William Shakespeare

 

OTELLO

 

 

PERSONAGGI

 

 

IL DOGE di Venezia

BRABANZIO, senatore

GRAZIANO, fratello di Brabanzio

LODOVICO, parente di Brabanzio

OTELLO, nobile Moro, al servizio dello Stato Veneziano

CASSIO, suo luogotenente

IAGO, suo alfiere

RODERIGO, gentiluomo veneziano

MONTANO, predecessore di Otello nel governo di Cipro

Buffone, servo di Otello

Araldo

DESDEMONA, figlia di Brabanzio e moglie di Otello

EMILIA, moglie di Iago

BIANCA, amante di Cassio

Senatori, Marinai, Araldi, Ufficiali, Gentiluomini, Musici e gente del seguito

 

 

 

Scena: a Venezia; e in un porto di mare a Cipro

 

ATTO PRIMO

 

SCENA PRIMA - Una strada di Venezia

(Entrano RODERIGO e IAGO)

 

RODERIGO: Non dirmi altro! Son molto contrariato che tu, Iago, mentre ti servivi del mio denaro come di roba tua, fossi poi al corrente di questo.

IAGO: Sangue di Dio, voi non volete ascoltarmi, Se mi sono mai sognato una cosa simile, detestatemi pure.

RODERIGO: E mi avevi anche detto che l'odiavi.

IAGO: Disprezzatemi, se non è così. Tre grandi in questa città s'erano mossi di persona, andando umilmente a sollecitarlo che mi nominasse suo luogotenente. In parola, io so quel che valgo: so che non merito un posto inferiore. Ma lui, infatuato del suo orgoglio e delle sue idee, cerca di evadere; e con una gonfia allocuzione, orribilmente imbottita di termini militari, in sostanza rifiuta. "Il fatto è - conclude - che mi son già scelto il mio luogotenente". E chi è costui?

Un gran matematico davvero, un tal Michele Cassio, fiorentino: un tipo che si dannerebbe per una moglie bella, uno che non ha mai comandato uno squadrone sul campo, né conosce meglio d'una donnuccia cosa sia uno schieramento di battaglia. Conosce, sì, le teorie che stanno nei libri; sulle quali ogni pedante sa sdottorare magistralmente come lui.

Tutte prediche e pratica nessuna; ecco la sua esperienza militare. E intanto, signor mio, lui è il prescelto; mentre io che, sotto agli occhi del Moro, detti prova di me a Rodi, a Cipro e in altre campagne cristiane e pagane, io vo sottovento e in panna per questo libro mastro, per questo computista. Lui, alla buon'ora, luogotenente, ed io - che Dio ci benedica! - alfiere di Sua Signoria Mora.

RODERIGO: Santo cielo! Preferirei esserne il boia!

IAGO: Non c'è rimedio. Incerti del mestiere. Le promozioni si ottengono per via di lettere e parzialità; non più per la vecchia trafila, che il secondo fosse erede naturale del primo. Giudicate voi, adesso, se ho motivi plausibili d'affezione per il Moro.

RODERIGO: Al tuo posto, lo pianterei.

IAGO: Non correte. Se ci resto è per avere la mia rivalsa. Non tutti possiamo esser padroni; né tutti i padroni possono esser serviti in fedeltà. Vi sarà capitato di vedere servitori deferenti e cerimoniosi, innamorati della loro schiavitù, che logorano la propria esistenza per quella po' di biada, come fa il somaro. Eppoi, quando son vecchi, la cacciano sul lastrico. Bisognerebbe frustarli, questi pecoroni! Altri invece, sotto la mimica e la maschera dell'ossequio serbano un vigile cuore; e prodigando ai padroni le apparenze dello zelo, riescono a fare il proprio interesse, e quando si son foderati i mantelli, fanno omaggio a se medesimi. Questa è gente d'un certo carattere; e confesso che io sono di costoro. Perché, signor mio, com'è certo che siete Roderigo, se io fossi il Moro non vorrei esser Iago; ché servendo lui, io servo me solo. Il cielo m'è giudice, non è il dovere o l'affetto a guidarmi; ma, sotto la loro apparenza, il mio utile. E se mai avesse a darsi che le mie azioni esteriori rivelassero la mia vera natura e sentimento, non passerà molto tempo che io porterò il cuore sulla manica, perché me lo vengano a beccare le cornacchie. Io non sono quel che sono.

RODERIGO: Intanto, se la cosa gli va bene, quel Moro, con quei bei labbroni, ha il vento in poppa.

IAGO: Chiamate il padre della ragazza; fatelo alzare. E al Moro dategli addosso, avvelenategli ogni gioia. Svergognatelo in pubblico.

Aizzate i parenti della fanciulla. Il clima beato dove egli dimora, impestatelo di mosche. E se pure la sua felicità è felicità vera, opprimetela di tanti fastidi da farla illanguidire.

RODERIGO: Questa è la casa del padre. Ora gli do una voce.

IAGO: Con tono d'allarme, e strida disperate; come quando di notte, e che nessuno ci pensa, si segnala il fuoco nelle città popolose.

RODERIGO: Brabanzio! Ehi, signor Brabanzio!

IAGO: Svegliatevi! Brabanzio! Al ladro! Al ladro! Al ladro! Badate alla vostra casa, a vostra figlia, ai vostri sacchetti. Al ladro! Al ladro!

BRABANZIO (affacciandosi a una finestra): Qual la cagione di questa tremenda chiamata? Che volete?

RODERIGO: Signore, la vostra famiglia è tutta in casa?

IAGO: E le porte son chiuse?

BRABANZIO: Che domande son queste?

IAGO: Per le piaghe di Cristo, v'hanno derubato! Su: buttatevi addosso qualcosa. Il vostro cuore è schiantato, e metà della vostra anima è persa. Proprio ora, in questo preciso momento, un vecchio caprone nero sta cavalcando la vostra bianca pecorella. Levatevi! levatevi! Coi rintocchi della campana, svegliate i russanti cittadini, prima che il diavolo vi faccia nonno. Presto, vi dico!

BRABANZIO: Ma vi ha dato balta il cervello?

RODERIGO: Signore stimatissimo, riconoscete la mia voce?

BRABANZIO: No davvero: chi siete?

RODERIGO: Roderigo.

BRABANZIO: Ancor meno gradito! Ti avevo detto non gironzolare qui intorno a casa mia. Ti avvertii, con onesta chiarezza, che la mia figliuola non è per te; ed ora, come un pazzo, gonfio di cibo e di eccitanti libagioni, vieni qui a disturbarmi per una perversa fanfaronata! RODERIGO: Signore, signore, signore...

BRABANZIO: Bisogna tu sappia che col mio carattere e la mia posizione posso fartela pagar salata.

RODERIGO: Pazienza, signor mio.

BRABANZIO: Di che furti vieni a cianciare? Qui siamo a Venezia; e la mia casa non è una masserìa sperduta in mezzo alla campagna!

RODERIGO: Stimatissimo signor Brabanzio; io vengo a voi onestamente, con animo schietto.

IAGO: Per le piaghe di Cristo: siete proprio di quelli che si rifiuterebbero di servire Iddio, anche se il diavolo glielo comanda.

Siam venuti a farvi un piacere, e voi ci pigliate per due farabutti. E vi troverete con la figliuola coperta da uno stallone di Barberia; i nipotini vi nitriranno sul muso e avrete corsieri per cugini e ginnetti per germani.

BRABANZIO: Sguaiato villano e tu chi sei?

IAGO: Sono uno, caro signore, ch'è venuto ad avvertirvi che, in questo momento, la vostra figliuola sta facendo col Moro la bestia a due groppe.

BRABANZIO: Sei un impudente.

IAGO: E voi, un senatore.

BRABANZIO (a Roderigo): Me ne risponderai: perché te, Roderigo, ti conosco.

RODERIGO: Signore, io rispondo di tutto. Ma vi supplico: ditemi se è col vostro beneplacito e il vostro illuminato consenso, come del resto comincio a sospettare, che la vostra bella figliuola, in questa ambigua e morta ora della notte e con per tutta scorta niente più che un mercenario gondoliere, è andata a concedersi agli amplessi brutali d'un moro libidinoso. Se tutto ciò è a vostra conoscenza ed è successo col vostro permesso, certamente siamo stati indiscreti fino all'insolenza e all'ingiuria. Se, invece, non ne sapete nulla, le mie creanze mi dicono che avete torto a trattarci così. Non immaginatevi mica che io abbia perso ogni decoro da scherzare e beffarmi di Vostra Magnificenza a questo punto. Ma io ripeto: o la figliuola v'è fuggita a vostra insaputa; ed allora ne ha fatta una grossa, sacrificando i suoi doveri, la sua bellezza, il senno, la ricchezza a uno straniero stravagante e girellaio che non è più di qui che d'alcun altro luogo.

Correte a sincerarvi. Se poi la ragazza è nella sua stanza. o qui in casa, denunciatemi pure per avervi raccontato una cosa per un'altra.

BRABANZIO: Battete l'acciarino! Olà! Datemi una torcia! Svegliate tutta la mia gente! Questa storia mi ricorda un mio presentimento. E già mi stringe la paura che possa esser vera. Delle torce, dico: delle torce! (Esce)

IAGO: Addio; debbo lasciarvi. Non s'addice né è utile alla mia condizione, esser chiamato, come avverrebbe se restassi qui, a testimoniare contro il Moro. Perché se al Moro questa faccenda procurerà biasimo, so anche bene che lo Stato non può fare a meno di lui: l'ha ingaggiato, con sì grave preponderante scelta, per la guerra di Cipro ora in corso, né i nostri governanti dispongono d'altri con la sua perizia a condurre l'impresa. Cosicché, pur odiando il Moro quanto l'inferno, le necessità del momento mi costringono a ostentare la bandiera dell'affetto. Soltanto la bandiera. Se volete sicuramente trovarlo, guidate le ricerche al Sagittario, là io sarò insieme a lui.

Arrivederci. (Esce)

 

(Dalla casa esce BRABANZIO in veste da camera, seguito da Servi)

 

BRABANZIO: Purtroppo è vero; è fuggita; ed ormai della mia esistenza spregevole non mi rimane che l'amarezza. Ma tu, Roderigo, dove la vedesti? Bambina mia disgraziata! Era col Moro dicesti. Chi oserà più essere padre? Come facesti a riconoscerla? Figliuola, mi hai deluso quanto era impossibile immaginare. E che cosa ti disse? Voialtri portate altre torce, svegliate il parentado. Credi che si siano sposati?

RODERIGO: Credo proprio di sì.

BRABANZIO: Cielo! Ma in che modo è uscita? Tradimento del sangue! O genitori! D'ora innanzi non fidatevi al modo d'agire delle vostre creature. Ma forse vi sono incantesimi, per mezzo dei quali è possibile subornare la verginità e la gioventù. Roderigo, hai mai letto di cose come questa?

RODERIGO: Certamente, signore.

BRABANZIO: Chiamate mio fratello! Quanto sarebbe stato meglio che l'avessi avuta tu! Ma chi per un verso, chi per un altro. Lo sai dove arrestarli, lei e il Moro?

RODERIGO: Credo che lo saprei scovare, se vorrete procurarvi una buona scorta e venir con me.

BRABANZIO: Ti prego, facci da guida. Chiamerò ad ogni casa e del resto, nella maggior parte io posso comandare. Prendete le armi!

Radunate i signori di notte. Andiamo, buon Roderigo. Saprò compensarti di quello che fai.

 

(Escono)

 

 

 

SCENA SECONDA - Altra strada di Venezia. Dinanzi al Sagittario

(Entrano OTELLO, IAGO e Servi con torce)

 

IAGO: Sebbene, nel mio mestiere di guerra, io abbia ucciso più d'uno, credo sia proprio della coscienza rifuggire dall'assassinio premeditato. A me, l'empietà viene a mancarmi al momento decisivo, ché nove o dieci volte ero stato tentato di lavorarmelo fra le costole col pugnale.

OTELLO: Meglio sia andata così.

IAGO: No: perché cianciava e sparlava contro Vostro Onore in termini così sozzi e provocanti, che la mia scarsa pazienza lo poteva appena sopportare. Ma ora ditemi, signor mio: vi siete davvero sposato?

Tenete conto di questo: che il Magnifico qui è amatissimo da tutti, e ha potenzialmente due voti come il doge. Vi obbligherà a divorziare; o vi tormenterà con tutti i triboli e le sanzioni che la legge, con tutti i mezzi che egli ha per farla valere, gli dà medo d'imporvi.

OTELLO: Che sfoghi il suo dispetto. I servigi da me resi al governo parleranno più alto delle sue lamentele. Non si sa poi ancora, e io lo dirò solo quando ritenga che vantarmi sia cosa onorevole: non si sa ch'io discendo da famiglia reale e che posso pretendere, senza tanto sberrettarmi, all'alta dignità che per i miei meriti ho raggiunta. Ti dirò, Iago, che se non fosse stato il mio amore per la gentile Desdemona, tutti i tesori dell'oceano non m'avrebbero indotto a rinunciare alla mia condizione libera e vagabonda. Ma guarda!... Che luci son quelle che si accostano?

IAGO: Sarà il padre infuriato, insieme ai suoi amici. Fareste meglio a ritirarvi.

OTELLO: Affatto. Voglio che mi trovino. La mia qualità, il mio grado, e la purezza della mia coscienza mi scagioneranno. Son proprio loro?

IAGO: Per Giano, mi par di no.

 

(Entrano CASSIO ed alcuni Ufficiali, con torce)

 

OTELLO (andando loro incontro): Gli ufficiali del doge e il mio luogotenente. Che la notte vi sia felice, compagni! Cosa c'è di nuovo?

CASSIO: Il Doge vi saluta, generale; e prega di andar da lui in tutta fretta, e meglio ancora, se fosse sull'istante.

OTELLO: Sai di che si tratta?

CASSIO: Faccende di Cipro, a quanto posso figurarmi. E deve essere cosa grave. Stanotte la flotta spedì una dozzina di corrieri, uno dietro l'altro. Molti senatori, mandati a chiamare, stanno già presso il doge. Siete stato cercato d'urgenza e non potendovi trovare a casa vostra, il Senato mandò per la città tre pattuglie con incarico di trovarvi.

OTELLO: E' una fortuna che abbia incontrato voi. Dico una parola qui in casa, e son pronto. (Esce)

CASSIO: Alfiere, come mai egli si trova qui?

IAGO: Questa notte ha abbordato una caravella terrestre; e se gliela riconoscono come preda legittima, s'è messo a posto per sempre.

CASSIO: Non capisco.

IAGO: S'è sposato!

CASSIO: E con chi?

 

(Rientra OTELLO)

 

IAGO: Perdio, con... Allora, capitano, vogliamo andare?

OTELLO: Son con voi.

CASSIO: Un'altra pattuglia che viene a cercarvi.

IAGO: E' Brabanzio. In guardia, generale. Quello arriva con cattive intenzioni.

 

(Entrano BRABANZIO, RODERIGO, Ufficiali con torce ed altri)

 

OTELLO: Fermatevi!

RODERIGO (a Brabanzio): Signore, ecco il Moro!

BRABANZIO: Addosso tutti! Al ladro! (Dalle due parti sguainano le spade)

IAGO: Roderigo! A noi due!

OTELLO: Riponete nel fodero la spade luccicanti, perché la rugiada le potrebbe arrugginire! Mio buon signore, voi otterrete più autorità per i vostri anni che con la vostra spada.

BRABANZIO: Tu, ladro maledetto! Dove hai nascosta mia figlia? Dannato, che me l'hai stregata! Perché io mi appello al buon senso: se non fosse stata stretta in catene di magia, come avrebbe potuto una fanciulla cosi buona, bella e felice, avversa alle nozze da rifiutare i più ornati giovani della città: come avrebbe potuto sfidare il pubblico disprezzo e correre dalla mia custodia al petto fuligginoso di uno come te, fatto per impaurire, non per dar diletto! Giudichi il mondo se non è palese che tu hai adoperato simili sporchi incantesimi; che hai abusato della sua fragile giovinezza, servendoti di droghe e di filtri che fiaccano la volontà. La questione sarà portata in giudizio; ma intanto io ti arresto e denuncio come seduttore e stregone, che pratica arti proibite. Prendetelo. E se si ribella, riducetelo in ubbidienza, a suo danno.

OTELLO: Giù le mani, o miei difensori, e anche tutti gli altri. S'era mia intenzione combattere, sapevo farlo senza bisogno di suggeritore.

Dove volete ch'io vada per rispondere alla vostra accusa?

BRABANZIO: In prigione. Fino a quando la legge e il corso delle sessioni non ti chiameranno.

OTELLO: E se vi obbedissi, che ne direbbe il doge che ha inviato i messaggeri qui al mio fianco, a condurmi da lui per urgenti affari di Stato?

UFFICIALE: E' vero, signore. Il doge è in Consiglio; dove son certo che anche la Signoria Vostra è stata convocata.

BRABANZIO: Il doge in Consiglio? A quest'ora? Portatelo via! La mia causa non è da poco e il doge stesso e i miei colleghi dovranno considerare questo affronto come fatto a loro. Se si lasciassero commettere impunemente azioni consimili, gli schiavi da catena e gli eretici diventerebbero nostri padroni.

 

(Escono)

 

 

 

SCENA TERZA - Venezia. Sala del Consiglio

(Il DOGE e Senatori, seduti ad una tavola, ed alcuni Ufficiali)

 

DOGE: Queste notizie son troppo discordi per dar loro credito.

PRIMO SENATORE: Davvero che sono diverse: le mie lettere parlano di centosette galere.

DOGE: Le mie di centoquaranta.

SECONDO SENATORE: E le mie di duecento. Ma sebbene nelle cifre non s'accordino, come sovente avviene nel caso di congetture, questi rapporti, dal primo all'ultimo, ci confermano che una flotta turca minaccia Cipro.

DOGE: E ciò è verosimile abbastanza. Non basta a tranquillizzarmi l'errore che può essere nelle cifre; ed il punto principale è ribadito in modo allarmante.

MARINAIO (dall'interno): Olà, olà!

UFFICIALE: C'è un messaggero dalle galere.

 

(Entra un Marinaio)

 

DOGE: Che notizie avete?

MARINAIO: La flotta turca si dirige su Rodi. Così il signor Angelo m'incaricò di riferire al governo.

DOGE: Che ne pensate di questo mutamento?

PRIMO SENATORE: E' inammissibile. Sta contro ogni ragione. E' una manovra per trarci in inganno. Se consideriamo l'importanza di Cipro per i Turchi, e se inoltre ci rendiamo conto che non solo sta più a cuore ad essi che Rodi, ma che quell'isola è più facile a espugnarsi, perché non ha le fortificazioni di Rodi né l'apparecchio naturale: se noi pensiamo a questo non potremo mai credere i Turchi così sciocchi da lasciar per ultimo quanto per essi ha primaria importanza; e rinunciare a un tentativo facile e proficuo per cacciarsi inutilmente nei guai.

DOGE: E' così. I Turchi non mirano a Rodi.

UFFICIALE: Ecco altre notizie.

 

(Entra un Messaggero)

 

MESSAGGERO: Riverita e graziosa Eccellenza: il naviglio turco che faceva rotta per Rodi è stato raggiunto da una seconda flotta, che gli si è unita.

PRIMO SENATORE: Come temevo. E di quante navi secondo voi?

MESSAGGERO: Trenta vele. Ora, tutte insieme invertono decisamente la rotta, puntando su Cipro. Il signor Montano, vostro fedele e valoroso servitore, si prende la libertà di avvertirvene, e vi prega gli crediate.

DOGE: Dunque non c'è dubbio ch'è per Cipro. Marco Luccico è in Venezia?

PRIMO SENATORE: E' a Firenze.

DOGE: Scrivetegli in nome nostro, e spedite a spron battuto.

PRIMO SENATORE: Ecco qua Brabanzio, e il valoroso Moro.

 

(Entrano BRABANZIO, OTELLO, IAGO, RODERIGO e Ufficiali)

 

DOGE: Valoroso Otello, abbiamo subito bisogno di voi, contro il nostro comune nemico ottomano. (Volgendosi a Brabanzio) Non vi avevo visto:

benvenuto, caro signore. Stanotte ci è mancato il vostro consiglio ed aiuto.

BRABANZIO: Ed a me il vostro. Vogliate perdonarmi Eccellenza, ma non sono state né la mia carica né le notizie a farmi levare. Il bene pubblico non ha interesse per me, in questo momento; perché il mio intimo dolore è di natura tanto prepotente da travolgere e ingoiare qualsiasi altro pensiero, senza poter cambiare.

DOGE: Di che si tratta?

BRABANZIO: Mia figlia! mia figlia!

DOGE e SENATORI: Morta?

BRABANZIO: Morta per me. Ingannata, rapita e corrotta con magie e tossici di ciarlatani. Perché è impossibile che, senza ricorso ad arti magiche, una natura che non era né sciocca, né cieca, né insensata, abbia potuto fuorviarsi in modo sì marchiano.

DOGE: Chiunque con mezzi talmente turpi ha rapito a se medesima ed a voi vostra figlia, sarà giudicato secondo il libro inesorabile delle leggi, che interpreterete voi stesso nel suo rigore letterale. Sì, anche se l'accusato dovesse essere uno dei nostri figliuoli .

BRABANZIO: Vi ringrazio umilmente. E' questi il colpevole: questo Moro, che, a quel che sembra, fu qui espressamente convocato da voi per affari di governo.

TUTTI: Ne siamo dolentissimi.

DOGE (a Otello): Che potete rispondere?

BRABANZIO: Nulla, se non che questa è la verità

OTELLO: Potentissimi e reverendi signori, miei nobili ed ottimi padroni; è vero che ho portato via la figlia a questo vecchio: ma il fatto è che l'ho sposata. Questa, da cima a fondo, è tutta la mia colpa: nulla più. Io sono rozzo nel parlare, e poco dotato per la gentile eloquenza di pace. Da quando le mie braccia ebbero il vigore dei sette anni, fino ad ora, circa nove mesi fa, esse compirono tra gli attendamenti le loro imprese più care: poco io ne so delle cose del mondo, all'infuori di combattimenti e gesta marziali. Poco dunque gioverò alla mia causa, parlando in mia difesa. Ma col vostro grazioso consenso, dirò semplicemente la storia del mio amore; e con quali filtri, magie, scongiuri e poteri soprannaturali (ché di ciò mi si accusa) conquistai il cuore di sua figlia.

BRABANZIO: Una ragazza pudica, e di carattere così quieto e tranquillo che ogni suo moto si effondeva in rossore. E con tale carattere, e la sua giovane età, e l'educazione, la razza e il senso della reputazione, si sarebbe innamorata di ciò ch'ella aveva paura a guardare! E un giudizio monco e imperfettissimo quello che confesserà che la perfezione possa tanto errare contro ogni regola di natura; occorre perciò ricercare in pratiche d'inferno la spiegazione di quanto è accaduto. Ancora una volta ripeto che quest'uomo subornò la ragazza, servendosi di qualche potente mistura che operava sul sangue, o di qualche bevanda fatturata.

DOGE: Affermarlo non equivale a una prova. Ci vogliono testimonianze più ampie e sicure di queste magre comunità e improbabili congetture su apparenze volgari.

PRIMO SENATORE: Otello, parlate: avete vinto e viziato il sentimento della giovinezza con mezzi equivoci e violenti? O l'avete conquistata con la persuasione, con la leale richiesta che un cuore rivolge ad altro cuore?

OTELLO: Vi supplico: mandate a chiamare la signora al Sagittario. E ch'ella parli di me qui a suo padre. Se da ciò ch'ella dice mi giudicherete colpevole, non soltanto toglietemi la vostra fiducia, e toglietemi la carica che mi avete affidata: ma fate ricadere la vostra sentenza sopra la mia testa.

DOGE: Conducete qui Desdemona.

 

(Escono due o tre Ufficiali.)

 

OTELLO (a Iago): Alfiere, accompagnali: tu che conosci bene il posto.

(Esce Iago) E aspettando ch'ella giunga, con la stessa verità che confesso a Dio le debolezze della mia carne, io narrerò fedelmente come conquistai l'amore della dolce creatura e com'ella conquistò il mio.

DOGE: Parlate, Otello.

OTELLO: Suo padre mi voleva bene; spesso m'invitava, e m'interrogava sulla mia vita, anno per anno; le battaglie, gli assedi, le fortune che ho sostenute. E io narravo: dai giorni lontani dell'infanzia, a quel momento in cui egli mi chiedeva di narrare: raccontavo le sventure e i casi emozionanti per mare e per terra; e di quando per un capello ero scampato alla morte nell'imminente pericolo d'una breccia; o catturato dal nemico insolente, ero stato venduto come schiavo; e il mio riscatto e la mia nomade storia: e così di vaste caverne e deserti vuoti, rupi e pietraie di montagne dalle cime che giungono al cielo mi toccava parlare - tale fu la mia esperienza - e dei Cannibali che si mangiano tra loro, gli Antropofagi, e gli uomini ai quali cresce la testa sotto alle spalle; tali cose Desdemona ascoltava con profondo interesse, e se doveva allontanarsi per faccende di casa, le sbrigava in gran fretta, tornando con orecchio teso ai miei racconti. Accortomi di ciò, scelsi una volta l'occasione; ed ebbi da lei una fervente preghiera di farle per esteso la storia delle mie avventure, di cui aveva udito soltanto una parte, ma non agiatamente. Acconsentii, e spesso le strappavo le lacrime, parlandole di lutti che avevano percosso la mia gioventù. Finito il mio racconto, mi compensò con un mondo di sospiri; giurò che, davvero, tutto questo era strano, tanto strano, commovente, commovente in modo meraviglioso. Avrebbe voluto non avermi ascoltato, ma avrebbe anche voluto che un uomo simile, il cielo l'avesse creato per lei. Mi ringraziò, e disse che se io avevo un amico che si fosse innamorato di lei, gli insegnassi a ripeterle la mia storia, e con ciò egli sarebbe riuscito a piacerle. A tale accenno, parlai. Ella mi amò per i pericoli che io avevo corso, ed io l'amai perch'ella n'ebbe pietà. Questa è la sola magia ch'io abbia usato. Ma ecco la signora: lasciate ch'ella stessa testimoni.

 

(Entrano DESDEMONA, IAGO e Ufficiali di scorta)

 

DOGE: Questo racconto credo avrebbe conquistato anche mia figlia. Mio buon Brabanzio, acconciate per la meglio questa angosciosa faccenda.

E' preferibile difendersi con un'arma spezzata che non a mani vuote.

BRABANZIO: Vi prego, ascoltatela. E ov'ella confessi che fu lei per metà corteggiatrice, ch'io sia maledetto se il mio rancore ricade su quest'uomo! Accostatevi, gentil signora. Sapete, in questo grave consesso, a chi voi dovete più obbedienza?

DESDEMONA: Mio nobile padre, io qui vedo un dovere diviso. A voi debbo la mia vita e la mia educazione, che mi hanno egualmente insegnato a obbedirvi. A voi il mio rispetto, in quanto vostra figliuola. Ma qui è mio marito, e come mia madre fece di voi l'oggetto della sua devozione, anteponendovi al padre suo, così è certo che posso fare io legittimamente col Moro, mio signore.

BRABANZIO: Dio vi accompagni. Non ho altro da dire. (Al Doge) Piaccia a Vostra Grazia di procedere agli affari di Stato. Io vorrei piuttosto adottare un figlio che generarlo. Avvicinati Moro. Io ti affido, con tutto il cuore, quello che se tu non l'avessi già preso, con tutto il cuore vorrei tener lontano da te. (A Desdemona) Per tuo merito, gioia mia, ora mi sento felice di non avere altri figli, la tua fuga mi farebbe esser tiranno con essi e tenerli in catene. (Al Doge) Ho finito, signore.

DOGE: Permettete che io aggiunga per voi una parola, che a questi innamorati potrà servire di scalino a riconquistarsi il vostro favore.

Quando i rimedi sono inutili, cessano anche i mali, perché ormai si è visto il peggio, che finora la speranza teneva in sospeso. Piangere sul male passato è il miglior modo per attirarsi nuovi guai. Quando la fortuna prende ciò che non si può serbare, la pazienza riduce a una burla la sua offesa. Un derubato che sorride, ritoglie qualcosa al suo ladro, mentre chi soffre per un dolore inutile è come se derubasse se medesimo.

BRABANZIO: Lasciate dunque che i Turchi ci rubino Cipro; e finché sapremo sorridere, sarà come se non l'avessimo persa. Sopporta bene i consigli chi non ne attende che un conforto superfluo, ma deve sopportare e i consigli e il dolore chi, per pagare l'afflizione, deve prendere in prestito da quel parente povero che è la pazienza. Queste sentenze, per inzuccherare o per inasprire, essendo forti da ambo i lati, sono equivoche. Del resto, le parole sono parole; e io non ho mai sentito dire che si tocchi un cuore esulcerato passando per le orecchie. Umilmente torno a supplicarvi: veniamo agli affari di Stato.

DOGE: Con un potentissimo apparecchio i Turchi si dirigono su Cipro.

Voi, Otello, conoscete meglio di chiunque le fortificazioni dell'isola. E per quanto abbiamo là un sostituto di capacità ben provata, l'opinione pubblica, che è la più potente arbitra delle decisioni, ripone in voi la fiducia suprema. Bisogna dunque che vi rassegnate ad offuscare lo splendore della nuova felicità, sotto le nubi di questa ardua e tempestosa spedizione.

OTELLO: Venerabili senatori, la tiranna abitudine ha fatto sì che il giaciglio di pietra e di ferro della guerra sia per me diventato un letto di piume tre volte sprimacciate. Non ritrovo la mia naturale e pronta alacrità come in mezzo ai disagi. Accetto di condurre questa guerra contro gli Ottomani. Frattanto, inchinandomi umilmente alla vostra autorità, chiedo sia concessa a mia moglie una degna situazione: privilegi e trattamento quali spettano al suo rango e un alloggio e seguito confacenti ai suoi natali.

DOGE: Se credete, potrà tornare col padre.

BRABANZIO: Non accetto.

OTELLO: Né io accetterei.

DESDEMONA: E neppure io. Non vorrei star là a infastidire mio padre con la mia presenza. Graziosissimo doge, ascoltate con orecchio benevolo quanto sto per dirvi, e fate che in voi la mia debolezza trovi sostegno.

DOGE: Che vorreste, Desdemona?

DESDEMONA: Che io ho amato il Moro da voler vivere con lui, la mia aperta ribellione e il mio disprezzo per le cose della fortuna lo proclamano al mondo. Il mio cuore è sottomesso a quel che più piacerà al mio signore. Io ho visto il volto d'Otello nel suo spirito, e la mia anima e la mia sorte ho consacrate al suo valore e alla sua gloria. Se mi terrete qui, inutile tignola di pace, mentre egli è in guerra, mi priverete dei riti del mio amore. La sua assenza sarà per me un intervallo angoscioso. Lasciate ch'io lo segua OTELLO: Ascoltatela, il cielo m'è testimone che non ve lo chiedo per appagare la mia passione, per compiacere agli ardori del nostro giovine amore e alla mia soddisfazione indenne e legittima; ma soltanto per essere liberale e generoso verso un suo desiderio. E distolga il cielo le vostre buone anime da credere che io possa trascurare il gran compito affidatomi, perché ella sarà con me. Se avvenga mai che gli alati capricci di Cupido abbaglino d'un languore voluttuoso le mie facoltà di pensiero e d'azione, se avvenga mai che i piaceri tolgano nervo al mio operare, possano le comari servirsi del mio elmo come d'una pentola, e ogni peggiore ingiuria ed oltraggio faccia impeto contro la mia reputazione DOGE: Decidete fra voi s'ella debba restare o seguirvi. Comunque, l'impresa non vuole indugio: occorre agire. Voi dovrete partire questa notte.

DESDEMONA: Stanotte, signore?

DOGE: Stanotte.

OTELLO: Di tutto cuore.

DOGE (ai Senatori): Alle dieci domattina noi ci riuniremo di nuovo.

Voi, Otello, lascerete a Venezia uno dei vostri ufficiali, che poi vi raggiungerà, portandovi il nostro mandato, e quali altri titoli e dignità vi spettano.

OTELLO: Piacendo a Vostra Grazia, lascerò il mio alfiere. E' uomo onesto e fidato. E gli do cura d'accompagnare mia moglie, e recarmi tutto quanto Vostra Grazia riterrà che mi abbisogni.

DOGE: Così sia. Buon riposo a tutti. (A Brabanzio) Nobile amico, se è vero che la virtù non manca mai d'una sua luminosa bellezza, vostro genero è molto più chiaro che nero.

PRIMO SENATORE: Addio, valoroso Moro. Rendi felice Desdemona.

BRABANZIO: E veglia su di lei; tieni gli occhi bene aperti; come ha ingannato suo padre, ella potrebbe ingannare te.

 

(Escono il Doge, Senatori, Ufficiali, eccetera)

 

OTELLO: La mia vita sulla sua fede! Onesto Iago, debbo affidare a te la mia Desdemona. Ti prego, fa' che tua moglie l'assista, e alla prima occasione favorevole conducile a Cipro. Andiamo, Desdemona; non ho da darti che un'ora per l'amore, le faccende e le istruzioni: dobbiamo ubbidire al tempo.

 

(Escono Otello e Desdemona)

 

RODERIGO: Iago!

IAGO: Che vuoi, nobil cuore?

RODERIGO: Ed ora cosa credi che farò?

IAGO: Diamine: andare a letto e dormire.

RODERIGO: Vado diritto diritto ad affogarmi.

IAGO: Se tu fai questo, non potrò più volerti bene. Che scioccherie!

RODERIGO: E' sciocco vivere quando la vita è un tormento: ed allora la ricetta è morire, e medico è la Morte.

IAGO: Che eresia! Per quattro volte sette anni ho considerato le cose del mondo; e da quando imparai a distinguere un benefizio da un sopruso, non ho trovato un sol uomo che sapesse volersi bene. Per me, avanti di dire che voglio affogarmi per amore d'una pollastrella, preferirei esser tramutato in uno scimmiotto.

RODERIGO: Ma che posso fare? Lo confesso, mi vergogno d'essere così innamorato. E non ho virtù di rimediarci.

IAGO: Virtù un fico! Da noi dipende essere così piuttosto che cosà. I nostri corpi sono i giardini, e le nostre volontà i giardinieri. Puoi piantarci l'ortica o seminare l'insalata, metterci l'issopo ed estirpare il timo, far crescere una sola qualità d'erba o svariate qualità, lasciare sterile il terreno per pigrizia o fecondarlo col lavoro: il potere e l'autorità di correggere risiedono nel nostro volere. Se nella bilancia della vita il piatto della ragione non facesse equilibrio con quello della sensualità, gli umori e la bassezza della nostra natura ci porterebbero al peggio. Ma c'è la ragione per calmare i desideri insensati, gli stimoli carnali, le sfrenate libidini; dei quali credo che ciò che chiamate amore non sia altro che un pollone o germoglio.

RODERIGO: Impossibile!

IAGO: Non si tratta che d'un infocamento del sangue e d'una sospensione della volontà. Sii uomo! Affogarsi! Affoga i gatti e i cagnolini ciechi. Mi son professato tuo amico; mi riconosco legato ai tuoi meriti dai legami più tenaci. E mai potrò esserti utile come ora.

Metti dei soldi nella tua borsa. Seguici alla guerra. Camuffati con una barba finta; e, ripeto, riempi di soldi la borsa. L'amore di Desdemona per il Moro non può durare: metti soldi nella borsa... né quello del Moro per lei. Fu violento l'inizio e così sarà la conclusione. Metti soldi nella borsa... Questi mori son volubili...

riempi la borsa di soldi... Il boccone ora dolce come il miele, presto gli sarà amaro come veleno. Desdemona cambierà perché è giovane; e non appena si sarà saziata del suo corpo, si accorgerà della scelta sbagliata. Vorrà cambiare, dovrà... Per cui metti soldi nella borsa...

Se proprio sei deciso a dannarti, trova un mezzo un po' più delicato dell'annegare. Raccogli più denaro che puoi... E tu avrai quella donna: ché le santimonie e l'incerto giuramento scambiato tra un selvaggio errabondo e una raffinatissima veneziana non possono essere ostacolo insormontabile per la mia intelligenza e per tutte le tribù dei demoni. La godrai. Quindi, battere moneta. Annegarsi: un bel fico!

Tu sei fuori strada. Fatti piuttosto impiccare avendo prima goduto la tua gioia, che voler annegarti dopo averci rinunciato.

RODERIGO: E se io mi decido a quest'impresa sarai tu fedele alle mie speranze?

IAGO: Stai tranquillo: va', e raccogli denaro. Te l'ho già ripetuto abbastanza e di nuovo lo dico e ridico: odio il Moro! Come le tue, le mie ragioni partono dal cuore. Stiamo uniti nella nostra vendetta. Se lo fai becco, per te sarà un piacere, e per me uno spasso. In grembo al tempo maturano cose che presto saranno partorite. Porta l'arme, in marcia! Metti insieme denaro. Ma ne riparleremo domani. Arrivederci.

RODERIGO: Dove possiamo incontrarci in mattinata?

IAGO: A casa mia.

RODERIGO: Verrò di buon'ora.

IAGO: E ora vai. Arrivederci. Siamo intesi, Roderigo?

RODERIGO: Che vuoi dire?

IAGO: Niente annegamenti. Capito?

RODERIGO: Son cambiato. E vo a vendere tutte le mie terre.

IAGO: Vai, vai. E metti in borsa molto denaro. (Esce Roderigo) Così, la mia vittima, io la trasformo nella mia cassaforte. Mi parrebbe di profanare la mia sudata esperienza se perdessi tempo con questo merlo senza divertirmici e senza guadagnare. Odio il Moro... Si è anche bisbigliato, qua e là, ch'egli mi abbia sostituito nel dovere coniugale fra le mie lenzuola. Non so quanto sia vero, ma per un semplice sospetto del genere io agirò come avessi la certezza. Di me egli fa conto; e tanto meglio agiranno su lui le mie macchinazioni.

Cassio è un bell'uomo... Vediamo un po'... Prendergli il posto, e far culminare il mio piano in un colpo doppio... In che modo?

Attenzione... Fra un po' di tempo, potrei stillare nell'orecchio di Otello che Cassio è troppo in intimità con sua moglie. Cassio ha un aspetto e un carattere soave, che sembran fatti apposta per far girare il capo alle donne. Il Moro è d'indole semplice e franca. Crede onesti quegli uomini che appena lo sembrano. E si farà menare per il naso docilmente, come un somaro. Ho trovato... L'idea c'è. Poi l'inferno e la notte porteranno alla luce questo parto mostruoso.

 

 

 

ATTO SECONDO

 

SCENA PRIMA - Un porto di mare a Cipro. Spiazzo presso il molo

(Entrano MONTANO e due Gentiluomini)

 

MONTANO: Che cosa potete scorgere sul mare dal promontorio?

PRIMO GENTILUOMO: Nulla di nulla. Le onde son così alte, che è impossibile scorgere una vela tra il cielo e la gonfiezza del mare.

MONTANO: Mi par che il vento abbia picchiato forte dentro terra. Mai i bastioni furono urtati da raffiche più fiere. E se ha imperversato così anche sul mare, quali costole di quercia avranno resistito al rovesciarsi delle montagne liquefatte? Le conseguenze quali saranno?

SECONDO GENTILUOMO: La dispersione della flotta turca. Stando a guardarli dalla riva schiumante, i cavalloni furiosi sembrano flagellare le nubi; sollevati dal vento, i flutti dalle mostruose criniere rovesciano acqua sull'ardente Orsa, e sommergono le scolte dell'immobile polo. Non vidi mai tanto furore di tempesta.

MONTANO: Se la flotta turca non ha potuto ripararsi in qualche rifugio, è colata a picco di certo. Impossibile abbia potuto reggere.

 

(Entra un Terzo Gentiluomo)

 

TERZO GENTILUOMO: Novità, ragazzi. La guerra è finita! Questa crudele tempesta ha percosso i Turchi in maniera da farli rinunciare al loro progetto Una nobile nave veneziana ha assistito al naufragio e alle paurose traversie della maggior parte della flotta.

MONTANO: Davvero?

TERZO GENTILUOMO: La nave è entrata in porto, e ne è sceso Michele Cassio, luogotenente del valoroso Otello. Il Moro stesso è in viaggio, diretto a Cipro, con poteri assoluti.

MONTANO: Ne son lieto: è un governatore di merito.

TERZO GENTILUOMO: Ma Cassio, purtroppo, mentre è così rallegrato dal disastro dei Turchi, ha l'aria ansiosa e fa voti perché il Moro sia salvo. Le loro navi furono separate da una violenta bufera.

MONTANO: Preghiamo il cielo che si salvi. Sono stato al suo servizio, ed è uno che sa comandare da vero soldato. Andiamo al porto a vedere il vascello giunto ora, e a sforzare gli occhi in cerca del valente Otello finché il mare e l'azzurro del cielo si confondano in un'unica veduta.

TERZO GENTILUOMO: Andiamo; facciamo come dite. Ogni minuto può recare novità.

 

(Entra Cassio)

 

CASSIO: Vi ringrazio, o valorosi di questa degna isola, che con tanta lode parlate del Moro. Che il cielo lo difenda contro gli elementi, perché io l'ho lasciato su un mare spaventoso.

MONTANO: La sua nave è buona?

CASSIO: Solidamente costruita; e il pilota ha fama di molto abile e provato. Per questo le mie speranze non satolle fino a scoppiare, stan sotto un'energica cura.

 

(Di dentro si grida: "Una vela! Una vela!". Entra un Quarto Gentiluomo)

 

Cos'è questo vocìo?

QUARTO GENTILUOMO: La città è deserta. Gran folla è accorsa sulla spiaggia; e gridano: "Una vela!".

CASSIO: La speranza m'illude che sia il governatore. (Di dentro, colpi di cannone)

SECONDO GENTILUOMO: Sparano a salve. E' segno che si tratta di amici.

CASSIO: Vi prego, signore, andate a vedere e diteci chi è.

SECONDO GENTILUOMO: Vado. (Esce)

MONTANO: Buon luogotenente, il vostro generale è ammogliato?

CASSIO: Nel modo più felice. Ha conquistato una fanciulla che pareggia le descrizioni della fama più audace, gli elogi delle penne più estrose; e nella veste essenziale in cui fu creata, esaurisce l'inventore.

 

(Rientra il Secondo Gentiluomo)

 

Ebbene, chi è arrivato?

SECONDO GENTILUOMO: Un certo Iago, alfiere del generale.

CASSIO: Ha avuto una buona e veloce traversata. Le tempeste, i marosi, gli aquiloni, eppoi le frastagliate scogliere e i banchi di sabbia, traditori sommersi per inceppare l'innocente carena, dimenticando il loro istinto micidiale, e quasi dotati d'un senso di bellezza, hanno lasciato passare a salvamento la divina Desdemona.

MONTANO: Desdemona: è chi è?

CASSIO: La donna di cui vi parlavo. La capitana del nostro gran capitano. Era stata affidata al bravo Iago; ed è sbarcata in anticipo d'una settimana sul previsto. Gran Giove! Proteggi Otello, e gonfia la sua vela col tuo fiato potente; ch'egli possa allegrare questo porto con la sua bella nave, palpitare d'amore tra le braccia di Desdemona; e ravvivare la fiamma dei nostri spiriti spenti, portando tranquillità a tutta Cipro.

 

(Entrano DESDEMONA, EMILIA, IAGO, RODERIGO e Seguito)

 

Guardate! Il tesoro della nave è sceso a terra! Uomini di Cipro, in ginocchio. Benvenuta signora! Che il favore celeste sempre e d'ogni lato ti circondi!

DESDEMONA: Grazie, prode Cassio. Ma che notizie sapete darmi del mio signore?

CASSIO: Non è ancora arrivato; e io so soltanto ch'egli sta bene e tra breve sarà qui.

DESDEMONA: Io sto in pena... Come mai vi separaste?

CASSIO: Fu la rissa del mare e dei venti a dividerci... (Si ode di dentro il grido: "Una vela! Una vela!", e colpi di cannone) Ma ascoltate! Una vela.

SECONDO GENTILUOMO: Fanno il loro saluto alla cittadella. E anche questi son amici.

CASSIO: Andate ad informarvi. (Esce il Secondo Gentiluomo) Bravo alfiere: siete benvenuto. (A Emilia, abbracciandola) Bene arrivata, signora. Non prendetevi a male buon Iago, di tanta libertà. E' la mia galanteria che mi spinge a quest'omaggio ardimentoso.

IAGO: Mio signore! S'ella vi fosse tanto generosa delle labbra quanto a me della lingua, voi ne avreste abbastanza.

DESDEMONA: Ma se non apre mai bocca!

IAGO: Parla troppo. E sempre mi fa quest'effetto, quando ho voglia di dormire. Ammetto, però, che con voi tiene un po' riposta la lingua, e si contenta di borbottare in cuor suo.

EMILIA: Non avete motivo di dirlo.

IAGO: Via, via: per la strada voi donne sembrate pitture, campanelli nei vostri salotti, gatti selvatici in cucina, sante quando ci offendete, diavoli quando vi offendiamo noi; siete oziose e svagate nelle vostre faccende, e massaie operosissime soltanto quando siete a letto.

DESDEMONA: Che calunniatore!

IAGO: E' così! E se no, io sono un Turco. Voi donne vi levate per giocare, e per lavorare vi mettete sotto le lenzuola.

EMILIA: Non vorrei ti fosse affidato il mio elogio.

IAGO: No, meglio no.

DESDEMONA: Che scriveresti di me, dovendo fare il mio elogio?

IAGO: Non me lo domandate, signora. Io non sono altro che un critico.

DESDEMONA: Su, via: provati. Ma è andato qualcuno a vedere al porto?

IAGO: Sì, signora.

DESDEMONA: Mi sento tutt'altro che allegra, ma nascondo quello che sono mostrandomi diversa. Su dunque: come faresti il mio panegirico?

IAGO: Ci sto pensando. Purtroppo le idee mi si staccano dal capo come il vischio da un pannolano: portandosi dietro il cervello e ogni cosa.

La mia musa ha le doglie, ed ecco che cosa partorisce. (Con atto di omaggio verso Desdemona):

Quella che per bellezza bionda e talento è degna, l'uso di sua bellezza il talento le insegna, DESDEMONA: Girato bene! Ma se poi invece la donna fosse tanto bruna quanto sapiente? IAGO: Sia bruna quanto vuole; s'è di talento vero, Pescherà sempre il bianco che s'addice al suo nero.

DESDEMONA: Questo mi piace meno.

EMILIA: E supponiamo che sia bella ma sciocca?

IAGO: Donna bella nessuno l'ha mai trovata sciocca, Ché vince ogni argomento con i baci che ha in bocca.

DESDEMONA: Ma questi sono vecchi, scipiti paradossi, per far ridere gli oziosi nelle taverne. Provati in un epigramma che si confaccia a donna stupida e brutta.

IAGO: Anche la donna brutta, sgraziata ed insipiente A certe cose è brava come l'intelligente.

DESDEMONA: O penosa ignoranza! Tu lodi meglio il peggio. Ma che lode potresti tu concedere a una donna degna davvero, una che con tutta l'autorità del suo merito, giustamente ottenesse il riconoscimento dalla stessa malignità?

IAGO: Colei che, bella, non fu mai superba, Parlar seppe a suo grado, e non proterva; Non mancò d'oro, eppur non fece lusso, Disse nel rinunziar: "S'io voglio posso"; Che, irata, avendo in pugno la vendetta Si tenne il torto, e all'astio diè disdetta; Né perse il senno, sì da amar tal cambio:

Per coda di salmon prendere un granchio; Che pensar seppe, e il cor tener segreto.

Vedendosi seguir, non guardar dietro; Tal donna, se mai v'è chi ne racconti, Nacque a...

DESDEMONA: A far che cosa?

IAGO: Nacque ad allattar gonzi e a tener conti.

DESDEMONA: Oh, stiracchiata e sterile conclusione! Emilia, non imparare da lui, benché tuo marito. Che ne dite voi, Cassio? Non vi pare un parolaio profano e licenzioso?

CASSIO: Parla senza peli sulla lingua, signora. Ma avrete modo d'apprezzarlo più come uomo d'arme che come letterato.

IAGO (a parte): Intanto la prende per la mano! Benissimo! Le bisbiglia all'orecchio. Con questa sottile tela di ragno, riuscirò a chiappare un moscone grosso come Cassio. Bravo! sorridile. Forza! Ti farò prigioniero della tua galanteria. Ma dici bene... proprio così. Se sciocchezze simili riusciranno a farti perdere il grado di luogotenente, avresti fatto meglio a non baciarti tanto la punta delle dita, ecco: come fai anche adesso, per darti aria di vagheggino.

Benone! Bel bacio! Che magnifica riverenza! Proprio così! Ancora le dita alle labbra? Che almeno ti diventassero canne di clistere!

(Squillo di tromba) E' il Moro! Riconosco questo squillo.

CASSIO: Sì, è lui!

DESDEMONA: Andiamogli incontro.

CASSIO: Ecco che arriva!

 

(Entra OTELLO col suo Seguito)

 

OTELLO: Oh, mia bella guerriera!

DESDEMONA: Otello caro!

OTELLO: Tanto son lieto che meravigliato a vedervi giunta prima di me.

Gioia dell'anima mia! Se le tempeste sono sempre seguite da una simile calma, che i venti soffino pure, fino a svegliare la morte; e la mia barca intrepida salga montagne d'acqua alte come l'Olimpo; e di nuovo precipiti giù quanto l'inferno è distante dal cielo. Questo sarebbe il momento, se ora dovessimo morire; perché io temo che la mia anima abbia goduto una gioia così piena come mai più potrà esserle concessa dall'ignoto destino.

DESDEMONA: Voglia il cielo che il nostro amore e la nostra consolazione aumentino col trascorrere dei giorni!

OTELLO: Così sia, potenze divine! Ma di questa gioia non riesco a dire! le parole mi fanno nodo alla gola: è la troppa felicità.

(Baciandola) Questo, e questo e questo, siano le più grandi dissonanze fra i nostri due cuori.

IAGO (a parte): Siete ben accordati davvero. Ma saprò allentare le corde che formano quest'armonia. Parola di galantuomo.

OTELLO: Andiamo al castello. Amici, buone notizie: la guerra è finita, e i Turchi sono in fondo al mare. Come stanno i miei vecchi conoscenti di quest'isola? (A Desdemona) Dolcezza mia, a Cipro ti vorranno bene; fra questa gente trovai sempre grande affetto. Ma io chiacchiero e vaneggio dalla gioia. Ti prego, buon Iago, vai al porto; fai recare a terra i miei forzieri. Accompagna il capitano alla cittadella; è un buon capitano, e meritevole d'ogni riguardo. Andiamo, Desdemona! E ancora una volta, sia benedetto il nostro incontro a Cipro!

 

(Escono tutti, eccetto Iago e Roderigo)

 

IAGO: Vieni subito a raggiungermi al porto. Se hai fegato - e credo ne avrai, perché anche i più timidi, quando sono innamorati, hanno un coraggio superiore alla loro natura ascoltami. Stanotte il luogotenente vigila sul corpo di guardia. Ma, prima di tutto, ho da dirti questo: che Desdemona è innamorata di lui.

RODERIGO: Di lui? Ma è impossibile!

IAGO (con l'indice sulle labbra): Metti il dito così, e lascia che io t'insegni qualcosa. Tu hai visto con qual violenza ella s'innamoro prima del Moro, soltanto perché egli si pavoneggiava contandole delle fanfaronate. Seguiterà ad amarlo per le sue chiacchiere? Il tuo sensibile cuore non può ammetterlo. Gli occhi di Desdemona vogliono un pascolo e che gioia proveranno a guardare sempre il demonio? Quando il sangue è appesantito dai piaceri, per riaccenderlo e dare alla sazietà nuova esca occorre il fascino della bellezza, parità d'anni. maniere ornate: tutte cose che mancano al Moro. E non trovando le necessarie attrattive, il fragile affetto di Desdemona si sentirà deluso; ella comincerà a provar nausea e ad aborrire il Moro. La natura stessa le insegnerà tutto questo, costringendola a una nuova scelta. Chiarito, signor mio, e facilmente questo punto: chi ha nel giuoco carte migliori di Cassio? Un giovane chiacchierone, con quel minimo di coscienza che conferisce una vernice di civiltà e umanità; per poi soddisfare, sotto sotto, desideri sfrenati. Nessuno più adatto di lui:

nessuno. Viscido e furbo. Cacciatore di occasioni. Falsario che imita tutte le qualità, senza possederne una sola! Un briccone diabolico. E per giunta, il signorino è belloccio, giovane, e con tutti i requisiti di cui può andare in cerca una mente inesperta. Individuo pestilenziale! E lei se l'è già adocchiato!

RODERIGO: Non lo posso credere, ella è piena di sante qualità.

IAGO: Santità un fico! Il vino che ella beve è fatto d'uva. E se era santa, non s'innamorava del Moro. Santa un corno! Non l'hai vista quando gli toccava il palmo della mano? Non ci hai badato?

RODERIGO: L'ho notato; si trattava di mera cortesia.

IAGO: E su questa mia mano ti giuro che era libidine: oscuro indizio e preludio di tutta una storia di lubriche immaginazioni e lussurie. Si stavano così accosto con le labbra che i loro fiati s'erano mischiati.

Turpi pensieri Roderigo! E quando la strada è preparata da codeste staffette, i fatti grossi e le conclusioni incarnate arrivano presto.

Signore mio, lasciatevi guidare. Sono io che vi ho portato qui da Venezia. Stanotte sarete di guardia. Penserò io a darvi la consegna.

Cassio non vi conosce. Io vi starò vicino. Trovate modo d'irritare Cassio, o alzando la voce, o mancando alla disciplina, o con qualsiasi altro pretesto, secondo si presenta.

RODERIGO: Va bene.

IAGO: Ricordatevi ch'è collerico e violento; e può essere che alzi le mani... Provocatelo a farlo; perché proprio da questo io susciterò una rivolta fra la gente di Cipro; e la pace non tornerà se non quando Cassio sia tolto di mezzo. Così la strada sarà abbreviata ai vostri desideri, in grazia dei mezzi ch'io avrò allora di favorirli, e sarà rimosso l'ostacolo che ci toglie ogni probabilità di successo.

RODERIGO: Farò quanto dici, se tu mi prepari l'occasione.

IAGO: Garantisco. Troviamoci più tardi in cittadella. Ora debbo sbarcare i bagagli. Addio.

RODERIGO: Addio. (Esce)

IAGO: Che Cassio sia innamorato di lei io lo credo senz'altro. E sarebbe logico che lei fosse innamorata di lui; per lo meno è verosimile. Sebbene io non possa soffrirlo, il Moro ha un carattere costante, nobile, affettuoso, e sarebbe per Desdemona un ottimo marito. Ma io pure sono innamorato di Desdemona. Non per semplice desiderio carnale; benché forse debba accusarmi anche d'un simile peccato. In parte, io l'amo per amore di vendetta. Perché sospetto che l'ingordo Moro mi sia saltato nel letto, il quale pensiero mi rode le viscere come un minerale velenoso. Nulla mi placherà l'animo finché non siamo pari, moglie per moglie; o ammesso che ciò non mi riesca, fino a quando non avrò fatto impazzire il Moro dalla gelosia. Se questo straccioncello di Venezia asseconda i miei piani, Cassio io l'avrò messo con le spalle al muro. Lo calunnierò presso il Moro; perché temo che anche Cassio abbia adoperato il mio berretto da notte.

Così il Moro dovrà ringraziarmi, amarmi e compensarmi, per aver io fatto di lui un egregio asino, ed avergli tolto ogni pace e tranquillità fino a farlo impazzire. L'idea è qui, (si tocca la fronte) sebbene ancora in confuso. La malizia non mostra il suo vero sembiante se non quando è in opera.

(Esce)

 

 

 

SCENA SECONDA - Una strada di Cipro

(Entra un Araldo di Otello, con un proclama. Un gruppo di persone lo segue)

 

ARALDO: E' desiderio di Otello, nostro nobile e prode generale, che i cittadini festeggino la notizia dell'annientamento della flotta turca.

Cominciate le danze e i fuochi di gioia. Che ognuno si dedichi a giuochi e diporti secondo la sua inclinazione. Perché oltre a quella fausta novella, si celebrano oggi le nozze del generale. Tanto era sua volontà che fosse proclamato. Tutte le dispense sono aperte, e c'è piena libertà di passatempi da questa ora delle cinque alla campana delle undici. Che il cielo protegga quest'isola, e il nostro nobile generale Otello! (Escono tutti)

 

 

 

SCENA TERZA - Una sala del Castello

Entrano OTELLO, DESDEMONA, CASSIO, e Seguito)

 

OTELLO: Caro Michele badate voi stesso alle guardie, stanotte. E procuriamo di tenerci negli onorevoli limiti della discrezione.

CASSIO: Iago ha ricevuto gli ordini; ciò nonostante ci guarderò anch'io coi miei occhi.

OTELLO: Iago è fidatissimo. Buona notte, Michele. Domani desidero parlarvi di prima mattina. (A Desdemona) Andiamo, amor mio. Concluso l'acquisto, se ne deve cavare il profitto; quel profitto che non s'è ancora avuto fra noi due. Buona notte.

 

(Escono Otello, Desdemona e il Seguito)

(Entra IAGO)

 

CASSIO: Benvenuto, Iago; andiamo alla nostra guardia.

IAGO: Non ancora, luogotenente. Non sono ancora le dieci. Il generale ci licenziò presto per amore di Desdemona, non lo biasimiamo. Egli non ha ancora goduto una notte d'amore con lei; e quella è un bocconcino degno di Giove.

CASSIO: Una creatura squisita.

IAGO: Piena di ruzzo, ve lo dico io.

CASSIO: Effettivamente, una creatura fresca e delicata.

IAGO: Che occhi! Sembra invitino e sfidino la provocazione.

CASSIO: Occhi seducenti, e al tempo stesso assolutamente modesti.

IAGO: E quando parla, non sembra un dar d'allarmi all'amore?

CASSIO: E' la perfezione incarnata.

IAGO: Benone! Auguri alle loro lenzuola! Venite, luogotenente. Ho un boccale di vino; e qui fuori son due o tre amici di Cipro che vorrebbero toccare il bicchiere alla salute di Otello il nero.

CASSIO: Stasera no caro Iago. Ho una testa disgraziata, in fatto di bere. E vorrei tanto che la moda inventasse qualche passatempo di genere diverso.

IAGO: Ma sono amici! Un bicchiere solo! Berrò io per voi.

CASSIO: Ho bevuto un bicchiere stasera, ben annacquato. Eppure, guardate come mi ha ridotto. E una vera malattia, e non oso cimentarmi a bere dell'altro.

IAGO: Che diamine! E' notte di baldoria. Gli amici lo esigono CASSIO: Dove sono?

IAGO: Qui fuori. Chiamateli, vi prego.

CASSIO: Li chiamerò. Ma mi piace poco. (Esce)

IAGO: Se riesco a mettergli in corpo un altro bicchiere, dopo quello che stasera ha già bevuto, diverrà attaccabrighe e insolente come il cagnolino della mia amica. C'è poi Roderigo, pazzo fradicio, a cui l'amore ha trabaltato il cervello, e stasera ha brindato a Desdemona con un boccale alla volta. E deve montar di guardia. Per completare, ho riscaldato con traboccanti coppe tre giovani di Cipro, spiriti tracotanti, che hanno sempre l'onore in punta alla spada, proprio i tipi che produce quest'isola bellicosa. E son di guardia anche loro.

Nel branco di questi ubriaconi, provocherò Cassio a qualche follia da mettere tutta l'isola in subbuglio. Eccoli che arrivano. Se il risultato corrisponde al disegno, la mia barca filerà senza intoppi, portata dal vento e dalla corrente.

 

(Rientra CASSIO; con lui MONTANO ed alcuni Gentiluomini. Seguono Servi che recano il vino)

 

CASSIO: Dio buono, mi hanno già fatto bere un bicchiere!

MONTANO: Diciamo la verità, un bicchierino. Parola di soldato, che non era più di un quarticello.

IAGO: Vino, oh! (canta)

Facciam tintinnare il bicchier, facciam tintinnare il bicchier!

La vita è una spanna, ma il soldato tracanna.

Facciam tintinnare il bicchier!

Vino, ragazzi !

CASSIO: Bella canzoncina, perdio.

IAGO: La imparai in Inghilterra. Laggiù sì, che bevono! Danesi, Tedeschi o quei pancioni olandesi (su, bevete!), in confronto agli Inglesi, sono zero.

CASSIO: L'Inglese è dunque così gran bevitore?

IAGO: Come se niente fosse, lascia un Danese per morto. Non ha bisogno di mettersi in sudori per annichilire il Tedesco. E costringe l'Olandese a vomitare gli occhi, mentre egli aspetta che gli mescano ancora un boccale.

CASSIO: Alla salute del nostro generale!

 
(Beve)

 

MONTANO: Mi associo a voi, luogotenente: fo onore al vostro invito!

IAGO: O dolce Inghilterra! (canta)

Re Stefano era un degno pari:

Chiestogli un scudo pei calzoni, "Sei soldi - disse - troppo cari", E mise il sarto tra i felloni.

Egli occupava un alto soglio, E tu non sei che un poverello:

Guasto è il paese dall'orgoglio, Stringiti dunque nel vecchio mantello.

Vino, oh !

CASSIO: Ebbene, questa è una canzone più squisita dell'altra.

IAGO: Volete che la ricanti?

CASSIO (ormai ubriaco): No: ritengo indegno del suo rango chi fa coteste cose. Dio è al di sopra di tutti. Ci sono anime che debbon esser salvate, ed anime che non debbono esser salvate.

IAGO: Proprio così, mio luogotenente.

CASSIO: Per parte mia, senza offendere il generale né altri valentuomini, spero d'esser salvato.

IAGO: E così io.

CASSIO: Ma, con vostra licenza, non prima di me. Il luogotenente deve esser salvato prima dell'alfiere. E ora basta: al lavoro. Dio ci perdoni i nostri peccati! Al lavoro, signori. Non crediate ch'io sia ubriaco. Questo è il mio alfiere. Questa è la mia mano destra, e questa la sinistra. Non sono ubriaco. Mi sento abbastanza in gamba, ed ho lo lingua sciolta.

PRIMO GENTILUOMO: Ma certissimo.

CASSIO: Insomma, va tutto bene. Non mettetevi in testa ch'io sia ubriaco. (Esce)

MONTANO: Amici, ai bastioni. Venite, disponiamo la guardia.

IAGO (a Montano): Avete visto quel tipo uscito ora? E' un soldato degno di Cesare, nato per combattere. Ma guardate che vizio gli capita! Un vizio ch'è il preciso equinozio della sua virtù. L'uno dura quanto l'altra. Peccato! Vista la fiducia che Otello gli concede ho gran paura che, una volta o l'altra, in un accesso della sua infermità abbia a suscitare nell'isola qualche grosso guaio.

MONTANO: Ma è spesso così?

IAGO: Quello, per lui, è il preludio del sonno. E se l'ubriachezza non lo cullasse potrebbe restare sveglio anche quarantotto ore.

MONTANO: Sarebbe bene che il generale fosse avvisato. Può darsi che non se ne sia mai accorto, o che la sua bontà, pregiando le virtù di Cassio, non scorga i difetti. Non vi pare?

 

(Entra RODERIGO)

 

IAGO (a parte, a Roderigo): Siete voi, Roderigo? Vi prego, seguite il luogotenente.

 

(Esce Roderigo)

 

MONTANO: Gran danno che il nobile Moro abbia affidato la carica di suo sostituto ad un uomo incallito in un simile vizio. Sarebbe onesto avvertirlo.

IAGO: Non lo farei se mi dessero tutta l'isola in regalo. Voglio bene a Cassio, e farei di tutto per guarirlo. Ma sentite che urli!

 

(Rientra CASSIO, inseguendo RODERIGO. Di dentro si grida: "Aiuto!

Aiuto!")

 

CASSIO: Mascalzone! Villano!

MONTANO: Che c'è, luogotenente?

CASSIO: Questo farabutto vuole insegnare a me il mio dovere! Ma lo caccerò in un fiasco a forza di botte.

RODERIGO: A me?

CASSIO: Che hai da dire, farabutto?

 

(Colpisce Roderigo)

 

MONTANO: Caro luogotenente, vi prego, smettetela.

CASSIO (a Montano): Lasciami stare, o ti spacco la cocuzza.

MONTANO: Calma: siete ubriaco.

CASSIO: Ubriaco? (Si battono)

IAGO (a parte a Roderigo): Animo: andatevene, e gridate a rivolta!

 

(Esce Roderigo) Fermo, luogotenente. Per amor del cielo, signori!

 

Aiuto! Montano! Signori! Montano! C'è toccato un bel turno di guardia!

(Si sente suonare la campana) Chi suona la campana? Che diavolo!

Faranno insorgere tutta la città! Per amor del cielo, luogotenente!

Sarete per sempre disonorato!

 

(Entra OTELLO col suo Seguito)

 

OTELLO: Che succede?

MONTANO: Sangue di Cristo! Son ferito. (Seguitano a battersi)

OTELLO: Fermi tutti, se v'è cara la vita!

IAGO: Fermatevi, oh! Luogotenente! Montano! avete perso ogni senso del luogo e del dovere? C'è qui il generale! Fermatevi: vergogna!

 

(Smettono di battersi)

 

OTELLO: Ebbene, sentiamo. Qual è la cagione di questo scompiglio? Siam forse diventati Turchi per farci tra noi quello che il cielo non ha permesso che i Turchi ci facessero? Come cristiani che siete, vergognatevi, e troncate questa barbara rissa. Chi ancora si muove per sfogare il suo furore, tien l'anima sua in poco conto e morrà al primo gesto. Fate tacere quell'orribile campana, metterà tutta l'isola a soqquadro. Insomma, che è accaduto, signori? Tu, buon Iago, che dal rammarico mi sembri mezzo morto, rispondi: chi ha cominciato? In nome della tua divozione, ti comando di parlare IAGO: Non lo so. Fino a poco fa, tutti amici. Proprio fino a ora.

Tutti a posto e d'accordo, come marito e moglie che si spogliano per andare a letto. D'un tratto, quasi l'influsso d'un pianeta li avesse impazziti, sguainano le spade, torneando l'un contro l'altro in pugna sanguinosa. Non saprei dirvi l'origine di questa sciocca zuffa; e preferirei aver perso in qualche bella impresa le gambe che mi ci hanno portato.

OTELLO: Com'è possibile, Michele, che vi siate obliato così?

CASSIO: Perdonatemi, vi prego; non posso parlare.

OTELLO: E voi, degno Montano, sempre tanto cortese: voi così stimato per la gravità e la saggezza che ornano la vostra gioventù! Il vostro nome è citato ad esempio dai giudici più austeri. Che cosa è accaduto, perché voi lasciate andare la vostra reputazione così, e spendiate l'alta opinione che si ha di voi per il nome di un rissatore notturno?

MONTANO: Prode Otello, io sono gravemente ferito. Il vostro ufficiale, Iago, può informarvi, ed io mi risparmierò le parole, che ora mi costano tanta fatica... Non so di aver detto né fatto nulla di male, stanotte; a meno che la pietà di se stessi sia una colpa; e difendersi dalla violenza che ci assale, sia un delitto.

OTELLO: Ora, per il cielo, il sangue comincia a bollirmi; il furore m'offusca la ragione e vorrebbe travolgermi. Qualora io mi muova, o sollevi appena questo braccio, i migliori tra voi sprofonderanno nel mio rimprovero. Ditemi come cominciò la gazzarra e chi ne fu cagione.

Fosse pure mio gemello, il colpevole sarà come perso per me. Ma via!

In una città ancora in guerra, agitata, e con i cuori del popolo traboccanti di paura, vi mettete a ingaggiare una privata e domestica lite, di notte, nel sicuro recinto del corpo di guardia! E' mostruoso!

Iago, chi ha cominciato?

MONTANO: Se per parzialità, o spirito di corpo, tu alteri la verità, non sei un soldato.

IAGO: Non stringetemi così da presso... Vorrei mi fosse tagliata la lingua, piuttosto che sentirla offendere Cassio. Ma son sicuro che non gli farò torto, anche dicendo la verità. E' andata così, generale:

Montano ed io stavamo parlando; e di corsa giunge un tale che gridava aiuto. Cassio lo inseguiva con la spada per ucciderlo. (Accennando Montano) Questo valente uomo si para di fronte a Cassio; cerca di fermarlo. Io mi do a inseguire quello che gridava per evitare che coi suoi urli come appunto è accaduto - spargesse terrore nella città.

Quegli, svelto di gambe, mi sfuggì. Ed io tornai addietro; ché sentivo cozzare le spade, e Cassio bestemmiare come mai mi era occorso sentirlo prima d'ora. Quando tornai - perché questo è durato poco - li trovai uno sopra all'altro, che si colpivano e si ferivano; proprio come quando voi arrivaste a dividerli. Altro non vi so dire. Gli uomini son uomini, e anche i migliori qualche volta si lasciano andare. Se è vero che Cassio ha avuto torto verso Montano (e quando uno è infuriato, finisce sempre per colpire quelli che gli voglion più bene) è anche certo ch'egli dové ricevere, dall'uomo che è scomparso, un affronto troppo grave perché la sua pazienza lo potesse sopportare.

OTELLO: Capisco, Iago: la tua onestà ed il tuo affetto cercano di attenuare i fatti in favore di Cassio... Cassio! io ti voglio bene; ma da questo momento tu non sei più dei miei ufficiali.

 

(Entra DESDEMONA, col Seguito)

 

Vedete! Anche la mia tenera sposa si è svegliata! (A Cassio) Voglio dare un esempio.

DESDEMONA: Che succede?

OTELLO: Tutto è in ordine ora, amor mio. Torna a letto. (A Montano) Signore, curerò io stesso le vostre ferite. Portatelo via. (Montano è portato via) Tu, lago, vai in giro per la città, ed acqueta coloro che hanno preso spavento da questa rissa indegna. Vieni, Desdemona. E' destino del soldato che il sonno balsamico gli sia interrotto dagli allarmi.

 

(Escono tutti, eccetto Iago e Cassio)

 

IAGO: Siete ferito, luogotenente?

CASSIO: Sì, e nessun medico potrà curarmi.

IAGO: Che il cielo non voglia.

CASSIO: L'onore! L'onore! L'onore! Ho perduto quanto in me era immortale; e ciò che resta è la parte bestiale. Il mio onore, Iago, il mio onore!

IAGO: Sulla mia onestà, avevo creduto foste ferito nel corpo, il quale sente più assai che non l'onore e la reputazione. L'onore è un inutile e falso sopraccarico, spesso ottenuto senza merito e perso senza colpa. Voi non avete perduto l'onore, fino a che non crediate di averlo perduto. Orsù! Il generale, c'è modo di riconquistarselo. E stato il suo malumore a scacciarvi. Una punizione più per politica che per rancore; proprio come di chi battesse il suo cane innocente per intimorire un leone imperioso. Andate a supplicarlo, e vi sarà ancora amico.

CASSIO: Preferirei attizzare il suo disprezzo piuttosto che voler riattirare la fiducia d'un comandante tanto buono su un ufficiale così leggero, ubriacone e scervellato! Ubriacarsi! Chiacchierare come un pappagallo! Attaccar briga! Sfidare a duello! Bestemmiare! Discorrere a vanvera con la propria ombra! Oh, invisibile spirito del vino, se tu non hai un nome a cui rispondere, lascia che ti si chiami demonio.

IAGO: Chi era quello che voi inseguivate con la spada in pugno? Che vi aveva fatto?

CASSIO: Non lo so.

IAGO: Incredibile!

CASSIO: Ricordo molte cose, ma nessuna chiaramente. Ricordo la lite, ma non la cagione. Buon Dio, che gli uomini debbano cacciarsi giù per la gola un nemico che porta via loro il cervello!... Che con gioia, allegrezza tripudio ed applauso, noi dobbiamo così trasformarci in bruti!

IAGO: Ma ora state già meglio. Come avete fatto a rimettervi?

CASSIO: E' piaciuto al diavolo dell'ubriachezza di cedere il posto a quello della collera. Un vizio scopre l'altro, per convincermi a disprezzare me stesso.

IAGO: Siete un moralizzatore troppo severo. Considerando le circostanze, il luogo e le condizioni del paese, vorrei di cuore che tutto ciò non fosse accaduto, ma poiché le cose ormai stanno così, cercatevi un rimedio per il vostro bene.

CASSIO: Quando gli richiederò il mio posto, risponderà che io sono un ubriacone. Anche se avessi tante bocche quante l'Idra, questa risposta me le tapperebbe tutte! Pensare che, a momenti, uno è un uomo assennato, e di lì a poco uno sciocco e poi subito una bestia. Cose strane! Ogni bicchiere di troppo è maledetto, e contiene essenze infernali.

IAGO: Ma andiamo! Il buon vino è un buono spiritello familiare, usandone bene. Non inveite più contro di lui. Mio buon luogotenente, spero che del mio affetto siate sicuro.

CASSIO: Ne ho avuto prove. Ubriaco: ma ci pensate?

IAGO: A qualsiasi essere vivente può succedere una volta d'ubriacarsi!

Ma ecco che cosa dovete fare... La moglie del generale è ora il vero generale: nel senso ch'egli s'è in tutto e per tutto sprofondato nell'osservare, contemplare ed enumerare le virtù e grazie della moglie. Confidatevi con lei. Chiedetele che vi aiuti a farvi riottenere il posto. Ella è d'indole così liberale, così trattabile, così benigna, così angelica, che tien per un vizio della sua bontà il non far più di ciò di cui è richiesta. Questo screzio tra voi e suo marito, pregatela di medicarlo lei stessa, e scommetto contro qualsiasi cosa la mia fortuna, che da questo incidente la vostra amicizia col Moro uscirà più salda che mai.

CASSIO: Mi date un buon consiglio...

IAGO: Il consiglio dell'amicizia sincera e dell'onesta benevolenza.

CASSIO: Così credo. E domani, di buon'ora, andrò a supplicare la virtuosa Desdemona che interceda per me. Perderò ogni speranza, se la fortuna mi abbandona in questo punto.

IAGO: Avreste ragione. Buona notte, luogotenente. Sono di ronda.

CASSIO: Buona notte, caro Iago.

 

(Esce Cassio)

 

IAGO: Chi potrà dire ch'io faccio il furfante, quando i consigli che do sono disinteressati, onesti, conformi alla logica; e veramente tracciano la via per riconquistare il Moro? Nulla può essere più facile che ottenere l'aiuto di Desdemona in una causa giusta. Ella ha la generosità degli elementi naturali. Per lei è nulla convincere il Moro, fosse pure a rinnegare il battesimo e tutti i crismi e simboli della redenzione. L'anima del Moro è legata a lei, al punto ch'ella può fare e disfare quanto le aggrada; la sua volontà è come quella di un dio, sulla debole natura del Moro. Perché sarei dunque un birbante, consigliando a Cassio questa via parallela che mena diritta al suo bene? Divinità dell'inferno! Quando i diavoli vogliono indurre ai più neri peccati, cominciano appunto col suggerirli su un tono celeste, come io faccio ora. E mentre questo scioccone persuaderà Desdemona a riconquistargli favore, ed ella sosterrà ardentemente la sua causa, io verserò nell'orecchio del Moro la velenosa insinuazione ch'ella voglia il richiamo di Cassio, ma per desiderio carnale. Quanto più ella si sforzerà di fare il bene di Cassio, tanto più si rovinerà presso il Moro. Così trasformerò la sua virtù in una pece d'inganni; e della sua stessa bontà, tesserò la rete che li stringerà tutti.

 

(Entra RODERIGO)

 

Ebbene, Roderigo?

RODERIGO: Mi sembra che in questa caccia, io non fo la parte del cane che punta, ma d'uno di quei tanti che stanno a far numero ed abbaiare.

Ho speso quasi tutto il mio denaro. Stanotte ne ho toccate quante ne ho volute. La conclusione sarà che ci guadagnerò un po' d'esperienza, e me ne tornerò a Venezia con più giudizio ma senza quattrini.

IAGO: Quant'è disgraziato chi non sa aver pazienza! Quale ferita risana se non a poco a poco? Sai bene che noi lavoriamo con l'ingegno e non con la magia; e l'intelligenza ha bisogno di tempo. Ti pare che tutto non vada per il meglio? E' vero che Cassio ti ha picchiato; ma tu, per una sbucciatura da nulla, l'hai fatto licenziare. Benché altre cose crescano belle sotto il sole pure i frutti che prima fioriscono saran prima maturi. Contentati per ora. E' giorno perbacco. Il piacere e l'azione accorciano il tempo. Vattene a letto. Vai a casa. Vai, ti dico: e avrai presto altre notizie. Ma vattene. (Esce Roderigo) Restano altre due cose da fare. Mia moglie deve parlare di Cassio alla sua padrona: le dirò di farlo. Ed io chiamerò il Moro in disparte, conducendolo giusto giusto dove possa sorprendere Cassio, nel momento in cui questi sollecita sua moglie. E' questa la via. Non lasciamo freddare l'idea tra gli indugi.

(Esce)

 

 

 

ATTO TERZO

 

SCENA PRIMA - Cipro. Davanti al Castello

(Entra CASSIO con alcuni Sonatori e il Buffone. Mattina)

 

CASSIO: Maestri, mettetevi qui. Vi compenserò le vostre fatiche. Su, qualcosa di breve; e dite: "ben alzato, generale". (Musica)

BUFFONE: Scusate, signori, vengono da Napoli i vostri strumenti che parlano così col naso?

PRIMO MUSICANTE: Cosa dite, cosa dite?

BUFFONE: Sarebbero strumenti a fiato, nevvero?

PRIMO MUSICANTE: Che domande!

BUFFONE: Già, e qui ciondola la coda.

PRIMO MUSICANTE: Ma dove mai vedete una coda, signore?

BUFFONE: Vedo pendere la coda da molti strumenti a fiato di mia conoscenza. Maestrini cari: questi sono soldi per voi. Il generale apprezza talmente la vostra musica, che vi prega, in nome d'ogni affetto, di non far più rumore con essa.

PRIMO MUSICANTE: Va bene, signore, non ne faremo più.

BUFFONE: Se però sapete qualche arietta che non si senta, seguitate pure. In parole povere, il generale, alla musica, non ci tien molto.

PRIMO MUSICANTE: Ariette mute, non ne abbiamo.

BUFFONE: Riponete dunque le pive nel sacco; volate, svanite nell'aria!

Via!

 

(Escono i Musicanti)

 

CASSIO: Mi ascolti, mio onesto amico?

BUFFONE: Non ascolto nessun vostro onesto amico. Ascolto voi.

CASSIO: Ti prego, con queste facezie. To' una monetina d'oro. Se la dama di compagnia di Desdemona è già alzata, dille che è qui un certo Cassio, e le chiede due parole. Vuoi fare questo per me?

BUFFONE: E' alzata, signore. E se verrà fin qui mi disporrò a comunicarglielo.

CASSIO: Te ne ringrazio.

 

(Esce il Buffone. Entra IAGO)

 

Voi arrivate a proposito.

IAGO: Ma non siete neanche andato a letto?

CASSIO: No. Prima che ci separassimo, il giorno era già spuntato.

Iago, mi son preso la libertà di mandare qualcuno da vostra moglie:

vorrei pregarla d'ottenermi un colloquio con la buona Desdemona.

IAGO: Ve la chiamo subito. E studierò un pretesto per tirare il Moro fuori strada, affinché possiate parlare comodamente.

CASSIO: Umilmente ringrazio. (Esce Iago) Non ho mai conosciuto un fiorentino più gentile e galantuomo.

 

(Entra EMILIA)

 

EMILIA: Buon giorno, luogotenente. Il vostro infortunio mi affligge; ma presto tutto sarà accomodato. Il generale e sua moglie stanno appunto parlandone ed ella vi difende con ardore. Il Moro risponde che l'uomo da voi ferito ha gran fama nell'isola, ed un vasto parentado. E che, per politica, egli dové punirvi. Ma assicura di volervi assai bene, e di non aver bisogno d'altre raccomandazioni oltre la sua simpatia, per chiappare a volo la prima occasione plausibile, e restituirvi il vostro grado.

CASSIO: In ogni modo, vi supplico, se lo credete fattibile e opportuno: ottenetemi un breve colloquio da solo con Desdemona.

EMILIA: Entrate, vi prego. Farò in modo che potrete parlare a cuore aperto.

CASSIO: Molto obbligato.

 

(Escono)

 

 

 

SCENA SECONDA - Una stanza del Castello

(Entrano OTELLO, IAGO e Gentiluomini)

 

OTELLO: Iago, porta questa lettera a bordo, ed insieme i miei ossequi pel Senato. Io passeggerò sui bastioni; vieni a raggiungermi là.

IAGO: Così farò, signor mio.

OTELLO: Questa fortificazione, signori, vogliamo andare a visitarla?

GENTILUOMO: Noi siamo agli ordini della Grazia Vostra.

 
(Escono)

 

 

 

SCENA TERZA - Davanti al Castello

(Entrano DESDEMONA, CASSIO ed EMILIA)

 

DESDEMONA: State tranquillo caro Cassio: farò quanto è in me a vostro favore.

EMILIA: Fatelo, buona signora. Vi assicuro che questa faccenda tormenta mio marito, come se si trattasse di lui stesso.

DESDEMONA: Che brav'uomo è quello! Cassio, non dubitate: otterrò che voi e il signor mio torniate più amici di prima CASSIO: Generosa signora, qualunque cosa sia di Michele Cassio, egli resterà sempre il vostro fedel servitore.

DESDEMONA: Lo so, e vi ringrazio. Voi siete affezionato al mio signore, da lungo tempo lo conoscete. State sicuro che l'eclisse non durerà più di quanto lo richieda la politica.

CASSIO: E' vero, ma questa politica potrebbe protrarsi o nutrirsi d'una dieta così liquida e delicata, o anche rafforzarsi per via di circostanze; in maniera che, essendo io assente e il mio posto occupato, il generale finirà per scordarsi dei miei servigi e di me!

DESDEMONA: Non temete. Qui, alla presenza di Emilia, vi garantisco che riavrete il vostro posto. E se io prometto a un amico, state certo che mantengo fino all'ultimo. Il mio signore non avrà più riposo; lo punzecchierò finché non avrà ceduto, gli parlerò da fargli perdere la pazienza. Il letto gli diventerà una scuola, e la mensa un confessionale. In tutte le sue cose, farò entrare la supplica di Cassio. Insomma, state lieto. Il vostro avvocato morirà, piuttosto che abbandonare questa causa.

 

(OTELLO e IAGO, in distanza)

 

EMILIA: Ecco il generale.

CASSIO: Signora, tolgo licenza.

DESDEMONA: Ma no, restate pure e sentitemi parlare.

CASSIO: Non ora, signora. Sono poco in tono; e incapace a giovare al mio proprio interesse.

DESDEMONA: Come volete.

 

(Esce Cassio)

 

IAGO: Ah, questo non mi piace!

OTELLO: Come dici?

IAGO: Niente, signore. O piuttosto... non so bene...

OTELLO: Non era Cassio che ora salutava mia moglie?

IAGO: Cassio? No di certo. Non potrei credere che sarebbe sgattaiolato via come un colpevole a vedervi arrivare.

OTELLO: Mi pareva proprio lui.

DESDEMONA: Ebbene, signor mio! Stavo parlando con un postulante: con uno che langue d'aver perduto il vostro favore.

OTELLO: Chi intendete?

DESDEMONA: Cassio, il vostro luogotenente! Mio buon signore: se ho qualche grazia o potere presso di voi, riconciliatevi con Cassio.

Perché se egli non è uno che vi ama di cuore, e che ha errato sì, ma non per malizia, vuol proprio dire che io non so distinguere una fisionomia di galantuomo. Richiamalo, ti prego!

OTELLO: E' andato via di qui adesso?

DESDEMONA: Ed era così abbattuto, che m'ha lasciato parte del suo dolore, sicché io soffro con lui. Caro amore, perdonalo.

OTELLO: Non ora, dolce Desdemona. In altro momento.

DESDEMONA: Ma presto?

OTELLO: Più presto possibile, amore, se per farti piacere.

DESDEMONA: Allora, stasera a cena.

OTELLO: No, non stasera.

DESDEMONA: Domani a desinare?

OTELLO: Domani sarò fuori. Devo trovarmi coi capitani su alla cittadella.

DESDEMONA: Dunque, domani sera. O martedì mattina. O martedì al pomeriggio, o la sera; oppure mercoledì mattina! Dimmi quando, ti prego. Ma che non sia oltre tre giorni. Cassio è davvero pentito; e del resto, secondo la nostra comune ragione - se non che, dicono, la guerra deve dare esempi nei suoi migliori - è sì e no una colpa da rimproverare a quattr'occhi. Quando potrà tornare? Ditemelo, Otello:

io mi domando nell'anima mia, che cosa voi potreste chiedermi ch'io potessi negare, o star così esitando. Ma pensate! Michele Cassio, che vi accompagnava sempre quando mi corteggiavate, e che tante volte prendeva le vostre difese se io non parlavo bene di voi! E devo faticar tanto a farlo riammettere! Credetemi, io posso far molto...

OTELLO: Basta, ti prego. Che torni quando gli pare. Io non ti voglio negar niente.

DESDEMONA: Ma non è una grazia, quella che ho chiesta. E' come se vi avessi pregato di mettervi i guanti, di nutrirvi bene, di non prender freddo, o d'una qualsiasi attenzione alla vostra salute. Quando vorrò un favore con cui veramente provare il vostro affetto, allora sarà cosa importante, grave e pericolosa a donare.

OTELLO: Non voglio rifiutarti nulla, e tu concedimi questo: lasciami un momento solo.

DESDEMONA: Come lo negherei? Addio, mio signore.

OTELLO: Addio, Desdemona: sarò da te subito.

DESDEMONA: Emilia, vieni. Siate come vi detta il vostro umore:

comunque voi siate, io sono obbediente.

 

(Escono Desdemona ed Emilia)

 

OTELLO: Eccellente creatura! Che la mia anima vada in perdizione: ma come io l'amo! E quando non l'amerò più, sarà la fine del mondo.

IAGO: Mio nobile signore...

OTELLO: Che vuoi dirmi, Iago?

IAGO: Quando corteggiavate la signora, Michele Cassio era al corrente del vostro amore?

OTELLO: In tutto e per tutto. Perché lo domandi?

IAGO: Soltanto per chiarirmi un mio pensiero. Null'altro.

OTELLO: Che pensiero era il tuo?

IAGO: Non credevo l'avesse conosciuta avanti.

OTELLO: Ma certo: e spesso faceva la spola tra noi due.

IAGO: Davvero?

OTELLO: Davvero! Sì, davvero! Cosa c'è da ridire? Cassio non è un uomo onesto?

IAGO: Onesto, signore?

OTELLO: Onesto, sì, onesto.

IAGO: Per quello che io sappia.

OTELLO: Insomma, che cosa pensi?

IAGO: Cosa penso, signore?

OTELLO: Che cosa penso, che cosa penso! Perdio! Costui mi fa l'eco:

come se nel suo pensiero nascondesse un mostro troppo orrendo per farlo vedere. Tu hai in corpo qualcosa. Or ora, quando Cassio si congedò da mia moglie, tu bisbigliavi: "Questo non mi piace". Cosa non ti piaceva? E quando t'ho detto che Cassio fu mio confidente nel mio fidanzamento, tu hai esclamato: "Davvero?" corrugando la fronte come se nei tuo cranio tu sigillassi un terribile sospetto. Spiegati chiaro, se mi vuoi bene.

IAGO: Signore: ma lo sapete che vi voglio bene!

OTELLO: Lo credo: ed appunto perché ti so onesto e affezionato, e perché le parole, prima di dirle, so che tu le pesi, queste tue esitazioni mi fanno paura. In un farabutto, son comuni artifici: ma in un uomo giusto, sono avvertimenti segreti d'un cuore che non si lascia dominare dalle proprie emozioni.

IAGO: Quanto a Cassio, mi attengo a giurare ch'io credo sia un galantuomo.

OTELLO: Così credo anch'io.

IAGO: Gli uomini dovrebbero essere quello che sembrano; o se no, non sembrare neppure uomini.

OTELLO: Proprio così: dovrebbero essere quello che sembrano.

IAGO: E dunque, io credo che Cassio sia un galantuomo.

OTELLO: Ma c'è sotto qualche altra cosa. Parlami come tu parli a te stesso nei tuoi pensieri, nelle tue cogitazioni, ti prego: da' ai tuoi pensieri peggiori le peggiori parole.

IAGO: Perdonatemi, mio buon signore: io vi debbo obbedienza. Non sono però tenuto a forme d'obbedienza da cui sono esonerati perfino gli schiavi. Svelare i miei pensieri! Ma supponiamo che siano vili e sbagliati! Perché, in quale palazzo non strisciano talvolta esseri immondi? Chi ha un cuore così puro, che qualche sozzo sospetto non possa tenervi udienza, e sedere in tribunale accanto alle meditazioni legittime?

OTELLO: Iago, tu cospiri contro di me: mentre supponi che mi si faccia torto, mi nascondi tuttavia i tuoi pensieri...

IAGO: Ah, vi scongiuro! Perché è anche possibile che io m'inganni. Lo confesso: è una maledizione della mia natura razzolare nel male, e così crearmi spesso l'immagine di colpe inesistenti... Supplico dunque la vostra saggezza di non prestar fede ad un uomo per niente perspicace; e di non tormentarvi basandovi sulle sue osservazioni malsicure e stravaganti. Non servirebbe alla vostra quiete e felicità, né al decoro mio ch'io vi mettessi a parte dei miei pensieri.

OTELLO: Cosa intendi?

IAGO: La buona reputazione, signore, sia per l'uomo che per la donna, è il più spirituale gioiello. Se uno mi ruba la borsa, ruba dei soldi; è qualcosa e non è nulla; erano miei, ora son suoi, come già furono di mille altri. Ma chi mi truffa il buon nome mi porta via qualcosa che non arricchisce lui e fa di me un miserabile.

OTELLO: In nome d'Iddio, voglio sapere che cosa intendi.

IAGO: Non vi riuscirebbe nemmeno se stringeste nel pugno il mio cuore.

Né io consentirò, finché sia in poter mio.

OTELLO: Ah!

IAGO: Guardatevi dalla gelosia, mio signore! E un mostro d'occhi verdi, che dileggia la vittima di cui si pasce. Vive felice il cornuto, che, conscio della propria sorte, non ama colei che lo tradisce; ma, oh! che vita d'inferno per chi è innamorato mentre pur dubita, e sospetta al medesimo istante che adora!

OTELLO: O agonia!

IAGO: Chi è povero e contento è ricco, e ricco assai. Ma l'infinita ricchezza è più grama dell'inverno a chi sempre teme d'impoverire.

Buon Dio, libera dalla gelosia le anime dei miei amici.

OTELLO: Perché dici questo? Credi ch'io vorrei farmi la vita d'un geloso, inseguendo i capricci della luna con continui sospetti? Per niente. Dubitare anche una sola volta significa già essere decisi.

Ch'io diventi un caprone, se mi turberanno supposizioni svaporate ed inette come quelle cui alludi. Non può farmi geloso, se diranno che mia moglie è bella, e che vuol mangiar bene, che ama la compagnia, parla liberamente, e canta e suona e balla a perfezione. Quando c'è la virtù, tutte queste son cose virtuose. E nemmeno la pochezza delle mie doti desterà in me il più piccolo sospetto d'esser tradito da lei: mia moglie, infatti, aveva occhi per scegliere, e scelse me. No, Iago.

Voglio vederci chiaro, prima di sospettare. Se ho un dubbio, voglio la prova. Ma avuta la prova non resta che questo: dir subito addio alla gelosia e all'amore.

IAGO: Questo va bene. Perché così avrò ragione di dimostrarvi più liberamente l'affetto e devozione che vi porto. Io non parlo ancora di prove. Ma tenete d'occhio vostra moglie, studiatela quando è con Cassio; e che i vostri occhi non siano né gelosi né troppo sicuri. Non vorrei che la vostra natura, così nobile e aperta, si lasciasse ingannare per bontà. Dunque, attento. Li conosco bene i miei conterranei. A Venezia, le donne confidano al cielo i capricci che non osano mostrare ai mariti, e la loro onestà non consiste nel non fare una cosa ma nel tenerla nascosta.

OTELLO: E' questa la tua opinione?

IAGO: Ella ingannò suo padre, sposandovi. E pareva temesse e tremasse di voi, quando più vi agognava OTELLO: E' vero.

IAGO: Concludiamo. Quella che così giovane simulò tanto bene da cucire a refe doppio gli occhi del padre, cosicché egli andava perfino ad almanaccare di stregonerie... Ma ho torto di parlare così. Vi supplico umilmente, perdonatemi se vi son troppo affezionato.

OTELLO: Ti sarò sempre riconoscente.

IAGO: Vedo bene che tutto ciò vi ha un po' scosso.

OTELLO: Affatto.

IAGO: Temo di sì. Spero terrete conto che quanto ebbi a dirvi fu dettato dall'affetto. Ma vedo che siete agitato. Vi prego, non date alle mie parole un senso più deciso, una portata maggiore, che di semplice indizio.

OTELLO: Non lo farò.

IAGO: Se lo faceste, il mio discorso finirebbe per avere un perfido risultato, che non è nelle intenzioni... Cassio è un ottimo amico...

Signore mio, ma voi siete turbato.

OTELLO: No, non tanto. La mia convinzione è che Desdemona è onesta.

IAGO: Che tale viva a lungo! Ed a lungo possiate vivere voi a crederla tale!

OTELLO: Benché una natura che comincia a deviare...

IAGO: Questa è la questione. Tanto per esser franco con voi... Per esempio quell'aver rifiutato i partiti che le furono offerti: giovani della sua città, della sua razza, del suo ambiente; tutte cose che corrispondono alle tendenze naturali... Perché ciò non farebbe subodorare un istinto alterato, una sorta di obliqua depravazione, pensieri contro natura?.. Perdonatemi. Non pretendo parlare specialmente di lei; per quanto sia a temersi che, con un giudizio più posato, ella possa essere spinta a paragonarvi alle genti del suo paese, e forse pentirsi.

OTELLO: Addio. Se noterai qualche altra cosa, fammelo sapere. E metti anche tua moglie sull'intesa. Ora lasciami, Iago.

IAGO (allontanandosi): Signore, prendo commiato.

OTELLO: Ma perché mi sposai? Non c'è dubbio che questo brav'uomo vede e sa più, molto più, che non dimostri.

IAGO (tornando indietro): Vorrei persuadere Vostra Grazia a non investigare più oltre, in questa faccenda. Lasciate fare al tempo. E' giusto che Cassio riprenda il suo comando, perché effettivamente lo regge con gran capacità. Tuttavia, il tenerlo lontano ancora un poco, potrebbe servirvi a capir meglio l'uomo e i suoi espedienti. E osservate se la signora seguita a perorare per lui. Da ciò si potrebbero arguire varie cose. Ma in conclusione: pensate anche ch'io esagero nelle mie paure, come io stesso ho buone ragioni di temere. E vi supplico: giudicatela innocente.

OTELLO: Non temere della mia prudenza.

IAGO: Ancora una volta prendo commiato.

 
(Esce)

 

OTELLO: Egli è di onestà perfino eccessiva; e sa penetrare, con acuta esperienza, i segreti della condotta umana. Ma se avrò la prova ch'ella è un falco selvaggio, anche se le sue pastoie fossero le preziose corde del mio cuore, la scaglierò lontana, sui venti alla sua sorte. Forse perché sono nero, e non ho tutti quei vezzi di parole che hanno i damerini... o perché discendo la vallata degli anni... forse per questo, per questo poco, l'ho perduta. Sono tradito, e il mio unico sollievo sarà detestarla. Maledizione del matrimonio... e che si possano chiamare nostre queste dolci creature, ma non i loro appetiti.

Vorrei essere un rospo e vivere dei miasmi d'una fogna, anziché lasciare nella creatura che amo un angolo per uso degli altri. E' la condanna degli esseri potenti, in ciò meno fortunati della gente vile.

Destino inevitabile, come la morte. Il flagello cornuto ci viene imposto dal fato quando vediamo la luce. Eccola che viene.

 

(Entrano DESDEMONA ed EMILIA)

 

S'ella è infedele, oh, allora il cielo si burla di se stesso. Ma non voglio crederlo!

DESDEMONA: E dunque, Otello caro? La mensa ed i nobili isolani da voi invitati attendono la vostra presenza.

OTELLO: Avete ragione: io sono in colpa.

DESDEMONA: Come mai la voce sì fioca? Non state bene?

OTELLO: Ho un dolore qui in fronte...

DESDEMONA: Dipenderà dalla lunga veglia. Lasciate che vi fasci, e tra un'ora è passato.

OTELLO: Il vostro fazzoletto è troppo piccolo. (Respinge il fazzoletto. Desdemona lo lascia cadere) Lasciate andare, vengo con voi.

DESDEMONA: Mi dispiace molto che non stiate bene.

 

(Escono Otello e Desdemona. Emilia raccoglie il fazzoletto)

 

EMILIA: Son felice d'aver trovato questo fazzoletto. E' il primo ricordo ch'ella ebbe dal Moro. Cento volte il mio bizzarro marito mi aveva istigata a rubarglielo; ma ella gli è tanto affezionata, perché lui la scongiurò che dovesse sempre serbarlo, e lo portava sempre addosso, per baciarlo e parlarci. Ne farò ricopiare uno eguale, e lo darò a Iago. Sa il cielo cosa vuol farne. Ma voglio soddisfare questo suo capriccio.

 

(Entra IAGO)

 

IAGO: Ebbene? Che fai qui sola?

EMILIA: Non brontolate. Ho qualcosa per voi.

IAGO: Qualcosa per me? E' già una cosa molto comune...

EMILIA: Che cosa?

IAGO: Avere una moglie imbecille.

EMILIA: Questo soltanto? E ora che mi darete se vi do il fazzoletto?

IAGO: Che fazzoletto?

EMILIA: Che fazzoletto! Ma via: quello che il Moro regalò a Desdemona, e che tante volte mi diceste di rubare.

IAGO: Gliel'hai rubato?

EMILIA: No: parola d'onore. Le cadde inavvertitamente: per fortuna io ero lì e lo raccolsi. Guardate.

IAGO: Sei una brava figliuola. Su, dammelo!

EMILIA: Cosa ne volete fare, che tanto vi premeva lo rubassi?

IAGO (strappandole il fazzoletto di mano): E a te, che te ne importa?

EMILIA: Se non è per qualcosa d'importante, rendetemelo subito. Povera signora, che non avrà pace quando non lo troverà più.

IAGO: Tu, fingi di non saper nulla. So io cosa farne. E ora vattene.

Lasciami. (Esce Emilia) Farò in modo di perdere questo fazzoletto in casa di Cassio, affinché egli lo trovi. Bagattelle sottili come l'aria, per i gelosi son come prove della Sacra Scrittura; e il fazzoletto servirà. Già il Moro sta cambiando colore sotto il mio veleno. Quei suoi tetri pensieri sono altrettanti tossici dei quali in principio non si sente l'amaro, ma che appena toccano il sangue l'abbruciano come zolfo. Lo dicevo io! Eccolo.

(Entra Otello) Né il papavero, né la mandragora, né tutti i narcotici del mondo, ti renderanno il dolce sonno che fino a ieri era tuo.

OTELLO: Avermi potuto tradire!

IAGO: Ma su, generale! Sempre questa storia!

OTELLO: Vattene! Sei tu che mi hai messo alla tortura! Giuro che è meglio esser tradito davvero, che saperlo sì e no.

IAGO: Che c'è di nuovo signore?

OTELLO: Che ne sapevo delle sue ore furtive di lussuria? Non vedevo, non pensavo e non soffrivo. La notte dormivo tranquillo ero libero e felice. Non trovavo i baci di Cassio sulle sue labbra. Chi è stato derubato, finché non sente mancargli ciò che gli portano via, basta non dirgli niente, ed è come se non l'avessero affatto derubato.

IAGO: Mi duole che parliate così.

OTELLO: Sarei stato contento se anche tutti i soldati dell'accampamento, zappatori compresi, avessero gustato il suo dolce corpo. Purché io non lo sapessi. Ed ora addio per sempre alla pace dell'anima! alla serenità! Addio battaglioni piumati e grandi guerre, dove l'ambizione diventa virtù! Addio! Addio al destriero annitrente!

Alla tromba che squilla, al tamburo che esalta il coraggio, al suono penetrante del piffero, alle regali bandiere, e a tutti i sensi d'orgoglio, di pompa e di parata nella guerra gloriosa! E a voi, macchine dispensatrici di morte, che emulate la folgore di Giove immortale, addio! ll compito di Otello è finito!

IAGO: Possibile, signore?

OTELLO: Maledetto! Vedi tu di provarmi che l'amor mio è una prostituta; ma che io possa vederlo con questi occhi. O, per la mia anima eterna, sarebbe stato meglio tu fossi nato cane, anziché subire la mia vendetta.

IAGO: Siamo a tanto?

OTELLO: Ch'io veda coi miei occhi; o abbia almeno una prova, dove non siano ganci né anelli da appendervi il minimo dubbio. O guai a te, Iago!

IAGO: Mio nobile signore...

OTELLO: Se tu l'hai calunniata e hai messo me alla tortura, non stare a pregare mai più. Lascia ogni scrupolo, accumula orrori su orrori; commetti azioni da far piangere il cielo e stupire la terra. Ché alla ma dannazione non potrai aggiungere nulla di più enorme.

IAGO: Che il cielo mi protegga! Ma siete voi un uomo? Avete anima, discernimento? Riprendetevi la carica che mi deste, e che Dio v'assista. Miserabile idiota, che ho vissuto per vedere incolpata la mia onestà. Mondo mostruoso! Annòtati, annotati, o mondo, com'è imprudente essere onesti e leali. Vi ringrazio del guadagno che ci ho fatto. D'ora innanzi non voglio più amici, se dall'affetto debbono nascere simili oltraggi.

 

(Si muove per andarsene)

 

OTELLO: Rimani. Forse tu sei onesto!

IAGO: Sarebbe meglio se fossi furbo! L'onestà è una pazzia che si fa nemici quelli per cui lavora.

OTELLO: Per Giove, credo che mia moglie sia onesta, e che non lo sia.

Che tu sia leale, e che non lo sia. Io ho bisogno di prove. Il suo nome ch'era limpido come il viso di Diana, ora è sozzo e fuligginoso come la mia faccia. Se vi son corde, coltelli, fiamme, veleni, correnti che soffocano: che io non patisca più così! Oh, avessi la certezza!

IAGO: Veggo, signore, che siete divorato dalla passione; e mi pento di averla suscitata. La certezza, vorreste?

OTELLO: Vorrei? La voglio!

IAGO: E potete. Ma come? Che prova vi occorre? Vorreste voi, come un grottesco soprintendente, assistere a bocca aperta, mentre lui la prende?

OTELLO: Morte e dannazione!

IAGO: Ritengo che sarebbe uggioso e difficile condurli a questo punto.

Al diavolo se li vedranno mai giacere insieme altri occhi che i loro.

E allora? Che facciamo? Cosa dirvi? Dove sta la certezza? E' impossibile che quella cosa la vediate mai: fossero anche lascivi come capre, insaziabili come scimmie, violenti come lupi in calore, e più brutali di due villani ubriachi. Ma se probabilità e circostanze tali da condurre direttamente alla soglia della verità possono darvi una certezza, codeste le potrete avere.

OTELLO: Dammi una viva ragione ch'ella m'è infedele.

IAGO: Non mi piace codest'ufficio. Ma ormai la sciocca onestà e l'affezione mi hanno tanto fatto parlare, che vi dirò ancora qualcosa.

Ultimamente dormivo con Cassio, ma un furioso mal di denti non mi lasciava chiuder occhio. Ci sono uomini d'animo talmente molle, che nel sonno borbottano tutti i fatti loro. Così Cassio. E nel sonno diceva: "Dolce Desdemona, siamo prudenti! Teniamo nascosto il nostro amore". O mi afferrava la mano e la stringeva esclamando: "Creatura soave!". E mi baciava, ma così forte come se dalle radici strappasse dei baci che crescessero sulle mie labbra. Premendo della sua la mia coscia, sospirava, mi baciava ancora e gridava: "Maledetto destino che ti dette a quel Moro!".

OTELLO: Orrore! Orrore!

IAGO: Ma era un sogno di Cassio.

OTELLO: Un sogno che denuncia cosa già avvenuta!

IAGO: Piuttosto: un indizio impressionante, ma in veste di sogno. Che potrà certo convalidare altre prove, di per sé troppo fragili.

OTELLO: Io la farò a pezzi!

IAGO: State calmo. Ancora non c'è nulla di concreto. Ancora potrebbe essere innocente. Ditemi soltanto: vedeste mai a vostra moglie un fazzoletto ricamato a fragole?

OTELLO: Gliene detti uno io, e fu il mio primo regalo.

IAGO: Questo non so. Ma oggi Cassio si asciugava la barba con un fazzoletto simile, che sono sicuro era di vostra moglie.

OTELLO: Se fosse quello...

IAGO: O quello, o un altro che fosse suo, varrà contro lei, insieme alle altre prove.

OTELLO: Se quell'infame avesse quarantamila vite! Perché una è troppo misera, troppo debole, alla mia vendetta. Ora capisco che è vero!

Guarda, Iago: così soffio e disperdo nell'aria il mio folle amore...

E' sparito. Sorgi, vendetta, di fondo alla tua nera spelonca. Amore, rinuncia alla tua corona ed al trono nel mio cuore, dove s'insedia l'odio tiranno. Il mio petto si gonfia di serpenti.

IAGO: Frenatevi.

OTELLO: Sangue! Sangue! Sangue!

IAGO: Prudenza, invece: perché il vostro animo potrebbe cambiare.

OTELLO: Mai, Iago. Come la gelida corrente ed il corso impetuoso del mare Pontico non indietreggiano per la marea ma vanno innanzi diritti verso la Propontide e l'Ellesponto: così i miei pensieri sanguinosi, nel loro corso violento, non mai guarderanno addietro, né caleranno in umile amore, finché una vendetta immensa e totale non li travolga. Per quel cielo di marmo (s'inginocchia), ecco, in piena reverenza al mio voto, qui impegno la mia parola.

IAGO (s'inginocchia): Non alzatevi. Siatemi testimoni, eterne luci celesti, e voi elementi che vegliate d'intorno; testimoniate che Iago consacra ogni forza del suo ingegno, delle sue mani e del cuore, al servizio di Otello tradito! Ch'egli ordini, e la mia obbedienza sarà scrupolosa, anche se gli ordini vogliono sangue.

 

(Si alzano)

 

OTELLO: Saluto la tua fedeltà non con inutili ringraziamenti ma con un'accettazione completa, e da questo istante ti metto all'opera.

Entro tre giorni, voglio tu mi dica che Cassio non è più.

IAGO: L'amico mio è già come morto; ciò che volete sarà fatto. Ma lasciate che ella viva!

OTELLO: Sia invece dannata, turpe bagascia! Dannata! Vieni con me, via di qui! Voglio procurarmi un fulmineo mezzo di morte per quel demonio dal viso bello. Tu sei ii mio luogotenente.

IAGO: Son vostro per sempre.

(Escono)

 

 

 

SCENA QUARTA - Davanti al Castello

(Entrano DESDEMONA, EMILIA e il Buffone)

 

DESDEMONA: Sapete dirmi, messere, dove dorme il luogotenente Cassio?

BUFFONE: Mai oserò dire che dorma in qualche posto.

DESDEMONA: E perché, mio brav'uomo?

BUFFONE: Perché è un soldato. E a dire d'un soldato che egli dorme, c'è da beccarsi una pugnalata.

DESDEMONA: Su via, dove alloggia?

BUFFONE: Ma dirvi dove alloggia è come dirvi che dorme.

DESDEMONA: Possibile cavarne qualcosa? Cercatelo, vi prego! Ditegli di venire qui subito. Ditegli che ho interessato per lui il mio signore, e spero che tutto vada bene.

BUFFONE: Questo è nelle possibilità dell'umano raziocinio, e mi proverò a farlo.

 
(Esce)

 

DESDEMONA: Emilia, dove avrò perso il fazzoletto?

EMILIA: Non saprei, mia signora.

DESDEMONA: Avrei preferito perdere la borsa con tutto il denaro. E se il mio nobile Moro non fosse d'animo schietto, che non conosce meschine gelosie, basterebbe ciò per indurlo a cattivi pensieri.

EMILIA: Non è geloso?

DESDEMONA: Otello? Credo che il sole sotto al quale egli nacque, abbia in lui prosciugato tutti questi umori.

EMILIA: Guardate: ecco che viene.

DESDEMONA: Non lo lascerò, se non faccia pace con Cassio.

 

(Entra OTELLO)

 

Come state, signore?

OTELLO: Ma bene mia cara. (A parte) Com'è difficile fingere! (Forte) Come state, Desdemona?

DESDEMONA: Bene, signor mio.

OTELLO: Datemi la mano. Questa mano è umida, signora.

DESDEMONA: Non ha ancora sentito gli anni né provato il dolore.

OTELLO: Caldissima e umida: ch'è indizio d'esuberanza e di cuor generoso. Ma a questa mano occorre anche un po' di rinuncia alla libertà; occorrono digiuni, preghiere, mortificazioni ed esercizi divoti. Perché è qui dentro un focoso, sudante diavoletto, in continua ribellione. Una mano buona del resto. Leale.

DESDEMONA: Potete ben dirlo: fu questa mano a donarvi il mio cuore.

OTELLO: Una mano generosa: i cuori, un tempo, davan le mani ma la nostra nuova araldica è mani, non cuori.

DESDEMONA: Io non so che dire di questo. Ma, signore: e la vostra promessa?

OTELLO: Che promessa, colombella?

DESDEMONA: Ho mandato a dire a Cassio di venire a parlarvi.

OTELLO: Un noioso catarro mi molesta: vuoi darmi il tuo fazzoletto?

DESDEMONA: Eccolo, signor mio.

OTELLO: Quello che ti regalai.

DESDEMONA: Non l'ho qui con me.

OTELLO: No?

DESDEMONA: No, mio signore.

OTELLO: Malissimo. Quel fazzoletto lo dette a mia madre una zingara, maga, che riusciva quasi a leggere i pensieri. E disse a mia madre che finché ella lo aveva, quel fazzoletto l'avrebbe resa desiderabile e mio padre le sarebbe stato in tutto e per tutto soggiogato. Ma se lo avesse perduto, o dato ad altri, gli occhi di mio padre l'avrebbero guardata con odio, e il suo cuore avrebbe cercato nuovi amori.

Morendo, ella mi consegnò il fazzoletto; perché se al fato fosse piaciuto che avessi una moglie, io lo dessi a lei. Così feci. Tenetelo caro come i vostri occhi. Smarrirlo o donarlo sarebbe una perdita che nulla potrebbe compensare.

DESDEMONA: Possibile?

OTELLO: E' così. C'è una virtù magica nella sua trama. Una sibilla, che duecento volte aveva contato il corso del sole, lo ricamò mormorando vaticini. I bachi che dettero la seta erano stati consacrati, e i colori furono estratti da sostanze che la gente dell'arte trova nel cuore delle vergini mummificate.

DESDEMONA: Davvero!

OTELLO: Verissimo: abbiatene perciò molta cura.

DESDEMONA: Volesse Dio che non lo avessi mai visto!

OTELLO: E perché?

DESDEMONA: Ne parlate d'un tono così strano e violento.

OTELLO: Non c'è più? Parla. L'hai smarrito?

DESDEMONA: Il cielo ci protegga!

OTELLO: Che dite?

DESDEMONA: Non è perduto! Ma se lo fosse?

OTELLO: Che intendi?

DESDEMONA: Dico che non è perduto.

OTELLO: Andate a prenderlo allora, e mostratemelo.

DESDEMONA: Potrei farlo benissimo; ma ora non voglio. La vostra non è che un'astuzia per deludere la mia istanza. Vi prego: che Cassio riabbia il suo grado.

OTELLO: Qui il fazzoletto! Ho un presentimento!

DESDEMONA: Orsù! Non troverete mai uomo più degno.

OTELLO: Il fazzoletto!

DESDEMONA: Uno che, tutta la vita, ha legato a voi la sua sorte, sfidando con voi tanti pericoli...

OTELLO: Il fazzoletto!

DESDEMONA: In verità, mi offendete.

OTELLO: Via! Via! (Esce precipitosamente)

EMILIA: E questo non sarebbe un uomo geloso!

DESDEMONA: Mai era successo qualcosa di simile. Deve esserci davvero un potere magico in quel fazzoletto. Che sciagura che io l'abbia perduto!

EMILIA: Non bastano uno o due anni a farci conoscere un uomo. Gli uomini son tutti stomaco, e noialtre siamo il loro cibo. Ci inghiottono avidamente, e quando sono impinzati, ci vomitano. Ma ecco Cassio e mio marito.

 

(Entrano CASSIO e IAGO)

 

IAGO: Non c'è altra via: deve essere lei a farlo. Che buona ventura:

andate e pregatela.

DESDEMONA: Ebbene, mio buon Cassio? Che novità?

CASSIO: Siamo al punto di prima! Vi supplico, signora, che per la buona intercessione vostra possa io tornare a vivere e riavere l'affetto di colui che onoro con tutto il cuore! Ma non più indugi! Se la mia colpa è così fatale che i passati servigi, il mio pentimento presente ed i propositi per l'avvenire non bastano a sanarla, suvvia:

ditemelo; anche il saperlo sarà un benefizio. Assumerò una veste di forzata rassegnazione e m'adatterò a cercare in un'altra carriera l'elemosina della sorte.

DESDEMONA: Ohimè, gentil Cassio! La mia difesa, per il momento, è stonata. Il mio signore non è più lui; e vi dico che non saprei riconoscerlo, se egli fosse mutato nel volto come nel cuore. Che i santi spiriti mi difendano come ho difeso voi. Mi son esposta alla sua collera, con il mio parlar franco. Abbiate ancora pazienza. Quanto posso farò; farò più che non oserei per me stessa. Vi basti.

IAGO: Il mio signore è adirato?

EMILIA: Se n'è andato proprio ora; e veramente era in preda a una strana agitazione.

IAGO: Lui in collera! Ho veduto il cannone spazzare le sue schiere, e come un demonio strappargli dalle braccia il fratello. Irritarsi quell'uomo! Deve esserci qualcosa di grave. Vo a cercarlo. Davvero c'è qualcosa di serio se egli è irato.

DESDEMONA: Vai, ti prego. (Esce Iago) Forse qualche affare di Stato...

notizie da Venezia; o la scoperta di un complotto qui a Cipro ha intorbidato il suo chiaro spirito. In tali casi, è nella natura degli uomini prendersela con le cose senza importanza, sebbene poi siano le altre che li preoccupano. Basta che un dito vi dolga, perché il senso di dolore si comunichi alle membra sane. Ma bisogna poi anche ricordarsi che gli uomini non sono santi, e non aspettarsene quelle attenzioni che pur converrebbero ad un giorno di nozze. Emilia, rimproverami pure: ecco che, da quella sleale guerriera che sono, nel mio animo stavo accusandolo di villania e di crudeltà, ma ora trovo che avevo subornato il testimone, ed egli è imputato falsamente.

EMILIA: Voglia il cielo che si tratti di affari di Stato, come voi credete, e non già di sospetti o gelosie che vi riguardano.

DESDEMONA: Oh, santo cielo! che motivi gli avrei dato?

EMILIA: Ai gelosi non piacciono codeste risposte! Non si è gelosi per un motivo. Si è gelosi perché si è gelosi. La gelosia è un mostro che nasce di se stesso.

DESDEMONA: Che il cielo tenga questo mostro lontano da Otello.

EMILIA: Così sia.

DESDEMONA: Voglio andare da lui. Cassio, passeggiate per qui; ché se posso trovarlo ben disposto, parlerò a vostro favore, cercando di sostenervi con tutte le forze (Escono Desdemona ed Emilia)

CASSIO: Umilmente ringrazio Vostra Signoria.

 
(Entra BIANCA)

 

BIANCA: Salve, Mio Cassio!

CASSIO: Cosa fai qui in giro? Parola d'onore, mia bellissima Bianca, che stavo venendo da te.

BIANCA: Ed io da te, Cassio. E' una settimana che non ti fai vedere.

Sette giorni e sette notti! Centosessantotto ore! E le ore d'assenza di un amante son centosessanta volte più lunghe delle ore d'orologio.

Che calcoli tristi!

CASSIO: Perdonami, Bianca. In questi giorni fui oppresso da pensieri di piombo. Ma con maggiore assiduità salderò il mio debito di assenze.

Dolce Bianchina (le dà il fazzoletto di Desdemona), copiami questo ricamo.

BIANCA: Oh, Cassio, e chi te l'ha dato? E' il pegno d'amore di una nuova amica! Ora sento la causa dell'assenza così sentita. A questo siamo arrivati! Ma bene. Ma bene.

CASSIO: Bambina! Butta in bocca al demonio che te le ispira queste supposizioni. Sei gelosa perché pensi che sia il ricordo d'un'amante.

Parola, che non è così.

BIANCA: Di chi è, allora?

CASSIO: Non lo so, cara. L'ho trovato nella mia stanza. Mi piace molto il disegno; e prima che mi venga richiesto, come accadrà certamente, mi piacerebbe farlo ricopiare. Prendilo e fammelo. E ora lasciami solo.

BIANCA: Lasciarti, e perché?

CASSIO: Sto aspettando il generale. E penso che non sia mio vantaggio né mio desiderio ch'egli mi trovi con una donna BIANCA: Perché poi, questo?

CASSIO: Non già perché io non t'ami.

BIANCA: Ma perché non mi vuoi bene. Accompagnami per un po' di strada, e dimmi se stasera ti vedrò presto.

CASSIO: T'accompagno un breve tratto soltanto; devo star qui ad aspettare. Ma presto ci rivedremo.

BIANCA: Va bene! Debbo contentarmi di quel che mi tocca.

(Escono)

 

 

 

ATTO QUARTO

 

SCENA PRIMA - Cipro. Davanti al Castello

(Entrano OTELLO e IAGO)

 

IAGO: E lo credete?

OTELLO: Se lo credo!

IAGO: Baciarsi di nascosto?

OTELLO: Un bacio rubato!

IAGO: O starsene a letto nuda con l'amico un'ora e più, senza pensare a male?

OTELLO: Nuda a letto, Iago, senza pensare a male? Ma sarebbe un giocare d'ipocrisia con il diavolo. Chi ha intenzioni pulite e si comporta cosi, sfida il cielo, facendo tentare la propria virtù dal demonio.

IAGO: Però, finché non fanno nulla, è soltanto peccato veniale.

Supponiamo, invece, che io regali a mia moglie un fazzoletto...

OTELLO: Ebbene?

IAGO: Ebbene: il fazzoletto è suo, mio signore. Ed essendo suo, lei può darlo a chi vuole.

OTELLO: Ma la donna è anche custode del suo onore. Può dar via anche quello?

IAGO: L'onore è un profumo invisibile. E spesso sembra che l'abbiano proprio quelli che non l'hanno. Quanto al fazzoletto...

OTELLO: Perdio! Sarei felice d'essermene scordato. Questo pensiero mi ritorna alla mente, come un corvaccio che svolazza su una casa impestata gridando la malora a tutti. Mi dicesti ch'egli aveva il fazzoletto.

IAGO: Che significa?

OTELLO: Non significa niente di buono.

IAGO: Se avessi detto di averlo visto tradirvi! O sentito dire...

Perché ci son furfanti che, dopo tante suppliche, o per il capriccio d'una donna, quando poi son riusciti a sedurla o a soddisfarsi, non resistono d'andare a chiacchierare.

OTELLO: E' andato a raccontare qualcosa?

IAGO: Purtroppo. Non però più di quanto sarà pronto a negare sotto giuramento; state pur sicuro.

OTELLO: Ma che ha detto? che ha detto?

IAGO: In fede, certe... Non lo so poi che cosa.

OTELLO: Che cosa? Che cosa?

IAGO: Confidenze...

OTELLO: Con lei?

IAGO: Con lei, su lei: come vi pare.

OTELLO: Confidenze con lei! confidenze su lei! Noi diciamo confidenze su lei, quando si tradisce la sua fiducia. Confidenze con lei! Che schifezza! Il fazzoletto! confessioni!... il fazzoletto! Farlo confessare, eppoi impiccarlo. O prima impiccare, eppoi confessare.

Tremo a pensarci! Ma così tenebrosa passione non si sarebbe formata senza una gran causa. Non son le parole che mi fanno tremare. Puah!

Nasi, orecchie, bocche! E' possibile? Ha confessato? E il fazzoletto?

O demonio!

 
(Cade in terra in deliquio)

 

IAGO: Lavora, lavora, mio veleno. E così si accalappiano gli sciocchi.

E così pure molte degne e caste dame, per quanto in tutto senza colpa, vengono svergognate. Ehi, signore! Mio signore! Otello!

 
(Entra CASSIO)

 

Siete voi, Cassio?

CASSIO: Che è accaduto?

IAGO: Una crisi epilettica. E' già il secondo accesso: ne ebbe uno anche ieri.

CASSIO: Stropicciategli forte le tempie.

IAGO: Meglio no. Che lo svenimento abbia un decorso tranquillo.

Altrimenti, mi si mette a fare schiuma dalla bocca, e dà in furiose pazzie. Guardate che ricomincia a muoversi. Allontanatevi un istante.

Ora torna in sé. Quando se ne sarà andato vorrei parlarvi di cosa molto grave. (Esce Cassio) Come va, generale? Non avete mica battuto la testa?

OTELLO: Vuoi beffarti di me.

IAGO: Beffarmi di voi: per amor del cielo! Vorrei soltanto che sapeste sopportar da uomo la vostra disgrazia!

OTELLO: Un uomo cornuto è un mostro, una bestia !

IAGO: Allora, una gran città è piena di bestie e mostri inciviliti.

OTELLO: Ha confessato?

IAGO: Mio buon signore, siate uomo. Pensate a tutti gli esseri barbuti che portano quel giogo, e lo debbono tirare come voi. Ce ne sono milioni, che ogni notte riposano nei loro letti polluti, e sarebbero pronti a giurare che invece son letti immacolatissimi. Almeno, il vostro caso è migliore. Lo scherno più infernale, la suprema beffa del diavolo, è di abbracciare un'immonda su un giaciglio legittimo, credendola casta! Meglio sapere. Se so quello che io sono, saprò anche chi e lei.

OTELLO: Hai ragione!

IAGO: Mettetevi dunque da una parte, e vogliate dominarvi. Mentre eravate qui, oppresso dal dolore - debolezza che fa torto ad uno come voi - è venuto Cassio. L'ho spedito via, con una buona scusa del vostro deliquio; gli ho detto di tornare fra poco a parlarmi, e questo egli ha promesso. Nascondetevi e osservate il disprezzo e la beffa che si dipingono su ogni tratto del suo viso. Perché gli farò raccontare di nuovo la storia di dove e come e quante volte e da quanto, egli si è trovato e dovrà trovarsi con vostra moglie. Vi basti osservare i suoi gesti. Ma pazienza, perdio! O dovrò dire che siete un energumeno invece d'un uomo.

OTELLO: Iago, mi ascolti? Io saprò esser l'uomo di più astuta pazienza; ed anche, mi ascolti? il più sanguinario!

IAGO: In questo, niente di male. Ma ogni cosa a suo tempo. Volete ritirarvi? (Otello si allontano e si nasconde) Ora fo parlare Cassio di Bianca: una puttanella che si compra da mangiare e vestire vendendo le sue grazie. E' innamorata cotta di Cassio. Perché è destino di queste zoccolette ingannarne mille ed essere poi ingannate da uno.

Quando Cassio sente parlar di lei non può fare a meno di ridere.

Eccolo!

 

(Entra CASSIO)

 

E a vederlo ridere, Otello andrà in bestia: e la sua ottusa gelosia interpreterà alla rovescia i sorrisi, le mosse e il futile contegno del povero Cassio. Come state, luogotenente?

CASSIO: Tanto peggio, se mi chiamate col titolo la cui privazione mi uccide.

IAGO: Lavoratevi bene Desdemona, e niente paura. (Parlando a bassa voce) Certo, se dipendesse da Bianca, fareste carriera.

CASSIO (ridendo): Povera figliuola!

OTELLO: Guarda come se la ride!

IAGO: Non ho mai visto donna più innamorata.

CASSIO: Poveraccia. Deve essere innamorata sul serio!

OTELLO: Nega debolmente, a parole; ma col riso confessa.

IAGO: Sentite, Cassio!

 
(Gli bisbiglia all'orecchio)

 

OTELLO: Ora lo invita a raccontare di nuovo la storia. Avanti! Benone!

IAGO: Va dicendo in giro che la sposerete! Possibile?

CASSIO: Ah, ah, ah !

OTELLO: Tu trionfi Romano, tu trionfi!

CASSIO: Io sposarla? Una donna a tariffa! Ti supplico! Abbi un po' di stima del mio cervello: non lo credere tanto malandato. Ah, ah, ah!

 
(Ride)

 

OTELLO: Proprio così! Ride chi vince!

IAGO: In parola, lo dicono tutti che ve la sposate.

CASSIO: Sul serio?

IAGO: Altrimenti, sarei un imbroglione.

OTELLO: M'avete battuto, eh? Bene.

CASSIO: E' quella bertuccia che va a dirlo. Crede che la sposi, perché mi vuol bene, e s'illude; non già che io glielo abbia mai promesso.

OTELLO: Iago mi fa cenno. Ora vien la storia.

CASSIO: Stava qui anche ora. M'insegue dappertutto. Ier l'altro ero sulla spiaggia con certi Veneziani. Arriva questa fraschetta, e perdessi questa mano, se non mi si butta al collo così... (Fa il gesto)

OTELLO: Gridando: "Caro Cassio"; questo il suo gesto vuol significare.

CASSIO: Mi si appiccica addosso, singhiozza mi scuote, mi sospinge.

(Ride) Ah, ah, ah!

OTELLO: Ora racconta come se la portò alla mia camera. Oh! Io veggo quel tuo naso, ma non il cane a cui lo butterò in pasto.

CASSIO: Bisogna proprio che mi decida a liberarmene.

IAGO: Accidenti, eccola che viene!

CASSIO: E' una tal puzzola! per la Madonna, è profumata!

 
(Entra BIANCA)

 

(a Bianca) Ma è una Persecuzione!

BIANCA: Che il diavolo e la versiera ti perseguitino! Che volevi che facessi del moccichino che mi hai dato? Fui una bella stupida a prenderlo. Copiare il ricamo? C'è proprio da crederci, tu l'abbia trovato in casa tua, senza sapere chi ce l'ha messo! E' il regalo di qualche civettaccia; e io dovrei copiare il ricamo. Ripigliatelo.

Dallo alla tua ganza. Da chiunque tu l'abbia avuto, io non voglio metterci le mani CASSIO: Ma Bianchina cara, che storie!

OTELLO: Perdio: dev'essere il mio fazzoletto!

BIANCA: Se stasera vuoi cenare con me, volentieri. Se no, ci verrai quando hai voglia. (Esce)

IAGO: Andatele dietro.

CASSIO: Per forza: che non si metta a fare scene in mezzo alla via.

IAGO: Cenerete là?

CASSIO: Ho una mezz'idea.

IAGO: Può darsi che anch'io ci venga: v'avrei da parlare.

CASSIO: Sì, bravo. Venite.

IAGO: Senz'altro.

 

(Esce Cassio)

 

OTELLO: (viene avanti): Iago, in che maniera debbo ammazzarlo?

IAGO: L'avete visto come rideva della sua furfanteria?

OTELLO: O Iago!

IAGO: E il fazzoletto l'avete veduto?

OTELLO: Era il mio?

IAGO: Senza dubbio. E pensate in qual conto costui tiene quella pazza di vostra moglie! Lei gli dà il fazzoletto; e lui lo dà alla sua bagascia.

OTELLO: Vorrei metterci nove anni ad ucciderlo. Una donna così cara!

Così affabile! Così bella!

IAGO: Queste cose le dovete dimenticare.

OTELLO: Ma sì. Che crepi, marcisca e sia dannata questa stessa notte.

Non deve esistere più. Il mio cuore è diventato pietra. Se lo percuoto, mi fa male alla mano! No, il mondo non ha una più dolce creatura: degna di dormire con un imperatore e di comandarlo a bacchetta.

IAGO: Non dovete vedere la cosa in questo modo.

OTELLO: Dico soltanto ciò ch'ella è: maledetta! Così brava al ricamo!

Musicista mirabile! Che riuscirebbe ad ammansire col canto anche un orso selvaggio! D'un'intelligenza ed una fantasia così elevate e cordiali.

IAGO: Ed appunto per ciò, tanto più colpevole.

OTELLO: Più colpevole mille e mille volte. E una tale gentildonna.

IAGO: Troppo gentile.

OTELLO: Questo è vero. Però, che peccato, Iago! o Iago! Che peccato!

IAGO: Se vi commovete tanto sulle sue iniquità, datele carta bianca.

Contento voi, contenti tutti.

OTELLO: La romperò a pezzetti! Avermi fatto becco!

IAGO: Da parte sua è disgustoso.

OTELLO: E con un mio subordinato.

IAGO: Più disgustoso che mai.

OTELLO: Iago, procurami un veleno, per stanotte. Non avrò spiegazioni con lei, per paura che il suo corpo e la sua bellezza mi ammolliscano il cuore un'altra volta. Stanotte, Iago.

IAGO: Ma non lo fate col veleno. Strangolatela nel suo letto, quello stesso letto che ha contaminato.

OTELLO: E' giusto quanto dici. Giustissimo.

IAGO: E a Cassio ci penserò io. Prima di mezzanotte, ne riparleremo.

OTELLO: Benissimo. (Squilli di tromba) Che trombe son queste?

IAGO: Arrivi da Venezia, di certo. Lodovico che viene da parte del doge; vedete: vostra moglie è con lui.

 
(Entrano LODOVICO, DESDEMONA e Seguito)

 

LODOVICO: Dio vi protegga, bravo generale!

OTELLO: Grazie di cuore, signore.

LODOVICO: Il doge e il Senato di Venezia salutano. (Gli consegna una lettera)

OTELLO: Bacio l'istrumento della loro volontà. (Apre la lettera e legge)

DESDEMONA: Che notizie, cugino Lodovico?

IAGO (a Lodovico): Felice di vedervi, signore. Siate benvenuto a Cipro.

LODOVICO: Grazie. Come sta il luogotenente Cassio?

IAGO: Vive, signore.

DESDEMONA: Sapete, cugino; tra Cassio e mio marito è accaduto uno spiacevole screzio Ma voi potrete accomodare ogni cosa.

OTELLO: Lo credete?

DESDEMONA: Come, signore?

OTELLO (legge): "Non mancate di far questo come voi...".

LODOVICO: Non diceva a noi. Sta leggendo la lettera. Il generale e Cassio son dunque in discordia?

DESDEMONA: Nella maniera più sciagurata: e a riconciliarli non so che cosa farei, per l'affetto che ho per Cassio.

OTELLO: Fuoco d'inferno!

DESDEMONA: Mio signore?

OTELLO: Avete a posto la testa?

DESDEMONA: Ma come, è irritato?

LODOVICO: Forse l'ha turbato quella lettera. Credo che lo richiamino in patria e designano Cassio all'ufficio di governatore.

DESDEMONA: In parola, ne son lieta, OTELLO: Davvero!

DESDEMONA: Mio signore!

OTELLO: Son lieto di vedere che siete pazza.

DESDEMONA: Perché, dolce Otello?

OTELLO (percuotendola): Demonio!

DESDEMONA: Questo non l'ho meritato.

LODOVICO: Tutto ciò, signor mio, nessuno lo crederebbe a Venezia, anche se io giurassi d'aver visto come ho visto. E' troppo. Chiedetele scusa. Ella piange.

OTELLO: Demonio! Demonio! Se la terra potesse essere fecondata da lacrime di donna, da ogni goccia ch'ella versa nascerebbe un coccodrillo. Via, andatevene.

DESDEMONA (allontanandosi): Non resterò qui a dispiacervi.

LODOVICO: E' una moglie obbediente. Vi supplico, signore richiamatela!

OTELLO: Signora!

DESDEMONA: Signor mio.

OTELLO (a Lodovico): Che volete da lei?

LODOVICO: Io?

OTELLO: Sì, voi. Avete chiesto che la facessi tornare. Vedete, signore, ella può voltarsi e rivoltarsi; fare un passo avanti, e tornare indietro. E sa anche piangere, signore, sa piangere! E' obbediente. Come voi stesso avete detto: obbediente. Obbedientissima Voi continuate pure con le vostre lacrime. Quanto a questa lettera, signore - o ben dipinta commozione! mi si domanda di tornare a casa.

(A Desdemona) Via, voi. Vi manderò a chiamare fra poco. (A Lodovico) Obbedisco all'ordine, signore, e torno a Venezia. (A Desdemona) Via di qui, ho detto! (Esce Desdemona) Cassio prenderà il mio posto. E stasera, signore, spero che ceneremo insieme. Benvenuto a Cipro...

Caproni e scimmiotti!

 

(Esce)

 

LODOVICO: E questo sarebbe quel Moro valoroso che il nostro Senato, all'unanimità, considera una creatura eccezionale! L'uomo degno che nessuna passione poteva turbare! La cui solida virtù non poteva essere scalfita o trafitta dai colpi e dalle sorprese dell'avversità e della sorte!

IAGO: E' molto cambiato...

LODOVICO: Non gli mancherà mica qualche venerdì? Mi pare giù di cervello.

IAGO: E' quello che è. Io non debbo mettermi a far critiche su come potrebbe essere. Se non è quello che potrebbe essere, volesse il cielo lo fosse!

LODOVICO: Che roba! Picchiare la moglie!

IAGO: Non è stata davvero cosa bella: e vorrei esser sicuro che non venisse di peggio.

LODOVICO: Lo fa per abitudine? O è stata la lettera a scaldargli il sangue, e a portarlo a questo eccesso?

IAGO: Poveri noi! Non sarebbe onesto, da parte mia, spifferare quanto ho visto e saputo. Studiatelo: e il suo contegno ve ne dirà tanto da risparmiare a me le parole. Tenetelo d'occhio; osservate come si comporta.

LODOVICO: Mi dispiace essermi ingannato sul suo conto.

 

(Escono)

 

 

 

SCENA SECONDA - Una stanza nel Castello

(Entrano OTELLO ed EMILIA)
 

OTELLO: Dunque, non avete visto nulla?

EMILIA: E non ho sentito né sospettato nulla.

OTELLO: Ma l'avrete ben vista insieme a Cassio.

EMILIA: Né c'era niente di male, benché anche allora io abbia potuto ascoltare ogni sillaba che correva tra loro.

OTELLO: Non discorrevano mai sottovoce?

EMILIA: Mai, signor mio OTELLO: Né vi fecero mai allontanare?

EMILIA: Mai.

OTELLO: Con la scusa di mandarvi a pigliare il ventaglio, i guanti, la bautta, o che so io?

EMILIA: Mai, signor mio.

OTELLO: E' strano.

EMILIA: Sarei pronta a scommettere ch'ella è innocente, ed a giocarci l'anima. Se voi credete diversamente, scacciate cotesto pensiero: esso inganna il vostro cuore. Se qualche miserabile ha insinuato un sospetto, che il cielo lo ripaghi con la maledizione del serpente. E se ella non è onesta, casta e fedele, non è al mondo un marito felice:

la più pura delle loro mogli è sporca come la calunnia, al confronto.

OTELLO: Ditele di venir qui. (Emilia esce) Questa donna chiacchiera assai. Ma sarebbe una ben sciocca ruffiana quella che non sapesse fare altrettanto. E' una megera astutissima, un ripostiglio chiuso a chiave, e pieno di luridi segreti. Eppure ogni tanto s'inginocchia a pregare. L'ho vista io con questi occhi.

 
(Rientra EMILIA con DESDEMONA)

 

DESDEMONA: Cosa volete mio signore?

OTELLO: Vi prego, piccina, venite un po' qui.

DESDEMONA: Qual è il vostro desiderio?

OTELLO: Fatemi guardare nelle vostre pupille. Guardatemi fisso.

DESDEMONA: Che cos'è questo orribile capriccio?

OTELLO (a Emilia): Animo, signora! Pigliate servizio! Lasciate soli i due fornicatori, e chiudete la porta. Tossite, o fate hem, hem, se venisse qualcuno. Il vostro mestiere, il vostro mestiere! In gamba!

 

(Esce Emilia)

 

DESDEMONA: Qui in ginocchio, vi chiedo cosa significa quello che dite.

Sento un furore nelle vostre parole, ma non le capisco.

OTELLO: Vediamo: cosa sei tu?

DESDEMONA: La vostra moglie, signore. La vostra moglie fedele.

OTELLO: Giuralo e dànnati! Affinché, apparendo come una creatura celeste, gli stessi demoni non abbiano timore di pigliarti. Dànnati due volte! Giura che sei onesta!

DESDEMONA: Il cielo lo sa indubbiamente.

OTELLO: Il cielo sa indubbiamente che tu sei falsa come l'inferno.

DESDEMONA: A chi, mio signore? Con chi? In che modo son falsa?

OTELLO: O Desdemona! Via! Via! Via!

DESDEMONA: Triste giorno! Perché piangete, signore? Sono io la cagione di codeste lacrime? Se credete che mio padre abbia provocato il vostro richiamo, non sfogate su me il vostro rancore. Voi avete perduto il suo affetto: ma anch'io l'ho perduto.

OTELLO: Al cielo fosse piaciuto di provarmi con affanni, di rovesciare sul mio capo ignudo ogni sorta di mali e vergogne; di tuffarmi sino alle labbra nella miseria, di dare in prigionia me e le mie estreme speranze. In un cantuccio della mia anima, sarei sempre riuscito a trovare un filo di rassegnazione. Ma io son diventato un segnacolo, una cifra sulla quale il tempo dello scherno appunta le sue lancette immobilmente lente. Ed anche ciò avrei potuto sopportare. Sopportarlo bene, benissimo. Ma la cosa in cui ho messo tutto il mio cuore, e per la quale debbo vivere, o perdere la mia vita: la fonte da cui scaturisce la mia corrente, o altrimenti si dissecca! Esserne espropriato; o non poterla tenere che come una cisterna in cui luridi rospi si accoppiano e figliano. Cambia di colore, a questo.

Rassegnazione: tu, giovane cherubino dalle labbra di rose; sì, qui assumi una sembianza truce come l'inferno.

DESDEMONA: Spero che il mio nobile signore mi giudichi onesta.

OTELLO: Ma sì, come d'estate le mosche nei macelli, che pullulano e ronzano dalla putredine. Oh, tu malerba, perché sei così adorabilmente bella, e di profumo così dolce che fa dolere i sensi: se tu non fossi mai nata!

DESDEMONA: Ahimè! Che peccato ho commesso senza saperlo?

OTELLO: Questo candido foglio, questo nobilissimo libro, era forse fatto per scriverci sopra: "prostituta"? Tu domandi che cosa hai commesso? Tu, donna pubblica! Se raccontassi le tue gesta, le guance mi si arroventerebbero come fucine, e il pudore resterebbe incenerito.

Che hai commesso! Il cielo si tappa il naso, e la luna abbassa gli occhi! Il vento ruffiano, che bacia tutto ciò che incontra, si rannicchia ammutolito negli abissi per non ascoltare. Che hai commesso! Impudente baldracca!

DESDEMONA: In nome del cielo, voi mi oltraggiate a torto.

OTELLO: Non siete voi una baldracca?

DESDEMONA: No, com'è vero che son cristiana. Se preservare per il mio signore questo corpo immune da ogni contatto illegittimo e odioso, se ciò significa non essere baldracca, io non lo sono.

OTELLO: Non sei dunque una prostituta?

DESDEMONA: No, com'è vera la mia salvezza eterna.

 

(Rientra EMILIA)

 

OTELLO: Incredibile!

DESDEMONA: Che il cielo abbia pietà di noi.

OTELLO: Allora vi domando scusa! Vi avevo sbagliata per quella furba prostituta veneziana che accalappiò e sposò Otello. [Alzando la voce) E voi, signora, che avete una mansione contraria a quella di San Pietro, e custodite la porta dell'inferno! Voi voi! Proprio voi! Noi abbiamo finito. Eccovi la mancia per il vostro disturbo! Vi prego!

Chiudete a chiave, e acqua in bocca.

 

(Esce Otello)

 

EMILIA: Ahimè. che cosa ha in testa quest'uomo? E voi: come vi sentite, come vi sentite, cara signora?

DESDEMONA: Mezzo stordita, a dir il vero.

EMILIA: Buona padrona, che cosa ha il mio signore?

DESDEMONA: Chi?

EMILIA: Il mio signore.

DESDEMONA: E chi è il tuo signore?

EMILIA: Il vostro stesso, dolce padrona.

DESDEMONA: Io non ne ho alcuno. Emilia, non dirmi nulla. Non riesco a piangere, e non potrei rispondere se non col pianto. Ti prego, stasera, preparami il letto con le mie lenzuola di nozze. Ricordatene.

E mandami qui tuo marito.

EMILIA: Ecco un mutamento davvero!

 

(Esce Emilia)

 

DESDEMONA: E' giusto ch'io sia trattata così: giustissimo. Ma in che maniera mi sono comportata, perché egli abbia potuto applicare il più lieve biasimo al mio più grande errore?

 

(Rientrano EMILIA e IAGO)

 

IAGO: In che cosa posso servirvi, signora? Come state?

DESDEMONA: Non saprei. Quelli che educano i bambini, si servono di buone maniere e compiti facili. Egli avrebbe potuto rimproverarmi così: perché davvero io divento una bambina quando mi rimproverano.

IAGO: Ma cosa è successo?

EMILIA: O Iago! Il mio signore l'ha trattata di baldracca, e caricata di tal disprezzo e contumelie che un animo bennato non può tollerarli.

DESDEMONA: Iago, sono io quella cosa?

IAGO: Quale cosa, signora bella?

DESDEMONA: Quello che Emilia vi ha detto, e che il mio signore dice che io sono.

EMILIA: L'ha chiamata baldracca. Neppure un accattone ubriaco adopererebbe termini simili con la sua ganza.

IAGO: Tutto questo perché?

DESDEMONA: Non lo so. Ma son sicura di non essere una di quelle.

IAGO: Non piangete, via, non piangete Oh, che disgrazia!

EMILIA: Che forse ella rinunciò ai bei partiti, a suo padre, agli amici, al suo paese, per sentirsi chiamare baldracca? Come si fa non piangere?

DESDEMONA: E' il mio destino sciagurato.

IAGO: Che mal gliene incolga! E come gli presero queste fantasie?

DESDEMONA: Lo sa il cielo.

EMILIA: Che m'impicchino, se non fu qualche anima dannata, qualche losco imbroglione, qualche schiavo bugiardo che voleva ottenere un favore, un ufficio, e inventò queste calunnie. Vorrei essere impiccata se non fu così.

IAGO: Ma via, non esistono persone simili. E' assurdo.

DESDEMONA: E se esistono, che il cielo le perdoni.

EMILIA: Le perdoni il capestro; e l'inferno divori le loro ossa.

Perché l'ha chiamata baldracca? Chi le sta mai attorno? Ma dove? Ma quando? Dov'è la minima verosimiglianza? Il Moro fu ingannato da qualche insigne cialtrone, qualche farabutto. Oh, cielo: concedi che vengano scoperti questi infami, ed arma di frusta ogni mano onesta per cacciarli a sferzate, ignudi, da oriente a occidente in tutto il mondo.

IAGO: Parla piano.

EMILIA: Siano stramaledetti! E fu proprio uno d'essi a farvi uscire di cervello, col darvi a sospettare di me col Moro!

IAGO: Ma via, via: sei una scema.

DESDEMONA: Mio buon Iago: cosa potrei fare per riavere il mio signore?

Andate da lui, caro amico. Per la luce del cielo, non so come io l'ho perduto. Eccomi in ginocchio: se la mia volontà peccò contro il mio amore, nel processo del pensiero o nell'agire; se i miei occhi, le mie orecchie od altro dei sensi furono mai attratti da creatura che non fosse lui, se io non l'amo ancora, come sempre lo amai e sempre - anche discacciata, nella miseria e nel ripudio - teneramente lo amerò:

che mi abbandoni ogni conforto! Molto può la crudeltà; la sua crudeltà può stroncare la mia vita, non alterare il mio amore. Io non posso dire "baldracca". M'inorridisce soltanto pronunciar la parola. E neppure tutti i beni del mondo mi indurrebbero a compiere l'atto che merita questo nome.

IAGO: State calma, vi prego; non è che il suo malumore. Gli affari di Stato lo preoccupano, ed egli se la prende con voi.

DESDEMONA: Non fosse che questo...

IAGO: Ma non è che questo, vi giuro. (Squillo di tromba) Questi squilli annunciano la cena, cui partecipano i messaggeri di Venezia.

Andate, e non piangete più. Tutto finirà bene. (Escono Desdemona ed Emilia. Entra RODERIGO)

Come va, Roderigo?

RODERIGO: Non direi che tu agisca lealmente con me.

IAGO: Che c'è in contrario?

RODERIGO: Ogni giorno m'allontani con nuovi stratagemmi, e sembra quasi tu cerchi di togliermi ogni opportunità, anziché darmi il più piccolo motivo di speranza. Non sono disposto a sopportare più a lungo quanto finora ho così stupidamente sofferto.

IAGO: Volete ascoltarmi, Roderigo?

RODERIGO: Ho ascoltato fin troppo. Le tue chiacchiere non hanno nessuna parentela con le tue azioni.

IAGO: Mi accusate ingiustamente.

RODERIGO: E' la verità. Ho dato fondo ai miei averi. Con la metà dei gioielli che ti affidai per consegnarli a Desdemona, si sarebbe corrotta una monaca. Mi dicesti che li aveva accettati ricambiandoli con promesse e affidamenti d'imminenti favori, a suo discarico. E io non vedo niente.

IAGO: Avanti! Benissimo!

RODERIGO: Benissimo! Avanti! Ma così non si va avanti, mio caro, e non va affatto bene. Tutto ciò è molto equivoco. Comincio a temere d'esser stato uccellato.

IAGO: Benissimo.

RODERIGO: Torno a dire che non va benissimo affatto. Metterò in chiaro con Desdemona; e se mi restituisce i gioielli, rinuncerò a corteggiarla e le chiederò perdono d'averla insidiata. Altrimenti, puoi star sicuro che esigerò da te piena soddisfazione.

IAGO: Avete detto tutto?

RODERIGO: Ho detto soltanto quello che ho deciso di fare.

IAGO: Alla buon'ora! Vedo che hai fegato! E da questo istante preciso, ho di te migliore opinione. Dammi la mano, Roderigo; tu hai giuste ragioni di risentirti con me: ma tuttavia posso assicurarti d'aver curato i tuoi interessi nel modo migliore.

RODERIGO: Non parrebbe.

IAGO: D'accordo, non parrebbe, e il tuo sospetto non è privo di senno e di giudizio. Ma se tu, Roderigo, hai davvero addosso quello che ora ho motivo di credere tu abbia: cioè a dire, risolutezza, coraggio, valore, dànne prova stanotte. E se la notte appresso non ti godrai Desdemona, toglimi da questo mondo a tradimento, e trama disegni contro la mia vita.

RODERIGO: Di che si tratta? E' cosa ragionevole e fattibile?

IAGO: E' arrivata da Venezia una commissione speciale, che insedierà Cassio al posto di Otello.

RODERIGO: Ma allora, Otello e Desdemona tornano a Venezia.

IAGO: No: egli va in Mauritania, portando con sé la sua bella moglie.

A meno che il suo soggiorno qui a Cipro non venga a prolungarsi per un qualche incidente; e a questo riguardo, nulla sarebbe più risolutivo che togliere di mezzo Cassio.

RODERIGO: Cosa intendi dire con "togliere di mezzo"?

IAGO: Rendere impossibile a Cassio di occupare la sua nuova carica, schiacciandogli il cranio.

RODERIGO: Questo dovrei fare?

IAGO: Se appunto vorrete curarvi di ciò che è vostro utile e diritto.

Cassio cenerà stanotte con una zoccoletta, e io devo trovarmi con loro. Egli non sa ancora nulla della sua promozione. Mettetevi in agguato quando uscirà. Io farò in modo che sia tra mezzanotte e il tocco: il colpo è sicuro. Vi starò vicino a darvi una mano, e ce lo lavoreremo tra noi due. Ma non state così imbambolato: venite con me.

Vi mostrerò come la sua morte sia assolutamente necessaria, e non avrete più dubbi. E' ora di cena; la notte passa presto. All'opera!

RODERIGO: Voglio vederci più chiaro, in questa faccenda.

IAGO: E sarete soddisfatto.

 

(Escono)

 

 

 

SCENA TERZA - Altra stanza nel Castello

(Entrano OTELLO, LODOVICO, DESDEMONA, EMILIA e il Seguito)

 

LODOVICO: Vi prego, signore, non disturbatevi più.

OTELLO: Ma no, ma no. Mi farà bene far quattro passi.

LODOVICO (a Desdemona): Signora, buona notte: umilmente ringrazio Vossignoria.

DESDEMONA: Sempre benvenuto.

OTELLO: Vogliamo muoverci? Desdemona!

DESDEMONA: Signore?

OTELLO: Andate a letto subito, io torno fra poco. Mettete in libertà la vostra cameriera... E sia fatto come dico.

DESDEMONA: Sì, mio signore.

 

(Escono Otello, Lodovico, e Seguito)

 

EMILIA: Come va ora? Ha l'aria più tranquilla.

DESDEMONA: Dice che tornerà subito. Mi ha ordinato d'andare a letto, e di metterti in libertà.

EMILIA: In libertà?

DESDEMONA: Questo è l'ordine. Cara Emilia dammi la veste da camera; e addio. Non dobbiamo contrariarlo.

EMILIA: Vorrei che non lo aveste mai incontrato.

DESDEMONA: Ma non io. Anche la sua crudeltà e i suoi scatti e cipigli - ti prego, slacciami - hanno per me un'attrattiva e un fascino.

EMILIA: Ho rifatto il letto con i lenzuoli che diceste.

DESDEMONA: Oh non importava... Ma che idee qualche volta ci pigliano.

Emilia, se io dovessi morire prima di te, ti prego, avvolgimi in uno di quei lenzuoli.

EMILIA: Via, via; che discorsi!

DESDEMONA: Mia madre aveva una fantesca di nome Barbara. Era innamorata pazza; ma l'uomo ch'ella amava cambiò fantasia e la piantò.

Ella cantava una canzone: la canzone del salice; una vecchia aria, che però esprimeva bene la sua sorte, e morì cantandola. Stanotte, quella canzone non vuol uscirmi di mente, e debbo sforzarmi per non mettermi, chinato il capo tutto da una parte, a cantarla come la povera Barbara.

Sbrighiamoci, per piacere.

EMILIA: Debbo andare a prendervi la veste?

DESDEMONA: No, slacciami qui. Quel Lodovico è un bell'uomo.

EMILIA: Proprio bello.

DESDEMONA: Discorre bene.

EMILIA: Conosco a Venezia una donna che sarebbe andata fino in Palestina a piedi scalzi, soltanto per un suo bacio piccino così.

DESDEMONA (canta):

La cara anima stava desolata.

Tutti, cantate tutti un verde salice.

Stava lì con la testa ripiegata.

Cantate salice, salice, salice.

I ruscelletti le correano accanto, E parea ripetessero il suo pianto.

(Porgendo ad Emilia qualche indumento) Riponi questa roba. (Riprende a cantare) Cantate salice, salice, salice.

(Ad Emilia) Presto, ti prego, che fra poco egli è qui. (Riprende a cantare) Le lagrime struggevano le pietre. (Parlando) No, questo verso non sta a questo punto. Ma chi bussa?

EMILIA: E' il vento.

DESDEMONA (riprende a cantare):

Anche il dolor m'è caro ch'ei mi manda.

E salice sarà la mia ghirlanda...

Cantate salice, salice, salice...

(Ad Emilia) Vai, vai: e buon riposo. Ml bruciano gli occhi. Forse significa che il pianto è vicino.

EMILIA: Ma che! Non significa nulla.

DESDEMONA: Così mi dicevano. Oh, questi uomini! questi uomini! In coscienza, tu, Emilia lo credi davvero che ci sian donne che tradiscono i mariti in maniera così sconcia?

EMILIA: Ce ne sono, ce ne sono: non abbiate paura.

DESDEMONA: E lo faresti tu, per tutti i beni del mondo?

EMILIA: E voi non lo fareste?

DESDEMONA: No, per questa luce di cielo!

EMILIA: Neppure io, a questa luce di cielo. Al buio, lo farei meglio.

DESDEMONA: Dunque tu faresti una cosa simile per tutto il mondo?

EMILIA: Il mondo, sapete, è una grossa faccenda: è un gran prezzo per un piccolo peccato.

DESDEMONA: Invece io credo che tu non lo faresti.

EMILIA: E io credo che lo farei! E una volta fatto, lo saprei disfare.

Non lo farei mica per un anello doppio, per qualche metro di batista, o vestiti, gonnelle, cappelli, o altre cose meschine. Ma per tutto il mondo! Che diamine! Chi non metterebbe le corna al proprio marito per farlo diventare un monarca? Io ci rischierei il purgatorio.

DESDEMONA: Ch'io sia maledetta se commettessi un torto simile, anche per tutti i beni del mondo.

EMILIA: Ebbene, il torto non è che un torto nel mondo. E quando ne aveste tutto il mondo in compenso, il torto sarebbe dentro un mondo ch'è vostro, e lo potreste raddrizzare facilmente.

DESDEMONA: Non credo che ci siano donne simili.

EMILIA: Ce n'è una dozzina; e per giunta ce ne sono ancora tante quante può contenerne il mondo per amor del quale hanno tradito. La colpa però è dei mariti, se le mogli tradiscono. O il loro ardore si raffredda, e vanno a versare altrove i nostri tesori, o hanno eccessi di gelosia dispettosa, e ci mettono il freno, ci picchiano, e malignamente ci tengono a stecchetto. Eh, via: anche a noi donne bolle il sangue. Ed insieme a qualche virtù, abbiamo l'istinto di vendetta.

Sappiano i signori mariti che le mogli hanno sensi precisamente come loro: veggono, odono, odorano, hanno il palato per il dolce e l'amaro.

Perché allora ci voltano le spalle per altre donne? E' per divertimento? Forse sì. E' per la forza delle passioni? Forse sì. O per via dell'umana debolezza? Forse sì. Ma anche noi abbiamo desideri, passioni e debolezze, che diamine! dunque ci trattino bene.

Altrimenti, i peccati che noi commetteremo saranno i loro stessi peccati ad averceli insegnati.

DESDEMONA: Buona notte, buona notte. Che il cielo m'ispiri non di servirmi del male per farne dell'altro, ma di trarne forza ad emendarmi.

 

 

 

ATTO QUINTO

 

SCENA PRIMA - Cipro. Una strada

(Entrano IAGO e RODERIGO)

 

IAGO: Qui, stai dietro a questa sporgenza; verrà tra un momento: snuda la tua buona spada, e vibrala al segno: presto, presto; non temere di nulla; io ti starò a gomito: questa sarà la nostra fortuna o la nostra rovina, pensa a ciò e fissa ben ferma la tua risoluzione.

RODERIGO: Stammi dappresso; io potrei sbagliare il colpo.

IAGO: Qui, accanto a te; abbi coraggio, e prendi posizione.

 

(Si ritira)

 

RODERIGO: Io non ho grande entusiasmo per quest'azione; eppure egli m'ha date ragioni soddisfacenti: non è che un uomo di meno. Fuori spada mia: è morto.

IAGO: Ho stuzzicato piuttosto sul vivo questo bubboncello, ed ecco, s'irrita. Ora, ch'egli uccida Cassio, o Cassio lui, o l'uno uccida l'altro, in ogni modo io n'ho il mio guadagno: viva Roderigo, egli m'intima di restituirgli l'oro e i gioielli che gli ho truffati, come doni a Desdemona, e non dev'essere; se rimane Cassio, egli ha una quotidiana bellezza nella sua vita, che fa brutto me; ed inoltre il Moro potrebbe smascherarmi a lui; qui io corro un gran pericolo: no, egli deve morire. Così sia. Sento che sta venendo.

 

(Entra CASSIO)

 

RODERIGO: Riconosco il suo passo. E' lui! tu sei morto, furfante! (Si lancia contro Cassio).

CASSIO: Poteva essere un colpo fatale, se il mio giaco non era migliore di quanto tu credessi. Ora proverò il tuo!

 

(Sguaina, e ferisce Roderigo)

 

RODERIGO: Mi ammazzano! (Iago, assalendolo alle spalle, colpisce Cassio alla gamba e fugge)

CASSIO: Son stroppiato per sempre! Aiuto! Assassinio! Assassinio!

 

(Cade)

(Entra OTELLO)

 

OTELLO: E' la voce di Cassio. Iago ha mantenuto la parola.

RODERIGO: Me sciagurato!

OTELLO: Proprio così.

CASSIO: Aiuto! oh, luce! Un dottore!

OTELLO: E' lui, è lui. Bravo, Iago: galantuomo e così sensibile all'oltraggio fatto all'amico. Mi dai l'esempio... Carina mia, il tuo diletto è qui morto; ma anche la tua sorte sta per compiersi. Vengo subito, sgualdrina! Le tue grazie e i tuoi sguardi son cancellati dal mio cuore. E il tuo letto contaminato dalla lussuria rosseggerà del tuo sangue lussurioso. (Esce)

 

(Entrano LODOVICO e GRAZIANO)

 

CASSIO: Olà! Non ci son guardie? Passanti? Assassinio! Assassinio!

GRAZIANO: Dev'essere successa qualche disgrazia. Che lamenti strazianti!

CASSIO: Aiuto!

LODOVICO: Sentite?

RODERIGO: Oh, infame maledetto!

LODOVICO: Sono due o tre che gridano. Che oscurità! Ma non vorrei che fosse un tranello. Credetemi: è imprudente accostarsi prima che abbiamo ricevuto rinforzi.

RODERIGO: Non c'è nessuno? Ho da morire dissanguato?

LODOVICO: Sentite!

 

(Rientra IAGO con una torcia)

 

GRAZIANO: Arriva qualcuno in camicia, con un lume ed armi.

IAGO: Chi è là? Chi è che grida all'assassinio?

LODOVICO: Non sappiamo.

IAGO: Ma non avete sentito gridare?

CASSIO: Qui, qui. Aiutatemi, per amor del cielo!

IAGO: Cosa c'è?

GRAZIANO Se non sbaglio è l'alfiere d'Otello.

LODOVICO: Proprio lui. Un ottimo soldato.

IAGO: Chi siete voi, che gridate con tanta pena?

CASSIO: Iago! M'hanno stroppiato! Dei furfanti m'hanno rovinato!

Aiutatemi.

IAGO: Ahimè, luogotenente! Chi vi ha conciato cosi?

CASSIO: Uno di loro è qui presso, e non potrà fuggire.

IAGO: Traditori vigliacchi! (A Lodovico e Graziano) Chi siete, costà?

Venite ad aiutarci.

RODERIGO: Aiuto! Son qui!

CASSIO: E' uno degli assassini.

IAGO: Miserabile ribaldo!

 
(Pugnala Roderigo)

 

RODERIGO: Maledetto Iago! Cane senza cuore... oh, oh. oh!

IAGO: Tirare sulla gente al buio! Dove sono questi manigoldi? Che silenzio nella città! Assassinio! Assassinio! Ma chi siete, costà?

Gente dabbene o furfanti?

LODOVICO: Giudicateci ai fatti.

IAGO: Signor Lodovico?

LODOVICO: Proprio io.

IAGO: Vi chiedo perdono. C'è qui Cassio che dei manigoldi hanno ferito.

GRAZIANO: Cassio!

IAGO: Come va, fratel mio?

CASSIO: Mi hanno tagliato a mezzo una gamba.

IAGO: Non voglia il cielo. Un po' di luce signori. Lo benderò con la mia camicia.

 

(Entra BIANCA)

 

BIANCA: Che è accaduto? Chi gridava?

IAGO: Chi gridava?

BIANCA: Oh, mio caro Cassio! Mio dolce Cassio! Cassio! Cassio! Cassio mio!

IAGO: Illustre bagascia! Voi, Cassio: avete nessuna idea di chi possa avervi ridotto così?

CASSIO: Nessuna.

GRAZIANO: Mi duole trovarvi in questo stato: io cercavo appunto di voi.

IAGO (a Bianca): Dammi una giarrettiera. Ci vorrebbe una seggiola per trasportarlo meglio.

BIANCA: Dio Dio! Ora sviene! O Cassio, Cassio, Cassio!

IAGO: Signori miei, ho paura che questa donnaccola sia implicata nella faccenda. Cassio, un po' di pazienza. Portate qui un lume. Conosciamo o no questa faccia? E' il mio amico, il mio caro compaesano Roderigo!

Ma no... Ma sì; è lui, è lui: Roderigo.

GRAZIANO: Roderigo, il Veneziano?

IAGO: Proprio lui. Lo conoscevate?

GRAZIANO: Se lo conoscevo? Ma certo.

IAGO: Signor Graziano, scusatemi: questi avvenimenti sanguinosi mi hanno talmente sconvolto che vi ho trattato con poco riguardo.

GRAZIANO: Son lieto di vedervi.

IAGO: Come va, Cassio? Una sedia! Una sedia!

GRAZIANO: Roderigo!

IAGO: Proprio lui lui! (Portano una sedia) Meno male: la sedia. Voi, brava gente, portatelo via con precauzione. Io andrò a chiamare il chirurgo del generale (A Bianca) Quanto a voi, signora, risparmiatevi queste commedie. (A Cassio) Cassio, quello che giace qui morto, era un mio carissimo amico. C'era stata questione fra voi?

CASSIO: Affatto. Quest'uomo non lo conosco nemmeno.

IAGO (a Bianca): Ma voi impallidite. (Agli altri) Non lo tenete più qui all'aria della notte. (Cassio e Roderigo vengono portati via) Non andatevene, signori... (A Bianca) Voi impallidite. (Agli altri) Notate l'espressione dei suoi occhi. (A Bianca) Se sbarrate così gli occhi, ne sapremo più e meglio tra poco. Osservatela, vi prego: osservatela.

La colpa si confessa anche se la lingua sta muta.

 

(Entra EMILIA)

 

EMILIA: Misericordia! Che è successo? Che è successo, marito mio?

IAGO: E' Cassio, che nel buio fu assalito da Roderigo, e da altri che sono scappati. Cassio è agonizzante, e Roderigo è morto.

EMILIA: Poveri noi ! Povero signor Roderigo! Povero Cassio!

IAGO: Questo è il risultato di bazzicare le donnacce. Emilia, fa' il piacere: domanda a Cassio dove ha cenato stasera. (A Bianca) Sembra che questo vi allarmi.

BIANCA: Ha cenato a casa mia; ma non ho da turbarmi per questo.

IAGO: Dunque ha cenato con voi! Siete in istato d'accusa, e vi ordino di seguirmi.

EMILIA: Vergognati, vergognati, baldracca!

BIANCA: Non sono una baldracca. Sono una persona pulita come voi che m'insultate.

EMILIA: Come me? Svergognata!

IAGO: Signori cari, andiamo a veder medicare il povero Cassio. (A Bianca) Seguiteci: dobbiamo sapere altre cose da voi. Emilia correte alla cittadella e mettete il generale e la signora al corrente di tutto. Volete avviarvi? (A parte) Questa notte si fa la mia fortuna o la mia rovina completa.

 

(Escono)

 

 

 

SCENA SECONDA - Camera da letto nel Castello

(DESDEMONA a letto, addormentata. Vicino a lei arde un lume. Entra OTELLO)

 

OTELLO: Questa è la cagione, anima mia, la cagione: ma lasciate che a voi non la sveli, castissime stelle. La cagione! Io non voglio versare il suo sangue, né straziare questa pelle più bianca della neve e liscia come sepolcrale alabastro. E tuttavia ella deve morire, o peccherà con altri uomini. Spengo prima questa luce, e poi (indicando Desdemona) quest'altra. Se dopo aver soffiato su te, ministro fiammante, io dovessi pentirmi, di nuovo ti posso riaccendere. Ma una volta (verso Desdemona) che la tua luce sia spenta, tu magistrale modello dell'eccellente natura, dove troverò più il fuoco prometeico capace a ridestarla? Quando io abbia reciso la tua rosa, non potrò renderle la sua forza vitale, e fatalmente essa avvizzirà. Così io ti odoro sullo stelo. (Baciandola) Oh respiro balsamico, che quasi convinceresti la Giustizia a spezzare la sua spada! Un altro bacio! Ed un altro! Sii così quando sarai morta, ed io ti avrò uccisa e potrò ancora amarti. Un altro! Ed è l'ultimo. Tanta dolcezza non fu mai tanto letale. Io piango, ma son lacrime crudeli questo è un dolore celeste e distrugge chi ama. Ella si desta!

DESDEMONA: Chi è là? Otello?

OTELLO: Sì, Desdemona.

DESDEMONA: Venite a letto, signore?

OTELLO: Desdemona, stanotte avete recitato le vostre preghiere?

DESDEMONA: Sì, signor mio.

OTELLO: Se vi ricordate qualche peccato di cui il cielo non v'abbia ancora assolta, chiedetene subito perdono.

DESDEMONA: Ahimè, signor mio, che intendete dire?

OTELLO: Fatelo e sbrigatevi. Mi allontano un momento. Io non voglio uccidere la tua anima, se non è preparata. Il cielo me ne guardi! Non voglio uccidere la tua anima.

DESDEMONA: Voi parlate di uccidere?

OTELLO: Sì.

DESDEMONA: Che il cielo abbia pietà di me!

OTELLO: Amen, di tutto cuore.

DESDEMONA: Se dite così, spero che non mi ucciderete.

OTELLO: Hum.

DESDEMONA: Ma ho terrore di voi: siete tremendo quando i vostri occhi ruotano in questa maniera. E perché io debba aver paura non so; non conosco la mia colpa. Ma sento che ho paura.

OTELLO: Pensa ai tuoi peccati.

DESDEMONA: I miei peccati sono l'amore che vi porto.

OTELLO: Sì: e di questo tu muori.

DESDEMONA: La morte che uccide per amore è una morte contro natura.

Ahimè! Perché vi mordete così il labbro? Una furia omicida vi agita tutto. Funesti presagi: ma io spero, ancora spero, che non siano contro di me.

OTELLO: Taci, e non muoverti.

DESDEMONA: Cosa c'è?

OTELLO: Quel fazzoletto a cui ero tanto affezionato e che ti regalai, tu l'hai dato a Cassio.

DESDEMONA: Nego, sulla mia vita e la mia anima! Chiamate Cassio e chiedeteglielo.

OTELLO: Guardati, anima cara, guardati dallo spergiuro. Tu sei sul tuo letto di morte.

DESDEMONA: Sì, ma non ancora per morire.

OTELLO: Subito. Confessa lealmente il tuo peccato. Perché se anche tu lo negassi, e con giuramento, punto per punto, non potresti attenuare né distruggere quella forte convinzione della tua colpa che mi fa delirare. Tu devi morire.

DESDEMONA: Che il Signore abbia misericordia di me.

OTELLO: Così sia.

DESDEMONA: E anche voi abbiate misericordia! Non vi ho mai, mai offeso. Non ho mai amato Cassio, se non di quell'affetto onesto e comune che il cielo consente. Mai gli ho dato alcun pegno.

OTELLO: Io stesso vidi quel fazzoletto in mano sua! Spergiuro! Tu muti in pietra il mio cuore, e fai ch'io chiami quel che intendo fare un assassinio, mentre lo credevo un sacrificio. Ho visto io il fazzoletto!

DESDEMONA: Allora l'avrà trovato. Mai glielo detti: mandatelo a chiamare, e che confessi.

OTELLO: Ha già confessato.

DESDEMONA: Che cosa, mio signore?

OTELLO: D'averti avuta.

DESDEMONA: D'avermi avuta disonestamente?

OTELLO: Sì.

DESDEMONA: Egli non potrà mai dir questo.

OTELLO: Non potrà: la sua bocca è ormai chiusa. Ci pensò il bravo Iago.

DESDEMONA: Oh, il mio spavento s'illumina! dunque è morto?

OTELLO: Se ognuno dei suoi capelli fosse stato una vita, la mia vendetta avrebbe avuto fame per divorarle tutte.

DESDEMONA: Ahimè, egli è stato tradito, e io distrutta.

OTELLO: Basta, prostituta! Osi piangerlo davanti a me?

DESDEMONA: Scacciatemi, signore mio, ma non mi uccidete.

OTELLO: Giù, prostituta!

DESDEMONA: Uccidetemi domani. Lasciatemi ancora vivere questa notte.

OTELLO: Se ti ribelli...

DESDEMONA: Mezz'ora soltanto!

OTELLO: L'azione non conosce indugi.

DESDEMONA: Il tempo per una preghiera...

OTELLO: Troppo tardi!

 
(La soffoca)

 

EMILIA (di dentro): Signore! Signore! Oh, dico a voi mio signore.

OTELLO: Che rumore è questo? Non è morta? Non è morta ancora? Io sono crudele, ma anche misericordioso. Non voglio che seguiti ancora a patire... Così, ecco.

 

(La finisce)

 

EMILIA (di dentro): Signore, signore: una parola!

OTELLO: E' Emilia. Un momento. Ora è morta. Forse ella viene ad annunciare la fine di Cassio, che avrà fatto rumore. Non si muove più.

Muta come la tomba! Debbo farla entrare? Sembra che si muova ancora.

No. Cosa è meglio? Se vien qui, certamente vorrà parlare a mia moglie.

Mia moglie! Mia moglie! Che moglie? Io non ho più moglie. Pensiero insopportabile! Ora funesta! Che venisse un enorme eclisse del sole e della luna, e si spaccasse il globo atterrito.

EMILIA (di dentro): Vi supplico, buon signore, ho da parlarvi.

OTELLO: M'ero scordato. Su, Emilia, entra. Ma piano. Un minuto. Fammi tirar le cortine. (Apre la porta) Dove sei?

 

(Entra EMILIA)

 

Che vuoi?

EMILIA: Mio buon signore, truci delitti son stati commessi.

OTELLO: Come, ora?

EMILIA: Proprio ora signore OTELLO: E' colpa della luna: si accosta alla terra più del giusto e fa impazzire la gente.

EMILIA: Cassio ha ucciso un giovane veneziano di nome Roderigo.

OTELLO: Roderigo è stato ammazzato? E anche Cassio?

EMILIA: No, Cassio no.

OTELLO: Cassio non è stato ucciso? Allora l'assassinio è fuori chiave; e la dolce vendetta è fatta acre.

DESDEMONA: Uccisa ingiustamente!

EMILIA: O Dio! Chi ha gridato così?

OTELLO: Che grido?

EMILIA (corre verso il letto): Ahimè! E' la voce della signora mia.

Aiuto! Aiuto! Aiuto! Signora, dite ancora qualche cosa. Dolce Desdemona, padrona mia dolce, parlate.

DESDEMONA: Io muoio innocente.

EMILIA: E chi ha commesso questo misfatto?

DESDEMONA: Nessuno. Io stessa. Ricordami al mio amato signore. Addio!

 

(Muore)

 

OTELLO: Come l'avranno ammazzata?

EMILIA: Chi può saperlo?

OTELLO: L'avete sentito da lei... Io non sono stato.

EMILIA: Così ha detto: riconosco ch'è così.

OTELLO: E lei, come bugiarda piomberà nell'inferno. Perché sono io che l'ho uccisa.

EMILIA: Tanto più angelo lei, quanto voi più nero demonio!

OTELLO: Era corrotta: era una baldracca.

EMILIA: Tu la calunni, demonio!

OTELLO: Infida come l'acqua.

EMILIA: E tu furibondo come la fiamma, a dire ch'ella tradì. Oh, ella era d'una fedeltà angelica.

OTELLO: Cassio la possedette. Chiedine a tuo marito. Ah, io finirei dannato nell'inferno più profondo, se a tanto non fossi giunto per le vie della verità più scrupolosa. Tuo marito sapeva.

EMILIA: Mio marito?

OTELLO: Tuo marito.

EMILIA: Ch'ella tradiva la fede coniugale?

OTELLO: Con Cassio. Mi fosse ella stata fedele! E se il cielo m'avesse offerto un mondo come questo, formato tutto d'una sola pietra preziosa, io non avrei fatto cambio.

EMILIA:. Mio marito?

OTELLO: Fu lui il primo a dirmelo. E' un galantuomo, e odia queste nefandezze.

EMILIA: Mio marito?

OTELLO: C'è ancora bisogno di ripeterlo? Sì, tuo marito.

EMILIA: Oh, povera signora mia! La scelleratezza s'è beffata dell'amore! Mio marito vi disse ch'ella era infedele?

OTELLO: Proprio lui, donna. Dico e ripeto: tuo marito. Le capisci queste parole: tuo marito: il mio amico, l'onesto, onestissimo Iago?

EMILIA: Se egli disse questo, possa la sua anima maligna putrefarsi ogni giorno un poco. Perché egli ha mentito dal profondo del cuore.

Ella era troppo innamorata di te, sua orribile scelta!

OTELLO (minaccioso): Oh!

EMILIA: Fai pure il peggio che puoi. Questa tua azione non è più degna del cielo che tu fossi degno di lei.

OTELLO: Meglio tu stia zitta.

EMILIA: Per farmi del male tu non hai neanche metà della capacità che ho io di soffrire! Ah! gaglioffo, stupido come la spazzatura! Che cosa hai fatto!... Non temo la tua spada! E voglio che tutti sappiano: ci dovessi anche rimettere venti vite. Aiuto! Aiuto! Aiuto! Il Moro ha ucciso la mia padrona! Assassinio! Assassinio!

 

(Entrano MONTANO, GRAZIANO, IAGO ed altri)

 

MONTANO: Cosa c'e? Che c'è, generale?

EMILIA: Sei qui, Iago? Bella cosa che hai fatto, perché la gente possa scaricare i propri delitti sulle tue spalle.

TUTTI: Che è successo?

EMILIA (a Iago): Se tu sei un uomo, smentisci questo miserabile. Egli pretende aver saputo da te che sua moglie lo tradiva. Sono sicura che tu non lo hai detto. Tu non sei infame a tal punto. Ma rispondimi, ché il mio cuore trabocca.

IAGO: Gli ho detto ciò che pensavo, e non gli ho detto più di quanto egli stesso ha riconosciuto giusto e vero.

EMILIA: E gli hai mai detto ch'ella era infedele?

IAGO: Glielo dissi.

EMILIA: Menzogna! Turpe e dannata menzogna ! Sull'anima mia, perfida menzogna. Tradirlo con Cassio! Tu dicesti con Cassio?

IAGO: Con Cassio, signora. Andatevene: e frenate la lingua.

EMILIA: Non frenerò affatto la lingua! Io debbo parlare. La mia padrona è là, uccisa nel suo letto!

TUTTI: Che non sia vero!

EMILIA: Le tue calunnie hanno scatenato il delitto.

OTELLO: Non stupitevi, amici: è la pura verità.

GRAZIANO: Una strana verità!

MONTANO: Oh, azione mostruosa!

EMILIA: Infamia! Infamia! Ora intendo, ora intendo! Infamia! Ma già avevo sospetto! Mi ucciderei dal dolore! Infamia!

IAGO: Siete pazza? Andate a casa, ve l'ordino.

EMILIA: Signori, lasciate ch'io parli. Io gli devo ubbidienza, ma non ora. E forse, Iago, a casa io non ci tornerò più.

OTELLO: Oh! Oh! Oh! (Cade sul letto)

EMILIA: Sì, ròtolati, ruggisci! Tu hai ucciso la più dolce creatura che mai levasse gli occhi in alto!

OTELLO [alzandosi): Un'immonda. (A Graziano) Oh, zio: non vi avevo riconosciuto. Qui giace vostra nipote, e or ora le mie mani ne hanno spezzato il respiro. Capisco che questo atto possa sembrar orribile e atroce.

GRAZIANO: Povera Desdemona! Sono contento che tuo padre sia morto. Le tue nozze gli furono fatali, e il dolore stroncò la sua vecchia esistenza. Se vivesse ora, questo spettacolo lo spingerebbe a qualche atto disperato! Sì: a cacciare bestemmiando il suo miglior angelo dal suo fianco, e a cadere in perdizione.

OTELLO: E' triste: ma c'è qui Iago che sa come mille volte con Cassio ella compì la cosa infame. Cassio stesso dové confessarlo. Ed ella ne compensò le amorose fatiche con quel primo pegno d'affetto che io le affidai. L'ho visto io in mano a Cassio. Era un fazzoletto, un antico dono di mio padre a mia madre.

EMILIA: Potenze celesti!

IAGO: Ma ti vuoi chetare?

EMILIA: Tutto deve esser saputo. Perché tacerei? Parlerò invece libera come il vento. Che poi il cielo, gli uomini e i demòni, tutti, tutti, condannino me pure: ma io parlerò.

IAGO: Abbi giudizio. Vattene EMILIA: No, no.

 

(Iago tenta di ferire Emilia)

 

GRAZIANO: Vergogna! Con la spada contro una donna!

EMILIA: Tu, stupido Moro! Il fazzoletto che dici, fui io a trovarlo, per caso; e lo detti a mio marito, che tanto spesso, con tanta insistenza, più che in verità non convenisse a una tal bagattella, mi aveva pregato lo rubassi.

IAGO: Infame baldracca!

EMILIA: Era stata lei a darlo a Cassio? Ma no, ahimè! Fui io che lo trovai e lo detti a mio marito!

IAGO: Tu menti, carogna!

EMILIA: Per il cielo, io non mento! Non mento, signori. (Al Moro) Idiota assassino! Un simile idiota, cosa poteva fare d'una moglie così buona?

OTELLO: Non ci sono in cielo altri fulmini fuori di quelli che servono per il tuono? Tu maledetto! (si slancia verso Iago)

 

(Iago colpisce Emilia e fugge)

 

GRAZIANO: La donna cade! Ha ammazzato sua moglie!

EMILIA: Sì, sì! Oh, distendetemi accanto alla mia padrona.

GRAZIANO: Lui è fuggito; e sua moglie, uccisa.

MONTANO: Che infame! (A Graziano) Prendete quest'arma che ho sequestrata al Moro, e state di guardia qui fuori. Non lasciatelo uscire. Piuttosto ammazzatelo. Io inseguirò quel demonio: è capace di tutto.

 

(Escono Montano e Graziano)

 

OTELLO: Non ho più neanche forza, qualsiasi omiciattolo può togliermi la spada. E del resto: la dignità perché deve sopravvivere alla virtù?

Che ogni cosa vada in malora!

EMILIA: Signora mia, cosa presagiva la canzone? Mi ascolti? Farò come il cigno, che canta mentre muore. (Canta) "Salice, salice salice...".

Moro, ella era pura. E ti amava, o feroce. Così la mia anima possa salvarsi, come io dico il vero. E dicendo il vero, io muoio...

muoio... (muore)

OTELLO: Ma ho qui un'altra arma: una spada spagnola temprata nel gelo di un ruscello. Graziano, lasciami uscire.

GRAZIANO (di dentro): Non provarti, o la pagherai cara. Sei disarmato e ti devi rassegnare.

OTELLO: Vieni dentro, e parliamo; o, inerme come sono, io mi scaglio su te.

 

(Rientra GRAZIANO)

 

GRAZIANO: Cosa vuoi?

OTELLO: Guarda: ho un'arma! migliore di questa mai non s'appoggiò a coscia di soldato. Ci fu un giorno che, con questo piccolo braccio e con questa buona spada mi feci strada attraverso ostacoli venti volte superiori alla tua forza. Ma, vana smargiassata, chi comanda al destino? Ora non è più così: non temere dunque, se anche sono armato.

Questa è la fine del mio viaggio; il rifugio per la mia vela stanca.

Non indietreggiare. La tua paura è sprecata. Arma pure un giunco contro il petto di Otello, ed egli cede. Dove vuoi che io vada?

(Volgendosi a Desdemona) Qual è ora il tuo aspetto? Sventurata! Tu sei pallida come la tua camicia. E quando il giorno del giudizio ci incontreremo questo tuo aspetto farà precipitare dal cielo la mia anima, e i demòni se la piglieranno. Così fredda, fredda, mia bambina!

Fredda come la tua castità! Oh, negro maledetto! Frustatemi, demòni!

Scacciatemi dall'incanto di questa vista celeste. Sperdetemi sui turbini. Bruciatemi nello zolfo! Tuffatemi nelle cascate del fuoco liquefatto. O Desdemona! Desdemona! morta! Oh! Oh!

 
(Entrano LODOVICO, MONTANO, CASSIO - portato su una sedia - e Ufficiali con IAGO prigioniero)

 

LODOVICO: Dov'è quel folle sventurato?

OTELLO: Eccomi. Ecco colui che fu Otello.

LODOVICO: E dov'è quel mostro? Conducetelo qui.

 

(Spingono avanti IAGO)

 

OTELLO: Guardo il suo piede, se non sia forcuto come quello del diavolo. Ma se tu sei un diavolo, non potrò ammazzarti. (Ferisce IAGO)

LODOVICO: Disarmatelo!

IAGO: Mi ha ferito, ma non ucciso.

OTELLO: E non mi spiace. Preferisco tu viva, perché credo che il morire sia felicità.

LODOVICO: Otello, tu che una volta eri così buono!... Cadere nelle reti d'uno schiavo dannato! Che diremo di te?

OTELLO: Qualsiasi cosa! Dite, se volete, che sono omicida, ma d'onore, perché non ho fatto nulla per odio, ma tutto per l'onore.

LODOVICO: Questo miserabile in parte ha confessato. V'accordaste con lui per uccidere Cassio?

OTELLO: Si.

CASSIO: Caro generale, mai ve ne detti motivo.

OTELLO: E lo so, e vi chiedo perdono. Volete domandare a questa vipera perché mi abbia così preso al laccio, anima e corpo?

IAGO: Non chiedetemi nulla. Ciò che sapete, sapete. E da questo momento non dirò una parola.

LODOVICO: Neanche per pregare?

GRAZIANO: I tormenti gli apriranno la bocca!

OTELLO (a Iago): Ma sì: meglio il silenzio.

LODOVICO: Signore, vi spiegherò quel ch'è accaduto, e che credo non sappiate. Ecco due lettere trovate in tasca a Roderigo; dalla prima risulta che l'uccisione di Cassio doveva essere compiuta da Roderigo.

OTELLO: O infame!

CASSIO: Traditore vigliacco!

LODOVICO: L'altra è una lettera di rimprovero che, a quanto pare, Roderigo voleva mandare a questo scellerato. Ma Iago lo prevenne, e lo spacciò.

OTELLO: Oh, dannato furfante! Cassio, ma come veniste in possesso di quel fazzoletto ch'era di mia moglie?

CASSIO: Lo trovai nella mia stanza. E Iago, or ora, ha confessato di avercelo messo lui per un suo speciale motivo che serviva ai suoi fini.

OTELLO: Idiota, idiota che fui!

CASSIO: Nella stessa lettera, Roderigo rimproverava a Iago di averlo indotto a provocarmi durante la guardia, da cui seguì che io persi il mio grado. Roderigo, noi lo credevamo morto; ma ha fatto in tempo a rivelare che fu Iago a istigarlo e Iago ad ucciderlo.

LODOVICO (a Otello): Lasciate questa stanza seguiteci. Il potere e il comando vi sono tolti, e Cassio assume il governo di Cipro. Quanto a questo infame, gli toccheranno torture che debbano straziarlo ma lasciandolo in vita il più a lungo possibile. Voi resterete prigioniero, finché della vostra colpa ne sia informato il governo veneziano. Avanti, conducetelo via!

OTELLO: Un momento. Debbo dirvi una due parole, prima che andiate. Ho reso a Venezia qualche servizio, tutti lo sanno. E non parlo di ciò.

Ma quando, nelle vostre lettere, narrerete questi eventi sciagurati, vi prego: parlate di me com'io sono: non attenuate né aggiungete con malizia. Parlate d'uno che amò dissennatamente, ma con tutto il suo cuore; d'uno che non era facile alla gelosia, ma una volta diventatone preda ne fu in tutto sconvolto; d'uno che, come povero indiano, per ignoranza buttò via la perla più preziosa di tutti i tesori. D'uno i cui occhi afflitti e non avvezzi all'intenerimento, versano ora più lacrime che gli alberi d'Arabia non versino aromi. Scrivete questo...

E dite anche che, ad Aleppo, una volta vidi un Turco insolente che batteva un Veneziano e offendeva la Repubblica. Lo presi per la gola, quel cane circonciso, e colpii così.

 

(Si trafigge)

 

LODOVICO: Conclusione sanguinosa.

GRAZIANO: Sono inutili altre parole.

OTELLO: Io ti baciai prima di ucciderti. E non c'è altro modo che questo: uccidermi, per morire in un bacio.

 

(Cade su Desdemona e muore)

 

CASSIO: Così temetti; ma lo credevo disarmato. Egli era di gran cuore.

LODOVICO (a Iago): E tu, cane spartano, più insaziabile del dolore, della fame o del mare: guarda il tragico carico di questo letto! E' opera tua: spettacolo che avvelena la vista. Nascondetelo! Graziano, fate guardia a casa e prendete possesso di tutti i beni del Moro, perché vi spettano in eredità. Signor governatore, a voi di giudicare questo infame. Decidete il giorno, il luogo e la tortura: la più cruda tortura. Io m'imbarcherò subito e tornerò in patria a riferire col cuore inorridito quest'orrida vicenda.

 

(Escono)

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