Christopher Marlowe

IL DOTTOR FAUST

 

 

 

Christopher Marlowe nacque a Canterbury nel 1564 e morì a Deptford, presso Londra, nel 1593. Scrisse "Doctor Faustus" secondo alcuni prima del 1590, mentre secondo altri questa fu la sua opera ultima. La prima rappresentazione documentata è comunque postuma e risale al settembre- ottobre 1594.

 

PERSONAGGI

Il Dottor Faust

Wagner, suo servo

Valdes e Cornelius, studiosi di magia

Tre universitari

Mefistofele

Un vecchio

Papa Adriano

Raimondo, re d'Ungheria

Bruno, l'antipapa

I cardinali di Francia e di Padova

L'arcivescovo di Reims

Carlo Quinto, imperatore di Germania

Martino, Frederick e Benvolio, cavalieri alla sua corte

Il duca di Sassonia

Il duca di Vanholt

La duchessa di Vanholt

Robin, il clown

Dick

Un oste

Un mercante di cavalli

Un carrettiere

L'ostessa

L'angelo buono

L'angelo cattivo

Lucifero

Belzebub

I sette peccati mortali: Orgoglio, Avarizia, Invidia, Rabbia, Gola, Accidia, Lussuria

Fantasmi: Alessandro Magno, la sua amante, Dario re di Persia, Elena di Troia e due amorini.Vescovi

Monaci

Frati

Soldati

Gente del seguito

Diavoli

Un flautista

 

 

 

LA TRAGEDIA DEL DOTTOR FAUST

 

 

CORO 1

(Entra il Coro)

 

Non più marciando ai campi del Trasimeno dove Marte sposò i guerrieri cartaginesi né gustando i piaceri dell'amore nelle corti dei re e dei colpi di stato né celebrando imprese temerarie il nostro poeta presenta il suo verso divino.

Oggi solo questo, signori: dobbiamo render nota la forma delle fortune di Faust, buone o cattive, e ora vi preghiamo di essere pazienti e parliamo di Faust fin dal principio.

Nacque dunque da gente di ceppo oscuro, in Germania, nella città di Roda, e quando fu maturo andò a Wittenberg, dove i parenti vollero educarlo.

Si mostrò così bravo negli studi teologici, scendendo come una grazia sulle terre accademiche, che presto ebbe per grazia il titolo di dottore e fu il più bravo di tutti a disputare divinamente sui temi celesti della teologia.

Ma alla fine, gonfiato di bravura e arroganza, troppo in alto lo spingono le sue ali di cera e il cielo le scioglie, decreta la sua caduta.

Perché si è dato a pratiche diaboliche e sazio dei doni solari della sapienza si getta affamato sulla negromanzia:

ormai niente gli è più caro di quel sapere buio che antepone perfino al sommo bene, ed ecco l'uomo che siede nel suo studio.

(Esce)

 

 

SCENA 1

(Appare Faust nel suo studio)

 

FAUST: Decidi i tuoi programmi, Faust, comincia a sondare a fondo ciò che professerai.

Sei già dottore, fingi di essere teologo e invece punta al fine ultimo di ogni scienza e vivi e muori nelle opere di Aristotele.

Dolce Analitica, sei tu che mi hai innamorato:

"Bene disserere est finis logices".

Discutere bene, è questo il fine ultimo della logica?

E' tutto qui il miracolo che promette quest'arte?

Non leggere più allora, hai raggiunto quel fine.

L'ingegno di Faust vuole un tema più grande.

"On kai me on", addio. Venga Galeno perché "ubi desinit philosophus, ibi incipit medicus".

Diventa medico, Faust, ammucchia oro, sii immortale per qualche cura miracolosa.

"Summum bonum medicinae sanitas".

Il fine dell'arte è la salute del corpo.

Ma allora, Faust, non l'hai raggiunto quel fine?

Non è ogni tua battuta un ottimo aforisma?

Le tue ricette non sono esposte come monumenti per cui intere città hanno scampato la peste e mille malattie disperate hanno trovato una cura?

Eppure non sei che Faust, non sei che un uomo.

Potessi far vivere gli uomini in eterno o quando muoiono ridare loro la vita, allora potrei stimare questa professione.

Addio medicina. Dov'è Giustiniano?

"Si una eademque res legatur duobus, alter rem, alter valorem rei..." Squallido caso di lasciti miserabili!

"Exhcreditare filium non potest pater, nisi..." Di questo trattano le Istituzioni e il corpo universale delle leggi.

Ma questo lavoro è degno d'uno sgobbone venduto che va a caccia di niente, di gusci vuoti:

per me, troppo servile e illiberale.

Tutto sommato è meglio la teologia.

La Bibbia di Girolamo, Faust, leggila bene:

"Stipendium peccati mors est." Ah! "Stipendium peccati..." La morte è il salario del peccato. E' duro.

"Si peccasse negamus, fallimur, et nulla est in nobis veritas".

Se neghiamo di aver peccato c'inganniamo, e non c'è niente di vero in noi.

Ma allora è come dover peccare per forza e per ciò morire.

Una condanna a morte, e morte eterna.

Come chiamare questa dottrina? "Che sera, sera":

ciò che sarà dev'essere. Teologia addio.

Questa metafisica dei maghi, questi libri di negromanzia sono divini!

Linee cerchi segni lettere simboli, è questo che Faust desidera più di tutto.

O quale mondo di profitto e di delizia, di potere di onore e onnipotenza è promesso a un artefice d'ingegno!

Tutto ciò che si muove tra i poli fermi sarà ai miei ordini. Imperatori e re sono obbediti soltanto nelle loro terre né possono alzare i venti o squarciare le nubi, ma chi riesce in questo, il suo dominio è grande come il pensiero dell'uomo e un bravo mago è un semidio.

Sforzati qui, cervello, di meritarti l'immortalità.

 
(Entra Wagner)

 

Wagner, va' dai miei amici carissimi, i fratelli Valdes e Cornelius.

Pregali di venire subito.

WAGNER: Vado, signore.

 
(Esce)

 

FAUST: I loro consigli mi daranno più aiuto di tutti i miei sforzi solitari.

 
(Entrano l'angelo e il diavolo [angelo cattivo])

 

L'ANGELO BUONO: Faust, getta via quel libro maledetto, non guardarlo, tenterà la tua anima, attirerà sul tuo capo il castigo di Dio.

Leggi la Bibbia. Quello è un sacrilegio.

L'ANGELO CATTIVO: Avanti, Faust, in quest'arte famosa che racchiude i tesori della natura.

Sii sulla terra come Giove è in cielo, signore e padrone degli elementi.

 

(Gli angeli escono)

 

FAUST: Che ebbrezza mi dà quest'idea!

Costringerò le ombre a darmi tutto ciò che desidero?

A sciogliere tutti i miei dubbi?

A eseguire le imprese più disperate ch'io voglio?

Le manderò a volo in India per averne l'oro, a rastrellare gli oceani per le perle orientali e a frugare ogni angolo del mondo nuovo per frutta squisite, prelibatezze principesche.

Le forzerò a leggermi filosofie sconosciute e a dirmi i segreti di tutti i re stranieri, circonderò la Germania con un muro d'ottone e con il Reno veloce Wittenberg la bella, riempirò di seta tutte le università e darò agli studenti abiti favolosi, arruolerò soldati coi denari che portano e caccerò dalla terra il principe di Parma per regnare da solo su tutte le Province.

E macchine d'assalto più fantastiche della nave di fuoco al ponte d'Anversa farò inventare dagli spiriti che mi servono.

Venite, Valdes e Cornelius, fratelli, fatemi felice con la vostra sapienza.

 

(Entrano Valdes e Cornelius)

 

Valdes, Valdes carissimo, Cornelius, sappiate che le vostre parole m'hanno convinto finalmente a praticare la magia e le arti segrete.

Anzi, non solo le vostre parole, ma la mia fantasia che rifiuta ogni altro oggetto: il mio cervello non fa che pensare al potere di un mago.

La filosofia è odiosa e oscura, la medicina e la legge sono per menti meschine, la teologia è ancora più bassa delle altre, sgradevole, aspra, ripugnante, vile.

E' la magia, la magia che m'ha innamorato.

Perciò, amici miei, aiutatemi in questo passo, e io che con sillogismi veloci ho inchiodato i pastori della Chiesa tedesca e ho portato le speranze più belle di Wittenberg alle mie discussioni, come folle di spiriti attorno a Museo quando scese all'inferno, diventerò bravo come Agrippa che stupì l'Europa coi suoi fantasmi.

VALDES: Faust, questi libri, il tuo ingegno e la nostra esperienza ci faranno santi in tutte le nazioni.

Come mori indiani che obbediscono ai padroni spagnoli gli spiriti d'ogni elemento ci obbediranno sempre, ci scorteranno come leoni a un nostro cenno o come cavalieri alemanni armati di lance o trottandoci al fianco come giganti lapponi e a volte come donne o ragazze intatte, i visi d'aria più belli dei seni bianchi della regina d'amore.

Da Venezia trarranno le ragusee enormi e dall'America il vello d'oro che impingua ogni anno i forzieri di Filippo, se il colto Faust saprà essere deciso.

FAUST: Valdes, sono deciso a questo passo come tu a vivere. Non dubitare.

CORNELIUS: Sono tanti i miracoli dell'arte che giurerai di non studiare altro.

Una buona base in astrologia, competenza nelle lingue, conoscenza dei minerali, sono i presupposti necessari.

Perciò non dubitare, sarai famoso e i tuoi segreti più ricercati dell'oracolo di Delfi ai suoi tempi.

So che gli spiriti possono prosciugare i mari per estrarne i tesori di tutti i naufragi, anzi, tutte le ricchezze che gli antenati seppellirono nelle viscere della terra.

E allora dimmi, Faust, cosa ci mancherà?

FAUST: Niente, Cornelius. Questo mi dà coraggio!

Venite, mostratemi qualche esperimento, poi esordirò in qualche bosco, avrò queste gioie in pieno.

VALDES: Cercati un posto solitario, nel folto, e porta con te il saggio Bacone e Abano, i Salmi e il Nuovo Testamento; altre cose che servono te le diremo prima di separarci.

CORNELIUS: Valdes, cominciamo a insegnargli le parole dell'arte. E quando saprà il resto proverà da solo.

VALDES: Anzitutto i rudimenti. Presto sarai più bravo di me.

FAUST: Venite, venite a cenare. Dopo vaglieremo tutto a fondo.

Prima di dormire voglio provare.

Stanotte evocherò gli spiriti, mi costi pure la vita.

 

(Escono)

 

 

SCENA SECONDA

(Entrano due assistenti)

 

PRIMO ASSISTENTE: Che ne è stato di Faust che faceva rimbombare le aule coi suoi "sic probo".

 

(Entra Wagner)

 

SECONDO ASSISTENTE: Lo sapremo subito, c'è lì il suo servo.

PRIMO ASSISTENTE: Ehi tu, senti, dov'è il tuo principale?

WAGNER: Lo sa Iddio!

SECONDO ASSISTENTE: E tu non lo sai?

WAGNER: Sì, lo so. Ma che c'entra?

PRIMO ASSISTENTE: Avanti giovanotto, basta coi bisticci e di' dove si trova.

WAGNER: Neanche questo è logico. Siete laureati, dovreste saper fare un ragionamento. Sicché riconoscete l'errore e fate più attenzione.

SECONDO ASSISTENTE: Allora non vuoi proprio dircelo?

WAGNER: Ti sbagli di nuovo: ve lo dico subito. Ma se non foste somari non avreste mai fatto una domanda simile. Lui è un "Corpus naturale", sì o no? E non è questi "Mobile? Ergo", che senso ha la domanda? Se non fossi flemmatico per natura, lento all'ira e incline alla libidine - all'amore dovrei dire - non vi converrebbe avvicinarvi troppo a questo luogo d'esecuzione. Del resto vi vedrò tutt'e due impiccati alle prossime assise, non ne dubito. E ora che ho trionfato su voi mi farò una faccia da puritano e dirò così: invero, miei cari fratelli, il Maestro è in casa, a tavola con Valdes e Cornelius, come questo vino, se potesse parlare, informerebbe le signorie vostre: e con ciò il Signore vi benedica, vi preservi e vi conservi, miei carissimi fratelli.

 

(Se ne va)

 

PRIMO ASSISTENTE: Ah, Faust, adesso ho paura che sia vero ciò che sospetto da tempo:

sei caduto in quell'arte maledetta che rende quei due dappertutto infami.

SECONDO ASSISTENTE: Anche se mi fosse estraneo e non mio amico, il rischio che corre quest'anima mi darebbe pena.

Venite, andiamo a dirlo al Rettore, forse la sua parola autorevole potrà salvarlo.

PRIMO ASSISTENTE: Temo che niente potrà salvarlo ormai.

SECONDO ASSISTENTE: Ma facciamo il possibile.

 

(Escono)

 

 

SCENA TERZA

(Tuono. Entrano [in alto] Lucifero e quattro diavoli. Faust si rivolge a loro)

 

FAUST: Ora che l'ombra della notte innamorata di Orione che sempre piange dall'Antartide balza nel cielo e appanna il firmamento col suo respiro di pece, comincia il tuo rito, Faust, cerca di farti ubbidire dai diavoli dopo tante preghiere e sacrifici.

In questo cerchio il nome di Geova anagrammato per dritto e rovescio i nomi abbreviati dei santi i simboli di ogni corpo celeste i segni e le stelle erranti che forzano gli spiriti ad apparire:

coraggio dunque, Faust, sii deciso, metti alla prova la tua arte.

 

(Tuono)

 

"Sint mihi Dei Acherontis propitii, valeat numen triplex Jehovae, Ignei, Aerii, Aquatici, Terreni, spiritus salvete: Orientis Princeps Lucifer, Belzebub inferni ardentis monarcha, et Demogorgon, propitiamus vos, ut appareat, et surgat Mephostophilis".

 

(Dragone)

 

"Quid tu moraris; per Jehovam, Gehennam, et consecratam aquam quam nunc spargo; signumque crucis quod nunc facio; et per vota nostra ipse nunc surgat nobis dicatus Mephostophilis".

 

(Entra un diavolo)

 

Ti ordino di sparire! Cambia aspetto, sei troppo brutto per servirmi.

Vattene e torna a immagine d'un vecchio frate minore.

Quella santa veste è la più adatta a un diavolo.

 

(Il diavolo esce)

 

Sono davvero potenti le mie parole celesti!

Chi non vorrebbe eccellere in quest'arte?

Com'è docile questo Mefistofele, com'e ubbidiente, com'è umile sotto il mio forte incanto.

Ormai, Faust, sei un mago laureato se dai ordini al grande Mefistofele.

"Quin redis Mephostophilis fratris imagine".

 

(Entra Mefistofele)

 

MEFISTOFELE: Allora, Faust, cosa vuoi che faccia?

FAUST: Ti ordino di essere pronto, finché vivo, a fare tutto ciò che ti comando, anche a strappare la luna dalla sua sfera o subissare nell'oceano il mondo.

MEFISTOFELE: Io servo il grande Lucifero, non posso obbedirti senza il suo permesso.

E solo ciò che egli ordina ci è lecito.

FAUST: Ma non ti ha già ordinato di apparirmi?

MEFISTOFELE: No, sono qui per mia volontà.

FAUST: T'hanno chiamato i miei scongiuri, dunque.

MEFISTOFELE: Sono stati la causa, ma "per accidens":

quando sentiamo qualcuno che strazia il nome di Dio e abiura le scritture e Cristo suo redentore, corriamo per averne l'anima gloriosa.

E non ci muoviamo se non usa mezzi che lo espongono al rischio di essere dannato:

perciò il modo più spiccio di fare il mago e rinnegare la trinità con coraggio e pregare il demonio con devozione.

FAUST: Ma io l'ho fatto ed ora credo in questo:

non c'è altro dio fuori di Belzebub, a lui dedico me stesso.

Quella parola dannata non mi fa paura, non distinguo l'inferno dall'eliso:

il mio spirito sia con gli antichi filosofi.

Ma lasciamo le chiacchiere sull'anima.

Dimmi, cos'è Lucifero, il tuo padrone?

MEFISTOFELE: Arcireggente e cupo di ogni spirito.

FAUST: Non fu un angelo, un tempo?

MEFISTOFELE: Sì, Dio lo amava moltissimo.

FAUST: Come mai allora è il principe dei diavoli?

MEFISTOFELE: Per superbia, ambizione e insolenza, per questo fu gettato giù dal cielo.

FAUST: E voi chi siete, soci di Lucifero?

MEFISTOFELE: Infelici caduti con Lucifero, ribelli a Dio con Lucifero e dannati per sempre con Lucifero.

FAUST: Dannati dove?

MEFISTOFELE: All'inferno.

FAUST: E come mai ne sei fuori?

MEFISTOFELE: Ma qui è inferno, non ne sono fuori.

Ho visto il volto del Signore e so cos'è il cielo. E tu credi che non mi tormentino diecimila inferni vedendomi tolta quell'estasi? Ah, Faust, non farmi queste domande meschine che subito mi angosciano e mi atterriscono.

FAUST: Come, il grande Mefistofele s'addolora perché gli hanno tolto il paradiso?

Impara da Faust a essere forte come un uomo e disprezza la felicità che hai perduta.

E ora torna da Lucifero e digli questo:

poiché Faust è incorso nella morte eterna per i suoi pensieri disperati contro Giove, digli che è pronto a cedergli l'anima se lo risparmia per ventiquattr'anni per fargli vivere tutte le voluttà e averti sempre al mio servizio per darmi tutto ciò che ti chiedo, per dirmi tutto ciò che ti domando, uccidere i miei nemici, aiutare i miei amici e obbedire sempre ai miei ordini.

Va', torna dal potente Lucifero e vieni a mezzanotte nel mio studio a dirmi le sue decisioni.

MEFISTOFELE: D'accordo.

 

(Esce)

 

FAUST: Avessi tante anime quante sono le stelle, le darei tutte per Mefistofele.

Con lui sarò imperatore del mondo, lancerò un ponte sull'aria e passerò l'oceano col mio esercito, salderò i monti intorno al mare d'Africa, ne farò un continente con la Spagna e saranno entrambe vassalle del mio regno.

L imperatore vivrà per mia clemenza e così ogni potente in Germania.

Ora ho ciò che volevo, vivrò studiando la mia arte finché lui non torna.

 

(Escono [Faust, Lucifero e i diavoli])

 

 

SCENA QUARTA

(Entrano Wagner e [Robin] il clown)

 

WAGNER: Ehi, vieni qui, ragazzo.

ROBIN: Ragazzo? Mi vuoi insultare? Cristo! Ragazzo a te! Scommetto che ne hai visti altri di ragazzi con un becco simile.

WAGNER: Di' un po', hai qualche entrata?

ROBIN: Come no! E anche qualche uscita, si vede.

WAGNER: Ah, povero cristo, guarda la miseria che ride della sua nudità. Questo disgraziato lo conosco, è senza lavoro e tanto morto di fame che darebbe l'anima al diavolo per un coscio di montone crudo.

ROBIN: Un corno, lo voglio arrostito bene e col sugo, se devo pagarlo così caro.

WAGNER: Senti, vuoi venire al mio servizio? Ti tratto bene, come un "Qui mihi discipulus".

ROBIN: Come sarebbe, in poesia?

WAGNER: No, ignorante, in broccato e cappuccio.

ROBIN: Fior cappuccio? E' buono per i pidocchi. Allora se vengo sarò pidocchioso.

WAGNER: Per questo lo sarai in ogni caso, che tu venga o meno. Ma ora, minchione, se non t'impegni con me immediatamente per sette anni, tutti i pidocchi che hai indosso li faccio diventare diavoli per mangiarti vivo.

ROBIN: Allora vossignoria può risparmiarsi la fatica. Si pigliano già questa familiarità, poveri diavoli, giuro, come chi ha pagato zuppa e bevanda.

WAGNER: Basta con gli scherzi, pagliaccio, piglia questi fiorini.

ROBIN: Perdinci, subito, signore, e tante grazie, signore.

WAGNER: E adesso, con un'ora di preavviso, dovunque e in ogni momento il diavolo può venire a pigliarti.

ROBIN: Riecco i fiorini, non li voglio.

WAGNER: Ah no, ormai sei preso, preparati, tra un attimo faccio apparire due diavoli per portarti via. Banio, Belcher!

(Chiama) ROBIN: Becco? Venga Becco, che lo becco io. Non ho paura del diavolo.

 

(Entrano due diavoli)

 

WAGNER: Allora vieni o no?

ROBIN: Sì, sì, buon Wagner, manda via i diavolacci.

WAGNER: Spiriti, via! Tu, seguimi.

ROBIN: Subito, monsignore, ma sentite, monsignore, mi volete insegnare gli scongiuramenti?

WAGNER: Perché no, zuccone, t'insegnerò a trasformarti in un cane, un gatto, un topo, un ratto, insomma come vuoi.

ROBIN: Cane o gatto, topo o ratto? Viva Wagner!

WAGNER: Tanghero, chiamami signor Wagner. E bada a camminare con attenzione, con l'occhio destro sempre diametralmente fisso sul mio tacco sinistro per poter "quasi vestigiis nostris insistere".

ROBIN: Vossignoria può contarci.

 

(Escono)

 

 

SCENA QUINTA

(Appare Faust nel suo studio)

 

FAUST: Ora, Faust, sei dannato, non puoi più salvarti.

Allora perché pensare a Dio, al paradiso?

Basta coi sogni, dispera, dispera in Dio, credi in Belzebub.

Ormai non tirarti indietro, no, sii deciso, perché esitare? Ah, questa voce all'orecchio, "Rinnega la magia, torna a Dio".

E Faust tornerà a Dio.

A Dio? Ma Dio non ti ama.

Il dio che servi è il tuo desiderio e in esso è piantato l'amore del diavolo.

Gli costruirò un altare, una chiesa, gli offrirò sangue tiepido di neonati.

 

(Entrano i due angeli)

 

L'ANGELO CATTIVO: Avanti, Faust, in quest'arte gloriosa!

L'ANGELO BUONO: Buon Faust, lascia quell'arte infame.

FAUST: Contrizione, preghiera, pentimento, a che servono?

L'ANGELO BUONO: Servono a portarti in paradiso.

L'ANGELO CATTIVO: Storie! Sono illusioni, frutti di pazzia.

Chi più ne usa, lo fanno ammattire.

L'ANGELO BUONO: Faust, pensa al cielo e alle cose celesti.

L'ANGELO CATTIVO: No, pensa all'onore e alla ricchezza.

 

(Gli angeli escono)

 

FAUST: La ricchezza!

Certo, sarò signore di Embden!

Quando Mefistofele è con me, quale dio può farmi del male? Faust, sei al sicuro.

Non avere più dubbi. Mefistofele, vieni, dal grande Lucifero portami una buona novella.

Non è mezzanotte? Vieni Mefistofele, "Veni veni Mephostophilis".

 

(Entra Mefistofele)

 

Dimmi, che dice il tuo signore Lucifero?

MEFISTOFELE: Posso stare con Faust finché vive se compra il mio servizio con l'anima.

FAUST: L'ho già perduta per averti.

MEFISTOFELE: Ma ora devi farne un lascito formale e scrivere il contratto col tuo sangue.

Lucifero vuole questa garanzia.

Se ti rifiuti dovrò tornare all'inferno.

FAUST: No, resta. Ma dimmi, che vantaggio porta la mia anima al tuo signore?

MEFISTOFELE: Ingrandisce il suo regno.

FAUST: E' per questo che ci tenta?

MEFISTOFELE: "Solamen miseris socios habuiisse doloris".

FAUST: Come, torturatori e torturati?

MEFISTOFELE: Sì, torturati come ogni anima umana.

Ma dimmi, Faust, avrò la tua anima?

Sarò tuo schiavo, ti servirò, ti darò più di quanto puoi chiedere.

FAUST: Sì, Mefistofele, è vostra.

MEFISTOFELE: Allora coraggio, tagliati sul braccio e impegna l'anima, affinché un dato giorno Lucifero possa esigerla come propria.

Poi sarai grande come Lucifero.

FAUST: Guarda, per amor tuo Faust si è ferito e col suo sangue dice che la sua anima è del signore della notte eterna.

Il sangue scende dal mio braccio.

Sia propizio al mio sogno.

MEFISTOFELE: Presto, scrivi la donazione.

FAUST: Sì, ma il sangue si raggruma, non riesco a scrivere.

MEFISTOFELE: Ti porto un fuoco che lo scioglie subito.

FAUST: Cosa vuol dire questo raggrumarsi del sangue? Non vuole che scriva questo patto?

Perché non scorre e mi lascia scrivere?

"Faust ti dà l'anima": lì si è fermato.

E perché non dovrei, non è mia l'anima?

Avanti, riprova: Faust ti dà l'anima.

(Entra Mefistofele con un braciere).

MEFISTOFELE: Ecco il fuoco, Faust, accostati.

FAUST: Ora torna a scorrere. In un attimo avrò finito.

MEFISTOFELE (a parte): Cosa non farei per la sua anima!

FAUST: "Comsummatum est". L'atto è compiuto, Faust ha ceduto l'anima a Lucifero.

Ma cos'è questo scritto sul mio braccio?

"Homo fuge". Dove potrei fuggire?

Se verso Dio, mi getterà nell'inferno.

I sensi m'ingannano, non c'è scritto niente, ma sì, lo vedo chiaro, ecco, qui è scritto "Homo fuge". Ma Faust non fuggirà.

MEFISTOFELE: Gli porterò qualcosa per distrarlo.

 

(Esce.

(Entrano diavoli che danno a Faust corone e vesti sontuose: danzano, escono. Rientra Mefistofele)

 

FAUST: Dimmi, cosa vuol dire tutto questo?

MEFISTOFELE: Niente! Un divertimento, anzi un esempio di ciò che un mago può fare.

FAUST: Potrò farli apparire quando voglio?

MEFISTOFELE: Sicuro, e fare cose assai più grandi.

FAUST: Allora prendi questa donazione:

anima e corpo. Ma a una condizione, che si rispetti ogni accordo, ogni dettaglio che abbiamo stipulato.

MEFISTOFELE: Te lo giuro sull'inferno. Mantengo le promesse.

FAUST: Ascolta. Alle condizioni seguenti:

"Prima, che Faust sia uno spirito in forma e sostanza.

Seconda, che Mefistofele lo serva e obbedisca ai suoi comandi.

Terza, che eseguisca per lui o gli dia qualsiasi cosa.

Quarta, che rimanga invisibile nella sua stanza o in casa.

Ultima, che appaia al sottoscritto Johann Faust quando, come in che modo questi preferisca.

Io, Johann Faust di Wittenberg, dottore, col presente atto cedo corpo e anima a Lucifero, Principe dell'Oriente, e al suo ministro Mefistofele, e inoltre do loro pieno potere, trascorsi ventiquattro anni e senza violazione degli accordi di cui sopra, di venire a prendersi o portare il suddetto Johann Faust, corpo e anima, carne e sangue, nella loro dimora, dovunque sia.

Firmato Johann Faust.

MEFISTOFELE: Questo è un tuo atto legittimo, lo riconosci?

FAUST: Sì, prendi! E il diavolo te ne compensi.

MEFISTOFELE: E ora dimmi ciò che vuoi.

FAUST: Intanto voglio avere notizie sull'inferno.

Dov'è il posto che gli uomini chiamano inferno?

MEFISTOFELE: Sotto i cieli.

FAUST: Sì, come tutto il resto. Ma dove?

MEFISTOFELE: Nelle viscere degli elementi.

Lì siamo torturati per sempre.

L'inferno non ha limiti, non è circoscritto in un unico luogo. Dove siamo è inferno e dov'è inferno lì staremo per sempre.

E in breve, quando il mondo sarà dissolto e ogni creatura purificata, dove non sarà cielo sarà inferno.

FAUST: Per me è una favola.

MEFISTOFELE: Credilo pure. Poi cambierai idea.

FAUST: Pensi davvero che sarò dannato?

MEFISTOFELE: Per forza, se questo è l'atto con cui hai venduto l'anima.

FAUST: E anche il corpo. E con questo?

Mi credi così stupido da pensare che dopo la vita ci sia altro dolore?

Sono scemenze, storie per le vecchiette.

MEFISTOFELE: Ma io sono la prova vivente del contrario:

sono dannato, ti dico, e in questo momento all'inferno.

FAUST: Se questo è inferno mi dannerò volentieri.

Come! Dormire, mangiare, andare a spasso, discutere!

Ma basta. Procurami una moglie, la ragazza più bella in Germania. Sono sensuale, lascivo, e non so stare senza moglie.

MEFISTOFELE: Va bene, Faust, l'avrai.

 

(Fa entrare una diavolessa)

 

FAUST: Ma chi è costei?

MEFISTOFELE: E' la moglie, Faust. La vuoi ancora?

FAUST: E' una baldracca in fregola. No, non la voglio più.

MEFISTOFELE: Via, il matrimonio è solo una commedia, se mi ami non pensarci.

T i sceglierò le cortigiane più belle, le porterò al tuo letto ogni mattino, colei che gli occhi vorranno il cuore avrà, anche se è casta come Penelope, saggia come la regina di Saba o bella come Lucifero in fiamme prima della caduta.

Prendi questo libro, studialo attentamente:

ripetere queste righe porta oro, se tracci in terra questo cerchio avrai tuoni turbini tempeste lampi, ripeti questo tre volte con devozione e ti farà apparire uomini armati, pronti a eseguire i tuoi ordini.

FAUST: Un libro prezioso. Grazie, l'avrò caro come la vita.

Ma ne vorrei uno dove trovare formule e incantesimi per evocare gli spiriti quando voglio.

MEFISTOFELE: Li trovi nel tuo libro.

 

(Indica)

 

FAUST: E allora ne voglio uno coi segni dei pianeti, per conoscerne i movimenti e le posizioni.

MEFISTOFELE: Ci sono anche quelli.

 

(Indica)

 

FAUST: Ancora una richiesta, un libro in cui trovare tutte le piante, le erbe, gli alberi che crescono sulla terra.

MEFISTOFELE: Qui, sempre qui.

FAUST: Ah, è falso!

MEFISTOFELE: No, è la verità.

 

(Indica, escono)

 

 

 SCENA SESTA

(Faust nel suo studio e Mefistofele)

 

FAUST: Se guardo il cielo mi pento e ti maledico, demonio che mi hai rubato la felicità.

MEFISTOFELE: L'hai voluto tu, Faust, ringrazia te stesso.

Ma davvero pensi che il cielo sia tanto glorioso?

Credimi, è assai meno bello di te e di ogni altro uomo sulla terra.

FAUST: Come lo provi?

MEFISTOFELE: E' stato creato per l'uomo, dunque l'uomo è più perfetto.

FAUST: Se il cielo fu creato per l'uomo, fu creato per me.

Rinuncerò alla magia, mi pentirò.

 

(Entrano i due angeli)

 

L'ANGELO BUONO: Faust, pentiti, Dio può ancora perdonarti.

L'ANGELO CATTIVO: Sei un fantasma, Dio non può perdonarti.

FAUST: Chi mi fischia all'orecchio che sono un fantasma?

Anche se fossi un demonio, Dio avrà pietà, avrà pietà se mi pento.

L'ANGELO CATTIVO: Vero, ma Faust non si pentirà mai.

 

(Gli angeli escono)

 

FAUST: Il mio cuore è indurito, non so pentirmi.

Appena dico salvezza, fede, cielo, sento qui echi terribili:

Faust sei dannato! E spade, coltelli, cappi, pistole, veleni, lame avvelenate m'appaiono per spingermi ad ammazzarmi.

E già da tempo mi sarei tolto di mezzo, ma una sola gioia ha vinto la disperazione:

non ho fatto cantare per me Omero il cieco dell'amore d'Alessandro e della morte d'Enone, e l'uomo che alzò le mura di Tebe con l'arpa che innamorava le pietre non ha fatto musica col mio Mefistofele?

Perché morire allora o disperare come un vile?

Ho deciso, Faust non si pentirà.

Mefistofele, vieni, ricominciamo a parlare, a parlare delle stelle divine.

Dimmi delle sfere oltre la luna, dimmi se i corpi celesti formano un solo globo solido come questa terra al centro.

MEFISTOFELE: I cieli sono come gli elementi, ognuno su dalla luna fino all'orbe più alto fascia l'altro e si fascia della sua sfera e tutti insieme volgono su un asse che in cima è detto il gran polo del mondo.

Quanto a Saturno, Marte e Giove, non sono nomi fittizi, ma stelle erranti.

FAUST: Ma si muovono tutti allo stesso modo, "situ et tempore"?

MEFISTOFELE: Tutti girano da est a ovest in ventiquattr'ore attorno ai poli del mondo, ma hanno moti diversi rispetto ai poli dello Zodiaco.

FAUST: Wagner conosce queste nozioni meschine.

E' tutta qui la sapienza di Mefistofele?

Chi non conosce il doppio moto dei pianeti?

Il primo si compie in una giornata e il secondo così: Saturno in trent'anni, Giove in dodici Marte in quattro, il Sole, Venere e Mercurio in un anno, la luna in ventotto giorni. E' roba da matricola. Dimmi se ogni sfera ha un dominio angelico, un'"Intelligentia".

MEFISTOFELE: E' così.

FAUST: Quanti sono i cieli, le sfere?

MEFISTOFELE: Nove. I sette pianeti, il firmamento e il cielo empireo.

FAUST: Ma non vi sono un "Coelum igneum" e un "Christalinum"?

MEFISTOFELE: No, sono favole.

FAUST: Ancora una domanda: perché le congiunzioni, le opposizioni, gli aspetti, le eclissi non ricorrono regolarmente, ma in certi anni sono più e in altri meno?

MEFISTOFELE: "Per inaequalem motum respectu totius".

FAUST: Giusto. Ora dimmi chi ha creato il mondo.

MEFISTOFELE: No.

FAUST: Dimmelo, Mefistofele.

MEFISTOFELE: Faust, non insistere.

FAUST: Canaglia, non ti sei impegnato a dirmi tutto?

MEFISTOFELE: Sì, che non sia contrario al nostro regno. Questo lo è.

Sei dannato. Pensa all'inferno.

FAUST: Faust pensa a Dio che creò il mondo.

MEFISTOFELE: Ricorda!

 

(Esce)

 

FAUST: Vattene all'inferno, demonio!

Sei tu che hai dannato la mia anima infelice.

Non è troppo tardi?

 

(Entrano i due angeli)

 

L'ANGELO CATTIVO: Troppo tardi!

L'ANGELO BUONO: Mai troppo tardi, se ti penti!.

L'ANGELO CATTIVO: Se ti penti i diavoli ti faranno a pezzi.

L'ANGELO BUONO: Pentiti, non potranno sfiorarti.

 

(Gli angeli escono)

 

FAUST: Cristo, mio redentore, mio redentore, aiuta quest'anima infelice!

 

(Entrano Lucifero, Belzebub e Mefistofele)

 

LUCIFERO: Cristo non può aiutarti perché è giusto.

Solo io ho diritto alla tua anima.

FAUST: Chi sei, apparizione terribile?

LUCIFERO: Sono Lucifero.

E costui è principe con me dell'inferno.

FAUST: Sono venuti a prenderti l'anima, Faust.

BELZEBUB: Siamo venuti a dirti che ci fai torto.

LUCIFERO: Tu preghi Cristo, rompi la tua promessa.

BELZEBUB: Non devi pensare a Dio.

LUCIFERO: Devi pensare al diavolo.

BELZEBUB: E alla sua signora.

FAUST: Non lo farò più, perdonatemi questa volta, prometto che non alzerò più gli occhi al cielo, non chiamerò più Dio, non lo pregherò, brucerò le scritture, ucciderò i suoi preti, ordinerò ai miei spiriti di distruggere le sue chiese.

LUCIFERO: Bene, così dimostrerai di esserci fedele e noi sapremo ricompensarti.

BELZEBUB: Faust, siamo venuti personalmente dall'inferno per offrirti uno svago. Siedi, vedrai i sette peccati mortali nel loro aspetto genuino.

FAUST: Sarò contento come Adamo in paradiso il primo giorno della creazione.

LUCIFERO: Basta col paradiso e la creazione, goditi lo spettacolo.

Va', Mefistofele, falli entrare.

 

(Entrano i sette peccati mortali [guidati da un flautista])

 

BELZEBUB: Faust, chiedi loro i nomi, chiedi chi sono.

FAUST: Sì, sì. Chi sei tu, il primo?

ORGOGLIO: Sono l'Orgoglio. Avere padre e madre mi fa schifo. Sono come la pulce d'Ovidio, posso ficcarmi in ogni piega di una ragazza. Certe volte mi sdraio sulla sua fronte come una parrucca. O le pendo dal collo, una collana. Le bacio le labbra, un ventaglio di piume. E infine divento una camicetta ricamata e faccio quel che mi pare. Ma che puzza schifosa c'è qui dentro! Non dico una parola di più per tutto l'oro del mondo se non profumate per terra e non ci stendete un tappeto.

FAUST: Sei superbo da fare schifo. Chi sei tu, la seconda?

AVARIZIA: Sono l'Avarizia, un vecchio spilorcio mi concepì dentro un portamonete di cuoio. E se ora potessi avere ciò che voglio, questa casa, tu e tutti diventereste quattrini, e io vi caccerei in cassaforte. Oro, amore mio!

FAUST: E tu, la terza?

INVIDIA: Sono l'Invidia, figlia d'uno spazzacamino e d'una pescivendola. Non so leggere, perciò si dovrebbero bruciare tutti i libri. A vedere mangiare gli altri mi struggo. Venisse la carestia nel mondo, crepassero tutti, resterei sola e vedresti come ingrasserei. Ma dico, tu stai seduto e io in piedi? Metti i piedi a terra, maledizione!

FAUST: Fuori, cagna invidiosa! Tu chi sei?

RABBIA: La Rabbia. Non ho né padre né madre, son saltata fuori dalla bocca d'un leone quand'ero appena d'un'ora e ho scorrazzato per il mondo con questo paio di spadoni. Se non trovo da azzuffarmi mi tiro qualche stoccata addosso. Sono nata all'inferno, pensateci bene, qualcuno di voi sarà mio padre.

FAUST: E tu, la quinta, chi sei?

GOLA: Sono la Gola. I miei son tutti morti, e sian dannati se m'hanno lasciato un quattrino, solo una miseria di rendita che ci compro trenta pasti e dieci spuntini al giorno, un assaggio per la mia costituzione. Discendo da un ceppo regale, mio padre era un prosciutto di porco e mia madre una botte di chiaretto. I miei padrini furon Pietro Salacca e Martino Carnesecca, ma la madrina, oh la madrina, fu gentildonna di ceppo antico, Margherita Birradimarzo. E ora che conosci la casata, Faust, m'inviti a cena?

FAUST: No di certo.

GOLA: Allora il diavolo ti strozzi.

FAUST: Strozzati tu, ghiottona. Tu chi sei, la sesta?

ACCIDIA: Uah! L'Accidia. Nata su una china al sole. Sto lì sdraiata.

Che stronzata portarmi fin qua! Fatemi subito riportare da Gola e Lussuria... Basta, non dico altro.

FAUST: E tu chi sei, Madama la Civetta, settima e ultima?

LUSSURIA: Chi, io, signore? Sono una che preferisce un palmo di salame crudo a una canna di baccalà fritto. E la prima lettera del mio nome è Lussuria.

LUCIFERO: Via, via, all'inferno! Su, pifferaio!

 

(Escono i peccati)

 

FAUST: Ah, che divertimento.

LUCIFERO: Faust, l'inferno è pieno di divertimenti.

FAUST: Potessi vederlo e tornare vivo, sarei felice.

LUCIFERO: Lo vedrai. Ti mando a prendere a mezzanotte. Intanto leggi questo libro, studialo bene e potrai trasformarti come ti pare.

FAUST: Grazie, potente Lucifero, l'avrò caro come la vita.

LUCIFERO: E ora, Faust, salute!

FAUST: Salute, grande Lucifero. Vieni, Mefistofele.

 

(Escono tutti da varie parti)

 

 

 SCENA SETTIMA

(Entra [Robin] il clown)

 

ROBIN: Oé, Dick, bada ai cavalli, che torno subito. Ho qui un libro stregato del dottore e mo' ne facciamo di belle.

 

(Entra Dick)

 

DICK: Piantala, Robin, c'è da menare i cavalli.

ROBIN: Io menare i cavalli? Me ne fotto, ho altro per le mani, i cavalli si possono menare da soli, ci puoi contare. "A per se, a, g, 1, i, gli. O per se o, demi orgon, gorgon". Scòstati, scòstati, stalliere illetterato e ignorante!

DICK: Cristo! Che hai, un libro? Ma se non sai leggere una parola.

ROBIN: No? Lo vedrai subito. Scòstati dal cerchio ti dico, o ti spedisco in locanda a culo in aria.

DICK: Come no! Piantala con queste boiate, che se arriva il padrone ti strega sul serio.

ROBIN: Il padrone strega me? Sta' a sentire, se arriva il padrone gli sbatto in testa un paio di corna che non ne ha viste d'uguali.

DICK: Ti puoi risparmiare la fatica, ci ha pensato la padrona.

ROBIN: Giusto. E qualcuno qui ha inzuppato pane in pentola come altri, se volessero parlare.

DICK: Ti pigli un acciacco! Lo sapevo che non le scodinzolavi dietro per niente. Ma di' un po', per favore, proprio insinceramente, Robin, quello lì è sul serio un libro stregato?

ROBIN: Avanti, di' cosa vuoi che ti faccio e te lo faccio. Vuoi ballare nudo? Levati gli stracci e ti incanto in un momento. Oppure, se non vuoi altro che venire all'osteria, ti darò vin bianco, rosso e rose, vinsecco, moscatello, malvasia e vin caldo, tutto a volontà e senza spendere un quattrino.

DICK: Caspita, andiamoci subito, sono secco come un cane.

ROBIN: Allora in marcia!

 

(Escono)

 

CORO 2

(Entra il Coro)

 

Per scoprire i segreti dell'Astronomia incisi da Giove nel libro del firmamento, Faust ha scalato la vetta dell'Olimpo.

Lassù prende posto su un cocchio abbagliante tirato da draghi dai colli poderosi e sale a vedere le nuvole, i pianeti, le stelle, i tropici, le zone e gli spazi che dividono il cielo, dall'orbita lucente della falce lunare fino all'altezza del "Primum Mobile".

E rotando con questo nell'area concava dei poli i draghi sfrecciano da oriente a occidente e in otto giorni lo riportano in patria.

Ma egli non resta a lungo nella pace della casa a riposare le ossa dopo tante fatiche.

Nuove imprese lo spingono a uscire, e ora, montato su un drago dalle ali che fendono l'aria sottile, è andato a far esperienze di cosmografia, che misura i contorni e i regni della terra.

E anzitutto, immagino, scenderà a Roma per vedere il papa e i costumi della sua corte e prendere parte alla festa di san Pietro che si celebra oggi, con grande solennità.

 

(Esce)

 

 

SCENA OTTAVA

(Entrano Faust e Mefistofele)

 

FAUST: Mio gentile Mefistofele, ho ammirato molto la superba Treviri, cerchiata di monti ariosi, con mura di pietra e fossati profondi. Non c'è principe che potrebbe espugnarla. Da Parigi, seguendo i confini di Francia, abbiamo visto il Meno gettarsi nel Reno tra sponde fitte di bei vigneti, e la fertile Campania fino a Napoli, coi suoi palazzi stupendi e le strade dritte, ben lastricate, che dividono la città in quattro parti. E la tomba d'oro del saggio Marone, e la strada lunga un miglio che tagliò nella roccia in una sola notte. Di lì altre città, Padova, Venezia, con quella gran chiesa in mezzo che minaccia le stelle col campanile superbo, i muri coperti di pietruzze colorate e le volte di bei lavori d'oro. Così il mio tempo è volato via. Ma ora, a quale tappa siamo giunti? Mi hai condotto, come volevo, dentro le mura di Roma?

MEFISTOFELE: Proprio lì, Faust. Se ne vuoi la prova, ecco il gran palazzo del papa. Visto che siamo ospiti inconsueti, ti ho scelto per alloggio il suo appartamento.

FAUST: Spero che sua santità venga a darci il benvenuto.

MEFISTOFELE: Poco importa. Non per questo gli risparmieremo la cacciagione. Ma vorrei darti un'idea di ciò che a Roma sarà una gioia per i tuoi occhi. Sette colline reggono la città, nel mezzo scorre veloce il Tevere e le sponde sinuose tagliano in due l'abitato. Sulle rive s'appoggiano quattro maestosi ponti che danno accesso alle varie parti della città. E su uno di questi ponti, chiamato Ponte Angelo, c'è un castello che è una vera roccaforte, con tale massa di artiglieria, che i doppi cannoni d'ottone son come i giorni in tutto l'arco dell'anno. Anche le porte vanno viste, e l'alto obelisco che Giulio Cesare portò dall'Africa.

FAUST: Per tutti i regni dell'inferno, per lo Stige, l'Acheronte, il lago di fuoco e le fiamme eterne del Flegetonte! Muoio dalla voglia di vedere questa Roma meravigliosa! Andiamo!

MEFISTOFELE: Un momento, vorrai prima vedere il pontefice, e prendere parte alla festa che si svolge oggi in Italia per celebrare la sua vittoria.

FAUST: Grazie, amico mio. Finché resto sulla terra, saziami di tutto ciò che può deliziare un uomo. I miei ventiquattr'anni di libertà voglio passarli a godere e a divertirmi. Sinché vivo, voglio che il nome di Faust sia famoso anche nelle terre più lontane.

MEFISTOFELE: Ben detto, Faust. Stammi vicino e tra un momento vedrai arrivare il corteo.

FAUST: Aspetta, vorrei chiederti un favore. In otto giorni abbiamo visto cielo, terra e inferno, e i draghi volavano così alti che il mondo laggiù lo vedevo grande come questa mano. Ho visto i regni della terra e tutto ciò di cui l'occhio può godere. Ora ti prego, fammi entrare da attore in questo spettacolo, e quel papa superbo vedrà cosa Faust sa combinare.

MEFISTOFELE: D'accordo. Goditi il corteo mentre ci passa davanti, poi inventa ciò che vuoi per dar fastidio al papa, rovinagli la festa con la tua arte, i monaci e gli abati falli diventare scimmie o pagliacci che fan le fiche alla sua tiara, sbatti i rosari sulle zucche dei frati e affibbia corna mostruose ai crani dei cardinali. Qualsiasi canagliata inventi, ti aiuto a realizzarla. Attento, arrivano. Oggi diventerai famoso in tutta Roma.

 

(Entrano i cardinali e i vescovi, alcuni coi pastorali, altri con le mazze, e preti e monaci che cantano litanie. Poi il papa e Raimondo re d'Ungheria con Bruno incatenato)

 

IL PAPA: Il nostro sgabello!

RAIMONDO: Bruno il Sassone, giù la schiena! Sua santità salirà sul tuo dorso al seggio di Pietro e al rango pontificio.

BRUNO: Lucifero superbo, quel seggio è mio. Ma io mi prostro a Pietro, non a te.

IL PAPA: A me e a Pietro devi piegarti, strisciando con la faccia a terra davanti alla dignità papale. Suonate le trombe! L'erede di Pietro sale al seggio sulla schiena di Bruno.

 

(Squillo di trombe mentre sale al trono)

 

Gli dei vanno con piedi di bambagia prima di usare il loro pugno di ferro. E così ora la nostra vendetta si sveglia e colpisce a morte il tuo atto odioso. Signori cardinali di Francia e di Padova, recatevi al concistoro e controllate sulle Decretali che cosa ha stabilito il Sacro Sinodo nel concilio di Trento per colui che assume il potere pontificio senza elezione o vero consenso. Andate e riportateci subito la risposta.

 

(Escono i cardinali)

 

PRIMO CARDINALE: Andiamo, santità.

IL PAPA: Sire Raimondo...

 

(Parlano a parte)

 

FAUST: Presto, Mefistofele, segui i cardinali al concistoro, e mentre sfogliano i loro libri superstiziosi colpiscili con una fiacca improvvisa, con un colpo di sonno, e falli dormire saporitamente mentre ci travestiamo coi loro abiti e veniamo a presentarci a questo tronfio rivale dell'imperatore. In barba alla sua santità libereremo Bruno e lo riporteremo in Germania.

MEFISTOFELE: Vado.

FAUST: Fa' presto. Il papa maledirà il mio arrivo a Roma.

 

(Escono Faust e Mefistofele)

 

BRUNO: Papa Adriano, dammi il diritto di difendermi. Sono stato eletto dall'imperatore.

IL PAPA: Per questo lo deporremo e malediremo chi gli obbedisce. Tu e lui sarete scomunicati ed espulsi dalla Chiesa e dalla comunità dei Santi. Diventa troppo borioso sul suo trono, alza la testa sopra le nuvole e pende sulla Chiesa come una torre. Ma noi abbatteremo la sua insolenza come fece Alessandro, nostro predecessore, che mise il piede sul collo a Federico il Tedesco e aggiunse alla nostra gloria quest'aurea sentenza: gli eredi di Pietro calpesteranno gli imperatori, cammineranno sul dorso del serpente, schiacceranno il leone e il drago, ricacceranno senza paura il velenoso basilisco. Così domeremo quello scismatico arrogante e lo deporremo con la nostra autorità apostolica.

BRUNO: Ma papa Giulio, davanti a Sigismondo, giurò fede negli imperatori come sovrani legittimi, per sé e per i futuri vescovi romani.

IL PAPA: Papa Giulio abusò dei suoi poteri e perciò nessuno dei suoi decreti ha valore. Non ci è dato forse tutto il potere sulla terra?

Per cui, anche volendo, non possiamo sbagliare. Guarda questa cintura d'argento, ha sette chiavi d'oro sigillate con sette sigilli, come simbolo del potere settemplice che ci viene dal cielo: legare o sciogliere, serrare, condannare, giudicare, sigillare o dissigillare o altro a nostro piacimento. Perciò tu, lui e tutto il mondo dovete piegarvi, o sarete certi della nostra maledizione pesante come le pene dell'inferno.

 

(Entrano Faust e Mefistofele travestiti da cardinali)

 

MEFISTOFELE: Di' un po', non siamo ben truccati?

FAUST: A meraviglia. Il papa non avrà mai avuto un simile servizio. Lì dentro il concilio dorme. Andiamo a salutare sua santità.

RAIMONDO: Sua santità, sono tornati i cardinali.

IL PAPA: Bentornati, venerandi padri. Dite, cosa ha deciso il concilio riguardo a Bruno e all'imperatore, per punire il complotto contro di noi?

FAUST: Sacrosanto patrono della Chiesa di Roma, per consenso unanime del sinodo dei preti e dei prelati è stato deciso che Bruno e l'imperatore tedesco siano dichiarati lollardi e scismatici insolenti, attentatori alla pace della Chiesa. E se questo Bruno, di sua propria istanza e senza costrizione dei baroni tedeschi, ha tentato di imporsi la tiara e salire al trono di Pietro tramando la vostra morte, le Decretali dicono che venga condannato come eretico e bruciato su un rogo di fascine.

IL PAPA: E tanto basta! Prendetelo in custodia, portatelo al Ponte Angelo e rinchiudetelo nella torre più sicura. Domani sederemo al concistoro col collegio dei cardinali e lì decideremo della sua vita o della sua morte. Ecco, prendete con voi la sua tiara e deponetela nel tesoro della Chiesa. Ancora una volta affrettatevi, miei buoni signori, e ricevete la mia benedizione apostolica.

MEFISTOFELE: Perdio, nessun diavolo fu così benedetto.

FAUST: Presto andiamo, Mefistofele. Questa i cardinali la pagheranno cara.

 

(Escono Faust e Mefistofele [con Bruno])

 

IL PAPA: E ora portate il pranzo, che si possa celebrare la festa di san Pietro e brindare con re Raimondo d'Ungheria alla nostra ultima e felice vittoria.

 

(Escono)

 

 

SCENA NONA

(Squilli di tromba mentre è portato il banchetto. Poi entrano Faust e Mefistofele senza travestimento)

 

MEFISTOFELE: Preparati a ridere! Arrivano i cardinali assonnacchiati con la condanna di Bruno, ma lui è in viaggio, su un cavallo veloce come il pensiero vola sulle Alpi verso la bella Germania e il suo afflitto imperatore.

FAUST: Il papa maledirà questi inetti che fecero sparire Bruno e la sua tiara. Voglio divertirmi alle spalle di questi idioti. Incantami, caro Mefistofele, fammi diventare invisibile.

MEFISTOFELE: Inginocchiati, presto. Ti metto la mano sul capo e t'incanto con la mia bacchetta magica. Con questa cintura sarai invisibile a tutti. I sette pianeti, la notte, l'inferno, i capelli forcuti delle furie, il fuoco blu di Plutone e la forca di Ecate ti coprano d'ombra magica, sparisca il tuo corpo. Faust, con tutta la loro santità ora puoi fare ciò che vuoi, non ti vedrà nessuno.

FAUST: Grazie, Mefistofele. E ora badate, fratoni, che Faust non vi salassi le zucche spennate!

MEFISTOFELE: Zitto, arrivano i cardinali.

 

(Entrano il papa e il suo seguito. Entrano i cardinali con un libro)

 

IL PAPA: Signori cardinali, bentornati! Sedete. Sedete, sire Raimondo.

Frati, servite pure. E che tutto sia fatto come s'addice a questa solennità.

PRIMO CARDINALE: Vostra santità voglia anzitutto prendere atto di ciò che il sinodo ha deciso riguardo a Bruno e all'imperatore.

IL PAPA: Ma perché mai? Non vi dissi che domani saremo al concistoro per fissare la punizione? Ci avete appena comunicato la decisione del sinodo: Bruno e quel dannato imperatore vanno condannati come lollardi e scismatici. Perché dovrei rileggere la sentenza?

PRIMO CARDINALE: Ma, vostra grazia, non se n'è ancora parlato!

RAIMONDO: Non lo negate, siamo tutti testimoni che poco fa vi fu consegnato Bruno e anche la sua ricca tiara, da mettere al sicuro nel tesoro della Chiesa.

DUE CARDINALI: Ma per san Paolo, non li abbiamo visti!

IL PAPA: Per san Pietro, morirete se non li riconsegnate immediatamente! Gettateli in galera, caricateli di catene! Falsi prelati, per questo odioso tradimento le vostre anime patiranno le pene dell'inferno.

 

(Escono i due cardinali tra le guardie)

 

FAUST: Eccoli sistemati. E ora alla festa! Il papa non ebbe mai un ospite così allegro.

IL PAPA: Signor arcivescovo di Reims, sedete qui accanto.

L'ARCIVESCOVO: Ringrazio vostra santità.

FAUST: Mangia, ti strozzi il diavolo se ne lasci.

IL PAPA: Chi ha parlato? Frati, occhio all'intorno! Sire Raimondo, vi prego, servitevi, devo al vescovo di Milano questo raro dono.

FAUST: Grazie, mio sire!

 

(Glielo porta via)

 

IL PAPA: Ma che succede, chi mi porta via il piatto? Canaglie, perché non parlate? Mio buon arcivescovo, ecco un piatto prelibato mandatomi da un cardinale francese.

FAUST: Piglio anche questo.

 

(Glielo porta via)

 

IL PAPA: Che razza di lollardi ho attorno, che debbo sopportare questi insulti? Servitemi del vino.

FAUST: Sì, per favore, ho sete.

IL PAPA: Sire Raimondo, brindo a vostra grazia.

FAUST: E io brindo alla vostra.

 

(Glielo porta via)

 

Il PAPA: Anche il vino è sparito! Buoni a nulla, cercate attorno, trovate chi m'offende, o per la nostra santità morirete tutti. Vi prego, signori, scusate questi contrattempi. L'ARCIVESCOVO: Se vostra santità mi permette, io penso che si tratti di qualche anima fuggita dal purgatorio che viene da vostra santità a chiedere indulgenza.

IL PAPA: Ah, può essere. Allora ordinate ai preti che cantino l'ufficio dei defunti, calmerà la furia di questo spirito inquieto.

 

(Si fa il segno della croce)

 

FAUST: Ma come, ogni boccone insaporito da una croce? Beccati questo.

 

(Gli da un ceffone)

 

IL PAPA: Ah. mi si uccide! Aiuto, portatemi via, e maledetta in eterno l'anima che m'ha fatto questo!

 

(Escono il papa e il seguito)

 

MEFISTOFELE: E ora che farai? Certo sarai scomunicato col libro, il cero e la campana.

FAUST: Il cero, il libro e la campana; la campana, il libro e il cero!

Per dritto e rovescio mi si spedirà all'inferno!

 

(Entrano i frati con la campana, il libro e il cero per cantare la litania)

 

PRIMO FRATE: Venite fratelli, procediamo con verace devozione.

"Maledetto chi rubò il cibo dalla tavola di sua santità.

'Maledicat Dominus'.

Maledetto chi diede un ceffone a sua santità.

'Maledicat Dominus'.

 

(Faust picchia un frate)

 

Maledetto chi diede una botta sulla zucca a frate Sandelo.

'Maledicat Dominus'.

Maledetto chi disturba il nostro santo uffizio.

'Maledicat Dominus'.

Maledetto chi rubò il vino a sua santità.

'Maledicat Dominus'.

'Et omnes sancti. Amen'.

 

(Picchiano i frati, gettano mortaretti nel mucchio ed escono tutti)

 

 

 SCENA DECIMA

(Entrano [Robin] il clown e Dick con una tazza)

 

DICK: Robin, per la miseria, vedi se il tuo diavolo può accollarsi il furto di questa tazza, abbiamo lo sguattero alle calcagna.

ROBIN: Fallo venire, non ti eccitare. Se ci vien dietro, parola mia, lo strego come mai fu stregato in vita sua. Fa' vedere la tazza.

 

(Entra l'oste)

 

DICK: Eccolo! Datti da fare, Robin, o siamo fritti.

OSTE: Siete qua? Son contento di avervi trovati. Un bel paio di compari! Se non vi scomoda, dov'è la tazza che avete rubato alla taverna?

ROBIN: Come, come? Noi, rubare una tazza? Bada bene a come parli non abbiamo la faccia di rubatazze, ci puoi contare.

OSTE: Inutile negarlo, so che l'avete addosso e vi voglio frugare.

ROBIN: Mi vuoi frugare? Fai pure, senza complimenti! Acchiappa la tazza, Dick. Avanti, avanti, fruga, fruga pure.

OSTE: Sotto l'altro, ora.

DICK: Certo, certo, fruga, fruga anche me. Acchiappa la tazza, Robin.

Non fa mica paura la tua frugata. Ce ne freghiamo delle tue tazze, sta' sicuro.

OSTE: Ehi, non fate gli spacconi con me! Sono certo, la tazza è tra voi due.

ROBIN: No, qua ti sbagli, è dietro noialtri due.

OSTE: Vi pigli la peste, furfanti, lo sapevo che eravate stati voi.

Tiratela fuori!

ROBIN: Ma sentilo! E quando? Diccelo! Dick, fammi un cerchio e stammi stretto alle costole, non ti muovere, per la tua pelle. Oste, avrai subito la tua tazza. Non parlare, Dick. "O per se o lemogorgon", Belcher e Mefistofele.

 

(Entra Mefistofele [e l'oste scappa via])

 

MEFISTOFELE: O per tutti gli eserciti infernali, che fastidio gli incanti dei buffoni!

M'è toccato venire da Costantinopoli solo per il capriccio di due coglioni.

ROBIN: Per la madosca, dev'essere un viaggio massacrante! Vossignoria accetta un coscio di castrato per cena e un po' di grana per la scarsella? Poi è libero di tornarsene.

DICK: Sissignore, la prego, vossignoria, l'abbiamo chiamata solo per burla, gliel'assicuro.

MEFISTOFELE: Per punire la vostra sfacciataggine, te anzitutto ti faccio diventare un essere schifoso. Visto che fai la scimmia, sarai una scimmia.

ROBIN: Che bellezza, una scimmia! Vi prego, monsignore, datemi il permesso di portarlo in giro a fare giochetti.

MEFISTOFELE: Lo farai, ma per portarlo addosso ti cambio in cane. Via, sparite!

ROBIN: Un cane? Magnifico! Stiano attente le sguattere alle minestre, che mi caccio subito in cucina. Qua, Dick, qua!

 

(Escono)

 

MEFISTOFELE: E ora mi faccio ali con le fiamme del fuoco eterno e torno a volo da Faust alla corte del Gran Turco.

 

(Esce)

 

 

CORO 3

(Entra il Coro)

 

Dopo aver visto le cose più strane e le corti dei re, Faust fermò il suo andare e tornò a casa, e chi lo aspettava con ansia, dico i suoi amici, i più intimi, lo riaccolsero festosi e, ascoltandolo raccontare viaggi per la terra e l'aria gli posero domande d'astrologia, cui rispose con tanta sapienza da sbalordirli. Ormai la sua fama ha raggiunto ogni terra e tra gli altri l'imperatore Carlo Quinto.

Ora Faust è festeggiato a corte, tra i baroni.

Quali prove da qui della sua arte non lo dico: lo vedrete coi vostri occhi.

 

(Esce)

 

 

 SCENA UNDICESIMA

(Entrano da parti diverse Martino e Frederick)

 

MARTINO: Presto, ufficiali, signori, tutti alla sala delle udienze per scortare l'imperatore! Buon Frederick, fai sgombrare subito le stanze arriva sua maestà. Andate, e che il trono sia pronto.

FREDERICK: Ma dov'è il nostro papa Bruno, che venne a volo da Roma in groppa a una furia? Sua santità non accompagna l'imperatore?

MARTINO: Certo, e con lui c'è lo stregone tedesco, il dottor Faust, gloria di Wittenberg e meraviglia del mondo intero. Egli vuol mostrare al grande Carlo la serie dei suoi valorosi predecessori e fargli apparire davanti le ombre eroiche di Alessandro e della sua bella amante. FREDERICK: Dov'è Benvolio?

MARTINO: Dorme saporitamente, immagino. Ieri sera s'è sborniato trincando boccali di vino del Reno, ha brindato a Bruno con tanto fervore che resterà a letto tutto il giorno, quella marmotta.

FREDERICK Ma guarda, la sua finestra è aperta, chiamiamolo.

MARTINO: Benvolio, sveglia!

 

(Appare Benvolio alla finestra, in berretta da notte, abbottonandosi i panni)

 

BENVOLIO: Che diavolo volete?

MARTINO: Parla piano vecchio mio, che il diavolo non ti senta. E' appena arrivato a corte il dottor Faust, e alle sue calcagna mille furie son pronte a fare ciò che gli garba.

BENVOLIO: E chi se ne frega?

MARTINO: Scendi e vedrai che il mago farà miracoli, mostrerà al papa e all'imperatore cose mai viste prima in Germania.

BENVOLIO: Ma non s'è ancora stufato questo papa di bazzicare col diavolo? E' appena sceso dalla sua groppa, e se davvero n'è tanto innamorato, se ne torni a Roma con lui e buona notte.

FREDERICK: Allora, vieni o no allo spettacolo?

BENVOLIO: No di certo.

MARTINO: Vuoi vederlo dalla finestra?

BENVOLIO: Sissignore, se non m'addormento.

MARTINO: Arriva l'imperatore ad ammirare le strane cose che un mago sa fare.

BENVOLIO: Beh, andate voi a fargli compagnia, per questa volta mi limito a sporgere il naso dalla finestra. Dicono che se uno è ubriaco la notte, non c'è diavolo che può fargli male il mattino. Se è così, ho un incanto nel cranio che lo farà filar dritto meglio dello stregone, ci puoi scommettere.

 

(Escono [Martino e Frederick])

(Trombe. [Entrano] l'imperatore tedesco Carlo, Bruno, [il duca di] Sassonia, Faust, Mefistofele, Frederick, Martino e persone del seguito)

 

IMPERATORE: Benvenuto a questa corte, sapientissimo Faust, mago insigne e meraviglia del mondo. La tua impresa, di liberar Bruno dal suo e nostro nemico dichiarato, dà più prestigio alla tua arte, che se avessi piegato il mondo coi tuoi potenti incantesimi. Sii per sempre il nostro caro amico. E se questo Bruno che hai liberato potrà portare in pace la sua tiara e occupare il seggio di Pietro vincendo i suoi oppositori, tu sarai famoso in tutta l'Italia e coperto di onori dall'imperatore.

FAUST: Altissimo Carlo, queste parole di grazia spingeranno il povero Faust ad amare e servire con tutte le sue forze l'imperatore di Germania e a porre la sua vita ai piedi del santo Bruno. E per darne prova, se piace a vostra altezza, il dottore è pronto con la forza della sua arte a operare incanti che trapasseranno le porte d'avorio dell'inferno e strapperanno le furie implacabili dai loro antri, per eseguire tutto ciò che vostra grazia comanda.

BENVOLIO: Sangue d'un cane, che parole terribili! Ma ancora mi persuade poco. Somiglia a un mago come il papa a un fruttivendolo.

IMPERATORE: Allora, Faust, ricordando la tua promessa, vorremmo vedere quel famoso conquistatore, il grande Alessandro, e la sua amante, proprio come furono in tutta la loro maestà, e ammirarne la perfezione.

FAUST: Vostra altezza ben presto potrà vederli. Mefistofele, vai, e con un solenne concerto di trombe risuscita davanti all'imperatore il grande Alessandro e la sua bella amante. MEFISTOFELE: Sarà fatto.

 

(Esce)

 

BENVOLIO: Bene, messer dottore, se i vostri diavoli non arrivano presto mi troveranno addormentato. Per la miseria, mi mangerei di rabbia a pensare che sono stato così somaro da restarmene a sbadigliare davanti al re dei diavoli, per non veder niente.

FAUST: Ma presto ti farò sentire qualcosa, se l'arte non mi tradisce.

Mio signore, devo avvertire vostra maestà che quando i miei spiriti faranno apparire le ombre di Alessandro e della sua compagna, vostra grazia non deve fare al re nessuna domanda. Li lasci venire e andarsene in silenzio.

IMPERATORE: Sia come credi meglio, non chiediamo di più.

BENVOLIO: Ma sì, neanch'io chiedo di più. Tu porta Alessandro e amante dinanzi all'imperatore, e io sarò Atteone e mi farò cervo.

FAUST: E io sarò Diana e ti farò cornuto in un attimo.

 

(Entra Mefistofele)

(Squilli di tromba. Entrano da un lato l'imperatore Alessandro, dall'altro Dario. Combattono, Dario è abbattuto, Alessandro lo uccide

 

Gli toglie la corona, e mentre sta per andarsene gli viene incontro la sua amante, il re l'abbraccia e le pone sul capo la corona di Dario, e tornando indietro ambedue rendono omaggio all'imperatore, che scende dal trono e vorrebbe abbracciarli, ma Faust lo trattiene. Cessa il suono di trombe e si sente una musica).

Mio grazioso signore, siate prudente! Sono ombre, non sostanze.

IMPERATORE: Oh, perdonate, son così turbato a vedere quest'imperatore famoso che avrei voluto stringerlo tra le braccia. Ma se non posso parlargli, Faust, soddisfa almeno un mio vivo desiderio: ho sentito dire che questa bella donna, da viva, ebbe sul collo un piccolo porro, un neo. Potrei costatare se è vero?

FAUST: Vostra maestà può farlo senz'altro.

IMPERATORE: Lo vedo perfettamente, Faust! Mi hai dato più soddisfazione che a conquistare un regno.

FAUST: Andate!

 

(Escono i mimi)

 

Guarda lassù, sire! Che strana bestia sporge il cranio dalla finestra?

IMPERATORE: E' incredibile! Guardate, duca di Sassonia, due trofei di corna attaccati al cranio del giovane Benvolio.

SASSONIA: Ma dorme o è morto?

FAUST: Dorme, signore, però non sogna le sue corna.

IMPERATORE: Uno scherzo magnifico! Proviamo a svegliarlo. Olà, Benvolio!

BENVOLIO: All'inferno, voglio dormire.

IMPERATORE: Non hai torto, con la testa che ti ritrovi.

SASSONIA: Svegliati, Benvolio! Ti chiama l'imperatore.

BENVOLIO: L'imperatore, dove? Cristo, la mia testa!

IMPERATORE: Beh, se le corna reggono, non c'è pericolo per la testa: è difesa a sufficienza. FAUST: Ma come, che succede, signor cavaliere, come mai, appeso per le corna? E' tremendo! Andiamo, almeno tirate dentro la testa non date spettacolo a tutti.

BENVOLIO: Perdio, dottore, è una delle vostre canagliate?

FAUST: Oh, non ditelo, cavaliere! Il dottore non ha talento né arte né abilità per mostrare a questi signori e all'imperatore il gran re Alessandro. Se ci fosse riuscito, eravate deciso a diventare un cervo come l'intrepido Atteone. E quindi, vostra grazia, se a voi garba, evocherò una muta di segugi per braccarlo, e tutta la sua bravura di corridore non basterà a salvargli la carcassa dalle zanne. Belimoth, Argiron, Asteroth!

BENVOLIO: Ferma, ferma! Cristo, farà apparire una muta di diavoli. Mio buon signore, intercedi! Sanguediddio, non ce la faccio a sopportare questi tormenti.

IMPERATORE: Via, dottore, siate buono, lasciate che vi chieda di levargli le corna, ha già scontato abbastanza la sua colpa.

FAUST: Mio buon signore, ho voluto punire a buon diritto questo cavaliere insolente, ma non tanto per l'offesa quanto per allietare vostra maestà. Solo questo volevo, e farò subito sparire le sue corna.

Mefistofele, trasformalo. E d'ora in poi, signor cavaliere, badate a parlar bene degli scienziati.

BENVOLIO: Parlar bene di te? Sanguediddio, se gli scienziati sono cornificatori che vanno affibbiando cime così alle teste degli uomini onesti, non mi fiderò più di una faccia liscia e d'un collaretto crespato. Ma se non mi vendico di questo, possa diventare un'ostrica, a bocca aperta, e non bere più che acqua e sale.

 

(Esce)

 

IMPERATORE: Vieni, Faust. Per ricompensare i tuoi meriti il regno di Germania è tuo finché vivo, e tuo l'amore dell'imperatore Carlo.

 

(Escono tutti)

 

 

SCENA DODICESIMA

(Entrano Benvolio, Martino, Frederick e soldati)

 

MARTINO: No, caro Benvolio, dammi retta, rinuncia a questa imboscata.

BENVOLIO: Allora vattene. Se mi dai questi consigli non mi ami. Dovrei lasciar correre un'offesa così grave, che ogni stalliere mi ride alle spalle e va ghignando che la testa di Benvolio è stata cornificata!

Piuttosto i miei occhi non conoscano sonno sino a che questa spada ammazzi lo stregone. Se volete aiutarmi sguainate, se no andate via.

Preferisco morire, se la morte di Faust non lava la mia vergogna.

FREDERICK: No, io resto con te, e se il dottore viene per di qua è spacciato.

BENVOLIO: Allora presto, vai al bosco, piazza servi e soldati ben nascosti fra gli alberi. Il mago sta per arrivare, lo so, l'ho visto che baciava in ginocchio la mano all'imperatore e si congedava carico di doni. Perciò soldati, coraggio! Se Faust muore, pigliatevi il bottino, a noi basta la vittoria.

FREDERICK: Seguitemi! Chi lo uccide avrà oro e riconoscenza.

 

(Esce Frederick coi soldati)

 

BENVOLIO: La mia testa s'è alleggerita delle corna, ma il cuore è pesante e picchia, vorrebbe vederlo già morto.

MARTINO: Dove ci appostiamo, Benvolio?

BENVOLIO: Qui, e addosso per primi. Fosse già qui il dannato, vedresti come lavo la mia vergogna!

 

(Entra Frederick)

 

FREDERICK: Nascondetevi, nascondetevi! Arriva il mago, tutto solo, a piedi col suo tabarro. Pronti ad abbattere il farabutto!

BENVOLIO: Quest'onore sia mio. Spada, colpisci svelta. Per le corna che mi procurò, avrò la sua testa.

 

(Entra Faust con la testa finta)

 

MARTINO: Eccolo!

BENVOLIO: Là! Questo colpo cancella ogni offesa! L'anima all'inferno, il corpo a terra. FAUST: Ah!

FREDERICK Ti fa male, dottore?

BENVOLIO: Gli schiatti il cuore. Frederick, così finisce la lagna!

MARTINO: Un colpo netto! La testa è staccata.

BENVOLIO: Il diavolo è crepato, le furie possono ridere.

FREDERICK: Fu questo il muso grintoso, il cipiglio orrido che con incanti dispotici faceva rabbrividire il re dell'inferno?

MARTINO: Fu questa la zucca dannata, il cui cuore tramò la beffa di Benvolio dinanzi all'imperatore?

BENVOLIO: Proprio questa! E lì è la carcassa che sconta le sue infamie.

FREDERICK: Vergogna e vergogna sul nome odioso!

BENVOLIO: Primo, per rifarmi dell'offesa, gli inchiodo in testa delle corna e l'appendo alla finestra dove m'aveva incastrato. Tutti vedranno come ho saputo vendicarmi.

MARTINO: Che ne facciamo della barba?

BENVOLIO: La vendiamo a uno spazzacamino. Scommetto che è più robusta di dieci scope di betulla.

FREDERICK: E degli occhi?

BENVOLIO: Glieli strappiamo per farne bottoni per le sue labbra, così la lingua non piglierà il raffreddore.

MARTINO: Ottima trovata. E ora signori, finita la divisione, che ne facciamo della carcassa?

 

(Faust si alza)

 

BENVOLIO: Cristo, il diavolo è risuscitato!

FREDERICK: Ridagli la testa, per amor di Dio!

FAUST: Tenetevela pure! Faust avrà teste e mani, anzi, tutti i vostri cuori per ripagarvi di quest'infamia. Traditori, non sapevate che sono destinato a vivere ventiquattr'anni ? Anche ad affettarmi con le spade, a tritarmi carne e ossa in sabbia, il mio spirito sarebbe tornato in un baleno, sarei stato di nuovo vivo e invulnerabile. Ma perché ritardo a vendicarmi? Asteroth, Belimoth, Mefistofele!

 

(Entrano Mefistofele e i diavoli)

 

Inforcate sulle schiene questi traditori e salite al cielo, poi gettateli a picco nel più nero inferno! Anzi, un momento daranno spettacolo a tutti, poi l'inferno li punirà. Belimoth porta via quel mascalzone, gettalo in una pozza di fango. Tu piglia quell'altro e trascinalo al bosco in mezzo ai rovi e alle spine più aguzze. E quell'altro farabutto voli in groppa a Mefistofele su uno sperone di roccia, poi giù, si spezzi le ossa proprio come voleva fare a me. Via, obbedite!

FREDERICK: Pietà, Faust, risparmiaci la vita.

FAUST: Andate!

FREDERICK: Chi è in groppa al diavolo deve galoppare.

 

(Escono gli spiriti coi cavalieri)

(I soldati saltan fuori dall'agguato)

 

PRIMO SOLDATO: Presto, all'attacco! Correte in aiuto dei gentiluomini, li ho sentiti parlamentare col mago.

SECONDO SOLDATO: E' lui! Uccidete quel cane!

FAUST: Un'altra imboscata di traditori? Un'altra lezione! Miserabili fermi! Guardate, gli alberi si muovono ai miei ordini e fanno muro per difendermi. E per rintuzzare il vostro attacco di rammolliti, ecco arrivare un esercito.

(Faust batte sul tavolato ed entra un diavolo che suona il tamburo dietro di lui un altro che porta lo stendardo, e diversi armati, mentre Mefistofele butta fuochi d artificio. Si gettano sui soldati che scappano).

 

(Escono tutti)

 

 

 SCENA TREDICESIMA

(Entrano da varie parti Benvolio, Frederick e Martino, con le teste e le facce insanguinate, sozzi di fango e sporcizia. Tutti con le corna sulla testa)

 

MARTINO: Benvolio!

BENVOLIO: Sei tu, Frederick?

FREDERICK: Dammi una mano, amico. Dov'è Martino?

MARTINO: Qui, mezzo asfissiato da un lago di fango e merda.

Mi ci hanno trascinato per i calcagni le furie.

FREDERICK: Guarda, Benvolio ha di nuovo le corna.

MARTINO: Ah. maledizione! Benvolio, come mai?

BENVOLIO: Dio mi aiuti, non avrò mai pace?

MARTINO: Hai paura di noi? Non siamo qui per farti male.

BENVOLIO: Siete voi, conciati così? Disdetta infernale, tutti con le corna sulla testa.

FREDERICK: Sulla tua testa, vuoi dire. Prova a tastarti.

BENVOLIO: Cristo, di nuovo le corna!

MARTINO: Consolati, siamo tutti fregati.

BENVOLIO: Ma quale diavolo aiuta quel mago maledetto, che più facciamo più danno ne abbiamo?

FREDERICK: E ora, come nascondere questa vergogna?

BENVOLIO: Se gli diamo ancora la caccia, aggiungerà alle corna delle orecchie d'asino e ci farà schernire da tutti.

MARTINO: Allora che fare, Benvolio?

BENVOLIO: Qui vicino ho un castello, andremo a nasconderci lì finché il tempo non cambia i nostri aspetti bestiali. Una disgrazia nera ha macchiato il nostro onore. Vivremo nella vergogna? Meglio morire di dolore.

 

(Escono)

 

 

 SCENA QUATTORDICESIMA

(Entrano Faust e il mercante di cavalli)

 

MERCANTE: Vi scongiuro, vossignoria, accettate questi quaranta talleri.

FAUST: Amico, non puoi comprare un cavallo così a un prezzo così basso. Non ho gran bisogno di venderlo, ma se ci metti altri dieci talleri è tuo, perché vedo che ci tieni tanto.

MERCANTE: Supplico vossignoria di accettare questi! Sono un poveraccio e ultimamente ho perso molto con la carne di cavallo. Questo affare mi rimette in sella.

FAUST: Beh, non starò a tirare, dammi qua. E adesso ti devo avvertire, amico, che lo puoi portare su siepi e fossati senza risparmio. Ma stai bene attento, mi senti?, in nessun caso non lo portare in acqua.

MERCANTE: Come, eccellenza, in acqua no? Non ha mantello a ogni acqua?

FAUST: Sì, ha mantello a ogni acqua, ma non portarlo nell'acqua. Su fossati o siepi o dove vuoi, ma non nell'acqua. Va' a dire allo stalliere di consegnartelo, e ricorda ciò che t'ho detto.

MERCANTE: Vossignoria non dubiti. O giorno felice! Sono a cavallo per sempre.

 

(Esce)

 

FAUST: E tu cosa sei, Faust? Un uomo condannato a morte.

Il tempo segnato corre verso la fine.

La disperazione scaccia dalla mia testa la fede.

Spegni la sofferenza in un sogno quieto.

Via, Cristo chiamò il ladrone sulla croce, perciò rasserenati, Faust, riposa.

 

(Si sdraia e s'addormenta)

(Entra il mercante di cavalli fradicio d'acqua)

 

MERCANTE: Ah, che dottore furfante! Spingo il cavallo in acqua, per via che pensavo ci fosse chissà quale segreto nel cavallo, e mi trovo sotto un mucchio di paglia che quasi affogavo. Ma ora lo sveglio mi faccio ridare i miei quaranta talleri. Ehi, messer dottore, ciarlatano rognoso! Mastro dottore, svegliati, alzati e sgancia i quattrini, il tuo cavallo è diventato una balla di fieno. Mastro dottore!

 

(Gli strappa una gamba)

 

Cristo, sono rovinato! Che faccio ora? Gli ho strappato una gamba.

FAUST: Aiuto, aiuto, il farabutto m'ha massacrato.

MERCANTE: Beh, massacrato o meno, adesso ha una gamba sola e io sono più svelto, scappo a buttare la gamba in qualche fogna.

 

(Esce)

 

FAUST: Fermatelo, fermatelo! Ah ah ah, Faust ha di nuovo la gamba e il mercante una balla di fieno da quaranta talleri.

 

(Entra Wagner)

 

Wagner, che c'è di nuovo?

WAGNER: Con vostra licenza, il duca di Vanholt vi prega vivamente di visitarlo, e ha mandato uomini di scorta con le provviste di viaggio.

FAUST: Il duca di Vanholt è un gran signore, con lui non devo lesinare la mia perizia. Andiamoci.

 

(Escono)

 

 

SCENA QUINDICESIMA

(Entrano [Robin] il clown, Dick, il mercante di cavalli e un carrettiere)

 

CARRETTIERE: Venite, padroni miei, vi porto alla meglio birreria d'Europa. Ostessa! Dove sono queste puttane?

 

(Entra l'ostessa)

 

OSTESSA: Eh! Che vi manca? I miei vecchi clienti! Accomodatevi.

ROBIN: Dick, per la miseria, lo sai perché sto zitto?

DICK: No, Robin, perché?

ROBIN: Mi tiene sul conto per diciotto soldi. Zitto, vediamo se m'ha scordato.

OSTESSA: Chi è quello che se ne sta sulle sue con tanta spocchia? Sei tu, vecchio mio? ROBIN: Eilà, ostessa, come va? Il mio conto è sempre li, spero.

OSTESSA: E' lì di sicuro, sta' certo, visto che non hai fretta di saldare.

DICK: Allora, padrona, portaci questa birra.

OSTESSA: Arriva subito. Voi, occhio alla sala.

 

(Esce)

 

DICK: Signori miei, che facciamo nell'attesa?

CARRETTIERE: Per la madosca, vi racconto la più bella storia di come fui servito da uno stregone. Conoscete un certo dottor Farso?

MERCANTE: Gli pigli un canchero, qualcuno di noialtri ha motivo di conoscerlo. Anche a te t'ha stregato?

CARRETTIERE: Ti dico subito come mi servì: andavo a Wittenberg l'altro giorno con un carico di fieno, lui m'incontra e domanda quanto deve darmi per mangiarsi un po' di fieno a volontà. Ora, compare, pensando che poco gli doveva bastare per levarsi la voglia, dico mangia quanto vuoi per tre soldi. Mi dà subito gli spiccioli e si butta a mangiare, e com'è vero che son sbattezzato non finisce di pappare finché si pappa tutto il carico di fieno.

TUTTI: Mostruoso! Papparsi un carico di fieno!

ROBIN: Sì sì, può essere, ho sentito di uno che si pappò un carico di legna.

MERCANTE: Ma sentite ora, compari, sentite che bel servizio fece a me quel furfante. Vado ieri da lui a comprare un suo cavallo, e a nessun costo lo vende per meno di quaranta talleri. Allora, compari, per via che mi pareva un buon cavallo da saltar fossi e fossati gli do i quattrini. Così quando il cavallo divenne mio, quel dottor fasullo mi dice di cavalcarlo notte e dl senza risparmio però, dice, per nessuna ragione non lo portare all'acqua. Ora io, compare, mi misi in testa che il cavallo aveva qualche rara qualità che lui non mi voleva dire, e allora che faccio, prendo e lo spingo nella fiumara, e quando ci sono in mezzo il cavallo sfuma e mi trovo in groppa a una balla di fieno.

TUTTI: Bravo il dottore!

MERCANTE: Ma ora sentite come gli resi pan per focaccia. Dunque, vado dritto da lui e lo trovo che dorme. Mi metto a urlare, a sbraitare all'orecchio: niente poteva svegliarlo. Allora, visto così, gli abbranco la gamba e tanto tiro che gliela strappo netta, e adesso ce l'ho a casa alla locanda.

ROBIN: Ma allora adesso il dottore ha una gamba sola? Gli sta bene, perché uno dei suoi diavoli mi cambiò nella forma d'una faccia di scimmia.

CARRETTIERE: Altra birra, ostessa!

ROBIN: Sentite, andiamo a berci un goccio qui accanto, e poi a scovare il dottore.

 

(Escono)

 

 

SCENA SEDICESIMA

(Entrano il duca di Vanholt, la duchessa, Faust e Mefistofele)

 

DUCA: Dottore, grazie per lo spettacolo indimenticabile. Non so con e ricompensare il vostro grande ingegno nel costruire in aria quel castello incantato. M'è parso così stupefacente che niente al mondo può piacermi di più.

FAUST: Mio buon signore, mi considero già altamente ricompensato se vostra altezza si compiace d'apprezzare ciò che ho fatto. Ma forse, graziosa signora, a voi quelle apparizioni non han dato nessun piacere. Perciò vi prego, ditemi, cos'è che desiderate di più? Purché esista al mondo, sarà vostra. Ho sentito dire che le donne incinte hanno gran voglia di cose rare e delicate.

DUCHESSA: E' vero, dottore. E visto che siete così gentile, vi dirò cosa vorrei. Se ora fosse estate com'è gennaio, tempo morto dell'anno, non vorrei mangiar altro che un piatto d'uva matura.

FAUST: Ma è nulla. Mefistofele, svelto.

 

(Mefistofele esce)

 

Signora, sono pronto a ben altro per accontentarvi.

 

(Rientra Mefistofele con l'uva)

 

Ecco, gustate questi grappoli, dovrebbero esser buoni, vengono da lontano.

DUCA: Ma questo è il più straordinario dei vostri prodigi! Nel periodo dell'anno in cui ogni albero è spoglio di frutta, da dove mai avete avuto quest'uva matura?

FAUST: Piaccia ricordare a vostra grazia che l'anno è diviso in due zone sulla faccia della terra, sicché quando per noi è inverno, per quelli dell'altro emisfero è estate, come in India, in Saba e nelle terre del lontano Oriente, dove han frutta due volte all'anno. E da lì, per mezzo di un mio spirito veloce, mi son fatto portare l'uva che vedete.

DUCHESSA: E davvero è l'uva più saporita che abbia mai gustata.

 

(I clowns picchiano all'uscio)

 

DUCA: Che razza di villani ci sono alla porta? Andate a calmare quegli infuriati, aprite e chiedete cosa vogliono.

 

(I clowns bussano li nuovo e gridano di voler parlare con Faust)

 

UN SERVO: Signori miei, cos'è questo fracasso? Per quale motivo disturbate il duca?

DICK: Per nessuno, di lui non ce ne importa un fico.

SERVO: Canaglie, avete il coraggio d'essere così sfacciati?

MERCANTE: Messere, abbiamo abbastanza cervello, spero, per essere più sfacciati che benvenuti.

SERVO: Proprio così. Vi prego d'essere sfacciati altrove e di non dar fastidio al duca.

DUCA: Ma cosa vogliono?

SERVO: Insistono per parlare col dottor Faust.

CARRETTIERE: Sì, e con lui parleremo.

DUCA: Davvero? Mettete in galera quei farabutti.

DICK: Mettere a noi? La metta a suo padre piuttosto, altro che mettere a noi.

FAUST: Vostra grazia, la prego, li faccia entrare, ci serviranno da divertimento.

DUCA: Come volete, Faust, sarà fatto.

FAUST: Ringrazio vostra grazia.

 

(Entrano [Robin] il clown, Dick, il carrettiere e il mercante)

 

Allora, amici mici, che succede? Siete troppo sfacciati a dire il vero, ma avvicinatevi, vi ho procurato il perdono. Do a tutti il benvenuto!

ROBIN: Nessun benvenuto, messere, abbiamo la grana e paghiamo le consumazioni. Ehi, portateci mezza dozzina di birre e andate a farvi fottere!

FAUST: Un momento, un momento, sapete dove vi trovate?

CARRETTIERE: Sì, ci troviamo sotto il cielo.

SERVO: D'accordo, messer facciatosta, ma in che posto?

MERCANTE: Ma si, il posto va bene per bere un goccio. Cribbio, mescete questa birra o spacchiamo le botti, e con le bottiglie i crani.

FAUST: Calma, vi prego. Avrete da bere. Signor mio, vi scongiuro datemi un po' di tempo e scommetto il mio credito che la cosa vi divertirà.

DUCA: Con tutto il cuore. I servi e la corte sono ai tuoi ordini.

FAUST: Ringrazio umilmente. Portate della birra.

MERCANTE: Benone, questo sì ch'è parlare da dottore, e in fede mia per questo detto farò un brindisi alla tua gamba di legno.

FAUST: La mia gamba di legno? Che vuoi dire?

CARRETTIERE: Ah ah, lo senti, Dick, ha scordato la gamba di legno!

MERCANTE: Certo non ci batte troppo.

FAUST: Non su una gamba di legno.

CARRETTIERE: Ma bontadiddio, vossignoria, come mai così smemorato? Non ricorda un mercante di cavalli al quale ha venduto un cavallo?

FAUST: Ricordo di aver venduto un cavallo a qualcuno.

CARRETTIERE: E non ricorda che gli ha detto di non portarlo all'acqua?

FAUST: Sì, lo ricordo bene.

CARRETTIERE: E della gamba non ricorda niente?

FAUST: No, parola mia.

CARRETTIERE: Allora, prego, ricorda come si fa un inchino?

FAUST: Certo: così.

CARRETTIERE: Non vale un fico! Mi dica un'altra cosa.

FAUST: Che cosa?

CARRETTIERE: Le gambe di vossignoria vanno a letto insieme?

FAUST: E che, mi fai un colosso?

CARRETTIERE: No davvero, di vossignoria non faccio un corno, ma vorrei una risposta.

 

(Entra l'ostessa con la birra)

 

FAUST: Allora t'assicuro che dormono insieme.

CARRETTIERE: Grazie, non mi serve altro.

FAUST: Ma perché l'hai chiesto?

CARRETTIERE: Per niente. Però ho l'idea che uno dei vostri compagni di letto è un ciocco. MERCANTE: Proprio così. Rispondi a me ora! Non ti ho strappato una gamba mentre dormivi?

FAUST: Sì, ma ora che sono sveglio ce l'ho di nuovo. Guarda!

TUTTI: E' spaventoso! Aveva dunque tre gambe?

CARRETTIERE: Te lo ricordi che m'hai fregato mangiando il mio carico di...

 

(Faust lo fa diventar muto)

 

DICK: E te lo ricordi che m'hai fatto diventare una sci...

 

(Faust lo fa diventar muto)

 

MERCANTE: Gran figlio di puttana, te lo ricordi che m'hai fatto fesso con un... (Faust lo fa diventar muto).

ROBIN: E me, m'hai scordato? Credi di passarla liscia coi tuoi trucchi e trucchetti? Non ricordi la faccia di ca...

 

(Faust lo fa diventar muto. I clowns escono)

 

OSTESSA: Chi paga la birra? Senti qua, dottore, adesso che hai fatto sparire i clienti, si può sapere chi mi paga la bi...

 

(Faust la fa diventar muta. L'ostessa esce)

 

DUCHESSA: Mio signore, dobbiamo molto a quest'uomo sapiente.

DUCA: E' vero, signora. Lo ricompenseremo col nostro affetto e la nostra riconoscenza. I suoi scherzi ingegnosi guariscono ogni tristezza.

 

(Escono)

 

 SCENA DICIASSETTESIMA

(Tuono e lampo. Entrano diavoli con piatti coperti. Mefistofele li introduce nello studio di Faust. Poi entra Wagner)

 

WAGNER: Credo che il mio padrone senta avvicinarsi la morte. Ha fatto testamento e m'ha lasciato quanto possiede, la casa, l'arredamento, molte stoviglie d'oro, e in più duemila ducati nuovi di zecca. Però non capisco, se stesse davvero per morire non sarebbe così spensierato. E' a cena coi colleghi e mangiano come maiali, una simile scorpacciata non l'ho mai vista. Ma eccoli, arrivano, la festa sembra finita.

 

(Esce)

(Entrano Faust, Mefistofele, e due o tre universitari)

 

PRIMO UNIVERSITARIO: Maestro, dopo la nostra disputa sulla beltà delle donne, su chi sia stata la più bella del mondo, abbiamo concluso tra noi che Elena di Grecia fu la donna più bella che sia mai vissuta. E perciò, maestro, se voi foste così generoso da mostrarci quella donna incomparabile, quella maestà che tutto il mondo ammira, ve ne saremmo infinitamente riconoscenti.

FAUST: Signori, so che la vostra amicizia è sincera, e Faust non usa rifiutare le richieste legittime di chi gli vuol bene.

Vedrete quella dama impareggiabile, bella e maestosa proprio come quando ser Paride passò con lei i mari e portò la preda nella ricca Dardania.

Ora fate silenzio, parlare è pericoloso.

 

(Si sente una musica e Mefistofele fa entrare Elena che attraversa la scena)

 

SECONDO UNIVERSITARIO: Non ho abbastanza ingegno per trovare lodi a questa maestà che tutto il mondo ammira.

TERZO UNIVERSITARIO: Ora capisco perché i greci vendicarono con dieci anni di guerra il ratto di questa regina:

la sua bellezza è celeste, non ha confronti.

PRIMO UNIVERSITARIO: Abbiamo visto l'orgoglio della natura e l'unico esempio della perfezione.

Andiamo. E per questa apparizione beata Faust sia felice e lodato per sempre.

 

(Escono gli universitari)

 

FAUST: Addio, signori. A voi lo stesso augurio.

 

(Entra un vecchio)

 

IL VECCHIO: Ah Faust, lascia quest'arte maledetta, questa magia che adesca la tua anima all'inferno e ti priva della salvezza.

Hai peccato da uomo, ma ora non perseverare nel male da demonio.

Hai ancora un'anima, anima degna d'amore, se in te il peccato non diventa natura:

poi sarà troppo tardi per pentirti, poi sarai bandito dal cielo, e nessun mortale può dire le pene dell'inferno.

E forse la mia esortazione ti parrà dura e sgradevole, ma non sia così, figlio mio caro, non parlo con ira o inimicizia, ma con vero amore e pena per la tua miseria futura.

Spero che il mio rimprovero affettuoso raffreni la tua carne e salvi l'anima.

FAUST: Dove sei, Faust? Disgraziato, che hai fatto?

Sei condannato, Faust. Dispera e muori.

 

(Mefistofele gli dà un pugnale)

 

L'inferno esige il suo credito e grida:

Faust, vieni, l'ora è quasi scoccata.

E Faust viene ora a pagare il debito.

 

(Alza il pugnale)

 

IL VECCHIO: Fermo, Faust, non agire da disperato.

Su te vedo un angelo, vuole versarti nell'anima l'ampolla piena di grazia.

Chiedi pietà, non disperare.

FAUST: Ah, dolce amico, le tue parole confortano quest'anima infelice.

Lasciami solo, a meditare sui miei peccati.

IL VECCHIO: Ti lascio, Faust, ma pieno di apprensione.

La tua anima è debole. Temo il suo nemico.

 

(Esce)

 

FAUST: Faust maledetto, dove troverai misericordia?

Mi pento, e dispero.

Nel mio petto l'inferno combatte con la grazia.

Che farò per sfuggire alla rete della morte?

MEFISTOFELE: Traditore, incateno la tua anima per ribellione al mio signore.

Pentiti, o ti sbranerò.

FAUST: Mi pento di averlo offeso!

Dolce Mefistofele, supplica il tuo signore, perdoni la mia ingiusta presunzione e io confermerò col mio sangue il voto fatto a Lucifero.

MEFISTOFELE: Avanti dunque, confermalo, e sii sincero o pagherai più cari i tuoi traccheggi.

FAUST: Amico mio, tormenta quel brutto vecchio gobbo che osava mettermi contro Lucifero con le torture più orribili del nostro inferno.

MEFISTOFELE: La sua fede è grande, l'anima non la posso toccare.

Ma tutto ciò che può affliggere il corpo lo proverò, per quel che vale.

FAUST: Solo una cosa ti chiedo, servo fedele, per saziare la smania del mio cuore, fammi avere per amante quella divina Elena che ho visto:

le sue braccia tenere soffocheranno i pensieri che mi dissuadono dal voto, mi terranno stretto a Lucifero.

MEFISTOFELE: Questo o qualsiasi cosa il mio Faust vuole, sarà fatta in un batter d'occhio!

 

(Rientra Elena e attraversa la scena fra due amorini)

 

FAUST: Fu questo il viso che varò mille navi e bruciò le torri immense di Troia?

Elena, rendimi immortale con un bacio.

Le sue labbra succhiano l'anima. Guarda dove vola.

Vieni Elena, vieni, ridammi l'anima.

Qui resterò, che il cielo è in queste labbra e tutto tranne Elena è fango.

 

(Entra il vecchio [in alto])

 

Mi farò Paride e, per amor tuo, non Troia ma Wittenberg sarà distrutta, e lotterò col fiacco Menelao e avrò il tuo segno sull'elmo piumato.

Sì, ferirò Achille nel tallone e poi tornerò da Elena per un bacio.

Sei più dolce dell'aria della sera che veste la beltà di mille stelle, più luminosa di Giove in fiamme quando apparve a Semele sfortunata, più dea del dio del cielo che Aretusa stringe vogliosa nelle braccia azzurre, e nessun'altra mai sarà mia amante.

 

(Escono)

 

IL VECCHIO: Faust, maledetto, infelice, che chiudi l'anima alla grazia e volti le spalle al tuo giudice.

 

(Entrano i diavoli)

 

Satana comincia a provarmi con la sua superbia.

Se in questa fornace Dio vuol mettere a prova la mia fede, la mia fede trionferà su di te, vile inferno.

Demoni ambiziosi, guardate come i cieli sorridono su di voi, sconfitti e derisi. Indietro, inferno! Io trovo rifugio nel mio Signore.

 

(Escono)

 

 

 SCENA DICIOTTESIMA

(Tuono. Entrano [in alto] Lucifero, Belzebub e Mefistofele)

 

LUCIFERO: Saliamo dall'inferno per visitare i nostri sudditi, le anime che il peccato marchia come figli neri dell'abisso, e veniamo soprattutto per te, Faust, portando una condanna eterna alla tua anima. E' giunto il momento che la rende nostra.

MEFISTOFELE: Questa notte, qui, in questa stanza, Faust verrà a perdersi.

BELZEBUB: E noi da qui vedremo cosa farà.

MEFISTOFELE: Cosa potrebbe fare? Si dispererà, impazzirà.

Si è goduto il mondo e ora il sangue gli si raggruma nel cuore per l'angoscia. Lo uccide la coscienza e il cervello in delirio partorisce un mondo di fantasie insensate per gabbarci, e sarà tutto inutile. I suoi molti piaceri li condirà il dolore. Eccolo, col servo Wagner.

Hanno finito di stendere il testamento.

 

(Entrano Faust e Wagner)

 

FAUST: Wagner, hai letto il testamento. Dimmi che te ne pare.

WAGNER: Signore, è sbalorditivo.

Con ogni umiltà v'impegno la vita, il servizio, per sempre, purché mi vogliate bene.

 

(Entrano i colleghi)

 

FAUST: Ti ringrazio, Wagner. Signori, benvenuti.

 

(Wagner esce)

 

PRIMO COLLEGA: Nobile Faust, cos'hai? Ti vedo mutato.

FAUST: Ah, signori!

SECONDO COLLEGA: Che cos'è, Faust?

FAUST: Ah, mio dolce compagno di stanza, fossi rimasto con te, vivrei ancora. E invece devo morire per sempre. Guardate, è lui, è lui che arriva?

PRIMO COLLEGA: Mio caro Faust, di che cosa hai paura?

SECONDO COLLEGA: Tutta la nostra allegrezza s'è mutata in malinconia?

TERZO COLLEGA: Il suo male è la troppa solitudine.

SECONDO COLLEGA: Se è così, chiameremo dei medici e verrà curato.

TERZO COLLEGA: Non è che un eccesso, amico mio, non temere.

FAUST: Un eccesso di peccato mortale che ha dannato il corpo e l'anima.

SECONDO COLLEGA: Allora prega, Faust, e ricorda che la misericordia di Dio è infinita. FAUST: Ma il peccato di Faust non può mai perdonarsi, il serpente che tentò Eva può essere salvato, non Faust. Signori, ascoltatemi con pazienza, e non tremate alle mie parole. Anche se il mio cuore picchia e trema se ricordo che ho studiato qui per trent'anni, oh, non avessi mai vista Wittenberg, mai letto un libro. E le meraviglie che ho fatto tutta la Germania può dirle, tutto il mondo. E per esse Faust ha perduto la Germania e il mondo, e lo stesso cielo, la dimora di Dio, il trono dei beati, il regno della gioia, e deve restare all'inferno per sempre. All'inferno, all'inferno per sempre. Amici miei, che sarà di Faust all'inferno per sempre?

SECONDO COLLEGA: Prega Dio, Faust.

FAUST: Quel Dio che Faust ha rinnegato? Quel Dio che Faust ha bestemmiato? Ah, mio Dio, vorrei piangere, ma il diavolo mi succhia dentro le lacrime. Venisse fuori sangue invece di lacrime, vita e anima! Ah, mi trattiene la lingua. Vorrei alzare le mani, ma vedete, le tengono ferme, le tengono ferme!

TUTTI: Chi, Faust?

FAUST: Chi? Lucifero e Mefistofele. Ah, signori, ho dato la mia anima per la mia arte.

TUTTI: Dio non voglia!

FAUST: Dio non voleva infatti, ma Faust l'ha voluto. Per il piacere miserabile di ventiquattr'anni ho perduto la gioia, la felicità eterna. Ho scritto un contratto col mio sangue, il termine è scaduto, e lui verrà a prendermi.

PRIMO COLLEGA: Ma perché non ce n'hai parlato? Avremmo fatto pregare per te.

FAUST: Ho pensato di farlo, ma il diavolo minacciava di sbranarmi se nominavo Dio, di portarmi via subito corpo e anima se ascoltavo i teologi, e ora è troppo tardi. Andate via, amici, o morirete con me.

SECONDO COLLEGA: Che possiamo fare per salvarlo?

FAUST: Non preoccupatevi di me, pensate a voi stessi, andate via.

TERZO COLLEGA: Dio mi darà forza. Resterò con Faust.

PRIMO COLLEGA: Non tentare Dio, caro amico, andiamo piuttosto in un'altra stanza e preghiamo per lui.

FAUST: Sì, pregate per me, pregate per me, e se sentite dei rumori non venite a cercarmi, niente può dirmi aiuto.

SECONDO COLLEGA: Prega anche tu, Faust, e noi pregheremo Dio che abbia pietà di te.

FAUST: Addio, signori. Se domattina sarò vivo, verrò a cercarvi. Se no, Faust sarà all'inferno.

TUTTI: Addio, Faust.

 

(I colleghi escono)

(Entra in basso Mefistofele)

 

MEFISTOFELE: Faust, ormai non hai speranza di salvarti, dispera dunque, pensa solo a dannarti.

L'inferno sarà la tua casa, lì abiterai.

FAUST: Demonio tentatore, sei stato tu a rubarmi la gioia eterna.

MEFISTOFELE: Lo riconosco, Faust, e me ne rallegro.

Sono stato io a fermarti quando eri sulla via giusta, quando prendesti il libro per meditare sulle Scritture, io voltai le pagine e guidai i tuoi occhi.

Che fai, piangi? Troppo tardi. Addio, dispera, piangono all'inferno i pazzi che ridono sulla terra.

 

(Esce)

(Entrano da parti opposte l'angelo buono e l'angelo cattivo)

 

L'ANGELO BUONO: Faust, m'avessi dato retta avresti avuto gioia senza fine.

Ma tu amavi il mondo.

L'ANGELO CATTIVO: Hai ascoltato me e ora gusterai per sempre le pene dell'inferno.

L'ANGELO BUONO: A che ti servono adesso ricchezze, sfarzi, piaceri?

L'ANGELO CATTIVO: Solo a darti angoscia.

E' nudo all'inferno chi in terra ebbe tanta ricchezza.

 

(Musica mentre scende il Trono)

 

L'ANGELO BUONO: Hai perduto il cielo, felicità indicibile, estasi infinita.

Avessi amato la dolce religione, dall'inferno e dal diavolo avresti avuto protezione.

Guarda, se avessi seguito quella strada in quale luce di gloria avresti avuto casa, su quel Trono assieme ai santi così tersi vincendo l'inferno. Ecco cos'hai perso e ora, misera creatura, il tuo angelo buono deve lasciarti, le fauci dell'inferno si aprono per ingoiarti.

 

(Esce. [Il Trono sparisce in alto.] Si apre l'inferno)

 

L'ANGELO CATTIVO: Ora fissa i tuoi occhi atterriti sull'eterno palazzo delle torture, guarda, le furie scagliano in aria i dannati coi forconi ardenti, i corpi bollono nel piombo, pezzi di carne viva arrostiscono sui tizzoni senza mai morire; su quella sedia arroventata riposano le anime stremate dai supplizi.

Quelli laggiù, nutriti con pappe di fuoco vivo, erano ghiottoni, pensavano solo a mangiare, ridevano dei poveri affamati sull'uscio.

Ma tutti questi strazi ancora non sono che niente, vedrai diecimila torture ancora più orride.

FAUST: Ho visto abbastanza per morire di dolore.

L'ANGELO CATTIVO: No, devi sentirle sulla carne, come scottano!

Chi ama il piacere, col piacere avrà morte.

E ora Faust ti lascio, ma per poco tempo, presto sprofonderai sconfitto nell'inferno.

 

(Esce. [L'inferno si richiude.] L'orologio batte le undici)

 

FAUST: Ah, Faust, hai solo un'ora di vita, poi sarai dannato per sempre.

Fermatevi sfere del cielo che eternamente ruotate, che il tempo finisca e mezzanotte non venga mai.

Occhio lieto della natura, sorgi, sorgi di nuovo e fai un giorno eterno, o fai che un'ora duri un anno, un mese, una settimana, un giorno, che Faust possa pentirsi e salvare l'anima.

"O lente lente currite noctis equi".

Le stelle ruotano, il tempo corre, l'orologio suonerà, verrà il demonio e Faust sarà dannato.

Salirò fino a Dio! Chi mi trascina in basso?

Guarda, il sangue di Cristo allaga il firmamento e una sola goccia mi salverebbe, metà d'una goccia. Ah, mio Cristo, non uncinarmi il cuore se nomino Cristo.

Lo dirò di nuovo. Risparmiami, Lucifero.

Dov'è? E' scomparso. Vedo Dio che stende il braccio e china la fronte minacciosa Montagne e colline, venite, franatemi addosso, nascondetemi all'ira terribile di Dio.

No, no?

Allora mi getto a capofitto nella terra:

apriti, terra. No, non mi dà riparo.

Stelle che regnavate alla mia nascita e che mi avete dato morte e inferno, risucchiatevi Faust come una nebbia nelle viscere di quelle nubi incinte, affinché, quando vomitate in aria, il corpo cada dalle bocche fumose ma l'anima salga al cielo.

 

(L'orologio suona)

 

Ah, mezz'ora è passata. Presto passerà tutta.

Dio, se non vuoi avere pietà di quest'anima almeno per amore di Cristo il cui sangue mi ha riscattato, assegna un termine alla mia pena incessante:

che Faust resti all'inferno mille anni, centomila, e alla fine sia salvato.

Ma non c'è fine alle anime dannate.

Perché non sei una creatura senz'anima?

Perché la tua dev'essere immortale?

Metempsicosi di Pitagora, fossi vera, l'anima mi lascerebbe, sarei mutato in una bestia bruta.

Felici le bestie che morendo cedono l'anima agli elementi, ma la mia vivrà torturata in eterno.

Maledetti i genitori che mi fecero!

No, Faust, maledici te stesso, maledici Lucifero che ti ha privato del cielo.

(L'orologio suona mezzanotte).

Suona, suona! Corpo, trasformati in aria, o Lucifero ti porterà all'inferno.

Anima, mùtati in piccole gocce d'acqua e cadi nell'oceano, nessuno ti trovi.

 

(Tuono, ed entrano i diavoli)

 

Mio Dio, mio Dio, non guardarmi così feroce!

Serpi e vipere, lasciatemi vivere ancora un poco.

Inferno orribile, non aprirti. Non venire, Lucifero.

Brucerò i miei libri. Ah, Mefistofele.

 

(Escono con Faust. [Escono in alto Lucifero e i diavoli])

 

 

 SCENA DICIANNOVESIMA

(Entrano gli universitari)

 

PRIMO COLLEGA: Venite, andiamo a cercare Faust.

Una notte così spaventosa non s'è mai vista da che mondo è mondo. Urla e grida paurose, mai udite.

Voglia Dio che sia salvo.

SECONDO COLLEGA: Dio ci aiuti, guardate lì il suo corpo straziato dalla mano della morte.

TERZO COLLEGA: Fatto a pezzi dai diavoli che serviva.

M'è parso di sentirlo tra mezzanotte e l'una, urlava, chiamava aiuto gridando.

La casa pareva in fiamme, una bolgia piena di diavoli.

SECONDO COLLEGA: Amici, se Faust ha fatto una fine che rattrista ogni cuore cristiano, pure fu uno studioso ammirato per la sua sapienza in tutte le scuole tedesche.

Per questo ricomporremo il suo corpo straziato e tutti gli studenti vestiti a lutto seguiranno il suo funerale.

 

(Escono)

 

 

CORO 4

(Entra il Coro)

 

Spezzato è il ramo che poteva crescere dritto e bruciata la corona di Apollo che crebbe in questo sapiente.

Faust se n'è andato. Meditate la sua caduta.

La sua tragedia possa esortare i saggi a una sacra paura delle cose illegali, le cose profonde che attirano spiriti arditi a esperire ciò che il cielo ha proibito.

 

(Esce)

 

"Terminat hora diem, Terminat Author opus".

 

FINIS

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