dolce bocca,
coi denti ritondelli e minutini,
che sola la tua man gentil gli tocca;
ognor convien che tua biltà raffini
nel vago lume che dal ciel ti fiocca;
de' Boscoli discese questa ninfa
nel verde bosco piú bella che ninfa.


17

Inghirlandando il suo bel capo biondo,
Antonia bella si sentí chiamare:
Antonia, Antonia col viso giocondo
vien oltre innanzi, e piú non dimorare
ch'omai la tua biltà qui non nascondo,
che non è cosa da poter celare,
ch'Amor di tanti raggi ti fiammeggia,
che 'l cieco veder fai che ti vagheggia.


18

Tu se' de Bardi degna d'alta fama,
bella leggiadra saggia e graziosa,
non dove Troiol pose la sua brama,
beltà si vede quanta in te riposa:
tu frutto d'ogni ben, tu verde rama,
tu donnesca colonna valorosa,
tu le Sibille avanzi di sapere,
come chi ben ti mira può vedere.


19

Una donna gentil soave e piana
giugne cantando: "Io son Bartolomea,
che vegno dalle selve di Diana
per imparar onor da cotal Dea;
la valorosa mia biltà sovrana
concede sempre che tra voi mi stea
per mantenere altezza e grande onore
e per privar le vecchie con dolore."


20

O Baroncelli, o casa degna e alta,
ben ti dee gloriar di sí bel frutto,
che questa donna ogni valor esalta
spegnendo dove truova amaro lutto;
fino alle stelle la suo fama salta,
che quasi ogni biltà si vede in tutto:
tanto valor del cielo in lei discende
e tanta gentilezza gli risplende.


21

Diana colle chiome penetranti
giugne, mostrando sé ne' be' sereni;
specchiansi gli amorosi viandanti
ne' raggi suoi perché a virtú gli meni:
o vaga donna, pace degli amanti,
che sempre vizio e crudeltà raffreni,
tu se' un lume di tanta chiarezza
che non si può stimar tuo grand'altezza.


22

Cosí bella fortezza da' Belforti
edificata fu per divin arte,
cogli atti dilettosi tanto accorti
che le fort'armi torrebbono a Marte,
se rimirasse per le belle porti
che 'nfiamman quei che da virtú si parte,
sí presta giugne per cacciar martiri
che prima ha preso altrui ch'altrui la miri.


23

Per aggradir la valorosa schiera
dal ciel discende una giovine donna
appresso a quella triunfal bandiera
ch'oggi nel mondo si può dir colonna,
e giugne con amor di virtú vera
tutta coperta di celeste gonna,
quest'è Filippa tanto graziosa
che al mondo non fu mai sí bella cosa.


24

Quella catena bianca incatenata
che 'l corpo lega azzurro oltramarino
diede nel mondo la donna beata,
la qual risplende sopra ogni rubino,
Filippa bella degli Alberti nata,
piú alta di valor che Serafino,
piú vaga che Ginevra o che Cassandra,
ed è carnal sirocchia d'Alessandra.


25

- "Or credi tu non mai sentir d'amore" -
Tommasa dolcemente vien cantando;
tal che le donne a sí vago romore
per maraviglia tutte riguardando
a lei si volson faccendole onore,
e di sue gran bellezze ragionando,
del vago aspetto e della gentilezza,
che sempre ride per piacevolezza.


26

De' Giuochi scese questa, e non par giuoco
di quei che salgon l'amorose scale,
il forte scudo contro gli val poco
ch'ogni durezza passa col suo strale;
o dilettosa fiamma, o dolce foco,
di cui verace fama batte l'ale,
se valore o virtú non fosse al mondo
tu 'l rifaresti piú che mai giocondo.


27

Volgete, amanti, gli occhi a questa diva,
che lampeggiando vien per la campagna,
Giovanna il cui valore sempre viva,
come stella nel ciel sanza magagna,
chi vuol suo porto con virtute arriva
per tempo, né per morte non si lagna,
tanta dolcezza sente dentro al petto
ch'ogni crudel martiro gli è diletto.


28

Scese de' Cavalcanti tanto lume,
che 'l mondo non potea sanz'esso fare;
o alta Dea, o fior d'ogni costume,
tu che le fiere e li pesci del mare,
l'aquile grandi con l'oscure piume,
e freddi marmi stanno a rimirare
per maraviglia tua virtú gradita,
donde mi par che traggan dolce vita.


29

Chi non rimirerà questa vezzosa
ch'al mondo dà felice provvidenza?
Or rimirate s'ell'è graziosa,
o s'ell'è degna di gran reverenza,
questa che giugne tanto dilettosa,
adorna di leggiadra conoscenza,
mirate dunque, amanti, il vostro lume,
ch'ell'è la Nera fuor d'ogni costume.


30

Qual de' Mazzetti per chiara scintilla
discese sopra noi co' raggi ardenti,
certo piú bella Filis o Cammilla
non furon di costei, che si rammenti:
che quando gli occhi volge sí sfavilla
un fuoco, che portato fra tre venti,
dà carità, dà fede e dà speranza
nel cuor di chi la mira per sua manza.


31

Come leggiadra donna innamorata
del buon amor ch'ogni virtú disía,
Lorenza leggiadretta e costumata,
dicendo: "Vieni all'alta compagnia,
Cupído mio Signor m'ha qui mandata
sí bella perché onor fatto mi sia,
e per distruggimento d'Esicone,
vecchia crudel di mala condizione."


32

Le pere d'oro: nel celeste campo
nobile schiatta valorosa e grande
fermaron sí bel segno in quello stampo,
che chiara ninfa con pulite bande,
questa d'ogni virtú si vede scampo
come lucido sol che raggi spande,
questo bel frutto, lume d'alto fiore,
rende per l'universo sommo odore.


33

Chi è costei che vien con l'alta chioma?
chi è costei che giugne sí leggiadra?
Quest'è colei che tanti vizi doma
per la virtú dell'amorosa squadra;
Nonnina bella fra l'altre si noma
che 'l ciel rapisce con la luce ladra,
nella qual luce chi ben mira vede
la nobile virtú che dentro sede.


34

Non affatichi la callosa mano
l'antico fabro del focoso Marte,
io dico del sollecito Vulcano
che dardi e freccia fabbrica per arte,
però ch'ogni suo ferro è dolce e vano
presso a que' di costei ch'e cuor diparte,
con gran virtú dà pena e dà dollere
e Lischi dieron tanto bel piacere.


35

Mentre che penetrato dal disío
gli occhi posava donde gli occhi presi,
non viso uman ma di celeste Iddio
mirando vidi allor, se ben compresi;
e Caterina subito ferío
coll'alta boce che mi fe' palesi
li raggi e il nome di colei che raggia,
chiamando Tora gentilesca e saggia.


36

Non so se Febo partorí costei
quando da Giove fu mostrato al giorno,
perché non credo che mondani omei
potesson far d'oscuro tanto giorno;
o giovinetta vaga delli Dei,
tu perché giorno mai non perdi giorno,
de' Brunelleschi se' e tu lor fai,
però che sanza te non furon mai.


37

Ecco seguendo quattro Margherite,
ch'adornan di chiarezza tutto 'l mondo,
tal che ne duole Stigia e piange Dite
veggendo abbandonar l'amaro pondo;
in oriente l'una fa reddite
e l'altra l'occidente fa giocondo,
la terza in tramontana, e poi la quarta
dal mezzogiorno Amor non vuol che parta.


38

La prima Margherita orientale
come si fece avanti alla reina
cavò del suo turcasso un bello strale
tutto sanguigno per usar rapina,
e disse: "Donna, questo è quello al quale
riparo alcun non è né medicina,
quest'è del sangue degli amanti carco
per forza di virtú ch'usa 'l mio arco."


39

L' oscura luna nel raggiante sole
che portano i Covon per loro insegna
formò quest'alta donna che non dole
per gran valor che vizio sempre sdegna;
certo la suo biltà non è da fole,
e ciò comprende chi nel cuor l'assegna
imaginando quanto gli occhi gira,
che par che s'apra il cielo e fugga ogn'ira.


40

Dell'occidente l'altra Margherita
seguito l'ombra della prima petra,
e quando giunse parve vita a vita
si raccozzasse e vel dich'io m'impetra;
o nobil donna di virtú gradita,
il cui valor per tempo non s'arretra,
o vago lume, nella qual pupilla
la deità d'amor sempre sfavilla.


41

Qual petto stimerà la gran bellezza
di questa donna, donna veramente;
non sofficente a renderne chiarezza
sarebbe 'l mondo di suo convenente,
però ch'ell'è di tanto grande altezza
che Giove solo a ciò saria possente;
quest'è la giovinetta da Paterno
che 'l posto toglie a Pluto dal ninferno.


42

Al mezzogiorno Margherita terza
edificata fu per lo gran mastro,
che quando Febo con ardente ferza
percuote chioma d'oro in alabastro,
sicché per forza lo splendor rinterza
cerchiando sé di rilucente nastro;
turbo sarebbe cosí gran chiarore
appresso quel che spande questo fiore.


43

Chi mi domanda: O dolce peregrino,
che se' presente a tanto bel diletto,
chi è costei che nel vago giardino
di sí gran lume mostra chiaro effetto?
Dico che l'alto creator divino
le diè valor sí lucido e perfetto
che par formata sol per le sue mani,
benché chiamata sia de' Gavacciani.


44

La quarta nella vaga tramontana
la superbia raffrena d'aquilone:
questa domanda a Eulo che Diana
sia riverita per ogni cagione,
e quivi giugne leggiadretta e piana,
ch'assembra la bellisima Alcione,
Giuno pregando con piaceri adorni
per Ceix suo marito che ritorni.


45

Cosí pregando questa l'altre priega
ed a pregar Costanza lei conforta
dicendo: "Donne, io sento che la lega
s'ordina fra le vecchie per la morta
Ogliente invidiosa mala strega;
ciascuna dunque debba stare a pruova;
io forte petra son de' Frescobaldi
ch'a ciò gli stocchi miei saranno saldi."


46

Per allegrezza gran romor si sveglia
fra queste donne, e ciascheduna grida
a male e morte d'ogni falsa veglia
chiamando Venus con soavi strida;
il cielo ogni virtú par che diveglia
dall'alte stelle e quivi par che rida;
tanto valor mostrarono a quel punto
ch'i' dissi ciò che può esser qui congiunto.


47

Non vuol Costanza che romor si faccia
in fin che la rassegna non ha fine
e Caterina in seguitar s'avaccia,
chiamò Filippa fra l'altre divine,
dicendo: "Bella donna, in questa traccia
per tuo virtú morranno assai tapine,
certo sarà per te nostra vittoria,
tanto se' piena di perfetta gloria."


48

Filippa leggiadretta ed amorosa,
Filippa saggia gentilesca e bella,
al mondo non fu mai sí bella cosa
quanto costei, che sempre rinnovella;
gli Strozzi portan fama valorosa
per questa chiara e rilucente stella,
la quale ha fatto in terra nuovo cielo
siccome degna d'abitare in cielo.


49

Una vezzosa e vaga Colombina
dal ciel si move con benigno foco,
Giove s'allegra e piagne Proserpina
veggendo questa donna in cotal loco;
ella sé trasse avanti alla reina,
la qual cosí le disse e non per gioco:
"Tu se' la mia speranza, o leggiadretta,
beato chi riceve tuo saetta."


50

Diedon Baldovinetti cotal donna
nell'universo per accender pace,
di calamita pare una colonna
ch'a sé commuova ogni piacer verace;
ognor la cuopre el sol dell'alta gonna
di che si veste lui come gli piace;
sí che vestita se' de' raggi suoi,
dir non saprei qual piú risplenda poi.


51

Quale il pavon per la riviera verde
vagando suo biltà si volge e grida,
sí che s'adorna e tutto si rinverde
facendo per letizia dolci strida,
cosí vien Caterina che non perde
il suo valor per tempo che 'l divida,
vincendo ogn'ira co' suoi occhi belli
quando si volge all'ombra de' capelli.


52

Come d'alto valore alta chiarezza
spirar si vede in angelica forma,
cosí degli Ammannati tal bellezza
discese, che nimica par che dorma:
deh! chi porria narrar la gentilezza
che nel suo petto per virtú s'informa?
Esser può ben la sua virtú stimata
ma sol dal creator che l'ha formata.


53

Appresso segue un'altra donna ancora
col nome di costei ch'è qui davanti,
leggiadra Caterina che rincora
qual fiso mira i suoi dolci sembianti;
un occhio porta che ciascuno accora
e fa con umiltà rider gli amanti;
questa m'assembra d'ogni virtú dea
per gran valor che dentro a lei si crea.


54

Vedila gir nimica di paura
snella soave benigna e accorta,
Giotto che vide piú nella pintura
non avea suo biltà veduta scorta,
perché sí vaga la formò natura
che sol natura in sé tal fregio porta;
dal ciel discese questa cosí bella
tra noi chiamata di Malagonnella.


55

Checca vezzosa, giovinetta pia,
porta fra l'altre di bellezza nome;
non può sapere alcun che biltà sia
se prima non rimira questo pome;
e come tramontana caccia via
davanti al ciel le nubolose chiome,
tal discacciò costei, com'ella nacque,
vizio dal mondo, tanto a virtú piacque.


56

Volle col suo valor ne' Portinari
donasse vera fama in sempiterno,
la qual risuona sopra gli alti mari
in cielo in aire in terra e in inferno;
costei che fa magnanimi gli avari
eternalmente la formò l'eterno
per far con umiltà vincer superba
e per sommerger ogni vita acerba.


57

Miri chi d'Eva la bellezza scorse,
di Cleopatra e di Pantasilea,
miri quel forte Achille che si torse
per Pulissena, e ferir non volea:
miri quel Nesso ch'alla morte corse
per Degianira piú bella che Dea,
mirin se mai biltà fu pari a questa
d'un'Adola ch'è giunta alla gran festa.


58

Titan veduto fu con tosta riga
muover correndo gli veloci carri
quando nacque costei che 'l mondo riga,
e a vedere l'andò sugli alti carri;
di lei s'innamorò prendendo riga
ad essa volontà muovere i carri,
né Corbizzi si diè cotale altezza,
che tanto piacque alla divina altezza.


59

Chi l'Adovarda guarda là dov'arde
il gran valor che suo biltà dimostra,
tosto dispregia l'opere codarde
uscendo fuor della mondana chiostra,
e di tanta virtú nel cor riarde
che spande el nome suo da borea all'ostra;
Amor sí vaga l'ha dal ciel dotata
esser mostrando in equator formata.


60

Bisdomini, duo volte gran signori,
poiché si vede in voi tal signoria,
Amor che può ferir negli alti cori
non può, se da costei non ha balía,
perch'ella è degna di tutti gli onori
in acquistar di gloria leggiadria;
Diana ne può far testimonianza
che sempre seco ha fatto dimoranza.


61

Intanto che piú stanno di sicuro
le vaghe donne con diletto e gioco,
ed ecco giugner con visaggio scuro
una vecchia crudel di senno poco,
e come falso e dispietato furo
sovr'una mula giunse in questo loco,
accompagnata d'altre sette streghe
cogli occhi rossi e visi fatti a pieghe.


62

Tutte le belle donne stupefatte
tosto gridando: "Alla morte, alla morte!"
Costanza le chiamò soavi e ratte
dicendo: " Non uscite dalle porte."
E tutte in sulla porta si son fatte
per sentir le novelle che son porte,
e quella vecchia con un grande strido
a gridar cominciò: "Io vi disfido."


63

E prese una stracciata e unta cuffia
insanguinata ch'era sopra un pruno,
e disse: "Questo vi manda Matuffia,
che sono io dessa d'anni cenventuno,
da parte della gran vecchia paruffia,
in segno di battaglia e in remuno,
però che Ogliente vogliam vendicare
con vostra pena sanza dimorare."


64

Com'ebbe diffinita l'ambasciata
incominciò la mula a punzecchiare,
e dipartissi quella digrignata
con l'altre sette di noioso affare;
Costanza in quella piú che mai beata
incominciò colle donne a cantare,
e tutti gli stormenti fe' romire
ballare e sollazzar con gran desíre.


65

Fatto silenzio alli stormenti vaghi
incominciò parlando: "Donne mie,
ciascheduna di voi nel cuor s'appaghi
ch'egli è venuto quel beato die
il qual ci ha fatto segno delle piaghe
che porgeremo a quelle vecchie rie;
adunque omai s'attenda a provar l'armi,
che tempo non si perda, e questo parmi."


66

Io lascerò le donne in tanta festa
e 'n tal disío che dir non si potrebbe;
ciascuna corre dentro alla foresta
l'armi trovando, ch'a cercar non s'ebbe;
chi spicca l'elmo e chi la sopravvesta,
qual di grillanda suo cimier ricrebbe;
cosí mi parto, e mai da lor non parto
seguendo il terzo canto e poscia 'l quarto.





CANTARE TERZO


1


L'alta chiarezza di quell'alta madre,
la gran piatà di quel benigno lume,
che 'l creator del ciel prese per madre
per figlia per isposa e per suo lume
per divota sirocchia, sí che madre
non fu ch'al figlio desse tanto lume,
quanto mostrò nel mondo, poiché 'l figlio
dal ventre suo discese come giglio,


2


del figlio e di tal madre el lume chiamo
sí che al mio canto segua dolce fine;
la santa Venus che 'l nemico gramo
sempre sommette a velenose spine,
mi porga un frutto del benigno ramo
quale soccorso di tutte ruíne,
cosí per grazia delle luce sante
dirò la pace di ciascuno amante.


3

Dico che s'apparecchi a gran battaglia
infra li duo nemici disfidati.
Le vecchie mandan per ogni boscaglia
per siepi per spilonche e per fossati
cercando di lor armi e vittuvaglia,
e di color che son disamorati;
facendo loro sforzo prestamente
per vendicar del tutto donna Ogliente.


4

Nel borgo della noce un casolare
siede cerchiato da ogni bruttura,
dove le vecchie per consiglio fare
tutte si ragunar sanza misura;
or quivi si facea sí gran ciarlare
con urli e canti di maniera oscura,
che nel ninferno non si fece mai
tanto rumor di strida o tanti guai.


5

Quivi era gente di vil condizione,
bigliocchi portatori e beccamorti,
ragazzi che facean nuovo sermone,
stregghie sonando e panatoi ritorti;
quivi era dispiegato un gonfalone
terribile a veder pien di sconforti,
tutto dipinto d' infernal ruina
e poi nel mezzo siede Proserpina.


6

Tanti neri mantili e canovacci
adoperati a fuoco mai non furo,
quanti alle teste lor facean legacci
e questo ben parea timido e scuro;
pendevano a quell'ombra i capellacci
canuti e unti d'olio e di bituro,
gli occhi focosi e le vizze mascelle
avrebbon morto il diavolo a vedelle.


7

Erano armati d'uncinati raffi,
di pale coltellacci e di schedoni,
e l'una all'altra: "Or credi ch'io l'accaffi..."
diceva spesso con brutti sermoni,
qual eran sanza sella e sanza staffi
montate con gran pena a cavalcioni,
su magri tori e su bufale nere,
come piú sozze e di maggior podere.


8

E quale a' piè con un forcon da stalla
di gran valor combattere intendea,
gli portator colla callosa spalla
con grandi urli seguon tal ginea;
il villan canta e 'l sottocuoco balla
gridando ver Proserpina lor dea:
"Dacci vettoria, imperadrice diva,
verso chi vuol che la tua fama viva."


9

Cosí nel casolare apparecchiate
con tal tempesta che dir nol porria,
lor capitana feciono, or pensate
se dovea esser pieno di follia,
essendosi gran pezza sconsigliate
sanza ragion ma con invidia ria;
la qual fu una che se bene affissola
dall'altre era chiamata donna Ghisola.


10

O Ghisola tapina e dolorosa,
di quanto mal se' fatta capitana,
tu brami, o falsa strega invidiosa,
la fama spegner dell'alta Diana?
Non pensi tu quel gran valor che posa
nel regno di costanza umile e piana?
Le spade rilucenti per lor mani
distruggeranno e vostri cuor villani.


11

Amor benigno, o dolce mio signore,
or trammi tu che puoi di tal matera,
che queste vecchie m'hanno spento il core
in parte della tua santa lumera,
però che gli è sí grave il loro errore
ch'a ciò pensando l'alma si dispera,
e io che li lor regni ho qui veduti
son quasi morto se tu non m'aiuti.


12

Tu se' nel petto mio tanto soave
che prima ch'io ti chiami tu rispondi,
e colla tua perfetta e vera chiave
aperto m'hai e tratto alle chiar'ondi;
correte, amanti, poiché non v'è grave,
e udirete con versi giocondi
come Costanza bella s'apparecchia
per dar la morte a ciascheduna vecchia.


13

Nel verde prato del vago giardino
che siede in quella nobile foresta,
dove si pose il creator divino
colle suo mani e con la dritta sesta
formando tanto lucido cammino,
come ben vede chi d'amor fa festa;
quivi sonando trombe e cennamelle
eran con gran valor le donne belle.


14

E se nel regno di Ghisola prava
grave spavento e tenebre si vede,
cosí dall'alto ciel virtú si schiava,
virtú di queste donne e di lor fede,
con allegrezza tanta che 'nchinava
le pietre e l'acqua per trovar merzede,
pensando quanto dolce melodia
allora in quel bell'orto si sentia.


15

L'alta reina delle chiare ninfe
che delle vecchie sente l'apparecchio,
ridendo si rivolse a quelle ninfe,
la cui somma biltà non ha parecchio;
e disse: "Donne, leggiadrette ninfe,
gli alti stormenti del dolce apparecchio
mettete omai nelle veste dorate,
e me alquanto priego che ascoltiate.


16

Molto s'appressa la vostra vittoria
che Venus ci ha promesso veramente,
ma per piú pregio di viva memoria
parmi che manchi a nostro convenente,
non già per tema, ma per crescer gloria,
in ciascun ch'è d'amor fedel servente,
il caro duca de' leali amanti,
però mandiam per lui che venga avanti.


17

Mandiam per lui che tostamente vegna
con quelli amanti che vorran seguire
la sua celeste e triunfale insegna,
acciò che noi veggiamo il loro ardire,
e come fia venuto non ci tegna
priego né tema del nostro partire,
ma tosto fatte le sovrane ischiere
seguasi di presente le bandiere."


18

Andaron due messaggi a quel barone,
e subito gli fer comandamento
ch'al terzo dí, spiegato suo pennone,
cogli amador si muova e non sia lento.
Udito 'l duca quell'alto sermone
tosto rispose sanza alcun pavento
che non al terzo dí ma al dí secondo
verrà con tutti gli amador del mondo.


19

Spirato 'l duca di molta letizia
d'argento fe' sonar trombe e trombette,
la cui gran voce priva di tristizia
sentita fu mentre che non ristette
in acqua in terra in alta primizia
dove dimoran l'anime perfette,
alla cui voce quasi in men d'un punto
ogn'amador dinanzi a lui fu giunto.


20

Qual de' Troian già mai le ricche schiere
de' principi de' regi e de' signori,
qual greci adornamenti di cimiere
de' rilucenti scudi in piú colori,
qual armi de' Romani usate fiere
lucide piú che il sol negli alti cori,
simile a queste furon chiare e sperti
delle qual gli amador venien coperti?


21


Perle zaffir balasci argento e oro,
galatide bandine e amatiste
ornavan per virtú li drappi loro,
con ricamate fiere, e chi con liste,
chi rilevati cuor di gran tesoro,
porta feriti d'amorose viste;
ghirlande avien di fior maravigliose
sovra i destrier coverti tutti a rose.


22

Dinanzi al duca lor con reverenza
allegramente si rappresentaro,
e 'l duca per la sua magnificenza
come piú degno piú felice e caro
per non poter ricever violenza
d'alcuna piaga o d'altro colpo amaro,
si fe' menare i suo' quattro destrieri,
che son sí forti poderosi e fieri.


23

Egli eran bianchi piú che l'ermellino
coperte di meravigliose veste,
con pomi tutti quanti d'oro fino
sovr'un velluto di color celeste,
e ogni pomo avea il suo rubino
sí come il fior che prima si digeste
e per picciuoli avean chiari topazi,
le foglie circuncinte in grisopazi.


24

Perché mi metto in quel che dir non posso
né io né altri che nel mondo sia?
Egli avea il duca tante perle addosso
che non val tanto Spagna e la Turchia.
Imagini ciascun che non è grosso
omai la lor virtú e vigoría,
e quanto sia lucente lor ricchezza
che ragionarne piú mi par mattezza.


25

Dappoi che furon tutti apparecchiati
il duca comandò d'esser seguito;
cosí la schiera degli innamorati
si mosse su per l'amoroso lito;
non eran gli stormenti ammutolati
ma ben parea quel suon da cielo uscito;
trombe trombette nacchere e sveglioni
e d'altra guisa piú di mille suoni.


26

Serrati sotto un vago pennoncello
verso quella foresta cavalcando
chi fosse stato sovr'un monticello
la lor bellezza in quella rimirando,
sariegli il sol paruto oscuro e fello;
simili allo splendor che va raggiando
la vaga schiera della santa Dea,
che d'angioli una nuvola parea.


27

Già eran tutti sovra la fiumana
a piè della foresta pervenuti,
dove Costanza di valor sovrana
prima che gli altri tosto gli ha veduti,
e una danza leggiadretta e piana
fece sonar pian pian con duo leuti,
prendendo un ballo a quella vaga danza,
qual fu cagion d'amor fede e speranza.


28

Or chi potria contar la gran letizia
di quelli amanti tanto valorosi,
spogliati di dolore e di trestizia,
quando si viddon ne' porti amorosi?
Ciascun ragguarda sua dolce primizia
cogli occhi bassi onesti e vergognosi,
d'animo giusti e di perfetto core,
come leali amanti d'alto amore.


29

Non creder tu che leggi o tu che ascolti,
ch'amanti di parole sian costoro,
non giovinetti di maniera stolti,
come si veggono oggi fare a loro.
O ignoranza, quanti n'hai tu tolti
al ben servir dell'amoroso coro,
esser mostrando a tale innamorato
che dir si può piuttosto ismemorato!


30


Amor in cor villan non ha suo loco,
ch'amor per suo virtú vizio abbandona.
O quanta pace, quanto dolce gioco,
cosí alto signor al servo dona!
Chi sente fiamma dal benigno foco,
la cosa amata amar chi l'ama sprona,
or pensa, pensa s'allegrezza induce
l'alto valor di sí perfetta luce.


31

Ma tu che segui l'impeto carnale
usando nuove e dolorose leggi,
se piangi per angoscia o senti male,
rammarcati di te, che piú non veggi,
e non di donna il cui valore è tale
che non intende alli tuo bassi seggi;
Amore è tanto quanto onesta brama
non già carnal disío, com'altri 'l chiama.


32

Dunque non sia chi pensi alcun difetto
del savio duca e della sua compagna;
amanti son di quell'amor perfetto
che chi piú 'l segue piú virtú guadagna.
Rimanga nel poetico intelletto
omai quel che per me non si diragna;
voi che portate amor dell'alte muse
sarete pronti a far tutte mie scuse.


33

Poiché Costanza nella sua foresta
si vidde tanto bene accompagnata,
Itta chiamò e Telda molto presta,
e disse: "Che vi par di tal brigata?"
E quelle rispondendo con gran festa:
"Piú bella schiera non fu mai trovata,
che sol gli amanti che qui giunser'ora
combatterian con tutto il mondo ognora.


34

Dunque, reina, omai non dimoriamo,
facciam sonare a stormo l'altra grida,
e a ciascuna donna comandiamo
che s'apparecchi per donare strida
a quelle vecchie contro a' quali andiamo,
per la virtú d'amor che 'n noi s'annida
e 'l duca cogli amanti sí sovrani
par che si strugga d'essere alle mani."


35

La tromba per lo campo già risuona,
com'a Costanza piacque, del partire,
e certo quivi allor non si tenziona
né con ragazzi si sente garrire:
l'una arma l'altra, e l'altra all'una dona
chi scudo e chi cimier sanza mentire;
cosí con pace e con molta dolcezza
all'arme viddi il fior d'ogni bellezza.


36

Costanza bella sovr'un gran destriere
era salita come imperadrice,
per ordinar le valorose schiere
dell'alta schiera ch'è tanto felice,
ell'avea sovra 'l capo tre bandiere
in segno tal com'a reina lice;
e piú di mille cavallotti a destra
e palafren da dritta e da sinestra.


37

In quella insegna che nel mezzo siede
triunfa Giove e suo bella pintura;
nella seconda Venus poi si vede
piú bella che mai fosse criatura;
nel terzo luce il sol con tanta fede
ch'ogni altra cosa fa parere oscura,
quando per vento sventolando vole
o che tal sol dal sol riceva sole.


38

Tre chiare lune in fiammeggiante fuoco
attraversate in campo d'oro fino
coprivan gli destrieri da ogni loco,
che ben parea veder atto divino;
gli adornamenti suoi non vaglion poco
che sarie sciocco alla stima Merlino;
però silenzio mostri gloriato
quel che per dir non può esser lodato.


39

Il ciel non credo che di maggior lume
mostrasse mai virtú per suo grandezza,
né altro cerchio sovra 'l suo cacume
non porse in occhio mai tanta allegrezza;
quivi d'ogni diletto corre un fiume
che cerchia l'universo per altezza,
e io che tanto lume rimirai
non porria dirlo, sí forte abbagliai.


40

Mentre che l'occhio mio guardava fiso
gli adornamenti della bella dama,
ed ecco giugner con pulito viso
Itta vezzosa d'ogni virtú rama
sovr'un destrier coperto d'un aliso
velluto incatenato per suo fama
d'incrocicchiate catene d'argento
con tante perle che mi fe' pavento.


41

Ben dimostrava questa bella donna
la sua grandezza in ciascheduna parte,
ella par veramente una colonna
che 'l ciel sostenga e 'l mondo d'ogni parte;
pel campo corre a guisa d'alta monna,
maestra in arme dell'ardito Marte,
ordine dando all'altre tuttavia:
"Armatevi, sorelle, in cortesia."


42

Telda coll'arme de' piccon vermigli
di montare a caval già non dimora,
questa conforta gli amorosi figli
e al ben far piú ch'altra gli rincora.
Deh quanto son perfetti i suoi consigli
in distrugger le vecchie d'ora in ora!
Questa risplende sí nell'armi bella
qual nel sereno ciel si vede stella.


43

Segue nell'arme col bello stendardo
chi gentil Caterina si piú dire,
con un volpon nel petto sí gagliardo
che proprio vivo par sanza mentire,
e poi ch'a tutte pose il dolce sguardo
nel mezzo si fermò con grande ardire;
intanto l'altre con un bel drappello
armate corson sotto suo pennello.


44

Or si rallegri tutto l'universo
l'imperio grande e 'l regno di Plutone,
sentendo d'allegrezza il dolce verso,
veggendo l'armi di tanta ragione,
l'oro e le perle e 'l vermiglio col perso,
i fior la seta e poi l'alte corone,
la festa il giuoco l'amore e la fede,
la franchezza del cor che 'n lor si vede.


45

Cosí le belle donne apparecchiate
nell'armi rilucenti e nelle schiere,
la prima schiera, e ciò non dubitate,
il savio duca prese volentiere
per correr prima tra quelle arrabbiate,
con valorosi amanti, a chi mestiere
fa di provare el giorno francamente
per viver con amor benignamente.


46

Piacque a Costanza l'altra schiera dare
ad Alessandra valorosa guida,
la qual sovr'un destrier di grande affare
era montata per donare strida
al vecchio campo, e con lor provare
volesse contro a chi in amor s'annida;
e per insegna lucide catene
porta nel serafin che ben la tene.


47

La terza poi condusse Elena bella
saggia benigna onesta e gloriosa,
chiara nell'armi, a guisa d'una stella,
amorosa vezzosa e valorosa;
rigan tre febe il bel petto di quella
nel campo febo in banda sanguinosa,
in segno quale altezza nel suo sangue
è per sommerger l'arrabbiato angue.


48

L'ultima e quarta Costanza reina
colle reali insegne poi conduce,
con Itta Telda e bella Caterina,
e con alquante d'ogni virtú luce.
Quest'alta ischiera valorosa e fina
governa il mondo come savio duce,
or pensa quando questa sarà vinta,
ch'allor sarà la luna stella quinta.


49

Fatte le schiere e ordinati i segni
la santa Venus fu data per nome,
e gli stormenti di dolcezza pregni
incominciaron le vaghe idiome.
Allor le vecchie con crudeli isdegni
cogli aspri volti e con canute chiome
sentendo l'apparecchio ch'era fatto
bacini e corni fecion sonar ratto.


50

E poi ch'alquanto doloroso suono
ebbon finito con superbo fine,
Ghisola si levò con un gran tuono,
e la sua strozza paurosa aprine
dicendo: "In nome del crudel dimono
Scilla Cariddi e tutte altre ruine
adempian oggi il nostro mal volere,
sí ch'ogni ben si possa far cadere.


51

Dolor tormento e grida ci notrica,
dunque la pace non si fa per noi;
la grande invidia ch'al cor ci s'abbica
farà Costanza sempre gridar "Oi";
altro non fa bisogno ch'io vi dica
se non che ciascuna sia morta poi;
che piú di noi si tengono esser belle,
asine brutte disdegnose e felle."


52

E fece quattro schiere di sua gente
e diè le prime al Ciuffa portatore
vecchio bistorto pazzo e frodolente,
ch'un cercine per arme ha messo fore.
Or udirete come francamente
si porterà nell'arme il feritore,
che volendo in sull'asino salire
sei volte o piú ne cadde, allo ver dire.


53

A Nuccia trista impose la seconda,
la qual per arme portò un strufinaccio,
questa d'ogni bruttura sempre abbonda,
porta padella per un tavolaccio,
una pentola in testa poi si fonda,
in pugno prese lo schedone avaccio;
minacciando Costanza sovr'un toro
salí rivolta indietro per ristoro.


54

La terza a Dogliamante concedette
con l'arme sua dipinta di malíe,
costei porta per guanti duo scarpette
e per barbuta una cesta d'ubbíe;
fatt'ha lo scudo di quoia ben sette,
dico di topi, e non s'armò di die;
questa sovr'una bufola s'inforna
legata con la coda tra le corna.


55

Ghisola tapina di tristizia
volle la quarta sotto il suo condotto,
con Puccia matta Tondina e la Vizia
con Semaldrudo che pare un merlotto:
e menò seco per maggior letizia
la Grigna la Germina e ser Margotto;
queste che mai non calan di gridare
per rabbia e per invidia del ben fare.


56

La 'nsegna sua che gli è portata sopra
riluce a guisa dell'oscura notte,
però che Proserpina vi s'adopra
cerchiata di ramarri serpe e botte,
e di tal dama intendo che si scopra
il gran cimier ch'uscí dell'atre grotte
l'asino, dico, che pare un balestro
legato sovra 'l fondo d'un canestro.


57

Sovr'una mula magra zoppa e cieca
trecento portator la caricaro
con gran fatica questa vecchia bieca,
e poi d'intorno ben la puntellaro
di paglia e di capecchio ch'ognun reca,
sí che non caggia per un colpo amaro,
e un paiuolo le dieron per targhetta
con una forca per doppia vendetta.


58

Secchie bacini e vecchi can latrando
corni vassoi e altri vaghi suoni
e quelle vecchie a gridar cominciando
Giove temette di sí fatti tuoni;
però che 'l ciel si venne annuvolando
sentendo lo stridor de' gran dimoni
che fecion quando fu Ghisola armata
e ciascun'altra vecchia apparecchiata.


59

Benché lecito sia narrare il vero
del brutto campo che 'n quel luogo vidi,
parmi pur tanto grande il vitupero
che signoreggia li mortali stridi,
ch'amor chiamando dal celeste impero
priego ch'alquanto con piatà mi fidi,
sí ch'io possa tornare al santo regno
del qual Costanza mi fa vero segno.


60

Cosí per grazia del benigno amore
lieto ritorno all'altra tragedia,
lasciando queste vecchie con dolore
in una valle chiusa d'aspra via,
e pongo fine al mio terzo tenore
seguendo l'altro poi con mente pia,
dove si narran le crude ruine
dell'aspre vecchie o 'l doloroso fine.




CANTARE QUARTO



1


Madre reina, madre di quel re
che costrigne le stelle a patir legge
di quel gran lume che lume ci diè,
cui tu creasti fra l'umane gregge,
grazia mi presta per tua santa fè
e per amor di quel che tutto regge,
ch'alfin di questo poco che m'è troppo
snodar m'aiuti il contemplato groppo.


2

O Venus, Venus, né tu m'abbandona,
però che sanza te durare affanno
van mi parria di ciò che si ragiona,
d'amor benigno di gloria e di danno;
adunque, terza luce, tu m'introna
de' canti vaghi che ne' cuor si danno
apparecchiati al ben sanza malizia,
sí che risuonin poi con gran letizia.


3

Move Costanza dalla sua foresta
e va cercando le vecchie crudeli
colle sue belle donne, e mai non resta
per monti boschi piagge, a caldi o geli,
infin che truova quella falsa gesta,
ch'amor per tempo non vuol che si celi
agli occhi vaghi di sí fatto lume,
però che 'l buon distrugge il rio costume.


4

Al suon de' corni e al mugghievol sido
Costanza per virtú di suo grandezza
di botto sente dove sta lo strido
di tanta grave oscura e ria gramezza,
e dritta sulle staffe misse un grido,
che l'inferno crudel sentí dolcezza,
e volsesi alle donne e agli amanti
dicendo: "Fate i vostri cuor diamanti."


5

Sotto la 'nsegna del dorato pome
si fece avanti il valoroso duca,
e fe' sonar la tromba in segno come
chiamar battaglia, dove si conduca.
Intanto giunson le cattive some
de' vili amanti sanza amor che luca,
ciò fûr bigliocchi portatori e fanti
col Ciuffa capitan che giunse avanti.


6

Il savio duca e principe amoroso
veggendo contro a sé tanta vil gente
abbassa l'aste e 'l caval poderoso
ferí spronando molto francamente,
e come amante piú che valoroso
il Ciuffa giunse con ferro pungente,
il qual gli mise per lo grave petto
e morto l'abbatté dell'asinetto.


7

Mosso da virtuoso e alto sdegno
il duca cogli amanti poi trascorse
tra quella gente sanza alcuno ingegno,
la qual fuggendo subito si torse;
allor gli amanti seguendo lor segno
molti n'uccison nelle gravi corse.
Costanza bella che questo mirava
il duca cogli amanti gloriava.


8

Ride Costanza e alle donne dice:
"Certo le vecchie mal fanno vendetta;
parmi ch'e loro amanti alle pendice
vadan caggendo in sulla fresca erbetta."
Alessandra chiamò in quella vice,
e disse: "Figlia, che sia benedetta
percuoti con tuo gente e fa' che sia
oggi palese la tua gagliardia."


9

Non ebbe appena inteso la parola
che per desío d'amor tosto si mosse,
e diventò qual vermiglia vivola
parendole mill'anni ch'a ciò fosse;
cosí guardando vidde Nuccia sola
fermata in mezzo delle genti grosse;
broccò il destrieri e con l'asta abbassata
a ritrovar l'andò fralla brigata.


10

Nuccia veggendo Alessandra venire
di dietro all'altre si trovò di botto,
sicché a Alessandra convenne ferire
a una vecchia d'anni novantotto,
la qual chiamata fu donna Garrire,
e a costei percosse cotal botto
caggendo morta, e non valse il tagliere
che 'n man portava per un broccoliere.


11

Or quivi cominciò la bella zuffa
tra quelle quattro schiere principali;
di pentole e vassoi una baruffa
vediesi per lo ciel volar senz'ali;
ed era già la gente del gran Ciuffa
tutta sommersa per li colpi tali,
e già le vecchie tutte scapigliate
corrien pel campo a guisa d'arrabbiate.


12

Era Alessandra in questo mezzo chiusa
e guarda pur se Nuccia può vedere,
e fitto avea 'l destrier fino alla musa
nel sangue di cotanto vil podere;
i cercini le stanghe marre e fusa
le pentole i paiol di quelle fiere
avieno il campo tutto asserragliato
e del lor puzzo tutto infastidiato.


13

Poiché Alessandra al cui veder niente
si chiude per virtú che in lei dimora,
la Nuccia scorse misera e dolente
che non calava di minacce ancora,
ferí sovra di lei sí francamente
che Giove d'allegrezza si rincora,
e giú del toro morto l'abbatteo,
poi a ben cento simil gioco feo.


14

L'altre compagne non si stanno oziose,
ma ben dimostra sua virtú ciascuna,
intanto che di quelle dolorose
poche n'eran campate ovver nessuna;
la Ghisola che vede queste cose
a Dogliamante comandò, che l'una
delle sue quattro schiere governava,
ch'allo stormo si metta, e ciò la grava.


15

Alzò la fronte e del ciel si rammarca
Ghisola che si vede a tal partito,
e dice a Giove: "Tua ragion travarca
in fare altrui gran torto ed hai fallito.
Deh! chi sarà colui che mai ti parca
poi ch'a distrugger noi se' stato ardito,
donando a cui non dei benigna vita,
ma la tua ingiuria forse fia pulita."


16

L'alta Costanza, donna serenissima,
dall'altra parte vide sanza dubito,
che tutta la sua gente potentissima
vinto vincendo vinceranno subito;
volsesi adunque alla virtú pienissima
alzando le suo braccia e tutto il gubito,
gridò chiamando quest'alta memoria
merzé, signor, poiché ci dài vittoria.


17

E poi comanda, preso maggior core,
che gli stormenti faccian gran litizia,
e che ciascuna donna di valore
tosto la segua per donar trestizia
a chi nel mondo porge grave errore
brighe crudeli e ogn'aspra malizia,
gridando: "L'arme d'allegrezza sia!"
tutte si mosson con gran vigoria.


18

È Dogliamante venuta in sul campo
che di combatter la parea già tempo,
e alla schiera sua fenne far campo
senza ordine misura o fermo tempo,
e veniesi avvolgendo per lo campo
con uno spazzatoio di molto tempo
correndo con quell'arme verso Elèna
quest'amante crudel di fuoco piena.


19

Elena ciò veggendo tosto rise,
dicendo fra suo cuor: "ecco diletto!"
e colla spada il capo le divise
e morta cadde sull'erboso letto.
Elena bella per gran cuor si mise
di tor la vita a Ghisola del petto,
correndo per lo mezzo di suo schiera
trovò per forza la crudel bandiera.


20

Trovato ch'ebbe l'infernale insegna
Ghisola vidde con la spada in mano,
e a fedir l'andò con mente pregna
d'alto valor d'ogni viltà lontano.
Ghisola ciò veggendo forte sdegna
e cominciò gridando un urlo strano
che fece tutto il mondo impaurire
e tutta l'aria e la terra putire.


21

Il puzzo fu sí duro crudo e forte
ch'uscí di quel canal disabitato
che questa Lena a cui vezzose sorte
e leggiadrie gentili erano a lato,
costumi vaghi di celeste corte
e nimicizia d'ogni rio peccato:
sentendo il suo contrario con gran pena
a gridar cominciò: "Or muori, Elèna."


22

Ma prima disse: "Io non verrò già meno
ch'io non mi sazi del sangue doglioso."
Punse il destrieri e allentogli il freno
e prese il brando tutto sanguinoso,
faccendo delle vecchie aspro rimeno,
ch'a mille o a piú donò mortal riposo;
ma poi essendo per lo puzzo afflitta
chiamò Costanza sua sorella e Itta.


23

Gridando: "Donne mie, Elena vostra
non può durare in vita piú con voi."
E sola in mezzo della crudel chiostra
dice piangendo e convien pur che muoi.
Costanza parla: "Dov'è Elena nostra
ch'io non la veggio...;" e riguardando poi
nel mezzo vide il suo vago cimiere
appunto a' piè delle crudel bandiere.


24

Dice Costanza: "Elena sia soccorsa."
E ad un tratto mosse il grande stuolo,
ma troppo tardi fu la brieve corsa
però ch'al cuor sentiva il mortal duolo;
molto n'uccison in quella trascorsa
di quelle vecchie nel veloce volo
Costanza e Telda e Itta per atare
Elena che si muor per ben provare.


25

E quando furon tutte a piè di lei
fuor la cavaron di quell'aspro loco,
pregando Giove e tutti gli altri Dei
ch'aiutin Lena trar di cotal loco.
Smontò Costanza del destriero a' piei,
in braccio la portò lontano un poco,
sicché dal campo la ritrasse alquanto
in un bel prato sovr'un ricco ammanto.


26

Fuor che Costanza Telda e Itta bella
l'alte rimason tutte combattendo,
e queste disarmaron quella stella,
a chi di testa il bell'elmo traendo
vidon che morta non era ancor quella,
ma gli occhi aperse quasi sorridendo
verso Costanza, e con un gran sospiro
l'alma produsse al ciel sanza martiro.


27

Cosí morí chi piú d'altra gentile
mentre che visse si poté dar vanto,
benigna saggia cortese e umile
vezzosa leggiadretta e bella tanto,
sempre nimica d'ogni cosa vile
piú ch'altra donna in virtuoso manto,
onesta piena di perfetta gloria,
piatosa donna sanza vanagloria.


28

Piange Costanza la perduta Elèna
spesso baciando suo candido viso,
e dice: "Donna, d'ogni virtú piena
come farò che sento il cor diviso?
Morir conviemmi teco in grave pena
che tutto 'l mio valor sento conquiso."
Cosí piangendo cadde tramortita,
chiamando: "Elena mia, dove se' gita!"

 

29


Itta si duole e Telda fortemente
con grave pianto del perduto bene,
ciascuna dice: "Lassa medolente!
morir con teco, Lena, mi conviene,
ma prima che la morte ci abbia spente
tutte le vecchie sofferranno pene!"
Sovra quel corpo ciascuna giurando
metterne mille al taglio di suo brando.

 

30


Cresce lo stormo e la zuffa s'accende
con gravi strida e con urli mortali;
quivi ciascuna vecchia si difende
preso rigoglio de' commessi mali,
Ghisola d'allegrezza il cuore apprende,
dicendo all'altre: "Ciascuna si cali
donando pena a quella grave sorta
che la piú pro' di loro è suta morta."

 

31


Itta pigliò Costanza per lo braccio
che sovra 'l corpo piangendo giacea,
dicendo: "Donna mia soccorri avaccio
le nostre donne dalla morte rea!"
Costanza si levò qual freddo ghiaccio
ch'appena per dolor si sostenea,
volgendo gli occhi al cielo, e quel compianse,
che l'alto Giove per piatà ne pianse.

 

32


Poi dice a Telda, che con molti fiori
quel corpo celi sí che fia coverto,
la quale andò scegliendo i sommi odori,
dove nel prato alcun ne vede aperto,
e cosí la coperse e 'n piú colori
perché non fosse agli occhi l'occhio certo;
e poi montata sovra un gran destriere
segue Costanza, e Itta le bandiere.

 

33


E poi ch'a quello istormo furon giunte
Costanza con gran pianto all'altre dice:
"Volgete, donne, le taglienti punte
per far vendetta del corpo felice,
e fate che le vecchie sian difunte,
che s'elle son disperse, il cor mi dice,
Venus pregando e l'alto Giove poi
Elena viva tornerà con noi."

 

34


Crebbe la forza per tal diceria
nel cor di queste donne doppiamente,
ciascuna per provar sua gagliardia
move col ferro in mano arditamente;
Diana Dora e Filippa s'invia,
Felice Tora e Agnola piacente,
Margherita Lorenza e Caterina,
Adola Nera Giovanna e Nonnina,

 

35


Francesca bella e poi Bartolomea,
Colombina Tommasa e Maddalena,
Giovanna, Antonia in cui virtú si crea,
ciascuna corre sanza prender lena;
incominciò Costanza la mislea
con una lancia e a ferir non pena,
e per amor della dolce sirocchia
uccise Matta, Grigna e la Pannocchia.

 

36


Ben par Costanza un affamato drago
tra quelle vecchie, tante ne conquide,
le quai vanno caggendo per lo brago
con gran dolor con pianto e con istride,
dumila e piú ne misse in tristo lago
questa reina e tutte le conquide,
perché d'Elèna non si può dar pace,
cercando pur di Ghisola rapace.

 

37


Or chi vorria contar quanto valore
ciascuna donna in quel punto mostrava,
ch'a tante dieron l'ultimo dolore
quanta nell'ocean rena si lava.
Il duca valoroso feritore
cogli amorosi amanti non si stava,
ma combattendo dalla costa giva
e fatto avea de' morti lunga riva.

 

38


Duo parti delle vecchie son per terra
svenate sbudellate e smozzicate,
e della terza, se 'l mio dir non erra,
eran piú che le mezze inaverate;
sicché mal posson seguitar la guerra
quelle dolenti streghe sventurate;
Ghisola dentro d'ira si consuma
faccendo al ceffo velenosa schiuma.

 

39


Itta benigna Costanza seguendo
di suo prodezze fa gran maraviglia
disamorati e vecchie percotendo,
che fan la terra diventar vermiglia;
l'insegna poi di Ghisola veggendo
irata corse e subito la piglia
col manco braccio e con l'altro divise
quella che la tenea, sí che l'uccise.

 

40


La bella Telda che tante n'ha morte
quante nel ciel si veggon chiare stelle
Ghisola vide; allor correndo forte
la lancia le ficcò per le mascelle;
quella gridando con parole scorte
vendetta chiese all'eruine felle,
e un crudo stridor sí forte mise
che Telda quasi da vita divise.

 

41


Costanza vede Telda stupefatta
per lo stridor di quella vecchia cruda,
irata corse molto presta e ratta
con una spada valorosa e gnuda,
e per ferir la Ghisola si è tratta
in parte che 'l valor vuol che si chiuda,
dicendo: " Vecchia, vecchia, maladetta,
la vita ti convien lasciare in fretta."

 

42


E con quella parola un colpo mena
del forte brando sanguinoso e molle,
la testa le partí con grave pena
e morta cadde la Ghisola folle.
Vendetta fece Costanza d'Elèna
qual nell'animo suo dispose e volle;
al ciel volgendo gli occhi dilettosi
sospiri porge vaghi ed amorosi.

 

43


Tutte le belle donne fanno pruova
per consumare a tutto quelle fiere,
intanto che la fine amara piova
che vecchie non si possa piú vedere;
e cosí mentre ch'alle donne giova
di far contento lor sommo volere,
quelle seguendo uccison di presente
fin che le spade menan vanamente.

 

44


Non truovan piú le spade che ferire
ed è la terra piena di carogne;
quivi molti moscon si fan sentire
nibbi cornacchie corbi e gran cicogne;
chi con budella fugge a non mentire,
chi li lor membri portan per le fogne;
i teschi e l'ossa e lupi divoraro,
le mosche il sangue tutto consumaro.

 

45


Non compié di passare un'ora intera
che di que' corpi nulla se ne scorse,
e cosí capitò la prava schiera
per la superbia che in lor mente corse;
invidia e avarizia vuol che pera
chi strigner si lasciò nelle lor morse,
siccome queste di vizio profondo,
le qua' Costanza discacciò del mondo.

 

46


Rimase con vettoria chi dovea,
ciò fur le ninfe di sommo valore;
grand'allegrezza fra lor si facea
in una parte, in altra gran dolore,
perché ciascuna sola si vedea
di quella bella Elèna di gran core,
per cui si piagne e poi dall'altra parte
della vittoria si ringrazia Marte.

 

47


Fece Costanza far comandamento
ch'ogni suo donna debba far gran festa,
e che sonar si deggia ogni stormento
sanza piú doglia e sanza piú tempesta;
onde ciascuno tal proponimento
sognando d'allegrezza si fe' presta.
Le donne traggon gli elmi agli amadori
donando lor ghirlande di be' fiori.

 

48


Chi canta chi s'abbraccia e chi pur suona
e chi si lava il volto alla fontana,
chi dolce bacio alla compagnia dona
e chi per bigordar fa la chintana,
chi l'una verso l'altra corre e sprona
per allegrezza sovra la fiumana,
chi giuoca con la palla e chi pur danza,
chi porta rose alla bella Costanza.

 

49


Tutto quel giorno con sommo diletto
le donne nel bel prato fan dimora,
e poi ciascuna il suo bel trabacchetto
acconcia per la notte l'ultim'ora.
Drappi, zendadi, con capanne o tetto
la notte le coperse; infin ch'aurora
mostrò del giorno il giovane mattino
tornando Febo a esser montanino.

 

50


Ecco le rote del veloce carro
su per la schiera d'un poggio rapente;
allor le donne tutte, s'io ben narro,
aperson l'occhio all'occhio rilucente,
e d'allegrezza fanno grande sbarro
con molti suoni, e poi benignamente
davanti alla reina tutte vanno
e con gran reverenzia onor le fanno.

 

51


Poiché Costanza l'ebbe tutte a sé,
dimostrar volle la sua gran virtú,
e da seder drizzossi ritta in piè,
dicendo: "Donne, temo non è piú
d'abandonare Elèna che mort'è,
ma volger gli occhi si vuol colassú,
dove l'anima sua con Giove stà
pregandol che la renda per piatà.

 

52


Io questa notte vidi, donne mie,
che Venus dolcemente lagrimando
pregava Giove con parole pie:
- Rendimi l'alma e non le dar piú bando
del vago corpo pien di leggiadrie,
perché senz'esso il mondo vien mancando
d'ogni chiara virtú senza soccorso
di questa donna ch'era suo ricorso. -

 

53


E vidi Giove per piatà di lei
riprender quasi sé d'aver mal fatto
di tener tanto l'anima a costei,
considerando 'l ben ch'avea disfatto,
allor promisse d'esser con gli Dei
e far concilio prestamente e ratto,
nel quale intende che Elena si renda
e che giammai piú morte non l'offenda.

 

54


Dunque ciascuna si rallegri omai
e faccia per letizia dolce festa;
il ciel piú non consente i nostri guai,
e qui si vede l'opra manifesta;
libere fatte siam per sempremai
piú non temendo la vecchiarda gesta,
che morte tutte son per vostre mani
e le lor membra mangiate da' cani.

 

55


Facciasi tempio in questo loco grande
e sacrificio a Giove si largisca
e un'alta colonna tanto grande
alla foresta vo' che si largisca,
ch'al cielo aggiunga la parte piú grande:
quivi ciascuna donna si largisca
scolpita con intagli sí notabili
in alabastro che non fian mancabili."

 

56


Il fine fu di quella diceria
che 'l tempio s'argomenti sanza sosta;
ogni stormento per gran vigoria
alle celesti melodie s'accosta,
faccendo gran romor con voce pia:
cosí nessuna d'allegrezza sosta,
e quel bel tempio tosto edificaro
d'argento e d'oro molto ricco e caro.

 

57


Presono il corpo della vaga Elèna
con molti fiori e molti drappi d'oro,
e in quel tempio sanza prender lena
il puoson sopr'un letto dentro al coro.
Ciascuna canta con la dolce vena,
doppieri accesi v'ha di gran tesoro,
con pietre preziose in somma grande
che 'ntorno al corpo fanno piú ghirlande.

 

58


Cosí cantando con festa gioconda
priegano il ciel che l'anima ritorni;
Giove pertanto non sa che risponda
se non di render quella e non soggiorni;
al sol la diè nella luce ritonda,
il qual la prese infra li raggi adorni,
e come l'ebbe tostamente corse
nel nuovo tempio e quella al corpo porse.

 

59


Il corpo sente la suo dolce vita
e subito si drizza sopra il letto,
correndo alla sorella sua gradita,
ciò fu Costanza, che dentro dal petto
per gran dolcezza fu quasi smarrita,
veggendo Elèna con benigno aspetto;
e poi la prese in braccio istrettamente
baciando il viso suo benignamente.

 

60


Tutte le donne con somma letizia
corron dintorno a quella giovinetta,
quivi con gioco e festa ogni tristizia
tosto cacciar si vede con gran fretta.
Or chi potria narrar quanta dovizia
apparve di biltà fra quella setta,
veggendo Elèna bella ritornata
dall'alto Giove per piatà mandata.

 

61


Cosí con allegrezza il campo mosse
ver la foresta con ulivi e fiori
in segno di vittoria e di lor posse,
andando innanzi tutti gli amadori.
Le belle insegne non parien percosse,
ma rilucente con vaghi colori
dànno nel ventolar sí bella vista
che 'l cielo allegro piú valor ne acquista.

 

62


E poi ch'alla foresta sono andate
entraron dentro al nobile castello
e quivi prestamente disarmate
rappiccan l'armi nel sovrano ostello,
e di lor veste si sono addobbate
sí riccamente, che narrando quello,
parrebbe a chi l'udisse non credibile,
per lo tesoro di stima valibile.

 

63


Taccia la lingua mia di raccontare
il minimo diletto ch'io vi scorsi
nel vago canto e dolce sollazzare
ch'allor facendo le donne m'accorsi.
Il gran Neutunno rabbonaccia il mare
e per le selve si rallegran gli orsi,
tutte le fiere son venute pie
per la virtú dell'alte melodie.

 

64


L'alta colonna della fama eterna
Costanza dice ch'ordinare intende,
non come cosa di virtú moderna
ma qual celeste piú nel ciel s'apprende;
cosí chiamando la gloria superna
dall'alte rote tal grazia discende,
che quivi giunse la ricca colonna
eterna vita d'ogni bella donna.

 

65


D'un alabastro lucido e perfetto
si veggon dentro gli sottili intagli
di queste donne con verace effetto,
con fronde capitelli e piú frastagli.
Son le lor chiome d'oro puro e netto
dove ciascuno amante vuol ch'abbagli
quell'alto Giove che da ciel la pose
per la virtú delle donne amorose.

 

66


Di grado, in grado, d'una in altra bella,
le vaghe donne son quivi scolpite,
e sovra l'alta sommità di quella
Costanza regna, minacciante Dite,
spiriti vaghi sono intorno a quella
con trombe d'oro lucide e pulite,
sonando sempre con la boce tale
che l'universo teme di far male.

 

67


Armato il duca colla spada in mano
si vede in quella piú che valoroso
e ogni amante di virtú sovrano
v'è posto dentro fiero e coraggioso;
or quivi d'allegrezza a mano a mano
si fa gran festa con sommo riposo,
con sí perfetta gloria e alto bene
ch'è nell'alme dannate manco pene.

 

68


Tre gran parole vuol Costanza dire
in questa bella fine sanza fine,
onde ciascuna pronta a ubbidire
alli soavi canti pose fine.
L'alta reina di perfetto ardire
allor la voce sua pulita e fine
incominciò parlando, e cosí dice:
"Nostra virtú sarà sempre felice.

 

69


Noi abbiam morte quelle maladette
che 'l mondo d'ogni bene avien disposto,
ma pur si cerchi ancor delle lor sette,
e dove alcuna n'è sia morta tosto;
cosí con pace viverem perfette
sanza sentir di morte il grave costo;
Elena bella tal pruova n'ha fatta
ch'omai beate noi e nostra schiatta."

 

70


Finito ch'ebbe quell'alto sermone
nel verde prato fanno dolce festa
le belle donne per ogni stagione.
Allor mi dipartí dalla foresta
lasciando quelle omai sanza questione
in allegrezza tanto manifesta,
e non creda alcun che la tornata
mi sia per tempo o tempo mai vietata.

 

71


Amor, adunque omai lecito sia
ch'io ponga fine al dilettoso canto;
e tu, Costanza, d'ogni virtú pia
della tua grazia mi concedi alquanto
con l'alta vaga e bella compagnia
ch'agli occhi mi mostrasti valor tanto,
sicché per me si possa omai lasciare
quel che per dir non si porria stimare.

 

72


Io son chiamato dal fioretto mio
per cui mi mossi a gloriar Costanza,
e dice ch'io ritorni al suo ricrío
al vago lume di dolce speranza,
il qual m'accende ognor vago disío
nel cor che contro a lui non ha possanza;
e dicemi che 'l termine è passato,
però ritorno, e qui prendo commiato.

 

73


In donna non fu mai simil virtute,
donna non fu giammai di tanto pregio,
come quest'alto fior la cui salute
volle ch'al vecchio vizio tal dispregio
in sé portasse con aspre ferute,
valor donando di vittoria fregio,
alla biltà che val sopr'ogni bella,
cioè virtute in vaga damigella.

 

74


Non nacque questo fiore in verde prato
né lungo riva di veloce fiume,
ma nel piú alto ciel fu collocato
il suo principio per eterno lume,
dinanzi al cui valor son ritornato
pognendo fino a questo mio vilume,
nel qual si può veder favoleggiando
virtú nascose e virtú gloriando.

 

75


A onta delle vecchie dolorose
e degli avari tristi smemorati
a bene e pace delle valorose
leggiadre donne e degli innamorati,
chiamo li santi Dei e le lor cose
ch'a questo fine sien tanto beati,
che 'l mio vilume al pregio de' cattivi

giammai per alcun tempo non arrivi.





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