Alexandre Dumas



LA SIGNORA DELLE CAMELIE

 

 

 

 

CAPITOLO 1

 

Penso che non si possano creare dei personaggi senza aver studiato a fondo gli uomini, come non si può parlare una lingua che a patto di averla imparata seriamente.

Non avendo ancora raggiunto l'età nella quale s'inventa, mi accontento di riferire.

Invito pertanto il lettore a convincersi della realtà di questa storia, di cui tutti i personaggi, tranne la protagonista, sono ancora vivi.

Del resto, a Parigi molti potrebbero testimoniare la maggior parte dei fatti che qui descriverò, e potrebbero confermarli, se la mia sola testimonianza non fosse sufficiente, ma, per una particolare circostanza, soltanto io posso narrarli, perché solo a me furono confidati gli ultimi particolari, senza i quali sarebbe stato impossibile fornire un racconto interessante e compiuto.

Ecco in che modo mi furono resi noti quei fatti. Il 12 marzo 1847, in rue Laffitte, potei leggere un grande manifesto giallo che annunciava una vendita all'asta di mobili e di rare curiosità. La vendita avveniva in seguito alla morte del proprietario, sull'avviso non era scritto il nome del defunto, ma si diceva che la vendita si sarebbe tenuta il giorno 16, da mezzogiorno alle cinque, al numero 9 di rue d'Antin.

Il manifesto annunciava inoltre che il 13 e il 14 si sarebbe potuto visitare l'appartamento con i mobili.

Sono sempre stato un amatore di oggetti rari, e mi riproposi perciò di non perdere l'occasione di vedere questi, e forse anche di acquistarli.

L'indomani, mi recai al numero 9 di rue d'Antin. Nonostante fosse ancora mattina presto, l'appartamento era già invaso dai visitatori e anche da visitatrici che per quanto vestite di velluto, avvolte in cachemire e attese alla porta dalle loro eleganti carrozze, contemplavano con stupore, e anche con ammirazione, quel lusso che si offriva ai loro occhi. Quell'ammirazione e quello stupore mi furono chiari più tardi, quando, guardandomi intorno, potei accorgermi di essere nell'abitazione di una mantenuta.

Ora, se c'è una cosa che le signore della buona società desiderano conoscere - e infatti quelle visitatrici appartenevano appunto alla buona società - è proprio la casa di quelle donne il cui guardaroba quotidiano supera per fasto il loro, e che hanno, come loro e accanto a loro, palchi riservati all'Opéra e al Théâtre des Italiens, e che sfoggiano, per le strade di Parigi, l'insolente abbondanza della loro bellezza, dei loro gioielli, dei loro scandali.

Colei che viveva nell'appartamento mi trovavo era morta: e dunque le signore più virtuose potevano finalmente entrare fino nella sua stanza da letto.

La morte aveva purificato l'aria di quella splendida fogna; e d'altronde le visitatrici avevano come scusa, qualora ce ne fosse stato bisogno, il fatto di essere venute per una vendita all'asta senza conoscere il nome della padrona di casa.

Avevano letto un manifesto, e ora volevano vedere e scegliere gli oggetti che quel manifesto prometteva: nulla di più semplice, il che tuttavia, non impediva loro di cercare, in mezzo a tutte quelle meraviglie, le tracce di quella vita dissoluta sulla quale, certo, avevano udito tanti strani racconti.

Ma purtroppo i misteri erano morti con la loro dea; e malgrado la loro buona volontà, quelle dame riuscirono a scoprire solo ciò che era in vendita dopo la morte, e non ciò che si vedeva quando la padrona di casa era ancora viva.

Del resto, c'era davvero di che acquistare. L'arredamento era splendido. Mobili di Boule e in legno di rosa, vasi cinesi e di Sèvres, statuette di Sassonia, stoffe di raso, velluti, merletti, non mancava niente.

Io mi aggiravo nell'appartamento, seguendo le nobili curiose che mi avevano preceduto. Esse entrarono in una stanza tappezzata di stoffe persiane, e anch'io stavo per entrarvi, quando ne uscirono quasi a precipizio, sorridendo come vergognose di quella nuova intrusione.

Il mio desiderio di entrare in quella stanza ne fu aumentato.

Era lo spogliatoio, fornito di ogni specie di strumenti nei quali pareva essersi espressa al massimo la prodigalità della defunta.

Su un grande tavolo accostato al muro, grande tre piedi per sei, splendevano tutti i tesori di Ancoe e di Odiot. Era proprio una magnifica collezione, e fra tutti quegli oggetti, così indispensabili a una donna come quella presso la quale ci trovavamo, non ce n'era uno che non fosse d'oro o d'argento.

Tuttavia quella raccolta non poteva essere stata fatta che poco alla volta, e non era certo stato un solo amore a completarla.

Io, che non mi scandalizzavo certo alla vista dello spogliatoio di una mantenuta, mi divertivo a osservarne i particolari, di qualsiasi tipo, e mi accorsi che tutti quegli utensili mirabilmente cesellati portavano monogrammi vari e corone diverse.

Guardavo tutti quegli oggetti, ognuno dei quali significava ai miei occhi un passo avanti della poverina sulla strada della prostituzione, e mi andavo dicendo che Dio era stato misericordioso verso di lei poiché non aveva permesso che giungesse al solito castigo, consentendole di morire nel pieno del suo lusso e della sua bellezza, prima di conoscere la vecchiaia, che è la prima morte delle cortigiane.

Che c'è infatti di più triste della vecchiaia del vizio, specialmente nella donna? Essa non ha in sé nessuna dignità e non ispira interesse.

Quel continuo pentirsi, non di avere percorso una cattiva strada, ma di avere sbagliato i propri calcoli e di avere mal impiegato il proprio denaro, è una delle cose più tristi che si possano immaginare.

Ho conosciuto un'antica prostituta alla quale non restava del passato che una figlia bella quasi quanto lo era stata lei, a detta dei contemporanei. Quella povera fanciulla, alla quale la madre non aveva mai detto: "Sei mia figlia" se non per ordinarle di sfamare la sua vecchiaia come lei aveva sfamato la sua infanzia, quella povera creatura si chiamava Louise, e, obbedendo a sua madre, si concedeva senza volontà, senza passione, senza piacere, come avrebbe fatto qualsiasi mestiere che avessero pensato di insegnarle.

Il continuo spettacolo della corruzione, della corruzione precoce, alimentata dalla salute sempre precaria della ragazza, aveva soffocato in lei quella conoscenza del bene e del male che forse Dio le aveva dato ma che nessuno aveva pensato a sviluppare.

Ricorderò sempre quella ragazza, che passava sui viali quasi tutti i giorni alla stessa ora.

Sua madre l'accompagnava sempre, con un'assiduità di una vera madre che accompagnasse la propria vera figlia.

Ero molto giovane, a quel tempo, e pronto ad accettare per me stesso la facile morale del mio secolo; mi ricordo però che la vista di quella scandalosa sorveglianza mi ispirava disprezzo e disgusto.

Si aggiunga che nessun viso di vergine avrebbe potuto riflettere lo stesso sentimento di innocenza, una simile espressione di malinconica sofferenza. La si sarebbe detta un'immagine della Rassegnazione. Un giorno, il volto di quella fanciulla si rischiarò. In mezzo alla corruzione di cui sua madre reggeva le fila, sembrò alla peccatrice che Dio volesse concederle la felicità.

E perché, dopo tutto, Dio che l'aveva creata senza forza avrebbe dovuto lasciarla senza conforto, sotto il peso doloroso della sua vita? Un giorno, dunque, si accorse di essere incinta, e quella parte di lei che era rimasta incontaminata trasalì di gioia. L'anima umana ha una strana capacità di evasione.

Louise corse ad annunciare alla madre quella notizia che la rendeva così felice. E' vergognoso dirlo, ma, d'altra parte, noi non facciamo qui sfoggio di immoralità, raccontiamo un fatto vero che sarebbe forse meglio tacere, se non fossimo convinti che è necessario, a volte, rendere noto il martirio di quegli esseri che vengono condannati senza ascoltarli, disprezzati senza giudicarli; è vergognoso, ripetiamo, ma la madre rispose a sua figlia che quello che avevano era appena sufficiente per due e che non sarebbe certo bastato per tre; che certi bambini sono inutili e che una gravidanza è tempo perso.

Il giorno dopo, una levatrice, che indichiamo qui solamente come amica della madre, visitò Louise, che rimase qualche giorno a letto, per rialzarsene più pallida e debole che mai.

Tre mesi dopo, un uomo ebbe pietà di lei e tentò di guarirla moralmente e fisicamente; ma l'ultimo colpo era stato troppo grave, e Louise morì per le conseguenze dell'aborto.

La madre è ancora viva: come? Solo Dio lo sa.

Questa storia mi era tornata in mente mentre guardavo i servizi da toletta in argento, e avevo passato un po' di tempo in queste riflessioni, a quanto pareva, perché nell'appartamento non eravamo rimasti che io e un custode che, sulla porta, vigilava con attenzione che non rubassi niente.

Mi avvicinai allora al brav'uomo a cui ispiravo timori così gravi.

"Signore", gli chiesi, "potreste dirmi il nome della persona che abitava qui?".

"Era mademoiselle Marguerite Gautier".

Conoscevo quella ragazza di nome e di vista.

"Come!", esclamai, "Marguerite Gautier è morta?".

"Sì, signore".

"Quando?".

"Da tre settimane, credo".

"E come mai permettono che si visiti l'appartamento?".

"I creditori pensano che sia un modo per far salire il prezzo di vendita. La gente può vedere in anticipo quale effetto fanno le stoffe e i mobili; voi capite, questo incoraggia all'acquisto".

"Aveva dunque debiti?".

"Oh, signore, una quantità!".

"Ma la vendita riuscirà a coprirli?".

"Ce ne sarà d'avanzo".

"A chi andrà il di più, dunque?".

"Alla famiglia".

"Aveva dunque una famiglia?".

"Sì".

"Grazie, signore".

Il custode, rassicurato circa le mie intenzioni, mi salutò e io me ne andai.

"Poverina" dicevo tra me e me rincasando, "dev'essere morta molto tristemente, perché nel suo ambiente si hanno amici solo a patto di star bene in salute", e mio malgrado mi impietosivo sulla sorte di Marguerite Gautier.

Questo sembrerà ridicolo a molti, ma io ho una immensa compassione per le cortigiane, e non mi sogno neppure di metterla in discussione.

Un giorno, mentre andavo alla prefettura per ritirare il mio passaporto, vidi in una delle strade adiacenti una ragazza trascinata da due gendarmi. Non conosco la colpa di quella ragazza, ma posso dire soltanto che piangeva a calde lacrime stringendo a sé un bambino di qualche mese dal quale l'arresto la separava.

Da quel giorno, non ho mai più disprezzato una donna alla prima impressione.

 

 

 

CAPITOLO 2

 

La vendita era fissata per il 16.

Era stato lasciato un giorno d'intervallo tra quello destinato alle visite e quello dell'asta, perché i tappezzieri avessero il tempo di staccare i parati e le tende.

Ero appena tornato da un viaggio. Era abbastanza naturale che non avessi saputo della morte di Marguerite come di una di quelle grandi notizie che gli amici si affrettano a comunicare a chi fa ritorno nella capitale delle novità.

Marguerite era bella, ma se così tanto scalpore suscita la vita stravagante di quelle donne, altrettanto poco ne suscita la loro morte.

Sono stelle che tramontano così come sorsero, senza fulgore.

Quando muoiono in età giovane, la notizia della loro morte viene saputa contemporaneamente da tutti i loro amanti, perché a Parigi quasi tutti coloro che sono stati intimi con una donna nota sono amici tra di loro; essi si scambiano allora qualche ricordo su di lei, e la vita di tutti continua senza che l'avvenimento la turbi, fosse pure con una sola lacrima.

Al giorno d'oggi, quando si hanno venticinque anni, le lacrime sono diventate una cosa tanto preziosa da non poter essere concessa alla prima venuta.

E' già molto se i genitori, che pagano per essere pianti, lo sono in ragione della somma spesa.

Quanto a me, benché il mio monogramma non si trovasse su nessuno degli oggetti di Marguerite, quell'istintiva indulgenza, quella naturale compassione che poco fa ho confessato, mi faceva riflettere sulla sua morte più a lungo, forse, che di quanto non meritasse.

Mi ricordavo di aver incontrato spesso Marguerite lungo gli Champs- Elysées, dove andava ogni giorno, assiduamente, in un calessino azzurro, tirato da due splendidi cavalli bai; avevo notato in lei un portamento poco comune alle sue pari, che faceva risplendere maggiormente una bellezza già fuori dell'ordinario.

Quelle sciagurate creature, quando escono di casa, sono sempre accompagnate non si sa da chi.

Dato nessun uomo acconsente a mostrare pubblicamente l'amore notturno che ha per loro, e siccome esse odiano la solitudine, si portano dietro o quelle che, meno fortunate, non possiedono una carrozza, o qualcuna di quelle vecchie elegantone di cui niente giustifica l'eleganza e alle quali ci si può rivolgere senza scrupoli, quando si desidera avere qualche notizia su coloro che accompagnano.

Ma non era così per Marguerite. Arrivava agli Champs-Elysées sempre da sola, cercando di nascondersi il più possibile nella sua carrozza, d'inverno avvolta in un gran cachemire, d'estate vestita con assoluta sobrietà; e benché lungo la sua passeggiata abituale si trovassero persone che conosceva, quando per caso sorrideva loro, quel sorriso era visibile solo a queste: una duchessa non avrebbe sorriso in un altro modo.

Non passeggiava mai dal rond-point fino all'imbocco degli Champs- Elysées, come le sue colleghe di allora e di oggi; i suoi cavalli la portavano rapidamente al Bois e lì scendeva dalla carrozza, passeggiava per un'ora, risaliva nella sua vettura, e tornava a casa al gran trotto.

Tutti questi particolari, di cui qualche volta ero stato testimone, sfilavano davanti alla mia mente, e rimpiangevo la morte di quella donna come si può rimpiangere la totale distruzione di un'opera d'arte.

Era, insomma, impossibile trovare una bellezza più affascinante di quella di Marguerite.

Alta e snella, fin troppo, aveva al massimo grado l'arte di far scomparire quel difetto della natura con una sapiente maniera di vestirsi.

Il suo cachemire, lungo fino a terra, lasciava sfuggire qua e là i larghi "volants" di un vestito di seta, e l'ampio manicotto, in cui nascondeva la mani stringendolo al petto, era circondato da pieghe così abilmente disposte, che l'occhio più esigente non avrebbe trovato niente da ridire sul contorno di quelle forme.

La splendida testa era fatta oggetto di una speciale civetteria.

Era molto minuta, e sua madre, come avrebbe detto De Musset, sembrava averla fatta così per poterla fare con maggior cura. Mettete in un ovale di indicibile grazia due occhi neri ornati da sopracciglia dall'arco così puro da sembrare disegnato; velate quegli occhi di lunghe ciglia che, abbassandosi, ombreggino le guance rosate; tracciate un naso sottile, dritto, spirituale, con le narici leggermente dilatate da un anelito di vita sensuale; disegnate una bocca regolare, le cui labbra si schiudano dolcemente su denti bianchi come il latte; colorite la pelle col tono vellutato che avvolge le pesche non ancora sfiorate da alcuna mano, e avrete l'immagine di quella testa deliziosa.

I capelli neri come il carbone, ondulati naturalmente, o forse no, si dividevano sulla fronte in due larghe bande, e si perdevano dietro la testa, mostrando i lobi delle orecchie sui quali brillavano due diamanti di quattro o cinquemila franchi ciascuno.

Come potesse quella vita intensa lasciare intatta sul viso di Marguerite quell'espressione verginale, quasi infantile, che lo caratterizzava, è una cosa che dobbiamo accontentarci di constatare, senza poterla comprendere.

Marguerite aveva un magnifico ritratto fattole da Vidal, il solo uomo il cui pennello fosse stato in grado di riprodurne l'aspetto. Dopo la sua morte, ebbi per qualche giorno a casa mia quel ritratto, di una somiglianza così stupefacente, che mi è servito a descrivere ciò per cui forse la sola memoria non mi sarebbe bastata.

Alcuni particolari li ho conosciuti soltanto più tardi, ma li riferisco subito per non doverci tornare su, quando inizierò il racconto aneddotico della vita di questa donna.

Marguerite assisteva a tutte le prime rappresentazioni, e trascorreva le sue serate al teatro o ai balli.

Ogni volta che si recitava una nuova commedia, si poteva essere sicuri di incontrarla, con tre cose che non la lasciavano mai, e che occupavano sempre il parapetto del suo palco di prima fila: il binocolo, un sacchetto di dolci e un mazzo di camelie.

Per venticinque giorni del mese le camelie erano bianche, e per cinque erano rosse; non si è mai conosciuta la ragione di questo cambiamento di colore, che io racconto senza saperlo spiegare, e che era stato notato anche dai suoi amici e dai frequentatori abituali dei teatri dove si recava più spesso.

Marguerite non era mai stata vista con altri fiori che camelie, tanto che dalla sua fioraia, madame Barjou, avevano finito col chiamarla "La signora dalle camelie", e il soprannome le era rimasto.

Sapevo inoltre, come del resto tutti quelli che a Parigi frequentano un certo ambiente, che Marguerite era stata l'amante dei giovani più eleganti, che lei lo proclamava con orgoglio e che essi se ne vantavano, il che significava che gli uni e l'altra erano reciprocamente soddisfatti.

Tuttavia da circa tre anni, dopo un viaggio a Bagnères, lei viveva soltanto, si diceva, con un vecchio duca straniero, enormemente ricco, che aveva cercato di allontanarla il più possibile dalla sua vita passata, cosa che del resto lei sembrava avergli permesso di buon grado.

Ecco quello che mi fu raccontato a tale proposito.

Nella primavera del 1842, Marguerite era così debole, così diversa dal solito, che i medici le ordinarono una cura di acque, e lei partì per Bagnères.

Là, tra i malati, c'era la figlia di quel duca, la quale non solo soffriva della stessa malattia, ma aveva anche lo stesso viso di Marguerite, al punto che si sarebbe potuto prenderle per due sorelle.

Ma la duchessina era ormai alla terza fase della tisi, e morì pochi giorni dopo l'arrivo di Marguerite.

Una mattina il duca, rimasto a Bagnères come si rimane nella terra nella quale abbiamo sepolto una parte di noi stessi, vide Marguerite all'angolo di un viale.

Gli sembrò allora di veder passare l'ombra di sua figlia e, andatole incontro, le prese le mani, la baciò piangendo e, senza neppure domandarle chi fosse, supplicò che gli fosse permesso di vederla e di amare in lei la viva immagine della figlia morta.

Marguerite, sola a Bagnères con la cameriera, non temendo affatto, d'altra parte, di compromettersi, accordò al duca quanto le chiedeva.

A Bagnères, c'erano persone che la conoscevano e che andarono a informare ufficialmente il duca della vera posizione di mademoiselle Gautier. Fu un grave colpo per quel vecchio, perché la rassomiglianza con sua figlia finiva, ma era troppo tardi. La giovane donna era diventata indispensabile al suo cuore, e il solo pretesto, la sola ragione per la quale continuava a vivere.

Non le rivolse alcun rimprovero, perché non ne aveva il diritto, ma le chiese se si sentisse capace di cambiare la sua vita, offrendole in cambio di quel sacrificio tutti i compensi che poteva desiderare. Lei promise.

Bisogna dire che a quell'epoca Marguerite, natura generosa, era ammalata. Il passato le sembrava come una delle principali cause della sua malattia, e una specie di superstizione la indusse a sperare che Dio le avrebbe lasciato la bellezza e la salute in cambio del suo pentimento e della sua conversione.

In effetti, la cura delle acque, le passeggiate, il sonno che la ristorava dalla stanchezza naturale, l'avevano, alla fine dell'estate, quasi ristabilita in salute.

Il duca la accompagnò a Parigi, dove continuò a visitarla come a Bagnères.

Questo legame, di cui nessuno poteva conoscere né la vera origine né il vero motivo, suscitò una grande sensazione, perché il duca, noto per le sue grandi ricchezze, si faceva ora conoscere per la sua prodigalità. Si credette di ravvisare la causa di questo attaccamento del vecchio duca alla giovane donna in una passione senile di libertino, comune a molti vecchi danarosi.

A tutto si pensò, tranne che alla verità. Tuttavia il sentimento di quel padre per Marguerite era di natura così casta, che gli sarebbe sembrato incestuoso ogni altro rapporto con lei che non fosse esclusivamente d'affetto, e mai le rivolse una sola parola che una figlia non avrebbe potuto ascoltare.

Lontana da noi l'idea di fare della nostra protagonista una persona diversa da quella che fu in realtà; diremo dunque che fino a quando rimase a Bagnères, non le fu difficile mantenere la promessa fatta al duca, e la mantenne; ma appena fu tornata a Parigi, sembrò a quella donna, abituata alla vita dissoluta, ai balli, perfino alle orge, che la solitudine, interrotta solo di tanto in tanto dalle visite del duca, l'avrebbe fatta morire di noia, e gli ardenti ricordi della sua vita di prima le avvamparono insieme la testa e il cuore.

Aggiungete a questo che Marguerite era tornata dal suo viaggio più bella che mai, che aveva vent'anni, e che la malattia, assopita ma non vinta, continuava a suscitarle desideri febbrili, quasi sempre legati alle malattie di petto.

Il duca provò quindi un gran dolore quando i suoi amici, sempre in agguato per sorprendere uno scandalo nella vita della donna con la quale, secondo loro, si andava compromettendo, gli rivelarono e gli provarono che quando era sicura che egli non sarebbe andato da lei riceveva visite, e che tali visite si protraevano spesso fino alla mattina dopo. Interrogata, Marguerite confessò ogni cosa al duca, consigliandogli, senza riserve mentali, di smettere di occuparsi di lei, perché non si sentiva così forte da mantenere gli impegni presi, e non voleva accettare più la generosità di un uomo che lei ingannava.

Il duca rimase otto giorni senza farsi vedere, ma non poté fare di più, e, l'ottavo giorno, venne a supplicare Marguerite di riceverlo ancora, promettendole che l'avrebbe accettata così com'era, purché gli fosse concesso di frequentarla, e giurandole che, a costo di morirne, non le avrebbe mai rivolto un solo rimprovero. Ecco a che punto stavano le cose tre mesi dopo il ritorno di Marguerite, cioè nel novembre o dicembre 1842.

 

 

 

CAPITOLO 3

 

Il 16, all'una, andai in rue d'Antin.

Già dal portone si sentivano gridare i banditori. L'appartamento era pieno di curiosi.

C'erano tutte le più eleganti celebrità del mondo del vizio, sbirciate di sottecchi da alcune grandi dame che avevano colto ancora una volta il pretesto di quella vendita per poter vedere da vicino donne che altrimenti non avrebbero mai avuto occasione di incontrare, e che forse invidiavano in segreto per i loro facili piaceri.

La duchessa de F. stava gomito a gomito con mademoiselle de A., uno dei più malinconici esempi di moderna cortigiana; la marchesa de T.

esitava nel contendere l'acquisto di un mobile a madame D., l'adultera più elegante e più nota della nostra epoca; il duca d'Y., che a Madrid credevano si rovinasse a Parigi e che a Parigi credevano si rovinasse a Madrid, e che, alla fine dei conti, non dava neppure fondo alle sue rendite, chiacchierando con madame M., una delle nostre più spiritose narratrici, che si degna di tanto in tanto di scrivere ciò che dice e di firmare ciò che scrive, scambiava occhiate confidenziali con madame de N., la bella peripatetica degli Champs-Elysées, quasi sempre vestita di rosa o di azzurro, la cui carrozza è tirata da due grandi cavalli neri che Tony le ha venduto per diecimila franchi e che lei ha pagato; mademoiselle A., infine, alla quale il solo ingegno frutta il doppio di quanto frutti alle signore della buona società la dote, e il triplo di quel che frutta alle altre l'amore, era venuta, nonostante il freddo, a fare qualche acquisto, e non era certo la meno osservata.

Potremmo continuare a indicare le iniziali di molte persone riunite in quel salone, peraltro assai stupite di trovarsi insieme; ma avremmo timore di annoiare il lettore.

Diciamo solo che tutti erano in preda a un'allegria sfrenata, e che fra tutte quelle donne che si trovavano là, molte avevano conosciuto la morta, ma non sembravano ricordarsene. Si rideva forte; i banditori gridavano a squarciagola; i mercanti che avevano occupato i banchi disposti di fronte ai tavoli di vendita, cercavano invano di imporre il silenzio, per concludere in pace i propri affari. Mai riunione fu più varia e più rumorosa. Mi insinuai con discrezione in mezzo a quel tumulto, e mi rattristava il pensiero che avveniva accanto alla camera dove era morta la sventurata, i cui mobili venivano posti in vendita per pagarne i debiti. Venuto per osservare piuttosto che per acquistare, guardavo le facce dei fornitori che avevano voluto l'asta, e i cui volti si illuminavano ogni volta che un oggetto saliva a un prezzo che essi non avrebbero sperato. Persone dabbene che avevano speculato sulla prostituzione di quella donna, che avevano guadagnato su di lei il cento per cento, che avevano perseguitato con la carta bollata gli ultimi istanti della sua vita, e che venivano, dopo la sua morte, a raccogliere il frutto dei loro onesti calcoli insieme con gli interessi dei loro vergognosi crediti. Come avevano ragione gli antichi, che attribuivano lo stesso Dio ai mercanti e ai ladri! Vesti, pellicce, gioielli, erano venduti con incredibile rapidità. Non trovavo niente che mi interessasse, e aspettavo ancora. A un tratto, udii gridare: "Un volume, perfettamente rilegato, col taglio dorato, dal titolo Manon Lescaut. Vi sono alcune parole scritte sulla prima pagina. Dieci franchi". "Dodici", disse una voce dopo un silenzio piuttosto lungo. "Quindici", replicai io. Perché mai? Non lo sapevo.

Certo per quelle "parole scritte". "Quindici", ripeté il banditore.

"Trenta", disse il primo offerente con un tono che sembrava voler scoraggiare ogni offerta successiva.

L'asta diventava una lotta.

"Trentacinque!", esclamai con lo stesso tono.

"Quaranta".

"Cinquanta".

"Sessanta".

"Cento".

Confesso che se avessi voluto fare impressione ci sarei pienamente riuscito, perché a questa mia offerta si fece un gran silenzio, e tutti mi guardarono per cercare di capire chi fosse quel signore che sembrava così deciso a entrare in possesso di quel volume.

Pareva che il tono dato alla mia ultima offerta avesse convinto il mio antagonista, il quale preferì abbandonare una lotta che sarebbe servita solo a farmi pagare quel volume dieci volte il suo prezzo, e, inchinandosi, mi disse molto cortesemente, anche se un po' in ritardo:

"Non insisto, signore".

Nessun altro parlò, e il libro mi fu aggiudicato.

Dato che temevo una nuova ostinazione alla quale il mio orgoglio non avrebbe forse ceduto, ma che certo avrebbe messo la mia borsa a mal partito, feci registrare il mio nome e mettere da parte il libro; poi me ne andai. Dovetti certo dare molto da pensare a chi era stato testimone di quella scena e si domandava senza dubbio a quale scopo avevo finito col pagare cento franchi un libro che avrei potuto avere dovunque per dieci o quindici franchi al massimo.

Un'ora dopo mandai a ritirare il mio acquisto.

Sulla prima pagina era scritta a penna, con grafia elegante, la dedica del donatore del libro. La dedica consisteva in queste sole parole:

MANON A MARGUERITE.

UMILTA'.

Era firmato: Armand Duval.

Che significava la parola: Umiltà?

Manon, seguendo l'opinione di quel signor Armand Duval riconosceva in Marguerite una superiorità di corruzione o di sentimento?

La seconda interpretazione era certo la più verosimile, perché la prima non sarebbe stata altro che l'espressione di un'impertinente franchezza che Marguerite non avrebbe mai accettata qualunque fosse la sua opinione su se stessa.

Uscii di nuovo, e non mi occupai più del libro se non la sera quando tornai a casa.

Certo, quella di Manon Lescaut è una storia commovente di cui conosco ogni particolare, eppure quel volume, ogni volta che mi capita sotto mano, suscita in me nuova simpatia; allora lo apro per rivivere per la centesima volta la storia dell'eroina dell'abbé Prévost. Quella protagonista tanto vera, che mi sembra di averla conosciuta. In quelle nuove circostanze, il tipo di confronto fatto tra lei e Marguerite forniva a quella lettura un'attrattiva inattesa, e alla mia indulgenza si aggiunse pietà, quasi amore, per la povera ragazza dalla quale avevo ereditato il volume. Manon era morta in un deserto, è vero, ma pur sempre tra le braccia di un uomo che l'amava con tutte le forze dell'anima e che, dopo morta, le scavò la fossa, la cosparse di lacrime e vi seppellì il proprio cuore; mentre Marguerite, peccatrice come Manon, come lei forse pentita, era morta in mezzo a un lusso fastoso, a voler credere a ciò che avevo visto, e nel letto del suo passato, ma anche in mezzo al deserto del cuore, molto più arido e sconfinato, molto più spietato di quello nel quale Manon aveva trovato sepoltura.

Infatti Marguerite, come seppi da alcuni amici che conoscevano gli ultimi avvenimenti della sua vita, non aveva avuto al suo capezzale nessun conforto durante i due mesi della sua lenta e dolorosa agonia.

Poi, da Manon e da Marguerite il mio pensiero si soffermava su quelle che conoscevo e che vedevo incamminarsi, cantando, verso una morte sempre uguale.

Povere creature! Se amarle è male, il meno che si possa fare è certo compiangerle. Si compiange il cieco che non ha mai visto la luce del sole, il sordo che non ha mai udito gli accordi della natura, il muto che non ha mai espresso la voce dei suoi sentimenti, e sotto un falso pretesto di pudore, non si vuol compiangere quella cecità del cuore, quella sordità dell'anima, quel mutismo della coscienza che rendono folle la povera afflitta e che la rendono, suo malgrado, incapace di vedere il bene, di udire il Signore e di parlare il linguaggio puro dell'amore e della fede.

Hugo ha creato "Marion Delorme", Musset "Bernerette", Alexandre Dumas "Fernande", i pensatori e i poeti di tutti i tempi hanno offerto alle cortigiane la loro pietà, e qualche volta un uomo generoso le ha riabilitate col suo amore e anche col suo nome. Se insisto tanto su questo punto è perché, tra quelli che mi leggeranno, forse molti sono già pronti a gettare via questo libro, nel quale temono di trovare soltanto un'apologia del vizio e della prostituzione, e certo l'età dell'autore contribuisce a motivare un simile timore. Quelli che pensano così si ricredano, e continuino pure a leggere, se è solo questo timore a trattenerli.

Sono semplicemente convinto di questo principio: per la donna che non è stata educata a distinguere dove sia il bene, Dio apre quasi sempre due vie che possono ricondurcela; queste vie sono il dolore e l'amore.

Sono vie ardue, quelle che vi si avventurano si insanguinano i piedi, si lacerano le mani, ma al tempo stesso lasciano sui rovi della strada gli ornamenti del vizio, e arrivano in cima vestite di quella nudità della quale non si arrossisce davanti al Signore.

Coloro che incontrano queste coraggiose viandanti, devono aiutarle e dire a tutti che le hanno incontrate, perché rivelandolo indicano loro la strada giusta.

Non basta mettere semplicemente all'imbocco della via due cartelli, uno con l'iscrizione "Via del bene", l'altro con l'avvertimento "Via del male", e dire a coloro che si presentano: "Scegliete"; bisogna, come Cristo, mostrare i sentieri che riconducono dalla seconda alla prima quelli che si erano lasciati tentare dalle lusinghe, e soprattutto non bisogna che gli inizi di quel cammino siano troppo dolorosi o appaiano troppo impenetrabili.

Il cristianesimo è presente, con la sua meravigliosa parabola del figliol prodigo, per spronarci all'indulgenza e al perdono.

Gesù era pieno d'amore per le anime ferite dalle passioni umane, e amava curarne le ferite estraendo dalle ferite stesse l'unguento che doveva guarirle.

Così Egli disse a Maddalena: "Molto ti sarà perdonato perché molto hai amato". Sublime perdono che doveva suscitare una fede sublime.

Perché dunque dovremmo noi essere più severi di Cristo?

Perché, tenendoci ostinatamente attaccati ai pregiudizi di questo mondo che si fa spietato perché lo si creda forte, dovremmo respingere, come lui, delle anime che spesso sanguinano per ferite dalle quali, come dal sangue infetto di un malato, si spande tutto il male del loro passato e che non invocano che una mano amica che le curi e restituisca loro la convalescenza del cuore?

E' alla mia generazione che mi rivolgo, a quelli per i quali fortunatamente le teorie di Voltaire non esistono più, a quelli che, come me, si rendono conto come l'umanità sia impegnata da quindici anni in uno dei suoi più audaci balzi in avanti. La conoscenza del bene e del male è acquisita per sempre; si ricostituisce la fede, ci è restituito il rispetto delle cose sacre, e se il mondo non è diventato del tutto buono è diventato perlomeno migliore. Gli sforzi di tutti gli uomini intelligenti mirano allo stesso scopo, e tutte le grandi volontà si riallacciano allo stesso principio: siamo buoni, siamo giovani, siamo veri! Il male è solo vanità, abbiamo dunque la fierezza del bene, e soprattutto non disperiamo. Non disprezziamo la donna che non è madre, né figlia, né moglie; non riduciamoci ad apprezzare solo la famiglia, a essere indulgenti solo verso l'egoismo.

Poiché in cielo si fa più festa per un peccatore pentito che per cento giusti senza peccato, cerchiamo dunque di dare gioia al cielo, che ci verrà resa maggiorata. Spargiamo sulla nostra strada l'elemosina del nostro perdono per quelli che i piaceri terreni hanno perduto e che forse saranno salvati solo da una speranza divina, e, come dicono le vecchiette che consigliano uno dei loro rimedi, se questo non farà bene, non nuocerà di certo.

Senza dubbio devo sembrare molto ambizioso quando pretendo di far scaturire risultati così grandi dalla tenue vicenda che sto raccontando, ma io sono di quelli che credono che il tutto stia nel poco. Il bambino è piccolo, ma racchiude l'uomo; il cervello è limitato, ma ospita il pensiero, l'occhio non è che un tutto, ma copre le miglia.

 

 

 

CAPITOLO 4

 

Due giorni dopo, la vendita era finita. Aveva fruttato centocinquantamila franchi.

I creditori avevano diviso fra loro i due terzi, e il resto era andato alla famiglia, composta da una sorella e da un nipotino.

La sorella aveva spalancato tanto d'occhi quando il notaio le aveva scritto per annunciarle un'eredità di cinquantamila franchi. Non vedeva ormai sua sorella da sei o sette anni, dal giorno in cui questa era sparita senza che si fosse mai potuto conoscere, né da lei stessa né da nessun altro, il più piccolo particolare della sua vita successiva all'allontanamento.

Si era dunque precipitata a Parigi, e grande fu lo sbalordimento di quelli che conoscevano Marguerite, quando seppero che la sua unica erede era una bella ragazzona di campagna che prima di allora non aveva mai lasciato il paese.

Trovò un patrimonio fatto, d'improvviso, senza neppure sapere da quale fonte le venisse quella fortuna insperata.

Tornò, mi dissero in seguito, al suo paese, ricordando la sorella morta con grande tristezza, confortata tuttavia dall'impiego del capitale al quattro e mezzo per cento.

Tutti questi avvenimenti, riferiti a Parigi, città madre dello scandalo, stavano già per essere dimenticati, e io stesso non ricordavo quasi più la parte che avevo avuto in quei fatti, quando un nuovo caso mi fece conoscere tutta la vita di Marguerite e mi rese noti particolari così commoventi da invogliarmi a scrivere questo libro che, infatti, scrivo.

Da tre o quattro giorni l'appartamento, svuotato di tutti i mobili, che erano stati venduti, era stato posto in affitto, quando una mattina qualcuno suonò alla mia porta.

Il mio domestico, o meglio il portiere che mi faceva da domestico, andò ad aprire e mi portò un biglietto di visita, dicendomi che la persona che gliel'aveva dato desiderava parlarmi.

Diedi un'occhiata al biglietto e vi lessi queste due parole: Armand Duval.

Cercai di ricordarmi dove avevo visto quel nome, e mi venne in mente la prima pagina di Manon Lescaut.

Che cosa poteva desiderare da me la persona che aveva regalato quel libro a Marguerite? Dissi di far entrare immediatamente il signore che aspettava.

Vidi allora un giovane biondo, alto, pallido, con un abito da viaggio che sembrava avere indosso da qualche giorno e che egli non si era dato la pena di spazzolare arrivando a Parigi, perché era coperto di polvere.

Monsieur Duval, molto commosso, non fece nessuno sforzo per nascondere la sua emozione, e con le lacrime agli occhi, la voce tremante, mi disse:

"Vi prego, signore, vogliate scusare la mia visita e il mio abbigliamento; ma a parte il fatto che tra persone giovani non è il caso di fare complimenti, desideravo tanto vedervi oggi stesso, che non mi sono neppure concesso il tempo di scendere all'albergo al quale ho spedito il mio bagaglio, per correre subito da voi, temendo tuttavia, per quanto sia presto, di non trovarvi in casa".

Pregai monsieur Duval di sedersi davanti al fuoco, il che egli fece tirando fuori di tasca il fazzoletto col quale nascose per un attimo il viso.

"Voi non potete capire", riprese sospirando tristemente, "che cosa voglia questo visitatore sconosciuto, a quest'ora, in un simile abbigliamento, piangendo in questo modo. Vengo soltanto, signore, a chiedervi un grande favore".

"Parlate, signore, sono a vostra disposizione".

"Voi avete assistito all'asta di Marguerite Gautier?". A questa parola, l'emozione che il giovane era riuscito per un istante a dominare fu più forte di lui, ed egli fu obbligato a coprirsi gli occhi con le mani.

"Devo sembrarvi ben ridicolo", aggiunse, "scusatemi ancora per questo, e credete che non dimenticherò mai la pazienza con la quale vi degnate di ascoltarmi".

"Signore", risposi, "se il favore che, a quanto sembra, io sono in grado di farvi può in qualche modo placare il vostro dolore, ditemi subito in che cosa posso esservi utile, e troverete in me un uomo felice di servirvi".

Il dolore di monsieur Duval mi ispirava simpatia, e a ogni costo avrei voluto fargli cosa gradita.

Egli mi disse allora:

"Voi avete comperato qualcosa alla vendita di Marguerite?".

"Sì, signore, un libro".

"Manon Lescaut?".

"Appunto".

"Lo avete ancora?".

"E' nella mia stanza da letto".

Armand Duval, a questa notizia, sembrò sollevato da un gran peso e mi ringraziò come se avessi cominciato a fargli un favore soltanto conservando quel libro.

Allora mi alzai, andai a prendere il libro nella mia stanza e glielo consegnai.

"E' proprio questo", disse guardando la dedica sul frontespizio e sfogliando qua e là, "è proprio questo".

E due grosse lacrime caddero sulle pagine.

"Ebbene, signore", disse alzando lo sguardo verso di me e non cercando più neppure di nascondermi che aveva pianto e che stava per piangere di nuovo, "tenete molto a questo libro?".

"Perché, signore?".

"Perché sono venuto a pregarvi di cedermelo".

"Perdonate la mia curiosità", gli risposi, "ma siete dunque voi che l'avete regalato a Marguerite Gautier?".

"Io stesso".

"Allora questo libro è vostro, signore, riprendetelo, sono ben felice di potervelo restituire".

"Ma", riprese Duval, imbarazzato, "lasciate almeno che vi restituisca la somma che avete pagato per averlo".

"Permettetemi di offrirvelo. Il prezzo di un solo volume in una vendita del genere è un'inezia, e io non mi ricordo neanche più quanto l'ho pagato".

"L'avete pagato cento franchi".

"E vero", risposi imbarazzato a mia volta, "come fate a saperlo?".

"E presto detto, io speravo di poter arrivare a Parigi in tempo per la vendita di Marguerite, ma non sono arrivato che stamattina. Volevo assolutamente avere un oggetto che le fosse appartenuto, e mi sono precipitato dal commissario estimatore a chiedergli il permesso di esaminare la lista degli oggetti venduti e dei nomi degli acquirenti.

Ho visto che questo libro era stato comperato da voi, e ho pensato di pregarvi di cedermelo, per quanto la somma che avete pagato mi abbia fatto temere che voi stesso siate legato a quel libro da qualche ricordo personale".

Così parlando, si vedeva chiaramente come Armand temesse che anch'io avessi conosciuto Marguerite come l'aveva conosciuta lui.

Mi affrettai perciò a rassicurarlo.

"Non ho conosciuto mademoiselle Gautier che di vista", gli dissi, "la sua morte ha prodotto su di me l'impressione che sempre la morte di una bella donna produce su un uomo a cui faceva piacere incontrarla.

Ho voluto comperare qualcosa all'asta della sua roba e mi sono ostinato a far alzare il prezzo di questo libro, non so neanch'io perché, forse per il piacere di far inquietare un signore che vi si accaniva e sembrava sfidarmi a comprarlo. Ve lo ripeto dunque, signore, questo libro è vostro, e io vi prego ancora di accettarlo perché non l'abbiate da me come io l'ho avuto da un banditore, e perché costituisca tra noi il pegno di una più lunga conoscenza e di una più intima amicizia".

"Bene, signore", disse Armand tendendomi la mano e stringendo la mia, "accetto, e per tutta la vita vi sarò riconoscente".

Avevo una gran voglia di interrogare Armand su Marguerite, perché la dedica del libro, il viaggio del giovane, il suo desiderio di possedere quel volume stimolavano la mia curiosità; ma temevo che se avessi interrogato il mio ospite avrei avuto l'aria di aver rifiutato il suo denaro per conservarmi il diritto di immischiarmi nei fatti suoi.

Si sarebbe detto che egli mi avesse letto nel pensiero, perché mi disse:

"Avete letto questo libro?".

"Da cima a fondo".

"Che cosa pensate della mia dedica?".

"Ho capito subito che ai vostri occhi la sventurata ragazza alla quale dedicavate il volume non apparteneva a una categoria comune; non volevo infatti vedere in quelle righe un complimento banale".

"E avete ragione, signore. Quella fanciulla era un angelo". Prendete", mi disse, "leggete questa lettera".

E mi tese un foglio che sembrava essere stato letto e riletto molte volte. Lo aprii, ed ecco quello che vi era scritto:

"Mio caro Armand, ho ricevuto la vostra lettera, vi siete conservato buono e ne ringrazio Iddio. Sì, amico mio, sono ammalata, di una di quelle malattie che non perdonano; ma l'interessamento che volete ancora dimostrarmi diminuisce di molto le mie sofferenze. Certo non vivrò tanto a lungo da poter avere il bene di stringere la mano che ha scritto la generosa lettera che ho appena ricevuto e le cui parole potrebbero guarirmi, se qualcosa ancora potesse guarirmi. Non vi vedrò più, perché sono molto vicina alla morte, e centinaia di miglia ci separano. Povero amico! la vostra Marguerite di una volta è molto cambiata, ed è forse meglio che voi non la rivediate più piuttosto che la vediate com'è adesso. Mi chiedete se vi perdono; oh! di tutto cuore, amico mio, perché il male che mi avete fatto non era che una prova del vostro amore. E' un mese che sono a letto, e tengo tanto alla vostra stima che ogni giorno scrivo il diario della mia vita, da quando ci siamo lasciati fino a quando non avrò più la forza di scrivere.

"Armand, se l'interesse che mi dimostrate è sincero, al vostro ritorno andate da Julie Duprat. Vi consegnerà quel diario. Vi troverete la ragione e la scusa di quanto è accaduto tra noi. Julie è molto buona con me; insieme parliamo spesso di voi, e quando è arrivata la vostra lettera, abbiamo pianto insieme, leggendola.

"Nel caso in cui non mi aveste dato vostre notizie, era incaricata di consegnarvi quei fogli al vostro arrivo in Francia.

"Non me ne siate grato. Rievocare ogni giorno i soli istanti felici della mia vita mi fa un gran bene, e come voi troverete nella lettura di quel diario la giustificazione del passato, così io trovo nello scriverlo un quotidiano sollievo.

"Vorrei lasciarvi qualcosa che mi ricordasse sempre al vostro cuore, ma qui tutto è sotto sequestro, e più niente mi appartiene.

"Capite, amico mio? io sto per morire, e dalla mia stanza da letto sento nel salone i passi del custode che i miei creditori hanno installato qui perché niente sia portato via e perché non mi resti niente nel caso che io sopravviva. Speriamo che per vendere aspettino almeno la mia fine.

"Oh! come sono spietati gli uomini! o piuttosto, mi sbaglio: è Dio che è giusto e inflessibile.

"Ebbene, amore caro, venite alla vendita della mia roba, e comprate qualche cosa, perché se mai io nascondessi per voi il più piccolo oggetto e lo si scoprisse, sarebbero capaci di accusarvi di sottrazione di beni pignorati.

"Com'è triste la vita che lascio!

"Come sarebbe buono il Signore, se mi permettesse di rivedervi prima di morire! Con tutta probabilità, addio, amico mio; perdonatemi se non vi scrivo più a lungo, ma coloro che sostengono di potermi guarire mi sfiniscono coi salassi, e la mia mano si rifiuta di scrivere oltre.

Marguerite Gautier".

Le ultime parole erano, infatti, appena leggibili.

Restituii la lettera ad Armand, che certo l'aveva riletta nella sua mente come io l'avevo letta sulla carta, perché riprendendola disse:

"Chi potrebbe mai credere che è stata una mantenuta a scrivere queste cose!".

Commosso dai suoi ricordi, contemplò per qualche istante la scrittura di quella lettera, che infine portò alle labbra.

"Quando penso", riprese, "che questa donna è morta senza che io abbia potuto rivederla, e che non la vedrò mai più; quando penso che ha fatto per me cose che neppure una sorella avrebbe fatto, non so perdonarmi di averla lasciata morire così. Morta! morta! e pensando a me, scrivendo e pronunciando il mio nome, mia povera, cara Marguerite".

E Armand, dando libero sfogo ai pensieri e alle lacrime, mi strinse la mano e proseguì:

"Mi giudicherebbero un bambino, se mi vedessero piangere così una morta come quella; perché non sapranno mai quanto ho fatto soffrire quella donna, come sono stato crudele, e come lei è stata buona e rassegnata. Credevo che spettasse a me perdonarla, e oggi mi ritrovo indegno del perdono che mi accorda. Oh! darei dieci anni della mia vita per potere piangere un'ora ai suoi piedi".

E' sempre difficile consolare un dolore che non si conosce, e tuttavia io ero preso da una così viva simpatia per quel giovane, che mi confidava la sua pena con tanta franchezza, che pensai che le mie parole non gli sarebbero state indifferenti e gli dissi:

"Non avete parenti, amici? Sperate, cercate la loro compagnia, ed essi vi consoleranno, perché io non posso che compiangervi".

"E' giusto", rispose alzandosi e mettendosi a passeggiare a grandi passi per la stanza, "io vi annoio. Scusatemi, non ho pensato che il mio dolore può importarvi assai poco, e che vi sto importunando con una cosa che non può e non deve interessarvi per niente".

"Avete frainteso il senso delle mie parole, io sono a vostra disposizione; mi dispiace solo di non essere in grado di consolarvi.

Se la mia compagnia e quella dei miei amici possono distrarvi, se, insomma, avete bisogno di me per qualunque cosa, sappiate bene che avrò molto piacere di potervi fare cosa gradita". "Scusatemi, scusatemi", disse, "il dolore esagera le sensazioni. Lasciatemi rimanere qui ancora per qualche minuto, giusto il tempo di asciugarmi gli occhi perché i curiosi della strada non guardino come una rarità questo giovanottone che piange. Voi mi avete reso veramente felice dandomi questo libro; non saprò mai come mostrarvi la mia riconoscenza per quanto vi devo".

"Accordandomi un po' della vostra amicizia", gli risposi, "e raccontandomi la causa del vostro dolore. A parlare di ciò che si soffre si è consolati".

"Avete ragione; ma oggi ho troppo bisogno di piangere, e non vi direi che parole senza senso. Un giorno, vi renderò partecipe della mia storia, e vedrete se ho ragione a rimpiangere quella sventurata. E adesso", aggiunse asciugandosi ancora una volta gli occhi e guardandosi in uno specchio, "ditemi che non mi considerate troppo sciocco, e permettetemi di tornare a trovarvi". Lo sguardo di quel giovane era buono e dolce, e io fui lì sul punto di abbracciarlo.

Quanto a lui, i suoi occhi ricominciavano a velarsi di lacrime; ma vide che me n'ero accorto, e distolse lo sguardo.

"Su", gli dissi, "coraggio!".

"Addio", mi rispose.

E facendo uno sforzo inaudito per non piangere, scappò, più che uscire, da casa mia.

Alzai la tenda della finestra, e lo vidi risalire nella carrozza che l'attendeva alla porta; ma appena vi entrò, si sciolse in lacrime e nascose il viso nel fazzoletto.

 

 

 

CAPITOLO 5

 

Per qualche tempo non sentii più parlare di Armand, ma in compenso ci furono molte occasioni per parlare di Marguerite.

Non so se l'abbiate mai notato, ma basta che si pronunci una volta davanti a voi il nome di una persona che sembrava dovervi restare sconosciuta o quanto meno indifferente, perché una quantità di particolari prendano corpo a poco a poco intorno a quel nome, e perché sentiate allora tutti i vostri amici parlarvi di cose sulle quali non vi avevano mai trattenuto prima.

Scoprite allora che quella persona quasi vi toccava, vi accorgete che è passata molte volte nella vostra vita senza essere notata, trovate negli avvenimenti che vi vengono raccontati una coincidenza, un'affinità reale con certi casi della vostra vita.

Non era proprio questo il caso di Marguerite, perché io l'avevo vista, incontrata e conoscevo il suo aspetto e le sue abitudini; tuttavia, dopo la vendita il suo nome mi era spesso giunto all'orecchio e, nella circostanza che ho raccontato nel capitolo precedente, questo nome era legato a un dolore così profondo, che il mio stupore ne era stato accresciuto, aumentando la mia curiosità.

Risultato di tutto ciò fu che non avvicinavo più i miei amici, ai quali non avevo mai parlato di Marguerite, senza chiedere loro:

"Avete conosciuto una certa Marguerite Gautier?".

"La signora dalle camelie?".

"Appunto".

"Eccome!".

Questi "eccome!" si accompagnavano a volte a sorrisi sul cui significato sarebbe stato impossibile avere dubbi.

"Ebbene, che tipo di donna era?", continuavo.

"Una buona figliuola".

"Tutto qui?".

"Dio mio! sì, un po' più di spirito e forse un po più di cuore delle altre".

"Non sapete niente di preciso su di lei?".

"Ha rovinato il barone de G...".

"Soltanto?" .

"E' stata l'amante del vecchio duca de...".

"Era la sua amante?".

"Così si dice: comunque, le dava molto denaro".

Sempre le stesse indicazioni generiche.

Sarei stato tuttavia curioso di sapere qualcosa sulla relazione tra Marguerite e Armand.

Un giorno incontrai uno di quei tali che vivono sempre nell'intimità di quelle donne, e lo interrogai.

"Conoscevate Marguerite Gautier?".

Mi fu risposto col solito "eccome!".

"Che tipo di donna era?".

"Una bella e buona ragazza. La sua morte mi ha dato un gran dolore".

"Non aveva un amante che si chiamava Armand Duval?".

"Uno alto e biondo?".

"Sì".

"E' vero".

"Chi era questo Armand?".

"Un ragazzo che ha dissipato con lei il poco che aveva, credo, e che fu obbligato a lasciarla. Si dice che ne fosse pazzamente innamorato".

"E lei?".

"Anche lei lo amava molto, sempre a quanto si dice, ma come possono amare quelle ragazze lì. Non bisogna chiedere loro più dl quello che possono dare".

"Che ne è di Armand?".

"Lo ignoro. Lo abbiamo conosciuto assai poco. E' rimasto cinque o sei mesi con Marguerite, ma in campagna. Quando lei è tornata, lui è partito" "E non l'avete più rivisto?".

"Mai più".

Neppure io avevo rivisto Armand. Cominciavo a chiedermi se, quando si era presentato a me, la recente notizia della morte di Marguerite non avesse esagerato il suo amore di un tempo e quindi il suo dolore, e mi dicevo che forse egli aveva già dimenticato, insieme con la morte, la sua promessa di tornare a trovarmi.

Questa ipotesi sarebbe stata abbastanza verosimile nei confronti di un altro uomo, ma nella disperazione di Armand c'erano stati accenti così sinceri che io, passando da un estremo all'altro, immaginai che il dolore fosse diventato malattia, e che se non avevo sue notizie era perché era malato e forse anche morto.

Mio malgrado pensavo molto a quel giovane.

Forse con questo interesse aveva a che fare anche un certo egoismo; forse avevo intravisto sotto quel dolore una commovente storia d'amore, e forse il mio desiderio di conoscerla aveva una gran parte nella preoccupazione causatami dal silenzio di Armand.

Poiché Duval non tornava da me, mi decisi ad andare da lui. Non era difficile trovare un pretesto, ma sfortunatamente non conoscevo il suo indirizzo, e nessuno di quelli che avevo interrogato era stato in grado di indicarmelo.

Mi recai in rue d'Antin. Forse il portiere di Marguerite sapeva dove abitasse Armand.

Ma il portiere era un altro, e lo ignorava quanto me.

Chiesi allora in quale cimitero fosse stata sepolta mademoiselle Gautier.

Era il cimitero di Montmartre.

L'aprile era tornato, il tempo era bello, le tombe non avevano più quell'aspetto doloroso e desolato che dà loro l'inverno; e infine faceva già abbastanza caldo perché i vivi si ricordassero dei morti e li andassero a trovare.

Mi recai al cimitero, dicendomi: "Mi basterà guardare la tomba di Marguerite per accorgermi se il dolore di Armand dura ancora, e forse saprò cosa ne è stato di lui".

Entrai nel padiglione del custode, e gli chiesi se il 22 febbraio fosse stata sepolta in quel cimitero una donna di nome Marguerite Gautier.

Quello sfogliò il librone dove sono segnati e numerati i nomi di tutti coloro che entrano in quell'ultimo rifugio, e mi rispose che, infatti, il 22 febbraio, a mezzogiorno, era stata sepolta una donna di quel nome.

Lo pregai allora di farmi accompagnare alla tomba, perché è difficile orizzontarsi senza guida in quella città di morti, che ha le sue strade come la città dei vivi.

Il custode chiamò un giardiniere al quale diede le opportune indicazioni. ma questi l'interruppe dicendo:

"Lo so, lo so... oh! la tomba è facilmente riconoscibile", proseguì rivolto verso di me.

"Perché?", gli chiesi.

"Perché ha dei fiori molto diversi dalle altre tombe".

"Siete voi a occuparvene?".

"Sì, signore, e vorrei proprio che tutti i parenti avessero cura dei loro morti come il giovane che mi ha raccomandato quella tomba".

Dopo qualche svolta il giardiniere si fermò e mi disse:

"Eccoci" Avevo infatti sotto gli occhi un'aiuola fiorita, che non si sarebbe mai detta una tomba, se non fosse stato per una lapide di marmo bianco con un nome inciso.

La lapide era sistemata dritta e una ringhiera di ferro delimitava il terreno ricoperto di camelie bianche.

"Che ne dite?", chiese il giardiniere.

"E' bellissimo".

"E ogni volta che una camelia appassisce ho l'ordine di cambiarla".

"Chi vi ha dato quest'ordine?".

"Un giovanotto che ha pianto molto la prima volta che è venuto; uno che doveva aver avuto a che fare con la morta senza dubbio, perché pare che fosse una svelta quella lì. Dicono che fosse molta bella. Il signore l'ha conosciuta?".

"Si".

"Come quell'altro", mi disse il giardiniere con un sorrisetto malizioso.

"No, non le ho neppure mai parlato".

"E venite a trovarla qui; è molto gentile da parte vostra, perché il cimitero non è certo affollato di gente che viene a trovare quella poveretta".

"Non viene dunque mai nessuno?".

"Nessuno, tranne quel giovanotto che è venuto una volta" "Una volta sola?".

"Sissignore".

"E non è più tornato?".

"No, ma verrà al suo ritorno".

"E' dunque partito?".

"Sì".

"Sapete per dove?".

"E' andato, credo, dalla sorella di mademoiselle Gautier" "E che cosa è andato a fare?".

"E' andato a chiedere il permesso di far riesumare la morta per portarla altrove".

"Perché non la lascia qui?".

"Sapete, signore, ognuno ha le sue idee sui morti. Noialtri lo vediamo tutti i giorni. Questo terreno è stato comprato solo per cinque anni, e quel giovane vuole una concessione perpetua e un terreno più grande; nella zona nuova sarà più semplice".

"Che cos'è la zona nuova?".

"I nuovi terreni che sono in vendita adesso a sinistra. Se il cimitero fosse stato sempre tenuto come lo è adesso, non ce ne sarebbe un altro uguale al mondo; ma c'è ancora molto da fare prima che sia perfettamente come deve essere. E poi la gente è così buffa".

"Che volete dire?".

"Voglio dire che l'orgoglio di alcuni dura anche qui. Così questa mademoiselle Gautier sembra che abbia fatto una vita un po' allegra, se mi passate l'espressione. Ora la poverina è morta, e resta di lei esattamente ciò che resta di quelle sulle quali non si ha niente da ridire e che noi annaffiamo tutti i giorni, ebbene, quando i parenti di quelli che sono seppelliti accanto a lei hanno saputo di chi si trattava, non si sono messi in testa di dire che si sarebbero opposti a che fosse messa qui, e che ci dovrebbero essere dei terreni separati per le donne di quella specie, così come per i poveri? Si è mai vista una cosa simile? Li ho squadrati per bene, io; ricconi che non vengono a visitare i loro morti nemmeno quattro volte l'anno, portandosi i fiori da loro, e guardate che fiori! Risparmiano sulla tomba di quelli che dicono di piangere, scrivono sulle lapidi lacrime che non hanno mai versato, e poi fanno i difficili in materia di vicinato. Mi crederete, signore, io non conoscevo quella signorina, non so cos'abbia fatto; ma le voglio bene, a quella povera piccola, e ho cura di lei, e le camelie gliele metto al giusto prezzo. E' la mia morta preferita. Noialtri, signore, dobbiamo ben amarli i nostri morti, perché siamo così occupati che non abbiamo quasi il tempo di amare qualcos'altro".

Guardai quell'uomo, e qualcuno dei miei lettori capirà, senza bisogno di spiegazioni, quale commozione provai a quelle parole.

Egli se ne accorse di certo perché continuò:

"Dicono che c'è stato chi si è rovinato per quella ragazza e che aveva degli amanti che l'adoravano; ebbene, quando penso che non ce n'è uno che venga a portarle un fiore, questo mi sembra strano e doloroso. E ancora questa non ha di che lamentarsi, perché ha la sua tomba, e se non c'è che una persona che si ricorda di lei, questa lo fa per tutti gli altri. Ma ci sono qui delle povere ragazze della stessa specie e della stessa età, che vengono gettate nella fossa comune, e mi si spezza il cuore a sentir cadere i loro poveri corpi nella terra. E nessuno che si occupi di loro, una volta morte! Non è sempre allegro il nostro mestiere, soprattutto finché ci resta un briciolo di sentimento. Che volete? è più forte di me. Io ho una bella figliuola di vent'anni, e quando portano qui una morta della sua età penso a lei e, si tratti di una gran signora o di una vagabonda, non posso impedirmi di essere commosso. Ma certo vi sto annoiando con queste storie, e non è certo per ascoltarle che siete venuto. Mi è stato detto di condurvi alla tomba di mademoiselle Gautier, e ci siete; posso esservi utile in qualche altra cosa?".

"Conoscete l'indirizzo di monsieur Armand Duval?" gli domandai.

"Sì, abita in rue..., almeno è lì che sono andato a riscuotere il prezzo di tutti i fiori che vedete".

"Grazie, amico".

Gettai un ultimo sguardo su quella tomba fiorita, della quale mio malgrado, avrei voluto penetrare la profondità per vedere come la terra avesse ridotto la bella creatura che vi era stata gettata dentro, e mi allontanai tristemente.

"Allora volete vedere monsieur Duval?", riprese il giardiniere che mi camminava accanto.

"Sì".

"Il fatto è che sono sicuro che non è ancora tornato, altrimenti l'avrei già visto qui".

"Siete dunque convinto che egli non ha dimenticato Marguerite?".

"Non solo ne sono convinto, ma scommetterei che il suo desiderio di cambiarle tomba è il desiderio di rivederla" "Come?" .

"La prima cosa che mi ha detto venendo al cimitero è stata: 'Come fare per rivederla?'. Questo si può fare solo cambiando la tomba, e io gli ho spiegato tutte le formalità da osservare per ottenere il cambiamento, perché dovete sapere che per trasferire i morti da una tomba all'altra bisogna riconoscerli, e solo la famiglia può autorizzare questa operazione, alla quale deve assistere un commissario di polizia. È per ottenere questa autorizzazione che monsieur Duval è andato dalla sorella di mademoiselle Gautier, e la sua prima visita sarà certamente per noi".

Eravamo giunti all'ingresso del cimitero; ringraziai di nuovo il giardiniere mettendogli in mano alcune monete, e mi recai all'indirizzo che mi aveva dato.

Armand non era ancora tornato.

Gli lasciai un biglietto, pregandolo di venirmi a trovare appena fosse arrivato, o di farmi sapere dove avrei potuto trovarlo.

L'indomani mattina ricevetti una lettera di Duval, che mi informava del suo ritorno e mi pregava di passare da casa sua aggiungendo che era stanchissimo e perciò gli sarebbe stato impossibile uscire.

 

 

 

CAPITOLO 6

 

Trovai Armand a letto.

Vedendomi, mi tese una mano che scottava. "Avete la febbre", gli dissi.

"Non è niente, la stanchezza di un viaggio precipitoso, ecco tutto".

"Sicché siete stato dalla sorella di Marguerite?".

"Sì, chi ve l'ha detto?".

"Lo so. Avete ottenuto ciò che desideravate?".

"Sì; ma chi vi ha informato del mio viaggio e del suo scopo?".

"Il giardiniere del cimitero".

"Avete visto la tomba?".

Osai appena rispondere, perché il tono di quella frase mi provò che colui che l'aveva pronunciata era sempre in preda all'emozione di cui ero stato testimonio, e che per molto tempo ancora quell'emozione sarebbe stata più forte della volontà, ogni volta che il suo pensiero e le parole di qualcuno lo avessero ricondotto su quel doloroso argomento.

Mi limitai quindi a rispondere con un cenno del capo.

"Ne ha avuto cura?", continuò Armand.

Due grosse lacrime rotolarono sulle guance del malato, che girò la testa per nasconderlo. Finsi di non vederle e cercai di cambiare discorso.

"Sono già tre settimane che siete partito", gli dissi.

Armand si passò una mano sugli occhi e mi rispose:

"Tre settimane esatte".

"E' stato un viaggio lungo".

"Oh! Non ho sempre viaggiato. Sono stato ammalato per quindici giorni, altrimenti sarei tornato da tempo; ma appena sono arrivato laggiù, sono stato colto dalla febbre e sono stato obbligato a restarmene a letto".

"E siete ripartito prima di essere guarito del tutto".

"Se fossi restato ancora otto giorni in quel paese, ne sarei morto".

"Ma ora che siete tornato, dovete aver cura di voi; i vostri amici verranno a trovarvi, io per primo, se me lo permettete".

"Tra due ore sarò alzato".

"Che imprudenza!".

"Devo farlo".

"Che cosa avete dunque di così urgente?".

"Devo andare dal commissario di polizia".

"Perché non incaricate qualcuno di quest'incombenza che potrebbe farvi ammalare più gravemente?".

"E' la sola cosa che può guarirmi. Bisogna che io la veda. Da quando ho saputo della sua morte, e soprattutto da quando ho visto la sua tomba, ho perso il sonno. Non riesco a rendermi conto che quella donna che ho lasciato così giovane e bella è morta. Bisogna che me ne accerti io stesso. Bisogna che io veda quel che Dio ha fatto di quella creatura che ho tanto amato, e forse l'orrore di quella vista sostituirà la disperazione del ricordo; voi mi accompagnerete, no?...".

"Se non vi sarà di peso".

"Che cosa vi ha detto la sorella?".

"Nulla. E' rimasta molto stupita che un forestiero voglia acquistare un terreno e far costruire una tomba per Marguerite, e ha firmato subito l'autorizzazione che le chiedevo".

"Datemi retta, aspettate di essere ben guarito prima di fare la traslazione".

"Oh, sarò forte, state tranquillo. Del resto impazzirei, se non mettessi in opera al più presto questa decisione, il cui compimento è divenuto una necessità per il mio dolore. Vi giuro che non potrò trovare la pace finché non avrò rivisto Marguerite. E' forse l'arsura della febbre che mi brucia, un sogno della mia insonnia, un frutto del mio delirio; ma dovessi, dopo aver visto, farmi trappista come monsieur de Rancé, io la vedrò".

"Capisco", dissi ad Armand, "e sono a vostra disposizione. Avete visto Julie Duprat?".

"Sì. L'ho vista il giorno stesso del mio ritorno".

"Vi ha consegnato le carte che Marguerite le aveva affidate per voi?".

"Eccole".

Armand estrasse di sotto il cuscino un rotolo, e ve lo rimise immediatamente.

"Conosco a memoria quanto è scritto su questi fogli", mi disse. "Da tre settimane li rileggo dieci volte al giorno. Li leggerete anche voi, ma più in là, quando sarò più calmo e potrò farvi capire quanto cuore e quanto amore siano contenuti in questa confessione. Per ora, ho un favore da chiedervi".

"Quale?".

"Avete una carrozza ad attendervi?".

"Sì".

"Bene, volete prendere il mio passaporto e andare a vedere se al fermo posta ci sono lettere per me? Mio padre e mia sorella devono avermi scritto a Parigi, e io sono partito così di fretta che non ho avuto il tempo di informarmene prima della partenza. Quando sarete tornato, andremo insieme ad avvertire il commissario di polizia della cerimonia di domani".

Armand mi consegnò il passaporto, e io mi recai in rue Jean-Jacques Rousseau.

C'erano due lettere indirizzate a Duval; le presi e tornai indietro.

Quando rientrai, trovai Armand completamente vestito e pronto a uscire.

"Grazie", mi disse prendendo le lettere. "Sì", soggiunse dopo aver guardato gli indirizzi, "sì, sono mio padre e mia sorella. Credo che non abbiano capito la ragione del mio silenzio".

Aprì le lettere, le intuì più che leggerle, perché erano lunghe quattro pagine ciascuna, e in un istante le aveva già ripiegate.

"Andiamo", disse, "risponderò domani".

Andammo dal commissario di polizia, al quale Armand consegnò la procura della sorella di Marguerite.

Il commissario gli diede a sua volta un avviso per il custode del cimitero; fu convenuto che la traslazione avrebbe avuto luogo l'indomani mattina alle dieci, e che io sarei passato a prenderlo un'ora prima, per andare insieme al cimitero.

Anch'io ero curioso di assistere a quello spettacolo, e confesso che la notte non chiusi occhio.

A giudicare dai pensieri che mi assalirono, dovette essere una ben lunga notte per Armand.

L'indomani alle nove, quando entrai in casa sua, era terribilmente pallido, ma sembrava calmo.

Mi sorrise tendendomi la mano.

Le candele erano consumate fino in fondo e, prima di uscire, Armand prese una lettera molto voluminosa, indirizzata a suo padre, nella quale certo gli confidava l'ansia della nottata.

Mezz'ora dopo arrivammo a Montmartre, dove il commissario era ad attenderci.

Ci incamminammo lentamente verso la tomba di Marguerite.

Il commissario ci precedeva, Armand e io lo seguivamo a qualche passo di distanza.

"Di tanto in tanto sentivo tremare convulsamente il braccio del mio compagno, come se brividi improvvisi lo percorressero.

Allora lo guardavo; egli capiva il mio sguardo e mi sorrideva, ma da quando eravamo usciti da casa sua non avevamo più scambiato una parola.

Un po' prima della tomba, Armand si fermò per asciugarsi il viso madido di sudore.

Approfittai di quella sosta per riprendere fiato, perché avevo anch'io il cuore stretto come in una morsa.

Da dove viene il doloroso piacere che si prova davanti a simili spettacoli? Quando arrivammo alla tomba, vedemmo che il giardiniere aveva tolto tutti i vasi di fiori, che la ringhiera di ferro era stata divelta e che due uomini scavavano il terreno.

Armand si appoggiò a un albero e guardò.

Tutta la sua vita sembrava concentrata negli occhi.

A un tratto una delle due vanghe sfregò contro un sasso. A quel rumore Armand indietreggiò come colpito da una scossa elettrica, e mi strinse la mano con tanta forza da farmi male.

Un becchino prese una larga pala e vuotò a poco a poco la fossa; poi, quando non vi furono più che le pietre con le quali si ricoprono le bare, le gettò fuori a una a una.

Io tenevo d'occhio Armand, perché temevo che le emozioni che visibilmente si accavallavano in lui lo schiantassero da un momento all'altro; ma egli guardava sempre, con gli occhi fissi e spalancati come nella pazzia, mentre solo un leggero tremito delle guance e delle labbra mostrava come egli fosse in preda a una violenta crisi nervosa.

Quanto a me, posso dire una cosa sola, e cioè che mi pentivo di essere venuto.

Quando la bara fu scoperta del tutto, il commissario disse ai becchini:

"Apritela".

Quelli obbedirono, come se si trattasse della cosa più naturale del mondo.

La bara era di quercia, ed essi si misero a svitare il coperchio.

L'umidità della terra aveva fatto arrugginire le viti, e ci volle un certo sforzo per scoprire la bara. Ne uscì un vivo fetore, malgrado le erbe aromatiche che vi erano state poste.

"Dio mio! Dio mio!", mormorò Armand, sempre più pallido.

Gli stessi becchini indietreggiarono.

Un gran lenzuolo bianco ricopriva il cadavere, del quale lasciava intravedere le forme. Il lenzuolo aveva un lembo quasi completamente corroso, e lasciava scoperto un piede della morta.

Provavo un senso di malessere, e mentre scrivo queste righe il ricordo di quella scena mi appare in tutta la sua imponente realtà.

"Svelti", disse il commissario.

Allora uno dei due uomini allungò la mano, cominciò a scucire il lenzuolo e, tirandolo per un lembo, scoprì bruscamente il volto di Marguerite.

Tremendo da vedere, orribile a descriversi.

Gli occhi non erano più che due buchi, le labbra erano scomparse e i denti biancheggiavano in due file serrate. I lunghi capelli neri e aridi erano incollati alle tempie e nascondevano le cavità verdastre delle gote; eppure riconobbi quel viso, quel viso bianco, roseo e felice che avevo visto tanto spesso.

Armand, senza poter distogliere lo sguardo da quel volto, aveva portato il fazzoletto alla bocca e lo stringeva tra i denti.

Provai l'impressione di un cerchio di ferro che mi stringesse la testa, gli occhi mi si velarono, le orecchie mi ronzavano; infine, aprii un flacone di sali che avevo preso per ogni evenienza e ne respirai profondamente il vapore.

Nello stordimento, sentii il commissario dire a Duval:

"La riconoscete?".

"Sì", rispose il giovane con voce sorda.

"Allora, chiudete e portate via", ordinò il commissario.

I becchini lasciarono cadere di nuovo il lenzuolo sul viso della morta, richiusero la bara, la presero ciascuno da un lato e si diressero verso il luogo che era stato loro indicato.

Armand non si muoveva. I suoi occhi erano inchiodati a quella fossa vuota; era pallido come il cadavere che avevamo visto allora... pareva pietrificato.

Capii quello che sarebbe accaduto quando il dolore, diminuito con lo svanire dell'impressione di quella scena, non lo avrebbe più sorretto.

Mi avvicinai al commissario.

"E' ancora necessaria la presenza di questo signore?", gli chiesi indicando Armand.

"No", mi rispose, "e vi consiglio di condurlo via, perché sembra malato".

"Venite", dissi allora ad Armand prendendolo per un braccio.

"Come?", disse lui guardandomi come se non mi riconoscesse.

"E' finito", soggiunsi, "dobbiamo andarcene, amico mio, voi siete pallido, avete freddo, finirete con l'uccidervi con queste emozioni".

"Avete ragione, andiamocene", rispose meccanicamente, ma senza muoversi. Allora lo presi per un braccio e lo trascinai via.

Si lasciò condurre come un bambino, mormorando solo ogni tanto:

"Avete visto i suoi occhi?".

E si voltava come se quella visione lo richiamasse indietro.

Tuttavia, il suo passo si fece più marcato, sembrava non riuscisse a camminare che a sbalzi; i denti gli battevano, aveva le mani gelate, mentre una violenta agitazione nervosa si andava impadronendo di tutta la sua persona.

Cercai di farlo parlare, ma non mi rispose.

Era irrigidito, si faceva trascinare.

Alla porta trovammo la carrozza. Finalmente!

Appena vi si fu accomodato, i brividi aumentarono, ed ebbe un vero e proprio attacco di nervi, durante il quale, per timore di spaventarmi, mormorava stringendomi la mano:

"Non è niente, non è niente, ho voglia di piangere".

Sentivo il suo petto gonfiarsi, il sangue gli saliva agli occhi, ma le lacrime non uscivano.

Gli feci respirare i sali di cui mi ero servito prima, e, quando fummo arrivati a casa sua, soltanto i brividi continuavano.

Con l'aiuto di un domestico lo misi a letto, feci accendere un gran fuoco nella stanza, e corsi a chiamare il mio medico al quale raccontai ciò che era successo. Egli accorse.

Armand era violaceo, delirava, balbettava parole senza senso, attraverso le quali si distingueva chiaramente solo il nome di Marguerite.

"Ebbene?", chiesi al dottore dopo che ebbe esaminato il malato.

"Ebbene, ha semplicemente una febbre cerebrale, ed è ben fortunato, perché credo, Dio mi perdoni, che sarebbe impazzito. La malattia fisica ucciderà felicemente la malattia morale, e forse tra un mese egli sarà guarito dall'una e dall'altra".

 

 

 

CAPITOLO 7

 

Le malattie come quella che aveva colpito Armand hanno il vantaggio di uccidere sul colpo o di lasciarsi vincere rapidamente.

Quindici giorni dopo gli avvenimenti che ho descritto, Armand era in piena convalescenza, e ci eravamo legati con una stretta amicizia.

Io non avevo quasi mai abbandonato la sua stanza per tutta la durata della sua malattia.

La primavera aveva diffuso dovunque i suoi fiori, le sue foglie, i suoi uccelli, le sue canzoni, e la finestra del mio amico si apriva allegramente sul giardino, le cui salubri esalazioni salivano fino a lui.

Il medico gli aveva permesso di alzarsi, e restavamo spesso a chiacchierare seduti accanto alla finestra aperta, nell'ora in cui il sole è più caldo, da mezzogiorno alle due.

Evitavo accuratamente di parlargli di Marguerite, sempre temendo che quel nome potesse risvegliare un triste ricordo sopito sotto la calma apparente del malato; ma Armand, invece, sembrava parlare di lei con piacere, non più come prima, con le lacrime agli occhi, ma con un dolce sorriso che mi rassicurava sul suo stato d'animo.

Avevo notato che, dopo la sua ultima visita al cimitero, dopo lo spettacolo che gli aveva procurato quella violenta crisi, la misura del dolore morale sembrava essere stata colmata dalla malattia, e che la morte di Marguerite non gli appariva più sotto la stessa luce del passato.

Dall'acquisita certezza sembrava essergli derivata una specie di consolazione, e, per allontanare da sé l'immagine fosca che spesso gli si presentava davanti, egli si immergeva nei ricordi felici della sua relazione con Marguerite, e sembrava non accettasse ormai altro che quelli.

Il corpo era troppo esaurito dall'attacco della febbre e anche dalla convalescenza per permettere al suo spirito un'emozione violenta, e la piena gioia primaverile che circondava Armand riconduceva suo malgrado il pensiero di lui su immagini gioiose.

Si era sempre ostinatamente rifiutato di far conoscere alla famiglia il pericolo che correva, e quando era stato considerato fuori pericolo, suo padre ignorava ancora la sua malattia.

Una sera, ci eravamo trattenuti accanto alla finestra più a lungo del solito; il tempo era splendido e il sole tramontava in un crepuscolo smagliante d'azzurro e d'oro. Sebbene ci trovassimo a Parigi, il verde che ci circondava sembrava isolarci dal mondo, e solo di tanto in tanto il rumore di una carrozza disturbava a malapena la nostra conversazione.

"Fu press'a poco l'anno scorso di questi tempi, e in una sera come questa, che conobbi Marguerite", mi disse Armand, prestando orecchio solo ai propri pensieri e non a quello che gli stavo dicendo.

Io non risposi niente.

Allora si voltò verso di me e mi disse:

"Bisogna pure che vi racconti questa storia, voi ne farete un romanzo al quale nessuno crederà, ma che sarà forse interessante scrivere".

"Mi racconterete tutto più tardi, amico mio", gli risposi, "adesso non siete ancora abbastanza in forze".

"La serata è tiepida, ho mangiato un petto di pollo", mi disse sorridendo; "non ho febbre, non abbiamo niente da fare, e quindi vi racconterò ogni cosa".

"Se proprio lo volete, vi ascolto".

"E' una storia semplicissima", soggiunse allora, "e ve la racconterò seguendo l'ordine dei fatti. Se poi ne farete qualcosa, siete libero di narrarla in altro modo".

Ecco dunque quanto egli mi raccontò; io ho cambiato solo qualche parola al suo commovente racconto.

Sì - riprese Armand, lasciando ricadere la testa sullo schienale della poltrona - sì, era in una serata come questa. Avevo passato la giornata in campagna con uno dei miei amici Gaston R... La sera eravamo tornati a Parigi, e non sapendo che fare, entrammo al Théâtre des Variétés.

Durante un intervallo uscimmo, e, nel corridoio, vedemmo passare una donna alta che il mio amico salutò.

"Chi avete salutato?", gli chiesi.

"Marguerite Gautier", mi rispose.

"Mi sembra molto cambiata, non l'ho neppure riconosciuta" dissi con un'emozione che presto capirete.

"E' stata malata, povera figliuola, e non ne avrà per molto".

Mi ricordo queste parole come se fossero state pronunciate ieri.

Dovete sapere, amico mio, che da due anni la vista di quella ragazza, quando l'incontravo, mi faceva una strana impressione.

Senza che sapessi il perché, impallidivo, e il mio cuore batteva furiosamente.

Uno dei miei amici, cultore di scienze occulte, chiamerebbe quella mia sensazione affinità magnetica; ma io credo semplicemente che fossi destinato a innamorarmi di Marguerite, e che ne avessi il presentimento.

Fatto sta che mi faceva sempre una profonda impressione, e molti dei miei amici ne erano stati testimoni, e ne avevano riso molto quando avevano saputo da chi mi veniva quel turbamento.

La vidi per la prima volta in Place de la Bourse, alla porta di Susse.

Un calesse scoperto si era fermato, e ne discese una donna vestita di bianco. Un mormorio di ammirazione accolse il suo ingresso nel negozio.

Me ne restai inchiodato al mio posto, dal momento in cui era entrata fino a quello in cui uscì.

Attraverso i vetri la guardai scegliere e acquistare. Avrei potuto entrare, ma non osai. Non sapevo chi fosse quella donna, e temevo che potesse intuire la ragione del mio ingresso nel negozio e ne fosse offesa. Tuttavia, non credevo che l'avrei rivista.

Era vestita con eleganza; indossava un abito di mussola a 'volants', uno scialle indiano quadrato con gli angoli ricamati d'oro e di fiori di seta, un cappello di paglia italiano, e un solo braccialetto, una catena d'oro che stava diventando di moda a quel tempo.

Risalì nel calesse e si allontanò.

Uno dei commessi del negozio rimase sulla porta, seguendo con lo sguardo la carrozza dell'elegante cliente. Mi avvicinai a lui e lo pregai di dirmi chi fosse quella signora.

"E' mademoiselle Marguerite Gautier", mi rispose.

Non osai chiedergli l'indirizzo, e me ne andai.

Il ricordo di quella visione, perché non si può parlare d'altro, non voleva lasciare la mia mente, come le altre che avevo avuto fino ad allora, e mi misi a cercare dappertutto quella dama in bianco così regalmente bella.

Dopo qualche giorno ebbe luogo uno spettacolo di gala all'Opéra- Comique.

Vi andai. La prima persona che vidi in un palco di proscenio fu Marguerite Gautier.

L'amico che era con me la riconobbe, e mi disse, nominandola:

"Guardate quella bella donna".

In quel momento, Marguerite puntava il binocolo verso di noi; riconobbe il mio amico, gli sorrise, e gli fece segno di raggiungerla.

"Vado a salutarla", mi disse lui, "e vi raggiungo subito".

Non potei fare a meno di dirgli: "Beato voi!".

"Perché?" .

"Perché andate da quella donna".

"Ne siete forse innamorato?".

"No", dissi arrossendo, perché non sapevo bene che rispondergli, "ma ci terrei a conoscerla".

"Venite con me, vi presenterò".

"Domandategliene prima il permesso".

"Oh, perbacco, non c'è bisogno di fare complimenti con lei; venite".

Quello che mi disse mi turbò; tremavo al pensiero di dovermi forse convincere che Marguerite non meritava quello che provavo per lei.

In un libro di Alphonse Karr, dal titolo "Aru Ranchen", si racconta di un uomo che, una sera, segue una donna molto elegante di cui si è innamorato a prima vista per la sua bellezza. Pur di baciare la mano di quella donna, egli si sente la forza per qualsiasi impresa, la volontà per qualsiasi conquista, il coraggio per qualsiasi ardimento.

Egli osa appena sfiorare con lo sguardo la caviglia sulla quale lei solleva con civetteria la veste per impedirle di impolverarsi.

Mentre sogna tutto quanto farebbe per possedere quella donna, lei lo ferma all'angolo di una strada e gli chiede se vuole salire a casa sua.

Egli gira la testa da un'altra parte, col cuore amareggiato, se ne torna a casa.

Quello scritto mi torna in mente, e mentre avrei voluto soffrire per quella donna, temevo che mi accettasse troppo presto, e mi concedesse con troppa prontezza un amore che avrei voluto pagare con una lunga attesa o con un gran sacrificio. Noi uomini siamo fatti così, ed è una fortuna che la fantasia lasci ai sensi tanta poesia, e che il desiderio fisico faccia così posto ai sogni dello spirito.

Insomma, se mi avessero detto: "Questa donna sarà vostra stasera, e domani verrete ucciso", avrei accettato.

Se mi avessero detto: "Date dieci luigi, e sarete il suo amante", avrei rifiutato, e ne avrei pianto come un bambino che al risveglio vede svanire il castello intravisto in sogno.

Tuttavia, volevo conoscerla: era quello il solo mezzo per sapere come mi sarei dovuto regolare con lei.

Dissi dunque al mio amico che tenevo a che essa gli concedesse il permesso di presentarmi a lei, e mi aggiravo nel corridoio, pensando che di lì a poco mi avrebbe visto, e che non avrei saputo quale contegno assumere sotto i suoi occhi.

Cercai di mettere insieme fino da allora le parole che le avrei detto.

Che bambinata sublime, l'amore!

Poco dopo il mio amico mi raggiunse. "Ci aspetta", mi disse.

"E' sola?", gli chiesi.

"C'è un'altra donna".

"E nessun uomo?".

"Nessuno".

"Andiamo".

Il mio amico si diresse verso la porta del teatro.

"Beh, non è mica da quella parte", gli dissi.

"Andiamo prima a cercare dei dolci: me li ha chiesti". Entrammo da un pasticciere vicino all'Opéra.

Avrei voluto comprare tutto il negozio, e mi guardavo intorno per cercare come comporre il pacchetto, quando il mio amico disse:

"Datemi una libbra di uva candita".

"Siete sicuro che le piaccia?".

"Non mangia altri dolci, è risaputo. Ah", continuò dopo che fummo usciti, "sapete che donna sto per presentarvi? Non crediate che sia una duchessa, è solo una mantenuta, la più mantenuta delle donne, caro mio, non fate dunque complimenti, e dite pure tutto ciò che vi verrà in testa".

"Bene, bene", balbettai seguendolo, e dicendomi che sarei ben presto guarito dalla mia passione.

Quando entrammo nel palco, Marguerite rideva sonoramente.

Avrei preferito che fosse triste.

Il mio amico mi presentò. Marguerite mi rivolse un leggero cenno del capo, e disse:

"I miei dolci?".

"Eccoli" .

Prendendoli mi guardò. Abbassai gli occhi arrossendo. Lei si chinò all'orecchio della vicina, le mormorò qualche parola a bassa voce, ed entrambe scoppiarono a ridere. Ero io il motivo di quell'ilarità; il mio imbarazzo raddoppiò. A quell'epoca avevo per amante una piccola borghese molto tenera e molto sentimentale, il cui sentimentalismo e le cui lettere malinconiche mi facevano ridere.

Capii il dolore che dovevo darle da quello che stavo provando io, e per cinque minuti l'amai come mai una donna è stata amata.

Marguerite mangiava la sua uva senza più occuparsi di me. Il mio amico non volle più lasciarmi in quella ridicola posizione.

"Marguerite", disse, "non dovete stupirvi se monsieur Duval non vi dice niente, perché voi lo turbate a tal punto che non riesce a trovare le parole".

"Io credo piuttosto che il signore vi abbia accompagnato qui perché vi annoiava venirci da solo".

"Se fosse vero", dissi a mia volta, "non avrei pregato Ernest di chiedervi il permesso di esservi presentato".

"Era forse solo il pretesto per ritardare il momento fatale".

Per poco che si abbia esperienza di donne del genere di Marguerite, si sa il piacere che provano nel fare dello spirito a sproposito e a prendere in giro la gente che vedono per la prima volta.

E' certo una rivincita sulle umiliazioni che spesso sono costrette a subire da parte di quelli che esse vedono tutti i giorni.

E' necessario quindi, per poter rispondere loro, una certa dimestichezza col loro mondo, cosa che io non avevo; e poi, l'idea che mi ero fatta su Marguerite esagerò ai miei occhi l'importanza dello scherzo. Nulla che venisse da quella donna mi lasciava indifferente.

Così, mi alzai dicendole con un tono di voce alterata che mi fu impossibile nascondere del tutto:

"Se è questo che pensate di me, signora, non mi resta che chiedervi scusa per la mia indiscrezione, e congedarmi da voi assicurandovi che la cosa non si ripeterà".

Così detto, salutai e uscii.

Appena ebbi chiuso la porta, udii un nuovo scoppio di risa. Mi sarebbe piaciuto molto che in quel momento qualcuno mi prendesse a spintoni.

Tornai al mio posto.

Fu battuto un colpo che annunziava l'alzarsi del sipario. Ernest tornò da me.

"Ma che fate?", mi disse sedendosi. "Vi hanno preso per pazzo".

"Che cosa ha detto Marguerite, quando me ne sono andato?" .

"Ha riso, e mi ha assicurato di non aver mai visto un tipo così buffo, ma non dovete credervi sconfitto; non fate mai a certe donne l'onore di prenderle sul serio. Esse non sanno cosa siano eleganza e buone maniere; sono come i cani, i quali se mettete loro dei profumi, trovano che hanno un cattivo odore e vanno a rotolarsi nelle pozzanghere".

"Dopo tutto che m'importa?", dissi cercando di assumere un tono indifferente. "Non rivedrò più quella donna, e se pure mi piaceva prima di conoscerla, ora che la conosco, è tutto molto diverso".

"Bah! non dispero di vedervi un giorno nel suo palco, e di sentir dire che vi state rovinando per lei. Del resto, avreste ragione, è maleducata ma varrebbe la pena averla come amante".

Per fortuna si alzò il sipario e il mio amico tacque. Mi sarebbe impossibile dirvi quale commedia si rappresentava. Tutto ciò di cui mi ricordo è che di tanto in tanto alzavo gli occhi sul palco dal quale ero così bruscamente uscito, e che ogni volta vi intravedevo il viso di un nuovo visitatore.

Tuttavia, ero ben lontano dal non pensare più a Marguerite. Un altro sentimento si era impadronito di me. Mi sembrava che avrei dovuto far dimenticare il suo insulto e la mia ridicola figura; mi dicevo che, avessi dovuto spendere tutto quel che possedevo, avrei avuto quella ragazza e avrei preso di diritto il posto che avevo abbandonato così in fretta.

Prima che lo spettacolo finisse, Marguerite e la sua amica lasciarono il palco.

Mio malgrado, lasciai anch'io il mio posto.

"Ve ne andate?", mi chiese Ernest.

"Sì" "Perché?".

In quel momento, si accorse che il palco era vuoto. "Andate, andate", mi disse allora, "e buona fortuna, o piuttosto, migliore fortuna".

Uscii.

Udii nelle scale fruscii di seta e bisbigli di voci. Mi tirai da un lato e vidi passare, non visto, le due donne e i due giovani che le accompagnavano.

Sotto il portico del teatro, un piccolo domestico si avvicinò a loro.

"Di' al cocchiere di aspettarci davanti al Café Anglais", disse Marguerite, "andremo fin là a piedi".

Qualche minuto dopo, passeggiando sul boulevard, vidi alla finestra di uno dei salottini di quel ristorante Marguerite, appoggiata al davanzale, che sfogliava a una a una le camelie del suo mazzo.

Uno dei due uomini era chino sulla sua spalla e le parlava sottovoce.

Andai a sedermi alla Maison-d'Or, nei saloni del primo piano, senza perdere di vista quella finestra.

All'una del mattino, Marguerite risaliva in carrozza coi suoi tre amici. Presi una vettura e la seguii.

La carrozza si fermò al numero 9 di rue d'Antin.

Marguerite ne discese ed entrò da sola in casa.

Si trattava certo di un caso, ma un caso che mi rese molto felice.

Da quel giorno incontrai spesso Marguerite al teatro e agli Champs- Elysées. Sempre in lei la stessa allegria, in me sempre lo stesso turbamento.

Passarono tuttavia quindici giorni senza che la rivedessi in alcun luogo. Mi incontrai con Gaston al quale chiesi notizie.

"La poverina è molto ammalata", mi rispose.

"Che cos'ha?".

"Ha che è tisica, e siccome ha fatto una vita che non è certo la più adatta a guarirla, è a letto e sta morendo".

Il cuore è strano: fui quasi contento di quella malattia. Andai tutti i giorni a prendere notizie dell'ammalata, senza tuttavia firmare o lasciare il biglietto di visita. Seppi così della sua convalescenza e della sua partenza per Bagnères.

Passò poi qualche tempo, e l'impressione, se non il ricordo, parve cancellarsi a poco a poco dal mio animo. Viaggiai; relazioni, abitudini, occupazioni, sostituirono quel pensiero, e quando ricordavo quella prima avventura, non volevo vedervi che una di quelle passioni che si hanno finché si è giovani, e delle quali si ride qualche tempo dopo.

Del resto, non ci sarebbe stato alcun merito a trionfare di quel ricordo perché avevo perso di vista Marguerite dopo la sua partenza, e, come vi ho detto, quando mi passò accanto nel corridoio del Variété, non la riconobbi. Era velata, è vero; ma per quanto velata, due anni prima non avrei avuto bisogno di vederla per riconoscerla:

l'avrei indovinata. Ma questo non impedì al mio cuore di battere quando seppi che era lei; e i due anni trascorsi senza vederla, e il risultato che pareva aver prodotto quella separazione, svanirono nella nebbia al solo contatto della sua veste.

 

 

 

CAPITOLO 8

 

Tuttavia - continuò Armand dopo una pausa - pur rendendomi conto che ero ancora innamorato, mi sentivo più forte di prima, e nel mio desiderio di rivedere Marguerite c'era anche la volontà di mostrarle che le ero diventato superiore.

Quante strade e quante ragioni crea il cuore per arrivare a quello che vuole!

Così, non potei restare più a lungo nel corridoio, e tornai al mio posto lanciando una rapida occhiata per la sala, per vedere in quale palco lei si trovasse.

Era nel palco di proscenio di prim'ordine, sola. Era cambiata, come vi ho detto, non ritrovavo più sulla sua bocca quel sorriso indifferente.

Aveva sofferto, e soffriva ancora.

Per quanto si fosse già in aprile, era ancora vestita come d'inverno, e tutta coperta di velluto.

La guardavo con tanta insistenza, che il mio sguardo attirò il suo.

Mi osservò per qualche istante, prese il binocolo per guardarmi meglio e credette certo di riconoscermi, senza poter dire con precisione chi fossi, perché, quando depose il binocolo, un sorriso, il delizioso saluto delle donne, le passò sulle labbra per rispondere al saluto che sembrava attendere da me; ma io non risposi affatto, come per assumere un nuovo atteggiamento e fingere di aver dimenticato nel momento in cui lei ricordava.

Credette allora di essersi sbagliata, e distolse lo sguardo. Si alzò il sipario.

Ho visto molte volte Marguerite a teatro, e non l'ho mai vista prestare la minima attenzione a quello che si rappresentava.

Quanto a me, lo spettacolo mi interessava assai poco, e non mi occupavo che di lei, facendo tuttavia ogni sforzo perché non se ne accorgesse.

La vidi scambiare occhiate con la persona che occupava il palco di fronte al suo; portai lo sguardo su quel palco e vi riconobbi una donna con la quale ero abbastanza in confidenza.

Questa donna era stata una mantenuta, e aveva cercato di fare del teatro senza riuscirvi; allora, siccome poteva contare sulle relazioni con le donne più eleganti di Parigi, si era data al commercio e aveva aperto un negozio di mode.

Vidi in lei il modo di incontrare Marguerite, e approfittai di un momento in cui guardava dalla mia parte per salutarla con la mano e con gli occhi.

Accadde quanto avevo previsto: mi chiamò nel suo palco. Prudence Duvernoy, tale era il felice nome della modista, era una di quelle quarantenni già sformate, con le quali non è necessario usare troppa diplomazia per fare dir loro quello che si vuole sapere, soprattutto quando ciò che ci interessa è semplice quanto ciò che io avevo da chiederle.

Approfittai di un momento in cui riprendeva a scambiare cenni con Marguerite, per domandarle:

"Chi guardate così?,.

"Marguerite Gautier".

"La conoscete?".

"Certo: sono la sua modista e abita vicino a me" "Abitate dunque anche voi in rue d'Antin?".

"Sì, al numero 7. La finestra del suo spogliatoio guarda sulla finestra del mio".

"Dicono che sia una donna affascinante".

"Non la conoscete?".

"No, ma vorrei tanto conoscerla".

"Volete che le dica di venire nel nostro palco?".

"No, preferisco esserle presentato".

"A casa sua?".

"Sì".

"E' più difficile".

"Perché?".

"Perché è la protetta di un vecchio duca molto geloso".

"Delizioso quel 'protetta'".

"Sì, protetta" riprese Prudence. "Povero vecchio, non gli sarebbe facile esserne l'amante".

Prudence mi raccontò allora come Marguerite avesse conosciuto il duca a Bagnères.

"E' per questo", continuai, "che è qui da sola?".

"Appunto".

"Ma chi la riaccompagnerà a casa?".

"Lui".

"Verrà a prenderla, allora?".

"Tra poco".

"E voi, chi v'accompagnerà?".

"Nessuno".

"Lo farò io".

"Ma siete qui con un amico, mi pare".

"E allora lo faremo insieme".

"Chi è il vostro amico?".

"Un ragazzo piacevole, molto spiritoso, che sarà felice di conoscervi".

"Va bene, d'accordo, ce ne andremo tutti e tre dopo questo atto, perché l'ultimo lo conosco".

"Volentieri, vado ad avvertire il mio amico".

"Andate. Ah!" mi disse Prudence mentre stavo per uscire "ecco il duca che entra nel palco di Marguerite".

Guardai. Infatti, un uomo sulla settantina si stava sedendo dietro la giovane donna e le porgeva un sacchetto di dolci nel quale lei infilava la mano sorridendo, per posarlo subito dopo sul parapetto del palco facendo a Prudence un segno che poteva tradursi in:

"Ne volete?".

"No" rispose Prudence.

Marguerite riprese il sacchetto e, girandosi, si mise a chiacchierare col duca.

Il racconto di tutti questi particolari può sembrare puerile ma tutto ciò che riguarda quella donna è così presente nella mia memoria, che non posso impedirmi, oggi, di ricordarlo.

Scesi ad avvertire Gaston di quanto avevo deciso per lui e per me.

Egli accettò.

Lasciammo i nostri posti per salire nel palco di madame Duvernoy.

Appena aperta la porta del corridoio dei palchi, dovemmo farci da parte per lasciar passare Marguerite e il duca che se ne andavano.

Avrei dato dieci anni della mia vita per essere al posto del vecchio gentiluomo.

Usciti nel boulevard, la fece sedere in un calesse, che lui stesso guidava, e si allontanarono, portati via al trotto da due splendidi cavalli.

Entrammo nel palco di Prudence.

Quando l'atto finì, scendemmo a prendere la carrozza da nolo che ci condusse al numero 7 di rue d'Antin.

Alla porta di casa, Prudence ci invitò a salire per mostrarci il negozio, che non conoscevamo e del quale sembrava molto orgogliosa.

Potete immaginare con quale gioia accettai l'invito. Mi sembrava di accostarmi un po' a Marguerite. Ben presto feci ricadere la conversazione su di lei.

"Il vecchio duca è dalla nostra vicina?", chiesi a Prudence.

"No, dovrebbe essere sola".

"Si annoierà terribilmente", disse Gaston.

"Passiamo quasi tutte le serate insieme, perché, quando rientra, mi chiama da lei. Non si corica mai prima delle due del mattino. Non riesce ad addormentarsi prima".

"Perché?" .

"Perché è malata di petto e ha quasi sempre la febbre".

"Non ha nessun amante?", chiesi.

"Non vedo mai nessuno che resti da lei quando me ne vado io; ma non sono in grado di dire se non vada nessuno dopo che me ne sono andata; spesso incontro da lei, la sera, un certo conte de N... che crede di raggiungere i suoi scopi facendole visita alle undici di sera, mandandole tanti gioielli quanti può desiderare; ma lei non lo può vedere neppure dipinto, Ha torto, è un ragazzo molto ricco. Ho un bel dirle di tanto in tanto: 'Figliuola mia, è l'uomo che ci vuole!'. Lei, che di solito mi dà abbastanza retta, mi gira le spalle e mi risponde che è troppo stupido. Che sia stupido, ne convengo, ma sarebbe per lei una sistemazione, mentre quel vecchio duca potrebbe morire da un momento all'altro. I vecchi sono egoisti; la sua famiglia gli rimprovera senza posa il suo affetto per Marguerite: ecco due ragioni perché non le lasci niente. Le faccio la predica, e lei mi risponde che sarà sempre in tempo a prendersi il conte alla morte del duca. Non è sempre divertente", proseguì Prudence, "vivere come lei. So bene che mi piacerebbe poco e che manderei ben presto a spasso quel brav'uomo.

Non sa di niente, quel vecchio; la chiama 'figlia mia', si occupa di lei come di una bambina, le sta sempre addosso. Sono sicura che a quest'ora uno dei suoi domestici passeggia nella strada per veder chi esce, e soprattutto chi entra".

"Ah! povera Marguerite!", disse Gaston sedendosi al pianoforte e accennando un valzer, "non sapevo niente di tutto ciò. Comunque, mi ero accorto che da qualche tempo aveva un'aria meno allegra".

"Zitto!", disse Prudence tendendo l'orecchio.

Gaston tacque.

"Mi sta chiamando, mi pare".

Ascoltammo. Infatti, una voce chiamava Prudence.

"Allora, signori, andate via", disse madame Duvernoy.

"Ah, è così che intendete l'ospitalità!", disse Gaston ridendo. "Ce ne andremo quando ci piacerà".

"E perché dovremmo andarcene?".

"Perché vado da Marguerite".

"Vi aspetteremo".

"E' impossibile".

"Allora verremo con voi".

"Peggio".

"Io, Marguerite la conosco", disse Gaston, "posso pur sempre andare a farle una visita".

"Ma Armand non la conosce".

"Glielo presenterò".

"E' impossibile".

Udimmo di nuovo la voce di Marguerite che continuava a chiamare Prudence, la quale corse nello spogliatoio. La seguii con Gaston. Lei aprì la finestra.

Ci nascondemmo in modo da non essere visti dall'esterno.

"Sono dieci minuti che vi chiamo", disse Marguerite dalla sua finestra, con tono quasi imperativo.

"Che volete?".

"Che veniate subito da me".

"Perché?" .

"Perché il conte de N... è ancora qui e io mi annoio da morire".

"Adesso non posso".

"Cosa ve lo impedisce?".

"Ci sono da me due giovanotti che non vogliono andarsene".

"Dite loro che dovete uscire".

"Gliel'ho detto".

"Allora lasciateli a casa vostra; quando vedranno che siete uscita, se ne andranno".

"Dopo aver messo tutto a soqquadro!".

"Ma che cosa vogliono?".

"Vedervi".

"Come si chiamano?".

"Uno lo conoscete, è monsieur Gaston R...".

"Ah, sì, lo conosco. E l'altro?".

"Monsieur Armand Duval. Non lo conoscete?".

"No, ma portateli lo stesso, preferirei qualunque cosa al conte. Vi aspetto, fate presto".

Marguerite richiuse la finestra, Prudence fece altrettanto.

Marguerite, che aveva per un istante riconosciuto il mio viso, non ricordava il mio nome. Avrei preferito un ricordo svantaggioso per me a quella dimenticanza.

"Ero sicuro", disse Gaston, "che sarebbe stata felice di vederci" "Felice non è la parola adatta", rispose Prudence mettendosi uno scialle e il cappello, "vi riceve per mandar via il conte. Cercate di essere più divertenti di lui, o, conosco Marguerite, se la prenderà con me".

Seguimmo Prudence per le scale.

Tremavo; presagivo che quella visita avrebbe avuto una grande influenza nella mia vita. Ero ancora più emozionato della sera in cui le ero stato presentato nel palco dell'Opéra-Comique.

Arrivando alla porta dell'appartamento che voi conoscete, il cuore mi batteva così forte che non ragionavo più.

Alcuni accordi di pianoforte arrivarono fino a noi.

Prudence suonò.

Il pianoforte tacque.

Una donna che sembrava più una dama di compagnia che una cameriera venne ad aprirci. Passammo nel salone, e dal salone nel salottino che era, a quel tempo, proprio come voi l'avete visto più tardi.

Un uomo era appoggiato al caminetto.

Marguerite, seduta al pianoforte, faceva scorrere le dita sulla tastiera, accennando dei brani musicali senza concluderli.

Quella scena provocava un'impressione di noia, a causa dell'uomo imbarazzato dalla propria nullità, e della donna annoiata dalla visita di quel tedioso personaggio.

Udendo la voce di Prudence, Marguerite si alzò, e venendoci incontro, dopo aver lanciato uno sguardo riconoscente a madame Duvernoy, ci disse:

"Entrate, signori, e siate i benvenuti".

 

 

 

CAPITOLO 9

 

"Buona sera, caro Gaston", disse Marguerite al mio compagno, "mi fa molto piacere vedervi. Perché non siete venuto nel mio palco al Variétés?".

"Temevo di essere indiscreto".

"Gli amici", e Marguerite calcò su questa parola, come per far capire ai presenti che, nonostante la familiarità con cui lei lo accoglieva, Gaston non era e non era mai stato per lei che un amico, "gli amici non sono mai indiscreti".

"Allora, permettetemi di presentarvi monsieur Armand Duval".

"Avevo già autorizzato Prudence a farlo".

"Del resto, signora", dissi inchinandomi e cercando, per quanto potevo, di emettere dei suoni intelligibili, "ho già avuto l'onore di esservi presentato".

L'incantevole sguardo di Marguerite sembrò cercare nella sua memoria, ma non ricordò, o forse sembrò non ricordare.

"Signora", ripresi allora, "vi sono grato di aver dimenticato quella prima presentazione, perché fui molto ridicolo e debbo esservi sembrato molto noioso. Fu due anni fa, all'Opéra-Comique; ero con Ernest de...".

"Ah, mi ricordo!", riprese Marguerite con un sorriso, "non voi eravate ridicolo, ma io ero dispettosa, come del resto lo sono ancora un poco, ma meno di allora. Mi avete perdonato, signore?".

E mi tese la mano, che baciai.

"E' vero", riprese. "Figuratevi che ho la cattiva abitudine di mettere in imbarazzo la gente che vedo per la prima volta. E molto sciocco. Il mio medico dice che è perché sono nervosa e sempre sofferente: credete al mio medico".

"Ma sembrate in ottima salute".

"Oh! sono stata molto ammalata".

"Lo so".

"Chi ve lo ha detto?".

"Tutti lo sapevano; sono venuto spesso per avere vostre notizie e ho saputo con piacere della vostra convalescenza" "Non mi hanno mai dato il vostro biglietto di visita".

"Non l'ho mai lasciato".

"Sareste dunque voi quel giovane che tutti i giorni veniva a informarsi della mia salute, quand'ero malata, e che non ha mai voluto dire il suo nome?".

"Proprio io".

"Allora voi siete, più che indulgente, generoso. Certo voi, conte, non l'avreste mai fatto", aggiunse voltandosi verso monsieur de N..., dopo avermi lanciato uno di quegli sguardi con i quali le donne fanno capire la loro opinione su un uomo.

"Vi conosco soltanto da due mesi", replicò il conte.

"E il signore mi conosce da cinque minuti appena. Voi rispondete sempre con delle sciocchezze".

Le donne sono spietate con gli uomini che non amano. Il conte arrossì e si morse le labbra.

Mi fece pena, perché sembrava innamorato al pari di me, e la crudele franchezza di Marguerite doveva farlo soffrire molto, soprattutto in presenza di due estranei.

"Stavate suonando, quando siamo entrati", dissi allora, per cambiare discorso, "non mi fareste il piacere di trattarmi come una vecchia conoscenza, continuando?".

"Oh!", disse lei gettandosi sul divano e facendoci segno di sederci, "Gaston conosce bene la mia musica. Va bene per quando sono sola con il conte, ma non vorrei infliggere a voi un simile supplizio".

"Avete questa preferenza per me?", replicò monsieur de N... con un sorriso che tentò di rendere fine e ironico.

"Avete torto di rimproverarmela: è la sola".

Era stabilito che quel povero ragazzo non dovesse aprir bocca. Egli gettò sulla donna uno sguardo veramente supplichevole.

"Ditemi dunque, Prudence", continuò lei, "avete fatto ciò di cui vi avevo pregato?".

"Sì" "Va bene, me lo racconterete più tardi. Dobbiamo discutere, non ve ne andate senza che vi abbia parlato".

"Siamo certo indiscreti", dissi allora, "e adesso che abbiamo, o meglio che io ho ottenuto una seconda presentazione per far dimenticare la prima, Gaston e io possiamo ritirarci".

"Ma nemmeno per sogno! non è per voi che l'ho detto. Voglio invece che restiate".

Il conte tirò fuori un elegantissimo orologio e guardò l'ora.

"Bisogna che vada al circolo", disse. Marguerite non rispose.

Il conte si staccò dal caminetto, e avvicinandosi a lei:

"Addio signora".

Marguerite si alzò.

"Addio, mio caro conte. Ve ne andate di già?".

"Sì, temo di annoiarvi".

"Ma non mi annoiate oggi più degli altri giorni. Quando vi rivedrò?".

"Quando me lo consentirete".

"Addio, allora!".

Diciamolo pure, era crudele.

Il conte aveva per fortuna una perfetta educazione e un ottimo carattere. Si accontentò di baciare la mano che Marguerite gli porgeva con una certa noncuranza, e uscì, dopo averci salutati. Al momento di varcare la soglia, guardò Prudence.

Questa alzò le spalle come per dire:

"Che volete, ho fatto quel che ho potuto".

"Nanine!", gridò Marguerite. "Fa' luce al signor conte".

Udimmo aprire e chiudere la porta. "Finalmente!", esclamò Marguerite riapparendo. "Se ne è andato; quel ragazzo mi dà terribilmente sui nervi".

"Bambina mia", disse Prudence, "siete davvero troppo cattiva con lui, che è con voi così buono, così premuroso. Ecco là sul vostro caminetto un orologio che vi ha regalato e che gli è costato almeno mille scudi, ne sono certa".

E madame Duvernoy, che si era avvicinata al caminetto si mise a giocherellare col gioiello di cui parlava, gettandogli sguardi di cupidigia.

"Mia cara", disse Marguerite sedendosi al pianoforte, "quando metto su un piatto della bilancia quello che mi regala e sull'altro ciò che mi dice, mi accorgo di fargli pagare troppo poco le visite che mi fa".

"Quel povero ragazzo è innamorato di voi".

"Se dovessi dar retta a tutti quelli che sono innamorati di me, non avrei neppure il tempo di far colazione". E fece scorrere le dita sul piano; poi, voltandosi verso di noi, disse:

"Volete prendere qualcosa? Io berrei volentieri un ponce".

"E io mangerei volentieri un po' di pollo", disse Prudence; "e se cenassimo?".

"Benissimo, andiamo a cena", disse Gaston.

"No, ceniamo qui".

Suonò. Nanine apparve.

"Manda a prendere qualcosa per cena".

"Che cosa?".

"Quello che vuoi, ma subito, subito".

Nanine uscì.

"Ecco", disse Marguerite saltando come una bambina, "ceniamo! Com'è noioso quell'imbecille di un conte!".

Più vedevo quella donna, più ne ero incantato. Era stupenda. La magrezza stessa la abbelliva. Ero in contemplazione. Mi sarebbe molto difficile spiegare cosa succedesse dentro di me. Ero pieno di indulgenza per la sua vita, pieno di ammirazione per la sua bellezza.

La prova di disinteresse che ella dava, rifiutando un uomo giovane, elegante e ricco, pronto a rovinarsi per lei, scusava ai miei occhi tutti i suoi passati errori. C'era in quella donna qualcosa che somigliava alla purezza. Si vedeva che era ancora nel primo stadio del vizio. Il suo portamento eretto, la sua figura agile, le sue narici rosee e aperte, i suoi grandi occhi lievemente cerchiati di azzurro, mostravano una natura ardente che diffondeva intorno un profumo di voluttà, come quei flaconi orientali che per quanto ben chiusi, lasciano uscire il profumo del liquore che racchiudono.

Infine, fosse per natura, fosse a causa della sua malferma salute, ogni tanto passavano negli occhi di quella donna lampi di desiderio, la cui soddisfazione sarebbe stata una rivelazione del cielo per colui che lei avesse amato. Ma quelli che avevano amato Marguerite non si contavano più, e quelli che lei aveva amato non si contavano ancora.

Insomma, si riconosceva in quella donna la fanciulla che un niente aveva trasformato in cortigiana, e la cortigiana che un niente avrebbe trasformato nella fanciulla più innamorata e più pura. Vi era anche, in Marguerite, fierezza e senso d'indipendenza: due sentimenti che, se vengono feriti, sanno avere la forza del pudore. Io non parlavo. La mia anima sembrava essersi riversata tutta nel mio cuore e il mio cuore nei miei occhi.

"Così", riprese lei a un tratto, "eravate voi che venivate a chiedere mie notizie quando ero ammalata?".

"Sì".

"Sapete che questo è molto bello? Che cosa posso fare per ringraziarvi?".

"Permettetemi di venire a trovarvi di tanto in tanto".

"Quando vorrete, dalle cinque alle sei, o dalle undici a mezzanotte.

Per favore, Gaston, suonatemi l"'invito al valzer'".

"Perché?" .

"Prima di tutto per farmi piacere, e poi perché non sono capace di suonarlo da sola".

"Che cosa non vi riesce?".

"La terza parte, il passaggio in diesis".

Gaston si alzò, si sedette al pianoforte, e si mise a suonare la meravigliosa melodia di Weber, il cui spartito era aperto sul leggio.

Marguerite, con una mano appoggiata sul pianoforte, guardava il foglio, seguiva con gli occhi ogni nota, accompagnandola sottovoce; e quando Gaston arrivò al passo che lei gli aveva indicato, canticchiò facendo scorrere le dita sul coperchio dello strumento:

"Re, mi, re, do, re, fa, mi, re, ecco quello che non riesco a suonare.

Ricominciate".

Gaston ricominciò, dopo di che Marguerite gli disse:

"Adesso lasciate provare me".

Prese il suo posto e suonò a sua volta, ma le sue dita, ribelli, si sbagliavano sempre su una di quelle note.

"E' incredibile", disse con un tono veramente infantile, "che io non riesca a suonare quel passaggio! Credereste che qualche volta ci sto sopra fino alle due del mattino? E pensare che quell'imbecille del conte lo suona senza spartito, meravigliosamente! credo sia questo che mi rende furiosa contro di lui".

E ricominciò, sempre con lo stesso risultato.

"Che il diavolo si porti Weber, la musica, e i pianoforti!" disse scagliando il fascicolo dall'altro lato della stanza, "come è possibile che non riesca a suonare otto diesis di seguito?".

E incrociò le braccia guardandoci e battendo i piedi.

Il sangue le salì alle gote, e un piccolo colpo di tosse le fece aprire le labbra.

"Suvvia", disse Prudence, che si era tolto il cappello e che si lisciava i capelli davanti allo specchio, "adesso vi arrabbiate ancora e vi sentirete male; andiamo a cena, sarà meglio: io muoio di fame".

Marguerite suonò di nuovo il campanello, poi si rimise al pianoforte e cominciò a canterellare una canzone libertina, nel cui accompagnamento non trovò alcuna difficoltà.

Gaston conosceva la canzone, e fecero una specie di duetto.

"Non cantate queste sconcezze", dissi amichevolmente a Marguerite, con un tono di preghiera.

"Oh! come siete pudico!", mi rispose sorridendo e tendendomi la mano.

"Non è per me, ma per voi".

Marguerite fece un gesto che sembrava dire: "Oh! L'ho finita da un pezzo, io, con la castità".

In quel momento apparve Nanine.

"La cena è pronta?", chiese Marguerite.

"Sì, signora, fra un istante".

"A proposito?" mi disse Prudence, "voi non avete visto l'appartamento; venite, ve lo mostro".

Voi lo sapete, il salone era meraviglioso.

Marguerite ci accompagnò per un po', poi chiamò Gaston e passò con lui in sala da pranzo per vedere se la cena era pronta.

"Toh", disse forte Prudence guardando su una credenza e prendendo una statuetta di Sassonia, "non avevo mai visto questo ometto".

"Il pastorello con la gabbia degli uccellini".

"Prendetelo, se vi piace".

"Ah, non voglio portarvelo via".

"Volevo regalarlo alla mia cameriera, perché lo trovo orribile, ma se vi piace, prendetevelo".

Prudence badò solo al regalo, e non al modo in cui veniva fatto. Mise da parte il suo ometto, e mi condusse nello spogliatoio, dove, mostrandomi due miniature appese una di fronte all'altra, mi disse:

"Ecco il conte de G... che è stato molto innamorato di Marguerite; è lui che l'ha introdotta. Lo conoscete?".

"No. E l'altro?", domandai indicando l'altro ritratto.

"E' il giovane visconte de L... E' stato costretto a partire".

"Perché?".

"Perché si era quasi completamente rovinato. Questo sì che l'amava, Marguerite!".

"E certo anche lei l'amava molto".

"E' una ragazza così strana, non si sa mai che cosa pensarne. La sera del giorno in cui lui partì, lei se ne andò al teatro, come al solito, nonostante avesse pianto fino al momento della partenza". In quel momento apparve Nanine per avvisarci che la cena era servita.

Quando entrammo nella sala da pranzo, Marguerite era appoggiata al muro, e Gaston, tenendole le mani, le parlava a bassa voce.

"Voi siete pazzo", gli rispondeva Marguerite, "sapete bene che non voglio saperne di voi. Non si attende due anni da che si conosce una donna come me, per chiederle di diventare la propria amante. Noi diamo tutto subito, o mai più. Andiamo, signori, a tavola".

E, liberandosi dalle mani di Gaston, Marguerite lo fece sedere alla sua destra, me alla sua sinistra, poi disse a Nanine:

"Prima di sederti, raccomanda alla cuoca di non aprire se suonano alla porta".

Questa raccomandazione era fatta all'una del mattino.

Si rise, si bevve e si mangiò molto, a quella cena. Dopo qualche istante, l'allegria era scesa all'ultimo gradino, e le parole che certa gente trova piacevoli, e che sempre sporcano la bocca di chi le pronuncia, sprizzavano di tanto in tanto tra le grandi acclamazioni di Nanine, Prudence e Marguerite. Gaston si divertiva sinceramente; era un ragazzo pieno di cuore, ma il suo spirito era stato sviato dalle prime abitudini. Per un momento, avrei voluto stordirmi, rendere il mio cuore e il mio pensiero indifferenti allo spettacolo che avevo davanti agli occhi, e prendere parte a quell'allegria che sembrava una delle portate della cena; ma, a poco a poco, mi ero isolato da quel rumore, il mio bicchiere era ancora pieno, ed ero diventato quasi triste nel vedere quella bella creatura di vent'anni bere e esprimersi come un facchino, e ridere tanto più rumorosamente quanto più volgare era quello che si diceva.

Tuttavia quell'allegria, quel modo di parlare e di bere, che negli altri invitati mi sembravano l'effetto dei bagordi, dell'abitudine, o della buona salute, in Marguerite mi sembravano invece effetto di un bisogno di dimenticare, di una febbre, di una irritabilità nervosa. A ogni coppa di champagne, le sue guance si colorivano di un rosso febbrile, e una certa tosse, lieve all'inizio della cena, era diventata via via sempre più forte fino a obbligarla a rovesciare la testa sullo schienale della sedia e a comprimersi il petto con le mani ogni volta che tossiva.

Soffrivo per il male che gli eccessi quotidiani dovevano fare a quel fragile organismo.

Alla fine, accadde una cosa che avevo previsto e che temevo. Verso la fine della cena, Marguerite fu colta da un accesso di tosse più forte di tutti quelli che aveva avuti da quando mi trovavo lì. Mi sembrò che il petto le si lacerasse all'interno. La poverina divenne scarlatta, chiuse gli occhi per il dolore, e si portò alle labbra il tovagliolo, che una goccia di sangue macchiò. Allora si alzò e corse nello spogliatoio.

"Che cos'ha Marguerite?", chiese Gaston.

"Ha riso troppo, e ora sputa sangue", rispose Prudence. "Oh non è niente, le succede tutti i giorni. Tornerà subito. Lasciamola sola, lo preferirà".

Quanto a me, non potei trattenermi, e, con gran stupore di Prudence e di Nanine che mi richiamavano, raggiunsi Marguerite.

 

 

 

CAPITOLO 10

 

La camera nella quale si era rifugiata era illuminata da una sola candela posta sul tavolo. Riversa su un grande divano, il vestito slacciato, si teneva una mano contro il petto, lasciando l'altra pendere, inerte. Sul tavolo, una bacinella d'argento piena a metà di un'acqua macchiata di sangue.

Marguerite, pallidissima, la bocca semiaperta, cercava di riprendersi.

Di tanto in tanto il suo petto si gonfiava per un lungo sospiro, che sembrava sollevarla un po' e lasciarla per qualche istante in uno stato di benessere.

Mi avvicinai, senza che lei facesse alcun movimento, mi sedetti e presi la sua mano, che era appoggiata sul divano.

"Ah, siete voi?", mi disse con un sorriso.

Certo avevo un aspetto sconvolto, perché aggiunse:

"Siete ammalato anche voi?".

"No, ma voi, voi, soffrite ancora?".

"Pochissimo", e asciugò con un fazzoletto le lacrime che la tosse le aveva fatto salire agli occhi, "ormai ci sono abituata".

"Voi vi uccidete, signora", le dissi allora con voce commossa, "vorrei essere un vostro amico, un vostro parente, per impedirvi di farvi tanto male".

"Oh, non vale davvero la pena che voi vi spaventiate", replicò con una certa amarezza; "guardate un po' se gli altri si occupano di me: il fatto è che sanno bene che con questa malattia non c'è niente da fare". Dopo di che si alzò e, prendendo il candeliere, lo posò sul caminetto e si guardò allo specchio.

"Come sono pallida!", disse riallacciandosi la veste e passandosi le dita sui capelli scomposti. "Oh, beh, rimettiamoci a tavola.

Andiamo?", ma io restavo seduto, senza muovermi.

Ella capì l'emozione che quella scena mi aveva fatto provare, mi si avvicinò e, tendendomi la mano, mi disse:

"Su, venite".

Le presi la mano, e la portai alle labbra bagnandola mio malgrado con due lacrime troppo a lungo trattenute.

"Suvvia, siete proprio un bambino!", disse lei sedendosi di nuovo accanto a me; "adesso piangete! Ma che cosa avete?".

"Devo sembrarvi proprio sciocco, ma quello che ho visto mi ha fatto terribilmente male".

"Come siete buono, voi! che volete? non posso dormire bisogna pure che mi distragga un po'. E poi, le donne come me, una di più o una di meno, che importanza ha? I medici dicono che il sangue che sputo esce dai bronchi; io fingo di crederlo, è tutto ciò che posso fare per loro".

"Ascoltate, Marguerite", esclamai allora con uno slancio che non potei frenare, "io non so quale influenza voi avrete sulla mia vita, ma quello che so è che in questo momento non c'è nessuno, neppure mia sorella, che mi stia a cuore come voi. Ed è così dalla prima volta in cui vi ho vista. Ebbene, in nome del cielo, curatevi, e smettete di fare questa vita".

"Se mi curassi, morirei. Quello che mi sostiene, è questa vita febbrile. E poi, curarsi va bene per le donne della buona società, che hanno una famiglia e degli amici; ma noi quando non possiamo più servire alla vanità o al piacere dei nostri amanti, veniamo abbandonate, e lunghe serate di solitudine seguono a lunghi giorni. Io lo so bene, credetemi, sono stata a letto due mesi; dopo tre settimane, nessuno veniva più a trovarmi".

"E vero che io non sono niente per voi", ripresi, "ma se voi lo vorrete, avrò cura di voi come un fratello, non vi lascerò mai sola, e vi farò guarire. E allora, quando ne avrete la forza, riprenderete la vita di oggi, se vi piacerà; ma, ne sono certo, preferirete un'esistenza tranquilla che vi renderà più felice e vi conserverà bella".

"Voi la pensate così stasera, perché il vino vi ha reso triste, ma non avrete mai la pazienza di cui vi vantate".

"Permettetemi di ricordarvi, Marguerite, che siete stata ammalata per due mesi, e che in questi due mesi io sono venuto ogni giorno a chiedere vostre notizie".

"E' vero ma perché non siete mai salito?".

"Perché ancora non vi conoscevo".

"Si hanno forse dei riguardi per una donna come me?".

"Si hanno sempre riguardi per una donna; almeno io la penso così".

"E così, voi avrete cura di me?".

"Sì".

"E starete tutti i giorni con me?".

"Sì".

"E anche tutte le notti?".

"Fino a che non vi annoiassi".

"Come chiamate tutto ciò?".

"Devozione".

"E da dove viene questa devozione?".

"Dall'irresistibile simpatia che ho per voi".

"Così siete innamorato di me? Ditelo subito, sarà più semplice".

"Forse sì; ma non è certamente questo il giorno in cui ve lo dirò".

"Fareste meglio a non dirmelo mai".

"Perché".

"Perché quella confessione non potrà avere che due risultati".

"Quali?".

"O che io non accetti, e allora voi me ne vorrete, o che io accetti, e allora avrete un'amante molto triste; una donna nervosa, malata, malinconica, o allegra d'una allegria più triste del dolore, una donna che sputa sangue e spende centomila franchi all'anno: tutto questo va bene per un vecchio riccone come il duca, ma sarebbe ben noioso per un giovane come voi, e la prova è che tutti gli amanti giovani che ho avuto mi hanno lasciata ben presto".

Io non rispondevo: la ascoltavo. Quella sincerità che pareva quasi una confessione, quella vita dolorosa che intravedevo sotto il velo dorato che la ricopriva, e alla cui realtà la poverina tentava di sfuggire nei bagordi, nell'ebbrezza e nelle notti di veglia, tutto questo mi faceva un'impressione così forte che non riuscivo a pronunciare una parola.

"Suvvia!", continua Marguerite, "stiamo dicendo delle bambinate.

Datemi la mano e torniamo in sala da pranzo. Non devono capire il significato della nostra assenza".

"Andate, se volete, ma io vi chiedo il permesso di restare qui".

"Perché?".

"Perché la vostra allegria mi fa troppo male".

"Allora sarò triste".

"Ascoltate, Marguerite, lasciate che vi dica una cosa che certo vi è stata tante volte ripetuta, e a cui l'abitudine vi impedirà forse di credere, ma che non per questo è meno vera, e che io non vi ripeterò mai più".

"Ed è?...", chiese lei col sorriso delle giovani madri che ascoltano una fantasia del loro bambino.

"Ed è che da quando vi ho vista, non so come né perché, avete preso tanto posto nella mia vita; è che ho cercato di allontanare la vostra immagine dalla mia mente, ma essa è sempre ritornata; è che da oggi, quando vi ho incontrata, dopo due anni che non vi vedevo, avete acquistato sul mio cuore e sul mio spirito un ascendente ancora maggiore; è che, insomma, adesso che mi avete ricevuto, che vi conosco, che so tutto quello che c'è di strano in voi, mi siete diventata indispensabile, e che impazzirei, non solo se non mi amaste ma anche se non mi permetteste di amarvi".

"Ma, sciagurato che siete, io vi dico quello che diceva madame D...:

siete dunque molto ricco! Ma allora voi non sapete che io spendo sei o settemila franchi al mese, e che questa spesa è divenuta necessaria alla mia vita; voi non sapete dunque, mio povero amico, che vi rovinerei in breve tempo, e che la vostra famiglia vi farebbe interdire per insegnarvi a non vivere con una donna come me.

Vogliatemi pure bene, ma come un buon amico, non in altro modo. Venite a trovarmi, rideremo, parleremo, ma non esagerate nel valutarmi, perché valgo assai poco. Voi avete un buon cuore, avete bisogno di essere amato, siete troppo giovane e sensibile per vivere nel nostro mondo. Prendetevi una donna sposata. Vedete bene che sono una brava figliuola e vi parlo con franchezza".

"Oh! ma che diavolo fate?", grida Prudence, che non avevamo sentito venire, apparendo sulla soglia della stanza con la capigliatura mezzo disfatta e il vestito slacciato. Riconobbi in quel disordine la mano di Gaston.

"Parliamo di cose serie", disse Marguerite, "lasciateci un po' soli, vi raggiungeremo tra poco".

"Bene, bene, parlate pure, ragazzi miei", disse Prudence, andandosene e chiudendo la porta come per sottolineare il tono col quale aveva pronunciato le ultime parole.

"Così, siamo intesi", riprese Marguerite quando fummo soli, "voi non mi amerete più".

"A questo punto?".

Mi ero spinto troppo oltre per tornare indietro, e d'altra parte quella ragazza mi sconvolgeva. Quel miscuglio di allegria, di tristezza, di candore, di prostituzione, la malattia stessa, che doveva sviluppare in lei la sensibilità delle impressioni e l'irritabilità dei nervi, tutto ciò mi faceva capire che se non mi fossi imposto fin dal primo momento su quella natura dimentica e frivola, essa era perduta per me.

"Allora, è proprio vero quello che dite!", esclamò.

"Verissimo".

"Ma perché non me l'avete detto prima?".

"E quando avrei potuto dirvelo?".

"L'indomani del giorno in cui mi foste presentato all'Opéra-Comique".

"Credo che mi avreste ricevuto molto male, se fossi venuto a trovarvi".

"Perché?".

"Perché il giorno prima mi ero comportato da sciocco".

"Questo è vero. Tuttavia mi amavate già, allora".

"Sì".

"Il che non vi ha impedito di coricarvi e di dormire tranquillamente dopo lo spettacolo. Sappiamo bene che cosa sono questi grandi amori".

"Ebbene, è qui che vi sbagliate. Sapete che cosa ho fatto la sera dell'Opéra-Comique?".

"No".

"Vi ho aspettato all'ingresso del Café Anglais, ho seguito la carrozza che portava voi e i vostri tre amici, e quando vi ho vista scendere da sola e rientrare da sola a casa vostra, sono stato molto felice".

Marguerite scoppia a ridere.

"Di che ridete?".

"Di niente".

"Ditemelo, ve ne prego, o crederò che vi burliate ancora di me".

"Non vi inquieterete?.

"E con quale diritto?".

"Ebbene, avevo un'ottima ragione di rientrare da sola".

"Quale?".

"Mi aspettavano".

Se mi avesse dato una pugnalata non mi avrebbe fatto più male. Mi alzai e, tenendole la mano:

"Addio", le dissi.

"Lo sapevo che vi sareste inquietato", rispose. "Gli uomini hanno la smania di sapere ciò che deve far loro dispiacere".

"Ma vi assicuro", replicai freddamente, come se avessi voluto dimostrarle che ero guarito per sempre dalla mia passione, "vi assicuro che non sono affatto inquieto. Era del tutto naturale che qualcuno vi stesse aspettando, come è del tutto naturale che, alle tre del mattino, io me ne vada".

"Anche voi siete atteso da qualcuno, a casa vostra?".

"No, ma bisogna che me ne vada".

"Addio, allora".

"Voi mi scacciate".

"Neppure per idea".

"Perché volete darmi un dispiacere?".

"Quale dispiacere vi ho dato?".

"Mi avete detto che qualcuno vi aspettava".

"Non ho potuto fare a meno di ridere all'idea che eravate stato così felice nel vedermi rientrare sola, quando avevo una così buona ragione per farlo".

"Talvolta si è felici per un nonnulla, ed è crudele distruggere questa gioia quando, lasciandola vivere, si può rendere ancora più felice colui che la prova".

"Ma con chi credete di avere a che fare? Non sono una fanciullina, né una duchessa. Non vi conosco che da oggi e non devo rendere conto a voi delle mie azioni. Pur ammettendo che io diventi un giorno la vostra amante, bisogna che voi sappiate bene che ho avuto altri amanti prima di voi. Se voi cominciate adesso a farmi delle scene di gelosia, che cosa accadrà dopo, se questo dopo dovesse esistere? Non ho mai visto un uomo come voi".

"Perché nessuno vi ha mai amato come io vi amo".

"Insomma, francamente, voi mi amate tanto?".

"Quanto è possibile amare, credo".

"E questo da...?".

"Da un giorno in cui vi ho vista scendere di carrozza per entrare da Susse, tre anni fa".

"Sapete che è molto bello? Ebbene, che cosa devo fare per ricompensare questo grande amore?".

"Amarmi un poco", risposi con il cuore che mi batteva tanto da impedirmi quasi di parlare: perché nonostante i sorrisi quasi canzonatori con i quali aveva accompagnato tutta la conversazione, mi sembrava che Marguerite cominciasse a condividere il mio turbamento, e che io mi stessi avvicinando al momento atteso da tanto tempo.

"E il duca?".

"Quale duca?".

"Il mio vecchio geloso".

"Non ne saprà niente".

"E se venisse a saperlo?".

"Vi perdonerà".

"Eh, no! mi lascerà, e che ne sarà di me?".

"Tuttavia, per un altro, correte questo rischio".

"Come lo sapete?".

"Avete raccomandato di non lasciar entrare nessuno stanotte".

"E' vero; ma quello è un amico serio".

"Che non vi sta troppo a cuore, se lo fate tener lontano dalla vostra porta a quest'ora".

"Non spetta a voi rimproverarmelo, perché l'ho fatto per ricevere voi e il vostro amico".

A poco a poco mi ero avvicinato a Marguerite, le avevo passato le mani intorno alla vita, e sentivo il suo corpo elastico appoggiarsi leggermente alle mie mani unite.

"Se voi sapeste come vi amo!", le dissi sottovoce.

"Davvero?".

"Ve lo giuro".

"Ebbene, se mi promettete di fare tutto ciò che io vorrò senza dire una parola, senza farmi un'osservazione, senza farmi domande, forse vi amerò".

"Tutto ciò che vorrete".

"Ma vi avverto, voglio essere libera di fare ciò che mi piacerà, senza dovervi rendere minimamente conto della mia vita. Da molto tempo cerco un amante giovane, senza volontà, innamorato senza sospetti, amante senza diritti. Non sono mai riuscita a trovarne uno. Gli uomini, invece di essere soddisfatti quando si concede loro a lungo ciò che avrebbero a malapena sperato di avere una volta sola, chiedono conto alla loro amante del presente, del passato, e anche dell'avvenire. A mano a mano che si abituano a lei, vogliono dominarla, e diventano tanto più esigenti quanto più si concede loro tutto ciò che vogliono.

Se ora mi decido a prendermi un nuovo amante, voglio che abbia tre virtù molto rare, che sia cioè fiducioso, sottomesso, e discreto".

"Va bene, sarà tutto quello che vorrete".

"Vedremo".

"E quando vedremo?".

"Più tardi".

"Perché?".

"Perché", rispose Marguerite liberandosi dalle mie "braccia e prendendo, da un gran mazzo di camelie rosse che le avevano portato la mattina, una camelia che mi infila all'occhiello, "perché non si può sempre dare esecuzione ai trattati nel giorno stesso in cui sono stati firmati. E' facile da capire".

"E quando vi rivedrò?", chiesi stringendola fra le braccia.

"Quando questa camelia cambierà colore".

"E quando cambierà colore?".

"Domani, dalle undici a mezzanotte. Siete contento?".

"E me lo chiedete?".

"Non una parola di tutto ciò, né al vostro amico, né a Prudence, né a chiunque altro".

"Ve lo prometto".

"Adesso, baciatemi, e poi torniamo in sala da pranzo".

Mi offrì le labbra, si lisciò di nuovo i capelli, e uscimmo dalla stanza, lei cantando, io quasi folle.

Nel salone mi disse a bassa voce, fermandosi:

"Deve sembrarvi strano che mi mostri pronta ad accettarvi così, subito; sapete perché lo faccio? Lo faccio", continuò prendendomi la mano e appoggiandosela sul cuore, di cui sentii il battito violento e ripetuto, "lo faccio perché, dovendo vivere meno a lungo degli altri, mi sono ripromessa di vivere più in fretta".

"Non parlatemi più così, ve ne supplico".

"Oh, consolatevi!", continuò lei ridendo. "Per poco che abbia da vivere, vivrò più a lungo del vostro amore per me".

Ed entrò, cantando, nella sala da pranzo.

"Dov'è Nanine?", chiese vedendo che Gaston e Prudence erano soli.

"Dorme nella vostra camera, aspettando che vi corichiate" rispose Prudence.

"Poveretta! La farò morire! Suvvia, signori, ritiratevi, è ora".

Dopo dieci minuti, Gaston e io uscimmo. Marguerite mi strinse forte la mano nel salutarmi, e restò con Prudence.

"Ebbene", mi chiese Gaston quando fummo usciti, "che ne dite di Marguerite?".

"E' un angelo, e sono pazzo di lei".

"Lo immaginavo; glielo avete detto?".

"Sì".

"E lei vi ha promesso di crederci?".

"No".

"Non è come Prudence".

"Ve lo ha promesso?".

"Ha fatto di meglio, caro mio! Nessuno lo crederebbe, ma va ancora benissimo, la grossa Duvernoy!".

 

 

 

CAPITOLO 11

 

A questo punto del racconto, Armand tacque.

"Volete chiudere la finestra?", mi disse, "comincio ad avere freddo.

Intanto andrò a letto".

Chiusi la finestra. Armand, che era ancora debolissimo, si tolse la vestaglia e si coricò, riposando per qualche istante la testa sul cuscino come un uomo stanco per una lunga corsa o agitato da penosi ricordi.

"Forse avete parlato troppo", gli dissi, "volete che me ne vada e vi lasci dormire? mi racconterete un altro giorno il resto della vostra storia".

"Vi ha annoiato?".

"Tutt'altro".

"Allora continuerò; anche se mi lasciate solo, non riuscirei a dormire".

Quando tornai a casa - riprese, senza aver bisogno di raccogliersi, tanto tutti quei particolari erano ancora vivi nella sua memoria - non mi coricai, e mi misi a riflettere sull'avventura di quel giorno.

L'incontro, la presentazione, l'impegno che Marguerite aveva assunto nei miei confronti, tutto era successo così in fretta, così insperatamente, che in certi momenti credevo di aver sognato.

Tuttavia, non era la prima volta che una donna come Marguerite si prometteva a un uomo per l'indomani del giorno in cui era stata richiesta.

Avevo un bel riflettere su questo punto, la prima impressione prodotta su di me dalla mia futura amante era stata così forte che permaneva sempre. Continuavo a ostinarmi a non vedere in lei una donna come le altre, e, con la vanità tipica degli uomini, ero pronto a credere che lei condivideva nei miei riguardi l'invincibile attrazione che io sentivo per lei.

Tuttavia avevo sotto gli occhi degli esempi molto contraddittori, e avevo spesso sentito dire che l'amore di Marguerite si vendeva come una merce più o meno cara, secondo la stagione.

Ma d'altra parte, come conciliare questa reputazione con i ripetuti rifiuti fatti al giovane conte che avevamo trovato in casa sua?

Potrete rispondermi che egli non le piaceva e che, essendo mantenuta con tanto splendore dal duca, se avesse desiderato prendersi un altro amante, avrebbe preferito un uomo che le piacesse. E allora, perché non voleva neanche Gaston, piacevole, spiritoso, ricco, e pareva preferire me, che le ero apparso così ridicolo al primo incontro? E' vero che a volte incidenti di un minuto fanno più effetto della corte di un anno.

Tra quelli che erano seduti alla sua tavola, io ero stato il solo a preoccuparmi vedendola lasciare la sala. L'avevo seguita, mi ero commosso al punto da non riuscire a nasconderlo. Avevo pianto baciandole la mano. Quella circostanza, aggiunta alle mie virtù quotidiane durante i due mesi della sua malattia, aveva potuto farle vedere in me un uomo diverso da quelli fino ad allora conosciuti, e forse si era detta che avrebbe ben potuto fare, per un amore che si esprimeva in quel modo, quello che ormai aveva fatto tante volte, e che questo non avrebbe avuto per lei nessuna conseguenza.

Tutte queste ipotesi, come vedete, erano assai verosimili; ma qualunque fosse la ragione del suo consenso, una cosa era certa: aveva acconsentito.

Dunque, amavo Marguerite, stavo per averla, non potevo chiedere di più. Tuttavia, vi ripeto, per quanto fosse una mantenuta, consideravo quell'amore, forse per idealizzarlo, un amore senza speranza, tanto che, più si avvicinava il momento nel quale non avrei avuto più neppure bisogno di sperare, più ne dubitavo.

Non chiusi occhio per tutta la notte.

Non mi riconoscevo. Ero come impazzito. In certi momenti non mi trovavo né abbastanza bello, né abbastanza ricco, né abbastanza elegante per avere una donna come quella, in certi altri mi sentivo pieno di orgoglio all'idea di quel possesso: poi mi assaliva il dubbio che Marguerite avesse per me solo un capriccio passeggero e, come se presagissi la minaccia di una rottura imminente, mi dicevo che avrei fatto meglio a non andare da lei, quella sera, e partire comunicandole per scritto i miei timori.

Da questo passavo a una speranza senza limiti, a una fiducia senza confini. Sognavo un avvenire incredibile; mi dicevo che quella ragazza avrebbe dovuto a me la sua guarigione fisica e morale, che avrei passato con lei la mia vita, e che il suo amore mi avrebbe reso più felice degli amori più verginali.

Infine non posso ripetervi i mille pensieri che mi salivano dal cuore alla testa, e che si spensero a poco a poco nel sonno, che si impadronì di me soltanto all'alba.

Quando mi svegliai erano le due. La giornata era magnifica. Non ricordo che la vita mi sia mai parsa tanto bella e tanto piena. I ricordi del giorno prima si riaffacciavano alla mia mente senza ombre, senza ostacoli, allegramente scortati dalle speranze della sera. Mi vestii in fretta. Ero contento e capace delle azioni migliori. Di tanto in tanto il cuore mi balzava in petto, pieno di gioia e d'amore.

Una dolce febbre mi agitava. Non ero più inquieto per le ragioni che mi avevano preoccupato prima che mi addormentassi. Non vedevo che il risultato, non pensavo che al momento in cui avrei rivisto Marguerite.

Mi fu impossibile rimanere a casa. La mia stanza mi sembrava troppo stretta per contenere la mia felicità, avevo bisogno di espandermi nel pieno della natura. Uscii.

Passai per rue d'Antin. La carrozza di Marguerite attendeva al portone; mi diressi verso gli Champs-Elysées. Amavo, senza neppure conoscerle, tutte le persone che incontravo: l'amore rende buoni!

Dopo un ora che andavo dai cavalli di Marly al rond-point, dal rond- point ai cavalli di Marly, vidi da lontano la carrozza di Marguerite; non la riconobbi, la indovinai.

Al momento di girare l'angolo degli Champs-Elysées, fece fermare, e un giovanottone si staccò dal gruppo nel quale stava chiacchierando per andare a parlare con lei.

Parlarono per qualche istante; poi il giovane raggiunse i suoi amici, i cavalli ripartirono, e io, che mi ero avvicinato al gruppo, riconobbi in quello che aveva parlato con Marguerite quel conte de G... di cui avevo visto il ritratto, e che Prudence mi aveva indicato come la persona alla quale Marguerite doveva la sua posizione. Era a lui che lei aveva fatto proibire l'ingresso in casa sua, la sera prima; supposi che avesse fatto fermare la carrozza per spiegargli il motivo di quel divieto, e sperai che con l'occasione avesse trovato qualche nuovo pretesto per non riceverlo nemmeno la sera seguente. Non so come passai il resto della giornata; passeggiai, fumai, parlai, ma alle dieci della sera non ricordavo più che cosa avessi detto e chi avessi incontrato.

Tutto quello di cui mi ricordo è che rientrai in casa, impiegai tre ore a vestirmi, e che guardai cento volte l'orologio e la pendola, che purtroppo segnavano la stessa ora.

Quando suonarono le dieci e mezzo, mi dissi che era ora di andare.

A quel tempo abitavo in rue de Provence: percorsi rue de Mont-Blanc, attraversai il boulevard, presi per rue Louis-le-Grand, rue de Port- Nahon, e rue d'Antin. Guardai le finestre di Marguerite. Erano illuminate.

Suonai.

Chiesi al portiere se mademoiselle Gautier era in casa.

Mi rispose che non rientrava mai prima delle undici o undici e un quarto. Guardai l'orologio.

Avevo creduto di camminare lentamente, ma in soli cinque minuti ero arrivato da rue de Provence a casa di Marguerite.

Mi misi allora a passeggiare per quella strada, priva di negozi, e a quell'ora ormai deserta.

Mezz'ora dopo, arrivò Marguerite. Scese di carrozza guardandosi intorno come se cercasse qualcuno.

La carrozza ripartì al passo: le scuderie e la rimessa non erano nella stessa casa. Nel momento in cui Marguerite stava per suonare, mi avvicinai e le dissi:

"Buonasera".

"Ah, siete voi?", disse lei, con un tono che lasciava dubbi sul piacere che provava nel vedermi.

"Non mi avete permesso di farvi visita stasera?".

"E' vero; l'avevo dimenticato".

Quella parola distruggeva tutte le mie riflessioni della mattina, tutte le mie speranze della giornata. Tuttavia, cominciavo ad abituarmi a quei modi, e non me ne andai, come avrei certo fatto in altri tempi.

Entrammo.

Nanine aveva già aperto la porta.

"Prudence è rientrata?", chiese Marguerite.

"No, signora".

"Va' a dire che venga qui appena torna. Ma prima, spegni la lampada nel salone e, se viene qualcuno, rispondi che non sono rientrata e che non rientrerò".

Era certo una donna preoccupata da qualche cosa, e forse seccata da un importuno. Non sapevo che atteggiamento assumere, né che cosa dire.

Marguerite andò verso la camera da letto; io restai dove mi trovavo.

"Venite", mi disse.

Si tolse il cappello, il mantello di velluto, e li gettò sul letto; poi si lasciò cadere in una grande poltrona, accanto al fuoco che essa faceva accendere fino all'inizio dell'estate, e mi disse, giocando con la catena dell'orologio:

"Ebbene, che cosa mi raccontate di nuovo?".

"Nulla, salvo che ho fatto male a venire stasera".

"Perché?".

"Perché sembrate di cattivo umore e certo vi annoio".

"Non mi annoiate affatto; solo non mi sento bene, ho sofferto tutto il giorno, non ho dormito e ho un terribile mal di testa".

"Volete che mi ritiri per permettervi di coricarvi?".

"Oh! potete restare, se ho voglia di coricarmi, posso farlo anche davanti a voi".

In quel momento suonarono alla porta.

"Chi viene ancora?", disse con un moto d'impazienza.

Dopo qualche istante suonarono di nuovo.

"Non c'è dunque nessuno che apra? Bisognerà che vada io".

Infatti si alzò e mi disse:

"Aspettate qui".

Attraversò l'appartamento, e la sentii aprire la porta d'ingresso.

Ascoltai.

La persona alla quale aveva aperto la porta si fermò nella sala da pranzo. Dalle prime parole riconobbi la voce del giovane conte de N...

"Come vi sentite stasera?", le chiese.

"Male", risposte seccamente Marguerite.

"Vi disturbo?".

"Può darsi".

"Come mi ricevete! Che cosa vi ho fatto, mia cara Marguerite?".

"Amico mio, non mi avete fatto niente. Mi sento male e bisogna che vada a letto, e perciò mi farete il piacere di andarvene. Mi opprime non poter rientrare la sera senza vedervi comparire dopo cinque minuti. Che cosa volete? Che io divenga la vostra amante? Ebbene, vi ho già detto cento volte di no, che mi irritate terribilmente, e che potete rivolgervi altrove. Ve lo ripeto oggi per l'ultima volta: non voglio saperne di voi. Siamo intesi: addio. Ecco, c'è Nanine; vi farà luce. Buonanotte".

E senza aggiungere una parola, senza ascoltare quello che il giovane andava balbettando, Marguerite tornò in camera e chiuse con violenza la porta, dalla quale, a sua volta, Nanine entrò quasi subito.

"Ascoltami bene", le disse Marguerite, "dirai sempre a quell'imbecille che non sono in casa o che non voglio riceverlo. Sono stanca, insomma, di veder sempre gente che viene a chiedermi la stessa cosa, che mi offre denaro e con questo crede di essere a posto. Se quelle che intraprendono il nostro vergognoso mestiere sapessero di che cosa si tratta, preferirebbero diventare cameriere. Ma no; l'ambizione di avere vestiti, carrozze, gioielli, ci travolge; si crede a quello che si sente dire, perché la prostituzione ha una sua fede, e a poco a poco ci si logora il cuore, il corpo, la bellezza; si è irritate come bestie feroci, disprezzate come paria, circondate solo da gente che prende sempre più di quanto non dia, e un bel giorno si crepa come cani, dopo aver rovinato gli altri e se stesse".

"Suvvia, signora, calmatevi", disse Nanine, "siete nervosa, stasera".

"Questo vestito mi dà fastidio", continuò Marguerite facendo saltare i ganci del corpetto, "dammi una vestaglia. E allora, Prudence?".

"Non era ancora tornata, ma la manderanno da voi appena rientrerà".

"Eccone un'altra", seguitò Marguerite togliendosi il vestito e infilando una vestaglia bianca, "eccone un'altra che è capace di venirmi a trovare quando ha bisogno di me, ma che non sa farmi un piacere di buon grado. Sa che stasera aspetto quella risposta, che mi è necessaria, che sono preoccupata; e sono certa che è andata in giro senza ricordarsi di me".

"Forse è stata trattenuta".

"Facci portare il ponce".

"Vi farà male", disse Nanine.

"Tanto meglio. Portami anche della frutta, del pâté o un'ala di pollo, qualche cosa subito, ho fame".

Dirvi l'impressione che mi faceva quella scena è inutile; lo indovinate, non è vero?

"Voi cenerete con me", mi disse; "mentre aspettate, prendete un libro, io vado un momento nello spogliatoio".

Accese le candele del doppiere, aprì una porta che era davanti al letto e scomparve.

Mi misi a pensare alla vita di quella ragazza, e il mio amore si riempì di pietà.

Passeggiavo a grandi passi nella stanza, sempre meditando, quando entrò Prudence.

"Toh, siete qui?", mi disse, "dov'è Marguerite?".

"Nello spogliatoio".

"L'aspetterò. Dite un po', lo sapevate che vi trova simpatico?".

"No".

"Non ve lo ha accennato?".

"Per niente".

"Come mai siete qui?".

"Sono venuto a farle visita".

"A mezzanotte?".

"E perché no?".

"Burlone!".

"Mi ha ricevuto molto male, del resto".

"Vi riceverà meglio".

"Credete?".

"Le porto una buona notizia".

"Non mi interessa; e così vi ha parlato di me?".

"Ieri sera, anzi stanotte, quando ve ne siete andato col vostro amico.

A proposito, come sta il vostro amico? Gaston R..., si chiama così, non è vero?".

"Sì" risposi, senza poter fare a meno di sorridere al ricordo della confidenza che Gaston mi aveva fatto, e vedendo che Prudence ne conosceva appena il nome.

"E' gentile, quel ragazzo, che cosa fa?".

"Ha venticinquemila franchi di rendita".

"Ah, davvero? Dunque, per tornare a voi, Marguerite mi ha interrogato sul vostro conto, mi ha chiesto chi siete, che cosa fate, quali erano state le vostre amanti; insomma tutto quello che si può chiedere su un giovanotto della vostra età. Le ho detto tutto quello che so, aggiungendo che siete un simpatico ragazzo. Ecco tutto".

"Vi ringrazio; e adesso, ditemi quale è l'incarico che vi ha affidato ieri".

"Nessuno; quello che lei diceva era per fare andar via il conte; ma me ne ha dato uno per oggi, e stasera le porto appunto la risposta".

In quel momento Marguerite uscì dallo spogliatoio, acconciata con civetteria con una cuffietta da notte guarnita di bande di nastro giallo chiamate tecnicamente "choux".

Era incantevole.

Aveva i piedi nudi infilati in pantofole di raso, e finiva di curarsi le unghie.

"E allora", disse vedendo Prudence, "avete incontrato il duca?".

"Perbacco!".

"Che cosa vi ha detto?".

"Me li ha dati".

"Quanti?".

"Seimila".

"Li avete qui?".

"Sì".

"Sembrava seccato?".

"No".

"Pover'uomo!".

Quel "pover'uomo!" era stato pronunciato con un tono che non si può ripetere. Marguerite prese i sei biglietti da mille franchi.

"Ed ora", disse, "mia cara Prudence, avete bisogno di denaro?".

"Sapete, bambina mia, che fra due giorni è il quindici; se poteste prestarmi tre o quattrocento franchi, mi fareste un favore".

"Mandateli a prendere domattina, è troppo tardi per far cambiare".

"Non lo dimenticate".

"State tranquilla. Cenate con noi?".

"No, Charles mi aspetta a casa mia".

"Ne siete sempre innamorata?".

"Cotta, mia cara! A domani. Arrivederci, Armand".

Madame Duvernoy uscì.

Marguerite aprì un cassetto e vi gettò dentro i biglietti di banca.

"Permettete che mi corichi?", disse sorridendo, dirigendosi verso il letto.

"Non solo ve lo permetto, ma ve ne prego".

Gettò in fondo al letto la sopraccoperta e si coricò.

"Adesso", disse, "venite a sedervi accanto a me e parliamo".

Prudence aveva ragione: la risposta che aveva portato aveva rallegrato Marguerite.

"Mi perdonate per il mio cattivo umore di questa sera?", mi chiese prendendomi la mano.

"Sono pronto a perdonarvi ancora molte volte".

"E mi amate?".

"Da impazzire".

"Nonostante il mio cattivo carattere?".

"Nonostante tutto".

"Me lo giurate?".

"Sì", le dissi a bassa voce.

In quel momento entrò Nanine portando dei piatti, del pollo freddo, una bottiglia di Bordeaux, delle fragole e due coperti.

"Non vi ho fatto fare il ponce", disse Nanine, "il Bordeaux vi farà meglio. Non è vero, signore?".

"Certo", risposi, ancora commosso dalle ultime parole di Marguerite, con gli occhi ardentemente fissi su di lei.

"Bene", disse, "metti tutto sul tavolino, e avvicinalo al letto; ci serviremo da soli. Hai fatto già tre nottate, devi aver sonno, va' a letto; non ho più bisogno di niente".

"Devo chiudere la porta a doppia mandata?".

"Lo credo bene! e soprattutto avverti di non far entrare nessuno prima di domani a mezzogiorno".

 

 

 

CAPITOLO 12

 

Alle cinque del mattino, quando l'alba cominciava ad apparire dietro le tende, Marguerite mi disse:

"Perdonami se ti mando via, ma è necessario. Il duca viene ogni mattina; quando verrà diranno che dormo, e forse aspetterà che mi svegli".

Presi tra le mani la testa di Marguerite, le cui spalle erano inondate dai capelli sciolti, le detti un ultimo bacio, e le dissi:

"Quando ti rivedrò?".

"Ascolta", rispose, "prendi la chiavetta dorata che è sul caminetto, e apri quella porta; riporta qui la chiave e va' via. Durante la giornata, riceverai una lettera con i miei ordini: sai bene che devi obbedirmi ciecamente".

"Sì, e se già ti chiedessi qualcosa?".

"Che cosa?".

"Di lasciarmi la chiave".

"Non ho mai fatto per nessuno quello mi chiedi".

"Ebbene, fallo per me, perché te lo giuro, io non ti amo come ti hanno amata tutti gli altri".

"Allora tienila; ma ti avverto che posso fare in modo che questa chiave non ti serva a niente".

"Perché?".

"C'è un catenaccio all'interno".

"Cattiva!".

"Lo farò togliere".

"Allora mi ami un poco?".

"Non so come sia accaduto, ma credo di sì. E adesso vattene, cado dal sonno".

Restammo ancora qualche istante l'uno nelle braccia dell'altra; poi me ne andai.

Le strade erano deserte, la grande città dormiva ancora, una dolce frescura inondava i quartieri che sarebbero stati più tardi invasi del rumore degli uomini.

Mi sembrava che quella città addormentata mi appartenesse; cercai allora nella mia memoria i nomi di coloro ai quali avevo invidiato fino a quel momento la felicità, e di chiunque mi ricordassi, scoprivo di essere più felice di lui.

Essere amato da una fanciulla casta, rivelarle per primo lo strano mistero dell'amore, è certo una grande felicità, ma è la cosa più semplice del mondo. Impadronirsi di un cuore non abituato agli assedi, è come entrare in una città aperta e senza difese. L'educazione, il sentimento del dovere della famiglia sono sentinelle assai vigili, ma non abbastanza da impedire che una fanciulla di sedici anni le inganni quando, attraverso la voce dell'uomo amato, la natura le elargisce i primi consigli d'amore, tanto più ardenti quanto più sembrano puri.

Più la fanciulla crede al bene, più facilmente si abbandona se non alle braccia dell'amante, a quelle dell'amore, perché essendo senza difesa, è senza forza, e farsi amare da lei è una vittoria che ogni uomo di venticinque anni può ottenere quando vuole. E questo è tanto vero che le fanciulle sono sorvegliate e circondate di difese. I conventi non hanno muri tanto alti, le madri serrature tanto resistenti, la religione doveri tanto assoluti da rinchiudere tutti quegli uccellini nella loro gabbia, sulla quale non ci si dà neppure la pena di gettare fiori. Come devono desiderare quel mondo che viene loro nascosto, come devono credere che sia affascinante, così devono ascoltare la prima voce che, attraverso le sbarre, viene a rivelarne loro i segreti, così devono benedire la mano che per prima, viene a sollevare un lembo del misterioso velo.

Ma essere veramente amati da una cortigiana, è una vittoria ben diversamente difficile. In loro il corpo ha logorato l'anima, i sensi hanno bruciato il cuore, il vizio ha corazzato i sentimenti. Le parole che si rivolgono loro, esse le conoscono da un pezzo, conoscono i mezzi che si adoperano, e l'amore stesso che ispirano, esse l'hanno venduto. Amano per mestiere, non per slancio. Sono protette dai loro calcoli meglio di quanto una vergine non sia protetta da sua madre e dalle mura del convento; e così hanno inventato la parola "capriccio" per definire quegli amori non venali che si concedono di tanto in tanto come riposo, come scusa, o come consolazione: simili in questo a quegli usurai che strozzano mille persone e che credono di riscattarsi prestando una volta mille franchi a qualche povero diavolo che muore di fame, senza pretendere interessi e senza chiedere la ricevuta.

Inoltre, quando Iddio concede l'amore a una cortigiana, quest'amore, che sembra a prima vista un perdono, diventa ben presto per lei una punizione. Non c'è assoluzione senza penitenza. Quando una creatura, che ha tutto un passato da rimproverarsi, si sente improvvisamente vinta da un amore profondo, sincero, irresistibile, del quale non si sarebbe mai creduta capace, e confessa quest'amore, l'uomo amato la domina! E come si sente forte del crudele diritto di dirle: "Tu non fai per amore più di quello che hai fatto per denaro!".

Allora esse non sanno che prove dare. Racconta una novella che un bambino, dopo essersi lungamente divertito, in un campo, a gridare:

"Aiuto!", per disturbare la gente che vi lavorava, fu un bel giorno divorato da un orso, senza che quelli che egli aveva così spesso ingannati credessero quella volta alle sue vere grida di spavento. Lo stesso accade a quelle disgraziate figliole, quando si innamorano seriamente. Hanno mentito tante volte che non si vuole più credere loro, e sono in mezzo ai loro rimorsi, divorate dal loro amore.

Da qui nascono le grandi devozioni, gli austeri ritiri di cui qualcuna di loro ha dato l'esempio.

Ma quando l'uomo che ispira quell'amore purificatore ha un animo tanto generoso da accettarlo senza ricordare il passato, quando vi si abbandona, quando, insomma, ama come è amato, quell'uomo arriva al fondo di tutte le sensazioni terrene, e dopo di quello, il suo cuore resterà chiuso per sempre a ogni altro amore.

Queste riflessioni io non le facevo quella mattina, tornando a casa; non avrebbero potuto essere che il presentimento di quanto mi sarebbe accaduto, e nonostante il mio amore per Marguerite, non intravedevo conseguenze del genere; le faccio oggi. Poiché tutto è irrimediabilmente finito, esse sono il risultato naturale di quel che avvenne. Ma torniamo al primo giorno di quella relazione. Quando rientrai in casa, la mia allegria era folle. Pensando che gli ostacoli posti dalla mia immaginazione tra Marguerite e me erano scomparsi, che la possedevo, che occupavo un poco i suoi pensieri, che avevo in tasca la chiave del suo appartamento e il diritto di servirmene, ero soddisfatto della vita, orgoglioso di me stesso, e amavo Iddio che faceva accadere tutto questo.

Un giovane passa un giorno per una strada, sfiora una donna, la guarda, si volta, prosegue. Egli non conosce quella donna, non ha nessuna parte ai piaceri di lei, ai suoi dolori, ai suoi amori; non esiste per lei e forse, se le rivolgesse la parola, essa si burlerebbe di lui, come Marguerite si era burlata di me. Passano le settimane, i mesi, gli anni, e d'improvviso, dopo che entrambi hanno seguito il loro destino in direzioni diverse, la logica del caso li mette di nuovo l'uno di fronte all'altra. Quella donna diventa l'amante di quell'uomo, e si innamora di lui. Come?, perché? le due vite diventano una sola, e appena questa intimità è nata, sembra loro che essa sia sempre esistita: e tutto quello che fino a quel momento è accaduto si cancella dal ricordo dei due amanti. Questo è strano, ammettiamolo.

Quanto a me, non mi ricordavo più come avevo vissuto fino ad allora.

Tutto il mio essere si esaltava nella gioia, al ricordo delle parole che ci eravamo detti in quella prima notte. O Marguerite era abile nell'inganno, o aveva per me una di quelle passioni improvvise che si rivelano fin dal primo bacio, e che, del resto, muoiono talvolta così come sono nate.

Più riflettevo, più mi dicevo che Marguerite non aveva alcuna ragione di simulare un amore non sentito, e mi dicevo anche che le donne hanno due modi di amare, che possono risolversi l'uno nell'altro: esse amano col cuore o coi sensi. Spesso una donna si prende un amante solo per obbedire alla volontà dei sensi e, senza averlo previsto, impara il mistero dell'amore immateriale, e non vive più che col cuore; spesso una fanciulla, non cercando nel matrimonio che una unione di due puri affetti, riceve la rivelazione improvvisa dell'amore carnale, energica conclusione dei più casti moti dell'animo. Tra questi pensieri, mi addormentai. Fui svegliato da un biglietto di Marguerite, che conteneva queste parole:

"Ecco i miei ordini: stasera al Vaudeville. Venite durante il terzo intervallo".

Chiusi la lettera in un cassetto, per avere sempre la realtà a portata di mano, nel caso ne dubitassi, come a momenti mi accadeva.

Non diceva di andarla a trovare durante la giornata, e non osavo perciò presentarmi a casa sua; ma avevo un desiderio così forte di vederla prima di sera, che andai agli Champs-Elysées dove, come il giorno prima, la vidi passare e ripassare.

Alle sette, ero già al Vaudeville.

Non ero mai entrato così presto in un teatro.

Tutti i palchi si riempirono, l'uno dopo l'altro. Uno solo era ancora vuoto: quello di proscenio, nel primo ordine.

All'inizio del terzo atto, sentii che si apriva la porta di quel palco, dal quale non distoglievo mai gli occhi, e Marguerite apparve.

Si accomodò subito sul davanti, cercò in platea, mi vide, e mi ringraziò con lo sguardo.

Quella sera era meravigliosamente bella.

Ero io la ragione della sua civetteria? Mi amava tanto da credere che più l'avessi trovata bella più sarei stato felice? Non lo sapevo ancora; ma se questa era la sua intenzione, c'era riuscita, perché quando si mostrò, le teste si avvicinarono le une alle altre, e l'attore che in quel momento era sul palcoscenico guardò anche lui colei che al suo solo apparire turbava così gli spettatori.

E io avevo la chiave dell'appartamento di quella donna, e di lì a tre o quattro ore l'avrei posseduta di nuovo.

Si biasimano coloro che si riducono in rovina per le attrici e per le mantenute; ma quello che mi stupisce è che questi non facciano per quelle donne follie venti volte più grandi. Bisogna, come me, aver vissuto quella vita, per sapere come le piccole gioie di tutti i giorni che esse donano ai loro amanti rinsaldino fortemente nel cuore - non saprei quale altra parola usare - l'amore che si ha per loro.

Poco dopo, Prudence prese posto nel palco, e un uomo che riconobbi per il conte de G... si sedette sul fondo. Nel vederlo mi sentii gelare il cuore.

Marguerite si era certo accorta dell'impressione prodotta su di me dalla presenza di quell'uomo nel suo palco, perché mi sorrise di nuovo e, voltando le spalle al conte, parve interessarsi vivamente allo spettacolo. Al terzo intervallo, essa si girò, disse qualche parola, il conte lasciò il palco, e Marguerite mi fece segno di raggiungerla.

"Buonasera", mi disse quando entrai, tendendomi la mano.

"Buonasera", risposi rivolgendomi a Marguerite e a Prudence.

"Sedetevi".

"Ma prendo il posto di qualcuno. Il conte de G... non tornerà?".

"Sì; l'ho mandato a cercarmi dei dolci, perché potessimo parlare da soli per un poco. Madame Duvernoy è in confidenza".

"Sì ragazzi", disse questa, "state tranquilli, non dirò niente".

"Che cosa avete stasera?", mi chiese Marguerite alzandosi e baciandomi sulla fronte nella penombra del palco.

"Sono un po' indisposto".

"Bisogna che andiate a letto", riprese con la sua aria ironica, che si addiceva tanto al volto fine e spiritoso.

"Dove?".

"A casa vostra".

"Sapete bene che non potrei dormire".

"Allora non bisogna venire qui a fare il muso perché avete visto un uomo nel mio palco".

"Non è per questo".

"Invece sì, me ne intendo, e voi avete torto; quindi non ne parliamo più. Dopo lo spettacolo andate a casa di Prudence, e restateci fino a quando vi chiamerò. Capito?".

"Sì".

Potevo forse disobbedire?

"Mi amate sempre?", riprese lei.

"E me lo domandate?".

"Avete pensato a me?".

"Tutto il giorno".

"Sapete che ho veramente paura di innamorarmi di voi? Chiedetelo a Prudence".

"Ah!", rispose la donnona, "questo sarebbe seccante".

"Adesso, tornate al vostro posto; il conte sta per tornare, ed è inutile che vi trovi qui".

"Perché?".

"Perché non vi fa piacere vederlo".

"No; solo che se mi aveste detto che desideravate venire al Vaudeville, stasera, avrei potuto io stesso procurarvi il palco proprio come ve lo ha procurato lui".

"Disgraziatamente, mi ha portato il biglietto senza che io glielo avessi chiesto, offrendosi di accompagnarmi. Lo sapete bene, non avrei potuto rifiutare. Tutto ciò che potevo fare era di scrivervi dove sarei andata perché mi poteste vedere, e perché anch'io avessi il piacere di rivedervi più presto; ma se è così che mi ringraziate, terrò conto della lezione".

"Ho torto, perdonatemi".

"Finalmente! Adesso tornate al vostro posto, per favore, e soprattutto non fate più il geloso".

Mi baciò di nuovo, e io uscii.

Nel corridoio incontrai il conte.

Tornai alla mia poltrona.

Dopo tutto, la presenza di monsieur de G... nel palco di Marguerite si spiegava assai facilmente. Era stato il suo amante, le offriva un palco, la accompagnava allo spettacolo, era tutto molto naturale, e dal momento che avevo per amante una donna come Marguerite bisognava pure che mi adattassi alle sue abitudini.

Non per questo, però, fui meno infelice per il resto della serata, ed ero molto triste quando me ne andai, dopo aver visto Prudence, il conte e Marguerite entrare nella carrozza che li aspettava all'ingresso.

Eppure dopo un quarto d'ora ero a casa di Prudence, che era appena tornata.

 

 

 

CAPITOLO 13

 

Siete arrivato quasi assieme a noi", disse Prudence.

"Sì", risposi meccanicamente. "Dov'è Marguerite?".

"A casa sua".

"Sola?".

"Con monsieur de G...".

Mi misi a camminare a grandi passi per il salone.

"Ebbene, cosa avete?".

"Credete che mi diverta aspettare qui che monsieur de G... esca dalla casa di Marguerite?".

"Non siete molto ragionevole. Cercate di capire che Marguerite non può mettere il conte alla porta. Monsieur de G... è stato a lungo il suo amante, le ha sempre dato molto denaro, e gliene dà ancora. Marguerite spende più di centomila franchi all'anno, e ha molti debiti. Il duca le manda tutto ciò che gli chiede, ma lei non osa chiedere sempre a lui tutto quello di cui ha bisogno. Non può guastarsi con il conte, che le rende almeno una decina di migliaia di franchi all'anno.

Marguerite vi vuole molto bene, caro amico, ma la vostra relazione, nel suo e nel vostro interesse, non deve essere una cosa seria. Non è certo con i vostri sette od ottomila franchi di rendita che potreste sostenere il lusso di quella ragazza; non sarebbe sufficiente neppure a mantenere la sua carrozza. Prendete Marguerite per quello che è, una buona figliuola spiritosa e bella; siate il suo amante per un mese o due: offritele dei fiori, dei dolci, dei palchi al teatro; ma non vi mettete in testa niente di più, e non fatele ridicole scene di gelosia. Sapete bene con chi avete a che fare; Marguerite non è un modello di virtù. Voi le piacete, voi l'amate molto, non pensate al resto. Siete proprio simpatico quando fate il suscettibile! Avete la più graziosa amante di Parigi; vi riceve in uno splendido appartamento, è coperta di gioielli, non vi costerà un soldo, se vorrete, e non siete contento. Che diamine! chiedete troppo".

"Avete ragione, ma è più forte di me, l'idea che quell'uomo sia il suo amante mi fa un male terribile".

"Prima di tutto", replicò Prudence, "è ancora il suo amante? E' un uomo di cui essa ha bisogno, ecco tutto. Da due giorni gli chiude la porta di casa; è venuto stamattina, lei non ha potuto fare a meno di accettare il suo palco e di permettergli di accompagnarla. Egli l'ha ricondotta a casa, è stato un istante da lei, non ci rimarrà, perché voi state aspettando qui. Tutto questo è naturale, mi sembra. D'altra parte, non avete accettato il duca?".

"Sì, ma quello è un vecchio, e sono certo che Marguerite non è la sua amante. E poi, si può spesso accettare una relazione, ma non due.

Quella facilità somiglia troppo a un calcolo e avvicina l'uomo che, sia pure per amore, vi si adagia a quelli che, a un livello più basso, fanno mercato di quel consenso e traggono lucro da quel mercato".

"Oh, caro mio, come siete arretrato! quanti ne ho visti, tra i più nobili, tra i più eleganti, tra i più ricchi fare quello che vi consiglio, e senza sforzo, senza vergogna, senza rimorsi! Ma questo è cosa di tutti i giorni. Cosa potrebbero fare le mantenute di Parigi per sostenere il loro tenore di vita, se non avessero tre o quattro amanti alla volta? Non esiste patrimonio, per quanto considerevole, che possa da solo bastare alle spese di una donna come Marguerite. Un capitale di cinquecentomila franchi di rendita è un capitale immenso in Francia; ebbene, caro amico, cinquecentomila franchi non basterebbero, ed ecco perché: un uomo che ha una simile rendita ha una casa arredata, cavalli, domestici, carrozze, riserve di caccia, amici; spesso ha moglie, figli, alleva cavalli da corsa, gioca, viaggia, o che so io! Tutte queste abitudini sono così importanti, che egli non può disfarsene senza sembrare rovinato e senza destare scandalo. Fatti i conti, con cinquecentomila franchi all'anno egli non può dare a una donna più di quaranta o cinquantamila franchi all'anno, ed è già molto. E così, altri amanti concorrono alle spese annuali della donna.

Con Marguerite, è ancora più comodo; le è capitato, per un miracolo del cielo, un vecchio con un patrimonio di dieci milioni, che ha perso la moglie e la figlia, che non ha che dei nipoti, ricchi anch'essi, che le dà tutto ciò che lei desidera senza chiederle niente in cambio; ma lei non può chiedergli più di settantamila franchi all'anno, e sono sicura che se gliene chiedesse di più, egli rifiuterebbe, nonostante le sue ricchezze e l'affetto che ha per lei. Tutti quei giovanotti che hanno venti e trentamila franchi di rendita a Parigi, cioè appena di che vivere nell'ambiente che frequentano, sanno benissimo, quando sono gli amanti di una donna come Marguerite, che questa, con ciò che essi le danno, non potrebbe pagare neppure l'appartamento e la servitù.

Essi non dicono niente di ciò che sanno, fingono di non vedere niente, e quando ne hanno abbastanza se ne vanno per i fatti loro. Se hanno la presunzione di bastare a tutto, si rovinano come degli sciocchi, e vanno a farsi ammazzare in Africa lasciando a Parigi cinquantamila franchi di debiti. Credete che la loro donna ne sia riconoscente? Ma niente affatto. Al contrario, dice che ha sacrificato loro la sua posizione, e che mentre stava con loro perdeva del denaro. Ah, voi trovate che questi particolari sono vergognosi, vero? ma sono veri.

Voi siete un ragazzo simpatico, mi siete molto caro; io frequento mantenute da vent'anni, so chi esse siano e che cosa valgano, e non vorrei vedervi prendere sul serio un capriccio che una bella donna ha per voi. Inoltre", continuò Prudence, "ammettiamo pure che Marguerite vi ami tanto da rinunciare al conte e al duca, nel caso che questi si accorgesse della vostra relazione e le imponesse di scegliere tra voi e lui; è incontestabile che il suo sacrificio sarebbe enorme. Quale sacrificio di uguale valore potreste fare voi per lei? Quando verrà la stanchezza, quando insomma non vorrete più saperne, che cosa farete per indennizzarla di quanto le avete fatto perdere? Nulla. La avrete isolata dal mondo nel quale si trovavano la sua fortuna e il suo avvenire, vi avrà fatto dono dei suoi anni più belli, e verrà dimenticata. O sareste un uomo volgare, le rinfaccereste il passato, le direste che lasciandola non fate che agire come gli altri suoi amanti, e l'abbandonereste a una miseria sicura; o sareste un uomo onesto, e credendovi obbligato a tenerla con voi vi votereste da solo a un'infelicità inevitabile, perché questo tipo di relazione, scusabile in un giovane, non lo è più in un uomo maturo. Divenuta un ostacolo a ogni cosa, non permette né una famiglia, né un'ambizione, il secondo e ultimo amore dell'uomo. Credetemi dunque, amico mio, prendete le cose per quello che valgono, le donne per quello che sono, e non date a una mantenuta il diritto di dirsi, in qualunque cosa, vostra creditrice".

Questo discorso era saggio, e di una logica di cui non avrei mai creduto capace Prudence. Non seppi che cosa rispondere, se non che aveva ragione; le tesi la mano e la ringraziai dei suoi consigli.

"Andiamo, andiamo", mi disse, "scacciate queste cattive teorie, e ridete; la vita è affascinante, mio caro, tutto dipende dalla lente attraverso la quale la si guarda. Ecco, consultate il vostro amico Gaston: eccone uno che mi sembra capire l'amore come lo capisco io.

Ciò di cui dovete convincervi, altrimenti diventerete un ragazzo noioso, è che qui vicino c'è una bella ragazza che attende con impazienza che l'uomo che è con lei se ne vada, e che pensa a voi, conserva per voi la sua notte, e vi ama, ne sono certa. Adesso venite con me alla finestra, e guardiamo andar via il conte, che non tarderà a cederci il posto".

Prudence aprì una finestra, e ci appoggiammo al davanzale l'uno accanto all'altra.

Lei guardava i rari passanti, io sognavo.

Tutto quello che mi aveva detto mi ronzava nella testa, e non potevo fare a meno di convenire che aveva ragione, ma l'amore vero che sentivo per Marguerite stentava ad adattarsi a quelle ragioni. Così, emettevo di tanto in tanto dei sospiri, che facevano voltare Prudence e le facevano alzare le spalle come un medico che non nutre più speranze su un malato.

"Come, attraverso la rapidità delle sensazioni", andavo dicendo tra me e me, "ci si accorge che la vita è breve! Conosco Marguerite solo da due giorni, è la mia amante solo da ieri, e ha già occupato in un modo simile i miei pensieri, il mio cuore e la mia vita, che la visita di questo conte de G... mi rende infelice".

Finalmente il conte uscì, risalì in carrozza e si allontanò. Prudence chiuse la finestra.

Nello stesso momento, Marguerite ci chiamava.

"Venite, presto, apparecchiamo", disse, "ceneremo".

Quando entrai da lei, Marguerite mi corre incontro, mi getta le braccia al collo e mi bacia con tutta la sua forza.

"Abbiamo ancora il broncio?", mi chiese.

"No, è passato", rispose Prudence, "gli ho fatto la predica e ha promesso di aver giudizio".

"Meno male!".

Mio malgrado, gettai un'occhiata al letto: era intatto. Marguerite indossava già la sua vestaglia bianca.

Ci mettemmo a tavola.

Fascino, dolcezza, espansività, Marguerite aveva tutto, e ogni tanto mi sentivo veramente obbligato a riconoscere che non avevo il diritto di chiederle altro: molti sarebbero stati felici al mio posto, e, come il pastore di Virgilio, non avevo che da godere dei piaceri che un dio, anzi una dea, mi elargiva.

Cercai di mettere in pratica le teorie di Prudence, e di essere allegro come le mie amiche; ma ciò che in loro era naturale a me costava fatica, e il mio riso nervoso, che le ingannava, era molto simile alle lacrime.

Finalmente finimmo di cenare, e restai solo con Marguerite. Come d'abitudine, andò a sedersi su un tappeto davanti al fuoco, guardando con aria malinconica la fiamma del caminetto.

Pensava! a che? non lo so; io la guardavo con amore e quasi con terrore, pensando a quel che ero pronto a soffrire per lei.

"Sai a che cosa stavo pensando?".

"No".

"A una combinazione che ho trovato".

"E quale?".

"Non posso dirtelo ancora, ma posso dirti quello che potrebbe risultarne: e cioè che tra un mese sarò libera, non avrò più debiti, e ce ne andremo insieme in campagna a trascorrere l'estate".

"E non puoi dirmi in che modo?".

"No; bisogna solo che tu mi ami come ti amo io, e tutto andrà bene".

"E hai trovato da sola questa combinazione?".

"Sì".

"E la metterai in pratica da sola?".

"Ne sopporterò da sola i fastidi", disse Marguerite con un sorriso che non dimenticherò mai, "ma ne godremo insieme i vantaggi".

Arrossii, invincibilmente alla parola "vantaggi": ricordai Manon Lescaut che sperperava con Des Grieux il denaro di monsieur de B...

Risposi in tono un po' duro, alzandomi:

"Permettetemi, cara Marguerite, di spartire soltanto i vantaggi delle azioni che io stesso concepisco e metto in pratica".

"Che cosa vuol dire?".

"Vuol dire che ho il forte sospetto che il conte de G... sia vostro socio in questa felice combinazione, della quale io non accetto né i pesi né i vantaggi".

"Siete un bambino. Credevo che mi amaste, m'ingannavo, va bene". E nello stesso tempo si alzò, aprì il pianoforte e si rimise a suonare l'"invito al valzer", fino a quel famoso passaggio in diesis che la costringeva sempre a fermarsi.

Era per abitudine, o per ricordarmi il giorno nel quale ci eravamo conosciuti? Tutto quello che so è che con quella musica tornarono i ricordi e, avvicinandomi a lei, le presi la testa fra le mani e la baciai.

"Mi perdonate?", le chiesi.

"Lo vedete bene", mi rispose, "ma badate che non siamo che al secondo giorno, e ho già qualcosa da perdonarvi. Tenete davvero poca fede alle vostre promesse di cieca obbedienza".

"Che volete, Marguerite, vi amo troppo, e sono geloso di ogni vostro piccolo pensiero. Ciò che mi avete proposto poco fa mi renderebbe pazzo di gioia, ma il mistero che precede la realizzazione di questo progetto mi stringe il cuore".

"Vediamo, ragioniamo un po'", disse prendendomi le mani e guardandomi con un incantevole sorriso al quale non era possibile resistere; "voi mi amate, non è vero? e sareste felice di passare tre o quattro mesi in campagna con me, da soli; anch'io sarei felice di questa solitudine a due, non solo, ma ne avrei anche bisogno per la mia salute. Non posso lasciare Parigi per un periodo così lungo senza sistemare i miei affari, e gli affari di una donna come me sono sempre molto ingarbugliati; ebbene, ho trovato il sistema di conciliare ogni cosa, i miei affari e il mio amore per voi, sì, per voi, non ridete, sono così pazza da amarvi e voi vi date delle arie e mi dite dei paroloni.

Bambino, tre volte bambino, ricordatevi solo che vi amo, e non vi preoccupate di niente. E' inteso, vero?".

"E' inteso tutto quel che volete, lo sapete bene".

"Allora, entro un mese, saremo in un paesino di campagna, a passeggiare in riva all'acqua e a bere latte. Vi sembrerà strano che io, Marguerite Gautier, parli così; ma il fatto è, amico mio, che quando questa vita di Parigi, che sembra rendermi così felice, non mi brucia, mi annoia, e mi vengono allora improvvise aspirazioni a una vita più calma che mi faccia ricordare la mia infanzia. C'è sempre stata un'infanzia, comunque si sia diventati. Oh! state tranquillo, non vi dirò che sono figlia di un colonnello in pensione e che sono stata educata a Saint-Denis. Sono una povera ragazza di campagna, e fino a sei anni fa non sapevo scrivere il mio nome. Eccovi rassicurato, vero? Perché mai siete voi il primo al quale mi rivolgo per spartire la gioia del desiderio che mi è venuto? Certo perché ho capito che mi amate per me stessa e non per voi mentre gli altri non mi hanno mai amata che per loro. Sono stata spesso in campagna, mai però come avrei voluto. Conto su di voi per questa semplice felicità, non siate dunque cattivo, e concedetemela. Pensate a questo: 'Lei non vivrà a lungo, e un giorno potrei pentirmi di non aver fatto per lei la prima cosa che mi ha chiesto, e che era così facile da fare'".

Che rispondere a quelle parole, soprattutto nel ricordo di una prima notte d'amore e nell'attesa di una seconda?

Un'ora dopo, stringevo Marguerite fra le braccia, e se mi avesse chiesto di commettere un delitto le avrei obbedito.

Alle sei del mattino me ne andai, e prima di uscire le chiesi:

"A stasera?".

Mi strinse più forte, ma non rispose.

Durante la giornata, ricevetti una lettera con queste parole:

"Mio caro, sono un po' indisposta, e il medico mi ha prescritto il riposo. Mi coricherò presto, stasera, e non vi vedrò. Ma, per ricompersarvi, vi aspetterò domani a mezzogiorno. Vi amo".

Il mio primo pensiero fu: "Mi tradisce!".

Un sudore gelato mi coprì la fronte, perché già amavo troppo quella donna da non essere sconvolto da quel sospetto.

Eppure, con Marguerite, avrei dovuto aspettarmi cose di quel genere quasi ogni giorno; il che mi era accaduto spesso con le altre, senza che me ne fossi mai dato troppo pensiero. Da dove veniva, dunque, la forza di quella donna sulla mia vita?

Pensai allora, poiché avevo la chiave di casa sua, di andarla a trovare come sempre. In quel modo, avrei conosciuto ben presto la verità, e se avessi trovato un uomo lo avrei schiaffeggiato.

Nel frattempo andai agli Champs-Elysées, e vi rimasi quattro ore; ma lei non comparve. La sera entrai in tutti i teatri che essa era solita frequentare: ma non la vidi.

Alle undici, mi recai in rue d'Antin.

Alla finestra di Marguerite non c'era luce. Tuttavia, suonai. Il portiere mi chiese dove andassi.

"Da mademoiselle Gautier", risposi.

"Non è tornata".

"Salirò ad aspettarla".

"Non c'è nessuno in casa".

Era evidentemente una consegna, che potevo forzare, poiché avevo la chiave, ma ebbi timore di un ridicolo scandalo, e me ne andai.

Ma non tornai a casa; non potevo lasciare quella strada, e non perdetti d'occhio la casa di Marguerite. Mi sembrava di avere ancora qualcosa da sapere, o perlomeno che i miei sospetti dovessero essere confermati.

Verso la mezzanotte, una carrozza che conoscevo bene si fermò davanti al numero 9.

Il conte de G... ne discese ed entrò in casa, dopo aver congedato la vettura.

Per un momento sperai che, come a me, gli avrebbero detto che Marguerite non era in casa, e che lo avrei visto uscire; ma alle quattro del mattino aspettavo ancora.

Ho molto sofferto da tre settimane a questa parte, ma questo non è niente, credo, in confronto a ciò che soffrii quella notte.

 

 

 

CAPITOLO 14

 

Tornato a casa, scoppiai in pianto come un bambino. Non c'è un uomo che non sia stato tradito almeno una volta, e che non sappia quanto si soffra.

Mi dissi, sotto il peso di quelle decisioni febbrili, che si pensa sempre di avere il coraggio di mantenere, che bisognava farla finita subito con quell'amore, e aspettai con impazienza il giorno per acquistare un biglietto di viaggio e tornarmene da mio padre e da mia sorella, duplice amore del quale ero sicuro, e che non mi avrebbe tradito.

Tuttavia, non volevo partire senza che Marguerite ne sapesse bene la ragione. Solo un uomo che veramente non ama più la propria amante la abbandona senza scriverle.

Scrissi e riscrissi quella lettera venti volte nella mia mente.

Avevo incontrato una donna simile a tutte le altre mantenute; l'avevo troppo idealizzata, lei mi aveva trattato come uno studentello, impiegando, per tradirmi, una furbizia di una semplicità offensiva:

era chiaro. Il mio amor proprio ebbe allora il sopravvento. Bisognava lasciare quella donna senza darle la soddisfazione di sapere quanto quella rottura mi facesse soffrire; ecco ciò che le scrissi, con la più elegante scrittura, e con lacrime di rabbia e di dolore negli occhi:

"Mia cara Marguerite, "spero che la vostra indisposizione di ieri sia stata cosa da poco.

Alle undici della sera, sono venuto a chiedere vostre notizie, e mi è stato risposto che non eravate rientrata. Il signor de G... è stato più fortunato di me, perché si è presentato qualche minuto dopo, e alle quattro del mattino era ancora con voi.

"Perdonatemi le poche ore di noia che vi ho fatto trascorrere, e siate certa che non dimenticherò mai i momenti felici che vi devo.

"Sarei venuto volentieri a chiedere vostre notizie oggi, ma penso di tornare da mio padre.

"Addio, cara Marguerite; non sono né tanto ricco da amarvi come vorrei, né tanto povero da amarvi come vorreste voi. Dimentichiamo, dunque, voi un nome che deve esservi quasi indifferente, io una felicità che mi è diventata impossibile.

"Vi restituisco la vostra chiave, che non mi è mai servita, e che potrà esservi utile, se vi capita spesso di essere ammalata come lo eravate ieri".

Come vedete, non avevo avuto la forza di finire quella lettera senza una impertinente ironia, il che prova come ne fossi ancora innamorato.

Lessi e rilessi dieci volte quella lettera, e l'idea che avrebbe fatto dispiacere a Marguerite mi calmò un poco. Cercai di giudicare severamente i sentimenti che essa fingeva di avere, e quando, alle otto, il mio domestico entrò nella mia camera, gliela consegnai perché la recapitasse subito.

"Devo aspettare la risposta?", mi chiese Joseph (si chiamava Joseph, come tutti i domestici).

"Se ti sarà chiesto se c'è risposta, di' che non ne sai niente e aspetta".

Mi attaccavo alla speranza che mi avrebbe risposto.

Come siamo miseri e deboli!

Per tutto il tempo che il domestico stette fuori, fui in preda a una violenta agitazione. In certi momenti mi ricordavo come Marguerite si era data a me, e mi chiedevo con qual diritto le avessi scritto quella lettera insolente, dal momento che avrebbe potuto rispondermi che non tradiva me con monsieur de G..., ma monsieur de G... con me:

ragionamento che permette a molte donne di avere diversi amanti. Poi, ricordando i giuramenti di quella donna, cercavo di convincermi che la mia lettera era anche troppo debole e che non conteneva espressioni tanto violente da stroncare una donna che si beffava di un amore sincero come il mio. Poi, mi dicevo che avrei fatto meglio a non scriverle, ad andare da lei durante la giornata, e che, in quel modo, avrei gioito delle lacrime che avrebbe versato per causa mia.

Infine, mi chiedevo che cosa mi avrebbe risposto, pronto già a credere a qualsiasi scusa essa avesse addotto.

Joseph ritornò.

"Ebbene?", gli chiesi.

"Signore", rispose, "la signora era a letto e dormiva ancora, ma appena suonerà le consegneranno la lettera, e se c'è risposta ve la porteranno".

Dormiva ancora!

Venti volte fui sul punto di mandare a riprendere quella lettera, ma mi dicevo sempre: "Forse gliel'hanno già data, e avrei l'aria di essermi pentito".

Più si avvicinava il momento in cui si poteva ragionevolmente supporre che avrei ricevuto una risposta, più mi dispiaceva di avere scritto.

Suonarono le dieci, le undici, le dodici.

A mezzogiorno stavo per andare all'appuntamento come se niente fosse successo. Insomma, non sapevo che cosa escogitare per uscire dal cerchio di fuoco che mi serrava.

Allora credetti, con la superstizione di chi aspetta, che se fossi uscito per un po', al ritorno avrei trovato la risposta: le risposte attese con impazienza arrivano spesso quando si è fuori di casa.

Uscii col pretesto di andare a far colazione Invece di mangiare al Café Foy, all'angolo del boulevard come ero solito fare, preferii andare al Palais-Royal passando da rue d'Antin.

Ogni volta che vedevo una donna da lontano, credevo di vedere Nanine che mi portava la risposta. Passai in rue d'Antin senza aver incontrato nessun fattorino. Arrivai al Palais-Royal, entrai da Véry.

Il cameriere mi fece mangiare, o meglio mi servì quello che volle, perché non mangiai affatto.

Mio malgrado, i miei occhi non si staccavano dalla pendola.

Tornai, convinto che avrei trovato una lettera di Marguerite.

Il portiere non aveva ricevuto niente. Speravo ancora nel mio domestico; ma non aveva visto nessuno da quando io ero uscito.

Se Marguerite avesse voluto rispondermi, lo avrebbe fatto da un pezzo.

Cominciai allora a rimpiangere le espressioni della mia lettera, avrei dovuto tacere del tutto, il che avrebbe spinto la sua impazienza a indagare: perché, non vedendomi venire all'appuntamento, mi avrebbe chiesto la ragione della mia assenza, e solo allora avrei dovuto dirgliela. In questo modo lei sarebbe stata costretta a giustificarsi e, come volevo, sarebbe stata lei a discolparsi. Sentivo già che qualunque pretesto avesse addotto, le avrei creduto, e che avrei preferito qualsiasi cosa al non vederla più.

Finii col credere che sarebbe venuta lei stessa da me, ma le ore passavano, e non venne.

Decisamente, Marguerite non era come tutte le altre donne, perché sono poche quelle che, avendo ricevuto una lettera come la mia, non rispondono qualcosa.

Alle cinque, corsi agli Champs-Elysées.

"Se la incontro", pensavo, "fingerò un'aria indifferente e sarà convinta che già non penso più a lei".

All'angolo di rue Royale, vidi passare la sua carrozza, l'incontro fu così improvviso che impallidii. Non so se si accorse della mia emozione; ero così turbato che vidi soltanto la carrozza.

Non proseguii la passeggiata fino agli Champs-Elysées. Guardai i manifesti dei teatri, perché avevo ancora una possibilità.

C'era una prima rappresentazione al Palais-Royal. Marguerite vi avrebbe certamente assistito.

Alle sette ero a teatro. Tutti i palchi si riempirono, ma Marguerite non c'era.

Allora uscii dal Palais-Royal, ed entrai in tutti i teatri dove andava più spesso, al Vaudeville, al Variétés, all'Opéra-Comique.

Non la trovai in nessun posto.

O la mia lettera le aveva fatto troppo dispiacere perché avesse voglia di andare a teatro, o temeva di incontrarmi, e voleva evitare una spiegazione.

Ecco quello che la mia vanità mi suggeriva, quando nel boulevard incontrai Gaston che mi chiese da dove venissi.

"Dal Palais-Royal".

"E io dall'Opéra", mi disse; "credevo anzi di vedere anche voi".

"Perché?".

"Perché c'era Marguerite".

"Ah, c'era?".

"Sì".

"Sola?".

"No, con un'amica".

"E basta?".

"Il conte de G... è entrato un attimo nel suo palco; ma lei se n'è andata col duca. A ogni istante credevo di vedervi comparire. C'era accanto a me una poltrona che è rimasta vuota tutta la sera, ed ero convinto che fosse la vostra".

"Ma perché mai dovrei andare dove va Marguerite?".

"Perché siete il suo amante, perdio!".

"E chi ve lo ha detto?".

"Prudence, che ho incontrato ieri. Mi congratulo, mio caro; è una bella amante che non tutti possono avere. Conservatela, vi farà onore".

Quella semplice osservazione di Gaston mi fece capire come la mia suscettibilità fosse ridicola. Se lo avessi incontrato il giorno prima e mi avesse parlato così, certamente non avrei scritto la stupida lettera di quella mattina.

Stavo per andare a cercare Prudence per incaricarla di dire a Marguerite che dovevo parlarle, ma ebbi timore che per vendicarsi mi facesse rispondere che non mi poteva ricevere, e tornai a casa dopo essere passato per rue d'Antin.

Chiesi di nuovo al portiere se c'era una lettera per me. Niente!

"Avrà aspettato che facessi qualche nuovo approccio, o che ritirassi la lettera oggi", mi dissi nel coricarmi "ma vedendo che non le ho scritto, mi scriverà lei domani".

Quella sera mi pentii più che mai di quanto avevo fatto. Ero solo, non riuscivo a dormire, divorato dall'ansia e dalla gelosia, mentre, se avessi lasciato che le cose seguissero il loro corso naturale, avrei dovuto essere accanto a Marguerite a sentirmi dire le cose incantevoli che avevo sentito due volte soltanto, e che, nella solitudine in cui ero, mi bruciavano le orecchie.

Una situazione atroce, perché la ragione mi dava torto: infatti, tutto mi diceva che Marguerite mi amava. Prima, il progetto di passare un'estate in campagna, sola con me, poi la certezza che niente la costringeva a essere la mia amante, perché la mia rendita era insufficiente per le sue necessità e anche per i suoi capricci. Non c'era stata dunque, in lei, che la speranza di trovare in me un affetto sincero, capace di riposarla dagli amori mercenari in mezzo ai quali viveva, e fin dal secondo giorno io distruggevo questa speranza, ripagando con insolente ironia l'amore che avevo accettato per due notti. Quel che stavo facendo era dunque peggio che ridicolo, era indelicato. Avevo forse pagato quella donna, così dà avere il diritto di rimproverarle la vita che conduceva? e non facevo la figura, ritirandomi fin dal secondo giorno, di un parassita dell'amore, che teme che gli sia presentato il conto? Come! conoscevo Marguerite da trentasei ore, da ventiquattro ero il suo amante, e facevo il suscettibile; e invece di ritenermi fin troppo fortunato che mi desse una parte di sé, pretendevo di avere tutto solo per me, costringendola a spezzare di colpo i legami del suo passato, che costituivano le rendite del suo futuro. Che cosa potevo rimproverarle? Niente. Mi aveva scritto di essere indisposta, quando avrebbe potuto dirmi crudamente, con l'odiosa sincerità di certe donne, che doveva ricevere un amante; e invece di prestar fede alla sua lettera, invece di andarmene a spasso per tutte le strade di Parigi tranne che rue d'Antin, invece di trascorrere la serata con i miei amici e di andare da lei l'indomani all'ora che mi aveva indicato, facevo l'Otello, la spiavo, e pretendevo di punirla non vedendola più. Ma lei doveva essere ben felice di quella separazione, doveva trovarmi immensamente stupido, e il suo silenzio non era neppure segno di rancore: era disprezzo.

Avrei dovuto allora fare a Marguerite un regalo che non le lasciasse alcun dubbio sulla mia generosità, e che mi permettesse, trattandola come una mantenuta, di considerarmi a posto nei suoi confronti, ma avrei creduto di offendere con la più piccola parvenza di interesse, se non l'amore che lei aveva per me almeno l'amore che io avevo per lei, e poiché questo amore era così puro che non ammetteva spartizioni, non avrei potuto ripagare con un regalo, per quanto bello, la felicità, sia pure di breve durata, che mi era stata concessa.

Ecco ciò che mi andavo ripetendo quella notte, e ciò che in ogni momento ero pronto a dire a Marguerite.

Quando spuntò il giorno, non dormivo ancora, avevo la febbre: mi era impossibile pensare ad altro che a Marguerite.

Come potrete capire, bisognava decidersi e farla finita o con la donna o con gli scrupoli, sempre che avesse acconsentito a ricevermi ancora.

Ma, voi lo sapete, si rinviano sempre le decisioni estreme: così, non potendo restare in casa, non osando presentarmi da Marguerite, cercai un mezzo per riaccostarmi a lei, mezzo che il mio amor proprio avrebbe potuto mettere nel conto, nel caso mi fosse riuscito.

Erano le nove; corsi da Prudence che mi chiese a che cosa dovesse quella visita mattiniera.

Non osai dirle francamente che cosa mi conduceva. Le risposi che ero uscito presto per fissare un posto sulla diligenza di C... dove abitava mio padre.

"Siete ben fortunato", mi disse, "a poter lasciare Parigi con questa bella stagione".

Guardai Prudence, chiedendomi se si stesse beffando di me. Ma il suo viso era serio.

"Andate a salutare Marguerite?", riprese, sempre seriamente.

"No".

"Fate bene".

"Trovate?".

"Naturalmente. Dato che avete rotto con lei, a quale scopo rivederla?".

"Sapete dunque della nostra rottura?".

"Mi ha mostrato la vostra lettera".

"E che cosa vi ha detto?".

"Mi ha detto: 'Cara Prudence, il vostro protetto non è educato: queste lettere si pensano, non si scrivono'".

"E con che tono vi ha detto tutto questo?".

"Ridendo, e ha aggiunto: 'Ha cenato due volte in casa mia, e non mi fa nemmeno una visita di digestione'".

Ecco l'effetto che la mia lettera e la mia gelosia avevano prodotto!

Fui crudelmente umiliato nella vanità del mio amore.

"E che cosa ha fatto ieri sera?".

"E' andata all'Opéra".

"Lo so. E poi?" "Ha cenato in casa".

"Sola?".

"Con il conte de G..., credo".

E così la rottura con me non aveva cambiato per niente le abitudini di Marguerite.

E' in circostanze simili che certa gente vi dice: "Bisognava non pensarci più a quella donna, che non vi amava".

"Bene, sono molto contento di vedere che Marguerite non si dispera per me", ripresi con un sorriso forzato.

"E ha tutte le ragioni. Voi avete fatto quello che dovevate fare, siete stato più ragionevole di lei, perché quella ragazza vi amava, non faceva che parlare di voi, e sarebbe stata capace di qualunque pazzia".

"Perché non mi ha risposto, se mi ama?".

"Perché ha capito di aver torto ad amarvi. E poi le donne permettono qualche volta che si inganni il loro amore, mai che si ferisca il loro amor proprio, e si ferisce sempre l'amor proprio di una donna quando, dopo due giorni che si è il suo amante, la si abbandona, quali che siano le ragioni che si voglia dare alla rottura; conosco Marguerite, preferirebbe morire piuttosto che rispondervi".

"Che devo fare, allora?".

"Niente. Vi dimenticherà, voi la dimenticherete, e non avrete niente da rimproverarvi l'un l'altra".

"Ma se le scrivessi per chiederle perdono?".

"Guardatevene bene: vi perdonerebbe".

Fui sul punto di saltare al collo di Prudence.

Un quarto d'ora dopo, ero tornato a casa e scrivevo a Marguerite:

"Qualcuno che si pente di una lettera che ha scritto ieri, che se non lo perdonate partirà domani stesso, vorrebbe sapere a che ora potrà deporre ai vostri piedi il suo pentimento.

"Quando potrà trovarvi sola? perché, lo sapete. Le confessioni devono essere fatte senza testimoni".

Ripiegai quella specie di madrigale in prosa, e lo feci recapitare da Joseph, che consegnò la lettera alla stessa Marguerite, la quale gli disse che avrebbe risposto più tardi.

Non uscii che per poco, per andare a pranzo, e alle undici della sera non avevo ancora ricevuto risposta.

Decisi allora di non soffrire più a lungo e di partire il giorno seguente.

In seguito a questa decisione, convinto che se mi fossi coricato non sarei riuscito a prender sonno, mi misi a preparare i bagagli.

 

 

 

CAPITOLO 15

 

Era quasi un'ora che Joseph e io stavamo preparando tutto per la partenza, quando suonarono con forza alla porta.

"Devo aprire?", mi chiese Joseph.

"Apri", gli dissi, chiedendomi chi potesse venire a casa mia a quell'ora, e non osando credere che fosse Marguerite.

"Signore", mi disse Joseph tornando, "sono due signore".

"Siamo noi, Armand", gridò una voce che riconobbi per quella di Prudence.

Uscii dalla stanza.

Prudence, in piedi, guardava qualche pezzo del mio salotto; Marguerite, seduta sul divano, rifletteva.

Appena entrato, le andai incontro, mi inginocchiai, le presi le mani e, tutto commosso, le dissi:

"Perdonatemi".

Mi baciò sulla fronte e rispose:

"E' la terza volta che vi perdono".

"Domani sarei partito".

"In che cosa la mia visita può cambiare la vostra decisione? Non sono venuta per impedirvi di lasciare Parigi. Sono venuta perché in tutta la giornata non ho avuto il tempo di rispondervi, e perché non volevo credeste che fossi inquieta con voi. Prudence, del resto, non voleva che venissi; diceva che vi avrei forse disturbato".

"Disturbarmi, voi, Marguerite? E come?".

"Perbacco! poteva esserci una donna in casa vostra", rispose Prudence, "e non sarebbe stato divertente per lei vederne arrivare altre due".

Durante quest'osservazione di Prudence, Marguerite mi fissava attentamente.

"Cara Prudence", risposi, "voi non sapete ciò che dite".

"E' molto grazioso il vostro appartamento", replicò Prudence, "si può vedere la stanza da letto?".

"Sì".

Prudence passò in camera mia, non tanto per vederla quanto per riparare alla sciocchezza che aveva detto, e per lasciare soli Marguerite e me.

"Perché siete venuta con Prudence?", chiesi allora.

"Perché era con me allo spettacolo, e perché volevo avere qualcuno che mi accompagnasse, andando via di qui".

"Non c'ero io?".

"Sì ma, a parte il fatto che non volevo disturbarvi, ero sicurissima che venendo fino alla porta di casa mia mi avreste chiesto di salire, e, siccome non avrei potuto permettervelo, non volevo che ve ne andaste col diritto di rinfacciarmi un rifiuto".

"E perché non potreste ricevermi?".

"Perché sono molto sorvegliata, e il minimo sospetto potrebbe nuocermi moltissimo".

"E' la sola ragione?".

"Se ce ne fosse un'altra, ve la direi; non siamo più al punto in cui si hanno dei segreti l'uno per l'altra".

"Insomma, Marguerite, non voglio prendere strade traverse per arrivare a quel che voglio dirvi. Sinceramente, mi amate un poco?".

"Molto".

"Allora, perché mi avete tradito?".

"Amico mio, se fossi la duchessa tale o tal altra, se avessi duecentomila franchi di rendita, se fossi la vostra amante, e avessi un altro uomo, voi avreste il diritto di chiedermi perché vi tradisco; ma siccome sono mademoiselle Marguerite Gautier, ho quarantamila franchi di debiti, neppure un soldo di capitale, spendo centomila franchi all'anno, la vostra domanda diventa oziosa e la mia risposta inutile".

"E' giusto", dissi abbandonando il capo sulle ginocchia di Marguerite, "ma io vi amo follemente".

"Ebbene, amico mio, bisognava amarmi un po' meno o capirmi un po' meglio. La vostra lettera mi ha fatto molto dispiacere. Se fossi stata libera, anzitutto non avrei ricevuto il conte l'altro ieri, o, pur ricevendolo, sarei venuta a chiedervi il perdono che voi mi avete chiesto poco fa, e non avrei avuto in futuro altro amante che voi. Ho creduto per un momento di potermi concedere questa gioia per sei mesi, ma voi non avete voluto; volevate conoscere i mezzi. Oh! mio Dio i mezzi era molto facile intuirli. Impiegandoli facevo un sacrificio molto più grande di quanto voi non crediate. Avrei potuto dirvi: 'Ho bisogno di ventimila franchi'; eravate innamorato di me, li avreste trovati, a rischio di rinfacciarmeli più tardi. Ho preferito non dovervi niente; ma voi non avete capito la mia delicatezza, che pure era evidente. Noi, quando abbiamo ancora un po' di cuore, diamo alle parole e alle cose un significato e uno sviluppo sconosciuti alle altre donne; vi ripeto dunque che, da parte di Marguerite Gautier, trovare il mezzo di pagare i suoi debiti senza chiedere a voi il denaro necessario era una delicatezza della quale avreste dovuto approfittare senza chiedere niente. Se mi aveste conosciuto solo oggi, sareste stato anche troppo felice di quanto vi promettevo e non mi avreste chiesto che cosa avessi fatto l'altro ieri. Noi siamo talvolta costrette ad acquistare una soddisfazione dell'animo a spese del nostro corpo, e soffriamo molto di più quando, alla fine, questa soddisfazione ci sfugge".

Io ascoltavo e guardavo Marguerite con ammirazione. Quando pensavo che quella deliziosa creatura, per la quale avrei una volta invidiato chi le baciava i piedi, acconsentiva a farmi entrare in qualche modo nel suo pensiero, a darmi un posto nella sua vita, e che non ero ancora contento di quello che mi dava, mi chiedevo se vi sono limiti al desiderio dell'uomo, quando, soddisfatto così prontamente come lo era stato il mio, aspira ancora ad altro.

"E' vero", riprese "noi, creature del caso, abbiamo desideri fantastici e amori inconcepibili. Noi ci concediamo a volte per una cosa a volte per un'altra. Ci sono persone che potrebbero rovinarsi senza ottenere niente da noi, ve ne sono altre che ci possiedono con un mazzo di fiori. Il nostro cuore è capriccioso, è la sua sola distrazione e la sua sola scusa. Io mi sono data a te più presto che a ogni altro, te lo giuro; perché? perché quando mi hai vista sputare sangue mi hai preso la mano, perché hai pianto, perché sei la sola creatura umana che abbia voluto compatirmi. Ti dirò una follia, avevo una volta un cagnolino che, quando tossivo, mi guardava con un'aria molto triste; è stato il solo essere che io abbia amato. Quando è morto, ho pianto più che per la morte di mia madre. Mi crederai, se ti dico che mi aveva picchiata per dodici anni. Ebbene, io ti ho amato subito quanto il mio cane. Se gli uomini sapessero quello che si può avere in cambio di una lacrima, sarebbero più amati e noi saremmo meno dannose per loro. La tua lettera ti ha smentito, mi ha rivelato che non avevi tutte le intelligenze del cuore, è stata il torto più grave che avessi potuto fare all'amore che avevo per te. Era gelosia, è vero, ma una gelosia ironica e insolente. Ero già triste, quando ho ricevuto questa lettera, aspettavo di vederti a mezzogiorno, di fare colazione con te, di cancellare, insomma, vedendoti, un pensiero che avevo e che non mi dava tregua, e che, prima di conoscerti, ammettevo senza sforzo. Inoltre" proseguì Marguerite, "tu eri la sola persona davanti alla quale avevo capito subito di poter pensare e parlare liberamente. Tutti quelli che stanno intorno a una ragazza come me hanno interesse a scrutarne la più piccola parola, a trarre conseguenze da ogni loro più piccola azione. Naturalmente non abbiamo amici, ma solo amanti egoisti che spendono i loro patrimoni, non già per noi, come dicono, ma per la loro vanità. Per loro, bisogna che noi siamo allegre quando essi sono allegri, in salute quando vogliono cenare, scettiche come lo sono loro. Ci è proibito avere un cuore, altrimenti si è schernite e viene rovinato tutto il nostro credito.

Non apparteniamo più a noi stesse; non siamo più esseri umani, ma cose; siamo le prime nel loro amor proprio, ma le ultime nella loro stima. Abbiamo delle amiche, ma sono amiche come Prudence, ex mantenute che conservano desideri di lusso che, per la loro età, non possono più soddisfare. Allora diventano nostre amiche, o meglio le nostre commensali. La loro amicizia arriva al servilismo, mai al disinteresse. Non ci daranno mai altro che consigli interessati. Poco importa a loro che noi abbiamo dieci amanti di più, purché vi possano guadagnare dei vestiti o un braccialetto, e possano ogni tanto approfittare della nostra carrozza e andare a teatro nel nostro palco.

Conservano i nostri fiori del giorno prima, e ci chiedono in prestito i nostri scialli. Non ci rendono mai un favore, per piccolo che sia, senza farselo pagare il doppio di quello che vale. L'hai visto tu stesso quella sera in cui Prudence mi ha portato seimila franchi che le avevo pregato di andare a chiedere al duca per me: mi ha chiesto in prestito cinquecento franchi che non mi renderà mai, o che mi restituirà sotto forma di cappelli che non usciranno mai dalle loro scatole. Noi non possiamo dunque avere, o meglio, io non potevo avere che una gioia, ed era, triste come talvolta sono, sofferente come sono sempre, quella di trovare un uomo tanto superiore da non chiedermi conto della mia vita ed essere l'amante dei miei sentimenti più che del mio corpo. Quest'uomo lo avevo trovato nel duca, ma il duca è vecchio, e la vecchiaia non protegge né consola. Avevo creduto di poter accettare la vita che mi offriva; ma che vuoi? morivo di noia e se ci si deve consumare, tanto vale gettarsi sul fuoco o lasciarsi asfissiare dal carbone.

"Allora ho incontrato te, giovane, ardente, felice, e ho cercato di fare di te l'uomo che avevo invocato in mezzo alla mia chiassosa solitudine. Quello che amavo in te, non era l'uomo che eri, ma quello che dovevi essere. Tu non hai accettato questa parte, la rifiuti come indegna di te, sei un amante volgare; fa' come gli altri, pagami, e non ne parliamo più".

Marguerite, affaticata di questa lunga confessione. si abbandonò sulla spalliera del divano, e si portò il fazzoletto alle labbra e poi agli occhi per soffocare un debole accesso di tosse.

"Perdono, perdono", mormorai, "avevo capito tutto, ma volevo sentirtelo dire, Marguerite mia adorata. Dimentichiamo il resto e ricordiamoci di una cosa sola: e cioè che siamo l'uno dell'altra, che siamo giovani e che ci amiamo. Marguerite, fa' di me quello che vuoi, sono io il tuo schiavo, il tuo cane; ma, in nome del cielo, distruggi la lettera che ti ho scritto, e impediscimi di partire domani: ne morirei".

Marguerite tirò fuori la mia lettera dal corpetto del vestito e, restituendomela, mi disse con un sorriso di indicibile dolcezza:

"Tieni, te l'ho riportata".

Strappai la lettera, e baciai piangendo la mano che me l'aveva restituita.

In quel momento riapparve Prudence. "Ebbene, Prudence, sapete che cosa mi ha chiesto?", disse Marguerite.

"Vi ha chiesto perdono".

"Appunto".

"E l'avete perdonato?".

"Per forza, ma vuole anche un'altra cosa".

"E quale?".

"Vuol venire a cena con noi".

"E voi acconsentite?".

"Voi che ne pensate?".

"Penso che siete due bambini, e che non avete cervello, né l'uno né l'altra. Ma penso anche che ho una gran fame e che quanto prima gli direte di sì, tanto prima ceneremo".

"Andiamo", disse Marguerite, "staremo in tre nella carrozza".

"Prendete", aggiunse voltandosi verso di me, "Nanine dormirà, aprite voi la porta, prendete la mia chiave, e cercate di non perderla più".

La abbracciai fino a soffocarla.

In quel momento entrò Joseph.

"Signore", mi disse con l'aria d'un uomo soddisfatto di sé, "i bagagli sono pronti".

"Del tutto?".

"Sì, signore".

"Ebbene, disfali: non parto più".

 

 

 

 

CAPITOLO 16

"Avrei potuto - mi disse Armand - raccontarvi in poche parole l'inizio di questa relazione, ma volevo che voi conosceste bene gli avvenimenti e le fasi attraverso le quali arrivammo, io ad acconsentire a ogni desiderio di Marguerite, e Marguerite a non poter più vivere senza di me.

Fu all'indomani della sera in cui era venuta a trovarmi che le mandai Manon Lescaut.

Da quel momento, non potendo cambiare la vita della mia amante, cambiai la mia. Volevo innanzitutto non lasciare al mio spirito il tempo di riflettere sulla parte che avevo accettato, perché, mio malgrado, ne avrei provata una grande tristezza. Così, la mia vita, in genere tanto calma, si rivestì da un momento all'altro di un'apparenza di chiasso e di disordine. Non crediate che, sebbene disinteressato, l'amore che una mantenuta ha per voi non vi costi niente. Nulla è caro come i mille capricci in fiori, palchi, cene, gite in campagna, che non si possono rifiutare alla propria amante.

Come vi ho detto, non avevo un patrimonio. Mio padre era ed è ancora, esattore generale a C..., dove ha fama di grande lealtà, grazie alla quale ha potuto trovare la cauzione che doveva depositare per assumere la carica. Questo lavoro gli procura quarantamila franchi all'anno, e in dieci anni ha restituito la cauzione e ha messo da parte la dote di mia sorella. Mio padre è l'uomo più onesto che si possa incontrare.

Quando mia madre morì, lasciò seimila franchi di rendita, che egli ha diviso tra mia sorella e me, quando ha ottenuto l'incarico che sollecitava; poi, quando io ho compiuto ventun anni, ha aggiunto a questa piccola rendita una pensione annua di cinquemila franchi, affermando che con ottomila franchi avrei potuto vivere tranquillo a Parigi, se avessi voluto, oltre a quella rendita, farmi una posizione, nell'avvocatura o nella medicina. Sono dunque venuto a Parigi, ho studiato diritto, sono stato nominato avvocato, e, come molti giovani, ho messo la laurea in tasca per abbandonarmi un po' alla vita spensierata di Parigi. Le mie spese erano molto modeste; ma in otto mesi spendevo tutta la rendita dell'anno, e trascorrevo i quattro mesi estivi con mio padre, il che rappresentava in tutto dodicimila franchi di rendita e mi dava la fama di figlio affettuoso. Del resto, neppure un soldo di debiti.

Ecco come stavo quando conobbi Marguerite.

Voi potrete capire che, mio malgrado, il mio tenore di vita si elevò.

Marguerite era molto capricciosa, apparteneva a quella categoria di donne che non hanno mai considerato come una spesa seria le mille distrazioni di cui la loro vita è composta. Ne risultava che, volendo passare con me il maggior tempo possibile, al mattino mi scriveva che avrebbe pranzato con me, non a casa sua, ma in qualche ristorante, a Parigi o in campagna. Andavo a prenderla, pranzavamo, andavamo a teatro, spesso cenavamo, e la sera avevo speso quattro o cinque luigi, il che significava duemilacinquecento o tremila franchi al mese, e riduceva la mia annata a tre mesi e mezzo, mettendomi nella necessità di contrarre debiti o di lasciare Marguerite.

Accettavo tutto, tranne quest'ultima possibilità. Perdonatemi se vi racconto tutti questi particolari, ma potrete vedere come furono essi la causa degli avvenimenti successivi. Quella che vi racconto è una storia vera, semplice, alla quale lascio tutta l'ingenuità dei particolari e tutta la semplicità degli sviluppi.

Compresi dunque che, poiché niente al mondo avrebbe potuto farmi dimenticare la mia amante, mi era necessario trovare il sistema per sostenere le spese che ero costretto a fare per lei. E poi, quell'amore mi sconvolgeva in un modo tale che ogni istante che passavo lontano da Marguerite mi sembrava un anno, e sentivo il bisogno di bruciare quei momenti al fuoco di una qualunque passione, e di viverli tanto in fretta da non accorgermi neppure che li stavo vivendo.

Cominciai col sottrarre cinque o seimila franchi dal mio piccolo capitale, e mi misi a giocare, perché da quando sono state soppresse le bische si gioca dappertutto. In altri tempi, quando si entrava da Frascati, si aveva la possibilità di farsi una fortuna: si giocava per denaro e, se si perdeva, si aveva la consolazione di dire che si sarebbe potuto vincere; mentre oggi, tranne che nei circoli dove c'è ancora un certo rigore per i pagamenti, si ha quasi la certezza, quando si vince una grossa somma, di non averla mai. Si capirà facilmente la ragione.

Il gioco non può essere praticato che da giovani con grandi necessità, che mancano del denaro necessario a sostenere il loro tenore di vita; allora giocano, e naturalmente il risultato è questo: o vincono, e allora i perdenti pagano i cavalli e le amanti di questi signori, il che è molto sgradevole. Si contraggono debiti, le relazioni intrecciate intorno al tavolo verde finiscono con litigi nei quali si rimette a poco a poco l'onore e la vita; e quando si è onesti, ci si trova rovinati da onestissimi giovanotti che non hanno altro difetto che quello di non possedere duecentomila franchi di rendita.

Non ho bisogno di parlarvi di quelli che barano al gioco e dei quali si apprende un giorno la partenza forzata e la tardiva condanna.

Mi gettai dunque in questa vita vorticosa, chiassosa, vulcanica, che in altri tempi, quando ci pensavo, mi spaventava e che era diventata per me l'indispensabile complemento ai mio amore per Marguerite. Che avrei dovuto fare?

Se avessi passato a casa mia, da solo, le notti che non passavo in rue d'Antin, non avrei dormito. La gelosia mi avrebbe tenuto sveglio e mi avrebbe bruciato la mente e il sangue; il gioco, invece, allontanava per un momento la febbre che altrimenti mi avrebbe invaso il cuore, e riportava i miei pensieri a una passione il cui interesse mi prendeva mio malgrado, fino a che suonava l'ora in cui dovevo andare dalla mia amante. Allora, ed è da questo che riconoscevo la violenza del mio amore, vincessi o perdessi, abbandonavo con fermezza il tavolo da gioco, compiangendo quelli che restavano e che non avrebbero trovato, come me, la felicità altrove.

Per la maggior parte di loro, il gioco era una necessità; per me, era un rimedio.

Guarito da Marguerite, sarei stato guarito dal gioco.

E così, in mezzo a tutto ciò, conservavo un certo sangue freddo; non perdevo che ciò che avrei potuto pagare, non vincevo che quanto avrei potuto perdere.

D'altra parte, la fortuna mi arrise. Non facevo debiti, spendevo tre volte più di quando non giocavo. Non era difficile resistere a una vita che mi permetteva di soddisfare, senza preoccupazioni, i mille capricci di Marguerite. Quanto a lei, mi amava sempre tanto e anche di più.

Come vi ho detto, avevo cominciato a non essere ricevuto che da mezzanotte alle sei del mattino, poi fui ammesso, di tanto in tanto, nel suo palco, e poi lei venne qualche volta a pranzo con me.

Una mattina non me ne andai che alle otto, e venne il giorno in cui non me ne andai che a mezzogiorno.

In attesa della metamorfosi morale, una metamorfosi fisica si era operata in Marguerite. Avevo intrapreso la sua guarigione, e la povera figliuola, intuendo il mio scopo, mi obbediva per dimostrarmi la sua gratitudine.

Ero arrivato, senza scosse e senza sforzo, a isolarla quasi del tutto dalle sue antiche abitudini. Il mio medico, col quale la avevo fatta incontrare, mi aveva detto che solo il riposo e la calma avrebbero potuto conservarle la salute, per cui ero riuscito a sostituire alle cene fuori e alle notti insonni un regime igienico e un sonno regolare. Marguerite si abituava suo malgrado a quella nuova vita, di cui già sentiva gli effetti benefici. Cominciava già a passare qualche serata in casa, oppure, se faceva bel tempo, la sera, si avvolgeva in uno scialle, si copriva con un velo, e andavamo a piedi, come due bambini, per i viali ombrosi degli Champs-Elysées. Tornava stanca, faceva una cena leggera, si coricava dopo aver suonato un po' o aver letto, cosa che non le era mai successa. Gli accessi di tosse che, ogni volta che li sentivo, mi strappavano il cuore, erano scomparsi quasi del tutto.

In meno di sei settimane, non si parlava più del conte, definitivamente allontanato; soltanto a causa del duca ero costretto a nascondere la mia relazione con Marguerite, benché fosse stato spesso mandato via mentre io ero in casa, col pretesto che la signora dormiva e aveva proibito che la svegliassero.

Per l'abitudine e anche per il bisogno che Marguerite aveva di vedermi, lasciai il gioco proprio nel momento in cui lo avrebbe lasciato un giocatore esperto. A conti fatti, mi trovai, in seguito alle vincite, in possesso di circa dodicimila franchi, che mi sembravano un patrimonio inesauribile.

Era arrivato il tempo in cui ero solito andare a trovare mio padre e mia sorella, ma non mi decidevo a partire; ricevetti quindi frequenti lettere di entrambi, che mi pregavano di andare da loro. A tutte queste insistenze rispondevo come meglio potevo, ripetendo sempre che stavo bene e che non avevo bisogno di denaro, due cose che a mio parere avrebbero consolato un po' mio padre del ritardo della mia visita annuale.

In questo periodo avvenne che Marguerite, svegliata una mattina da un sole splendente, saltò dal letto e mi chiese di condurla per tutta la giornata in campagna.

Mandammo a cercare Prudence, e partimmo tutti e tre, dopo che Marguerite ebbe raccomandato a Nanine di dire al duca che aveva voluto approfittare della giornata per recarsi in campagna con madame Duvernoy.

Oltre al fatto che la presenza della Duvernoy era necessaria per tranquillizzare il vecchio duca, Prudence era una di quelle donne che sembrano fatte apposta per le gite in campagna. Con la sua inalterabile allegria e il suo eterno appetito, non permetteva a quelli che erano con lei un solo attimo di noia, ed era bravissima a ordinare uova, ciliegie, latte, coniglio in padella, tutto quanto costituisce la colazione tradizionale dei dintorni di Parigi.

Non ci restava che decidere dove andare.

Fu ancora una volta Prudence a toglierci d'imbarazzo. "Volete andare nella vera campagna?", ci chiese.

"Sì".

"Ebbene, andiamo a Bougival, al Point-du-Jour, dalla vedova Arnould.

Armand, andate a prendere un calesse".

Dopo un'ora e mezzo eravamo dalla vedova Arnould.

Voi conoscete forse quella locanda, albergo durante la settimana, trattoria la domenica. Dal giardino, che è all'altezza di un normale primo piano, si scopre un panorama magnifico. A sinistra l'acquedotto di Marly chiude l'orizzonte, a destra la vista si stende su un infinito di colline; il fiume, in quel punto quasi stagnante, si snoda come un largo nastro bianco iridato, tra la pianura di Gabillons e l'isola di Croissy, eternamente cullata dal fremito dei suoi alti pioppi e dal mormorio dei salici".

In fondo, in un vasto raggio di sole, si innalzano delle piccole case bianche col tetto rosso, e delle fabbriche che perdendo, data la distanza, il loro aspetto duro e commerciale completano mirabilmente il paesaggio.

Sullo sfondo, Parigi tra la nebbia.

Come aveva detto Prudence, era vera campagna, e, devo aggiungere, fu anche una vera colazione.

Non dico tutto questo in riconoscenza della felicità che gli ho dovuto, ma Bougival, nonostante il nome orribile, è uno dei villaggi più graziosi che si possano immaginare. Io ho viaggiato molto, ho visto cose più grandi, ma non più piacevoli di quel piccolo villaggio allegramente disteso ai piedi della collina che lo protegge.

Madame Arnould ci offrì il modo di fare una passeggiata in barca, e Marguerite e Prudence accettarono con entusiasmo.

Si è sempre associato il pensiero della campagna a quello dell'amore, e a ragione: per la donna che si ama non esiste miglior cornice del cielo azzurro, dei profumi, della brezza della solitudine risplendente dei campi o dei boschi. Per quanto si ami una donna, per quanta fiducia si abbia in lei, per quanta certezza sul futuro possiate trarre dal suo passato, si è sempre più o meno gelosi. Se siete stato innamorato, innamorato veramente, avete dovuto sentire il bisogno di isolare dal mondo l'essere nel quale avreste voluto riversare tutta la vostra vita. Sembra che, per quanto indifferente possa essere a quanto la circonda, la donna amata perda profumo e unità al contatto degli uomini e delle cose. Io sentivo questo molto più di ogni altro. Il mio non era un amore comune, ero innamorato come può esserlo una creatura normale, ma lo ero di Marguerite Gautier, il che significava che a Parigi, a ogni passo, potevo trovarmi accanto a un uomo che era stato l'amante di quella donna o che avrebbe potuto diventarlo il giorno dopo. Invece in campagna, tra persone che non avevamo mai visto e che non si occupavano di noi, in seno a una natura rivestita di primavera, dono benigno di ogni anno, lontano dal frastuono della città, potevo mostrare il mio amore e amare senza vergogna e senza timore.

La cortigiana scompariva a poco a poco. Avevo accanto a me una donna giovane, bella, che amavo, che mi amava, e che si chiamava Marguerite:

il passato non aveva più forma, l'avvenire era sgombro da nubi. Il sole illuminava la mia amante come avrebbe illuminato la più casta fidanzata. Passeggiavamo insieme in quei luoghi incantevoli, che sembrano fatti apposta per ricordare i versi di Lamartine o cantare le melodie di Scudo. Marguerite era vestita di bianco, si appoggiava al mio braccio, e la sera, sotto il cielo stellato, mi ripeteva le parole che mi aveva detto il giorno prima; il mondo, a distanza, continuava la sua vita senza macchiare con la sua ombra il ridente quadro della nostra giovinezza e del nostro amore.

Ecco il sogno che il sole ardente di quella giornata mi ispirava attraverso le foglie, mentre, allungato sull'erba nell'isola dove eravamo sbarcati, lasciavo il mio pensiero vagare e cogliere tutte le speranze che incontrava, libero da tutti i legami umani che lo avevano fino a quel momento trattenuto.

Aggiungete che, dal luogo dove mi trovavo, vedevo sulla riva una graziosa casetta a due piani, con una cancellata intorno; attraverso il cancello, davanti alla casa, un prato verde, compatto come velluto, e dietro l'edificio un boschetto pieno di misteriosi anfratti, nel quale il muschio doveva cancellare ogni mattina le orme del giorno prima.

Alcuni fiori rampicanti nascondevano l'ingresso di quella casa disabitata, avvolgendola fino al primo piano.

A forza di guardarla, finii col convincermi che quella casa mi apparteneva, tanto bene riassumeva tutto quello che sognavo. Lì vedevo Marguerite e me, di giorno nel bosco che copriva la collina, di sera seduti sul prato, e mi chiedevo se altre creature terrestri avrebbero mai potuto essere felici quanto noi.

"Che bella casa!", disse Marguerite, seguendo la direzione del mio sguardo e forse anche del mio pensiero.

"Dove?", chiese Prudence.

"Laggiù". E Marguerite indicò col dito la casa.

"Ah! incantevole", replicò Prudence, "vi piace?".

"Molto".

"Bene, allora dite al duca di prenderla in affitto per voi, la prenderà, ne sono certa. Me ne occuperò io, se volete".

Marguerite mi guardò, come per domandarmi cosa ne pensassi.

Il mio sogno era volato via con le ultime parole di Prudence, e mi aveva fatto ripiombare nella realtà così brutalmente che ero ancora tutto stordito per la caduta.

"In effetti, è un ottima idea", balbettai senza sapere quello che dicevo.

"Va bene! sistemerò ogni cosa", disse Marguerite stringendomi la mano e interpretando le mie parole secondo il suo desiderio. "Andiamo subito a vedere se è in affitto".

La casa era libera, e veniva affittata per duemila franchi.

"Sarete felice qui?", mi chiese.

"E' sicuro che ci verrò?".

"E per chi dunque verrei a seppellirmi qui, se non per voi?".

"Ebbene, Marguerite, lasciate che questa casa la prenda in affitto io".

"Siete pazzo? non solo è inutile, ma sarebbe pericoloso, sapete bene che ho il diritto di accettare doni da un uomo soltanto; lasciate fare dunque, bambinone, e non dite niente".

"Così, quando avrò due giorni liberi, verrò a passarli da voi", disse Prudence.

Lasciammo la casa e riprendemmo la strada di Parigi, parlando di questa nuova decisione. Tenevo Marguerite fra le braccia, tanto che scendendo dalla carrozza, cominciai a vedere il progetto della mia amante con spirito meno scrupoloso.

 

 

 

CAPITOLO 17

 

II giorno dopo, Marguerite mi congedò presto, dicendomi che il duca doveva venire di buon mattino, e mi promise che mi avrebbe scritto appena egli se ne fosse andato, per darmi l'appuntamento di ogni sera.

Infatti, durante la giornata, ricevetti questo biglietto: "Vado a Bougival col duca; trovatevi da Prudence stasera alle otto".

All'ora indicata, Marguerite era di ritorno, e mi raggiunse da madame Duvernoy.

"Allora, tutto è a posto", disse entrando.

"La casa è affittata?", chiese Prudence.

"Sì, ha acconsentito subito".

Non conoscevo affatto il duca, ma provavo vergogna nell'ingannarlo a quel modo.

"Ma non è tutto!", seguitò Marguerite.

"Che altro, dunque?".

"Mi sono occupata dell'alloggio di Armand".

"Nella stessa casa?", chiese Prudence ridendo.

"No, al Point-du-Jour, dove il duca e io abbiamo fatto colazione.

Mentre lui guardava il panorama, ho chiesto a madame Arnould, perché si chiama madame Arnould, non è vero?, le ho chiesto se aveva un appartamento conveniente. Ne ha appunto uno, con salotto, ingresso, e camera da letto. E tutto ciò che occorre, credo. Sessanta franchi al mese. Il tutto arredato in modo tale da rallegrare un ipocondriaco. Ho fissato l'alloggio. Ho fatto bene?".

Saltai al collo di Marguerite.

"Sarà meraviglioso", continuò, "avrete una chiave della porticina, e ho promesso al duca una chiave del cancello, ma non la prenderà, perché non verrà che di giorno, quando verrà. Credo detto tra noi, che sia soddisfatto di questo capriccio che mi terrà per qualche tempo lontano da Parigi, e farà tacere per un po' la sua famiglia. Mi ha chiesto, tuttavia, come ho potuto, io che amo tanto Parigi, decidermi a seppellirmi in quella campagna; gli ho risposto che ero sofferente e che era per riposarmi. Mi è parso che mi credesse solo in parte. Quel povero vecchio sta sempre in guardia. Noi prenderemo dunque molte precauzioni, mio caro Armand, perché laggiù egli mi farà sorvegliare, e non è sufficiente che mi prenda in affitto una casa, bisogna anche che paghi i miei debiti e disgraziatamente ne ho qualcuno. Siete d'accordo su tutto ciò?".

"Sì", risposi cercando di far tacere tutti gli scrupoli che quel modo di vivere risvegliava di tanto in tanto dentro di me.

"Abbiamo visitato la casa da cima a fondo, ci staremo a meraviglia. Il duca si preoccupava di tutto. Ah, mio caro", aggiunse quella piccola pazza abbracciandomi, "voi non siete sfortunato, è un milionario che vi fa il letto".

"E quando sgomberate?", chiese Prudence.

"Il più presto possibile".

"Porterete via la carrozza e i cavalli?".

"Porterò via tutto quanto ho in casa. Vi occuperete voi dell'appartamento durante la mia assenza".

Otto giorni dopo, Marguerite aveva preso possesso della casa di campagna, e io mi ero sistemato al Point-du-Jour.

Cominciò allora una vita che farei molta fatica a descrivervi.

Agli inizi del soggiorno a Bougival, Marguerite non poté interrompere del tutto le sue abitudini, e poiché la casa era sempre in festa, tutte le sue amiche venivano a trovarla; per un mese non ci fu un giorno in cui Marguerite non avesse otto o dieci persone a tavola.

Prudence, dal canto suo, portava tutta la gente che conosceva, e faceva gli onori di casa come se fosse stata lei la padrona.

Il denaro del duca pagava tutto, come potete ben immaginare, e tuttavia accadde che ogni tanto Prudence mi chiedesse mille franchi, dicendo che erano per Marguerite. Voi sapete che avevo fatto qualche vincita al gioco, mi affrettavo dunque a consegnare a Prudence quello che Marguerite mi chiedeva tramite suo, e, temendo che potesse avere bisogno di più di quanto io non avessi, venni a Parigi a chiedere in prestito la stessa somma che mi ero fatta prestare un'altra volta, e che avevo scrupolosamente restituita.

Mi trovai dunque di nuovo ricco di una diecina di migliaia di franchi, senza contare la mia pensione.

Tuttavia il piacere che Marguerite provava nel ricevere le amiche diminuì un po' davanti alle spese che esso la costringeva a fare, e soprattutto davanti alla necessità, nella quale veniva talvolta a trovarsi, di chiedermi denaro. Il duca, che aveva preso in affitto la casa perché Marguerite vi si riposasse, non vi appariva più, temendo sempre di incontrarvi un'allegra e numerosa comitiva dalla quale non voleva essere visto. Infatti, essendo venuto un giorno per pranzare da solo con Marguerite, era capitato in una colazione di quindici persone, che non era ancora finita all'ora in cui egli aveva contato di mettersi a tavola per pranzare. Quando, non sospettando niente, aveva aperto la porta della sala da pranzo, una risata generale aveva accolto il suo ingresso, ed egli era stato costretto a ritirarsi immediatamente davanti all'insolente allegria delle ragazze che si trovavano là.

Marguerite si era alzata da tavola, aveva raggiunto il duca nella stanza accanto, e aveva cercato, per quanto possibile, di fargli dimenticare l'accaduto; ma il vecchio, ferito nel suo amor proprio, aveva serbato rancore: aveva detto piuttosto brutalmente alla povera figliola che era stanco di pagare i capricci di una donna incapace di farlo rispettare perfino in casa sua, ed era ripartito molto irritato.

Da quel giorno non si era più sentito parlare di lui. Nonostante che Marguerite avesse congedato i convitati e cambiato le sue abitudini, il duca non aveva più dato notizie. Io ci avevo guadagnato che la mia amante mi apparteneva interamente, e che il mio sogno finalmente si realizzava. Marguerite non poteva più fare a meno di me. Senza preoccuparsi di quello che ne sarebbe venuto, mostrava pubblicamente la nostra relazione, e io ero arrivato al punto da non uscire più di casa sua. I domestici mi chiamavano signore, e mi consideravano ufficialmente come il loro padrone.

Prudence aveva fatto, è vero, molte prediche a Marguerite a proposito della sua nuova vita; ma questa le aveva risposto che mi amava, che non poteva vivere senza di me, e che, qualunque cosa fosse accaduto, non avrebbe rinunciato alla gioia di avermi sempre accanto a lei, aggiungendo che tutti quelli che non erano d'accordo erano liberi di non farsi più vedere.

Ecco che cosa avevo sentito un giorno in cui Prudence aveva detto a Marguerite che aveva qualcosa di molto importante da comunicarle; avevo ascoltato dietro la porta della stanza nella quale si erano chiuse.

Qualche tempo dopo Prudence tornò.

Quando entrò ero in fondo al giardino; lei non mi vide. Dubitai dal modo col quale Marguerite le era andata incontro, che avrebbe avuto luogo una conversazione simile a quella che già avevo sorpreso, e volli ascoltarla come avevo ascoltato l'altra.

Le due donne si chiusero in un salottino e io mi misi in ascolto.

"Ebbene?", chiese Marguerite.

"Ebbene, ho visto il duca".

"Che cosa vi ha detto?".

"Che vi perdonava volentieri il primo avvenimento, ma che aveva saputo che vivevate pubblicamente con monsieur Armand Duval, e che questo non ve lo avrebbe perdonato. 'Marguerite lasci quel giovane', mi ha detto, 'e io le darò, come in passato, tutto ciò che vorrà, altrimenti dovrà rinunciare a chiedermi qualunque cosa'".

"E che gli avete risposto?".

"Che vi avrei comunicato la sua decisione, e gli ho promesso che avrei cercato di farvi ragionare. Riflettete, bambina mia, pensate alla posizione che perdete, e che Armand non potrà mai restituirvi. Egli vi ama con tutta l'anima, ma non è abbastanza ricco da soddisfare i vostri bisogni, e bisognerà pure che un giorno vi lasciate, ma allora sarà troppo tardi e il duca non vorrà fare più niente per voi. Volete che parli ad Armand?".

Marguerite sembrava riflettere, perché non rispondeva.

Il cuore mi batteva con violenza, mentre attendevo la sua risposta.

"No", riprese, "non lascerò Armand, e non mi nasconderò per vivere con lui. E' una pazzia, forse, ma lo amo! che volete? E poi, ora lui è abituato ad amarmi senza ostacoli, soffrirebbe troppo di essere obbligato a lasciarmi, fosse pure solo per un'ora al giorno.

D'altronde, io non ho da vivere così a lungo da permettermi di essere infelice e obbedire ai desideri di un vecchio la cui sola vista mi fa invecchiare. Si tenga il suo denaro: ne farò a meno".

"Ma come farete?".

"Non lo so".

Prudence stava certo per rispondere qualcosa ma io mi precipitai dentro e corsi a gettarmi ai piedi di Marguerite, coprendo le sue mani con le lacrime che la gioia di essere amato così mi faceva versare.

"La mia vita è tua, Marguerite, tu non hai più bisogno di quell'uomo; non ci sono io, forse? potrei mai abbandonarti? potrei mai ripagare abbastanza la felicità che mi dai? Basta coi timori, Marguerite mia, noi ci amiamo! che c'importa del resto?".

"Oh, sì, io ti amo, Armand mio!", mormorò passandomi le braccia intorno al collo, "ti amo come non avrei mai creduto dl poter amare.

Saremo felici, vivremo in pace, e io dirò addio per sempre alla vita della quale adesso arrossisco. Tu non mi rimprovererai mai il passato, vero?".

Le lacrime mi velavano la voce. Non riuscii a rispondere che stringendo Marguerite al cuore "Ecco", disse rivolgendosi a Prudence, con voce commossa, "riferite questa scena al duca, e aggiungete che non abbiamo bisogno di lui".

Da quel giorno del duca non si parlò più. Marguerite non era più la ragazza che avevo conosciuta; evitava tutto ciò che avrebbe potuto ricordarmi la vita in mezzo alla quale la avevo incontrata; mai donna, mai sorella, ebbe per il suo sposo o per suo fratello l'amore e le cure che lei aveva per me. Quella natura malaticcia era aperta a tutte le impressioni, accessibile a tutti i sentimenti. Aveva rinunciato alle sue amiche come alle sue abitudini, al suo modo di parlare come alle spese di una volta. Quando ci vedevano uscire di casa per fare una passeggiata in un delizioso battellino che avevo comperato, non si sarebbe mai creduto che quella donna vestita di bianco, col gran cappello di paglia, che portava sul braccio una semplice mantiglia di seta per proteggersi dall'umidità del fiume, fosse quella Marguerite Gautier che, quattro mesi prima, faceva parlare del suo lusso e dei suoi scandali.

Ahimè! eravamo avidi di felicità, come se intuissimo che non ne avremmo goduto a lungo.

Da due mesi non eravamo neppure andati a Parigi. Nessuno era venuto a trovarci, salvo Prudence, e quella Julie Duprat della quale vi ho parlato, e alla quale Marguerite doveva un giorno affidare il commovente racconto che ho conservato.

Trascorrevo intere giornate ai piedi della mia amante. Aprivamo le finestre che davano sul giardino, e guardando l'estate splendere allegramente tra i fiori che aveva fatto schiudere e sotto l'ombra degli alberi, respiravamo l'uno accanto all'altra la vera vita, che né Marguerite né io avevamo fino a quel momento capita.

Quella donna si stupiva, come un bambino, delle più piccole cose. In certi giorni correva per il giardino, come una bambina di dieci anni, dietro a una farfalla o a una libellula. Quella cortigiana, che aveva fatto spendere in fiori più denaro di quanto basta per far vivere nell'agiatezza un'intera famiglia, si sedeva a volte nel prato, per un'ora, a contemplare il semplice fiore di cui portava il nome.

Fu in quel periodo che lesse così spesso Manon Lescaut. La sorpresi molte volte mentre annotava quel libro: e mi diceva sempre che quando una donna è innamorata non può fare che quello che faceva Manon.

Il duca le scrisse due o tre volte. Lei riconobbe la grafia e mi diede le lettere senza leggerle.

Qualche volta le espressioni di quelle lettere mi facevano salire le lacrime agli occhi.

Egli aveva creduto, chiudendo la sua borsa a Marguerite, di ricondurla a sé; ma quando si era accorto dell'inutilità di quel sistema, non aveva potuto resistere: aveva scritto, chiedendo di nuovo, come già un'altra volta, il permesso di tornare, qualsiasi fossero le condizioni poste a quel ritorno.

Avevo dunque letto quelle lettere ansiose e insistenti e le avevo strappate, senza rivelare a Marguerite il loro contenuto, e senza consigliarle di rivedere il vecchio, benché un sentimento di pietà per il dolore del pover'uomo mi spingesse a farlo; ma temevo che lei vedesse in quel consiglio il desiderio di far ricadere di nuovo sul duca gli oneri della casa, facendogli riprendere le antiche visite; temevo soprattutto che lei mi credesse capace di rifiutare la responsabilità della sua vita, con tutte le conseguenze alle quali il suo amore per me poteva trascinarla.

Ne risultò che il duca, non ricevendo risposta, smise di scrivere, e che Marguerite e io continuammo a vivere insieme senza preoccuparci del futuro.

 

 

CAPITOLO 18

 

Mi sarebbe difficile riferirvi i particolari della nostra nuova vita.

Essa era costituita da una serie di puerilità, incantevoli per noi, ma insignificanti per coloro ai quali potrei raccontarle. Voi sapete bene che cosa sia amare una donna, voi sapete bene come le giornate diventino brevi, e con quale amorosa pigrizia ci si lasci trascinare all'indomani. Voi non ignorate certo quell'oblio di ogni cosa, che nasce da un amore violento, fiducioso e condiviso. Qualsiasi essere nel creato, che non sia la donna amata, sembra inutile. Si rimpiange di aver già gettato particelle di cuore ad altre donne, e non si immagina neppure la possibilità di stringere una mano diversa da quella che si tiene fra le nostre. Il cervello non sopporta lavoro né ricordo, niente insomma di ciò che potrebbe distoglierlo dall'unico pensiero che continuamente gli si offre. Ogni giorno si scopre nella propria amante un incanto nuovo, una voluttà sconosciuta.

La vita non è più nient'altro che il ripetuto soddisfacimento di un desiderio continuo, l'anima non è più che la vestale incaricata di alimentare il sacro fuoco dell'amore.

Spesso, dopo che la notte era scesa, andavamo a sederci sotto il boschetto che stava dietro la casa. Lì ascoltavamo le allegre melodie della sera, pensando tutti e due all'avvicinarsi del momento che ci avrebbe messi, fino all'indomani, l'uno nelle braccia dell'altra. A volte restavamo a letto tutta la giornata, senza nemmeno lasciare che il sole entrasse nella nostra stanza. Le tende erano ermeticamente chiuse, e il mondo esterno, per un attimo, smetteva di esistere per noi. Solo a Nanine era consentito di aprire la nostra porta, ma unicamente per portarci i pasti; li consumavamo senza alzarci, inframmezzandoli continuamente di risa e scherzi. A questo seguiva un sonno di qualche istante, perché, scomparendo nel nostro amore, eravamo come due ostinati tuffatori che tornano alla superficie solo per riprendere fiato.

Tuttavia, sorprendevo in Marguerite momenti di tristezza e talvolta anche lacrime; le chiedevo da che cosa le venisse quel dolore improvviso, e lei mi rispondeva:

"Il nostro amore non è un amore normale, mio caro Armand. Tu mi ami come se non fossi mai appartenuta a nessun altro, e io tremo al pensiero che più tardi, pentendoti del tuo amore e considerando come un delitto il mio passato, tu mi costringa a gettarmi di nuovo nell'esistenza dalla quale mi hai presa. Ora che ho provato una vita nuova, morirei se tornassi all'altra. Dimmi, dunque, che non mi lascerai mai".

"Te lo giuro!".

A questa parola, lei mi guardava come per leggermi negli occhi se il giuramento era sincero; poi si gettava fra le mie braccia e, nascondendo la testa contro il mio petto, mi diceva:

"Il fatto è che tu non sai quanto ti amo!".

Una sera, stavamo appoggiati al davanzale della finestra guardando la luna che sembrava uscire a fatica dal suo letto dl nuvole, ascoltando il vento che scuoteva rumorosamente gli alberi, e tenendoci per mano; da un quarto d'ora stavamo così, in silenzio, quando Marguerite mi disse:

"Ecco l'inverno, ormai; vuoi che partiamo?".

"E per dove?".

"Per l'Italia.

"Ti annoi, dunque?".

"Ho paura dell'inverno, ho paura soprattutto del nostro ritorno a Parigi".

"Perché?".

"Per molte ragioni".

Poi proseguì bruscamente, senza dirmi le ragioni dei suoi timori:

"Vuoi partire? venderò tutto ciò che possiedo, ce ne andremo a vivere laggiù, non mi resterà niente di ciò che ero, nessuno saprà chi sono.

Vuoi?".

"Partiamo, se ti fa piacere, Marguerite; andiamo a fare un viaggio", le rispondevo; "ma per quale ragione vendere cose che sarai felice di ritrovare al tuo ritorno? Non sono così ricco da poter accettare un sacrificio simile ma lo sono abbastanza da permettere ad entrambi di viaggiare comodamente per cinque o sei mesi, se di questo hai il benché minimo desiderio".

"Infatti, no", proseguì lasciando la finestra e andando a sedersi sul divano, nella parte più buia della stanza; "perché andare a spendere del denaro laggiù? ti costo già abbastanza qui".

"Non è generoso, Marguerite, che tu me lo rimproveri".

"Perdonami, amico mio" rispose tenendomi la mano, "questo temporale che si avvicina mi fa male ai nervi; non dico quello che vorrei dire".

E, dopo avermi baciato, si abbandonò a una lunga fantasticheria. Molto spesso accaddero scene come questa, e, se ignoravo da che cosa nascessero, tuttavia scoprivo in Marguerite un sentimento di inquietudine per il futuro. Lei non poteva dubitare del mio amore, che aumentava ogni giorno, tuttavia la vedevo spesso triste, e mi spiegava sempre il motivo della sua tristezza dandole una causa fisica.

Temendo che si stancasse di quella vita troppo monotona le proposi di tornare a Parigi, ma respingeva sempre questa proposta, assicurandomi che in nessun altro luogo avrebbe potuto sentirsi felice come in campagna.

Prudence veniva ormai solo di rado, ma, in cambio, scriveva lettere che io non avevo mai chiesto di leggere, sebbene ogni volta gettassero Marguerite in uno stato di profonda preoccupazione. Non sapevo che cosa pensarne.

Un giorno Marguerite restò in camera sua. Vi entrai.

Stava scrivendo.

"A chi scrivi?", le chiesi.

"A Prudence: vuoi che ti legga quello che sto scrivendo?".

Avevo in orrore tutto ciò che potesse assomigliare a un sospetto, e quindi risposi a Marguerite che non avevo bisogno di sapere che cosa stesse scrivendo, per quanto, ne ero certo, quella lettera mi avrebbe resa nota la vera ragione delle sue tristezze.

L'indomani il tempo era stupendo. Marguerite mi propose una passeggiata in barca e una visita all'isola di Croissy; sembrava allegrissima. Tornammo a casa alle cinque.

"E' venuta madame Duvernoy", disse Nanine vedendoci rientrare.

"E' ripartita?", chiese Marguerite.

"Sì, con la vostra carrozza; ha detto che eravate d'accordo".

"Molto bene", disse Marguerite con vivacità, "fateci servire".

Due giorni dopo arrivò una lettera di Prudence, e per quindici giorni Marguerite parve liberata da quelle misteriose malinconie, delle quali, da quando non esistevano più, non cessava di chiedermi perdono.

Tuttavia la carrozza non tornava.

"Come mai Prudence non ti rimanda la vettura?", le chiesi un giorno.

"Uno dei cavalli è ammalato, e inoltre bisogna fare delle riparazioni.

E' meglio che provvedere mentre noi siamo ancora qui, dove non abbiamo bisogno della carrozza, piuttosto che aspettare di essere tornati a Parigi".

Dopo qualche giorno Prudence venne a trovarci, e mi confermò quanto Marguerite mi aveva detto.

Le due donne andarono a passeggiare in giardino, da sole e quando le raggiunsi cambiarono discorso.

La sera, al momento di andarsene, Prudence si lamentò del freddo, e pregò Marguerite di prestarle uno scialle.

Passò così un mese, durante il quale Marguerite fu più allegra e attraente che mai.

Tuttavia la carrozza non era tornata, lo scialle non era stato restituito, e tutto questo, mio malgrado, mi preoccupava, e dato che sapevo in quale cassetto Marguerite metteva le lettere di Prudence, approfittai di un momento in cui era in fondo al giardino per correre a quel cassetto, che cercai di aprire, ma invano, poiché era chiuso a doppia mandata.

Frugai allora in quelli dove di solito erano conservati i gioielli e i brillanti; questi si aprirono senza fatica, ma gli astucci erano scomparsi, naturalmente con tutto ciò che contenevano.

Un timore lancinante mi strinse il cuore.

Avrei preteso di sapere da Marguerite la verità su quelle sparizioni, ma certo lei non me l'avrebbe confessato.

"Mia cara Marguerite", le dissi allora, "ti chiedo ii permesso di andare a Parigi. A casa mia non sanno dove io mi trovi e devono essere arrivate lettere di mio padre; sarà certo preoccupato, e bisogna che gli risponda".

"Va', amico mio", mi rispose, "ma torna presto".

Partii.

Corsi subito da Prudence.

"Insomma", le dissi senza preamboli, "rispondetemi francamente, dove sono i cavalli di Marguerite?".

"Venduti".

"Lo scialle?".

"Venduto".

"I brillanti?".

"Impegnati".

"E chi se ne è occupato?".

"Io".

"Perché non mi avete avvertito?".

"Perché Marguerite me lo ha proibito".

"E perché non mi avete chiesto denaro?".

"Non voleva".

"A che cosa è servito il denaro?".

"A pagare".

"Ha dunque molti debiti?".

"Ancora trentamila franchi, circa. Ah, caro mio, ve lo avevo detto! ma non avete voluto credermi; ebbene, adesso vi convincerete. Il tappezziere, presso il quale il duca si era reso garante, è stato messo alla porta appena si è presentato a casa del duca, il quale il giorno seguente gli ha scritto che non avrebbe fatto niente per mademoiselle Gautier. Quest'uomo ha preteso il denaro, gli sono stati dati degli acconti, cioè quelle poche migliaia di franchi che vi ho chiesto; poi delle anime pie lo hanno avvertito che la sua debitrice, abbandonata dal duca, viveva con un giovane senza beni di fortuna; anche gli altri creditori sono stati avvertiti, hanno chiesto denaro, hanno fatto dei pignoramenti. Marguerite avrebbe voluto vendere tutto" ma era troppo tardi, e d'altronde parte io mi sarei opposta. Bisognava pagare comunque e, pur di non chiedere a voi del denaro, lei ha venduto i cavalli e gli abiti, e ha impegnato i gioielli. Volete le ricevute dei compratori e le polizze del Monte di Pietà?".

E Prudence, aperto un cassetto, mi mostrava quei documenti.

"Ah! voi credete", continuò con l'insistenza propria della donna che può ben dire: "Avevo ragione!". "Ah! voi credete che basti amarsi e rifugiarsi in campagna a fare una vita pastorale e idilliaca? No, amico mio, no. Accanto alla vita ideale c'è la vita materiale, e le più caste decisioni sono trattenute a terra da fili esigui, ma di ferro, e che non possono essere facilmente spezzati. Se Marguerite non vi ha tradito venti volte, è perché la sua è una natura eccezionale, e non che io non glielo abbia consigliato, perché mi faceva male vedere quella povera figliuola spogliarsi di tutto. Ma non ha voluto! mi ha risposto che vi ama e che per niente al mondo vi avrebbe tradito.

Tutto ciò è molto bello, molto poetico, ma non è con questa moneta che si pagano i creditori, e a questo punto, vi ripeto, lei non può trarsi d'impaccio che con una trentina di migliaia di franchi".

"Va bene, vi darò questa somma".

"La chiederete in prestito?".

"Mio Dio, sì".

"E farete proprio una bella cosa; vi guasterete con vostro padre, comprometterete la vostra rendita, e poi, trentamila franchi non si trovano così, dall'oggi al domani. Credetemi, caro Armand, io conosco le donne meglio di voi; non commettete questa sciocchezza, della quale un giorno potreste pentirvi. Siate ragionevole. Non vi dico di lasciare Marguerite, ma vivete con lei come vivevate all'inizio dell'estate. Lasciate che trovi da sola il modo di trarsi d'imbarazzo.

Il duca si riaccosterà a lei, un po' alla volta. Il conte de N... mi ha detto proprio ieri che se essa lo accetterà, pagherà tutti i suoi debiti, e le darà quattro o cinquemila franchi al mese: ha duecentomila franchi di rendita. Sarà per lei una posizione; invece voi dovreste pur decidervi a lasciarla: non aspettate quindi di esservi rovinato, tanto più che quel conte de N... è uno sciocco, e niente vi impedirà di rimanere l'amante di Marguerite. Lei piangerà un po' i primi tempi, poi finirà col farci l'abitudine, e un giorno vi ringrazierà di quello che avrete fatto. Fingete che Marguerite sia sposata, e ingannate il marito ecco tutto. Vi ho già detto un'altra volta tutto ciò; soltanto che a quel tempo era solo un consiglio, mentre oggi è quasi una necessità".

Prudence aveva maledettamente ragione.

"Così stanno le cose", continuò, ripiegando le carte che mi aveva mostrato, "le mantenute prevedono sempre di essere amate, mai di amare, altrimenti metterebbero del denaro da parte, e a trent'anni potrebbero pagarsi il lusso di avere un amante per niente. Se io avessi saputo prima quello che so adesso! Comunque, non dite niente a Marguerite, e riportatela a Parigi. Avete vissuto da solo con lei quattro o cinque mesi, un tempo ragionevole; ora chiudete gli occhi, è tutto quanto vi si chiede. In capo a quindici giorni lei dirà di sì al conte de N..., quest'inverno farà delle economie, e l'estate prossima ricomincerete. Ecco come si fa, caro mio!".

Prudence pareva entusiasta del suo consiglio, che io respingevo indignato.

Non solo il mio amore e la mia dignità non mi avrebbero permesso di comportarmi a quel modo, ma ero anche profondamente convinto che, al punto in cui era, Marguerite sarebbe morta piuttosto che accettare quel compromesso.

"Basta con gli scherzi", dissi a Prudence; "di quanto ha bisogno Marguerite, in tutto?".

"Ve l'ho detto, circa trentamila franchi".

"E per quando occorre questa somma?".

"Entro due mesi".

"La avrà".

Prudence alzò le spalle.

"La consegnerò a voi", continuai, "ma giuratemi che non direte a Marguerite che sono stato io a darvela".

"State tranquillo".

"E se vi manderà qualche altra cosa da vendere o da impegnare, avvertitemi".

"Non c'è pericolo, non ha più niente".

Passai a casa mia per vedere se c'erano lettere di mio padre.

Ce n'erano quattro.

 

 

 

CAPITOLO 19

 

Nelle tre prime lettere, mio padre si mostrava preoccupato del mio silenzio, e me ne chiedeva il motivo; nell'ultima, mi faceva capire di essere stato informato della nuova vita che conducevo, e mi annunciava il suo imminente arrivo.

Ho avuto sempre un grande rispetto e un affetto sincero per mio padre; gli risposi, perciò, che un piccolo viaggio era stato la causa del mio silenzio e lo pregai di avvertirmi del giorno del suo arrivo, affinché potessi andargli incontro.

Diedi al domestico il mio indirizzo di campagna, raccomandandogli di portarmi la prima lettera che fosse arrivata col timbro di C..., poi ripartii subito per Bougival.

Marguerite mi aspettava al cancello del giardino.

Il suo sguardo esprimeva apprensione. Mi saltò al collo, e non poté fare a meno di chiedermi:

"Hai visto Prudence?".

"No" .

"Ti sei trattenuto molto a Parigi".

"Ho trovato delle lettere di mio padre, alle quali ho dovuto rispondere".

Dopo qualche istante, arrivò Nanine, ansante. Marguerite si alzò e si mise a parlare con lei sottovoce.

Appena Nanine se ne fu andata, Marguerite mi disse, tornando a sedersi accanto a me e prendendomi la mano:

"Perché mi hai ingannata? Sei stato da Prudence".

"Chi te l'ha detto?".

"Nanine".

"E come lo ha saputo?" "Ti ha seguito".

"Le avevi dunque ordinato di seguirmi?".

"Sì. Ho pensato che dovevi avere un motivo molto importante per correre a Parigi così in fretta, dato che in quattro mesi non mi hai mai lasciata sola. Temevo che ti fosse accaduta una disgrazia, o che andassi forse a trovare un'altra donna".

"Sciocchina!" .

"Ora sono rassicurata, so ciò che hai fatto, ma non so ancora ciò che ti è stato detto".

Mostrai a Marguerite le lettere di mio padre.

"Non ti ho chiesto questo: quello che vorrei sapere è perché sei andato da Prudence".

"Per farle una visita".

"Tu menti, amico mio".

"Ebbene, sono andato a chiederle se il cavallo stava meglio, e se aveva ancora bisogno del tuo scialle e dei tuoi gioielli".

Marguerite arrossì senza rispondere.

"E", proseguii, "ho saputo che cosa avevi fatto dei cavalli, degli abiti e dei brillanti".

"E me ne vuoi?".

"Te ne voglio perché non hai pensato a chiedere a me ciò di cui avevi bisogno".

"In una relazione come la nostra, se la donna conserva un po' di dignità, deve imporsi tutti i sacrifici possibili pur di non chiedere denaro al suo amante, per non dare un aspetto venale al suo amore. Tu mi ami, ne sono certa, ma non sai come è sottile il filo che trattiene nel cuore l'amore che si ha per donne come me. Chi sa? forse, in un giorno di malumore o di noia, avresti immaginato di vedere nella nostra relazione un calcolo abilmente combinato! Prudence è una chiacchierona. Che bisogno avevo di quei cavalli? Vendendoli, ho fatto un guadagno; posso ben farne a meno, e così non devo più spendere niente per mantenerli; purché tu mi ami, è tutto ciò che chiedo, e tu mi amerai lo stesso senza cavalli senza abiti e senza gioielli".

Tutto ciò era detto con un tono così naturale, che ascoltando mi venivano le lacrime agli occhi.

"Ma, mia cara Marguerite", risposi stringendo affettuosamente le mani della mia amante, "tu sapevi bene che un giorno avrei saputo di questo tuo sacrificio, e che, il giorno in cui l'avessi saputo, non lo avrei tollerato".

"Perché?".

"Perché, bambina cara, non voglio che l'affetto che hai per me possa privarti fosse pure di un anellino. Non voglio neanch'io che, in un momento di malumore o di noia, tu possa pensare che se vivessi con un altro non avresti momenti simili, e che tu ti penta, sia pure per un istante, di vivere con me. Tra qualche giorno riavrai i tuoi cavalli, i tuoi brillanti, i tuoi abiti. Ti sono necessari come l'aria che respiri, e, sarà forse ridicolo, ma io ti preferisco nel fasto che nella semplicità".

"Vuol dire che non mi ami più".

"Sei pazza!".

"Se mi amassi, mi permetteresti di amarti a modo mio, invece ti ostini a vedere in me soltanto una ragazza a cui il lusso è indispensabile, e ti credi sempre obbligato a pagare. Tu ti vergogni di accettare delle prove del mio amore. Tuo malgrado, pensi che un giorno mi lascerai, e tieni a mettere la tua delicatezza al riparo da ogni sospetto. Hai ragione, amico mio, ma io avevo sperato di meglio".

Marguerite fece il gesto di alzarsi, ma la trattenni, dicendole:

"Voglio che tu sia felice, e che non abbia niente da rimproverarmi, ecco tutto".

"E ci separaremo!".

"Perché, Marguerite? Chi può separarci?", gridai.

"Tu stesso, perché non mi consenti di capire la tua posizione, e pretendi di conservare la mia, tu, perché conservando il lusso in mezzo al quale ho vissuto, vuoi conservare la distanza morale che ci separa; tu, insomma, perché non reputi il mio affetto abbastanza disinteressato, tanto da dividere con me la tua rendita, con la quale potremmo vivere felici insieme, e perché preferisci rovinarti, schiavo come sei di un ridicolo pregiudizio. Credi forse che io metta una carrozza e dei gioielli sullo stesso piano del tuo amore? credi che la felicità stia per me nelle frivolezze di cui ci si accontenta quando non si ha un amore, ma che diventano ben poca cosa quando si ama?

Pagherai i miei debiti, impegnerai il tuo patrimonio e, finalmente, mi manterrai! E quanto tempo durerà tutto ciò? Due o tre mesi, e allora sarà troppo tardi per intraprendere la vita che ti sto proponendo, perché allora accetteresti tutto da me, cosa che un uomo d'onore non può fare. Ora, invece, tu hai otto o diecimila franchi di rendita, con i quali potremmo vivere. Io venderò il superfluo di quanto possiedo, e questa vendita mi frutterà da sola duemila franchi all'anno.

Prenderemo in affitto un grazioso appartamentino nel quale entrambi vivremo. L'estate verremo in campagna, non in una casa come questa, ma in una casetta sufficiente per due persone. Tu sei indipendente, io sono libera, siamo giovani; in nome del cielo, Armand, non gettarmi di nuovo nella vita che in altri tempi sono stata costretta a condurre".

Non riuscivo a rispondere, lacrime di riconoscenza e d'amore mi inondavano gli occhi, e mi gettai fra le braccia di Marguerite.

"Volevo", riprese, "sistemare tutto senza dirti niente, pagare tutti i miei debiti e far preparare una nuova casa. Inoltre, saremmo tornati a Parigi, e ti avrei detto tutto; ma siccome Prudence ti ha avvertito, bisogna che tu sia d'accordo adesso invece di esselo dopo. Mi ami abbastanza da poterlo fare?".

Era impossibile resistere a tanta abnegazione. Baciai con slancio le mani di Marguerite, e le dissi:

"Farò tutto ciò che vorrai".

Quello che lei aveva deciso, fu stabilito.

Allora si abbandonò a una folle allegria: ballava, cantava si rallegrava per la semplicità della sua nuova casa, per l'ubicazione e l'arredamento, sui quali mi chiedeva consiglio.

La vedevo felice e fiera di quella decisione che sembrava doverci riavvicinare definitivamente.

Non volli esserle da meno, e in un solo istante decisi tutta la mia vita. Stabilita l'entità del mio patrimonio, destinai a Marguerite la rendita che mi veniva da mia madre, e che mi sembrava del resto insufficiente a ricompensarla del sacrificio che avevo accettato da lei.

Mi restavano i cinquemila franchi di pensione che mio padre annualmente mi passava, e che, qualsiasi cosa fosse accaduto, mi sarebbero bastati per vivere.

Non dissi a Marguerite della mia decisione, convinto che avrebbe rifiutato la mia offerta.

La mia rendita proveniva da un'ipoteca di sessantamila franchi su una casa che non avevo neppure mai visto. Tutto ciò che sapevo era che ogni tre mesi il notaio di mio padre, vecchio amico di famiglia, mi versava settecentocinquanta franchi contro una semplice ricevuta.

Il giorno in cui Marguerite e io andammo a Parigi per cercare casa, mi recai dal notaio e gli chiesi in che modo avrei potuto cedere a un'altra persona la mia rendita.

Il brav'uomo mi credette rovinato e mi interrogò sul motivo di questa decisione; e siccome prima o poi avrei pur dovuto dirgli il nome di colei cui volevo fare la donazione, mi decisi a raccontargli subito ogni cosa.

Egli non mi pose nessuna delle obiezioni che la sua posizione di notaio e di amico lo avrebbe autorizzato a pormi e mi promise che avrebbe fatto in modo di sistemare tutto per il meglio.

Gli raccomandai, naturalmente, la massima discrezione verso mio padre, e andai a raggiungere Marguerite che mi aspettava in casa di Julie Duprat, dove aveva preferito fermarsi piuttosto che andare ad ascoltare le prediche di Prudence.

Ci mettemmo a cercare casa. Marguerite trovava tutti gli appartamenti troppo cari, io li trovavo troppo modesti. Tuttavia finimmo con l'accordarci, e scegliemmo in uno dei quartieri più tranquilli di Parigi un piccolo padiglione, isolato dalla casa principale, sul cui retro si stendeva un grazioso giardino, circondato da mura abbastanza alte da separarci dai vicini, e abbastanza basse da non limitarci la vista.

Era meglio di quanto avessimo sperato.

Mentre mi recavo a casa mia per dare la disdetta dell'appartamento, Marguerite andò da un uomo d'affari che, mi disse, aveva già fatto per una delle sue amiche ciò di cui lei lo avrebbe pregato.

Venne a riprendermi in rue de Provence, felice. Quell'uomo le aveva promesso di pagare tutti i suoi debiti, di lasciargliene quietanza, e di versarle una ventina di migliaia di franchi in cambio di tutti i mobili. Potete rendervi ben conto, dal prezzo al quale è salita l'asta, che quel galantuomo avrebbe guadagnato a spese della sua cliente più di trentamila franchi.

Ripartimmo, felici, per Bougival, continuando a comunicarci i nostri progetti per l'avvenire, che, grazie alla nostra spensieratezza e soprattutto al nostro amore, vedevamo nei colori più rosei.

Otto giorni dopo, mentre eravamo a tavola, Nanine venne ad avvertirmi che il mio domestico mi cercava.

Lo feci entrare.

"Signore", mi disse, "vostro padre è a Parigi, e vi prega di andare subito a casa, dove vi aspetta".

Questa notizia era la cosa più semplice del mondo, tuttavia, nel sentirla, Marguerite e io ci scambiammo un'occhiata quasi presagendo che da quell'avvenimento sarebbe nata una sciagura.

E così, senza che lei mi parlasse di quell'impressione, che era anche la mia, risposi stringendole la mano:

"Sta' tranquilla".

"Torna più presto che puoi", mormorò Marguerite abbracciandomi, "ti aspetterò alla finestra".

Mandai Joseph ad avvertire mio padre del mio prossimo arrivo: infatti, due ore dopo ero in rue de Provence.

 

 

 

 CAPITOLO 20

 

Mio padre, in veste da camera, era seduto in salotto e scriveva.

Capii subito, dal modo in cui mi guardò, che si trattava di cose gravi. Gli andai comunque incontro come se non avessi indovinato niente dall'espressione del suo volto, e lo abbracciai.

"Quando siete arrivato, padre mio?".

"Ieri sera".

"Siete venuto in casa mia, come sempre?".

"Sì" .

"Mi dispiace di non essere stato qui per ricevervi".

Mi aspettavo che da questa frase mio padre avrebbe tratto occasione per la predica che il suo gelido viso prometteva ma non rispose, sigillò la lettera che aveva scritto, e la consegnò a Joseph perché la imbucasse.

Quando fummo soli, mio padre si alzò e, appoggiandosi al caminetto, mi disse:

"Mio caro Armand, dobbiamo parlare di cose serie".

"Vi ascolto, padre mio".

"Mi prometti di essere sincero?".

"E' mia abitudine".

"E' vero che vivi con una donna chiamata Marguerite Gautier?".

"Sì".

"Sai chi era quella donna?".

"Una mantenuta".

"Ed è per lei che quest'anno hai dimenticato di venire a trovare tua sorella e me!".

"E' vero, padre, lo confesso".

"L'ami dunque molto?".

"Come vedete, dal momento che mi ha fatto venir meno a un sacro dovere; di questo vi chiedo, oggi, umilmente perdono".

Mio padre, di certo, non si aspettava delle risposte così decise, perché sembrò riflettere un attimo; poi mi disse:

"Ti sei reso conto che non potrai vivere sempre così?" "Lo temevo, ma non l'ho capito".

"Ma avresti dovuto capire", continuò mio padre in tono più secco, "che io non lo avrei sopportato".

"Mi sono detto che fino a quando non avessi fatto cosa contraria al rispetto che devo al vostro nome e alla tradizionale onestà della famiglia, avrei potuto vivere in questo modo, il che mi ha sollevato un po' dai miei timori".

Le passioni agguerriscono contro i sentimenti; ero pronto a combattere contro tutti, anche contro mio padre, pur di non perdere Marguerite.

"Allora, è venuto il momento di vivere diversamente".

"Perché, padre mio?".

"Perché sei sul punto di fare cose che feriscono il rispetto che credi di avere per la tua famiglia".

"Non capisco cosa vogliate dire".

"Ti spiegherò. Che tu abbia un'amante, va bene; che tu la paghi come un galantuomo deve pagare l'amore di una mantenuta, va benissimo; ma che tu dimentichi per lei le cose più sacre, che tu permetta che l'eco della vostra vita scandalosa arrivi fino in fondo alla provincia e macchi il nome onorato che ti ho dato, è cosa che non deve essere, è cosa che non sarà" "Permettetemi di rispondervi, padre mio, che quelli che vi hanno avvertito sul conto mio erano male informati. Sono l'amante di mademoiselle Gautier, vivo con lei, è la cosa più naturale del mondo.

Non do a mademoiselle Gautier il nome che ho ricevuto da voi, non spendo per lei che quel che i miei mezzi mi permettono di spendere, non ho contratto alcun debito, non mi sono mai trovato, insomma, in alcuna di quelle situazioni che autorizzano un padre a dire a un figlio quanto voi avete detto a me".

"Un padre ha sempre il diritto di distogliere il proprio figlio dalla cattiva strada per la quale lo vede incamminarsi. Tu non hai fatto ancora niente di male, ma lo farai".

"Padre!".

"Giovanotto, conosco la vita meglio di te. Sentimenti interamente puri esistono solo nelle donne interamente caste. Qualsiasi Manon può fare un Des Grieux, e i tempi e i costumi sono mutati. Sarebbe inutile che il mondo invecchiasse, se non dovesse mai cambiare. Tu lascerai la tua amante".

"Mi addolora disobbedirvi, padre mio, ma mi è impossibile".

"Ti costringerò".

"Disgraziatamente, padre mio, non esistono più isole Sainte-Marguerite nelle quali mandare le cortigiane, e se pure ci fossero ancora vi seguirei mademoiselle Gautier, se voi otteneste di farcela relegare.

Che cosa volete? forse ho torto, ma non posso essere felice che a condizione di essere l'amante di quella donna".

"Insomma, Armand, apri gli occhi, ascolta tuo padre che ti ha sempre voluto bene e che non desidera altro che la tua felicità. Credi che sia dignitoso per te andare a vivere coniugalmente con una donna che è stata di tutti?".

"Che importa, padre mio, se nessuno la avrà più? che importa, se quella donna mi ama, se rifiorisce nell'amore che ha per me, nell'amore che ho per lei? che importa, insomma, se si è ravveduta?".

"Oh! credi dunque, giovanotto, che la missione di un uomo d'onore sia quella di far ravvedere le prostitute? credi dunque che Dio abbia dato alla vita questo ridicolo scopo, e che il cuore non debba avere altro entusiasmo che quello? Quale sarà la conclusione di questa meravigliosa cura, e che cosa penserai di ciò che dici oggi, quando avrai quarant'anni? Riderai del tuo amore, se ti sarà permesso ridere ancora, se non avrà lasciato tracce troppo profonde nel tuo passato.

Che cosa saresti oggi, se tuo padre l'avesse pensata come te e avesse abbandonato la sua vita a tutte le brezze d'amore, invece di fondarla in modo indistruttibile sopra un'idea di onore e di lealtà? Pensaci, Armand, e non dir più simili sciocchezze. Insomma, lascia quella donna, tuo padre te ne supplica".

Io non risposi.

"Armand", continuò mio padre, "in nome di quella santa di tua madre, dammi retta, rinuncia a questa vita, la dimenticherai prima di quanto tu non creda, a lei ti incatena una teoria assurda. Hai ventiquattro anni, pensa al futuro. Non potrai amare per sempre quella donna che, dal canto suo, non ti amerà per sempre. Entrambi esagerate il vostro amore, e tu ti precludi ogni carriera. Fa' ancora un passo, e non potrai più lasciare questa strada, e avrai, per tutta la vita, il rimorso della tua giovinezza. Parti, vieni a trascorrere un mese o due accanto a tua sorella. Il riposo e l'affetto della tua famiglia ti faranno ben presto guarire da questa febbre, perché di nient'altro si tratta. Frattanto, la tua amante si consolerà, si prenderà un altro uomo, e quando ti accorgerai per chi hai rischiato di guastarti con tuo padre e di perdere il suo affetto, mi dirai che ho fatto bene a venire a trovarti, e mi ringrazierai. Andiamo, tu partirai, vero Armand?".

Sentivo che mio padre avrebbe avuto ragione, ove si fosse trattato di qualsiasi altra donna, ma ero convinto che su Marguerite si sbagliava.

Tuttavia, il tono con cui aveva pronunciato le ultime parole era così dolce, così supplichevole, che non osavo rispondere niente.

"Ebbene?", disse con voce commossa.

"Ebbene, padre mio", risposi finalmente, "non posso promettervi niente; ciò che mi chiedete va al di là delle mie energie. Credetemi", continuai, vedendolo fare un gesto d'impazienza, "voi esagerate i risultati della mia relazione. Marguerite non è la donna che voi credete. Questo amore, ben lontano dal trascinarmi su una cattiva strada, è invece in grado di sviluppare in me i più nobili sentimenti.

L'amore vero rende sempre migliori, qualunque sia la donna che lo ispira. Se voi conosceste Marguerite, vi rendereste conto che non corro alcun pericolo. Lei è nobile come le donne più nobili. Tanta cupidigia c'è nelle altre, altrettanto disinteresse c'è in lei".

"Il che non le impedisce di accettare tutto il tuo patrimonio, perché i sessantamila franchi che hai avuto da tua madre, e che hai intenzione di dare a lei, sono, ricordartelo bene, la tua sola fortuna".

Mio padre aveva rinviato fino a questo momento quella perorazione e quella minaccia, per darmi l'ultimo colpo.

Ero più forte davanti alle sue minacce che davanti alle sue preghiere.

"Chi vi ha detto che voglio, per lei, rinunciare a quella somma?", risposi.

"Il mio notaio. Un galantuomo avrebbe potuto fare una cosa del genere senza avvertirmi? Ebbene, è per impedire che tu ti rovini per una donna che sono venuto a Parigi. Tua madre, morendo, ti ha lasciato di che vivere dignitosamente, e non di che fare il generoso con le tue amanti".

"Vi giuro, padre mio, che Marguerite non sa niente di questa donazione".

"E allora perché volevi fargliela?".

"Perché Marguerite, la donna che voi calunniate e che volete che io abbandoni, sacrifica tutto ciò che possiede per venire a vivere con me".

"E tu accetti questo sacrificio? Che uomo siete dunque, signore, per permettere a una mademoiselle Marguerite di sacrificarvi qualcosa?

Andiamo, basta. Tu lascerai quella donna. Fino a questo momento te ne ho pregato, ora te lo ordino; non tollero simili sconcezze nella mia famiglia. Fa' le valigie, e preparati a seguirmi".

"Perdonatemi, padre mio", risposi, "ma non partirò".

"Perché?" .

"Perché ho raggiunto l'età in cui non si obbedisce più a un ordine" .

A questa risposta mio padre impallidì.

"Va bene, signore", riprese; "so quel che mi resta da fare".

Suonò.

Apparve Joseph.

"Fa' trasportare i miei bagagli all'Hôtel de Paris", disse al mio domestico, e passò in camera sua, dove finì di vestirsi.

Quando rientrò, gli andai incontro.

"Mi promettete, padre mio", gli dissi, "di non fare niente che possa fare del male a Marguerite?".

Mio padre si fermò, mi guardò con disprezzo, e non mi rispose altro che:

"Io penso che tu sia pazzo".

Dopo di che, uscì chiudendo con violenza la porta. Uscii a mia volta, fermai una carrozza e partii per Bougival.

Marguerite mi aspettava alla finestra.

 

 

 

CAPITOLO 21

 

"Finalmente!" gridò, saltandomi al collo. "Eccoti! Come sei pallido!".

Allora le raccontai la scena con mio padre.

"Oh, Dio mio!, lo immaginavo" disse. "Quando Joseph è venuto ad annunciarci l'arrivo di tuo padre, ho sobbalzato come alla notizia di una disgrazia. Povero caro! e sono io a procurarti tutti questi dispiaceri. Faresti forse meglio a lasciarmi, piuttosto che guastarti con tuo padre. Eppure non gli ho fatto niente. Viviamo molto tranquillamente, e ancora più tranquillamente vivremo. Egli sa bene che devi avere un'amante, e dovrebbe essere contento che questa sia io, dal momento che ti amo e non desidero più di quanto ti consenta la tua posizione. Gli hai detto quello che abbiamo stabilito per l'avvenire?".

"Sì, ed è stata la cosa che lo ha irritato di più, perché ha visto nella nostra decisione la prova del nostro reciproco amore".

"Che faremo, allora?".

"Resteremo insieme, mia dolce Marguerite, e lasceremo passare la tempesta".

"Passerà?".

"Per forza".

"Ma tuo padre non si fermerà a questo".

"Che vuoi che faccia?".

"Come posso saperlo, io? tutto quello che un padre può fare per costringere suo figlio a obbedirgli. Ti ricorderà il mio passato e mi farà forse l'onore di inventare qualche nuova storia perché tu mi abbandoni".

"Sai bene che ti amo".

"Sì, ma so anche che bisogna, prima o poi, obbedire al proprio padre, e tu finirai forse col lasciarti convincere".

"No, Marguerite, sarò io a convincere lui. Sono state le maldicenze di qualche suo amico a provocare la sua collera; ma egli è buono e giusto, e tornerà sulla sua prima impressione. E poi, dopo tutto, che m'importa!".

"Non dire questo, Armand; preferirei qualsiasi cosa piuttosto che si credesse che io ti metto contro la tua famiglia, lascia passare questa giornata, e domani torna a Parigi. Tuo padre avrà riflettuto da parte sua, come tu avrai riflettuto da parte tua, e forse vi capirete meglio. Non urtare i suoi principi, abbi l'aria di fare qualche concessione ai suoi desideri, fingi di non tenere tanto a me, e vedrai che lascerà le cose come stanno. Spera, amico mio, e sii ben certo di una cosa, e cioè che, qualsiasi cosa accada, Marguerite ti apparterrà sempre".

"Me lo giuri?".

"Ho forse bisogno di giurartelo?".

Come è dolce lasciarsi convincere da una voce che si ama! Passammo tutta la giornata a ripeterci i nostri progetti, come se ci fossimo resi conto del bisogno di realizzarli più in fretta. Ci aspettavamo qualche avvenimento da un momento all'altro, ma fortunatamente la giornata passò senza che accadesse niente di nuovo.

L'indomani alle dieci partii, e arrivai verso mezzogiorno all'albergo.

Mio padre era già uscito.

Andai a casa mia, dove speravo che fosse andato. Nessuno. Andai dal notaio. Nessuno!

Tornai all'albergo, e aspettai fino alle sei; mio padre non rientrò.

Ripresi allora la strada di Bougival.

Trovai Marguerite non più ad aspettarmi, come il giorno prima, ma seduta accanto al fuoco, già acceso, data la stagione.

Era così immersa nelle sue riflessioni, che potei avvicinarmi alla sua poltrona senza che mi sentisse. Appena appoggiai le labbra sulla sua fronte, trasalì come se il mio bacio l'avesse svegliata di soprassalto.

"Mi hai fatto paura" disse. "E tuo padre?".

"Non l'ho visto. Non so che cosa possa significare. Non l'ho trovato né a casa, né in alcun posto in cui era probabile che fosse".

"Allora, domani proverai di nuovo".

"Avrei voglia di aspettare che mi mandi a chiamare. Ho fatto, credo, tutto quel che dovevo".

"No, amico mio, non basta, bisogna che tu torni da tuo padre, specialmente domani".

"Perché domani, piuttosto che un altro giorno?".

"Perché", rispose Marguerite, che mi sembrò arrossire un po' alla mia domanda, "perché l'insistenza da parte tua sembrerà più viva e il perdono per noi sarà più immediato". Per tutto il resto della giornata, Marguerite fu preoccupata, distratta, triste. Ero costretto a ripeterle due volte tutte le mie domande, per ottenere una risposta.

Attribuì la sua preoccupazione ai timori che gli avvenimenti che si succedevano da due giorni le procuravano riguardo al nostro avvenire.

Passai la notte a rassicurarla, e l'indomani mi lasciò partire con una insistente inquietudine che non riuscivo a spiegarmi.

Come il giorno prima, mio padre non c'era; ma, uscendo, mi aveva lasciato questa lettera.

"Se oggi tornerai a cercarmi, aspettami fino alle quattro; se per quell'ora non sarò rientrato, torna domani, e pranzeremo insieme: devo parlarti".

Aspettai fino all'ora indicata; ma mio padre non tornò, e io me ne andai.

Il giorno prima avevo trovato Marguerite triste, quel giorno la trovai febbricitante e agitata. Vedendomi entrare, mi saltò al collo, ma pianse a lungo fra le mie braccia.

La interrogai su quel dolore improvviso, la cui intensità mi preoccupava; non mi diede nessuna risposta positiva, dicendo tutto quello che può dire una donna quando non vuol dire la verità.

Quando si fu calmata un po', le dissi del risultato del mio viaggio e, mostrandole la lettera di mio padre, le feci osservare che di sicuro era per noi di buon augurio.

Quando vide la lettera e ascoltò le mie riflessioni, le sue lacrime raddoppiarono, tanto che chiamai Nanine e insieme, per timore di un attacco di nervi, la mettemmo a letto; piangeva senza dire una sola parola, ma mi stringeva le mani, coprendole di baci.

Chiesi a Nanine se, durante la mia assenza, la padrona avesse ricevuto una lettera o una visita che potessero spiegare lo stato in cui si trovava, ma Nanine mi rispose che nessuno era venuto e che non era stata portata nessuna lettera.

Ma non c'era nessun dubbio che dal giorno prima stesse accadendo qualcosa, tanto più preoccupante in quanto Marguerite me lo teneva nascosto.

In serata, sembrò calmarsi un po'; e, facendomi sedere ai piedi del suo letto, mi rinnovò a lungo l'assicurazione del suo amore. Poi mi sorrise, ma a fatica, perché aveva gli occhi velati, suo malgrado, dalle lacrime.

Impiegai tutti i mezzi possibili per indurla a confessare la vera ragione del suo dolore, ma lei si ostinò a darmi ancora le stesse ragioni indefinite che vi ho detto prima.

Si addormentò infine fra le mie braccia, ma di quel sonno da cui il corpo esce prostrato più che riposato; ogni tanto emetteva un grido, si svegliava di soprassalto e, dopo essersi assicurata che io ero accanto a lei, mi faceva giurare di amarla sempre.

Non riuscivo a capire niente di quell'agitazione che scompariva e ritornava, e che si prolungò fino al mattino, quando finalmente Marguerite cadde in una specie di torpore; non dormiva da due notti.

Ma il suo riposo fu di breve durata.

Verso le undici, Marguerite si svegliò e, vedendomi in piedi, gridò, volgendo intorno lo sguardo.

"Vai già via?".

"No" dissi prendendole le mani, "ma ho voluto lasciarti dormire. E' ancora presto".

"A che ora vai a Parigi?".

"Alle quattro".

"Così presto? e prima starai con me, vero?".

"Certo, non è sempre così?".

" Che gioia!". E soggiunse, con aria distratta: "Facciamo colazione?".

"Se vuoi".

"E poi mi terrai ben stretta a te fino al momento di andartene?".

"Sì, e tornerò il più presto possibile".

"Tornerai?", chiese, guardandomi con occhi smarriti.

"Certo".

"Sì, tornerai stasera e io, come sempre, ti aspetterò, e tu mi amerai, e saremo felici come lo siamo da quando ci conosciamo".

Tutte queste parole erano state pronunciate con una voce spezzata dai singhiozzi, sembravano nascondere un costante pensiero doloroso, tanto che temevo che da un momento all'altro Marguerite potesse cadere in deliquio.

"Ascolta", le dissi, "tu stai male, non posso lasciarti così. Vado a scrivere a mio padre di non aspettarmi" "No, no!", gridò lei bruscamente, "non farlo. Tuo padre mi accuserebbe anche di impedirti di andare da lui quando ha desiderio di vederti; no, no, bisogna che tu ci vada, è necessario! D'altronde, io non sto male, sto anzi benissimo. Ho solo fatto un brutto sogno, e non sono ancora ben sveglia" Da quel momento, Marguerite si sforzò di apparire più allegra. Non pianse più.

Venuta l'ora della partenza, la baciai e le chiesi se voleva accompagnarmi alla stazione: speravo che una passeggiata l'avrebbe distratta, e che un po' d'aria le avrebbe fatto bene. Volevo soprattutto restare con lei il più a lungo possibile.

Accettò, prese un mantello e mi accompagnò insieme con Nanine, per non tornare a casa da sola. Per venti volte ebbi la tentazione di non partire. Ma la speranza di tornare presto, e il timore che mio padre potesse mettersi di nuovo contro di me, mi sostennero, e salii sul treno.

"A stasera", dissi a Marguerite nel salutarla.

Non mi rispose. Già una volta non aveva risposto a quella stessa parola, e il conte de G..., come ricorderete, aveva passato la notte a casa di lei; ma quel tempo era così lontano, che sembrava cancellato dalla mia memoria, e se avevo qualche timore, non era più ormai quello che Marguerite mi tradisse.

Appena fui arrivato a Parigi, mi precipitai da Prudence per pregarla di andare a trovare Marguerite, sperando che la sua vivacità e la sua allegria l'avrebbero distratta.

Entrai senza farmi annunciare, e trovai Prudence che si abbigliava.

"Ah!", mi disse, con fare preoccupato. "Marguerite è con voi?".

"No".

"Come sta?".

"Sta poco bene".

"Non verrà?".

"Doveva venire?".

Madame Duvernoy arrossì, e mi rispose, con un certo imbarazzo:

"Volevo dire, poiché siete venuto a Parigi, non verrà a raggiungervi?".

"No".

Guardai Prudence; abbassò gli occhi, e mi parve di leggere sul suo viso il timore che la mia visita si prolungasse.

"Sono venuto anche a pregarvi, cara Prudence, di venire stasera a far visita a Marguerite, se non avete altro da fare; potreste tenerle compagnia, e dormire da noi. Non l'ho mai vista come oggi, e temo che mi si ammali".

"Stasera pranzerò fuori", rispose Prundence, "e non potrò vedere Marguerite, ma la vedrò domani".

Mi congedai da madame Duvernoy, che mi sembrò preoccupata quasi quanto Marguerite, e andai da mio padre il quale, fin dal primo sguardo, prese a scrutarmi con attenzione.

Mi tese la mano.

"Le tue due visite mi hanno fatto piacere, Armand", mi disse; "mi hanno fatto sperare che avresti riflettuto da parte tua, come io ho riflettuto da parte mia".

"Posso permettermi di domandarvi, padre mio, quale sia stato il risultato delle vostre riflessioni?".

"E' stato, mio caro, che avevo esagerato l'importanza dei racconti che mi avevano fatto, e mi sono ripromesso di essere meno severo con te".

"Che dite, padre mio!", gridai con gioia.

"Dico, figliuolo caro, che bisogna bene che un giovanotto abbia un'amante, e che, in seguito a recenti informazioni, preferisco che la tua amante sia mademoiselle Gautier piuttosto che un'altra".

"Padre mio, siete tanto buono! quanto mi rendete felice!".

Discorremmo così per qualche minuto, poi ci mettemmo a tavola. Mio padre fu affettuosissimo per tutto il tempo. Avevo fretta di tornare a Bougival per raccontare a Marguerite di questo felice mutamento.

Guardavo l'orologio continuamente.

"Tu guardi l'ora", disse mio padre, "hai fretta di lasciarmi. Oh, i giovani; sacrificherete dunque sempre gli affetti sinceri ad amori dubbi?".

"Non dite così! Marguerite mi ama, ne sono certo".

Mio padre non rispose; non sembrava né dubitare, né credere.

Insisté molto perché passassi tutta la serata con lui, e non partissi che l'indomani; ma avevo lasciato Marguerite sofferente, glielo dissi, e gli chiesi il permesso di andare da lei presto, promettendo di tornare il giorno seguente.

Era bel tempo; volle accompagnarmi fino alla stazione. Non ero mai stato così felice. L'avvenire mi sembrava ora proprio come da tempo lo desideravo. Amavo mio padre più di quanto non l'avessi mai amato.

Mentre stavo per partire, insisté ancora una volta perché restassi, ma rifiutai.

"L'ami tanto, dunque?", mi disse.

"Follemente".

"Va', allora!", e si passò la mano sulla fronte come per cacciar via un pensiero, poi aprì la bocca come se volesse dirmi qualcosa; ma si limitò a stringermi la mano, per allontanarsi poi bruscamente, esclamando:

"Allora, a domani".

 

 

 

CAPITOLO 22

 

Mi sembrava che il treno non si muovesse. Arrivai a Bougival alle undici.

Non una finestra era illuminata; suonai senza che nessuno mi rispondesse.

Era la prima volta che questo mi succedeva. Finalmente comparve il giardiniere. Entrai.

Nanine mi venne incontro reggendo una lampada. Andai nella camera di Marguerite.

"Dov'è la signora?".

"E' partita per Parigi", mi rispose Nanine.

"Per Parigi!".

"Sì, signore".

"Quando?" .

"Un'ora dopo di voi".

"Non vi ha detto niente per me?".

"Nulla" .

Nanine uscì.

"Può darsi che abbia avuto dei dubbi", pensai, "e che sia andata a Parigi per assicurarsi se la visita che, a quanto le avevo detto, avrei fatto a mio padre, non fosse un pretesto per avere un giorno di libertà.

"Forse Prudence le avrà scritto per qualche affare importante", mi dissi appena fui solo; ma avevo visto Prudence al mio arrivo, e non mi aveva detto niente che potesse farmi pensare che aveva scritto a Marguerite.

All'improvviso mi ricordai di quella domanda che madame Duvernoy mi aveva fatta quando le avevo detto che Marguerite non stava bene:

"Allora, non verrà, oggi?". Mi ricordai anche dell'imbarazzo di Prudence, quando l'avevo guardata dopo quella frase che sembrava tradire un appuntamento. A questo ricordo si aggiungeva quello del pianto di Marguerite durante tutta la giornata, pianto che la buona accoglienza di mio padre mi aveva fatto dimenticare un po'. Da quel momento, tutti i fatti della giornata vennero a raggrupparsi intorno al mio primo sospetto, e lo fissarono così saldamente nel mio animo, che ogni cosa sembrava esserne la conferma, anche la bontà di mio padre.

Marguerite aveva quasi preteso che io andassi a Parigi, aveva finto la calma quando le avevo proposto di restare con lei. Ero forse caduto in un tranello? Marguerite mi tradiva? aveva forse fatto conto di tornare in tempo perché io non mi accorgessi della sua assenza, e il caso l'aveva trattenuta? perché non aveva detto niente a Nanine, e perché non mi aveva scritto? Che significavano quelle lacrime, quell'assenza, quel mistero?

Ecco che cosa mi domandavo, pieno di sgomento, in mezzo a quella stanza vuota, gli occhi fissi sulla pendola che segnava la mezzanotte, e che sembrava con ciò dirmi che era troppo tardi perché potessi sperare che la mia amante tornasse.

Eppure, dopo le decisioni che avevamo prese, con il sacrificio offerto e accettato, era verosimile che mi tradisse? No. Cercavo di respingere i miei primi sospetti.

Poverina, avrà trovato un acquirente per i suoi mobili, e sarà andata a Parigi per concludere. Non ha voluto avvertirmi perché sa che, benché io accetti questa vendita, necessaria alla nostra felicità futura, tuttavia è penosa, e avrà temuto di ferire il mio amor proprio e la mia delicatezza parlandomene. Preferisce tornare soltanto a cose fatte. Prudence l'aspettava evidentemente per questo, e si è tradita davanti a me. Marguerite non avrà potuto concludere le sue trattative oggi, e sarà rimasta a dormire da lei, o fors'anche sta per arrivare, perché certo si preoccuperà della mia inquietudine e non vorrà certo lasciarmici.

Ma allora, perché quei pianti? Senza dubbio, poverina, malgrado il suo amore per me, non avrà potuto fare a meno di piangere nell'abbandonare il lusso nel quale ha finora vissuto e che la rendeva felice e invidiata.

Perdonai molto volentieri a Marguerite i suoi rimpianti. L'attendevo con impazienza per dirle, coprendola di baci, che avevo indovinato il motivo della sua misteriosa assenza.

Tuttavia la notte diventava più profonda, e Marguerite non tornava.

L'ansia andava stringendo a poco a poco la sua morsa serrandomi la testa e il cuore. Forse le era successo qualcosa! Forse era malata, ferita, morta! Forse sarebbe arrivato un messaggio con l'annuncio di qualche dolorosa sciagura! Forse il giorno mi avrebbe trovato nella stessa incertezza e negli stessi timori!

L'idea che Marguerite mi ingannasse proprio nel momento in cui la stavo aspettando, in preda al terrore causatomi dalla sua assenza, non mi veniva più in mente. Doveva essere una ragione indipendente dalla sua volontà a tenerla lontana da me, e più ci pensavo, più mi convincevo che questa ragione non poteva essere che una qualche disgrazia. O vanità dell'uomo! ti manifesti sotto tutte le forme.

Era suonata l'una. Mi riproposi di aspettare ancora un'ora, ma se alle due Marguerite non fosse ancora tornata, sarei partito per Parigi.

In attesa, cercai un libro, perché non avevo il coraggio di mettermi a pensare.

Manon Lescaut era aperto sulla tavola. Mi sembrò che qua e là le pagine fossero bagnate di lacrime. Dopo averlo sfogliato, richiusi quel libro i cui caratteri mi sembravano privi di senso, attraverso il velo dei dubbi.

Il tempo passava lentamente. Il cielo era coperto. Una pioggia autunnale batteva sui vetri. Mi sembrava che il letto vuoto assumesse di tanto in tanto l'aspetto di una tomba. Avevo paura.

Aprii la porta. Rimasi in ascolto, ma non sentii che il mormorio del vento tra gli alberi. Non una carrozza. L'una e mezzo suonò tristemente al campanile della chiesa.

Ero arrivato a temere che entrasse qualcuno. Mi sembrava che solo una disgrazia potesse venirmi a trovare a quell'ora e in quell'oscurità.

Suonarono le due. Aspettai ancora un po'. Solo la pendola rompeva il silenzio col suo tic tac monotono e cadenzato.

Alla fine, uscii da quella stanza, i cui piccoli oggetti avevano il triste aspetto assunto da tutto ciò che circonda l'inquieta solitudine del cuore.

Trovai nella stanza accanto Nanine addormentata sul ricamo. Al rumore della porta, si svegliò e mi chiese se la padrona fosse rientrata.

"No, ma se rientrasse, ditele che non ho saputo resistere alla preoccupazione e sono andato a Parigi" "A quest'ora?".

"Sì".

"Ma in che modo? non troverete nessuna carrozza".

"Andrò a piedi".

"Ma piove".

"E che m'importa?".

"La signora tornerà, e se non torna, ci sarà sempre tempo, domani, per andare a vedere che cosa l'abbia trattenuta. Voi volete farvi assassinare sulla strada".

"Non c'è pericolo, cara Nanine; a domani".

La brava figliuola andò a prendermi il mantello, me lo gettò sulle spalle e si offrì di andare a svegliare madame Arnoud per chiederle se era possibile trovare una carrozza; ma io mi opposi, convinto che in quel tentativo, forse infruttuoso avrei perso più tempo di quanto ne avrei impiegato a percorrere metà della strada.

E poi avevo bisogno d'aria e di fatica fisica, che placassero la sovreccitazione alla quale ero in preda.

Presi la chiave dell'appartamento di rue d'Antin e, dopo aver salutato Nanine, che mi aveva accompagnato al cancello, mi incamminai.

Dapprima andai di corsa, ma la terra era umida e mi stancai doppiamente. Dopo mezz'ora di corsa fui costretto a fermarmi, ero tutto bagnato. Ripresi fiato e proseguii il mio cammino. La notte era così fitta, che temevo sempre di sbattere contro uno degli alberi della strada i quali, presentandosi improvvisamente ai miei occhi, avevano l'aspetto di immensi fantasmi che mi corressero incontro.

Incontrai una o due vetture di carrettieri che presto mi lasciai indietro.

Un calesse si dirigeva al gran trotto verso Bougival. Nel momento in cui mi passò davanti, ebbi la speranza che dentro ci fosse Marguerite.

Mi fermai, gridando: "Marguerite! Marguerite!". Ma nessuno mi rispose, e il calesse continuò la sua corsa. Lo guardai allontanarsi, e ripartii.

In due ore giunsi alla barriera dell'Etoile.

La vista di Parigi mi rincuorò, e discesi correndo il lungo viale che avevo tante volte percorso. Quella notte era deserto. Sembrava la passeggiata di una città morta.

Il giorno cominciava a spuntare. Quando arrivai a rue d'Antin, la grande città cominciava a scuotersi un po', prima di svegliarsi del tutto.

Suonarono le cinque alla chiesa di Saint-Roch, nel momento stesso in cui entravo nella casa di Marguerite.

Dissi il mio nome al portiere, che con parecchie monete da venti franchi convinsi del mio diritto di salire alle cinque del mattino da mademoiselle Gautier. Passai dunque senza ostacoli.

Avrei potuto chiedergli se Marguerite era in casa, ma avrebbe potuto rispondermi di no, e preferii dubitare due minuti di più, perché dubitando speravo ancora.

Accostai l'orecchio alla porta, cercando di sorprendere un rumore, un movimento.

Nulla. Il silenzio della campagna sembrava essersi prolungato fin lì.

Aprii la porta, ed entrai.

Tutte le tende erano accuratamente tirate. Aprii quella della sala da pranzo, e mi diressi verso la camera da letto, della quale spinsi la porta.

Corsi al cordone delle tende e lo tirai violentemente. Le tende si aprirono; una debole luce entrò, e corsi verso il letto.

Era vuoto!

Aprii le porte, l'una dopo l'altra, guardai in tutte le stanze.

Nessuno.

C'era da impazzire.

Passai nello spogliatoio, aprii la finestra, e chiamai più volte Prudence.

La finestra di madame Duvernoy restò chiusa. Scesi allora dal portiere, e gli chiesi se mademoiselle Gautier era venuta a casa durante il giorno. "Sì", mi rispose, "con madame Duvernoy".

"Non vi ha detto niente per me?".

"Nulla".

"Sapete che cosa hanno fatto dopo?".

"Sono salite in carrozza".

"Che carrozza?".

"Un coupé privato".

Cosa poteva significare tutto ciò?

Suonai alla porta accanto.

"Dove andate, signore?", mi chiese il portiere dopo avermi aperto.

"Da madame Duvernoy".

"Non è tornata".

"Ne siete certo?".

"Sì, signore; anzi, ecco una lettera che hanno portato per lei ieri sera e che non ho ancora avuto il modo di consegnarle".

E mi mostrò una lettera sulla quale gettai meccanicamente lo sguardo.

Riconobbi la scrittura di Marguerite.

Presi la lettera. Sull'indirizzo era scritto: "A madame Duvernoy, da consegnare a monsieur Duval".

"Questa lettera è per me", dissi al portiere, mostrandogli l'indirizzo.

"Siete voi monsieur Duval?", mi domandò.

"Sì".

"Ah, vi riconosco, voi venite spesso da madame Duvernoy".

Quando fui per la strada, spezzai i sigilli della lettera. Se un fulmine mi fosse caduto ai piedi, avrei provato meno terrore di quanto ne provai leggendo quelle parole. "Quando leggerete questa lettera, Armand, io sarò diventata l'amante di un altro. Tutto è dunque finito tra noi. Tornate da vostro padre, amico mio, andate a rivedere vostra sorella, giovinetta casta e ignara di tutte le bassezze del mondo, accanto alla quale dimenticherete ben presto quel che vi ha fatto soffrire questa donna perduta che chiamano Marguerite Gautier, che vi siete degnato di amare per un poco, e che vi è debitrice dei soli momenti felici di una vita che lei adesso spera non debba durare più a lungo".

Dopo aver letto queste ultime parole, credetti di impazzire.

Per un istante ebbi veramente paura di stramazzare sul selciato. Una nube mi pesava sugli occhi, e il sangue mi batteva nelle tempie.

Finalmente mi ripresi, e mi guardai intorno, sbalordito nel vedere che la vita degli altri continuava senza fermarsi davanti alla mia sventura.

Non ero abbastanza forte da sopportare da solo il colpo che Marguerite mi aveva inferto. Mi ricordai allora che mio padre era in città, che in dieci minuti avrei potuto essere da lui e che, qualunque fosse stata la ragione del mio dolore, egli l'avrebbe condivisa.

Corsi come un pazzo, come un ladro, fino all'Hôtel de Paris: trovai la chiave sulla porta dell'appartamento di mio padre. Entrai.

Egli stava leggendo e si mostrò così poco stupito nel vedermi entrare, che si sarebbe detto che mi aspettasse.

Mi precipitai tra le sue braccia, senza una parola, gli porsi la lettera di Marguerite e, lasciandomi cadere accanto al suo letto, piansi a calde lacrime.

 

 

 

CAPITOLO 23

 

Quando tutte le cose della vita ebbero ripreso il loro andamento, non riuscii a credere che il giorno che nasceva non sarebbe stato, per me, simile a quelli che lo avevano preceduto. C'erano dei momenti in cui mi immaginavo che una qualche circostanza, che non ricordavo, mi avesse fatto passare la notte lontano da Marguerite, ma che, se fossi tornato a Bougival, l'avrei ritrovata, ansiosa come lo ero stato io, pronta a chiedermi che cosa mi avesse tenuto lontano da lei.

Quando la vita ha preso un'abitudine come quella dell'amore, sembra impossibile che questa abitudine si rompa senza spezzare nello stesso tempo tutte le altre molle della vita.

Per convincermi, dunque, di non aver sognato, ero obbligato a rileggere di tanto in tanto la lettera di Marguerite.

Il mio corpo, prostrato da quella scossa morale, era incapace di muoversi. L'inquietudine, la marcia notturna, la notizia di quella mattina, mi avevano distrutto. Mio padre approfittò di quell'indebolimento totale delle mie forze per chiedermi una formale promessa che sarei partito con lui.

Promisi tutto quanto mi chiese. Ero incapace di sostenere una discussione, e avevo bisogno di un affetto vero che mi aiutasse a vivere dopo ciò che era successo.

Ero troppo felice che mio padre volesse consolarmi di un simile dispiacere.

Di quel giorno ricordo solo che, verso le cinque, mi fece salire con lui su una diligenza. Senza dirmi niente, aveva fatto preparare i miei bagagli, li aveva fatti sistemare assieme ai suoi dietro la vettura, e mi portava via.

Non mi accorsi di quello che facevo che quando la città fu scomparsa, e la solitudine della strada mi ricordò il vuoto del mio cuore.

Allora le lacrime ricominciarono a sgorgare.

Mio padre aveva capito che le parole, anche se provenienti da lui, non mi avrebbero consolato, e mi lasciò piangere senza dirmi niente, limitandosi a stringermi la mano di tanto in tanto, come a ricordarmi che vicino a me avevo un amico.

La notte, riuscii a dormire un po'. Sognai di Marguerite.

Mi svegliai di soprassalto, non comprendendo perché mai mi trovassi in una carrozza.

Poi la realtà mi tornò alla mente e lasciai cadere la testa sul petto.

Non osavo rivolgere la parola a mio padre, temendo sempre che mi dicesse: "Vedi, avevo ragione quando rifiutavo di credere all'amore di quella donna".

Ma egli non approfittò della sua posizione di vantaggio, e arrivammo a C... senza che mi avesse detto altro che parole del tutto estranee all'avvenimento che aveva determinato la mia partenza.

Quando abbracciai mia sorella, mi ricordai le parole della lettera di Marguerite che la riguardavano, ma capii subito che per quanto buona fosse, mia sorella non avrebbe potuto farmi dimenticare la mia amante.

La caccia era aperta; mio padre pensò che sarebbe stata per me una distrazione, e organizzò delle battute con i vicini e gli amici. Vi prendevo parte senza avversione, ma anche senza entusiasmo, con quella sorta di apatia che era tipica di tutte le mie azioni da quando ero partito.

Si cacciava in battuta. Mi facevano appostare, posavo accanto a me il fucile scarico, e sognavo. Guardavo le nuvole che passavano, lasciavo che il pensiero vagasse nella pianura deserta; di tanto in tanto mi sentivo chiamare da qualche cacciatore che mi indicava una lepre, a dieci passi da me.

Nessuno di questi particolari sfuggiva a mio padre, che non si lasciava ingannare dalla mia calma apparente. Capiva bene che il mio cuore, sebbene abbattuto, avrebbe avuto un giorno una reazione terribile, forse anche pericolosa, e, cercando di consolarmi senza parere, faceva il possibile per distrarmi.

Mia sorella, naturalmente, non era a conoscenza di niente, e quindi non sapeva spiegarsi perché io, una volta così allegro, fossi improvvisamente diventato così pensieroso e triste.

A volte, sorpreso nel pieno della tristezza dallo sguardo ansioso di mio padre, gli prendevo la mano, stringendogliela come per chiedergli silenziosamente perdono del male che mio malgrado gli facevo.

Passò così un mese, ma ero ormai stremato.

Il ricordo di Marguerite mi perseguitava incessantemente. Avevo troppo amato quella donna, e l'amavo troppo perché potesse diventarmi indifferente da un giorno all'altro. Bisognava che la amassi, o che la odiassi. Bisognava soprattutto, qualunque fosse il sentimento che provavo per lei, che la rivedessi, e al più presto.

Questo desiderio mi entrò nell'animo e vi si stabilì con tutta la violenza della volontà, che finalmente tornava nel mio corpo rimasto troppo a lungo inerte.

Non era nel futuro, tra un mese, tra otto giorni, che volevo Marguerite, la volevo subito, non appena avevo presa quella decisione, e così dissi a mio padre che sarei partito per degli affari che richiedevano la mia presenza a Parigi, ma che sarei tornato al più presto.

Egli indovinò, certo, il motivo della mia partenza, e insisté perché restassi; ma comprendendo che se non avessi soddisfatto il mio desiderio, nello stato di agitazione in cui mi trovavo, la cosa mi sarebbe stata fatale, mi abbracciò, e mi pregò, con le lacrime agli occhi, di tornare presto da lui.

Finché non fui giunto a Parigi, non riuscii a chiudere occhio.

Una volta arrivato, che cosa avrei fatto? non lo sapevo; ma bisognava che per prima cosa mi occupassi di Marguerite.

Andai a vestirmi a casa mia, e siccome era bel tempo, e l'ora era adatta, andai agli Champs-Elysées.

Dopo una mezz'ora, vidi da lontano, dal rond-point a place de la Concorde, la carrozza di Marguerite.

Aveva ricomprato i cavalli, perché la vettura era come prima; ma lei non c'era.

Avevo appena notato la sua assenza quando, guardandomi intorno, vidi Marguerite che avanzava a piedi, in compagnia di una donna a me sconosciuta. Passandomi accanto, impallidì, e un sorriso nervoso le increspò le labbra. Quanto a me, un violento battito del cuore mi lacerò il petto, ma riuscii ad assumere un'espressione indifferente, e salutai freddamente la mia vecchia amante, che quasi subito raggiunse la carrozza, nella quale salì con l'amica.

Conoscevo Marguerite. Quell'incontro inaspettato doveva averla sconvolta. Senza dubbio aveva saputo della mia partenza, e certo si era tranquillizzata per gli eventuali strascichi della nostra rottura; ma vedendo che ero tornato, e trovandosi faccia a faccia con me, pallido come ero, aveva capito che il mio ritorno doveva avere uno scopo, e doveva chiedersi che cosa sarebbe accaduto.

Se avessi trovato Marguerite in cattive acque, se, per vendicarmi di lei, avessi potuto soccorrerla, le avrei forse perdonato e non avrei certo pensato a farle del male; ma la ritrovavo felice, almeno in apparenza; un altro le aveva restituito quel lusso che io non avevo potuto mantenerle; la nostra rottura, determinata da lei, veniva così ad assumere il carattere della più bassa venalità, ero umiliato nell'amor proprio e nell'amore, e bisognava assolutamente che lei scontasse quello che avevo sofferto.

Non potevo restare indifferente davanti alla vita che conduceva; di conseguenza, ciò che doveva ferirla maggiormente era la mia indifferenza; era dunque questo sentimento che avrei dovuto fingere, non solo davanti a lei, ma anche davanti agli altri.

Cercai di assumere un aspetto allegro, e andai da Prudence.

La cameriera andò ad annunciarmi, e mi fece aspettare per qualche istante nel salone.

Alla fine apparve madame Duvernoy, e mi introdusse nel salottino; mentre mi sedevo, sentii la porta del salone che si apriva, e un passo leggero che faceva scricchiolare il pavimento, poi la porta d'ingresso fu chiusa con violenza.

"Vi disturbo?", chiesi a Prudence.

"Per niente. C'era Marguerite; quando ha sentito che eravate qui, è fuggita: è lei che è uscita".

"Dunque, ha paura di me, adesso?".

"No, ma teme che vi dispiaccia vederla".

"E perché mai?", dissi facendo uno sforzo per respirare liberamente, soffocato com'ero dall'emozione, "poverina, mi ha lasciato per riavere la sua carrozza, i suoi mobili, i suoi gioielli: ha fatto bene, e io non ho il diritto di volergliene Oggi l'ho incontrata", aggiunsi con finta indifferenza.

"Dove?", chiese Prudence, che mi scrutava e sembrava chiedersi se l'uomo che aveva di fronte fosse proprio quello che aveva conosciuto così innamorato.

"Agli Champs-Elysées, era con un'altra donna, molto carina. Sapete chi è?".

"Descrivetemela".

"Bionda, sottile, boccoli, occhi azzurri, elegantissima".

"Ah! è Olympe. Una bellissima figliuola, infatti".

"Con chi vive?".

"Con nessuno, e con tutti".

"E abita?".

"In rue Tronchet... Ah, volete dunque farle la corte?".

"Non si sa mai".

"E Marguerite?".

"Se vi dicessi che non penso più a lei, mentirei, ma sono uno di quegli uomini per i quali il modo in cui vengono lasciati ha molta importanza. Ora, Marguerite mi ha detto addio così leggermente, che mi considero uno sciocco ad averla amata tanto: perché l'ho veramente amata moltissimo.

Potete indovinare con che tono cercassi di dire queste cose: avevo la fronte madida di sudore.

"Lei vi amava tanto, credetemi, e vi ama ancora: prova ne sia che appena vi ha incontrato si è precipitata qui per raccontarmelo. E' arrivata tutta tremante, sull'orlo dello svenimento".

"E che cosa vi ha detto?".

"Mi ha detto: 'Certo verrà a trovarti', e mi ha pregato di implorare per lei il vostro perdono".

"Potete dirle che l'ho perdonata. E' una brava ragazza, ma è pur sempre una donna, e ciò che mi ha fatto dovevo aspettarmelo. Le sono grato della sua decisione, perché oggi mi domando a che cosa ci avrebbe condotti la mia idea di vivere per sempre con lei. Era pura follia".

"Sarà ben contenta di sapere che vi siete reso conto che doveva lasciarvi. Era ora che vi lasciasse, caro mio. L'usuraio al quale aveva proposto l'acquisto dei mobili era andato a trovare i suoi creditori per sapere a quanto ammontasse il loro credito; questi erano rimasti impressionati, e volevano far vendere tutto tra due giorni".

"E adesso, sono stati pagati?".

"Quasi del tutto".

"E chi ha anticipato il denaro?".

"Il conte de N... Ah, caro mio, ci sono degli uomini fatti apposta per queste cose. Per farla breve, lui le ha dato ventimila franchi: ma è arrivato dove voleva. Sa bene che Marguerite non lo ama, ma questo non gli impedisce di essere gentile con lei. Avete visto, le ha ricomprato i cavalli, ha riscattato i suoi gioielli, e le dà tanto denaro quanto gliene dava il duca; se vorrà vivere tranquillamente, quest'uomo le sarà vicino per un pezzo".

"E che cosa fa? abita sempre a Parigi?".

"Non ha mai voluto tornare a Bougival dopo la vostra partenza. Sono andata io a riprendere tutta la sua roba, e anche la vostra, di cui ho fatto un pacco che è a vostra disposizione. C'è tutto, tranne un piccolo portafoglio con le vostre cifre. Marguerite ha voluto prenderlo, e lo ha lei. Se ci tenete, glielo chiederò".

"Lo tenga pure", balbettai, sentendo le lacrime affluirmi dal cuore agli occhi al ricordo di quel villaggio dove ero stato così felice, al pensiero che Marguerite tenesse a conservare per mio ricordo una cosa che mi apparteneva.

Se in quel momento fosse entrata, ogni mio proposito di vendetta sarebbe caduto, e mi sarei gettato ai suoi piedi.

"Del resto", continuò Prudence, "non l'ho mai vista come adesso: non dorme quasi più, corre a tutti i balli, cena fuori, si ubriaca perfino. Ultimamente, dopo una cena, è rimasta a letto per otto giorni; e quando il medico le ha permesso di alzarsi, ha ricominciato daccapo, rischiando di morire. Andrete a trovarla?".

"A che scopo? Sono venuto a trovare voi, perché siete stata sempre tanto gentile con me, e perché vi conoscevo prima di conoscere Marguerite. E' merito vostro se sono stato il suo amante, come è merito vostro se non lo sono più: non è vero?".

"Oh! perbacco, ho fatto tutto quanto era in me perché vi lasciasse, e credo che, un giorno, non mi nutrirete più rancore per me".

"Ve ne sono doppiamente grato", soggiunsi, alzandomi "perché quella donna cominciava a venirmi a noia, col suo prendere sul serio tutto quello che le dicevo".

"Ve ne andate?".

"Sì".

Ne sapevo abbastanza.

"Quando vi si rivedrà?".

"Presto. Addio".

"Addio".

Prudence mi accompagnò alla porta, e io tornai a casa, con le lacrime della rabbia negli occhi e un bisogno di vendetta.

Così, Marguerite era proprio come le altre; così quell'amore profondo che aveva per me non aveva superato il desiderio di riprendere la vita passata, non aveva vinto la smania di avere una carrozza e di darsi alle orge.

Ecco che cosa dicevo a me stesso, tormentato dall'insonnia, mentre, se avessi riflettuto con quella stessa freddezza che andavo ostentando, avrei visto in quella nuova chiassosa esistenza di Marguerite la sua speranza di far tacere un pensiero continuo, un incessante ricordo.

Purtroppo, la passione mi accecava, e non facevo che cercare un mezzo col quale torturare quella povera creatura.

Oh! l'uomo è ben meschino e vile quando una delle sue intime passioni è ferita.

Quella Olympe, con la quale avevo visto Marguerite, era se non la sua amica almeno colei che lei frequentava di più da quando era tornata a Parigi. Seppi che stava per dare un ballo, e poiché pensavo che ci sarebbe andata anche Marguerite, cercai di ottenere un invito, e ci riuscii.

Quando, in preda a una dolorosa emozione, arrivai a quel ballo, c'era già molta animazione. Si ballava, si gridava, e in una quadriglia, vidi Marguerite col conte de N... che sembrava molto orgoglioso di mostrarla, e sembrava dire a tutti "Questa donna è mia!". Mi appoggiai al caminetto, proprio di fronte a Marguerite, e la guardai ballare.

Appena mi vide si turbò. La guardai e la salutai distrattamente, con un cenno della mano e degli occhi.

Se pensavo che, dopo il ballo, non sarebbe andata via con me, ma con quel ricco idiota, se mi immaginavo quello che sarebbe certamente successo al loro ritorno a casa di lei, il sangue mi saliva al viso, e sentivo il bisogno di turbare i loro amori.

Dopo la contraddanza, andai a salutare la padrona di casa, che esponeva allo sguardo degli invitati le sue magnifiche spalle e la metà di un seno splendente.

Era bella, forse più bella di Marguerite. Lo capii ancora meglio da certi sguardi che quest'ultima lanciava a Olympe mentre io le parlavo.

L'uomo che sarebbe stato l'amante di quella donna poteva essere orgoglioso quanto monsieur de N..., e lei era tanto bella da ispirare una passione pari a quella che Marguerite mi aveva ispirata.

In quel momento non aveva un amante. Non sarebbe stato difficile diventarlo. Sarebbe bastato mostrarle tanto oro da costringerla ad accorgersi di me. Presi una decisione. Quella donna sarebbe stata la mia amante.

Cominciai la parte di corteggiatore ballando con Olympe.

Mezz'ora dopo, Marguerite, pallida come una morta, indossava il mantello e lasciava la festa.

 

 

 

CAPITOLO 24

 

Era già molto, ma non abbastanza. Avevo capito quale ascendente avessi su quella donna, e ne abusavo vilmente.

Quando penso che ormai non c'è più, mi chiedo se Dio mi perdonerà mai il male che ho fatto.

Dopo il pranzo, allegro e rumoroso, si giocò.

Mi sedetti accanto a Olympe e puntai ii denaro con tanta noncuranza, che lei non poté fare a meno di prestare attenzione. In un attimo, vinsi centocinquanta o duecento luigi, che sistemai davanti a me, e sui quali lei fissò uno sguardo ardente.

Ero il solo a non essere completamente assorto nel gioco e a occuparmi di lei. Per tutta la notte vinsi, e le diedi anche del denaro per giocare, poiché aveva perso tutta la sua posta, che era probabilmente tutto quanto possedeva.

Alle cinque la sala si vuotò.

Avevo vinto trecento luigi.

Tutti i giocatori erano già scesi, e io solo ero rimasto indietro, senza che nessuno se ne accorgesse, perché non ero amico di nessuno dei presenti.

Olympe stessa faceva luce sulle scale, e io stavo per scendere, come gli altri, quando, tornando verso di lei, le dissi:

"Devo parlarvi".

"Domani", rispose.

"No, subito".

"Che cosa avete da dirmi?".

"Lo vedrete".

E rientrai.

"Avete perduto", le dissi.

"Sì".

"Tutto quanto avevate in casa?".

Esitò.

"Siate sincera".

"Ebbene, è vero".

"Io ho vinto trecento luigi, eccoli, purché mi consentiate di rimanere".

"No, perché amate Marguerite, e volete vendicarvi di lei diventando il mio amante. Non si inganna una donna come me, mio caro; purtroppo sono ancora troppo giovane e troppo bella da accettare la parte che mi proponete".

"Dunque, rifiutate?".

"Sì".

"Preferite amarmi senza interesse? Allora sarei io a non volerlo.

Riflettete, cara Olympe; se vi avessi mandato un altro a offrirvi i trecento luigi da parte mia alle condizioni che vi ho detto, avreste accettato. Ma ho preferito trattare la cosa direttamente. Accettate senza cercare di sapere le cause che mi hanno spinto ad agire così; dite a voi stessa che siete bella, e che non c'è niente di strano nel fatto che io sia innamorato di voi".

Marguerite era una mantenuta, come Olympe, e tuttavia non avrei mai osato dirle, la prima volta che l'avevo vista, quello che avevo detto a questa donna. Era perché amavo Marguerite, avevo indovinato in lei istinti che all'altra mancavano, e nel momento stesso in cui proponevo quel mercato, quella con cui stavo per concluderlo, nonostante la sua bellezza, mi disgustava.

Alla fine, naturalmente, accettò, e divenni il suo amante; uscii di casa sua l'indomani a mezzogiorno, ma lasciai il suo letto senza ricordare affatto le carezze e le parole d'amore che si era creduta in dovere di prodigarmi in cambio dei seimila franchi che le lasciavo.

E tuttavia, alcuni si erano rovinati per quella donna.

Da quel giorno, la mia persecuzione nei confronti di Marguerite non ebbe sosta. Olympe e lei smisero di vedersi, capite bene perché.

Regalai alla mia nuova amante una carrozza, dei gioielli, giocai, feci infine tutte le pazzie che avrebbe fatto chiunque fosse stato innamorato di una donna come Olympe. L'eco della mia nuova relazione si diffuse ovunque.

La stessa Prudence ci cadde, e finì col credere che io avessi completamente dimenticato Marguerite. Quest'ultima, sia che avesse indovinato il motivo che mi faceva agire, sia che si ingannasse come gli altri, reagiva con grande dignità alle ferite che ogni giorno le procuravo.

Però, mi pareva che soffrisse, perché, dovunque la incontrassi, la vedevo sempre più pallida, sempre più triste. Il mio amore per lei, esaltato al punto da rassomigliare all'odio, gioiva alla vista di quel dolore quotidiano. Più volte, in circostanze nelle quali la mia crudeltà fu infame, Marguerite alzò su di me degli sguardi così supplichevoli da farmi arrossire della parte che avevo assunto, e fui sul punto di chiederle scusa.

Ma questi pentimenti non duravano che un istante, e Olympe, che aveva finito col far tacere ogni sorta di amor proprio, e che aveva capito che facendo del male a Marguerite avrebbe ottenuto da me tutto ciò che voleva, mi eccitava continuamente contro l'altra, e non trascurava occasione d'insultarla, con la persistente vigliaccheria della donna che ha un uomo dietro le spalle.

Marguerite aveva finito col non andare più né a feste né a spettacoli, nel timore di incontrare Olympe e me. Allora le lettere anonime presero il posto degli oltraggi diretti, e non ci fu cosa vergognosa che io non incitassi a dire e che non dicessi io stesso sul conto di Marguerite.

Ero certamente pazzo per arrivare a quel punto. Ero come un uomo che, ubriacatosi con del vino cattivo, cade in preda a una di quelle esaltazioni nervose nelle quali la mano è capace di un delitto senza che la mente vi partecipi. In mezzo a tutto questo, soffrivo il martirio. La calma priva di rancore, la dignità priva di disprezzo, con le quali Marguerite rispondeva a tutti i miei attacchi, e che ai miei occhi la rendevano superiore a me, mi irritavano ancora di più contro di lei.

Una sera, Olympe era andata non so dove, e aveva incontrato Marguerite, che questa volta non aveva fatto grazia a quella sciocca che la insultava, al punto che quest'ultima aveva dovuto darsi per vinta. Olympe era tornata a casa furiosa, e Marguerite era stata portata via svenuta.

Rientrando, Olympe mi aveva raccontato quello che era successo, e mi aveva detto che Marguerite, vedendola sola, aveva voluto vendicarsi della donna che era la mia amante, e che bisognava che le scrivessi di rispettare, che io fossi o no presente, la donna che amavo.

Non c'è bisogno che vi dica che acconsentii, e che tutto quanto potei trovare di amaro, di vergognoso e di crudele, lo misi in quella lettera, che inviai il giorno dopo all'indirizzo di Marguerite.

Questa volta il colpo era troppo forte perché la poverina potesse sopportarlo senza reagire.

Immaginavo che avrei avuto una risposta; e così decisi di non muovermi di casa per tutto il giorno.

Verso le due suonarono, e vidi entrare Prudence.

Cercai di assumere un'espressione indifferente, e le chiesi a che cosa dovevo la sua visita; ma quel giorno madame Duvernoy non era in vena di scherzare, e con tono sinceramente commosso mi disse che da quando ero tornato, cioè da circa tre settimane, non mi ero lasciato sfuggire un'occasione per maltrattare Marguerite, che se ne era ammalata: la scena del giorno prima e la mia lettera di quella mattina l'avevano costretta a mettersi a letto.

Insomma, senza farmi rimproveri, Marguerite mandava a chiedere pietà, facendomi dire che non aveva più la forza morale né la forza fisica di sopportare quello che le facevo.

"Che mademoiselle Gautier", dissi a Prudence, "mi allontani da casa sua, è suo diritto, ma che insulti la donna che amo, col pretesto che quella donna è la mia amante, è una cosa che non permetterò mai".

"Amico mio", disse Prudence, "Voi subite l'influenza di una ragazza senza cuore e senza cervello; ne siete innamorato, è vero, ma non è una ragione per torturare una donna che non si può difendere".

"Mademoiselle Gautier mi mandi il suo conte de N..., e saremo pari".

"Sapete bene che non lo farà. Dunque, caro Armand, lasciatela in pace, se la vedeste, avreste vergogna del modo in cui vi comportate verso di lei. E' pallida, tossisce, non ha più molta strada davanti".

E Prudence mi tese la mano, aggiungendo:

"Venite a trovarla, la vostra visita la farà molto felice".

"Non ho voglia di incontrare monsieur de N...".

"Monsieur de N... non c'è mai. Lei non lo può soffrire".

"Se Marguerite tiene a vedermi, sa dove abito; venga, ma io non metterò piede in rue d'Antin".

"E la riceverete bene?".

"Perfettamente".

"Allora verrà, ne sono certa".

"Venga!".

"Uscirete oggi?".

"Resterò in casa tutta la sera".

"Glielo dirò".

Prudence se ne andò.

Non scrissi neppure ad Olympe per dirle che non sarei andato da lei.

Non facevo complimenti con quella ragazza. Era già molto se passavo con lei una notte ogni settimana. Lei se ne consolava, credo, con un attore di non so quale teatro dei boulevards.

Uscii per cenare, e rientrai quasi subito. Feci accendere il fuoco in ogni stanza e dissi a Joseph di uscire.

Non sono in grado di raccontavi le tante impressioni che si agitavano in me in quell'ora di attesa: ma quando, erano quasi le nove, sentii suonare, quelle impressioni cedettero il posto a un'emozione tanto forte che, andando ad aprire, fui costretto ad appoggiarmi al muro per non cadere.

Fortunatamente, l'anticamera era in penombra, e l'espressione alterata del mio viso era meno visibile.

Marguerite entrò.

Era vestita di nero, e velata. Riconobbi appena il suo viso sotto il velo.

Entrò nel salone e si scoprì il viso.

Era pallida come il marmo.

"Eccomi, Armand", disse; "volevate vedermi, sono venuta".

E, prendendosi la testa fra le mani, scoppiò in pianto.

Mi avvicinai a lei.

"Che avete?", le chiesi, con voce alterata.

Mi strinse la mano senza rispondermi, perché la sua voce era velata dalle lacrime. Ma dopo qualche istante, calmatasi un poco, mi disse:

"Mi avete fatto molto male, Armand, e io non vi ho fatto niente".

"Niente?", replicai con un amaro sorriso.

"Niente che le circostanze non mi abbiano costretto a farvi".

Non so se nella vostra vita abbiate mai provato o proverete mai quello che io provai vedendo Marguerite.

L'ultima volta che era venuta a casa mia, si era seduta nello stesso posto in cui era seduta ora; soltanto, da quell'epoca, era stata l'amante di un altro; altri baci avevano sfiorato le sue labbra, verso le quali le mie si protendevano mio malgrado, e tuttavia sentivo di amare quella donna altrettanto e forse più di quanto non l'avessi mai amata.

Tuttavia, era difficile per me portare la conversazione sull'argomento che la conduceva in casa mia. Certo Marguerite lo capì, perché riprese:

"Vengo a disturbarvi, Armand, perché ho due cose da chiedervi; perdono di quello che ho detto ieri a mademoiselle Olympe, e grazie per quello che siete forse pronto a farmi patire ancora. Volontariamente o no, da quando siete tornato mi avete fatto tanto male, che ora sarei incapace di sopportare la quarta parte delle emozioni che ho sopportato fino a questa mattina. Avrete pietà di me, vero? e capirete che per un uomo di cuore ci sono cose più nobili da fare che vendicarsi di una donna ammalata e triste come me. Ecco, prendete la mia mano. Ho la febbre, ma ho lasciato il letto per venire a chiedervi, non la vostra amicizia, ma la vostra indifferenza".

Le presi la mano. Bruciava, e la povera donna era tutta brividi sotto il mantello di velluto.

Spinsi davanti al fuoco la poltrona nella quale sedeva. "Credete dunque che io non abbia sofferto", ripresi, "la notte nella quale, dopo avervi attesa in campagna, venni a cercarvi a Parigi, e non trovai che quella lettera per la quale ho rischiato di impazzire? Come avete potuto ingannarmi, Marguerite, quando vi amavo tanto?".

"Non parliamo di questo, Armand, non sono venuta per parlarne. Ho voluto vedervi non più nemico, ecco tutto, e ho voluto stringervi la mano ancora una volta. Avete un'amante giovane e bella, che vi ama, a quanto si dice: siate felice con lei e dimenticatemi".

"E voi, anche voi siete felice, vero?".

"Ho forse il viso di una donna felice, Armand? Non prendetevi gioco del mio dolore, voi che sapete meglio di chiunque altro da che cosa deriva e quanto è grande".

"Non dipendeva che da voi non conoscere mai l'infelicità, se veramente la conoscete come dite".

"No, amico mio, le circostanze sono state più forti della mia volontà.

Ho obbedito, non ai miei istinti di mantenuta, come sembrate credere, ma a una imperiosa necessità, e a delle ragioni che un giorno conoscerete, e che vi spingeranno a perdonarmi".

"Perché non me le dite adesso?".

"Perché non determinerebbero un riavvicinamento, impossibile tra noi, e vi allontanerebbero forse da persone dalle quali non dovete allontanarvi".

"Chi sono?".

"Non posso dirvelo".

"Allora, mentite".

Marguerite si alzò e si diresse verso la porta.

Non potevo assistere a quella manifestazione di dolore muta ed espressiva senza esserne commosso, paragonando tra me e me quella donna pallida e piangente alla ragazza bizzarra che si era burlata di me all'Opéra-Comique.

"Voi non ve ne andrete", dissi mettendomi davanti alla porta.

"E perché?".

"Perché nonostante quello che mi hai fatto, ti amo sempre, e voglio che tu resti con me".

"Per scacciarmi domani, non è vero? No, è impossibile! I nostri destini sono separati, non cerchiamo di riunirli; mi disprezzereste, forse, mentre adesso non potete che odiarmi".

"No, Marguerite", gridai, sentendo tutto il mio amore e tutto il mio desiderio risvegliarsi al contatto di quella donna. "No, dimenticherò tutto, e saremo felici, come ci eravamo promesso".

Marguerite scosse dubbiosamente la testa, e disse:

"Non sono la tua schiava, il tuo cane? fa' di me ciò che vuoi, prendimi, sono tua".

E togliendosi il mantello e il cappello, li gettò sul divano e si sganciò bruscamente il corsetto, perché, per una di quelle reazioni così frequenti nella sua malattia, il sangue le saliva alla testa e sembrava soffocarla.

Ebbe un colpo di tosse secca e rauca.

"Fa' dire al cocchiere", riprese, "di ricondurre indietro la carrozza".

Scesi io stesso per mandar via quell'uomo.

Quando rientrai, Marguerite era distesa davanti al fuoco, e batteva i denti per il freddo.

La presi tra le braccia, la spogliai senza che lei facesse un solo movimento, e la portai, tutta gelata, nel letto.

Mi sedetti allora accanto a lei e cercai di riscaldarla con le mie carezze. Non diceva una parola, ma mi sorrideva.

Oh! fu una ben strana notte. Tutta la vita di Marguerite sembrava fluire nei baci di cui mi copriva, e io l'amavo tanto, che negli slanci del mio febbricitante amore mi chiedevo se non l'avrei uccisa, purché non appartenesse mai più a un altro uomo.

Un mese d'amore come quello, ci avrebbe distrutti, nel corpo e nell'anima.

Il giorno ci trovò svegli.

Marguerite era livida. Non diceva una parola. Grosse lacrime scendevano di tanto in tanto dai suoi occhi, e si fermavano sulle guance, lucenti come diamanti. Le sue braccia esauste si tendevano di tanto in tanto per abbracciarmi, e ricadevano sul letto, senza forza.

Per un momento credetti che avrei potuto dimenticare quanto era accaduto dopo la mia partenza da Bougival, e dissi a Marguerite:

"Vuoi che partiamo, che lasciamo Parigi?".

"No, no", mi rispose quasi con terrore, "saremmo troppo infelici; non posso più fare la tua felicità ma, fino a che avrò vita, sarò la schiava dei tuoi capricci. A qualunque ora del giorno o della notte tu mi desideri, vieni, sarò tua, ma non legare mai più il tuo avvenire al mio, saresti troppo infelice e mi renderesti troppo infelice. Sarò bella ancora per qualche tempo, approfittane, ma non chiedermi altro".

Quando se ne fu andata, ebbi paura della solitudine nella quale mi aveva lasciato. Due ore dopo, ero ancora seduto sul letto nel quale lei era stata, e guardavo il cuscino che conservava l'impronta della sua testa, chiedendomi che cosa avrebbero fatto di me il mio amore e la mia gelosia.

Alle cinque, senza sapere quel che facevo, andai in rue d'Antin.

Fu Nanine ad aprirmi.

"Madame non può ricevervi", mi disse, imbarazzata.

"Perché?".

"Perché il signor conte de N... è con lei, e ho l'ordine di non fare entrare nessuno".

"E' giusto", balbettai "l'avevo dimenticato. Rientrai a casa come ubriaco, e sapete quel che feci in un attimo di delirante gelosia che bastò a farmi commettere un'azione vergognosa, sapete quel che feci?

Mi dissi che quella donna si burlava di me, me la immaginai nel suo inaccessibile colloquio con il conte, in atto di ripetere le stesse parole che quella notte aveva dette a me, e, prendendo un biglietto da cinquecento franchi, glielo mandai con queste parole:

"Ve ne siete andata così presto, stamattina, che ho dimenticato di pagarvi. Eccovi il prezzo di questa notte".

Poi, quando la lettera fu partita, uscii, come per sottrarmi all'immediato rimorso di quell'infamia.

Andai da Olympe, che stava provandosi dei vestiti; quando restammo soli, mi cantò delle canzoni oscene per distrarmi.

Era proprio il tipo della cortigiana senza vergogna, senza cuore e senza cervello, almeno per me, perché forse qualcuno aveva fatto su di lei lo stesso sogno che io avevo fatto su Marguerite.

Mi chiese del denaro, glielo diedi e, libero finalmente di andarmene, rientrai a casa.

Marguerite non mi aveva risposto.

E' inutile che vi dica in quale agitazione passai il giorno.

Alle sei e mezzo, un fattorino mi portò una busta che conteneva la mia lettera e il biglietto da cinquecento franchi, senza una parola.

"Chi ve l'ha data?", chiesi a quell'uomo.

"Una signora che partiva con la sua cameriera con la diligenza di Boulogne, e che mi ha raccomandato di non consegnarla che dopo che la carrozza fosse uscita dal cortile".

Mi precipitai a casa di Marguerite.

"Madame è partita per l'Inghilterra alle sei", mi disse il portiere.

Nulla mi tratteneva più a Parigi, né l'odio, né l'amore. Tutte quelle scosse mi avevano prostrato. Un mio amico stava per fare un viaggio in Oriente; mi recai da mio padre per dirgli che desideravo accompagnarlo; egli mi diede delle lettere di credito e delle raccomandazioni, e otto o dieci giorni dopo mi imbarcavo a Marsiglia.

Ad Alessandria, da un addetto dell'ambasciata, che avevo visto qualche volta in casa di Marguerite, seppi della malattia della poverina.

Le scrissi allora la lettera alla quale essa rispose con le parole che conoscete, e che ricevetti a Tolone.

Partii immediatamente; il resto lo sapete.

Ora, non mi resta che leggervi i fogli che Julie Duprat mi ha consegnati e che sono il complemento indispensabile di quanto vi ho raccontato.

 

 

 

CAPITOLO 25

 

Armand, stanco di quel lungo racconto spesso interrotto dalle lacrime, si coprì la fronte con le mani e chiuse gli occhi, sia per pensare, sia per tentare di dormire, dopo avermi dato le pagine scritte dalla mano di Marguerite.

Qualche istante dopo, un respiro un po' più veloce mi fece capire che Armand dormiva, ma di quel sonno leggero che il minimo rumore può interrompere.

Ecco ciò che lessi; lo trascrivo senza aggiungere né togliere niente:

"Oggi è il 15 dicembre. Sono ammalata da tre o quattro giorni.

Stamattina sono rimasta a letto; il tempo è buio, sono triste; nessuno è vicino a me, e io penso a te, Armand. E tu, dove sei tu mentre ti sto scrivendo queste cose? Lontano da Parigi, molto lontano, mi hanno detto, e forse hai già dimenticato Marguerite. Ebbene, sii felice, perché devo a te i soli momenti felici della mia vita.

Non avevo potuto resistere al desiderio di spiegarti la mia condotta, e ti avevo scritto una lettera; ma una lettera del genere, scritta da una donna come me, sarebbe potuta sembrare una menzogna a meno che la morte non l'avesse santificata con la sua autorità e che, invece di una lettera, essa fosse stata una confessione.

Oggi sono ammalata, potrei morire di questa malattia, perché ho sempre avuto il presentimento di morire giovane. Mia madre è morta di una malattia di petto, e il modo nel quale ho finora vissuto non ha potuto che far peggiorare in me questa malattia, la sola eredità che essa mi abbia lasciato; ma non voglio morire senza che tu sappia bene che cosa pensare di me se, comunque, quando tornerai, ti preoccuperai ancora della povera ragazza che amavi prima di partire.

Ecco che cosa conteneva quella lettera, che sarei felice di riscrivere, per dare a me stessa ancora una prova di quanto inevitabile sia stata la mia condotta.

Ti ricorderai, Armand, come l'arrivo di tuo padre ci sorprese a Bougival; ti ricorderai dell'involontario terrore che quell'arrivo mi causò, della scena che ebbe luogo fra voi e che tu mi raccontasti la sera.

L'indomani, mentre eri a Parigi e aspettavi tuo padre che non tornava, un uomo venne da me, e mi consegnò una lettera da parte di monsieur Duval.

Questa lettera, che allego alla mia, mi pregava, nei termini più seri, di allontanarti l'indomani con un pretesto qualunque e di ricevere tuo padre; doveva parlarmi, e mi raccomandava soprattutto di non dirti niente della sua intenzione.

Tu sai con quale insistenza ti consigliai, al tuo ritorno, di andare di nuovo a Parigi il giorno seguente.

Eri partito da un'ora, quando si presentò tuo padre. Ti faccio grazia dell'impressione che mi fece il suo volto sereno. Tuo padre era imbevuto delle vecchie teorie secondo le quali ogni cortigiana è un essere senza cuore, senza ragione, una specie di macchina succhiatrice di denaro, sempre pronta, come un torchio, a stritolare la mano che le porge qualcosa, e a distruggere senza pietà, senza discernimento, chi la fa vivere e agire.

Tuo padre mi aveva scritto una lettera molto cortese perché accettassi di riceverlo; ma non si presentò esattamente come aveva scritto. Ci furono nelle sue prime parole tanta superbia, insolenza e minacce, che fui costretta a fargli capire che era in casa mia e che non avevo da rendergli conto della mia vita se non a causa del sincero affetto che sentivo per suo figlio.

Monsieur Duval si calmò un po', ma cominciò a dire che non poteva sopportare più a lungo che suo figlio si rovinasse per me; che ero bella, sì, ma per bella che fossi, non dovevo servirmi della mia bellezza come di un'arma per distruggere il futuro di un giovane con spese come quelle che andavo facendo.

A questo, non c'era che una cosa da rispondere, non è vero? e cioè con le prove che, da quando ero la tua amante, nessun sacrificio mi era penoso per restarti fedele senza chiederti più denaro di quel che tu potessi darmi. Gli mostrai le polizze del Monte di Pietà, le ricevute delle persone alle quali avevo venduto gli oggetti che non ero riuscita a impegnare; comunicai inoltre a tuo padre la mia decisione di disfarmi del mio mobilio per pagare i debiti, e per vivere con te senza essere un peso troppo grave.

Gli parlai della nostra felicità, della rivelazione, che mi avevi dato, di una vita più tranquilla e gioiosa, e finì con l'arrendersi all'evidenza e col tendermi la mano, chiedendomi perdono del modo in cui poco prima si era comportato.

Poi mi disse:

'Allora, signora, non più con rimproveri e minacce, ma con preghiere, cercherò di ottenere da voi un sacrificio maggiore di tutti quelli che avete finora fatti per mio figlio'.

Tremai a quest'inizio.

Tuo padre mi si avvicinò, mi prese le mani e continuò con tono affettuoso:

'Figliola mia, non prendetevela per quello che sto per dirvi; rendetevi conto soltanto che la vita ha a volte delle sue necessità crudeli per i sentimenti, ma alle quali bisogna sottomettersi. Voi siete buona, e la vostra anima ha slanci generosi sconosciuti a molte donne che forse vi disprezzano e non valgono quanto voi. Ma pensate che oltre l'amante c'è una famiglia; che oltre l'amore esiste il dovere; che all'età delle passioni segue quella in cui un uomo, per essere rispettato, ha bisogno di avere una solida posizione. Mio figlio non è ricco, e tuttavia si prepara a cedervi l'eredità di sua madre. Se accettasse da voi il sacrificio che state per fare, sarebbe costretto dal suo amore e dalla sua dignità a farvi in cambio questa donazione, che vi metterebbe per sempre al riparo da ogni avversità.

Ma questo sacrificio, egli non può accettarlo, perché il mondo, che non vi conosce, attribuirebbe a quel consenso una causa disonesta, che non deve intaccare il nome che portiamo. Non ci si chiederebbe se Armand vi ama, se voi lo amate, se questo amore sia per lui felicità e per voi la riabilitazione; non si vedrebbe che una cosa, cioè che Armand Duval ha permesso che una mantenuta - perdonatemi, figlia mia, per tutto quello che sono costretto a dirvi - vendesse per lui tutto quello che possedeva. Poi, siatene certa, arriverebbe il giorno dei rimproveri e dei rimpianti, per voi come per tutti, e dovreste entrambi portare una catena che non potreste spezzare. Allora, che fareste? La vostra giovinezza sarebbe finita, l'avvenire di mio figlio distrutto; ed io, suo padre, non avrei più che da uno solo dei miei figli la ricompensa che aspetto da tutti e due.

Voi siete giovane, siete bella, la vita vi consolerà; avete un nobile cuore, e il ricordo di una buona azione riscatterà molte delle vostre azioni passate. Da sei mesi che vi conosce, Armand mi ha dimenticato.

Avrei potuto morire, ed egli non lo avrebbe saputo!

Qualunque sia la vostra decisione di vivere diversamente da come avete finora vissuto, Armand, che vi ama, non accetterà mai di imporvi la reclusione alla quale sareste destinata dalla modesta posizione di lui, e che non è adatta alla vostra bellezza. Chi sa come farebbe allora! Ha giocato, lo so; e senza che voi lo sapeste, so anche questo; ma in un momento di ebbrezza avrebbe potuto perdere una parte di quel che io vado mettendo da parte, da tanti anni, per la dote di mia figlia, per lui, e per una tranquilla vecchiaia. Ciò che sarebbe potuto accadere, può accadere ancora.

Siete sicura, inoltre, che non sareste di nuovo attratta dalla vita che abbandonereste per seguirlo? Siete sicura, voi che lo avete amato, di non innamorarvi di un altro? Non soffrirete, insomma, degli ostacoli che la vostra relazione porrà nella vita del vostro amante, e dei quali non potrete consolarlo se, con l'età, le ambizioni succederanno ai sogni d'amore? Riflettete, signora: voi amate Armand, dimostrateglielo col solo mezzo che vi resta ancora: sacrificando al suo avvenire il vostro amore. Non è successo finora niente di male, ma potrebbe accadere, forse peggiore di quanto io possa prevedere. Armand potrebbe ingelosirsi di un uomo che vi ha amata; potrebbe provocarlo, potrebbe battersi, essere ucciso, insomma, e pensate a quello che soffrireste davanti a questo padre, che vi chiederebbe conto della vita di suo figlio.

Insomma, figliuola, sappiate tutto, perché non vi ho ancora detto tutto, sappiate dunque che cosa mi ha condotto a Parigi. Ho una figlia, ve l'ho detto, giovane, bella, pura come un angelo. E' innamorata, e ha fatto di quest'amore il sogno della sua vita. Avevo scritto tutto ciò ad Armand ma, tutto preso da voi, non mi ha risposto. Ebbene, mia figlia sta per sposarsi. Sposa l'uomo che ama, entra in una famiglia onorata che pretende che tutto sia onorevole nella mia. La famiglia dell'uomo che sarà mio genero ha saputo che vita conduce Armand a Parigi, e mi ha dichiarato che ritirerà la sua parola se Armand continuerà con questa vita. L'avvenire di una fanciulla che non vi ha fatto niente, e che ha il diritto di contare sul futuro, è nelle vostre mani.

Avete il diritto, avete la forza di spezzarlo? In nome del vostro amore e del vostro pentimento, Marguerite, concedetemi la felicità di mia figlia'.

Io piangevo in silenzio, amico mio, davanti a quelle considerazioni che anch'io avevo fatto tanto spesso, e che, sulle labbra di tuo padre, venivano ad acquistare una più seria realtà. Mi dicevo tutto ciò che tuo padre non osava dirmi, e che venti volte era stato sul punto di dire: che dopo tutto non ero che una mantenuta, e che qualunque ragione attribuissi alla nostra relazione, avrebbe avuto sempre l'aspetto del calcolo; che la mia vita passata non mi dava alcun diritto di sognare un simile avvenire, e che accettavo delle responsabilità alle quali le mie abitudini e la mia reputazione non davano alcuna garanzia.

Insomma, Armand, ti amavo. Il tono paterno di monsieur Duval, i sentimenti puri che risvegliava in me, la stima che stavo per ottenere da quel vecchio leale, la tua che ero sicura che avrei avuta più tardi, tutto ciò risvegliava nel mio cuore dei nobili pensieri che mi innalzavano ai miei stessi occhi, e facevano parlare sante ambizioni, fino ad allora sconosciute. Quando pensavo che un giorno quel vecchio, che mi implorava per l'avvenire di suo figlio, avrebbe detto a sua figlia di ricordare il mio nome nelle sue preghiere come il nome di una amica misteriosa, mi trasfiguravo, ed ero fiera di me stessa.

L'esaltazione di quel momento esagerava forse la verità di quelle impressioni; ma ecco che cosa provai, amico mio, e quei nuovi sentimenti facevano tacere i consigli che mi dava il ricordo dei giorni trascorsi con te.

'Va bene, signore', dissi a tuo padre, asciugandomi le lacrime.

'Credete che io ami vostro figlio?'.

'Sì', rispose monsieur Duval.

'Di un amore disinteressato?'.

'Sì'.

'Credete che io abbia fatto di quell'amore la speranza, il sogno, la redenzione della mia vita?'.

'Lo credo fermamente'.

'Ebbene, signore, abbracciatemi una volta come abbraccereste vostra figlia; e vi giuro che il vostro bacio, il solo veramente casto che io avrò mai ricevuto, mi renderà forte contro il mio amore, e che entro otto giorni vostro figlio tornerà da voi, forse infelice per qualche tempo, ma guarito per sempre'.

'Voi siete un'anima generosa', replicò tuo padre baciandomi sulla fronte, 'e fate un tentativo di cui Dio terrà conto ma temo fortemente che non riusciate a ottenere niente da mio figlio'.

'Oh! state tranquillo, signore, mi odierà'.

Ci voleva tra noi una barriera insormontabile per entrambi Scrissi a Prudence che avrei accettato le offerte del conte de N..., e che andasse a dirgli che avrei cenato con lei e con lui. Sigillai la lettera, e senza dirgli che cosa contenesse, pregai tuo padre di farla recapitare al suo indirizzo arrivando a Parigi.

Egli, tuttavia, mi chiese che cosa contenesse.

'La felicità di vostro figlio', risposi.

Tuo padre mi abbracciò ancora una volta. Sentii sulla mia fronte due lacrime di riconoscenza che sembrarono lavare le mie colpe di un tempo, e nel momento in cui acconsentivo a darmi a un altro uomo, mi illuminavo d'orgoglio pensando a quello che acquistavo con questa nuova colpa.

Era naturale, Armand, tu mi avevi detto che tuo padre era l'uomo più onesto che si potesse trovare.

Monsieur Duval salì in carrozza e partì.

Ero donna, tuttavia, e quando ti rividi, non potei impedirmi di piangere; ma non cedetti.

Ho fatto bene? ecco che cosa mi chiedo, oggi che giaccio ammalata in un letto che forse lascerò cadavere.

Tu sei stato testimone di quel che provavo man mano che l'ora della nostra inevitabile separazione si avvicinava; tuo padre non era più lì per sostenermi, e ci fu un momento nel quale fui sul punto di confessarti tutto, tanto ero spaventata dall'idea che mi avresti odiata e disprezzata.

Una cosa alla quale forse non crederai, Armand, è che pregai Iddio di darmi la forza, e a prova che accettava il mio sacrificio, Egli mi diede quella forza che imploravo.

Durante la cena ebbi ancora bisogno di aiuto, perché non volevo sapere ciò che stavo per fare, tanto temevo che il coraggio mi mancasse!

Chi avrebbe detto a me, Marguerite Gautier, che avrei sofferto tanto al solo pensiero che avrei avuto un altro amante?

Bevvi per dimenticare, e quando l'indomani mi svegliai, ero nel letto del conte.

Ecco tutta la verità, amico mio, giudicami e perdonami, come io ti ho perdonato per tutto il male che mi hai fatto a partire da quel giorno".

 

 

 

CAPITOLO 26

 

"Ciò che seguì a quella notte fatale, lo sai quanto me, ma quello che non sai, quello che non puoi immaginare, è ciò che ho sofferto dopo la nostra separazione.

Avevo saputo che tuo padre ti aveva portato via, ma sapevo bene che non avresti potuto vivere a lungo lontano da me, e il giorno in cui ti incontrai agli Champs-Elysées ne fui commossa, ma non stupita.

Allora cominciò quella serie di giorni ciascuno dei quali mi portava un tuo nuovo oltraggio, oltraggio che ricevevo quasi con gioia, perché oltre a essere la prova che mi amavi ancora, mi sembrava che, più mi avessi perseguitata, più mi sarei innalzata ai tuoi occhi il giorno in cui avresti saputo la verità.

Non stupirti di quel felice martirio, Armand, l'amore che avevi avuto per me aveva aperto il mio cuore a nobili entusiasmi.

Tuttavia non ero stata subito così forte.

Tra l'esecuzione del mio sacrificio e il tuo ritorno, era trascorso un periodo abbastanza lungo, durante il quale avevo avuto bisogno di ricorrere a mezzi fisici per non impazzire e per stordirmi nella vita alla quale ero tornata. Prudence ti ha detto, vero, che andavo a tutte le feste, a tutti i balli, a tutte le orge?

Avevo quasi la speranza di uccidermi rapidamente, con gli stravizi e, credo, questa speranza non tarderà a realizzarsi. La mia salute si alterò, fatalmente, sempre di più, e il giorno in cui ti inviai madame Duvernoy a chiederti grazia, ero sfinita nel corpo e nell'anima.

Non ti ricorderò, Armand, in che modo tu abbia ripagato l'ultima prova d'amore che ti ho dato, e con quale oltraggio tu abbia scacciato da Parigi la donna che, vicina alla morte, non aveva potuto resistere al suono della tua voce che implorava una notte d'amore, e che, come una pazza, ha per un istante creduto di poter saldare insieme passato e presente. Tu avevi il diritto di fare quel che hai fatto, Armand: non sempre le mie notti sono state pagate così largamente!

Ho lasciato tutto, allora! Olympe ha preso ii mio posto accanto a monsieur de N..., e si è occupata, mi hanno detto, di fargli sapere la ragione della mia partenza. Il conte de G... era a Londra. E' uno di quegli uomini che, non considerando l'amore per donne come me che come un piacevole passatempo, restano amici delle donne che hanno avuto, e non provano odio, non avendo mai provato gelosia; è, insomma, uno di quei gran signori che non aprono per noi che uno spiraglio del loro cuore, ma aprono completamente la loro borsa. Pensai subito a lui, e lo raggiunsi. Mi ricevette benissimo, ma era, a Londra, l'amante di una signora del gran mondo, e temeva di compromettersi occupandosi di me. Mi presentò ai suoi amici, che diedero in mio onore una cena, dopo la quale uno di loro mi condusse a casa sua.

Che dovevo fare, amico mio?

Uccidermi? Sarebbe stato come caricare la tua vita, che deve essere felice, di un inutile rimorso; e poi, perché uccidersi quando si è già così vicini alla morte?

Passai allo stato di corpo senz'anima, di cosa senza pensiero; vissi per qualche tempo come una automa, poi tornai a Parigi e chiesi notizie di te; seppi allora che eri partito per un lungo viaggio. Non avevo più niente che potesse sostenermi. La mia vita tornò a essere quella che era stata due anni prima che ti conoscessi. Cercai di riagganciare il duca, ma lo avevo troppo crudelmente ferito, e i vecchi non sono pazienti, certo perché si accorgono di non essere eterni. La malattia mi sopraffaceva, un giorno dopo l'altro, ero pallida, triste, sempre più magra. Gli uomini che comprano l'amore esaminano la merce prima di acquistarla. C'erano a Parigi donne più affascinanti, più formose di me; mi si dimenticò un poco. Ecco il passato, fino a ieri.

Ora sono irreparabilmente ammalata. Ho scritto al duca per chiedergli del denaro, perché non ne ho, e i creditori sono tornati, e mi portano i loro conti con spietato accanimento. Il duca mi risponderà? Oh, perché non sei a Parigi, Armand? verresti a trovarmi, e le tue visite mi consolerebbero".

20 dicembre.

"C'è un tempo orribile, nevica, sono sola in casa. Da tre giorni mi ha assalito una febbre così forte che non ho potuto scriverti una parola.

Niente di nuovo, amico mio; ogni giorno spero vagamente in una tua lettera, ma non arriva e certo non arriverà mai. Solo gli uomini hanno la forza di non perdonare. Il duca non mi ha risposto.

Prudence ha ricominciato i suoi viaggi al Monte di Pietà.

Sputo sangue senza tregua. Oh! ti farei pena, se mi vedessi. Tu sei ben felice a essere sotto un cielo caldo e a non avere, come me, tutto un inverno di ghiaccio che ti pesa sul petto. Oggi, mi sono alzata un po', e, dietro le tende della mia finestra, ho visto passare questa vita di Parigi con la quale credo di aver rotto completamente ogni rapporto. Qualche volto sconosciuto è passato nella strada, rapidamente, gioiosamente, spensieratamente. Nessuno ha alzato gli occhi verso la mia finestra. Tuttavia, qualche giovanotto è venuto a firmare. Già una volta fui malata, e tu, che non mi conoscevi, che avevi avuto da me solo la mia impertinenza del giorno in cui ti avevo visto per la prima volta, venivi a cercare mie notizie tutte le mattine. Eccomi ammalata di nuovo. Abbiamo passato insieme sei mesi.

Ho avuto per te tanto amore quanto può contenerne e darne il cuore di una donna e tu sei lontano, e mi maledici, e non ho da te neppure una parola di conforto. Ma è solo il caso che mi rende così abbandonata, ne sono sicura, perché se tu fossi a Parigi, non lasceresti mai il mio capezzale e la mia camera".

25 dicembre.

"Il medico mi proibisce di scrivere tutti i giorni. Infatti, i miei ricordi non fanno che farmi crescere la febbre, ma ieri, ho ricevuto una lettera che mi ha fatto bene, più per i sentimenti di cui era l'espressione che per l'aiuto materiale che veniva a portarmi. Quella lettera era di tuo padre, ed eccone il contenuto.

'Signora, ho saputo adesso che siete ammalata. Se fossi a Parigi, verrei io stesso a chiedere vostre notizie, se mio figlio fosse qui gli direi di venire a informarsi, ma non posso lasciare C... e Armand si trova a sei o settecento leghe di distanza. Permettetemi dunque, signora, di scrivervi semplicemente quanto io sia addolorato della vostra malattia, e credete agli auguri sinceri che vi faccio di una pronta guarigione.

Un mio buon amico, monsieur H..., verrà da voi. Degnatevi di riceverlo. Gli ho dato un incarico del quale attendo con impazienza il risultato.

Credete, signora, alla mia sincera devozione'.

Questa è la lettera che ho ricevuto. Tuo padre è un nobile cuore; amalo, amico mio, perché ci sono al mondo pochi uomini altrettanto degni di essere amati. Quella lettera firmata da lui mi ha fatto più bene di tutte le ricette del nostro grande medico.

Stamattina è venuto monsieur H... Sembrava molto imbarazzato del delicato incarico affidatogli da monsieur Duval. Veniva semplicemente a portarmi mille scudi da parte di tuo padre. Dapprima ho tentato di rifiutare, ma egli mi ha detto che un rifiuto avrebbe offeso monsieur Duval, che lo aveva incaricato di darmi prima di tutto quella somma, e poi tutto ciò di cui avessi avuto bisogno. Ho accettato quell'offerta che, da parte di tuo padre, non è certo un'elemosina. Se quando sarai tornato io sarò morta, mostra a tuo padre ciò che ho scritto per lui, e digli che, scrivendo queste righe, la povera ragazza alla quale si è degnato di scrivere quella lettera consolatrice versava lacrime di riconoscenza, e pregava il Signore per lui".

4 gennaio.

"Ho passato una serie di giorni molto dolorosi. Non sapevo che il corpo potesse far soffrire così. Oh, pago due volte, oggi, la mia vita passata!

Sono stata vegliata tutte le notti. Non potevo più respirare. Il delirio e la tosse si dividevano i resti della mia povera esistenza.

La mia sala da pranzo è piena di dolci, di regali di ogni specie che i miei amici mi hanno portato. C'è tra loro, senza dubbio, gente che spera di avermi più tardi come amante. Se vedessero come la malattia mi ha ridotto, fuggirebbero spaventati.

Prudence fa dei doni con quelli che io ricevo.

Fuori c'è una grande gelata, e il dottore dice che tra qualche giorno potrò uscire, se il bel tempo continua".

8 gennaio.

"Ieri sono uscita con la mia carrozza. Era un tempo stupendo. Il viale degli Champs-Elysées era pieno di gente. Tutto intorno a me aveva un'aria di festa. Non avevo mai sospettato che in un raggio di sole vi fosse tutto quello che ieri vi ho trovato di gioia, di dolcezza e di conforto.

Ho incontrato quasi tutte le persone che conosco, sempre allegre, sempre occupate nei loro piaceri. Quanta gente è felice, e non lo sa!

E' passata Olympe, in un'elegante carrozza che le è stata regalata da monsieur de N... Ha cercato di insultarmi con gli occhi. Non sa quanto io sia lontana da queste cose. Un bravo giovane che conosco da molto tempo mi ha chiesto se volevo cenare con lui e con un suo amico che, mi ha detto, desiderava molto conoscermi.

Ho sorriso tristemente, e gli ho teso una mano bruciante di febbre.

Non ho mai visto un volto più sbalordito.

Sono tornata alle quattro, ho mangiato con un certo appetito.

Quell'uscita mi ha fatto bene. Se guarissi!

Come lo spettacolo della vita e della felicità degli altri restituisce a quelli che, il giorno prima, nella solitudine della loro anima e nell'ombra della loro stanza di ammalati, si auguravano una rapida morte, il desiderio della vita!"

10 gennaio.

"La mia speranza di guarire non era che un sogno.

Eccomi di nuovo a letto, coperta di impiastri bollenti. Va' un po' a offrire quel corpo che un giorno si pagava tanto caro, e vedrai che cosa ti daranno oggi!

Bisogna aver fatto molto male prima di venire al mondo o essere destinati a una ben grande felicità dopo la morte, perché Dio permetta che questa vita abbia tutte le torture dell'espiazione e tutti i dolori della prova".

12 gennaio.

Soffro sempre.

Ieri il conte de N... mi ha mandato del denaro, ma non l'ho accettato.

Non voglio niente da quell'uomo. E' per causa sua che tu non sei vicino a me.

Oh, i nostri bei giorni di Bougival! dove sono?

Se uscirò viva da questa stanza, farò un pellegrinaggio alla casa nella quale abbiamo abitato insieme, ma non uscirò di qui che morta.

Chi sa se potrò scriverti domani?".

25 gennaio "Da undici notti non dormo, soffoco, e credo in ogni momento di morire. Il medico ha ordinato che non mi lascino toccare la penna.

Julie Duprat, che mi assiste, mi ha permesso di scriverti ancora qualche riga. Non tornerai, dunque, prima che io muoia? E' dunque finita per sempre tra noi? Credo che se tu venissi, guarirei.

Altrimenti, perché guarire?"

28 gennaio.

"Stamani sono stata svegliata da un gran rumore. Julie, che dormiva in camera mia, si è precipitata nella sala da pranzo. Ho sentito delle voci maschili contro le quali la sua lottava invano. E' rientrata piangendo.

Venivano per il pignoramento. Le ho detto di lasciar fare quello che essi chiamano giustizia. L'usciere è entrato in camera mia col cappello in testa. Ha aperto i cassetti, ha elencato tutto quello che ha visto e non ha avuto l'aria di accorgersi che c'era una moribonda nel letto che fortunatamente la carità della legge mi lascia.

Si è degnato di dirmi, andandosene, che potevo fare opposizione entro nove giorni, ma ha lasciato un custode! Che sarà di me, mio Dio!

Questa scena ha aggravato il mio stato. Prudence voleva chiedere del denaro all'amico di tuo padre, ma mi sono opposta.

Ho ricevuto stamattina la tua lettera. Ne avevo bisogno. La mia risposta arriverà in tempo? Mi vedrai ancora? Ecco una giornata felice che mi fa dimenticare tutte quelle che ho passato da sei settimane a questa parte. Mi sembra di stare meglio, nonostante la tristezza che mi pesava quando ti ho risposto.

Dopo tutto, non si deve essere sempre infelici.

Quando penso che potrei non morire, che potresti tornare, che potrei rivedere la primavera, che potresti amarmi ancora e che potremmo ricominciare la nostra vita dell'anno scorso!

Pazza che sono! è già molto se riesco a reggere la penna con la quale ti scrivo questo sogno insensato del mio cuore.

Qualunque cosa accada, ti amavo molto, Armand, e sarei già morta da un pezzo se non mi sostenesse il ricordo di quell'amore e una vaga speranza di vederti ancora accanto a me".

4 febbraio.

"Il conte de G... è tornato. La sua amante l'ha tradito. E' molto triste, la amava molto. E' venuto e mi ha raccontato tutto. Il povero ragazzo è piuttosto in cattive acque, il che non gli ha impedito di pagare l'usciere e di licenziare il custode.

Gli ho parlato di te, e mi ha promesso che ti parlerà di me. Come dimenticavo, in quei momenti, che ero stata la sua amante, e come anche lui cercava di farmelo dimenticare! E' un uomo di cuore.

Il duca ha mandato ieri a chiedere di me, e stamattina è venuto. Non so che cosa ancora mantenga in vita quel vecchio. E' rimasato per tre ore accanto a me, e non mi ha detto venti parole. Quando mi ha vista così pallida, due grosse lacrime sono scese dai suoi occhi. Certo a farlo piangere era il ricordo della morte di sua figlia.

L'avrà vista morire due volte. La sua schiena è curva, la sua testa china verso terra, il suo labbro pendente, il suo sguardo spento.

L'età e il dolore gravano col loro duplice peso sul suo corpo stremato. Non mi ha rivolto un rimprovero. Si sarebbe anzi detto che gioisse in cuor suo della devastazione che la malattia aveva fatto in me. Sembrava orgoglioso di essere in piedi, quando io, ancora giovane, ero schiacciata dalla sofferenza.

E' tornato il cattivo tempo. Nessuno viene a trovarmi. Julie mi assiste il più possibile. Prudence, alla quale non posso dare tanto denaro come una volta, comincia ad avanzare pretesti per andarsene.

Ora che sto per morire, nonostante quel che mi dicono i medici, perché ne ho più d'uno, il che dimostra che la malattia peggiora, quasi mi pento di aver dato ascolto a tuo padre; se avessi saputo che non avrei sottratto che un anno al tuo avvenire, non avrei resistito al desiderio di passare questo anno con te, e almeno sarei morta stringendo una mano amica. E' vero che se avessimo vissuto insieme questo anno, non sarei morta così presto.

Sia fatta la volontà di Dio!".

5 febbraio.

"Oh, Armand, vieni, vieni, soffro terribilmente, muoio, Dio mio! Ieri ero così triste che non ho voluto passare in casa la serata, che minacciava di essere lunga come quella del giorno prima. Il duca era venuto la mattina. Mi sembra che la vista di questo vecchio dimenticato dalla morte mi faccia morire più in fretta.

Nonostante la febbre ardente che mi divorava, mi sono fatta vestire e portare al Vaudeville. Julie mi ha messo del rossetto, senza il quale sarei sembrata un cadavere. Sono andata nel palco nel quale ti diedi il nostro primo appuntamento; per tutto il tempo ho tenuto gli occhi fissi sulla poltrona che occupavi quella sera, e che ieri era occupata da una specie di bifolco, che rideva rumorosamente per tutte le stupidaggini propinate dagli attori. Mi hanno riportata a casa mezza morta. Oggi non posso più parlare, posso a malapena muovere le braccia. Dio mio, Dio mio, sto per morire! Me lo aspettavo, ma non posso abituarmi all'idea che dovrò soffrire più di quanto soffro, e se...".

Da questa parola in poi le poche parole che Marguerite aveva cercato di scrivere erano illeggibili, ed era stata Julie Duprat a continuare.

18 febbraio.

Monsieur Armand, dal giorno in cui ha voluto andare a teatro, Marguerite è andata sempre peggiorando. Ha perso completamente la voce, poi l'uso delle membra. Quello che soffre la nostra povera amica non si può raccontare. Io non sono abituata a queste emozioni, e ho spaventi continui.

Come vorrei che foste qui con noi! Lei delira quasi continuamente, ma delirante o lucida, è sempre il vostro nome che pronuncia quando riesce a dire una parola.

Il medico mi ha detto che ne ha per poco. Da quando è così peggiorata, il duca non è tornato. Ha detto al medico che questo spettacolo gli fa troppo male.

Madame Duvernoy non si comporta affatto bene. Questa donna, che credeva di ottenere più denaro da Marguerite, a carico della quale viveva quasi del tutto, ha preso degli impegni che non può mantenere e, vedendo che la sua vicina non può più esserle utile, non viene nemmeno più a trovarla. Tutti la abbandonano. Monsieur de G..., rovinato dai debiti, è stato costretto a ripartire per Londra.

Partendo, ci ha inviato un po' di denaro; egli ha fatto tutto quello che ha potuto, ma sono tornati a pignorare, e i creditori non aspettano che la morte di lei per far vendere tutto.

Volevo impiegare i miei ultimi risparmi per impedire tutti questi pignoramenti, ma l'ufficiale giudiziario mi ha detto che era inutile, e che aveva anche altre sentenze da eseguire. Dal momento che sta per morire, tanto vale abbandonare tutto, piuttosto che salvare questa roba per la sua famiglia, che lei non ha mai voluto vedere e che non le ha mai voluto bene. Non potete immaginare in mezzo a quale miseria dorata stia morendo questa poverina. Ieri non avevamo più denaro.

Coperte, gioielli, mantelli, tutto è impegnato, il resto è venduto o pignorato. Marguerite ha ancora coscienza di ciò che accade intorno a lei, e ne soffre nel corpo, nell'anima e nel cuore. Grosse lacrime le scivolano sulle guance, così magre e pallide che non riconoscereste più il viso di colei che amavate tanto, se poteste vederla. Mi ha fatto promettere che vi avrei scritto quando essa non avrebbe più potuto farlo, e scrivo davanti a lei. Mi guarda senza vedermi, il suo sguardo è già offuscato dalla morte che si avvicina; tuttavia sorride, e tutti i suoi pensieri, tutta la sua anima sono per voi, ne sono certa.

Ogni volta che viene aperta la porta, i suoi occhi si illuminano, e pensa sempre di vedervi entrare; poi, quando vede che non siete voi, il suo viso riprende la sua espressione dolorosa, si bagna di freddo sudore, e le sue guance si fanno di porpora".

19 febbraio, mezzanotte.

"Che triste giornata quella di oggi, mio povero monsieur Armand!

Stamane Marguerite soffocava, il medico le ha fatto un salasso, e le è tornato un filo di voce. Il dottore le ha consigliato di far venire un prete. Ha detto di sì, ed è andato lui stesso a cercare l'abate della chiesa di Saint-Roch.

Frattanto Marguerite mi ha chiamata accanto al suo letto, mi ha pregata di aprire l'armadio, poi mi ha indicato una cuffietta, una camicia lunga tutta coperta di merletti, e mi ha detto con voce debolissima:

'Morirò dopo essermi confessata, perciò vestimi con questi oggetti: è una civetteria da moribonda'.

Poi mi ha abbracciato piangendo, e ha aggiunto: 'Posso parlare, ma quando parlo soffoco. Soffoco! aria!'.

Scoppiai in pianto, aprii la finestra, e dopo qualche istante entrò il prete. Gli andai incontro.

Quando seppe in casa di chi era, sembrò che avesse paura di essere male accolto.

'Entrate liberamente padre', gli dissi.

E' rimasto poco nella stanza dell'ammalata, e ne è uscito dicendomi:

'E' vissuta da peccatrice, ma morirà da cristiana'.

Qualche minuto dopo, è tornato accompagnato da un chierichetto che portava un crocifisso, e da un sacrestano che camminava davanti a loro suonando, per annunciare che Dio veniva a visitare la moribonda.

Sono entrati tutti e tre in quella stanza da letto che aveva risuonato in altri tempi di tante strane parole, e che ormai era solo un tabernacolo santo.

Caddi in ginocchio. Non so per quanto tempo durerà in me l'emozione suscitata da quello spettacolo, ma non credo che, fino a che non sarò arrivata a quel momento, una cosa umana potrà farmi tanta impressione.

Il prete unse con l'olio santo i piedi, le mani e la fronte della moribonda, recitò una breve preghiera, e Marguerite si trovò pronta a partire per il cielo, dove certo andrà, se Dio ha visto le prove della sua vita e la santità della sua morte.

Da quel momento in poi non ha più detto una parola, non ha più fatto un movimento. Venti volte avrei potuto crederla morta, se non avessi udito lo sforzo del suo respiro".

20 febbraio, alle cinque della sera.

"Tutto è finito.

Marguerite è entrata in agonia questa notte verso le due. Nessun martire ha mai sofferto simili torture, a giudicare dalle grida che emetteva. Due o tre volte si è alzata sul letto, come se volesse riprendere la vita che saliva verso Dio.

Due o tre volte ha anche pronunciato il vostro nome, poi tutto è stato silenzio, ed ella è ricaduta sfinita sul letto. Lacrime silenziose le sgorgavano dagli occhi, ed è morta.

Allora mi sono avvicinata a lei, l'ho chiamata, e poiché non mi rispondeva, le ho chiuso gli occhi e l'ho baciata sulla fronte.

'Povera cara Marguerite, avrei voluto essere una santa, affinché il mio bacio potesse raccomandarti a Dio'.

Poi, l'ho vestita come mi aveva pregato, sono andata a cercare un prete a Saint-Roch, ho acceso dei ceri per lei, e ho pregato in chiesa per un'ora.

Ho dato ai poveri un po' del suo denaro.

Non mi intendo molto di religione, ma penso che il buon Dio riconoscerà che le mie lacrime erano vere, la mia preghiera fervida, la mia elemosina sincera, e che avrà pietà di colei che, morta giovane e bella, non ebbe altri che me per chiuderle gli occhi e seppellirla".

22 febbraio.

"Oggi c'è stato il funerale. Molte amiche di Marguerite sono venute in chiesa. Alcune piangevano sinceramente. Quando il corteo si è diretto verso Montmartre, due uomini soli lo seguirono: il conte de G..., che era tornato appositamente da Londra, e il duca, che camminava appoggiandosi a due camerieri.

E' da casa sua che vi scrivo tutti questi particolari, tra le lacrime, davanti alla lampada che brucia tristemente accanto a una cena che non mangio, come potete ben immaginare, ma che Nanine mi ha fatto preparare, perché non tocco cibo da più di ventiquattr'ore.

La mia vita non potrà conservare a lungo queste impressioni tristi, perché essa non mi appartiene più di quanto appartenesse a Marguerite la sua; ed è per questo che vi do tanti particolari sui luoghi stessi nei quali sono accaduti, nel timore che, se molto tempo dovesse passare prima del vostro ritorno, non possa darveli in tutta la loro desolata esattezza".

 

 

 

CAPITOLO 27

 

"Avete letto?", mi chiese Armand quando ebbi terminato la lettura del manoscritto.

"Capisco quel che avete dovuto soffrire, amico mio, se tutto ciò che ho letto è vero!".

"Mio padre me l'ha confermato in una sua lettera".

Parlammo ancora per un po' del triste destino che si era compiuto, e poi tornai a casa a riposarmi un poco. Armand, sempre triste, ma un po' sollevato dopo il racconto di quella storia, si ristabilì presto, e andammo insieme a far visita a Prudence e a Julie Duprat.

Prudence era fallita. Ci disse che Marguerite ne era stata la causa; che, durante la malattia, le aveva prestato molto denaro, per il quale aveva firmato delle cambiali che non aveva potuto pagare, poiché Marguerite era morta senza restituire quanto aveva avuto e senza averle rilasciato ricevute che le permettessero di presentarsi ai creditori.

Con l'appoggio di questa favola, che raccontava a tutti per giustificare i suoi cattivi affari, madame Duvernoy estorse un biglietto da mille franchi ad Armand, che non le credeva, ma che ebbe la compiacenza di fingere di crederle, tanto rispettava tutto ciò che era stato vicino alla sua amante.

Poi andammo da Julie Duprat, che ci raccontò i tristi avvenimenti di cui era stata testimone, versando lacrime sincere al ricordo della sua amica.

Infine, andammo a visitare la tomba di Marguerite sulla quale i primi raggi del sole di aprile facevano spuntare le prime foglie.

Ad Armand restava un ultimo dovere da compiere, raggiungere suo padre; volle che lo accompagnassi anche questa volta.

Arrivammo a C..., dove trovai monsieur Duval esattamente come me l'ero immaginato dal ritratto che me ne aveva fatto suo figlio: alto, dignitoso, benevolo.

Accolse Armand con lacrime di gioia, e mi strinse affettuosamente la mano. Mi accorsi presto che era il sentimento paterno a dominare in lui tutti gli altri.

Sua figlia, Blanche, aveva la trasparenza degli occhi e dello sguardo, la serenità del sorriso di chi possiede un'anima che non ha che pensieri devoti e una bocca che non pronuncia che pie parole.

Sorrideva al ritorno del fratello, la casta giovinetta, ignorando che, lontano da lei, una cortigiana aveva sacrificato la propria felicità alla sola invocazione del suo nome.

Mi trattenni per un po' presso quella famiglia felice, prendendomi molta cura di colui che le affidava la convalescenza del proprio cuore.

Tornai a Parigi, dove scrissi questa storia esattamente come mi fu raccontata. Essa ha un solo merito, che le sarà forse contestato:

quello di essere vera.

Non voglio trarre da questo racconto la conclusione che tutte le giovani come Marguerite sono capaci di fare quello che lei ha fatto; tutt'altro, ma ho avuto la prova che una di esse aveva provato nella sua vita un amore vero, che ne aveva sofferto, e che ne era morta. Ho narrato al lettore quello che avevo saputo. Era mio dovere.

Io non sono l'apostolo del vizio, ma mi farò sempre l'eco del nobile dolore, dovunque lo sentirò pregare.

La storia di Marguerite è un'eccezione, ripeto; ma se così non fosse stato, non avrebbe meritato di essere raccontata.

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